Abuso del diritto Recesso ad nutum, buona fede e abuso del...

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I contratti 1/2010 5 Giurisprudenza Contratti in generale Svolgimento del processo Tra il 1992 ed il 1996 gli attuali ricorrenti, tutti ex con- cessionari della Renault Italia spa, furono revocati dalla stessa società, sulla base della facoltà di recesso ad nutum previsto dall’art. 12 del contratto di concessione di ven- dita. Poiché in tale condotta fu ravvisato un comportamento abusivo, e comunque illecito da parte della Renault Italia spa, fu fondata la Associazione Concessionari Revocati, con lo scopo di «programmare, provvedere, sviluppare, organizzare, gestire ogni iniziativa ed attività idonea alla tutela e difesa, nonché alla rappresentanza, dei diritti dei Concessionari d’auto revocati dalle case automobilisti- che (concessionari) aventi sede nel territorio italiano». L’Associazione ed i concessionari revocati convenivano, quindi, la Renault Italia spa davanti al tribunale di Ro- ma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso per abuso del diritto, e la conseguente con- danna della Renault Italia spa al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’abusivo recesso. Renault Italia spa si costituiva chiedendo il rigetto della domanda, con la condanna alle spese. Il tribunale, con sentenza in data 11 giugno 2001, riget- tava la domanda compensando le spese. Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che, con sentenza del 13 gennaio 2005, rigettava gli appelli proposti dall’Associazione e dai concessionari, che con- dannava al pagamento delle spese. Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previ- sione del recesso ad nutum in favore della Renault Italia rendesse superfluo ogni controllo causale sull’esercizio di tale potere. Abuso del diritto Recesso ad nutum , buona fede e abuso del diritto CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106 - Pres. Varrone - Rel. Urban - P. M. Destro - A. G. c. Renault Italia S.p.a. I Di fronte ad un recesso non qualificato il giudice non può esimersi dal valutare le circostanze allegate dai desti- natari dell’atto di recesso, quali impeditive del suo esercizio, o quali fondanti un diritto al risarcimento per il suo abusivo esercizio. II L’esercizio del potere contrattuale (di recesso) riconosciuto dall’autonomia privata deve essere posto in esse- re nel rispetto di determinati canoni generali - quali quello della buona fede oggettiva, della lealtà dei com- portamenti e della correttezza (alla luce dei quali devono essere interpretati gli stessi atti di autonomia con- trattuale. Il fine da perseguire è quello di evitare che il diritto soggettivo possa sconfinare nell’arbitrio. Da ciò il rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio diritto. III L’irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato rapporto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l’e- sercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei princìpi espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza. IV In ipotesi di eventuale, provata disparità di forze tra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli atti emulativi, ma non delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza economica ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.

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I contratti 1/2010 5

GiurisprudenzaContratti in generale

Svolgimento del processoTra il 1992 ed il 1996 gli attuali ricorrenti, tutti ex con-cessionari della Renault Italia spa, furono revocati dallastessa società, sulla base della facoltà di recesso ad nutumprevisto dall’art. 12 del contratto di concessione di ven-dita.Poiché in tale condotta fu ravvisato un comportamentoabusivo, e comunque illecito da parte della Renault Italiaspa, fu fondata la Associazione Concessionari Revocati,con lo scopo di «programmare, provvedere, sviluppare,organizzare, gestire ogni iniziativa ed attività idonea allatutela e difesa, nonché alla rappresentanza, dei diritti deiConcessionari d’auto revocati dalle case automobilisti-che (concessionari) aventi sede nel territorio italiano».L’Associazione ed i concessionari revocati convenivano,quindi, la Renault Italia spa davanti al tribunale di Ro-

ma, allo scopo di ottenere la declaratoria di illegittimitàdel recesso per abuso del diritto, e la conseguente con-danna della Renault Italia spa al risarcimento dei dannisubiti per effetto dell’abusivo recesso.Renault Italia spa si costituiva chiedendo il rigetto delladomanda, con la condanna alle spese.Il tribunale, con sentenza in data 11 giugno 2001, riget-tava la domanda compensando le spese.Ad eguale conclusione perveniva la Corte d’Appello che,con sentenza del 13 gennaio 2005, rigettava gli appelliproposti dall’Associazione e dai concessionari, che con-dannava al pagamento delle spese.Riteneva, in particolare, la Corte di merito che la previ-sione del recesso ad nutum in favore della Renault Italiarendesse superfluo ogni controllo causale sull’esercizio ditale potere.

Abuso del diritto

Recesso ad nutum, buonafede e abuso del diritto

CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20106 - Pres. Varrone - Rel. Urban - P. M.Destro - A. G. c. Renault Italia S.p.a.

I

Di fronte ad un recesso non qualificato il giudice non può esimersi dal valutare le circostanze allegate dai desti-

natari dell’atto di recesso, quali impeditive del suo esercizio, o quali fondanti un diritto al risarcimento per il

suo abusivo esercizio.

II

L’esercizio del potere contrattuale (di recesso) riconosciuto dall’autonomia privata deve essere posto in esse-

re nel rispetto di determinati canoni generali - quali quello della buona fede oggettiva, della lealtà dei com-

portamenti e della correttezza (alla luce dei quali devono essere interpretati gli stessi atti di autonomia con-

trattuale. Il fine da perseguire è quello di evitare che il diritto soggettivo possa sconfinare nell’arbitrio. Da ciò

il rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio diritto.

III

L’irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a monte della conclusione ed esecuzione di un determinato

rapporto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un controllo da parte del giudice, al fine di valutare se l’e-

sercizio della facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale abbia operato in chiave elusiva dei princìpi

espressione dei canoni generali della buona fede, della lealtà e della correttezza.

IV

In ipotesi di eventuale, provata disparità di forze tra i contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo o

meno del recesso può prescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli

atti emulativi, ma non delle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di dipendenza economica

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.

Difforme Non sono stati rinvenuti precedenti in termini.

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Hanno proposto ricorso principale per cassazione affidatoa cinque motivi illustrati da memoria i soggetti indicatiin epigrafe.Resiste con controricorso la Renault Italia spa che ha,anche, proposto ricorso incidentale affidato ad un moti-vo.

Motivi della decisionePreliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale -vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..Ricorso principale.Con il primo motivo i ricorrenti principali denunciano laviolazione e falsa applicazione dell’art. 216 c.p.c. in rela-zione all’art. 158 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4).Sostengono che la sentenza impugnata sia affetta da nul-lità per vizi relativi alla costituzione del giudice, vale a di-re per «mancanza di collegialità nella decisione testimo-niata dal fatto che la sentenza impugnata risulta estesa il28 settembre 2004, ossia molto prima che fosse tenuta lacamera di consiglio del 12 ottobre 2004».Il motivo non è fondato.L’apposizione in calce alla sentenza della data del 28 set-tembre 2004, invece di quella del 12 ottobre 2004 (datain cui si è tenuta la camera di consiglio) risulta frutto diun semplice errore materiale, posto che - come risulta da-gli atti - nella data del 28 settembre 2004 la Corte di me-rito si era già riunita in camera di consiglio per l’esamedell’appello.Peraltro, l’errore materiale commesso è stato emendato at-traverso il procedimento di correzione ex artt. 287 e 288c.p.c., con ordinanza emessa in data 25 maggio 2005 - a se-guito di scioglimento della riserva adottata all’udienza col-legiale del 24 maggio 2005 - del seguente tenore: «correg-ge la sentenza della Corte di Appello di Roma n. 136 de-positata il 13 gennaio 2005 nel senso che dove è scritto, al-la fine della sentenza e dopo la parola Roma, “28 settembre2004” deve intendersi scritto “12 ottobre 2004”, disponen-do che la cancelleria effettui l’annotazione di rito».La correzione così effettuata rende inammissibile la cen-sura, posto che i ricorrenti non denunciano la correttezzadel procedimento adottato, di correzione dell’errore ma-teriale contenuto nella sentenza impugnata.Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsaapplicazione delle clausole generali della buona fede, edin particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di au-tonomia privata e della conseguente non applicabilitàdella figura dell’abuso del diritto all’esercizio del recessoad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175e 1375 c.c.).Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa ap-plicazione dell’art. 2043 c.c.; contraddittorietà della mo-tivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5).Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa ap-plicazione delle disposizioni sull’agenzia ed errata valuta-zione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360c.p.c., n. 3).Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili chesi presentano connessi in ordine alle questioni prospetta-te, vanno esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per leragioni che seguono.Costituiscono principii generali del diritto delle obbliga-zioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrat-tuale debbono comportarsi secondo le regole della corret-tezza (art. 1175 c.c.) e che l’esecuzione dei contratti deb-ba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.).In tema di contratti, il principio della buona fede ogget-tiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presie-dere all’esecuzione del contratto, così come alla sua for-mazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, ac-compagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5 marzo 2009 n.5348; Cass. 11 giugno 2008 n. 15476).Ne consegue che la clausola generale di buona fede e cor-rettezza è operante, tanto sul piano dei comportamentidel debitore e del creditore nell’ambito del singolo rap-porto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul pianodel complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecu-zione del contratto (art. 1375 cod. civ.).I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono en-trati, nel tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico.L’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costitui-sce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione diun generale principio di solidarietà sociale, la cui costitu-zionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra lealtre, Cass. 15 febbraio 2007 n. 3462).Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dal-la Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inte-so come una specificazione degli “inderogabili doveri disolidarietà sociale” imposti dall’art. 2 Cost., e la sua rile-vanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti delrapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da pre-servare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenzadi specifici obblighi contrattuali o di quanto espressa-mente stabilito da singole norme di legge.In questa prospettiva, si è pervenuti ad affermare che ilcriterio della buona fede costituisce strumento, per il giu-dice, atto a controllare, anche in senso modificativo odintegrativo, lo statuto negoziale, in funzione di garanziadel giusto equilibrio degli opposti interessi.La Relazione ministeriale al codice civile, sul punto, cosìsi esprimeva: (il principio di correttezza e buona fede)«richiama nella sfera del creditore la considerazione del-l’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giustoriguardo all’interesse del creditore», operando, quindi,come un criterio di reciprocità.In sintesi, disporre di un potere non è condizione suffi-ciente di un suo legittimo esercizio se, nella situazionedata, la patologia del rapporto può essere superata facen-do ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrap-posti in modo più proporzionato.In questa ottica la clausola generale della buona fede exartt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche nell’ambitodei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi diposizione dominante.La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapportogiuridico nei binari dell’equilibrio e della proporzione.Criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buonafede oggettiva è quello dell’abuso del diritto.

I contratti 1/20106

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Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto - ricostruitiattraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale - sonoi seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capoad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto eserciziodi quel diritto possa essere effettuato secondo una plura-lità di modalità non rigidamente predeterminate; 3) lacircostanza che tale esercizio concreto, anche se formal-mente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto,sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un cri-terio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la cir-costanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, siverifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficiodel titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la con-troparte.L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una vio-lazione in senso formale, delinea l’utilizzazione alteratadello schema formale del diritto, finalizzata al consegui-mento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli in-dicati dal Legislatore.È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra ilpotere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto diesercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell’atto ri-spetto al potere che lo prevede.Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l’ordina-mento pone una regola generale, nel senso di rifiutare latutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazionedelle corrette regole di esercizio, posti in essere con com-portamenti contrari alla buona fede oggettiva.E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità diimpedire che possano essere conseguiti o conservati ivantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti diper sé strutturalmente idonei, ma esercitati in modo daalterarne la funzione, violando la normativa di correttez-za, che è regola cui l’ordinamento fa espresso richiamonella disciplina dei rapporti di autonomia privata.Nel nostro codice non esiste una norma che sanzioni, invia generale, l’abuso del diritto.La cultura giuridica degli anni ‘30 fondava l’abuso del di-ritto, più che su di un principio giuridico, su di un con-cetto di natura etico morale, con la conseguenza che co-lui che ne abusava era considerato meritevole di biasimo,ma non di sanzione giuridica.Questo contesto culturale, unito alla preoccupazione perla certezza - o quantomeno prevedibilità del diritto - inconsiderazione della grande latitudine di potere che unaclausola generale, come quella dell’abuso del diritto,avrebbe attribuito al giudice, impedì che fosse trasfusa,nella stesura definitiva del codice civile italiano del1942, quella norma del progetto preliminare (art. 7) cheproclamava, in termini generali, che «nessuno può eser-citare il proprio diritto in contrasto con lo scopo per ilquale il diritto medesimo gli è stato riconosciuto» (cosìponendosi l’ordinamento italiano in contrasto con altriordinamenti, ad es. tedesco, svizzero e spagnolo); prefe-rendo, invece, ad una norma di carattere generale, normespecifiche che consentissero di sanzionare l’abuso in rela-zione a particolari categorie di diritti.Ma, in un mutato contesto storico, culturale e giuridico,un problema di così pregnante rilevanza è stato oggetto di

rimeditata attenzione da parte della Corte di legittimità(v. applicazioni del principio in Cass. 8 aprile 2009 n.8481; Cass. 20 marzo 2009 n. 6800; Cass. 17 ottobre2008 n. 29776; Cass. 4 giugno 2008 n. 14759; Cass. 11maggio 2007 n. 10838).Così, in materia societaria è stato sindacato, in una deli-berazione assembleare di scioglimento della società, l’e-sercizio del diritto di voto sotto l’aspetto dell’abuso di po-tere, ritenendo principio generale del nostro ordinamen-to, anche al di fuori del campo societario, quello di nonabusare dei propri diritti - con approfittamento di una po-sizione di supremazia - con l’imposizione, nelle delibereassembleari, alla maggioranza, di un vincolo desunto dauna clausola generale quale la correttezza e buona fede(contrattuale).In questa ottica i soci debbono eseguire il contratto se-condo buona fede e correttezza nei loro rapporti recipro-ci, ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c., la cui funzione èintegrativa del contratto sociale, nel senso di imporre ilrispetto degli equilibri degli interessi di cui le parti sonoportatrici.E la conseguenza è quella della invalidità della delibera,se è raggiunta la prova che il potere di voto sia stato eser-citato allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ov-vero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare in-giustificatamente i soci di maggioranza in danno di quel-li di minoranza, in violazione del canone generale dibuona fede nell’esecuzione del contratto (v. Cass. 11 giu-gno 2003 n. 9353).Con il rilievo che tale canone generale non impone aisoggetti un comportamento a contenuto prestabilito, marileva soltanto come limite esterno all’esercizio di unapretesa, essendo finalizzato al contemperamento degliopposti interessi (Cass. 12 dicembre 2005 n. 27387).Ancora, sempre nell’ambito societario, la materia dell’a-buso del diritto è stata esaminata con riferimento allaqualità di socio ed all’adempimento secondo buona fededelle obbligazioni societarie ai fini della sua esclusionedalla società (Cass. 19 dicembre 2008 n. 29776), ed al fe-nomeno dell’abuso della personalità giuridica quando es-sa costituisca uno schermo formale per eludere la più rigi-da applicazione della legge (v. anche Cass. 25 gennaio2000 n. 804; Cass. 16 maggio 2007 n. 11258).In tal caso, proprio richiamando l’abuso, ne sarà possibi-le, per così dire, il suo “disvelamento” (piercing the corpo-rate veil).Nell’ambito, poi, dei rapporti bancari è stato più volte ri-conosciuto che, in ossequio al principio per cui il con-tratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375cod. civ.), non può escludersi che il recesso di una bancadal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamenteconsentito anche in difetto di giusta causa, sia da consi-derarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati deltutto imprevisti ed arbitrari (Cass. 21 maggio 1997 n.4538; Cass. 14 luglio 2000 n. 9321; Cass. 21 febbario2003 n. 2642).E, con riferimento ai rapporti di conto corrente, è statoritenuto che, in presenza di una clausola negoziale che,nel regolare tali rapporti, consenta all’istituto di credito

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di operare la compensazione tra i saldi attivi e passivi deidiversi conti intrattenuti dal medesimo correntista, inqualsiasi momento, senza obbligo di preavviso, la conte-stazione sollevata dal cliente che, a fronte della interve-nuta operazione di compensazione, lamenti di non esser-ne stato prontamente informato e di essere andato in-contro, per tale motivo, a conseguenze pregiudizievoli,impone al giudice di merito di valutare il comportamen-to della banca alla stregua del fondamentale principiodella buona fede nella esecuzione del contratto. Con laconseguenza, in caso contrario, del riconoscimento a ca-rico della banca, di una responsabilità per risarcimentodei danni (Cass. 28 settembre 2005 n. 18947).In materia contrattuale, poi, gli stessi principii sono statiapplicati, in particolare, con riferimento al contratto dimediazione (Cass. 5 marzo 2009 n. 5348), al contratto disale and lease back connesso al divieto di patto commisso-rio ex art. 2744 c.c., (Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805;Cass. 26 giugno 2001 n. 8742; Cass. 22 marzo 2007 n.6969; Cass. 8 aprile 2009 n. 8481), ed al contratto auto-nomo di garanzia ed exceptio doli (Cass. 1 ottobre 1999 n.10864; Cass. 28 luglio 2004 n. 14239; Cass. 7 marzo 2007n. 5273).Del principio dell’abuso del diritto è stato, da ultimo, fat-to frequente uso in materia tributaria, fondandolo sul ri-conoscimento dell’esistenza di un generale principio an-tielusivo (v. per tutte S.U. 23 ottobre 2008 nn. 30055,30056, 30057).Il breve excursus esemplificativo consente, quindi, di rite-nere ormai acclarato che anche il principio dell’abuso deldiritto è uno dei criteri di selezione, con riferimento alquale esaminare anche i rapporti negoziali che nasconoda atti di autonomia privata, e valutare le condotte che,nell’ambito della formazione ed esecuzione degli stessi, leparti contrattuali adottano.Deve, con ciò, pervenirsi a questa conclusione.Oggi, i principii della buona fede oggettiva, e dell’abusodel diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla lucedei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettiviassoluti.In questa prospettiva i due principii si integrano a vicen-da, costituendo la buona fede un canone generale cui an-corare la condotta delle parti, anche di un rapporto pri-vatistico e l’interpretazione dell’atto giuridico di autono-mia privata e, prospettando l’abuso, la necessità di unacorrelazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali es-si sono conferiti.Qualora la finalità perseguita non sia quella consentitadall’ordinamento, si avrà abuso.In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcu-ni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivoesercizio.Alla luce di tali principii e considerazioni svolte deve,ora, esaminarsi la sentenza, in questa sede, impugnata.La struttura argomentativa della sentenza si sviluppa se-condo i seguenti passaggi logici:1) il giudice non ha alcuna possibilità di controllo sull’at-to di autonomia privata;

«2) la previsione contrattuale del recesso ad nutum dalcontratto non consente, quindi, da parte del giudice, ilsindacato su tale atto, non essendo necessario alcun con-trollo causale circa l’esercizio del potere, perché un talepotere rientra nella libertà di scelta dell’operatore econo-mico in un libero mercato;3) La Renault Italia non doveva tenere conto anche del-l’interesse della controparte o di interessi diversi da quel-lo che essa aveva alla risoluzione del rapporto»;4) la insussistenza di un’ipotesi di recesso illegittimocomporta la non pertinenza del richiamo agli artt. 1175 e1375 c.c.;5) i principii di correttezza e buona fede non creano ob-bligazioni autonome, ma rilevano soltanto per verificareil puntuale adempimento di obblighi riconducibili a de-terminati rapporti;6) Non sono presenti nel caso in esame i principi enu-cleati dalla giurisprudenza in tema di abuso del diritto; eciò perché «La sussistenza di un atto di abuso del diritto(speculare ai cosiddetti atti emulativi) postula il concor-so di un elemento oggettivo, consistente nell’assenza diutilità per il titolare del diritto, e di un elemento sogget-tivo costituito dall’animus nocendi, ossia l’intenzione dinuocere o di recare molestia ad altri»;7) «Il mercato, concepito quale luogo della libertà di ini-ziativa economica (garantita dalla Costituzione), presup-pone l’esistenza di soggetti economici in grado di eserci-tare i diritti di libertà in questione e cioè soggetti effetti-vamente responsabili delle scelte d’impresa ad essi for-malmente imputabili. La nozione di mercato libero pre-suppone che il gioco della concorrenza venga attuato dasoggetti in grado di autodeterminarsi»;8) Alla libertà di modificare l’assetto di vendita, da partedella Renault Italia spa, conseguiva che il recesso ad nu-tum rappresentava, per il titolare di tale facoltà, «il mez-zo più conveniente per realizzare tale fine: non sussiste,quindi, l’abuso»;9) La impossibilità di ipotizzare «un potere del giudice dicontrollo diretto sugli atti di autonomia privata, in man-canza di un atto normativo che specifichi come attuaretale astratta tutela», produce, come effetto, quello dellaintroduzione di «un controllo di opportunità e di ragio-nevolezza sull’esercizio del potere di recesso; al che con-segue una valutazione politica, non giurisdizionale del-l’atto»;10) La impossibilità di procedere ad un giudizio di ragio-nevolezza in ambito privatistico e, particolarmente, «inambito contrattuale in cui i valori di riferimento non so-no unitari, ma sono addirittura contrapposti e la compo-sizione del conflitto avviene proprio seguendo i parame-tri legali dell’incontro delle volontà su una causa elettadall’ordinamento come meritevole di tutela» fa sì che«Solo allorché ricorrono contrasti con norme imperati-ve, può essere sanzionato l’esercizio di una facoltà, ma aldi fuori di queste ipotesi tipiche, normativamente previ-ste, residua la più ampia libertà della autonomia privata».Le affermazioni contenute nella sentenza impugnata nonsono condivisibili sotto diversi profili.Punto di partenza dal quale conviene prendere le mosse è

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quello che non è compito del giudice valutare le scelteimprenditoriali delle parti in causa che siano soggettieconomici, scelte che sono, ovviamente, al di fuori delsindacato giurisdizionale.Diversamente, quando, nell’ambito dell’attività impren-ditoriale, vengono posti in essere atti di autonomia priva-ta che coinvolgono - ad es. nei contratti d’impresa - gliinteressi, anche contrastanti, delle diverse parti contrat-tuali.In questo caso, nell’ipotesi in cui il rapporto evolva inchiave patologica e sia richiesto l’intervento del giudice,a quest’ultimo spetta di interpretare il contratto, ai finidella ricerca della comune intenzione dei contraenti.Ciò vuoi significare che l’atto di autonomia privata è, pursempre, soggetto al controllo giurisdizionale.Gli strumenti di interpretazione del contratto sono rap-presentati: il primo, dal senso letterale delle parole e del-le espressioni utilizzate; con la conseguente preclusionedel ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comu-ne volontà delle parti emerga in modo certo ed immedia-to dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara daprecludere la ricerca di una volontà diversa; con l’adozio-ne eventuale degli altri criteri interpretativi, comunque,di natura sussidiaria.Ma il contratto e le clausole che lo compongono - ai sen-si dell’art. 1366 c.c. - debbono essere interpretati anchesecondo buona fede.Non soltanto.Il principio della buona fede oggettiva, cioè della recipro-ca lealtà di condotta, deve accompagnare il contratto nelsuo svolgimento, dalla formazione all’esecuzione, ed, es-sendo espressione del dovere di solidarietà fondato sul-l’art. 2 Cost., impone a ciascuna delle parti del rapportoobbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degliinteressi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di spe-cifici obblighi contrattuali o di norme specifiche.La sua violazione, pertanto, costituisce di per sé inadem-pimento e può comportare l’obbligo di risarcire il dannoche ne sia derivato (v. anche S.U. 15 novembre 2007 n.23726; Cass. 22 gennaio 2009 n. 1618; Cass. 6 giugno2008 n. 21250; Cass. 27 ottobre 2006 n. 23273; Cass. 7giugno 2006 n. 13345; Cass. 11 gennaio 2006 n. 264).Il criterio della buona fede costituisce, quindi, uno stru-mento, per il giudice, finalizzato al controllo - anche insenso modificativo o integrativo - dello statuto negoziale;e ciò quale garanzia di contemperamento degli oppostiinteressi (v. S.U. 15 novembre 2007 n. 23726 ed i richia-mi ivi contenuti).Il giudice, quindi, nell’interpretazione secondo buona fe-de del contratto, deve operare nell’ottica dell’equilibriofra i detti interessi.Ed è su questa base che la Corte di merito avrebbe dovu-to valutare ed interpretare le clausole del contratto - inparticolare quella che prevedeva il recesso ad nutum - an-che al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarci-mento del danno per l’esercizio di tale facoltà in modonon conforme alla correttezza ed alla buona fede.Sotto questo profilo, pertanto, dovrà essere riesaminato ilmateriale probatorio acquisito.

In sostanza la Corte di merito - di fronte ad un recessonon qualificato - non poteva esimersi dal valutare le cir-costanze allegate dai destinatari dell’atto di recesso, qua-li impeditive del suo esercizio, o quali fondanti un dirittoal risarcimento per il suo abusivo esercizio.Anche con riferimento all’abuso del diritto, le indicazio-ni fornite dalla Corte di merito non possono essere segui-te.Il controllo del giudice sul carattere abusivo degli atti diautonomia privata è stato pienamente riconosciuto dallagiurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità,cui si è fatto cenno.La conseguenza è l’irrilevanza, sotto questo aspetto, delleconsiderazioni svolte in tema di libertà economica e di li-bero mercato.Nessun dubbio che le scelte decisionali in materia eco-nomica non siano oggetto di sindacato giurisdizionale,rientrando nelle prerogative dell’imprenditore operantenel mercato, che si assume il rischio economico dellescelte effettuate.Ma, in questo contesto, l’esercizio del potere contrattua-le riconosciutogli dall’autonomia privata, deve essere po-sto in essere nel rispetto di determinati canoni generali -quali quello appunto della buona fede oggettiva, dellalealtà dei comportamenti e delle correttezza - alla luce deiquali debbono essere interpretati gli stessi atti di autono-mia contrattuale.Ed il fine da perseguire è quello di evitare che il dirittosoggettivo, che spetta a qualunque consociato che ne siaportatore, possa sconfinare nell’arbitrio.Da ciò il rilievo dell’abuso nell’esercizio del proprio dirit-to.La libertà di scelta economica dell’imprenditore, pertan-to, in sé e per sé, non è minimamente scalfita; ciò che ècensurato è l’abuso, ma non di tale scelta, sebbene del-l’atto di autonomia contrattuale che, in virtù di tale scel-ta, è stato posto in essere.L’irrilevanza, per il diritto, delle ragioni che sono a mon-te della conclusione ed esecuzione di un determinato rap-porto negoziale, non esclude - ma anzi prevede - un con-trollo da parte del giudice, al fine di valutare se l’eserciziodella facoltà riconosciuta all’autonomia contrattuale ab-bia operato in chiave elusiva dei principii espressione deicanoni generali della buona fede, della lealtà e della cor-rettezza.Di qui il rilievo riconosciuto dall’ordinamento - al fine dievitare un abusivo esercizio del diritto - ai canoni genera-li di interpretazione contrattuale.Ed in questa ottica, il controllo e l’interpretazione del-l’atto di autonomia privata dovrà essere condotto tenen-do presenti le posizioni delle parti, al fine di valutare seposizioni di supremazia di una di esse e di eventuale di-pendenza, anche economica, dell’altra siano stati forieridi comportamenti abusivi, posti in essere per raggiungerei fini che la parte si è prefissata.Per questa ragione il giudice, nel controllare ed interpre-tare l’atto di autonomia privata, deve operare ed inter-pretare l’atto anche in funzione del contemperamentodegli opposti interessi delle parti contrattuali.

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Erra, pertanto, il giudice di merito quando afferma che viè un’impossibilità di procedere ad un giudizio di ragione-volezza in ambito contrattuale, escludendo che lo stessopossa controllare l’esercizio del potere di recesso; ritenen-do che, diversamente si tratterebbe di una valutazionepolitica.Il problema non è politico, ma squisitamente giuridico edinveste i rimedi contro l’abuso dell’autonomia privata edei rapporti di forza sul mercato, problemi questi che so-no oggetto di attenzione da parte di tutti gli ordinamenticontemporanei, a causa dell’incremento delle situazionidi disparità di forze fra gli operatori economici.Al giudicante è richiesta, attraverso il controllo e l’inter-pretazione dell’atto di recesso - al fine di affermarne odescluderne il suo esercizio abusivo, condotto alla luce deiprincipii più volte enunciati - proprio ed esclusivamenteuna valutazione giuridica.Le considerazioni tutte effettuate consentono, quindi, diconcludere che la Corte di merito abbia errato quando haadottato le seguenti proposizioni argomentative:1) che la sussistenza di un atto di abuso del diritto sia sol-tanto speculare agli atti emulativi e postuli il concorso diun elemento oggettivo, consistente nell’assenza di utilitàper il titolare del diritto, e di un elemento soggettivo co-stituito dall’animus nocendi;2) che, stabilito che la Renault Italia era libera di modifi-care l’assetto di vendita, il recesso ad nutum era il mezzopiù conveniente per realizzare tale fine; al che consegui-rebbe l’insussistenza dell’abuso;3) che, una volta che l’ordinamento abbia apprestato undato istituto, spetta all’autonomia delle parti utilizzarlo omeno;4) che non sussista la possibilità di utilizzare un giudiziodi ragionevolezza in ambito privatistico - in particolarecontrattuale - in cui i valori di riferimento non solo nonsono unitari, ma sono addirittura contrapposti;5) che nessuna valutazione delle posizioni contrattualidelle parti - soggetti deboli e soggetti economicamente“forti” -, anche con riferimento alle condizioni tutte og-getto della previsione contrattuale, rientri nella sfera divalutazione complessiva del Giudicante.La Corte di merito ha affermato che l’abuso fosse confi-gurabile in termini di volontà di nuocere, ovvero in ter-mini di “neutralità”; nel senso cioè che, una volta chel’ordinamento aveva previsto il mezzo (diritto di recesso)per conseguire quel dato fine (scioglimento dal contrattodi concessione di vendita), erano indifferenti le modalitàdel suo concreto esercizio.Ma il problema non è questo.Il problema è che la valutazione di un tale atto deve esse-re condotta in termini di “conflittualità”. Ovvero: postoche si verte in tema di interessi contrapposti, di cui eranoportatrici le parti, il punto rilevante è quello della pro-porzionalità dei mezzi usati.Proporzionalità che esprime una certa procedimentalizza-zione nell’esercizio del diritto di recesso (per es. attraver-so la previsione di trattative, il riconoscimento di inden-nità ecc.).In questo senso, la Corte di appello non poteva esimersi

da un tale controllo condotto, secondo le linee guidaesposte, anche, quindi, sotto il profilo dell’eventuale abu-so del diritto di recesso, come operato.In concreto, avrebbe dovuto valutare - e tale esame spet-ta ora al giudice del rinvio - se il recesso ad nutum previ-sto dalle condizioni contrattuali, era stato attuato conmodalità e per perseguire fini diversi ed ulteriori rispettoa quelli consentiti.Ed in questo esame si sarebbe dovuta avvalere del mate-riale probatorio acquisito, esaminato e valutato alla lucedei principii oggi indicati, al fine di valutare - anche sot-to il profilo del suo abuso - l’esercizio del diritto ricono-sciuto.In ipotesi, poi, di eventuale, provata disparità di forze frai contraenti, la verifica giudiziale del carattere abusivo omeno del recesso deve essere più ampia e rigorosa, e puòprescindere dal dolo e dalla specifica intenzione di nuo-cere: elementi questi tipici degli atti emulativi, ma nondelle fattispecie di abuso di potere contrattuale o di di-pendenza economica.Le conseguenze, cui condurrebbe l’interpretazione propo-sta dalla sentenza impugnata, sono inaccettabili.La esclusione della valorizzazione e valutazione dellabuona fede oggettiva e della rilevanza anche dell’even-tuale esercizio abusivo del recesso, infatti, consentirebbe-ro che il recesso ad nutum si trasformi in un recesso, arbi-trario, cioè ad libitum, di sicuro non consentito dall’ordi-namento giuridico.Il giudice del rinvio, quindi, dovrà riesaminare la que-stione, tenendo conto delle indicazioni fornite e dei prin-cipii enunciati, al fine di riconoscere o meno il carattereabusivo del recesso e l’eventuale, consequenziale dirittoal risarcimento del danni subiti.Tutto ciò in chiave di contemperamento dei diritti e de-gli interessi delle parti in causa, in una prospettiva anchedi equilibrio e di correttezza dei comportamenti econo-mici.Le conclusioni raggiunte consentono di ritenere irrile-vante, e, quindi, superfluo l’esame degli ulteriori profili dicensura proposti.I temi dell’abuso di dipendenza economica e della appli-cabilità analogica od estensiva della normativa in mate-ria di subfornitura (in particolare L. 18 giugno 1998, n.172, art. 9) non hanno costituito oggetto di specificacensura contenuta nei motivi di ricorso.Quanto alle analogie riscontrate dai ricorrenti fra il con-tratto di concessione di vendita e quella di agenzia, ai fi-ni del riconoscimento del diritto dei concessionari a per-cepire una somma a titolo di indennità, poi, ad un som-mario esame - il quale, peraltro, si presenterebbe super-fluo ai fini che qui interessano, per le conclusioni rag-giunte sui temi in precedenza trattati - si presentano didubbia praticabilità.Il contratto di concessione di vendita, infatti, per la suastruttura e la sua funzione economico-sociale, presentaaspetti che lo avvicinano al contratto di somministrazio-ne, ma non può, però essere inquadrato in uno schemacontrattuale tipico, trattandosi, invece, di un contrattoinnominato, che si caratterizza per una complessa funzio-

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ne di scambio e di collaborazione e consiste, sul pianostrutturale, in un contratto - quadro o contratto normati-vo (Cass. 17 dicembre 1990, n. 11960), dal quale derival’obbligo di stipulare singoli contratti di compravendita,ovvero l’obbligo di concludere contratti di puro trasferi-mento dei prodotti, alle condizioni fissate nell’accordoiniziale (v. anche Cass. 22 febbraio 1999 n. 1469; Cass.11 giugno 2009 n. 13568).Proprio una tale struttura e funzione economica, cheesclude profili rilevanti di collaborazione, sembra dover-lo porre al di fuori dell’area di affinità con il contratto diagenzia (v. anche Cass. 21 luglio 1994 n. 6819).Con il quinto motivo (subordinato) i ricorrenti principa-li denunciano la mancata compensazione delle spese re-lative al giudizio di appello da parte della Corte di meri-to.Il motivo resta assorbito dalle conclusioni raggiunte inordine ai motivi che precedono. Ricorso incidentale Conunico motivo la resistente e ricorrente incidentale de-nuncia la omessa motivazione sull’appello incidentaleproposto dalla Renault Italia spa, relativamente alla li-quidazione delle spese del giudizio di primo grado.Anche questo motivo, in materia di spese, resta assorbito

dalle conclusioni raggiunte in ordine ai motivi del ricor-so principale che precedono.Il giudice del rinvio, dovrà, infatti, procedere ad una nuo-va ed autonoma regolamentazione delle spese del proces-so.Conclusivamente, va rigettato il primo motivo del ricor-so principale;vanno accolti, nei limiti di cui in motivazione, il secon-do, terzo e quarto motivo; vanno dichiarati assorbiti ilquinto motivo ed il ricorso incidentale.La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi,come accolti, e la causa va rimessa alla Corte d’Appellodi Roma in diversa composizione.Il giudice del rinvio si pronuncerà anche sulle spese delgiudizio di cassazione.

P.Q.M.La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ri-corso principale. Accoglie, nei limiti di cui in motivazio-ne, il secondo, terzo e quarto motivo. Dichiara assorbiti ilquinto, nonché il ricorso incidentale. Cassa in relazionee rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Ro-ma in diversa composizione.

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IL COMMENTOdi Giovanni D’Amico

La Nota focalizza l’attenzione sul rapporto tra controllo dell’esercizio del diritto attuato attraverso il criteriodell’”abuso” e controllo attuato attraverso il canone della buona fede. Mentre la sentenza in commento so-vrappone i due tipi di giudizio e di valutazione, l’autore avanza la tesi secondo cui “abuso del diritto” e “buo-na fede” rappresentano nozioni distinte, e danno vita a “tecniche” di controllo degli atti di esercizio dei di-ritti diverse sia sotto il profilo dei presupposti sia sotto il profilo dei rimedi.

Il fatto

Nel marzo del 1997 un rilevante numero di ex con-cessionari auto Renault citavano in giudizio RenaultItalia SpA esponendo che tra il 1992 e il 1996 la so-cietà convenuta aveva «inopinatamente e inaspet-tatamente» esercitato il recesso dai contratti di con-cessione di vendita intercorrenti con gli attori (eche avevano una durata media di circa dieci anni).In particolare gli attori (dopo aver sottolineato la si-tuazione di “dipendenza economica” dalla contro-parte (argomentavano che il diritto di recedere adnutum attribuito contrattualmente alla Renault(contraente forte) era stato comunque esercitatodalla società convenuta con modalità “abusive”(contrarie a buona fede) perché: a) la recedenteaveva, sollecitando l’effettuazione di nuovi investi-menti, suscitato nei concessionari un legittimo affi-damento nella continuazione del rapporto; b) puravendo intimato il recesso a quasi 200 concessiona-

ri, la rete di vendita non risultava ridotta, in quantomolti “territori contrattuali” (zone) già serviti daiconcessionari “revocati”, erano stati inseriti in unanuova rete di vendita, formata per lo più da ex diri-genti della Renault (da essa indotti a dimissionispontanee, in cambio di una “fuoriuscita morbida”dalla struttura); c) scorrettamente la società conve-nuta aveva “pubblicizzato” sulla stampa locale lacessazione del rapporto di concessione con un an-nuncio che rendeva nota questa cessazione allaclientela.Ciò premesso, gli attori - sulla base della asserita esi-stenza di “profonde analogie” intercorrenti tra ilcontratto di concessione di vendita in esclusiva equello di agenzia (chiedevano che (analogamente aquanto previsto per l’ipotesi di scioglimento di que-st’ultimo contratto) venisse riconosciuto anche a lo-ro favore il diritto ad una indennità per la perdita diclientela oltre il risarcimento dei danni.

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La società convenuta replicava che: a) del tutto infon-dato era l’assunto della preordinazione dei recessi inti-mati agli attori ad una ipotetica sistemazione dei pro-pri dipendenti dimissionari, laddove invece essi si col-locavano nel quadro di una complessa e vasta ristrut-turazione della rete di vendita, determinata dalla note-vole flessione del mercato dell’auto, iniziata nel 1992 eproseguita negli anni successivi; b) la detta ristruttura-zione si poneva in linea con la finalità della normativacomunitaria in materia, la quale mirava a garantireun’adeguata assistenza alla clientela (finalità a cui eradiretta anche la ristrutturazione della rete di vendita,attuata dalla Renault anche al fine di migliorare i ser-vizi ai clienti); c) che era stato attribuito un congruotermine di preavviso; d) che infondata era l’analogiache gli attori intravvedevano con rapporti contrat-tuali (agenzia, franchising) che lo stesso legislatorecomunitario aveva provveduto a tenere distinti dal-la concessione di vendita; e) che, in particolare, laratio dell’indennità di fine rapporto riconosciuta afavore dell’agente (nel contratto di agenzia) risiedenel riconoscere un corrispettivo per l’apporto (nonremunerato dalle provvigioni) al preponente di unaclientela fissa, apporto che non è ravvisabile nelcontratto di concessione di vendita; f) infine, anchele richieste di risarcimento del danno per spese edoneri asseritamente sostenuti dai concessionari, era-no infondate in quanto si trattava di esborsi effet-tuati nell’adempimento di precisi obblighi contrat-tuali.

Le decisioni dei due gradi di merito

Il Tribunale Roma decideva sulla domanda dei con-cessionari nel 2001, respingendola (1).Pur riconoscendo che il concessionario è la parte“debole” del rapporto contrattuale, destinato in viadi principio a subire i modelli pattizi dall’altro predi-sposti, il giudice romano osserva che i concessiona-ri, per altro verso, «operano attraverso strutture pro-duttive e in un tipo di mercato sufficientemente duttili edidonei pertanto ad assorbire i trasformismi necessari allaconservazione dell’impresa, anche in caso di cessazionedel rapporto con l’originario produttore», come sarebbestato dimostrato anche nel caso di specie dalla cir-costanza (allegata dalla società convenuta) che mol-ti dei concessionari revocati erano già passati alla re-te di altri produttori.Del resto, alla luce della stessa normativa comunita-ria (ammesso che essa sia interpretabile come voltaa tutelare i concessionari (quali ipotetica parte “de-bole” del rapporto contrattuale) (2) (costituisce unindice molto significativo, a parere del Tribunale diRoma, da un lato la circostanza che comunque «si

sia ritenuto sufficiente ai fini della legittimità del recessodel produttore il termine di preavviso di un anno,almenosecondo il regolamento vigente nell’epoca in cui sono in-tervenute le revoche che hanno interessato gli attori (3),dall’altro che non sia stato previsto a favore del conces-sionario revocato alcuno dei presidi che assistono la ces-sazione del rapporto del contraente debole in altre bennote fattispecie negoziali, come quella di agenzia....»(4).

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Note:

(1) Cfr. Trib. Roma, Sez. III, 11 giugno 2001, n. 22540 (giud. Ame-dola). Trattandosi di una pronuncia inedita, abbiamo ritenuto op-portuno riportare nel testo ampie citazioni tratte dalla motivazio-ne.

(2) Cosa che il Tribunale di Roma contesta, in quanto - così siesprime l’estensore della sentenza («ad un esame scevro daapriorismi sembra ... che l’ottica della regolamentazione comu-nitaria sia più quella della razionalità della distribuzione, in vistadella salvaguardia delle esigenze del consumatore, che nonquella della tutela di un ipotetico contraente debole». Senza en-trare nel merito di questo profilo - che è rimasto estraneo allapronuncia della Cassazione che qui si commenta -, ci limitiamo aricordare che il legislatore europeo disciplina il rapporto di con-cessione di vendita (ivi compreso l’aspetto concernente il reces-so del concedente) nell’ambito di regolamenti di esenzione percategoria ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 81 par. 3 TrattatoCE (in successione temporale, v. Regolamento della Commis-sione n. 123/85 del 12 dicembre 1984, in vigore sino al 30 giu-gno 1995; Regolamento della Commissione n. 1475/95 del 28giugno 1995, in vigore sino al 30 settembre 2002; infine, Rego-lamento della Commissione n. 1400/02 del 31 luglio 2002, at-tualmente in vigore e la cui efficacia cesserà il 31 maggio 2010,scadenza in vista della quale nel mese di luglio del 2009 la Com-missione ha emanato una Comunicazione dal titolo «Il futuroquadro normativo in materia di concorrenza applicabile al setto-re automobilistico»: v. Commissione CE, COM(2009) 388 def.,del 22 luglio 2009). Su tale normativa si veda, con ampiezza dianalisi e di riferimenti, P. Fabbio, Note sulla terminazione dei rap-porti di distribuzione automobilistica integrata, tra diritto comuni-tario e nazionale, in Riv. dir. comm., 2004, II, 1 (commento a Trib.Roma 5 novembre 2003, Soc. Autofur c. Società Renault Italia).

(3) Cfr. art. 5, comma 2, del Regolamento Ce n. 123/1985, citatonella nota precedente.

(4) Il Tribunale di Roma, nella sentenza di cui riferiamo, dal cantosuo esclude che possano applicarsi analogicamente al contratto(atipico) di concessione di vendita, le norme relative al contrattodi franchising e, più ancora, quelle del contratto di agenzia (nor-me che i concessionari che avevano subito il recesso avevanoinvocato ai fini di vedersi riconosciuto il diritto ad una “indennitàdi clientela”). Quanto al primo, il Tribunale osserva che l’asserita“similitudine” con il franchising - ammessane la sussistenza - re-sterebbe priva di effetto, perché «nel rapporto contrattuale difranchising è inesistente il diritto all’indennità di clientela». Ri-spetto all’agenzia, poi, sono evidenti - sempre a giudizio del Tri-bunale di Roma (le differenze: nel contratto di agenzia, il dirittodell’agente all’indennità di clientela trova il suo fondamento nel-la circostanza che l’attività dell’agente è indirizzata in via direttae immediata all’incremento degli affari del preponente; nellaconcessione di vendita, invece, il concessionario agisce verso iconsumatori “in proprio”, onde resta preclusa ogni applicazioneestensiva o analogica dell’istituto dell’indennità di cessazionedel rapporto. Anche su questo profilo (marginale nella pronunciadella Cassazione in commento (pronuncia che, peraltro - almenosu questo punto, e in continuità con un consolidato orientamen-

(segue)

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Infine, la sentenza del Tribunale di Roma respingeanche la deduzione dei concessionari circa un (pre-teso) “abuso del diritto di recesso” da parte dellaconcedente, osservando: a) quanto alla affermazionesecondo cui l’intera operazione di ristrutturazionedella rete fosse stata posta in essere dalla conceden-te al solo fine di “piazzare” alcuni dei suoi ex diri-genti (che «riesce invero davvero difficile ipotizzare cheun’impresa delle dimensioni di quella della convenutanon fosse in grado di assorbire in maniera più naturale lacessazione del rapporto con un ristretto numero di dipen-denti e avesse pertanto bisogno di ricorrere ad una sceltacosì traumatica e potenzialmente destabilizzante comeuna diffusa revoca dei rapporti di concessione in atto»;b) quanto alla colpevole induzione nei concessiona-ri dell’affidamento (ragionevole) circa la continua-zione del rapporto (nonostante la notificazione delpreavviso di recesso) (che «non si vede come esso [idest: il ragionevole affidamento] possa essere stato inge-nerato dalla richiesta di adeguamento delle strutture e delcapitale investito, una volta che non viene neppure de-dotto che la richiesta stessa era estranea alla normale ge-stione del contratto e/o che è avvenuta con modalità exse incompatibili - secondo una ragionevole interpretazio-ne - con una sua interruzione a breve termine».Proposto appello avverso la pronuncia del Tribuna-le, la Corte d’appello capitolina ha confermato lasentenza impugnata (5), incentrando la propria de-cisione sul tema della sindacabilità del recesso allaluce del principio che vieta l’abuso del diritto. Mentre il Tribunale aveva (implicitamente) ammes-so tale sindacabilità, pur concludendo che nel caso dispecie non potesse riscontarsi alcun esercizio abusivodel diritto di recesso, la Corte d’appello sembrereb-be (almeno apparentemente) (6) escludere in radiceche l’atto di esercizio del diritto di recesso da partedella società concedente potesse essere sottoposto asindacato da parte del giudice. «...Una volta stabili-to che la Renault era titolare del diritto di recesso adnutum (osservano i giudici d’appello (correttamenteil Tribunale ha escluso di poter esercitare un con-trollo dell’atto di autonomia. Se l’autonomia privataha riconosciuto la possibilità di recedere dal contratto,non è necessario alcun controllo causale circa l’eserciziodel potere....» (7).Ragionare diversamente - aggiungono i giudici dellaCorte d’appello (avviando un ragionamento, cherappresenta la parte certamente più discutibile dellasentenza) (significherebbe «introdurre un controllodi opportunità e di ragionevolezza sull’esercizio delpotere di recesso, (...) una valutazione politica, nongiurisdizionale», che finirebbe per intaccare «dirittifondamentali di rilevanza costituzionale, quali la li-

bera iniziativa economica privata, da inquadrarenell’autonomia privata, a cui si applica la riserva chesoltanto la legge può limitarne la libertà (artt. 13,secondo e ult. comma, art. 14 secondo e terzo com-ma, art. 15 secondo comma, art. 16, art. 18 primocomma, art. 21, terzo, quinto e sesto comma, Costi-tuzione) (...)». La Corte d’appello, infine, così con-clude: «(...) Vi è un’impossibilità di procedere ad ungiudizio di ragionevolezza in ambito privatistico e, parti-colarmente, in ambito contrattuale (...) Solo allorchéricorrono contrasti con norme imperative, può esse-re sanzionato l’esercizio di una facoltà, ma al di fuo-ri di queste ipotesi tipiche, normativamente previ-ste, residua la ampia libertà della autonomia privata,che si è detto, costituisce la regola fondamentale(...)».

La sentenza della Cassazione

Sono proprio le ultime affermazioni (riportate allafine del paragrafo precedente) della Corte d’appellodi Roma a formare oggetto di risoluta critica da par-

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Note:

(continua nota 4)to del Supremo Collegio - sembra concordare con le valutazionioperate dai giudici di merito) (non ci soffermiamo in particolare,limitandoci a rinviare per un sintetico quadro della questione eper il richiamo alle principali posizioni dottrinali e giurisprudenzia-li, oltre che per alcuni raffronti comparatistici, a Baldi-Venezia, Ilcontratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, 8aed., Milano, 2008, 109 ss., spec. 124 ss.

(5) App. Roma, 18 gennaio 2005, n. 136, inedita. Come per lasentenza di primo grado, il carattere inedito della pronuncia inesame giustifica la scelta di effettuare con una certa larghezzacitazioni testuali di brani della motivazione.

(6) Vedremo più avanti come l’affermazione dei giudici di appel-lo che riportiamo subito infra nel testo possa, in realtà, essere in-terpretata in altro (e più corretto) significato, che non sia quellodi una radicale (e aprioristica) esclusione della sindacabilità in ba-se al criterio del divieto di abuso del diritto.

(7) Il brano citato prosegue, poi, così: «....In altri termini la Re-nault Italia non necessariamente doveva tener conto dell’inte-resse della controparte o di interessi diversi da quello che essaaveva alla risoluzione del rapporto. L’interesse in questione po-teva anche consistere nel determinare la cessazione dei rappor-ti contrattuali in corso proprio al fine di realizzare una rete di ven-dita più razionale o più rispondente ai propri interessi (anchequello di inserire nella vendita eventi propri dipendenti e così al-leggerire gli oneri produttivi). Anche in tal caso trattasi di sceltaimprenditoriale visto che era modificato l’assetto di vendita,scelta che non era diretta tanto a creare danno all’altro con-traente quanto di ottenere un risparmio mediante la riduzionedel personale collocandolo nella rete distributiva...». Del resto, igiudici non mancano di sottolineare, ad ogni buon conto, come ilrecesso avesse riguardato un numero rilevante di concessionari(dai 395 iniziali si era passati ai 205 attuali), il che dimostra(va)«che si è trattato di una scelta imprenditoriale circa l’organizza-zione di vendita e, quindi, il recesso non era evidentemente su-scettibile della qualificazione in termini di illiceità, ai sensi degliartt. 1343 e 1344 c.c., restando esclusa anche la configurabilitàdi un atto discriminatorio».

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te della Cassazione, nella sentenza che qui si com-menta.I giudici del Supremo Collegio premettono che«l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza co-stituisce ... un autonomo dovere giuridico, espressio-ne di un generale principio di solidarietà sociale, lacui costituzionalizzazione è ormai pacifica», e che larilevanza di tale obbligo «si esplica nell’imporre aciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dove-re di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, aprescindere dall’esistenza di specifici obblighi con-trattuali o di quanto espressamente stabilito da sin-gole norme di legge» (8), sicché - prosegue la sen-tenza in esame (il criterio della buona fede costitui-sce «strumento, per il giudice, atto a controllare, an-che in senso modificativo od integrativo, lo statuto ne-goziale, in funzione di garanzia del giusto equilibrio degliopposti interessi» (9).La pronuncia si sofferma poi sui rapporti tra buonafede e (divieto di) abuso del diritto, con una serie diaffermazioni per la verità non sempre lineari. Si as-serisce, infatti, dapprima che l’abuso del diritto sa-rebbe un «criterio rivelatore della violazione del-l’obbligo di buona fede oggettiva», ma poco piùavanti il rapporto (tra i due concetti) sembra inver-tirsi, laddove in particolare i giudici osservano checon il divieto dell’abuso «l’ordinamento pone unaregola generale (10), nel senso di rifiutare la tutelaai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione del-le corrette regole di esercizio, posti in essere con compor-tamenti contrari alla buona fede oggettiva» (con il che,appunto, sembrerebbe, questa volta, la contrarietà delcomportamento a buona fede ad essere prospettataquale criterio rivelatore dell’abuso del diritto) (11). Dal richiamo, poi, alle numerose (e, in verità, al-quanto eterogenee) pronunce (12) in cui la stessaCassazione ha negli ultimi anni fatto applicazionedel principio del (divieto di) abuso del diritto, lasentenza in commento trae la conclusione secondocui sarebbe da ritenere «ormai acclarato che ancheil principio dell’abuso del diritto è uno dei criteri diselezione, con riferimento al quale esaminare anchei rapporti negoziali che nascono da atti di autono-mia privata, e valutare le condotte che, nell’ambitodella formazione ed esecuzione degli stessi, le particontrattuali adottano».A questo punto, e alla luce delle premesse così indi-viduate, i giudici passano infine all’esame e alla cri-tica della sentenza impugnata. È bensì vero - essi osservano - che «non è compitodel giudice valutare le scelte imprenditoriali», maciò non vale «quando, nell’ambito dell’attività im-prenditoriale, vengono posti in essere atti di autono-

mia privata», che sono (nel caso in cui sorga contro-versia tra le parti) sottoposti al potere di interpreta-zione (e dunque al controllo) del giudice.In particolare - secondo la Cassazione −, nell’inter-pretare il contratto (e le clausole che lo compongo-no) ai sensi dell’art. 1366 c.c. (13), il giudice deveoperare nell’ottica dell’equilibrio fra gli interessidelle parti, onde la Corte d’appello di Roma avrebbe(potuto e) dovuto «valutare e interpretare le clauso-le del contratto - in particolare quella che prevede-va il recesso ad nutum - anche al fine di riconoscerel’eventuale diritto al risarcimento del danno per l’e-sercizio di tale facoltà in modo non conforme allacorrettezza e alla buona fede» (14).

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(8) Si noti come, nel brano citato, la Corte in realtà modifichi (in-consapevolmente?) la corrente definizione della buona fede, chesi legge in (ormai) numerose sue precedenti pronunce: «atteg-giamento di cooperazione e di solidarietà che impone a ciascunadelle parti di tenere, al di là degli specifici obblighi scaturenti dalvincolo contrattuale e dal dovere del neminem laedere, queicomportamenti che senza comportare apprezzabile sacrificio asuo carico risultino idonei a salvaguardare gli interessi dell’altraparte» (cfr., ad es., Cass. 22 novembre 2000, n. 15066; Cass. 11gennaio 2006, n. 264; Cass. 7 giugno 2006, n. 13345). È agevo-le osservare che manca, nel brano citato nel testo, l’inciso cheabbiamo evidenziato in corsivo nella “definizione” or ora riporta-ta. Il senso della formula ne risulta alquanto modificato, e su unprofilo tutt’altro che marginale.

(9) I corsivi sono aggiunti.

(10) Qualche riga più avanti si legge, peraltro, una frase del tuttoopposta, e cioè che «nel nostro codice non esiste una normache sanzioni, in via generale, l’abuso del diritto».

(11) È probabile - comunque - che i giudici utilizzino “abuso deldiritto” e “contrarietà a buona fede” come formule equivalentied interscambiabili. In un (altro) passaggio della motivazione, pe-raltro, si legge che «i due principi si integrano a vicenda, costi-tuendo la buona fede un canone generale cui ancorare la con-dotta delle parti anche di un rapporto privatistico e l’interpreta-zione dell’atto giuridico di autonomia privata, e prospettando l’a-buso la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e loscopo per i quali essi sono conferiti».

(12) Nei settori più disparati dell’ordinamento: dal diritto tributa-rio - dove il principio dell’abuso del diritto è invocato come sino-nimo di una «clausola generale antielusiva» che si vorrebbe pre-sente nel sistema (al diritto societario, dove si è molto discussoad es. di “abuso del voto” da parte della maggioranza ai dannidella minoranza.

(13) Poco prima - nella motivazione della pronuncia - si legge pe-raltro l’affermazione (che sembrerebbe in contrasto con quantoviene detto subito dopo) secondo la quale il primo strumento diinterpretazione è costituito dal senso letterale delle parole e del-le espressioni adoperate, «con la conseguente preclusione delricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontàdelle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressio-ni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di unavolontà diversa...».

(14) Si noti - invero - come impropriamente la sentenza della Cas-sazione invochi qui, al fine di fondare il diritto al risarcimento deldanno, la regola sull’interpretazione del contratto secondo buo-na fede. Le regole di interpretazione (e anche quella di cui all’art.

(segue)

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Secondo i giudici del Supremo Collegio non esiste(contrariamente a quanto affermato dalla Corted’appello) alcuna impossibilità di procedere ad ungiudizio di ragionevolezza in ambito contrattuale, népuò dirsi che una siffatta valutazione sia una “valu-tazione politica” e non giuridica.Quanto, poi, agli indici rivelatori dell’abuso, la senten-za della Cassazione contesta l’idea (fatta propria daigiudici della Corte d’appello) secondo cui per la con-figurabilità di un “abuso del diritto” occorre accertareuna “volontà di nuocere” (15), ed afferma che rilevainvece la «proporzionalità dei mezzi usati» (16).La sentenza della Cassazione da ultimo ribadisce,nella parte finale, l’inaccettabilità delle conseguen-ze cui (a suo dire) condurrebbe la posizione sostenu-ta dalla Corte d’appello di Roma: «La esclusionedella valorizzazione e valutazione della buona fedeoggettiva e della rilevanza anche dell’eventualeesercizio abusivo del recesso, infatti, consentirebbe-ro - concludono i giudici del Supremo Collegio (cheil recesso ad nutum si trasformi in un recesso arbitra-rio, cioè ad libitum, di sicuro non consentito dall’or-dinamento giuridico (...)».

Prime osservazioni

Non c’è dubbio che la decisione della Cassazione (dicui abbiamo sopra riportato i passaggi essenziali)(17) susciti più d’una perplessità con riferimento al-l’esito (or ora ricordato) cui essa approda (18).Proprio questo esito sembra far riemergere, infatti, itimori (che da sempre accompagnano, per vero, lacontroversa nozione di “abuso del diritto”) che l’am-missione di un sindacato giudiziale dell’esercizio deldiritto possa finire per infliggere un vulnus alla cer-tezza delle situazioni giuridiche (e del loro contenu-to) e, in definitiva, alla certezza del diritto.Il caso del recesso ad nutum - che è la fattispecie conla quale si confrontavano i giudici nella vicenda inesame (esemplifica assai bene il “rischio” di cui siparla, al tempo stesso offrendo un terreno che con-sente di mettere in evidenza quali dovrebbero essere(in una prospettiva corretta) natura e limiti del con-trollo dell’esercizio del diritto attraverso il criterio(del divieto) dell’abuso (19).È noto come, nei contratti a tempo indeterminato -se pur con alcune importanti eccezioni (20) (si ri-

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(continua nota 14)1366 c.c.), infatti, servono (solo) a ricostruire il significato delleclausole contrattuali, e dunque a stabilire quali diritti e quali (cor-rispondenti) situazioni passive scaturiscano dal contratto, e conquale contenuto. Dopodiché un eventuale risarcimento del dan-no che - come ipotizzano i giudici del Supremo Collegio (si ricol-

leghi all’esercizio di uno di tali diritti (derivanti dal contratto) inmaniera non conforme al canone di buona fede, troverà il suofondamento non nell’art. 1366 c.c. (che fa riferimento ad una at-tività - l’interpretazione - che di per sé ha natura “intellettuale”; eciò anche a sorvolare sulla questione di chi sia l’effettivo desti-natario della regola in esame, se le parti o non piuttosto il giudi-ce), ma semmai nell(a violazione dell’) art. 1375 c.c.

(15) Più avanti, i giudici della Cassazione osservano che «In ipo-tesi di eventuale, provata disparità di forza fra i contraenti, la ve-rifica giudiziale del carattere abusivo o meno del recesso deveessere più ampia e rigorosa, e può prescindere dal dolo e dallaspecifica intenzione di nuocere: elementi questi tipici degli attiemulativi, ma non delle fattispecie di abuso di potere contrattua-le o di dipendenza economica».

(16) Oscuro è, peraltro, il brano immediatamente seguente, lad-dove i giudici del Supremo collegio affermano che codesta pro-porzionalità «esprime una certa procedimentalizzazione nell’e-sercizio del diritto di recesso (per es. attraverso la previsione ditrattative, il riconoscimento di indennità ecc.)».

(17) Per una prima valutazione della sentenza v. Macario, Reces-so ad nutum e valutazione di abusività nei contratti tra imprese:spunti da una recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur.,2009, 1577 ss., il quale si sofferma anche (in particolare nella se-conda parte del contributo) su alcune problematiche che atten-gono specificamente al contratto di concessione di vendita qua-le fattispecie ascrivibile all’area del c.d. “terzo contratto”, ossiadel contratto tra imprese in situazione di diseguale potere con-trattuale (cfr. AA.VV., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti-G. Villa,Bologna, 2008, passim). Profilo, quest’ultimo, che non verrà esa-minato nel presente Commento.

(18) A ciò si aggiunga che l’iter argomentativo seguito dai giudiciappare, in diversi passaggi (alcuni dei quali già segnalati nelle pa-gine precedenti), poco lineare, se non addirittura confuso.

(19) Controllo che - come vedremo più avanti - deve, a nostro av-viso, ammettersi in via di principio, ma delimitandone rigorosa-mente l’ambito e le modalità.

(20) La più rilevante di tali eccezioni è costituita dal rapporto di la-voro subordinato, dal quale il datore di lavoro non può liberamen-te sciogliersi unilateralmente (ossia, appunto, mediante recesso),perché la legge richiede comunque l’esistenza di una “giusta cau-sa” o di un “giustificato motivo”. Per quanto riguarda il rapportocontrattuale che qui interessa (ossia, la concessione di vendita),merita di essere evidenziato che il Regolamento comunitario diesenzione n. 1400/02 del 31 luglio 2002 (attualmente vigente), in-novando rispetto ai regolamenti precedenti, ha introdotto (ai finidell’esenzione di cui all’art. 81 par.3 Trattato CE) uno specifico“onere” di motivazione a carico del recedente (v. art. 3 par.4 reg.cit., il quale recita testualmente che «L’esenzione si applica a con-dizione che l’accordo verticale concluso con un distributore o ri-paratore preveda che un fornitore che intenda recedere da un ac-cordo ne dia notifica per iscritto e specifichi i motivi particolareg-giati, obiettivi e trasparenti del recesso», norma che - come sievince dal Considerando n. 9 del Regolamento è stata introdotta«onde evitare che un fornitore receda da un accordo perché undistributore o riparatore tiene un comportamento atto a stimolarela concorrenza, come ad es. ....l’attività multimarca ...»; sul puntosi veda anche l’Opuscolo esplicativo al Regolamento n. 1400/02,predisposto dalla Direzione generale della concorrenza dellaCommissione europea, dove al par. 5.3.8., ancor più esplicita-mente, si legge che «questa condizione [id est: l’onere di motiva-zione del recesso] è stata introdotta per impedire ad un fornitoredi sciogliere un contratto perché un distributore o un riparatoretengono comportamenti che favoriscono la concorrenza, come levendite attive e passive a consumatori stranieri, le vendite di mar-che di altri fornitori o il subappalto dei servizi di riparazione e ma-nutenzione»). Sulla questione della idoneità delle norme dettatecon i regolamenti d’esenzione per categoria di perseguire, oltreche obiettivi di tutela della concorrenza (per i quali tali norme so-no specificamente dettate) anche finalità proprie della tutela pret-tamente “privatistica”, v. Fabbio, op. cit., spec. par. 3.

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tenga generalmente accordata alle parti la possibi-lità di recedere (ad nutum) dal rapporto, dando allacontroparte un congruo preavviso (21). Si tratta diuna regola che (sebbene non formulata espressa-mente, viene considerata implicita nel sistema, inquanto espressione di un principio generale (di ordi-ne pubblico) in base al quale devono considerarsiinammissibili vincoli personali perpetui o comun-que a tempo indeterminato (22).Le disposizioni da cui si desume tale regola sonomolteplici (23), e si tratta di norme che (considera-ta la ratio che le ispira (sembrerebbero certamenteda considerarsi inderogabili, quanto meno nel sensoche non dovrebbe ritenersi consentito all’autono-mia privata di escludere (per quanto detto) la rece-dibilità da un rapporto a tempo indeterminato (24).Non può invece ritenersi preclusa all’autonomia pri-vata la possibilità di prevedere la necessità che l’e-sercizio del recesso (anche da un contratto a tempoindeterminato) sia “giustificato” (analogamente aquanto avviene - in linea di principio - per lo scio-glimento unilaterale anticipato da un contratto a ter-mine) (25), mentre per quanto concerne il profilodella durata del periodo di preavviso, sebbene essosia tendenzialmente rimesso alla volontà delle parti,va evidenziato come non di rado il legislatore regoliquesto aspetto con previsioni (anziché di caratteredispositivo o suppletivo) di natura imperativa (conconseguente limitazione, ancora una volta, dell’au-tonomia privata) (26).

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(21) Cfr. Franzoni, Degli effetti del contratto, in AA.VV., Com-mentario del codice civile a cura di Schlesinger, Milano, 1998,sub art. 1373, 325-326, ove si legge che «nei rapporti a tempoindeterminato, qualora manchi la facoltà attribuita ad una parte diadire il giudice per la fissazione del termine, il recesso si confi-gura come rimedio di carattere sussidiario e generale nel con-tempo (...) Avendo il recesso una portata generale, sarà datoogni qualvolta il legislatore non abbia diversamente disposto,con il solo limite del rispetto della buona fede, che può compor-tare l’osservanza di un preavviso, seppure non previsto nel con-tratto ...» (corsivo aggiunto).

(22) È questa la giustificazione che viene solitamente prospetta-ta in dottrina: cfr., nella letteratura sul tema dell’ultimo cinquan-tennio, in part., Mancini, Il recesso unilaterale e i rapporti di la-voro, I, Individuazione della fattispecie. Il recesso ordinario, Mi-lano, 1962; Galgano, Degli effetti del contratto, in Commentariodel codice civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1993,62 (il quale osserva che, al fine di evitare vincoli perpetui, la leg-ge impiega le due figure del termine finale e del recesso legale);Franzoni, Degli effetti del contratto, cit., 323 (ove si osservaesplicitamente che «il divieto dei vincoli perpetui è espressivo diun principio di ordine pubblico» e si giustifica in virtù dell’esi-stenza di detto “principio” la possibilità di attribuire portata “ge-nerale” al recesso, sebbene questo sia per altro verso un istitu-to che deroga alla regola dell’art. 1372 c.c. circa la forza vinco-lante del contratto per ciascun singolo contraente); Roselli, Il re-cesso dal contratto, in Trattato di diritto privato, diretto da Bes-

sone, XIII, Il contratto in generale, 5, Torino, 2002, 268-69. Indifformità da questa opinione v. Gabrielli-Padovini, voce Recesso(dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, 1988, 29 ss., i quali obiettano chela mancanza di un termine finale non necessariamente compor-ta la perpetuità del vincolo, poiché «il disinteresse manifestato inordine alla durata del rapporto non implica affatto interesse allaperpetuità dello stesso» (onde - secondo questi autori - l’attribu-zione di un potere di recesso in mancanza di un termine finale vaspiegata diversamente, e «non corrisponde ad una valutazionenegativa del vincolo da parte dell’ordinamento»). Al che si è, tut-tavia, replicato che «se manca un termine finale, il rapporto è si-curamente a tempo indeterminato», e anche quest’ultimo tipo dirapporto «seppure in misura minore rispetto al vincolo perpetuo,è causa di quella limitazione all’esercizio dell’autonomia privatache i rimedi dettati in numerose disposizioni [tra cui il diritto di re-cesso] tendono ad evitare ...» (così Franzoni, Degli effetti delcontratto, cit., 325).

(23) Un elenco di tali disposizioni si legge in De Nova, Il recesso,in Sacco-De Nova, Il contratto, 2, in Trattato di diritto civile, di-retto da R. Sacco, Torino, 2004, 737-738.

(24) È diffusa la tesi che configura il diritto di recesso dai con-tratti a tempo indeterminato come “recesso determinativo”, os-sia come atto che serve a determinare l’oggetto del contratto,delimitandolo dal punto di vista della durata della prestazione: v.in part., Gabrielli-Padovini, Recesso, cit., 29 ss., e la letteraturaivi citata, cui adde, ad es., Sirena, I recessi unilaterali, in Roppo,Trattato del contratto, III, Effetti, a cura di M. Costanza, Milano,2006, 113 ss., spec. 117, 121. Al riguardo v. anche Franzoni, De-gli effetti del contratto, cit., 339 (ove si legge che «il ricorso algiudice per la fissazione di un termine o il recesso costituisconomodalità alternative per l’integrazione del contratto, qualora ilrapporto sia di durata e manchi la previsione della scadenza»), e340 (ove si precisa che «Nella funzione determinativa non va ...compresa quella di rendere determinato l’oggetto della presta-zione dedotto in contratto», osservandosi che nei contratti di du-rata «la determinabilità della prestazione non è in funzione dellapossibilità di indicare un termine finale, ma della persistenza del-l’interesse di almeno una parte a ricevere la prestazione conti-nuativa», e così - ad es. - «il corrispettivo di una somministrazio-ne deve essere pattuito a prescindere dalla durata del rapportoche può non essere prefissata, senza che da ciò derivi una inde-terminatezza dell’oggetto del contratto, da determinarsi succes-sivamente con il recesso...»).

(25) Si può tanto prevedere che la possibilità di recesso sia col-legata alla sussistenza di determinate “cause” già predetermi-nate, sia che essa richieda soltanto l’esistenza (generica) di “unacausa”, nel qual ultimo caso si tratterebbe più che altro di unonere di motivazione che verrebbe posto a carico del recedente.

(26) Il profilo del preavviso (di recesso) è variamente disciplinatodal legislatore. Ad es. l’art. 1569 c.c. statuisce che si può rece-dere dalla somministrazione (a tempo indeterminato) dandopreavviso entro il termine pattuito o in quello stabilito dagli usiovvero, in mancanza, in un “termine congruo” avuto riguardo al-la natura della somministrazione. Nel contratto di agenzia a tem-po indeterminato, l’art. 1750 c.c. prevede che il recesso (ad nu-tum) possa essere esercitato con un preavviso, la cui determi-nazione viene lasciata alla autonomia dei contraenti, ma questavolta con fissazione legale di limiti “minimi” (limiti che arrivanosino a sei mesi nel caso di contratto che duri da sei anni o più).Nel contratto di affiliazione commerciale, la norma dell’art. 3 l. n.129 del 2004, che regola propriamente la durata minima del con-tratto (disponendo che essa deve essere sufficiente all’ammor-tamento degli investimenti effettuati dall’affiliato, e comunquenon può essere inferiore a tre anni), consente probabilmente didesumere (implicitamente) una regola di non recedibilità dal con-tratto di affiliazione commerciale (ma v. anche la nota seguente)in ipotesi stipulato a tempo indeterminato se non siano trascorsialmeno tre anni dall’inizio del rapporto (e salva naturalmente laordinaria possibilità di risoluzione del contratto per inadempi-mento).

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Quel che comunque preme sottolineare è che, neicasi in cui opera (in assenza di diversa pattuizione)la regola (generale) della libera recedibilità (salvopreavviso) da un rapporto a tempo indeterminato(27), in luogo di una regola di recedibilità (che po-tremmo definire, per distinguerla dalla prima) “cau-sale” (28), ciò non può che significare che il legisla-tore ha valutato tale forma di recesso come congruarispetto agli interessi (particolari e generali) rilevan-ti (29).In tale situazione, ammettere un sindacato sulla“causa” del recesso (30) - causa che, per quanto ap-pena detto, deve in questo caso ritenersi irrilevante(significherebbe introdurre un tipo di controllo chein thesi è stato escluso (in tale forma di recesso) dallegislatore (31). La conclusione così raggiunta, e cioè l’esclusionedella possibilità (nel caso considerato) di un con-trollo alla stregua del criterio dell’abuso del diritto(32), vale - sia ben chiaro - proprio (e solo) perché,in ipotesi, ci si trova di fronte ad un recesso ad nu-tum, e non ad un recesso che debba essere “motiva-to” (o meglio: debba risultare sorretto da una deter-minata “causa”) (33).Infatti, il (tipo di) controllo dell’atto di esercizio deldiritto, che il sindacato basato sullo strumento del-l’abuso implica, si fonda essenzialmente - come indi-ca una formula assai diffusa (sull’accertamento diuna deviazione dell’esercizio del diritto rispetto allo“scopo” per il quale il diritto stesso è stato attribuito(34). Ma lo “scopo” per il quale il diritto di recessoad nutum - nelle varie ipotesi in cui esso opera - vie-ne ammesso dal legislatore (che avrebbe, in teoria,potuto prevedere una regola opposta, di recesso“causale”), è, appunto, non altro che quello di con-sentire al recedente di potersi sciogliere dal contrat-to (di norma, dando un preavviso alla controparte)senza la necessità di addurre alcuna particolare motiva-zione (e/o alcuna causa giustificatrice). Questo “scopo”non è, dunque, violato se il contraente recede “im-motivatamente”, e pertanto non può censurarsi l’e-sercizio del diritto sotto il profilo della “causa” (rec-tius: motivo) che lo ha determinato, quale che siatale causa, perché così facendo (lo si ripete) si intro-durrebbe ex post una (nuova) qualificazione del di-

I contratti 1/2010 17

GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(27) Si potrebbe osservare che dal principio (di ordine pubblico)secondo il quale l’ordinamento non ammette (e comunque nonfavorisce) l’esistenza di vincoli perpetui, deriva semplicementela necessità di riconoscere alla parte di un rapporto a tempo in-determinato una facoltà di “recesso”, non anche una facoltà direcesso ad nutum, ossia immotivato. Se si accedesse a questoordine di idee, si aprirebbe la strada all’idea che - se un dato con-

tratto non è regolato (contratto atipico), o non contiene in sede didisciplina legale alcuna previsione in ordine alla facoltà di reces-so (l’interprete possa colmare la “lacuna” anche pervenendo inthesi al riconoscimento sì di un potere di recesso, ma tuttavia diun potere di recesso non libero bensì subordinato alla sussisten-za di una “giustificazione”. Conclusione alla quale - oltre che dal-la eventuale applicazione analogica di specifiche previsioni in talsenso contenute nella disciplina di un contratto “simile” -, l’in-terprete potrebbe ritenersi legittimato a pervenire magari in ap-plicazione del canone di buona fede. Osserviamo, tuttavia, che:a) una recedibilità (dai rapporti a tempo indeterminato) eventual-mente subordinata non solo all’onere di un (congruo) preavviso,ma anche alla sussistenza di una “causa giustificatrice”, potreb-be non costituire attuazione (piena) del principio che vieta la co-stituzione e la permanenza di vincoli perpetui. Il bilanciamentodegli interessi (contrapposti) delle parti,e in particolare la tuteladel contraente che subisce il recesso, pare assicurabile piuttostoattraverso una adeguata disciplina del profilo del “preavviso”; b)desumere dal canone di buona fede uno specifico obbligo/oneredi motivazione del recesso presuppone che si aderisca all’indiriz-zo (diffuso, ma tutt’altro che pacifico) secondo cui la buona fede- anche nel nostro ordinamento - può essere configurata comeuno strumento di controllo dell’autonomia privata, in particolaresia nel senso di costituire un parametro di validità del contrattoe/o delle clausole contrattuali, sia nel senso di porsi come fontedi obblighi e/o di oneri ulteriori (integrativi) rispetto a quelli previ-sti dall’autonomia privata. Sulla figura del recesso ad nutum cfr.,specificamente, Sangiorgi, Rapporti di durata e recesso ad nu-tum, Milano, 1965.

(28) Nel senso “forte”, di recesso possibile solo in presenza dideterminate “cause” (più o meno tassativamente individuate),ovvero nel senso “debole”, di recesso che debba essere ac-compagnato da una “motivazione”. V. supra, nota 25.

(29) Cfr. Roselli, op. cit., 276, dove - con riferimento alle fattispe-cie di recesso ad nutum (si osserva che «in tanto il legislatorepermette il recesso di questo tipo in quanto ritiene di poter atte-nuare la forza vincolante del contratto, senza pregiudizio di inte-ressi particolarmente rilevanti sotto il profilo socio-economico oaddirittura tutelati a livello costituzionale».

(30) La causa (rectius: il motivo) del recesso potrebbe essere sta-to esplicitato dal recedente (sebbene la legge non lo richieda), ocomunque risultare dagli atti di causa.

(31) Se, infatti, non è richiesta una “causa” per recedere, non c’èneanche un “oggetto” su cui esercitare un controllo in questa di-rezione; e, quand’anche, accidentalmente, il motivo (o scopo) delrecesso risultasse enunciato e/o fosse comunque individuabile(v. la nota precedente), non per questo esso cesserebbe di es-sere irrilevante, né per questo diventerebbe possibile un suo sin-dacato.

(32) Sul problema (più generale) se vi siano figure di diritto nonsuscettibili di “abuso” v. Breccia, L’abuso del diritto, in Diritto pri-vato1997, III, L’abuso del diritto, Padova, 1998, 5 ss., 72 ss. (e iviil richiamo alla distinzione tra droits discrétionnaires o non cau-sés da un lato e droits contrôlés o droits causés dall’altro).

(33) Intendiamo dire che un controllo basato sul criterio dell’abu-so del diritto sarebbe ben possibile con riferimento a fattispeciedi recesso “qualificato” (e dunque, non ad nutum), come pure -più in generale (con riferimento all’esercizio di altri diritti sogget-tivi. In ogni caso, poi - come vedremo nel paragrafo seguente(l’esclusione del controllo in base al criterio dell’abuso, nonesclude che anche l’esercizio del diritto di recesso ad nutumdebba avvenire in conformità al canone della buona fede.

(34) Quello indicato nel testo è, in verità, solo uno dei criteri chevengono indicati (e sono, talora, anche “codificati” legislativa-mente) come indici di un esercizio “abusivo” del diritto (si vedain proposito Breccia, L’abuso del diritto, cit., 26-27), ma è anchequello che meglio si presta a ricomprendere (e, per così dire, adassorbire) gli altri (intenzione esclusiva di nuocere, inammissibilesproporzione tra l’interesse perseguito e quello sacrificato, ecc.)

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ritto (nel senso che si trasformerebbe un diritto direcesso ad nutum in un recesso “causale”) ad operadel giudice.Su questo punto, allora, va riconosciuto che la sen-tenza della Corte d’appello di Roma probabilmentenon merita(va) le censure che le sono state rivoltedalla Cassazione. Quando, infatti, i giudici dellaCorte d’appello scrivono - come già si è ricordato -che «(...) se l’autonomia privata ha riconosciuto la pos-sibilità di recedere dal contratto, non è necessario alcuncontrollo causale circa l’esercizio del potere (…)», essinon intendono probabilmente dire cosa diversa daquella che abbiamo appena precisato: e cioè che vamantenuta ferma la differenza tra un diritto di reces-so per dir così qualificato (rispetto al quale si giustifi-ca un controllo “causale” dell’atto di esercizio dellaprerogativa) (35) e un diritto di recesso ad nutum(qual era quello previsto, nella fattispecie in esame,dal contratto a favore della Renault), il quale ultimoinvece prescinde da una “causa” giustificatrice di cuidebba accertarsi la ricorrenza in concreto.

La differenza tra il sindacato dell’eserciziodel diritto alla stregua del criteriodell’abuso (del diritto), e il sindacato alla stregua del canone della buona fede

Dire che, nel caso di specie, l’esercizio del diritto(trattandosi di un recesso ad nutum (non era sinda-cabile alla stregua del criterio dell’abuso (del diritto)in quanto esso sfuggiva (per il suo stesso contenuto)ad un controllo di tipo “causale” (nel senso or oraprecisato), non significa peraltro escludere che taleesercizio sia (fosse) sottratto come tale a qualsivoglia(altra) forma di controllo da parte del giudice (36).In particolare deve riconoscersi che anche l’eserci-zio di un diritto di recesso ad nutum, se pur sfugga(come appena detto) ad un controllo di tipo teleologi-co, non si sottrae invece ad un controllo in ordinealle modalità con le quali il recesso risulti (nelle cir-costanze date) esercitato. Non si sottrae, insomma,ad un controllo in base al canone della buona fede,che costituisce fondamentale criterio di valutazionedel comportamento delle parti nell’esecuzione delcontratto (art. 1375 c.c.) (37).Ha dunque ragione - sul piano dell’affermazione diprincipio - la Cassazione quando, nella sentenza incommento, sostiene la sottoposizione dell’atto diesercizio del diritto di recesso (che veniva in consi-derazione nel caso di specie) al criterio valutativodella buona fede. Ma questa affermazione è, al con-tempo, un’affermazione che si palesa erronea nelmomento in cui i giudici che la fanno mostrano diritenere che tale controllo si identifichi con il con-

trollo alla stregua del criterio dell’abuso del diritto. È questo il punto fondamentale sul quale intendia-mo richiamare l’attenzione in queste pagine. È noto,infatti, come una delle più recenti ed approfonditeindagini sul tema dell’”abuso del diritto”, sia perve-nuta alla conclusione secondo cui tale concetto,sebbene si sottragga alle obiezioni di contradditto-rietà “logica” che da sempre vengono sollevate neisuoi confronti, non sfugga tuttavia ad un ulteriore (edecisivo) rilievo: quello di essere, in definitiva, unconcetto superfluo (una “superfetazione”), in quan-

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(35) E può, pertanto, verificarsi una discrasia tra lo/gli scopo/i peril/i quale/i il diritto di recesso è ammesso, e lo scopo concreto invista del quale esso è stato esercitato.

(36) Come invece sembrerebbe affermare la sentenza della Cor-te d’appello di Roma, che - se così fosse - sarebbe certamentenon condivisibile con riferimento a tale affermazione “di princi-pio”.

(37) È questo un punto che può considerarsi ormai abbastanzaconsolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza. Quanto alla pri-ma si veda ad es. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano,2000, 740-741 (secondo il quale il rispetto del principio di buonafede esige, fra l’altro, che il potere di recesso unilaterale siaesercitato in maniera da salvaguardare l’interesse dell’altra partese ciò non comporti per il recedente un apprezzabile sacrificio:«così - scrive B. - l’importanza che il rapporto può avere per laparte, e la difficoltà di trovare un immediato rimpiazzo, possonorichiedere che l’atto di recesso sia comunicato con un congruopreavviso»; corsivo nostro); Santoro, L’abuso del diritto di reces-so ad nutum, in Contr. e impr., 1986, 766 ss. (quest’a. - che muo-ve, peraltro, dalla identificazione tra “abuso del diritto” ed eser-cizio “scorretto” o di mala fede del diritto (configura l’ipotesi del-l’abuso in presenza di un “affidamento” della controparte e del-la mancanza di una “giusta causa” che renda ragione dell’attoabdicativo, e per parare l’obiezione secondo cui in tal modo si fi-nisce per eliminare qualsiasi differenza tra il recesso ad nutum ele altre ipotesi per le quali il legislatore prevede l’esistenza di una“giusta causa”, osserva che la distinzione permarrebbe, oltreche per la diversa distribuzione dell’onere della prova [nel caso direcesso ad nutum spettando a chi subisce il recesso l’onere didimostrare il carattere “affatto inopinato del recesso”], ancheperché nel caso di recesso ad nutum l’assenza di una attendibi-le ragione non viene in rilievo in sé, ma solo quale indice di unesercizio “scorretto” del diritto); C. Scognamiglio, Il nuovo dirit-to dei contratti: buona fede e recesso dal contratto, in AA.VV., Ilnuovo diritto dei contratti. Problemi e prospettive, a cura di F. DiMarzio, Milano, 2001, 357 ss. Quanto alla giurisprudenza, va so-prattutto menzionata quella in materia di esercizio “abusivo”(rectius: di mala fede) del diritto di recesso della banca dal con-tratto di apertura di credito a tempo indeterminato (v., tra le or-mai numerose pronunce sul punto, nell’arco di poco più di un de-cennio: Cass. 21 maggio 1997, n. 4538, in Giust. civ., 1998, I,509, con nota di Costanza; Cass. 14 luglio 2000, n. 9321, in Corr.giur., 2000, 1479 ss, con nota di Di Majo, La buona fede corret-tiva di regole contrattuali; nonché Cass. 21 febbraio 2003, n.2642, in Giust. civ. Mass. 2003, 375): su questa giurisprudenzav. anche Galgano, Abuso del diritto: l’arbitrario recesso ad nutumdella banca, in Contr. e impr., 1998, 18 ss., Baraldi, Le “mobilifrontiere” dell’abuso del diritto: l’arbitrario recesso ad nutum dal-l’apertura di credito a tempo indeterminato, in Contr. e impr.,2001, 927, e, nella più recente manualistica, D’Amico, Compor-tamento del creditore. Mora accipiendi, in AA.VV., Diritto civile,III, Obbligazioni, 1, Il rapporto obbligatorio, a cura di Lipari-Resci-gno, Milano, 2009, 218 ss.

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to destinato a coprire un terreno già occupato (e asvolgere una funzione già assolta) dal criterio dellabuona fede (38). Chi scrive ritiene invece che i due concetti (comegià si è accennato (non siano coincidenti (39). Ri-mane, però, ancora da assolvere (sia pur con la sin-teticità che l’occasione richiede) l’onere di indicarenel modo il più possibile chiaro in cosa il criteriodell’abuso del diritto si differenzi da quello dellabuona fede, sul terreno del controllo degli atti diesercizio di un diritto (o, più in generale, di una“prerogativa” soggettiva) (40).Come in altra occasione si è avuto modo di sottoli-neare (41), il controllo (di tipo “causale”) che ilprincipio che vieta l’abuso del diritto consente ri-spetto agli atti di esercizio di un “diritto” mira essen-zialmente a verificare che attraverso tale esercizio iltitolare del diritto non cerchi di appropriarsi di “uti-lità” diverse ed ulteriori rispetto a quelle che con l’at-tribuzione del diritto l’ordinamento intende assicu-rargli. Si tratta di una situazione diversa - va subito preci-sato (da quella in cui il diritto sia (in ipotesi) eserci-tato fuori dalla ricorrenza dei presupposti ai quali l’or-dinamento ricollega il suo sorgere e/o la possibilitàdel suo esercizio. Anche in quest’ultimo caso (al pa-ri di quello in cui si “abusa” del diritto di cui si è ti-tolari), il soggetto mira ad appropriarsi di utilità chenon gli spettano; solo che (a differenza di quel che ac-cade nel caso di “abuso” (si tratta proprio delle uti-lità che ineriscono (in astratto) al contenuto di queldiritto (e non di utilità diverse e ulteriori) e che peròin concreto non sono legittimamente pretendibili,essendo assenti (in ipotesi) i presupposti per il sorge-re e/o per l’esercizio del diritto; sicché, sindacandol’esercizio del diritto si contesta in realtà l’esistenzastessa del diritto (42).Quando, invece, si ragiona in termini di “abuso” lasituazione è - in un certo senso (opposta rispetto aquella appena descritta. In ipotesi, esistono infatti,questa volta, tutti i presupposti ai quali l’ordinamen-to ricollega il sorgere e/o la possibilità di eserciziodel diritto, e il soggetto è quindi pienamente legitti-mato ad appropriarsi delle utilità che l’attribuzionedel diritto gli assicura. Può darsi, però - come sopra

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(38) Cfr. Sacco, Il diritto soggettivo. L’esercizio e l’abuso del di-ritto, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2001,373 (ove si legge: «....La dottrina dell’abuso non contiene con-traddizioni, né errori ... Ma la dottrina dell’abuso è superflua...Essa è in qualche caso un medio logico inutile; negli altri casi uninutile doppione. L’inclusione di una categoria parassita non valead arricchire il sistema del giurista; lo rende più confuso»); e v.

anche, con riferimento a questo profilo, Gentili, A proposito de“Il diritto soggettivo”, in Riv. dir. civ., 2004, II, 367. La sovrappo-sizione tra buona fede e abuso del diritto è abbastanza diffusa indottrina (oltre che in giurisprudenza, come dimostra la sentenzaqui in commento): cfr. ad es. - volendo limitarsi a due citazioniche si collocano rispettivamente all’inizio e alla fine dell’ultimocinquantennio (Natoli, Note preliminari ad una teoria dell’abusodel diritto nell’ordinamento giuridico italiano, in Riv. trim. dir.proc. civ., 1958, 26 ss., e Galgano, Trattato di diritto civile, II, Pa-dova, 2009, 556, spec. 568 ss. (il quale intitola il cap. XV «Il do-vere di buona fede e l’abuso del diritto», anche se poi quest’ulti-mo a. concretamente prospetta un’interferenza tra i due criterisolo a proposito dell’esecuzione del contratto, osservando che«la violazione del dovere di buona fede nell’esecuzione del con-tratto può anche configurarsi come abuso del diritto», e fa l’e-sempio - fra l’altro - del recesso ad nutum dal contratto di aper-tura di credito). Riguardo a tale sovrapposizione va intanto os-servato come - anche a tacere degli altri argomenti cui alludiamonel testo (la possibilità di fondare l’abuso sulla regola di buona fe-de sembra avere una sua plausibilità (ma solo, comunque, in viadi posizione astratta del problema), per quanto riguarda il nostroordinamento, solo in materia di diritti “relativi” e più in generaledi diritti scaturenti da un contratto: diritti per il cui esercizio, ap-punto, il legislatore enuncia (negli artt. 1175 e 1375 c.c.) il crite-rio della correttezza/buona fede (ed è, infatti, limitatamente aquesto ambito che le due nozioni vengono accostate, ad es., inRescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 225 ss.,232; e v. anche Cattaneo, Buona fede obiettiva e abuso del dirit-to, in Riv.trim. dir. proc. civ., 1971, 634 ss.), che non trova ri-scontro invece (almeno esplicitamente) nella disciplina di altri di-ritti (ad es. il diritto di proprietà), per i quali pure si può porre unproblema di esercizio “abusivo”. Diverso è il caso di altri ordina-menti, come ad es. quello svizzero (che è, fra l’altro, uno degli or-dinamenti che “codifica” espressamente il divieto di abuso deldiritto in termini generali), nel quale la norma che prevede l’abu-so (art. 2 del cod. civ. svizzero: «1. Ognuno è tenuto ad agire se-condo la buona fede così nell’esercizio dei propri diritti come nel-l’adempimento dei propri obblighi. (2. Il manifesto abuso del pro-prio diritto non è protetto dalla legge») istituisce uno stretto le-game tra questa figura e la violazione del dovere di buona fede.

(39) Sebbene con una impostazione diversa da quella sostenutain queste pagine, considera indebita la sovrapposizione tra (di-vieto di) “abuso del diritto” e regola di buona fede anche Resti-vo, Contributo ad una teoria dell’abuso del diritto, Milano, 2007,passim, e spec. 147 ss.

(40) Per la necessità di non escludere dall’ambito di operativitàdel principio che vieta l’abuso, le libertà e più in generale l’eser-cizio di semplici “prerogative” accordate ad un soggetto, v. pertutti la fondamentale indagine di Rescigno, L’abuso del diritto,cit., 225 ss., e, più di recente, Breccia, L’abuso del diritto, cit., 69ss. In particolare, sulla possibilità di (e sui limiti entro cui è possi-bile) ricondurre al principio in esame anche il c.d. «abuso della li-bertà contrattuale» sia consentito anche il rinvio a D’Amico, L’a-buso di autonomia negoziale: nozione e rimedi, Relazione svoltoall’Incontro di studio di Siena, 18 settembre 2009 sul tema “Laformazione del contratto”, in corso di pubblicazione. Per una no-zione più ampia di “abuso contrattuale” (quale ipotesi comun-que riconducibile allo schema dell’«abuso del diritto» v., invece,Di Marzio, voce Abuso contrattuale, in Enc. giur., 2007, I, 1 ss.

(41) Il riferimento è a D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale:nozione e rimedi, cit. alla nota precedente.

(42) Si pensi - per restare nel campo del diritto di recesso (all’i-potesi in cui un datore di lavoro effettui un licenziamento “intronco” di un lavoratore, in mancanza di una “giusta causa” direcesso dal rapporto di lavoro. Costituisce un’ipotesi di esercizio“illegittimo” del diritto di recesso (e non di “abuso”) anche quel-la in cui sia dichiarata “fittiziamente” (simulatamente) la presen-za di un certa causa del licenziamento, che in realtà avviene permotivi diversi (ad es. per “liberarsi” di un lavoratore “scomodo”,perché impegnato sindacalmente).

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si accennava - che il soggetto eserciti il potere chegli è attribuito, non per conseguire queste utilità, cheineriscono alla situazione di vantaggio di cui è tito-lare, bensì (essenzialmente) per conseguire altre e di-verse utilità.La situazione descritta è presa, in verità, in conside-razione dal nostro legislatore con riferimento (nontanto all’esercizio del diritto già verificatosi, quantopiuttosto) alla minaccia di far valere un diritto, direttaa conseguire “vantaggi ingiusti”, ipotesi disciplinatadall’art. 1438 c.c. (43). Questa norma rende annulla-bile l’atto di autonomia quando la “minaccia” diesercitare il diritto (minaccia che, in sé considerata,non potrebbe certo dirsi “illecita”) sia posta in esse-re non tanto per manifestare l’intenzione di “preten-dere” le utilità che ineriscono al diritto in questione,quanto piuttosto per esercitare una (indebita) “pres-sione” sull’altra parte, costringendola (o, comunque,cercando di indurla) a concludere un contratto, alleutilità scaturenti dal quale (diverse - com’è chiaro -dalle utilità che ineriscono al diritto di cui si pro-spetta l’esercizio) mira evidentemente l’autore dellaminaccia (44).Si potrebbe osservare che l’ordinamento sanzionaquesto comportamento con l’annullabilità del contrat-to, e che la situazione ipotizzata dalla norma sia perciòquella in cui la minaccia abbia avuto effetto, e il mi-nacciato (in cambio dell’impegno del minacciante diastenersi (magari solo per un certo tempo) dall’eserciziodel suo diritto (45) (abbia dunque “accettato” di con-cludere il contratto in tal modo “estorto”. Nulla di-rebbe invece la norma con riferimento alla situazioneopposta, ossia alla situazione in cui il minacciato nonabbia ceduto al “ricatto”, e il minacciante abbia datoseguito alla minaccia, esercitando il diritto.Tuttavia (anche ammesso ciò (non c’è dubbio che, sepur indirettamente, dall’art. 1438 c.c. si desuma unachiara qualificazione negativa (46) del comporta-mento di chi attraverso l(a minaccia di) esercizio deldiritto miri a procurarsi utilità diverse e ulteriori rispet-to a quelle che il contenuto del diritto garantisce. Certo, per riprendere il ragionamento precedente,se il tentativo fallisce e queste (diverse e ulteriori)utilità non vengono conseguite, si può anche pensa-re che l’esercizio del diritto (che a quel punto sarà ingrado di procurare al suo titolare nulla più di quantolegittimamente gli spetta) non sia (o, se si vuole: tor-ni a non essere) soggetto a sindacato e a censura.Ma questa conclusione (anche a volerle dare creditonella formulazione appena riferita (non si attagliacomunque all’ipotesi che stiamo facendo, che è di-versa. L’ipotesi che consideriamo, infatti, è quellache attraverso l’esercizio del proprio diritto (si miri

ad ottenere e) si ottenga effettivamente (a spese dellacontroparte) un’utilità non rientrante (come tale)nel contenuto del diritto, cosicché possa senz’altrodirsi che il diritto è stato “utilizzato” per uno scopodiverso da quello che ne aveva giustificato l’attribu-zione al suo titolare. In altre parole, il soggetto, eser-citando con queste finalità il diritto, consegue bensìle utilità che ineriscono al diritto stesso, ma conse-gue altresì (a spese della controparte) delle utilitàulteriori, che costituiscono il vero motivo per il qualeil diritto è stato esercitato (47).Ora, non sembra dubbio che, generalizzando il

“principio” che (al di là della fattispecie specificaconsiderata dalla norma) si desume dall’art. 1438c.c., un simile comportamento non possa non dirsiriprovato dall’ordinamento, siccome comportamen-to che merita appunto di essere qualificato come“abuso del diritto”, e che ricorre dunque quando l’e-sercizio del diritto è posto in essere essenzialmente (senon, addirittura, unicamente) per conseguire un “ri-sultato” diverso da quello che costituisce l’utilità ga-rantita dall’ordinamento attraverso quel diritto (48).

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GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(43) Per il richiamo (fra le altre) alla disposizione dell’art. 1438c.c., nella materia dell’abuso del diritto, v. già Natoli, Note preli-minari, cit., 34 ss., e, più di recente, Sacco, L’esercizio e l’abusodel diritto, cit., 355 ss. (dove l’art. 1438 c.c. viene - riassumendole indicazioni provenienti dalle analisi dottrinali - individuato co-me uno dei momenti di emersione normativa della riprovazionedell’abuso). Sulla fattispecie dell’art. 1438 c.c. ci permettiamo dirinviare a D’Amico, voce Violenza (dir. priv.), in Enc. dir., XLVI,1993, 858 ss., spec. 870 ss. (ed ivi ulteriori riferimenti).

(44) Il vantaggio “ingiusto”, di cui parla la norma in esame, è unvantaggio non dovuto, un vantaggio che non rientra nel conte-nuto del diritto di cui si minaccia l’esercizio.

(45) Cfr. Del Prato, La minaccia di far valere un diritto, Padova,1990.

(46) Tanto da assimilare il comportamento considerato a quellodi chi estorca il contratto attraverso la minaccia di un male “in-giusto” (cioè di un male che il minacciato non è tenuto a subire,non essendoci in ipotesi un “diritto” del minacciante di infligge-re tale male).

(47) Il fatto che nel testo si parli di “motivo”, non deve far pen-sare che ci si intenda riferire ad una componente “psicologica”(o comunque “soggettiva”). Deve essere chiaro, infatti, che l’in-dagine che l’interprete deve compiere al fine di accertare l’”abu-so” è un’indagine eminentemente (ed esclusivamente) “ogget-tiva”, volta ad accertare se dall’esercizio del diritto sia stata trat-ta una “utilità” diversa e ulteriore rispetto a quelle assicurate diper sé dal contenuto del diritto, e se questa utilità sia il vero sco-po (nel senso, appunto, oggettivo di “risultato”) al quale l’eser-cizio del diritto era diretto.

(48) La disposizione dell’art. 1438 c.c. appare così il dato norma-tivo che forse meglio consente di enucleare i caratteri dell’abusodel diritto. Meglio (sicuramente (dell’art. 833 c.c. (relativo allaclassica figura della aemulatio), nel quale (ad es.) appare discuti-bile, perché troppo restrittivo, il requisito rappresentato dalla as-senza di qualsiasi utilità per l’autore dell’atto di esercizio del di-ritto.

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Restando nel campo del diritto di recesso, potrebbericorrere la fattispecie dell’abuso - a volere tentareuna prima “concretizzazione” della direttiva appenaenunciata (se (in presenza dei presupposti che neconsentono l’esercizio) il recesso venga posto in es-sere non tanto per porre termine al rapporto, quan-to piuttosto per indurre (ad es. durante il decorso delperiodo di preavviso) la controparte a “rinunciare”(in vista di una revoca del recesso) ad alcune prete-se (derivanti dal pregresso svolgimento del rappor-to), o per “rinegoziare” un rinnovo del rapporto acondizioni più vantaggiose (49) e da una posizionedi maggiore “forza” (derivante dal timore della con-troparte che la relazione contrattuale possa inter-rompersi definitivamente) (50).Nei rapporti tra imprese, in cui una delle parti si tro-vi in situazione di “dipendenza economica” rispettoall’altra, la situazione descritta potrebbe integrare(oggi), più specificamente, gli estremi dell’abuso didipendenza economica (art. 9 d.lgs. n. 192 del 1998,sulla c.d. subfornitura), che il legislatore ha previstopossa consistere anche nella interruzione arbitrariadella relazione contrattuale (51): con la conseguen-za che - ove ciò si verifichi - il rimedio non saràquello (generale) che normalmente consegue all’abu-so del diritto (e cioè: il risarcimento del danno)(52), ma sarà lo “speciale” rimedio “invalidatorio”previsto dal cit. art. 9 l. n. 192 del 1998 (53).La fattispecie dell’abuso di dipendenza economica, da

ultimo richiamata, è peraltro (è bene precisarlo (insé considerata, una fattispecie di abuso di una situazio-ne di fatto, non di abuso del diritto (54): anche quan-

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Note:

(49) È opportuno, peraltro, sottolineare che la rinegoziazione del-le condizioni contrattuali, dopo aver esercitato il recesso dal rap-porto, non è di per sé indice di un comportamento di “abuso”del diritto di recesso. Può ben darsi infatti che una parte si sia ri-servata nel contratto la facoltà di recedere (e che l’altra parte ab-bia accordato tale facoltà) proprio al fine di disporre di uno stru-mento per potersi sciogliere dal vincolo in presenza di una mu-tata situazione di mercato, o, comunque, di un cambimento del-le condizioni dalle quali deriva la convenienza (soggettiva) dell’o-perazione. In tal caso, rinegoziare con la medesima contropartele condizioni del rapporto, al fine di pervenire (eventualmente) al-la stipula di un nuovo (e più conveniente) contratto, non costitui-sce di per sé un comportamento che denoti l’abusività del pre-cedente recesso.

(50) Si tratta di fattispecie che - come è agevole intuire - potreb-bero, ricorrendo tutti gli altri presupposti, integrare l’ipotesi di cuiall’art. 1438 c.c. (alla quale si è sopra fatto riferimento): così ades. nel caso in cui la (minaccia de)l recesso sia prospettata al fi-ne di concludere una transazione vantaggiosa, oppure per stipu-lare un accordo modificativo e/o novativo dei precedenti patti(anche in questo caso, a condizioni vantaggiose per il virtuale“recedente”). V. anche quando diciamo subito infra (nel testo enella nota seguente), a proposito della qualificabilità di tali fatti-specie (quando ineriscano a un contratto tra imprese) anche alla

stregua dell’art. 9 l. subfornitura (ove ricorrano, ovviamente, tut-ti gli altri elementi richiesti da tale norma), con la possibilità peròin tal caso che sia diverso anche il rimedio (la nullità, anziché l’an-nullabilità ex art. 1438 c.c. o il mero risarcimento del danno).

(51) Va, peraltro, osservato che non sembra questo il caso dellafattispecie decisa nei tre gradi di giudizio conclusisi con la sen-tenza della Cassazione n. 20106/2009. In primo luogo perché, nelcaso concreto, all’epoca dei fatti (ossia all’epoca in cui era statoesercitato il diritto di recesso) la legge 18 luglio 1998, n. 192 sul-la subfornitura non era ancora stata emanata (per una fattispeciein cui, invece, poteva - almeno astrattamente (trovare applicazio-ne ratione temporis la disciplina dell’abuso di dipendenza econo-mica, v. la già citata ordinanza di Trib. Roma 27-10/5-11-2003, Au-tofur s.r.l. c. Renault Italia S.p.a., che ha peraltro negato in con-creto la ricorrenza nella specie di una ipotesi integrante gli estre-mi di cui all’art. 9 l. subforn. ). In secondo luogo perché,quand’anche tale legge fosse già stata in vigore, non sembra cheil recesso concretamente esercitato dalla Renault nei confrontidei suoi concessionari presentasse carattere “abusivo”, nel sen-so che abbiamo cercato di precisare nel testo (appropriazione -nei confronti della controparte (di una utilità diversa e ulteriore ri-spetto a quelle assicurate dal contenuto del diritto).

(52) V. anche infra, nota 63.

(53) La fattispecie dell’art. 9 richiede la presenza di elementi“specificanti” (rispetto al “generico” contesto, nel quale può ve-rificarsi un “abuso del diritto”), che giustificano la più “specifica”sanzione disposta dal legislatore rispetto al semplice risarcimen-to del danno: tra tali elementi, va ricordato in particolare quelloper cui una delle imprese contraenti deve trovarsi in una situa-zione di “dipendenza economica”, e cioè in una situazione che inparticolare si caratterizzi per la mancanza di una reale possibilitàdi reperire sul mercato alternative soddisfacenti. Mentre quindi -per dirla altrimenti e in maniera semplificata - un “generico” abu-so del diritto di recesso dà luogo (e poteva dar luogo anche primadella l. n. 192 del 1998) ad una reazione in termini meramente“risarcitori”, un recesso che risulti (oggi) integrare la fattispecie“specifica” di un abuso di dipendenza economica sarà suscetti-bile di implicare l’applicazione di un rimedio non solo di tipo risar-citorio, ma altresì di tipo “reale” (nullità del recesso; a meno chesi escluda che la formula di cui al 3° comma dell’art. 9 l. n. 192del 1998 possa essere applicata, sia pure in via di interpretazioneestensiva anche ad atti unilaterali - oltre che ai “patti” (attraversoi quali possa essersi realizzato un “abuso” di dipendenza econo-mica). Il che dà ragione del novum introdotto, anche sotto il pro-filo considerato, dalla legge sulla subfornitura.

(54) Con l’abuso del diritto, l’ipotesi dell’abuso di dipendenzaeconomica ha in comune la circostanza che anche qui colui che“abusa” cerca di ottenere “vantaggi” ai quali non ha “diritto”(per la descrizione del fenomeno, e per i doverosi riferimenti bi-bliografici, si consentito il rinvio a D’Amico, Il terzo contratto. Laformazione, in AA.VV., Il terzo contratto a cura di G. Gitti-G. Villa,Bologna, 2008, 61 ss.). Per la distinzione tra “abuso del diritto” e“abuso di una situazione di fatto” v. (per una più ampia argo-mentazione) D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale: fattispe-cie e rimedi, cit. Come già accennato supra, alla nota 50, secon-do peraltro un orientamento alquanto diffuso, sarebbe possibilericondurre al concetto e alla problematica dell’”abuso del diritto”anche le situazioni di “abuso” del potere contrattuale (nelle varieconfigurazioni che possono assumere: abuso di posizione domi-nante, abuso di dipendenza economica, clausole “abusive” neicontratti dei consumatori, ecc.): cfr., ad es., oltre Di Marzio, Abu-so contrattuale, già citato, Macario, Abuso di autonomia negozia-le e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausolagenerale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 663 ss.; Breccia, L’abuso del di-ritto, cit., passim e spec. 37 ss.; Sacco, L’abuso della libertà con-trattuale, in Diritto privato 1997, cit., passim. Posizione questache è, ad un tempo, causa ed effetto (a nostro avviso (della so-vrapposizione tra “abuso del diritto” e regola di “buona fede” (v.supra, testo e nt. 38), che non a caso è fondamentalmente “as-sunta” (sia pure in prospettive diverse) dagli autori or ora citati.

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do l’abuso ex art. 9 l. n. 192 del 1998 si realizzi at-traverso l’esercizio “strumentale” di un diritto (55)(ad es. di recesso), ciò che appare scriminante (ai fi-ni della possibilità di ritenere sussistente la fattispe-cie in esame) è che il comportamento “abusivo”(56) sia (stato) reso possibile non (tanto e non solo)dalla titolarità del diritto esercitato, quanto piutto-sto dalla situazione di “dipendenza economica” incui si trova la controparte.Per concludere su questo punto, merita di essere infi-ne evidenziato che il sindacato degli atti di eserciziodei diritti attraverso la tecnica dell’abuso del diritto(e cioè attraverso un controllo “causale”) deve rite-nersi, per sua natura, idoneo a condurre alla afferma-zione della sussistenza dell’abuso solo in ipotesi (tenden-zialmente) limitate e circoscritte. E in tal senso i criteriche solitamente vengono valorizzati dalle dottrinesull’abuso del diritto (l’intenzione di nuocere, e, soprat-tutto, la circostanza che lo scopo ulteriore che attra-verso l’esercizio del diritto si persegue appaia come loscopo essenziale, se non l’unico, per il quale il dirittostesso è stato esercitato) possono fornire delle utili di-rettive per evitare che il controllo sull’esercizio dei di-ritti veicoli forme di valutazione giudiziale eccessiva-mente ampie e, in definitiva, improprie (57).Limitazioni alle quali si sottrae il (diverso) tipo di“controllo” che viene posto in essere quando si valu-ta l’esercizio dei diritti (in particolare: dei diritti chescaturiscono da un contratto) attraverso il canonedella buona fede in executivis, sancito dall’art. 1375c.c.La differenza tra le due forme di “sindacato” (per ve-nire così al punto centrale e al contempo conclusivodel ragionamento che, sia pur sinteticamente, si èinteso svolgere in queste pagine (va precisamente ri-posta in ciò, che mentre l’applicazione della tecnicadell’abuso del diritto implica (come già visto) uncontrollo “causale” dell’atto di esercizio del diritto(perché mira ad evitare che quest’atto di eserciziopossa ipoteticamente essere stato posto in essere perconseguire uno scopo/risultato diverso e ulteriore ri-spetto alle utilità che l’ordinamento garantisce al ti-tolare della situazione giuridica attiva), nel caso incui il controllo sull’esercizio del diritto viene opera-to attraverso il canone della buona fede non si sin-daca lo “scopo” per il quale tale esercizio è avvenuto(scopo che, in thesi, si deve immaginare corrispon-dente alla finalità per la quale è avvenuta l’attribu-zione del diritto), ma si censurano piuttosto le mo-dalità con le quali esso si è realizzato (58), modalità

I contratti 1/201022

GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(55) Ciò che non sempre accade, ben potendosi avere compor-

tamenti “abusivi” ex art. 9 L. 192/98 che non consistono in attidi esercizio di un “diritto”.

(56) Rectius: contrario a buona fede. È il caso di ricordare che(anche prima dell’introduzione della legge sulla subfornitura, esenza invocare la teorica dell’abuso del diritto (la dottrina avevafatto ricorso al principio di buona fede come principio idoneo agovernare «il delicato intreccio di interessi provocato dalla finedella cooperazione tra i partners» nei rapporti di distribuzione in-tegrata (cfr. Pardolesi, voce Contratti di distribuzione, in Enc.giur. Treccani, IX, 1988, 8 ss.; e, già prima, Id., I contratti di di-stribuzione, Napoli, 1979, 299 ss.). In questa prospettiva, erastata sollevata in particolare «l’esigenza di proteggere il conces-sionario e gli investimenti da lui compiuti contro il pericolo di re-cesso unilaterale o del mancato rinnovo da parte del produtto-re», e - prendendo appunto a base il principio di buona fede (art.1375 c.c.), oltre che alcune disposizioni specifiche (artt. 1671,2237 e 1727 c.c.) (si era proposto di considerare illecito il reces-so intimato dal concedente (senza giusta causa) prima che fossetrascorso un lasso di tempo sufficiente ad accordare al conces-sionario una ragionevole chance di recupero degli investimentiche lo scioglimento rende irrecuperabili, e di riconoscergli con-seguentemente una tutela risarcitoria (cfr. Pardolesi, I contrattidi distribuzione, cit., 323 ss.; e v. anche Cagnasso, La conces-sione di vendita. Problemi di qualificazione, Milano, 1983, 118ss.).

(57) Il pericolo è, soprattutto, che attraverso l’esigenza di repri-mere gli “abusi” si finiscano per introdurre forme di controlloche possano rimettere in discussione diritti e/o prerogative rico-nosciute dall’ordinamento ai soggetti. Bisogna evitare ad es. cheattraverso il controllo sull’abuso il giudice arrivi a sindacare il me-rito delle scelte imprenditoriali, quando queste debbano ritener-si essenzialmente libere in quanto incidenti sul rischio che l’im-prenditore assume nello svolgimento della propria attività (ades.: esigenze di ristrutturazione della rete di vendita, che sianoposte a base del recesso; come avveniva nella vicenda di cui cistiamo occupando). Peraltro va osservato che l’esperienza giuri-sprudenziale, in un campo abbastanza emblematico qual è quel-lo dei licenziamenti dei lavoratori subordinati, mostra come i giu-dici si guardino bene dal sindacare (in presenza di un giustificatomotivo “oggettivo”, e in particolare di un licenziamento per ri-strutturazione aziendale) il merito delle scelte dell’imprenditore,mostrando così consapevolezza che un tale sindacato finirebbeper risolversi nella lesione della fondamentale libertà di iniziativaeconomica privata, tutelata dall’art. 41 Cost.

(58) La distinzione tra i due profili - va ammesso -, per quantochiara sul piano concettuale, può in concreto (e in relazione a de-terminate fattispecie) rivelarsi difficile da operare. Emblematicoè, ad es., il caso delle “clausole vessatorie” o “abusive” (fatti-specie che a nostro avviso va inquadrata nel fenomeno dell’abu-so del diritto: v. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale neicontratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, spec. 646 ss.):e, infatti, l’utilizzazione dello speciale “potere” di autonomiacontrattuale (che l’ordinamento accorda all’imprenditore con-sentendogli di adoperare “condizioni generali di contratto”) peruno “scopo” diverso da quello per il quale quel potere è accor-dato (profilo che consente, appunto, di richiamare lo schema del-l’abuso del diritto) si intreccia con la violazione della buona fede(si veda la definizione di clausola vessatoria ora contenuta nel-l’art. 33 cod. cons., e sempre che si accetti di interpretare la“buona fede” cui allude questa norma come buona fede in sen-so oggettivo, e non come buona fede in senso soggettivo). Unesempio speculare è fornito dall’ipotesi dell’”abuso” di dipen-denza economica (fattispecie che a nostro avviso non va inqua-drata nel fenomeno dell’abuso del diritto), la quale pure mostracome la violazione della buona fede possa in taluni casi emerge-re proprio attraverso la considerazione dello scopo del compor-tamento (scopo che - nell’ipotesi di “abuso” di dipendenza eco-nomica (consiste nel tentativo dell’imprenditore in posizione didominanza relativa di appropriarsi, in sede di svolgimento delrapporto, di una parte dell’utile che in base al contratto spette-rebbe alla controparte contrattuale).

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che per l’appunto possono essere tali da fare riteneresleale la condotta del contraente (59) (ad es.: reces-so improvviso, esercitato nonostante il comporta-mento precedente del recedente abbia colposamen-te indotto nella controparte il legittimo affidamentocirca la continuazione del rapporto) (60).Tornando alla vicenda concreta che veniva in rilie-vo nel caso di specie, appare chiaro allora che ciòche i concessionari “revocati” lamentavano - assu-mendo che il recesso era risultato (nonostante l’av-venuta intimazione del “preavviso”) inaspettato esorprendente, avendo la società concedente col pro-prio comportamento ingenerato il legittimo affida-mento circa la continuazione del rapporto - era pro-prio una violazione del dovere di buona fede, piùche un “abuso” del diritto (di recesso) (61).Violazione il cui accertamento - se è vero quanto siè cercato in queste pagine di argomentare - da un la-to non è condizionato e “circoscritto” dalla neces-sità di riscontrare particolari circostanze “(de-)qua-lificanti” (ad es. il dolo, inteso come intenzione dinuocere) (62), ma dall’altro deve limitarsi ad uncontrollo di tipo esclusivamente “procedurale” (ilcontrollo sulle modalità dell’agire), che non puòspingersi a sindacare i motivi (o lo “scopo”) per ilquale il recesso (ad nutum) è stato posto in essere(63).Il non avere tenuto distinti questi (diversi) piani èuno degli errori che possono imputarsi alla pronun-cia commentata, la quale (non riuscendo a cogliereil distinto modo di operare del criterio dell’abuso edi quello della buona fede, e anzi realizzando una(indebita) commistione e confusione tra queste (di-verse) tecniche di controllo degli atti di esercizio deidiritti - finisce non solo per non risolvere il proble-ma del rapporto tra buona fede ed abuso, ma ancheper rendere più confuso il profilo teorico di ciascunodi questi due “concetti”, che si vede attribuite carat-teristiche e funzioni che non gli sono proprie e chesono invece proprie dell’altro.

I contratti 1/2010 23

GiurisprudenzaContratti in generale

Note:

(59) È l’indicazione che si ricava dalla giurisprudenza, già sopracitata, sul recesso ad nutum dal contratto di apertura di credito atempo indeterminato (v. supra, nota 37).

(60) La valutazione di questo profilo (che attiene, peraltro, ad unatipica questione di fatto) non era mancata - come già si è avutomodo di segnalare (nei due gradi di merito del giudizio relativo al-la vicenda in esame (e soprattutto nel primo). L’esistenza di un“legittimo affidamento” (nella prosecuzione del rapporto) erastata, in particolare, esclusa con due argomentazioni: a) anzitut-to perché il supposto “affidamento” sarebbe dovuto sorgere arecesso già intimato (e in pendenza del termine di preavviso), ilche già di per sé indeboliva la tesi dei concessionari; b) in se-condo luogo perché l’effettuazione di (ulteriori) “investimenti”(anche, talora, con apertura di nuove sedi) da parte dei conces-

sionari era avvenuta per iniziativa di questi ultimi e non su solle-citazione della società concedente, e comunque rientrava nel-l’ambito dell’osservanza degli obblighi contrattuali alla quale iconcessionari erano tenuti anche in pendenza del preavviso direcesso (della durata di un anno) e sino alla data di scioglimentodel rapporto. Attesa l’insindacabilità nel merito di queste valuta-zioni nel giudizio in Cassazione, i giudici del Supremo Collegioavrebbero potuto ritenere (eventualmente) contraddittoria e/o il-logica la motivazione sul punto dei giudici di merito. Essi, invece,hanno scelto la strada di cassare (con rinvio) la sentenza impu-gnata, per erronea interpretazione e applicazione di principi di di-ritto (in particolare del principio che vieta l’abuso del diritto), ri-mettendo al giudice del rinvio una valutazione fattuale che inrealtà era stata già effettuata (e che evidentemente la Cassazio-ne non ha condiviso).

(61) V. anche la nota precedente.

(62) La terminologia è quella di Sacco (op. cit., 326,341), il qualeindividua (descrittivamente) l’atto “abusivo” come «l’atto resotale da circostanze concomitanti che lo dequalificano».

(63) Anche sul piano dei rimedi - come si è avuto modo, sia pureincidentalmente, di accennare nel corso di questa Nota (abusodel diritto e violazione della buona fede si pongono su piani di-versi. Mentre, infatti, la violazione del dovere di buona fede (fat-tispecie dell’esercizio “scorretto” di un diritto in sede di esecu-zione del contratto) comporta come tale un rimedio di tipo risar-citorio, l’abuso del diritto - sebbene anch’esso sanzionato ten-denzialmente attraverso una forma di “responsabilità” (lasciaaperta la possibilità di una tutela (per così dire) “reale”, che siesprima attraverso rimedi diversi dal mero risarcimento del dan-no (sul punto v. ad es. Breccia, L’abuso del diritto, cit., 30 ss.).

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ABUSO DEL DIRITTO, BUONA FEDE,RAGIONEVOLEZZA (VERSO UNA RISCOPERTA

DELLA PRETESA FUNZIONE CORRETTIVADELL’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO?)

di Claudio Scognamiglio (*)

1. La sentenza della Corte di Cassazione,terza sezione civile, 18.9.2009, n. 20106, ha su-bito dato vita ad un dibattito ricco e vivace (1);né poteva essere altrimenti, alla luce della ab-bondanza, se non della sovrabbondanza (2), dispunti costruttivi e di riflessione che la senten-za offre, sia dal punto di vista della metodolo-gia stessa dell’argomentare, e del decidere, siacon specifico riferimento ad alcuni degli snodidi maggiore importanza della riflessione attua-le sull’autonomia privata, da essa toccati, an-che se non sempre in maniera pienamente con-sapevole ed avvertita.

Infatti, e cominciando dalle questioni affe-renti alla metodologia argomentativa della sen-tenza, è stato subito, correttamente, rilevatoche la sentenza «è emblematica del dilagare diun modello argomentativo in cui il giudice at-

tinge direttamente la soluzione del caso con-creto dalla dimensione dei principi, quasi di-sinteressandosi della mediazione delle regole,così condannate ad un progressivo deperimen-to», sottolineandosi la pericolosità di tale «ege-monia dei principi... perché vestita di pretesemoralizzanti, aggravata da un uso disinvolto egrossolano degli stessi», come tale idonea adincidere «negativamente sul tasso di prevedibi-lità delle decisioni» ed a disvelare «una derivache – magari sotto le mentite spoglie della giu-stizia contrattuale – nasconde l’arbitrio del giu-dice» (3).

Un’altra notazione che si impone, sempre sulversante della tecnica argomentativa, è quellaattinente alla molteplicità di obiter dicta daiquali la sentenza è disseminata.

Infatti, ed a fronte di una ratio decidendi chepoteva essere abbastanza agevolmente circo-scritta all’affermazione, di per sé tutt’altro cheeversiva (4), della sindacabilità del recesso dalcontratto secondo buona fede, ovvero alla stre-gua dello strumento concettuale dell’abuso deldiritto (5), anche nelle ipotesi in cui lo stessonon sia normativamente, o pattiziamente, an-

(*) Il presente scritto riprende e rielabora il testodella relazione presentata al Convegno Autonomiaprivata, recesso e abuso del diritto, tenutosi presso laFacoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Stu-di di Siena il 20-21.11.2009 e costituisce parte di unpiù ampio scritto dell’a.

(1) Si segnalano, in particolare, ed allo stato, icontributi di Macario, Recesso ad nutum e valuta-zione di abusività nei contratti tra imprese: spunti dauna recente sentenza della Cassazione, in Corr. giur.,2009, n. 12, 1577 ss.; D’Amico, Recesso ad nutum,buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, 11;Restivo, Abuso del diritto e autonomia privata. Con-siderazioni critiche su una sentenza eterodossa, incorso di pubblicazione, in Contratti, 2010.

(2) Si intende alludere non solo alla circostanza,che sarà tra breve più ampiamente argomentata, del-la presenza nella sentenza di una manifesta spropor-zione argomentativa tra la reale ratio decidendi ed idiffusi obiter dicta, ma anche al rapporto tra il con-tenuto decisorio della sentenza e quello delle pro-nunce dei giudici di merito, e segnatamente dellaCorte d’appello, annullata dalla Cassazione.

(3) Così Restivo, Abuso del diritto e autonomiaprivata, cit.

(4) Secondo quanto risulta, del resto, dalla stessagiurisprudenza citata da Cass., 18.9.2009, n. 20106,(pubblicata supra, parte prima, 239) ; ci si permettail rinvio, sul punto, a quanto osservavamo, sul temadel controllo secondo buona fede dell’esercizio deldiritto di recesso dai contratti di durata, nel nostroIl nuovo diritto dei contratti: buona fede e recesso dalcontratto, in Il nuovo diritto dei contratti: problemi eprospettive, Giuffrè, 2004, 357 ss.

(5) Prescindendo, in questa sede, dalle perplessi-tà, motivatamente sollevate da D’Amico e Restivo,nei due scritti citati alla nota 2, sulla sovrapposizio-ne, e confusione, che la sentenza opera tra sindacatodell’esercizio del diritto alla stregua del criterio del-

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corato al presupposto di una giusta causa o diun giustificato motivo, la Corte di Cassazioneha ritenuto di spingersi, e forse sarebbe il casodi dire di avventurarsi, su terreni eccentrici ri-spetto a quello che doveva costituire il terminedi riferimento della decisione e per di più deci-samente scivolosi: dalle conseguenze del com-pimento di un atto in violazione della regola dibuona fede (6), alla, pur molto sintetica, ripro-posizione di un possibile ruolo operativo, qua-le tecnica di controllo degli atti di autonomiaprivata, della regola della funzione sociale dellaproprietà, ex art. 42 Cost. (7), all’affermazione

di un necessario scrutinio di proporzionalitàdell’atto (nel caso di specie, il diritto di reces-so) al fine (lo scioglimento del contratto diconcessione), scrutinio di proporzionalità ingrado di sfociare, secondo uno dei passaggi piùdiscutibili di tutta la sentenza «in una certa pro-cedimentalizzazione nell’esercizio del diritto direcesso (per es. attraverso la previsione di tratta-tive, il riconoscimento di indennità)» (8), finoall’enunciazione secondo la quale «la buona fe-de... serve a mantenere il rapporto giuridico neibinari dell’equilibrio e della proporzione», chesi specifica, dall’angolo visuale dell’interpreta-zione del contratto (tema, a sua volta, total-mente estraneo al novero delle questioni di di-ritto che le parti avevano sottoposto alla Corte)nell’enunciato secondo il quale «il criterio dellabuona fede costituisce... uno strumento, per ilgiudice, finalizzato al controllo – anche in sensomodificativo o integrativo – dello statuto nego-ziale; e ciò quale garanzia di contemperamentodei contrapposti interessi», al punto che «il giu-dice, nell’interpretazione secondo buona fededel contratto, deve operare nell’ottica dell’equili-brio fra i detti interessi».

L’obiettiva divaricazione tra le effettive esi-genze argomentative, che richiedevano le que-stioni devolute all’attenzione della Supr. Cortecon i motivi di ricorso, ed apparato motivazio-nale della sentenza risulta ancora più marcata,ove si consideri che – come è stato puntual-mente dimostrato già in sede di primo com-mento alla sentenza (9) – la decisione dellaCorte d’appello, oggetto dell’impugnativa, pu-

l’abuso del diritto e sindacato alla stregua del cano-ne della buona fede.

(6) La sentenza si occupa del tema nell’ambito diuna digressione di diritto societario, osservando che«in materia societaria è stato sindacato, in una delibe-razione assembleare di scioglimento della società,l’esercizio del diritto di voto sotto l’aspetto dell’abusodi potere, ritenendo principio generale del nostro or-dinamento, anche al di fuori del campo societario,quello di non abusare dei propri diritti – con approfit-tamento di una posizione di supremazia – con l’impo-sizione, nelle delibere assembleari, alla maggioranza,di un vincolo desunto da una clausola generale qualela correttezza e buona fede (contrattuale)» e perve-nendo appunto alla conclusione che «la conseguenzaè quella della invalidità della delibera, se è raggiuntala prova che il potere di voto sia stato esercitato alloscopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero ri-sulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiu-stificatamente i soci di maggioranza in danno di quellidi minoranza, in violazione del canone di buona fedenell’esecuzione del contratto»: sotto questo profilo, èappena il caso di notarlo, e proprio per la paleseesuberanza della digressione sul punto rispetto ai te-mi di causa, la sentenza pare voler apportare un siapure del tutto incidentale spunto critico al dibattitosul principio di non interferenza tra regole di validi-tà e regole di correttezza, che sembrava avere trova-to una definitiva composizione con le note sentenzedella Cass., sez. un., nn. 26724/2007 e 26725/2007,oggetto, soprattutto a seguito dell’intervento delleSezioni Unite, di un dibattito molto approfondito, cisi permetta il rinvio al nostro Scognamiglio, Rego-le di validità e di comportamento: i principi e i rimedi,in Eur. e dir. priv., 2008, 599 ss.

(7) Regola che, secondo l’accenno che si leggenella sentenza della Supr. Corte, parrebbe, dunque,vedersi attribuire addirittura una portata generale etale da sporgere ben al di là della disciplina confor-mativa del diritto di proprietà: in termini giustamen-

te critici, su questo passaggio, della sentenzaD’Ami-co, Recesso ad nutum, buona fede ed abuso del dirit-to, cit.

(8) In altre parole, la Corte pare ritenere che, allastregua dell’oscuro, se non decisamente fumoso, cri-terio della proporzionalità, si potrebbe costruire, inun contesto in cui la fonte legale o contrattuale di-sciplinatrice del rapporto attribuisce ad un con-traente il diritto di recesso pure in difetto di giustacausa o giustificato motivo, un obbligo di avviarepreviamente (al recesso) trattative con controparteovvero un’obbligazione indennitaria, pur nell’assen-za di qualsiasi regola, legale o pattizia, attributivadel corrispondente diritto alla parte che abbia subi-to il recesso.

(9) Il riferimento è al già menzionato scritto diMacario, cit., 1579 s., nt. 4, dove si legge, appunto,

Discussioni

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re a sua volta caratterizzata da una certa indul-genza verso modalità argomentative sovrab-bondanti, oltre che non sempre condivisibili,recava, comunque, una motivazione, in puntodi fatto, sull’assenza di profili di abusività, ocontrarietà a buona fede, del recesso della par-te convenuta in giudizio. Ed è evidente che taleprofilo motivazionale della sentenza d’appelloavrebbe consentito alla Corte di cassazione,salvo il controllo sull’eventuale carenza o con-traddittorietà della motivazione, di saltaresenz’altro tutta la parte, per così dire, ricostrut-tiva e teorica della propria decisione.

Sul piano del discorso relativo alle modalità,ed alle tecniche, dell’argomentazione e delladecisione, dunque, la conclusione suggerita dalraffronto tra la sentenza di appello e quella dicassazione, che ha dato spunto a queste nota-zioni, è quella della (confermata) pericolositàdelle sentenze, che potremmo definire, manife-sto, in questo caso, più che trattato: e cioè dellesentenze che, cedendo alle suggestioni di temiculturalmente accattivanti, quali sono quellidel rapporto tra l’atto di autonomia privata (egli interessi attraverso di esso realizzati) e la va-lutazione che ne opera l’ordinamento, si avvol-gano nelle spirali di un’impostazione fortemen-te ideologica di esso. E qui, infatti, ad una let-tura fortemente ideologica, e per certi versi su-perata, del rapporto tra autonomia privata econtrollo giurisdizionale, proposta dalla Corted’appello (secondo le linee della motivazionedella quale si legge criticamente nella sentenzadella Supr. Corte), si è contrapposta subito unarisposta altrettanto ideologica di quest’ultima.

Le considerazioni fin qui svolte sembrereb-bero dover costituire il prologo ad una rifles-sione sulla sentenza della cassazione in esame,che, sfrondata senz’altro la motivazione dellastessa dalle incrostazioni degli obiter dicta, con-duca al cuore del problema della sindacabilitàsecondo buona fede, ovvero attraverso il pri-sma dell’abuso del diritto, dell’atto di eserciziodel diritto di recesso pure non condizionato

dalla sussistenza di una giusta causa o di ungiustificato motivo.

Non è questo, tuttavia, l’approccio qui se-guito, dato che le brevi considerazioni che sa-ranno svolte saranno invece dedicate proprioad uno quei nuclei argomentativi della senten-za, poc’anzi assai agevolmente identificati co-me obiter dicta: e cioè la pretesa portata modi-ficativa/integrativa dello statuto negoziale,ascrivibile alla clausola di buona fede, nonché,in particolare, l’obbligo del giudice, quandoproceda all’interpretazione secondo buona fe-de del contratto, di operare nell’ottica del con-temperamento, ed anzi dell’equilibrio, degli in-teressi dei contraenti.

Né in questa impostazione deve essere ravvi-sata una contraddizione con l’operazione,poc’anzi svolta, di selezione, all’interno dellamotivazione della sentenza, tra ratio decidendied obiter dicta: ed infatti anche un’argomenta-zione resa solo in via incidentale dalla Supr.Corte, e fuori fuoco rispetto alle necessità deci-sorie che vengano in quel caso in considerazio-ne, può essere in grado di assumere una valen-za quanto meno suggestiva o persuasiva con ri-ferimento ad altri casi, secondo quanto è dimo-strato già dal rilievo empirico che la massima-zione della sentenza, che si legge in una dellebanche dati giuridiche più consultate, esibiscecome massime anche enunciazioni rese palese-mente obiter (10).

un’ampia esposizione del percorso argomentativo infatto prescelto dalla Corte d’appello (mentre nellasentenza della Corte di cassazione ci si sofferma cri-ticamente solo sugli svolgimenti in diritto della sen-tenza di merito).

(10) Si intende alludere alle massime nelle quali èstata condensata la sentenza nella Banca dati Utet,dove si leggono, tra le altre, queste massime: «Ilprincipio della buona fede oggettiva, ossia della reci-proca lealtà della condotta delle parti, non solo vinco-la i contraenti nella fase dell’esecuzione del contrattoed in quella della sua formazione, ma deve intendersiriferito anche agli interessi sottostanti alla stipula delregolamento negoziale, a tale conclusione pervenen-dosi sull’assunto che la clausola generale di correttez-za e buona fede costituisce un autonomo potere giuri-dico espressione del generale dovere di solidarietà so-ciale e come tale è idonea ad imporre a ciascuna delleparti del rapporto obbligatorio di agire preservando leragioni dell’altra» ed ancora «L’ordinamento giuridi-co, pur accordando al privato l’autonomia e la tuteladegli atti posti in essere per il perseguimento di inte-ressi meritevoli, disconosce validità all’esercizio di po-teri, diritti ed interessi in violazione del principio dibuona fede oggettiva. È devoluto al giudice il compito

Abuso del diritto

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D’altra parte, e ferma ovviamente la netta di-stinzione concettuale tra la ratio decidendi dellasentenza, e gli obiter dicta che a quest’ultimapossono fare corona, ben può accadere in ef-fetti che la Corte di cassazione affidi ad enun-ciazioni pure non necessarie nell’economia del-la motivazione della singola sentenza, una sortadi messaggio nella bottiglia: messaggio nellabottiglia che, ove lo si ritenga latore di un peri-colo per la coerenza e la funzionalità delle de-cisioni future, è allora opportuno intercettare edisinnescare senz’altro nel suo dispositivo ar-gomentativo.

2. La fisionomia che la regola di buona fede,e le sue condizioni d’uso, paiono assumere al-l’interno dell’area del diritto privato europeodei contratti, costituiscono un primo elementodi verifica critica dell’attendibilità della funzio-ne che la sentenza, occasione di queste rifles-sioni, vorrebbe ascrivere a quella clausola ge-nerale sul piano dell’interpretazione del con-tratto: tanto più ove si consideri che un altroappunto metodologico, che può muoversi allapredetta sentenza, attiene proprio all’attenzio-ne decisamente insufficiente, da essa riservataai dati di diritto privato europeo, dai quali, in-vece, un discorso davvero maturo, su questo,così come sugli altri temi del diritto dei con-tratti, non può ormai prescindere (11).

Portando subito l’attenzione su uno dei testiche costituiscono, ovviamente, il termine di ri-ferimento di ogni discorso sul punto, e cioè iPrincipi di diritto privato europeo dei contratti(PECL), è noto che il catalogo delle norme im-perative dei Principi di diritto europeo esordi-sce con l’art. 1:201, secondo il quale le partidevono agire nel rispetto della buona fede edella correttezza, essendo appunto, ed espres-samente, previsto dal comma 2o del medesimoarticolo che «le parti non possono escludere olimitare quest’obbligo».

Tuttavia, secondo un’autorevole ricostruzio-ne del senso che la clausola di buona fede assu-me all’interno del sistema disegnato dai PECL,l’imperatività della stessa non esprime la ten-denza del modello di regolamentazione che neemerge a comprimere gli spazi di esplicazionedell’autonomia privata, operando, invece, sulpiano di quella che potrebbe definirsi l’autoin-tegrazione del contratto (12): con il corollarioche la stessa deve venire in considerazione, siaquando si tratti di colmare una lacuna regola-mentare dell’operazione economica in sensoconforme al progetto di razionalità intrinsecoalla medesima, sia quando occorra invece in-tervenire in funzione correttiva sul regolamen-to contrattuale, costituendo allora, il parame-tro della buona fede, la garanzia del fatto che lacorrezione del contratto non si trasformi inun’integrale riscrittura del medesimo, tale datradirne la sua essenza di atto di autonomiaprivata.

Il modello di diritto privato europeo deicontratti, costituito dai PECL, fa emergere al-

di esaminare il regolamento negoziale posto libera-mente in essere fra le parti al fine di verificare la ri-spondenza del contegno dei contraenti con il principiodella buona fede oggettiva»: e cioè appunto massimeche disegnano la funzione riequilibratrice e di con-trollo del contratto, che la buona fede, ad avvisodella sentenza, è in grado di espletare (e che costitui-rà, come si dirà nel testo, il termine di riferimento diqueste considerazioni).

(11) È sorprendente, in particolare, che la senten-za non menzioni affatto l’unico dato normativo, chepositivizza il divieto di abuso del diritto: e cioè l’art.II-114 della Costituzione europea, secondo il quale«Nessuna disposizione della presente Carta deve es-sere interpretata nel senso di comportare il diritto diesercitare un’attività o compiere un atto che miri adistruggere diritti o libertà riconosciuti nella presen-te Carta o a imporre a tali diritti e libertà limitazionipiù ampie di quelle previste dalla presente Carta».Al di là della formulazione decisamente infelice del-l’enunciato, lo stesso è stato comunque ritenuto ido-

neo ad imprimere alla disciplina della Costituzioneeuropea in materia di autonomia privata una «robu-sta iniezione contenutistica», così da legittimare laconclusione che «l’abuso del diritto, l’idea di merca-to regolato ed il primato della concorrenza, il richia-mo alla protezione del consumatore, costituisconole nuove “formule magiche” di rango costituzionaleeuropeo che si sovrappongono a quella della nostratradizione costituzionale: la funzione sociale, l’utilitàsociale etc.» (così Mazzamuto, Note minime in te-ma di autonomia privata alla luce della Costituzioneeuropea, in Eur. e dir. priv., 2005, 51 ss.).

(12) Cfr., in tal senso, Castronovo, Autonomiaprivata e costituzione europea, in Eur. e dir. priv.,2005, 29 ss.

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lora l’acquisizione da parte della buona fede diun ruolo non solo persino più pervasivo rispet-to al passato ma anche qualitativamente diver-so (13).

Si è detto, infatti, che il richiamo continuoalla buona fede, nell’ambito dei Principi di di-ritto europeo dei contratti, non è indice di unasorta di incondizionata disponibilità del con-tratto a lasciarsi impregnare da valutazioni ete-ronome, affidate oltre tutto – per il mezzo dellaclausola generale – all’esercizio della discrezio-nalità giudiziale, deponendo piuttosto «nelsenso del rispetto dell’atto così come le partidovrebbero o avrebbero dovuto porlo in esserenell’esercizio corretto della loro autonomia»(14).

In altre parole, ed in sede di concretizzazio-ne della clausola generale di buona fede, «ilconvincimento del giudice non attiene a ciòche esso ritiene giusto o no, bensì a quello cheesso ritiene giusto secondo la morale sociale,che la clausola generale ha appunto la funzionedi richiamare» (15).

Troverebbe, allora, e finalmente, corona-mento all’interno del sistema dei Principi quelprocesso di sublimazione della clausola genera-le di buona fede dalle incrostazioni di precom-prensioni ideologiche che ne aveva così a lungocompromesso la più efficace utilizzazione (16),

risultando a tale stregua restituita la buona fe-de ad una funzione di amministrazione razio-nale, e non avulsa rispetto ai piani delle parti,del rapporto discendente dalla regola contrat-tuale.

Se così stanno le cose, è evidente che i Prin-cipi abbiano inteso corazzare la buona fedecon la qualificazione di imperatività: ed infatti,se fosse stato consentito alle parti del contrattodi derogare o disapplicare, in via preventiva egenerale il canone di buona fede, sarebbe statapreclusa, in radice, ogni possibilità di salva-guardare, o recuperare, la funzionalità di unregolamento contrattuale lacunoso o distorto.

Siamo, dunque, ben lontani dall’idea –espressa, sia pure non troppo chiaramente,dalla sentenza di Cass., n. 20106/2009, come siè visto in precedenza – di una buona fede cheserva «a mantenere il rapporto giuridico nei bi-nari dell’equilibrio e della proporzione» e chepossa essere utilizzata come «uno strumento,per il giudice, finalizzato al controllo – anche insenso modificativo o integrativo – dello statutonegoziale... quale garanzia di contemperamentodegli opposti interessi»: dunque, dall’angolo vi-suale dell’interpretazione del contratto, comestrumento che attribuisca al giudice il compitodi operare nell’ottica dell’equilibrio tra gli inte-ressi dei contraenti (17), dopo avere – contrad-

(13) Si vedano le fondamentali considerazioni diCastronovo, Un contratto per l’Europa, in Principidi diritto europeo dei contratti, I e II, a cura di Ca-stronovo, Giuffrè, 2001, XXXIII ss., nonché,Vettori, Buona fede e diritto europeo dei contratti,in Eur. e dir. priv., 2002, 915 ss.

(14) Così, testualmente, Castronovo, op. ult.cit., XL.

(15) È, ancora una volta, il pensiero di Castro-novo, op. ult. cit., XLI.

(16) Si veda, se si vuole, quanto osservavamo, conriferimento al problema dell’interpretazione secon-do buona fede, nel nostro Interpretazione del con-tratto e interessi dei contraenti, Cedam, 1992, 364 s.:«il criterio di buona fede consente di svolgere tuttele conseguenze implicite – sulla base del più volte ri-ferito criterio di normalità e regolarità sociali – nelregolamento negoziale posto in essere: quelle che,sebbene non esplicitate nell’assetto di interessi qualedelineato dai contraenti, sono coessenziali, per cosìdire, alla natura di esso, così come concretamenteemerge»: sul punto si avrà modo di ritornare, infra,

in sede di critica agli orientamenti dottrinali in ma-teria di interpretazione del contratto, che sembranocostituire il referente argomentativo della ricostru-zione del problema accreditata dalla Supr. Corte.

(17) Sul punto, la sentenza richiama Cass., sez.un., 15.11.2007, n. 23726, in questa Rivista, 2008, I,458 ss., con note di Finessi, La frazionabilità (in giu-dizio) del credito: il nuovo intervento delle SezioniUnite, nonché con nota di Cossignani, Credito uni-tario, unica azione; il richiamo appare, tuttavia, nondel tutto pertinente rispetto al tema dell’interpreta-zione del contratto, dato che la sentenza delle sez.un., peraltro a sua volta formulando un obiter, avevabensì posto l’accento sull’idoneità del criterio dellabuona fede a costituire «strumento per il giudice, at-to a controllare anche in senso modificativo o integra-tivo, lo statuto negoziale, in funzione di garanzia delgiusto equilibrio degli opposti interessi», ma senzauno specifico riferimento al piano dell’interpretazio-ne e richiamando precedenti (quali quelli di Cass.,nn. 3775/1994 e 10511/1999), che si attestavano sulversante dell’esecuzione del contratto.

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dittoriamente – posto l’accento sul ruolo pri-mario, e tendenzialmente preclusivo di altri si-gnificati ascrivibili al contratto, che assumereb-be invece la regola interpretativa fondata sullalettera della convenzione.

Del resto, anche una prima linea ricostrutti-va alternativa sviluppatasi sul punto della rico-struzione della portata operativa del concettodi buona fede all’interno dei modelli di regola-mentazione di diritto privato europeo dei con-tratti, e che continua ad attribuire alla buonafede la tradizionale funzione di etero-integra-zione, paventando che la stessa, difettandoadeguati referenti ordinamentali, possa costi-tuire la valvola attraverso la quale inserire nelregolamento predisposto dalle parti standardsmercantili, «ossia il prezzo, l’equilibrio otteni-bile in un mercato comparabile... ma perfetta-mente concorrenziale», tanto che «a tenere illuogo della legge tra le parti, invece della vo-lontà, è così la prassi mercantile» e perciò «la“giustizia”, la “morale”, che sono chiamate asorreggere tale correzione consistono nel ren-dere inderogabile il mercato» (18).

Né pare che il modello operativo della clau-sola generale di buona fede in sede ermeneu-tica, sotteso alla sentenza della Supr. Cortequi oggetto di esame, possa rinvenire un refe-rente argomentativo più affidante nella posi-zione di chi, anche di recente, proprio con ri-ferimento alla dimensione assunta dalla buonafede nel diritto privato europeo dei contratti,ha ritenuto «più corretto adottare una linearicostruttiva che veda nella buona fede untramite per una più accentuata tutela delleparti nel senso di mantenere il regolamentocontrattuale in sintonia con le posizioni ed icomportamenti concreti delle parti, con iprincipi ai quali l’ordine giuridico lega la le-gittimità stessa dell’agire privato», sottoli-neando che «proprio le nuove fortune del

contratto, l’accresciuto suo peso economico esociale, ne precludono una lettura chiusa,quasi che le parti, rinserrandosi nei suoi con-fini, potessero negare la loro appartenenza almondo» (19). Qui, infatti, ci troviamo pursempre, e nel solco della ben nota impostazio-ne data dal medesimo Autore cui si è appenafatto riferimento al tema della costruzione delregolamento contrattuale (20), sul piano dellaindividuazione delle fonti che concorrono allacomposizione del medesimo e non ancora suquello di una riscrittura o correzione del pun-to di equilibrio dei contrapposti interessi, cosìcome fissato dalle parti contraenti.

Il discorso sugli elementi di riflessione cheemergono dal diritto privato europeo dei con-tratti, e dal ruolo che la clausola generale dibuona fede assume all’interno di essi, con spe-cifico riferimento all’angolo visuale dell’inter-pretazione del contratto, non è destinato a mu-tare neppure ove si consideri il frutto più re-cente dei progetti intervenuti in materia: e cioèi Principles, Definitions and Model Rules of Eu-ropean Private Law (21). In essi, infatti, e purnel contesto di un’ampia attenzione dedicataalla justice, la declinazione di questo valore (at-traverso le direttive della parità di trattamento;della preclusione a trarre vantaggio da propriecondotte illegittime, disoneste o irragionevoliovvero da situazioni di debolezza particolaredell’altra parte; della preclusione a pretese ec-cessive, fondate sull’inadempimento altrui, incaso di mutamento di circostanze; dell’affer-mazione della responsabilità dei soggetti per leconseguenze delle proprie azioni e della crea-zione dei rischi da parte loro) (22) non si spingefino ad attribuire ai criteri che presiedono al-

(18) La ricostruzione cui si fa cenno nel testo èquella di Barcellona, La buona fede e il controllogiudiziale del contratto, in Il contratto e le tutele. Pro-spettive di diritto europeo, a cura di Mazzamuto,Giappichelli, 2002, 324 s. (dal quale sono tratti ibrani tra virgolette nel testo) nonché Id., Clausolegenerali e giustizia contrattuale, Giappichelli, 2006,257 ss.; sul punto, si veda anche Id., Note minime,cit., 53.

(19) In questi termini, Rodotà, Le clausole gene-rali nel tempo del diritto flessibile, in Lezioni sul con-tratto, raccolte da Orestano, Giappichelli, 2009,101; in questa prospettiva, l’a. conclude nel sensoche «il diritto contrattuale europeo deve tener contodell’assiologia espressa dalla Carta, in particolare,dei principi di dignità, eguaglianza e solidarietà, nonmenzionati nei precedenti Trattati».

(20) Rodotà, Le fonti di integrazione del contrat-to, Giuffrè, 1969, ora ristampato, con integrazioni,Giuffrè, 2004.

(21) Vedine l’edizione del 2009.(22) Così l’apparato di commento che si legge in

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l’interpretazione del contratto la funzione di ri-modellare il regolamento negoziale, sulla basedi criteri eteronomi ad esso. E tale conclusioneè confermata dal rilievo che l’art. II.-8:103, intema di interpretazione contro la parte che hapredisposto la clausola o contro la parte sottola cui influenza dominante sia stata predispostala clausola, non abbandona l’impostazione se-condo la quale soltanto in caso di dubbio sul-l’interpretazione di quella clausola sarà possi-bile privilegiare l’interpretazione della clausolacontra stipulatorem: ma qui non si tratta di at-tribuire all’interpretazione una funzione cor-rettiva o di riequilibrio delle posizioni delleparti, bensì, e semplicemente, di selezionareuno dei possibili significati che alla clausola èstato possibile assegnare sulla base degli altricriteri ermeneutici.

3. Sarebbe tuttavia errato ritenere che la po-sizione assunta dalla Corte di cassazione sullafunzione dell’interpretazione del contratto se-condo buona fede sia del tutto stravagante opriva di antecedenti culturali, che, tutt’al con-trario, lo studioso attento ai temi dell’interpre-tazione del contratto non ha difficoltà ad indi-viduare.

Vi è stata invero una lunga stagione, nell’am-bito della riflessione sulla interpretazione delcontratto, durante la quale si è ritenuto di po-ter attribuire al procedimento ermeneutico, esegnatamente a quello condotto sulla base delcanone di buona fede, una funzione affatto di-versa rispetto a quella che gli era tradizional-mente assegnata.

È nota, in particolare, la proposta di chi haspostato lo specifico ambito di operatività delcanone di buona fede nel momento finale del-l’attività ermeneutica, reputando possibile ope-rare, attraverso di esso, una valutazione com-plessiva di rilevanza del negozio, con l’attribu-zione al medesimo del significato che si impo-ne avuto riguardo alla posizione delle parti, nelquadro dei principi generali dell’ordinamentogiuridico (23).

Si colloca in una prospettiva analoga anche ilcontributo di chi (24) ha ritenuto che – attra-verso l’art. 1366 cod. civ. – sarebbe possibileattribuire rilievo in sede interpretativa ai prin-cipi generali dell’ordinamento, avuto altresì ri-guardo alle peculiari circostanze in cui il con-tratto si inserisce; così inteso, l’art. 1366 cod.civ. consentirebbe di individuare quale tra gliinteressi dei contraenti debba essere ritenutopreminente e di risolvere altresì il problemadella prospettiva nella quale si debba collocarel’interprete nel prendere in esame il contrattoalla luce della disciplina dettata per il singolocontratto e dei principi generali dell’ordina-mento (25).

Il referente culturale più prossimo della let-tura che la sentenza della Supr. Corte offrequanto al tema dell’interpretazione del con-tratto secondo buona fede è peraltro quella cheemerge dall’impostazione (26) che pone l’ac-cento sull’attitudine della buona fede interpre-tativa ad intervenire in tutti i casi in cui l’appli-cazione del primo gruppo di norme interpreta-tive abbia portato all’individuazione «di un re-

Principles, Definitions and Model Rules of EuropeanPrivate Law, cit., 84.

(23) Cfr. Bigliazzi Geri, Note in tema di inter-pretazione secondo buona fede, Pacini, 1970, passim,

e, in particolare, 46 s.; Id., voce «Buona fede nel di-ritto civile», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ.,II, Utet, 1988, 179 s.; Id., L’interpretazione del con-tratto, Giuffrè, 1991, 208 s.

(24) È la posizione di Rizzo, Interpretazione deicontratti e relatività delle sue regole, Esi, 1985, 293 s.e, in particolare, 295, dove si sottolinea che l’art.1366 cod. civ., considerato unitariamente all’art.1362 cod. civ., indurrebbe ad attribuire rilevanza aduna complessiva disciplina, ben armonizzata con iprincipi fondamentali dell’ordinamento.

(25) Per tale conclusione, cfr. Rizzo, cit., 299 s.(26) Cfr., sul punto, Costanza, Profili dell’inter-

pretazione del contratto secondo buona fede, Giuffrè,1989, 35 ss. Tale tesi si correla, all’evidenza, conquella accreditata dalla medesima a. con riferimentoal tema dell’equilibrio delle prestazioni contrattuali(Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrat-tuale, in Contr. e impr., 1987, 432 s., in particolare,433, dove si conclude che «al di fuori delle ipotesispecificamente previste e disciplinate la realizzazio-ne dell’equilibrio contrattuale rimane affidata allabuona fede ed all’equità»; la differenza tra questidue criteri consisterebbe, poi, in ciò che la buona fe-de servirebbe a modellare il contenuto negoziale se-condo i canoni della correttezza e della lealtà, men-tre l’equità sarebbe volta alla determinazione dellagiustizia singolare).

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golamento contrattuale poco equilibrato e nongiustificato dalle circostanze soggettive ed og-gettive che lo accompagnano», dato che, inquesti casi, si potrebbe reputare permanereuno stato di incertezza sul significato del con-tratto, superabile, appunto, attraverso l’utiliz-zazione del canone della buona fede e, all’oc-correnza, dei successivi criteri ermeneutici. Intale ordine di idee, la clausola di buona fedeconserverebbe, anche in sede interpretativa, lasua peculiare attitudine a correggere le storturedel regolamento contrattuale, pur affermando-si, con un vistoso scarto di piani rispetto all’im-postazione fin qui illustrata, che la buona fedepotrebbe venire anche in considerazione comeuno strumento utile per stabilire quali siano gliinteressi perseguiti col singolo, concreto con-tratto ovvero per cogliere le variabili individua-li del contratto stesso (27).

È tuttavia possibile obiettare, a queste rico-struzioni, così come a quella accreditata dallasentenza oggetto delle nostre riflessioni, che ilcriterio della buona fede in sede interpretativa èquello che consente di svolgere tutte le conse-guenze implicite – sulla base del più volte riferi-to criterio di normalità e regolarità sociali – nelregolamento negoziale posto in essere: quelle,cioè, che, sebbene non esplicitate, nell’assetto diinteressi, quale delineato dai contraenti, sonocoessenziali, per così dire, alla natura di esso, co-sì come concretamente emerge. Pertanto, la spe-cifica funzione del procedimento ermeneutico sicoglie, pur sempre, nella ricostruzione della por-tata della regola privata, ora attraverso schemi at-tenti alla concretezza ed individualità della stes-sa, ora per mezzo di schemi da essa più remoti,direttamente fissati dalla norma ovvero mutuatida standards sociali; mentre deve ritenersi ad es-so tuttora estranea la funzione di adeguamentodel contratto a principi o regole eteronomi ovve-ro di verifica della congruità reciproca delle attri-buzioni patrimoniali da realizzare con il contrat-to (28).

Se le argomentazioni fin qui svolte colgono nel

segno, si conferma che il procedimento erme-neutico, anche se riferito all’area del contrattoasimmetrico o diseguale, resta strutturalmenteincompatibile, ed ontologicamente inidoneo, adespletare un’ipotetica funzione di controllo circai contenuti dell’atto di autonomia privata ovverodi riequilibrio delle posizioni dei contraenti: fun-zione che resta assai più solidamente affidata agliobblighi di informazione o alle regole di com-portamento che costellano la fase di formazionedel vincolo contrattuale.

Dal canto suo, intesa nel senso fin qui trat-teggiato, la buona fede si libera finalmente daicontorni incerti, se non nebulosi, che ne aveva-no per lo più caratterizzato l’utilizzazione, so-prattutto in materia ermeneutica, per innestar-si sul solido terreno dei criteri di ragionevolez-za desunti dalla realtà dei traffici.

Qui si innesta un ultimo spunto di riflessionecirca i contenuti della sentenza, che, rileggen-do criticamente gli snodi motivazionali dellasentenza d’appello, sembra ammettere, sia pu-re per implicito, un controllo di ragionevolezzadegli atti di autonomia privata.

Tuttavia, se si può convenire sul punto che,dall’angolo visuale del requisito della causa delcontratto, il giudice è chiamato ad espletare uncontrollo su quella che, in altra occasione, ave-vamo definito la razionalità minima dell’opera-zione economica sottesa al contratto, e, dun-que, in particolare, dall’angolo visuale dellagiustificazione delle vicende circolatorie dellaricchezza attuate attraverso l’operazione con-trattuale (29), va pur sempre sottolineato che ta-le controllo si colloca pur sempre, ed appunto,sul piano della razionalità minima dell’opera-zione economia realizzata e non può spingersifino a sindacarne, nel merito, la ragionevolezza.

Né tale esito deve apparire incompatibilecon le istanze di tutela che l’area della contrat-tazione disuguale sempre più palesa: tanto piùche, secondo quanto ormai da tempo è statochiarito in dottrina, il controllo sugli atti di au-

(27) Così Costanza, Profili, cit., 130 e 133.(28) Si tratta dei risultati cui eravamo pervenuti in

L’interpretazione, in I contratti in generale, a cura diE. Gabrielli, Utet, 2006, II, 1083 ss.: rinviamo aquel luogo per la più ampia illustrazione dei passag-gi argomentativi che conducono alla conclusione

sintetizzata nel testo, che pare per molti versi affinea quella, da ultimo, accreditata da Cataudella, Icontratti, Giappichelli, 2009, 159.

(29) Ci si permetta il rinvio al nostro I problemidella causa e del tipo, in Roppo, Trattato del contrat-to, II - Regolamento, a cura di Vettori, Giuffrè,2006, 115 ss.

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tonomia privata e la stessa protezione dellaparte che si trovi in posizione asimmetrica ri-spetto all’altra nella contrattazione diseguale sirealizza ormai sempre più sul versante del con-trollo contenutistico, come accade nella disci-plina delle clausole abusive, ovvero dell’attri-buzione ai contraenti di diritti e doveri acces-sori, quali quelli di recesso o di informazione;

mentre resta, come si è già visto, estranea an-che ai progetti di diritto privato europeo l’ideadi una torsione dello strumento interpretativoal raggiungimento di finalità di controllo degliatti di autonomia privata, davvero incongrua-mente evocata dalla sentenza della Corte dicassazione.

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Aggiornamenti

GARANZIE AUTONOME, «PROVA LIQUIDA»E INIBITORIA DI PAGAMENTO

di Mariella Cuccovillo

Sommario: 1. Garanzie autonome e provvedimentid’urgenza. – 2. Inibitoria di pagamento e legitti-mazione dell’ordinante. – 3. Exceptio doli e«prova pronta e liquida». – 4. Gli orientamentidella giurisprudenza: la necessità della prova do-cumentale. – 5. Segue: la tesi della prova «preco-stituita». – 6. «Prova liquida» e attività istrutto-ria nei procedimenti d’urgenza: le pronunce piùrecenti. – 7. Osservazioni conclusive.

1. Garanzie autonome e provvedimen-ti d’urgenza. Il contratto autonomo di ga-ranzia rappresenta una forma di garanzia per-sonale atipica (nel nostro ordinamento), ma,come è noto, oramai largamente diffusa nellaprassi del commercio internazionale. I contri-buti sul Garantievertrag sono numerosissimi;fondamentale rimane lo studio di Stammler,Der Garantievertrag. Eine civilistiche Abhan-dlung, in Arch. civ. Prax., LXIX, 1886, 1 ss. acui si deve la distinzione tra i contratti di ga-ranzia accessori ad un’obbligazione principalee i contratti che, per espressa volontà delleparti, sono indipendenti dal rapporto garanti-to e quindi fonte di un’obbligazione autono-ma del promittente (i c.d. Garantieverträge),mentre nella dottrina italiana, per tutti, Por-tale, Fideiussione e Garantievertrag nellaprassi bancaria, in Le operazioni bancarie, acura di Portale, Giuffrè, 1978, II, 1052 ss.;Id., Nuovi sviluppi del contratto autonomo digaranzia, in Banca, borsa, tit. cred., 1985, I,169 ss.; Id., Le garanzie bancarie internaziona-li (Questioni), ivi, 1988, I, 1 ss.; Benatti, vo-ce «Garanzia (contratto autonomo di)», nelNoviss. Digesto it., III, Utet, 1982, 918 ss.;Mastropaolo, I contratti autonomi di garan-zia, Giappichelli, 1989; Bonelli, Le garanziebancarie a prima domanda nel commercio in-

ternazionale, Giuffrè, 1991; Giusti, La fi-deiussione ed il mandato di credito, nel Tratta-to Cicu-Messineo, XVIII, Giuffrè, 1998, 315ss.; Calderale, Fideiussione e contratti auto-nomi di garanzia, Cacucci, 1989; Id., Autono-mia contrattuale e garanzie personali, Cacucci,1999.

Nelle «garanzie autonome» è preclusa, perprincipio, a fronte di una richiesta di pagamen-to del beneficiario che risulti conforme allecondizioni individuate nel contratto di garan-zia, la possibilità di opporre eccezioni relativeal rapporto commerciale sottostante. Nell’eli-sione del legame di accessorietà con il rapportogarantito si rinviene la principale differenza tracontratto autonomo di garanzia e garanzia fi-deiussoria (tra le tante, Cass., 19.6.2001, n.8324, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, 654,secondo cui la caratteristica fondamentale chedistingue il contratto autonomo di garanziadalla fideiussione è rappresentata dall’«assenzadell’elemento dell’accessorietà della garanzia»da cui consegue l’inopponibilità da parte delgarante delle eccezioni che spettano al debitoreprincipale, in deroga alla regola essenziale del-la fideiussione posta dall’art. 1945 cod. civ.;Cass., 31.7.2002, n. 11368, in Mass. Foro it.,2002; da ultimo, Cass., 7.1.2004, n. 52, ivi,2004; Cass., 10.2.2004, n. 2464 e Cass.,20.4.2004, n. 7502, ibidem).

Tuttavia, la giurisprudenza, nel tentativo ditemperare l’autonomia del rapporto di garan-zia in linea con la pressoché unanime dottrina,ha da tempo riconosciuto la possibilità di para-lizzare con l’exceptio doli una richiesta manife-stamente abusiva o fraudolenta, consentendoal garante e/o al debitore ordinante di ottenereun provvedimento d’urgenza, che blocchil’escussione (Cass., 6.10.1989, n. 4006, in Ban-

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ca, borsa, tit. cred., 1990, II, 5 ss.; Trib. Mila-no, 2.3.1994, in Giur. it., 1995, I, 2, 308; App.Milano, 27.5.1994, in Banca, borsa, tit. cred.,1995, II, 423).

Dall’esame dei casi sottoposti all’attenzionedella giurisprudenza, si ricava che la sospensio-ne della garanzia viene concessa, non solo afronte di una condotta dolosa del beneficiario,ma anche in ipotesi di scorrettezza o di malafede in senso oggettivo (in tal senso, Viale,«Performance bonds» e contratto autonomo digaranzia: il regime delle eccezioni tra astrazionee causalità, in Foro it., 1987, I, 305; sulla distin-zione tra escussione «abusiva» e «fraudolen-ta», Bonelli, op. cit., 92, nt. 40).

2. Inibitoria di pagamento e legittima-zione dell’ordinante. Pressoché unanime èla giurisprudenza nell’ammettere l’inibitoria dipagamento ex art. 700 cod. proc. civ. (ex mul-tis, Trib. Milano, 23.12.1987, in Banca, borsa,tit. cred., 1988, II, 609; Pret. Asti, 21.10.1987,ibidem, 610). È da escludere, invece, la possibi-lità per l’ordinante di ottenere il sequestro con-servativo del credito del beneficiario nei con-fronti della banca garante, difettando l’istanzacautelare dei necessari presupposti (v. per tut-te, Trib. Bologna, ord. 10.1.1994, in Banca,borsa, tit. cred., 1995, II, 423).

La tesi sembra aver trovato accoglimento an-che presso la più consolidata opinione dottri-nale che osserva «se l’ordinante nell’istanza disequestro dichiara che il suo credito contro ilbeneficiario si fonda sull’escussione abusivadella garanzia da parte di questo, viene neces-sariamente ad affermare che il beneficiario nonha nessun credito sequestrabile verso il garan-te» (Portale, Le garanzie bancarie internazio-nali, cit., 32).

Controversa è la questione relativa alla sus-sistenza della legittimazione attiva dell’ordi-nante ad agire in via cautelare per inibire ilpagamento della banca. In proposito, una tesiminoritaria, muovendo dalla considerazionesecondo cui l’esercizio dell’istanza cautelareda parte dell’ordinante è finalizzata ad incide-re su un rapporto contrattuale a cui risultaestraneo, sostiene che unicamente la banca ga-rante è legittimata ad opporre l’exceptio dolinei confronti del beneficiario della garanzia ead agire in via cautelativa, mentre all’ordinan-

te è riconosciuta esclusivamente la possibilitàdi usufruire della tutela cautelare per impedi-re il regresso della banca garante nei suoi con-fronti (in tal senso, tra le altre, Pret. Roma,6.6.1986, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II,58; Pret. Roma, 2.7.1986, ibidem, 59; Pret.Lecco, 22.12.1992, ivi, 1994, II, 286; Trib.Bologna, ord. 10.1.1994, cit.; in dottrina,Bozzi, Le garanzie atipiche, I, Giuffrè, 1999,153; v. anche Calderale, Fideiussione, cit.,282 ss.).

L’opinione che riscuote maggiori consensi è,invece, orientata a riconoscere la legittimazio-ne a chiedere sia l’inibitoria del pagamentodelle garanzie che il regresso nei propri con-fronti, in capo all’ordinante, il quale, disponen-do delle c.d. «prove liquide», può contraddirein merito alla fraudolenza dell’escussione dellagaranzia (sul punto, recentemente, Trib. Ge-nova, ord. 24.9.2001, in Giur. it., 2002, 744;da ultimo, Trib. Bologna, 20.1.2003, in Ban-ca, borsa, tit. cred., 2004, II, 79, che riconosce,nell’ambito di un rapporto quadrilatero, all’or-dinante di una controgaranzia la legittimazionea richiedere l’inibitoria del pagamento nei con-fronti della banca nazionale controgarante, nelcaso che l’escussione abusiva da parte dellabanca garante sia dimostrata con prove liqui-de; in dottrina, per tutti, Bonelli, op. cit., 136ss.).

Sotto un diverso profilo, si precisa che la le-gittimazione attiva dell’ordinante deriverebbedalla struttura stessa del contratto autonomodi garanzia che, pur non dando luogo adun’ipotesi di litisconsorzio necessario tra leparti dei diversi rapporti contrattuali, configu-rerebbe un «rapporto contrattuale complesso»,articolato in una pluralità di rapporti, ma «resounitario dallo scopo di garanzia e dalla caratteri-stica dell’essere la garanzia del tutto svincolatadal rapporto sottostante» (Trib. Genova, ord.12.9.2001, in Giur. it., 2002, 753).

3. Exceptio doli e «prova pronta e li-quida». Sebbene a fronte di un’escussione«manifestamente abusiva o fraudolenta», l’op-ponibilità dell’exceptio doli sia riconosciutadalla dottrina pressoché all’unanimità (in talsenso, Portale, Le garanzie bancarie interna-zionali, cit., 19; Bonelli, op. cit., 90 ss.; Ma-stropaolo, op. cit., 312 ss.; Benatti, op. cit.,

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922; da ultimo, Garofalo, Per un’applicazionedell’exceptio doli generalis romana in tema dicontratto autonomo di garanzia, in Riv. dir. civ.,1996, I, 629 ss.; contra Bozzi, Le garanzie atipi-che, cit., 164) divergenze non trascurabili sirinvengono, allorché si tenti di accertare le sin-gole situazioni giudiziali nelle quali l’eccezioneè concretamente sollevabile.

Come si ricava agevolmente da una scorsa airepertori di giurisprudenza, il pericolo che unuso disinvolto dell’exceptio doli possa condurread un sostanziale svilimento dell’istituto di ga-ranzia, essenzialmente concepito con la finalitàdi assicurare al beneficiario un pagamento cer-to e rapido, preoccupazione condivisa con laprevalente dottrina (v. Viale, Le garanzie ban-carie, nel Trattato dir. comm. e dir. pubbl. econ.,a cura di Galgano, XVIII, Cedam, 1994,195), ha indotto la giurisprudenza a riconosce-re l’operatività dell’exceptio doli, nei casi in cuisi è ritenuto ricorrere la cosiddetta «provapronta e liquida» del carattere abusivo o frau-dolento dell’escussione (usano la locuzione«prova pronta e liquida», tra le altre, Pret. Mi-lano, 31.3.1983, in Banca, borsa, tit. cred.,1985, II, 87; Pret. Milano, 6.2.1984, ibidem,84; Trib. Milano, 23.12.1987, cit., sul concet-to di «prova liquida» nella dottrina italiana etedesca, da ultimo, Barillà, L’abuso nell’escus-sione nelle garanzie «quadrangolari», in Banca,borsa, tit. cred., 2005, II, 94, nt. 14).

La presente riflessione si propone di precisa-re il concetto di prova «pronta e liquida»,muovendo dall’analisi della casistica giurispru-denziale, nel tentativo di definire il rapportoche intercorre tra prova «liquida» (da cui si ri-cavi la manifesta abusività o fraudolenza del-l’escussione) e prova «pronta» (intendendo pertale, una prova precostituita, essenzialmentedocumentale), per chiarire se, in ultima analisi,i termini della locuzione vadano (e/o siano statieffettivamente) utilizzati congiuntamente o al-ternativamente.

Come si ricaverà dalle principali pronuncesul tema sono identificabili tre indirizzi inter-pretativi, un primo e più rigoroso orientamen-to che richiede la prova «documentale» del ca-rattere abusivo o fraudolento dell’escussione,un differente indirizzo incline a riconoscerel’operatività dell’exceptio doli solo in presenzadi una prova «precostituita» ed un altro orien-

tamento più recente, sebbene allo stato minori-tario, nel senso dell’ammissibilità di ogni mez-zo istruttorio, compatibilmente con la naturasommaria del procedimento d’urgenza.

4. Gli orientamenti della giurispru-denza: la necessità della prova documen-tale. Seguendo l’impostazione più rigorosa,che identifica la prova liquida con la prova do-cumentale, la giurisprudenza di merito ha ne-gato la concessione del provvedimento di inibi-toria diretto a paralizzare la richiesta di escus-sione fraudolenta, rilevando che la «sempliceaffermazione della carenza di fondamento dellapretesa del beneficiario» non risultava, nellaspecie, «confortata da alcuna documentazione»(Pret. Milano, 6.2.1984, cit., 92).

In senso conforme, la giurisprudenza si èespressa in materia di controgaranzie. Nellaspecie, il ricorrente aveva eccepito la fraudo-lenza della condotta del garante che, in man-canza di qualsiasi attivazione o richiesta daparte del beneficiario (l’autorità doganale) ave-va provveduto ad escutere la garanzia (nellaspecie, prestata per il pagamento dei diritti do-ganali), e concludeva richiedendo un provvedi-mento che inibisse al controgarante (un istitutodi credito italiano) il pagamento della contro-garanzia a favore del garante (una banca algeri-na). Il giudice, tuttavia, rigettava la richiesta,adducendo che l’assunto prospettato dal ricor-rente risultava fondato «su generiche e noncomprovate dichiarazioni del Consolato Italia-no, prive di qualsiasi riscontro documentale»(Pret. Roma, ord. 15.10.1988, in Banca, borsa,tit. cred., 1990, II, 3; sulla struttura «quadran-golare» delle garanzie indirette o controgaran-zie, da ultimo, Giusti, op. cit., 359).

Assumendo una posizione più radicale, lagiurisprudenza di merito ha richiesto, talvolta,ai fini della prova della condotta abusiva delbeneficiario, la produzione di una sentenzapassata in giudicato o alternativamente di unlodo arbitrale divenuto esecutivo, che avesseroaccertato la nullità o la risoluzione del contrat-to base per fatto imputabile al beneficiario (cfr.Trib. Milano, 9.10.1986, in Banca, borsa, tit.cred., 1987, II, 333; Trib. Milano, 1o.10.1990,ivi, 1991, II, 627; in dottrina, nel senso dellanecessità di una sentenza passata in giudicatoda cui risulti «la nullità o la caducazione» del

Garanzie autonome, «prova liquida» e inibitoria di pagamento

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contratto principale ai fini dell’opponibilitàdell’exceptio doli, v. Portale, Nuovi sviluppi,cit., 181 ss.).

Spingendosi alle estreme conseguenze di taleassunto, la giurisprudenza ha escluso, in un ca-so limite, il carattere abusivo dell’escussione,concludendo per il rigetto del provvedimentodi inibitoria, pure in presenza di un lodo nonesecutivo in favore del debitore principale.

Nella specie, il lodo arbitrale, che aveva rico-nosciuto la responsabilità della sospensione deilavori esclusivamente in capo alla società ap-paltatrice-beneficiaria (e, dunque, l’inadempi-mento della società beneficiaria della garanziaagli obblighi derivanti dal rapporto di base),obbligandola pertanto al risarcimento del dan-no cagionato alla società subappaltatrice, com-preso il pregiudizio derivante dalla risoluzionedel contratto che la sospensione dei lavori ave-va determinato era stato impugnato per nullitàper vizi procedurali, con la conseguenza che, adire del collegio giudicante, mancava una «pro-nuncia definitivamente accertata» idonea a sup-portare, sul piano probatorio, la richiesta di unprovvedimento di inibitoria (cfr. Trib. Mila-no, 9.10.1986, cit.).

L’orientamento espresso ha trovato l’avallodi parte della dottrina, che ha sostenuto la ne-cessità di identificare la prova «liquida» essen-zialmente con la prova «documentale». In talsenso è orientato Grippo, La garanzia automa-tica in bilico tra «tecnica» e «politica»: tendenzedella giurisprudenza, in Banca, borsa. tit. cred.,1985, II, 89, che circoscrive gli interventi delgiudice ammissivi di misure d’urgenza alle fat-tispecie di «frode manifesta e documentata».

In quest’ottica, si afferma che la necessità diuna prova che faccia risultare di sicura ed im-mediata percezione l’esistenza della frode in-duce ad identificare la prova «liquida» con laprova documentale. Tra i documenti idonei adimostrare «chiaramente» l’escussione fraudo-lenta della garanzia, vengono indicati «il certi-ficato con cui si dichiari che l’appaltatore haadempiuto le sue obbligazioni e il certificato disdoganamento attestante che le merci sonogiunte nel paese di destinazione», mentre èesclusa la rilevanza di altri documenti «che,pur attestando apparentemente l’adempimen-to del debitore, possano essere privati di un’as-soluta attendibilità da altri documenti: è il caso

del certificato comprovante il positivo collau-do provvisorio delle opere eseguite, contrad-detto da successive riserve scritte dell’appal-tante» (sul punto, Calderale, Fideiussione,cit., 306 ss.).

Sotto un diverso profilo, si sostiene che solole prove documentali «consentono di verificareche la frode del beneficiario è avvenuta nel-l’ambito del rapporto di garanzia e non indu-cono il giudice ad indagare sul rapporto di ga-ranzia, per stabilire in contraddizione con ladistribuzione dei litigation costs and risks volu-ta dalle parti, se l’attore è inadempiente e bloc-care, in relazione a ciò, la domanda di paga-mento del creditore» (così, Calderale, Auto-nomia contrattuale, cit., 493).

Vi è tuttavia chi rileva l’ambiguità della for-mula «prova liquida», inidonea a chiarire «sedebba trattarsi solo di prova documentale di si-cura ed immediata interpretazione» alla qualesarebbe equiparabile il fatto notorio oppure se,secondo la tesi più restrittiva sia addirittura ne-cessario che «la frode o l’abuso risulti da sen-tenza passata in giudicato o da provvedimentod’urgenza “definitivo”» (così, Portale, Le ga-ranzie bancarie internazionali, cit., 22).

5. Segue: la tesi della prova «precosti-tuita». In altre pronunce, la giurisprudenzaha rigettato la richiesta di provvedimenti d’ur-genza, muovendo dall’assunto in base al qualeil carattere abusivo dell’escussione ovvero l’uso«oggettivamente anormale del diritto» da partedel beneficiario va supportato da una prova«evidente e preesistente al processo» nel qualel’exceptio doli è sollevata (Trib. Milano,13.12.1990, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, II,588). In tale prospettiva, si è ritenuta l’exceptiodoli sfornita di adeguato sostegno probatorio,affermandosi in proposito che, ove pure si fos-se consentito di sostenere l’eccezione di frodecon qualsiasi mezzo di prova, avrebbe dovutopur sempre trattarsi di una «prova evidente epreesistente al processo nel quale l’exceptio doliviene sollevata», non risultando compatibile«con la peculiare funzione della garanzia astrat-ta la deduzione di prove dell’eccezione che tendea paralizzarla, da formarsi nel corso del giudi-zio». Nel caso di specie, la banca garante avevainvocato l’exceptio doli, deducendo in partico-lare l’inadempimento del beneficiario agli ob-

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blighi discendenti dal rapporto contrattuale dibase. In particolare, secondo la prospettazionedel ricorrente, sarebbe stato eluso l’obbligo diprovvedere allo smaltimento dei rifiuti, obbli-go che il beneficiario avrebbe preteso di adem-piere mediante lo sversamento dei rifiuti in unadiscarica abusiva. L’organo giudicante rigetta-va la domanda perché sfornita di adeguato so-stegno probatorio, ritenendo in proposito chela circostanza dello sversamento dei rifiuti inuna discarica abusiva (e, dunque, l’inadempi-mento del beneficiario agli obblighi discenden-ti dal rapporto di base) risultava contestata eche nessun elemento di certezza poteva trarsidal fatto che, in occasione di accertamenti pe-ritali effettuati nell’ambito di un connesso giu-dizio, fosse risultata la presenza della stessa so-stanza tossica riscontrata nei rifiuti, circostanzada cui si poteva dedurre «la probabilità dellosversamento non la certezza» (cfr. sul puntoTrib. Milano, 13.12.1990, cit.).

Nell’intento di salvaguardare l’astrattezza el’autonomia della garanzia, il Tribunale mila-nese escludeva la possibilità di provare l’escus-sione abusiva della garanzia ricorrendo ad unaprova costituenda, come, ad esempio, una con-sulenza tecnica, che nel caso specifico avrebbeconsentito di superare le contestazioni e le in-certezze in ordine al preteso inadempimentodel beneficiario agli obblighi derivanti dal con-tratto base, inadempimento – a dire del colle-gio giudicante – «probabile», ma non «certo».Giova sottolineare sin d’ora che tale soluzioneappare in contrasto con la natura sommaria delprocedimento d’urgenza che si fonda sulla «ve-rosimiglianza» piuttosto che sulla «certezza»della pretesa.

Sulla stessa linea, si colloca un’ulteriore pro-nuncia che ha escluso la possibilità di paraliz-zare l’operatività della garanzia «a prima ri-chiesta», sulla base di eccezioni che, lungi dal-l’evidenziare la manifesta scorrettezza e malafede del creditore garantito, «richiedano pergiunta un complesso accertamento incompatibilecon le caratteristiche ed i limiti del procedimen-to cautelare» (Pret. Milano, ord. 13.3.1989,in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, 30).

In altri casi, senza peraltro discostarsi in mo-do significativo dall’orientamento appenaesposto, la giurisprudenza ha richiesto l’allega-zione di «prove individuabili in modo certo ed

inconfutabile» da cui poter conseguire conchiarezza ed evidenza, «senza bisogno di diffici-li ricerche, tortuose analisi, discusse interpreta-zioni o complesse istruttorie la fondatezza dellecontestazioni sollevate da controparte» (così,Trib. Modena, ord. 12.8.1996, in Giur. it.,1997, I, 2, 368, con nota sostanzialmente adesi-va di Dalmotto), equiparando espressamentela prova «liquida» alla prova di «pronta soluzio-ne a cui accenna l’art. 648 c.p.c.» (cfr. Trib.Modena, ord. 12.8.1996, cit., 372; in sensoconforme, richiede l’allegazione della c.d. pro-va «liquida» o di «pronta soluzione», Trib.Potenza, 9.3.1999, in Giur. comm., 2000, II,259, secondo cui, tuttavia, ai fini della conces-sione del provvedimento d’urgenza non è ri-chiesta la prova documentale della condottaabusiva nell’escussione della garanzia da partedel garante, «essendo invece sufficiente che laverosimiglianza dell’abuso imputabile al benefi-ciario possa scaturire dal coacervo delle circo-stanze allegate, ivi compreso il comportamentotenuto dalle parti durante l’evoluzione della vi-cenda contrattuale»).

Nonostante la diversità delle tecniche argo-mentative, anche tale indirizzo interpretativoappare in linea con la posizione più rigorosa diparte della giurisprudenza e della dottrina, in-cline a circoscrivere la portata della «prova li-quida» alla prova precostituita e dunque essen-zialmente alla prova «documentale». In dottri-na, nel senso dell’allegazione di prove «preco-stituite, cioè, in definitiva documentali, di sicuraed immediata interpretazione», Mastropaolo,op. cit., 307, il quale rileva: «appare eccessivoche l’abuso debba risultare addirittura da sen-tenza passata in giudicato o da provvedimentod’urgenza definitivo» ad eccezione del caso incui l’abuso sia «allegato non in riferimento al-l’adempimento, ma a fatti diversi e più com-plessi, il cui accertamento e la cui incidenzacirca la garanzia richiedano un provvedimentoarbitrale o giudiziale definitivo».

A tale orientamento sembra aver aderito laUnited Nations Convention on independentguarantees and stand-by letters of credit, adotta-ta dall’Assemblea generale delle Nazioni Unitein data 11.12.1995 con l’intento di armonizzarela disciplina dei più diffusi strumenti di garan-zia (il testo della Convenzione è stato pubblica-to in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, 577 ss.).

Garanzie autonome, «prova liquida» e inibitoria di pagamento

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La Convenzione, che si indirizza indifferen-temente alle garanzie indipendenti ed alle lette-re di credito stand-by, ritenute strumenti similiper funzione e caratteristiche, in linea con lageneralità degli ordinamenti ed al fine di tem-perare il carattere autonomo della garanzia in-dipendente, riconosce a favore dell’ordinantela possibilità di richiedere provvedimenti dinatura cautelare avverso escussioni della garan-zia che risultino prive di giustificazione, in rela-zione alle funzioni che l’operazione di garanziasvolge nell’ambito dell’operazione economicadescritta nel contratto principale. L’art. 19.2enuclea una serie di circostanze in presenzadelle quali la domanda del beneficiario non haalcuna «conceivable basis», mentre l’art. 20precisa tipo, condizioni e modalità delle formedi tutela che la disciplina uniforme riconosceall’ordinante a fronte di escussioni fraudolente.In particolare, l’emissione dei provvedimentida parte dei giudici nazionali è subordinata alladimostrazione della «high probability» che, inrelazione ad una domanda di escussione pre-sentata o ancora da presentare, si verifichi unadelle circostanze specificate nell’art. 19.1 ed al-la ricorrenza di una «immediately availablestrong evidence». Pertanto, se da un lato, e co-me si ricava dall’uso dell’espressione «high pro-bability», la Convenzione richiede un giudiziodi verosimiglianza piuttosto che di certezzadella ricorrenza di un’ipotesi di escussionefraudolenta, dall’altro, nell’esigere l’allegazionedi prove immediatamente disponibili, pur evi-tando di circoscrivere la rilevanza delle proveesclusivamente a quelle documentali, sembraaderire alla tesi che sostiene la necessità della«prova precostituita».

6. «Prova liquida» e attività istrutto-ria nei procedimenti d’urgenza: le pro-nunce più recenti. Può essere opportunoora dar conto di alcuni atteggiamenti piuttostorecenti della giurisprudenza, dai quali trasparel’intento di contemperare l’aspetto tecnico del-la soluzione giuridica adottata con ragioni diopportunità, nella consapevolezza della rile-vanza che assume la «prova liquida», in un’otti-ca di bilanciamento delle due contrapposteistanze.

Tale chiave di lettura consente di compren-dere l’ulteriore indirizzo interpretativo che ri-

vela una maggiore flessibilità nell’interpreta-zione del concetto di «prova liquida», comun-que imprescindibile per la concessione di unprovvedimento di inibitoria che paralizzil’escussione di una garanzia manifestamentefraudolenta o abusiva. In tale contesto, la pro-va della fraudolenza nell’escussione della ga-ranzia autonoma non è necessariamente docu-mentale e precostituita (in altri termini, non èrichiesta necessariamente «la prova pronta e li-quida»). Si afferma, infatti, che il caratterefraudolento dell’escussione possa risultare inmodo evidente «da documenti o da altri mezziistruttori, anche sommari nell’ambito del proce-dimento cautelare», riconoscendosi così la pos-sibilità di esperire una limitata attività istrutto-ria in sede cautelare, compatibilmente con lanatura sommaria del procedimento (Trib. Vi-cenza, ord. 10.7.2001, in Giur. it., 2002, 119,nella specie, il beneficiario aveva richiesto ilpagamento della garanzia «a prima richiesta»nonostante il rapporto principale fosse statoregolarmente adempiuto).

Con un approccio meno restrittivo nella in-dividuazione delle prove ritenute idonee a so-stenere la exceptio doli, talvolta eccessivamenteelastico e non del tutto condivisibile, taleorientamento ha giustificato la concessione diun provvedimento di inibitoria sulla base diuna perizia di parte (che, nella specie, eviden-ziava la presenza di difetti nella fornitura di le-gname il cui pagamento era stato garantito. Intal senso, Pret. Serravalle Scrivia, ord.13.3.1989, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II,5).

In altri casi, la giurisprudenza ha fondatol’inadempimento del beneficiario alle obbliga-zioni derivanti dal contratto base e dunque ilcarattere fraudolento della richiesta di paga-mento della garanzia avanzata dal beneficiariosu «presunzioni gravi, precise e concordanti»(App. Milano, 27.5.1994, ivi, 1995, II, 434).Nell’ottica del collegio giudicante, il lodo arbi-trale che aveva accertato l’inadempimento delbeneficiario alle obbligazioni discendenti dalcontratto base e di cui fosse stata dichiarata lanullità per motivi procedurali, è stato ritenutoidoneo a provare, unitamente ad altre circo-stanze ed in via indiziaria, il carattere fraudo-lento dell’escussione.

In altre pronunce, la giurisprudenza, muo-

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vendo dal presupposto per cui la frode o il do-lo nell’escussione della garanzia sono in con-creto riconosciuti in tutti i casi in cui il benefi-ciario chieda il pagamento della garanzia senzaaverne alcun diritto in base al rapporto princi-pale, ha precisato che tale mancanza deve risul-tare o da una prova certa e sostanzialmente in-contestata oppure (se la prova della inesistenzadi un diritto del beneficiario nascente dal con-tratto principale è solo presuntiva) deve risul-tare provato in modo certo che il beneficiariofa un uso distorto della garanzia, utilizzandolaa proprio vantaggio senza in realtà avere genui-ne contestazioni sull’adempimento del rappor-to principale (cfr. Trib. Milano, ord.14.6.1994, in Giur. it., 1996, I, 2, 59, secondocui «non è conforme ai principi elementari di di-ritto contrattuale richiedere il pagamento dellegaranzie di cui si chiede aliunde la completa nul-lità»; nella specie, la stessa beneficiaria avevaaffermato la nullità del contratto di appalto,ovvero del contratto di base, nel corso di unprocedimento instaurato nel Paese d’origine).

In linea con l’opinione ora espressa, la giu-risprudenza ha dedotto il carattere fraudolentodell’escussione della garanzia dall’esistenza diun parere di un organismo pubblico (che, nellaspecie, aveva negato la possibilità di escutere lagaranzia) e dal comportamento delle parti, at-tribuendo rilevanza alla condotta del beneficia-rio, che, aveva, infatti, omesso di contestare lecircostanze documentali ritenute integranti la«prova liquida» (cfr. Trib. Milano, ord.2.3.1994, ibidem).

Sulla rilevanza del comportamento delle par-ti, v. anche: Trib. Milano, ord. 12.8.1993, ibi-dem, I, 2, 72, che ha fondato il carattere frau-dolento dell’escussione sull’inadempimentodel beneficiario agli obblighi discendenti dalcontratto principale. Nell’ottica dell’organogiudicante, l’inadempimento del beneficiarioera provato dalla documentazione addotta edalla mancata contestazione del preteso ina-dempimento da parte della beneficiaria.

L’orientamento sembra aver trovato confer-ma nelle più recenti pronunce. Il comporta-mento fraudolento è stato ravvisato nella vo-lontà manifestata dal beneficiario di mantenerel’efficacia della garanzia, definita dalle partiadvance payment bond (funzionale, pertanto,all’obbligazione di consegna della merce com-

missionata), nonostante l’avvenuta consegnadei macchinari (cfr. Trib. Verona, ord.20.5.001, ivi, 2002, 118 e in senso conforme,Trib. Vicenza, ord. 10.7.2001, cit.).

Nella specie, l’impegno della banca garanteinfatti sarebbe scaduto con l’adempimento de-gli «obblighi di consegna e/o servizi» e l’ordi-nante aveva fornito la prova dell’avvenutoadempimento delle obbligazioni di consegna.Né poteva ritenersi che, nella diversa nozionedi «servizi», potessero ricomprendersi gli ob-blighi inerenti al buon funzionamento dellamerce che la committente affermava non esse-re stati rispettati e su cui faceva leva per richie-dere l’escussione della garanzia. In tal senso,deponevano oltre al tenore del testo, la circo-stanza che a favore della committente era stataprestata una garanzia con diverso oggetto inrelazione allo stesso contratto, ovvero un per-formance bond, che avrebbe dovuto garantirela funzionalità dei beni (non avrebbe avuto al-cun senso prestare due garanzie con denomi-nazione differenti ma con lo stesso oggetto) ela considerazione derivante dalla prassi delcommercio internazionale, secondo cuil’advance payment bond ha lo scopo di garanti-re la restituzione degli acconti versati (nell’ipo-tesi in cui il bene acquistato non sia alla fine ef-fettivamente consegnato) e viene meno unavolta che chi ha anticipato il pagamento abbiaricevuto la materiale disponibilità del bene,mentre il performance bond afferisce alla fun-zionalità e consistenza del bene ed esplica lasua efficacia nel periodo successivo alla conse-gna. In sintesi, pure essendo certo l’avvenutoadempimento della obbligazione di consegna,era controverso l’oggetto della garanzia di cuiil beneficiario chiedeva l’escussione. Tuttaviala chiara portata del testo della garanzia unita-mente ad altre circostanze, come il normalecontenuto che il performance bond riveste nellaprassi del commercio internazionale, ha indot-to il giudice a ritenere di «immediata evidenza»e di «immediata percepibilità» l’insussistenzadel diritto garantito (così Trib. Verona, ord.20.5.2001, cit.).

Sulla rilevanza dell’esame testimoniale ai finidella concessione di un provvedimento di ini-bitoria finalizzato a bloccare una escussionemanifestamente abusiva, da ultimo: Trib. Bo-logna, 20.1.2003, cit. Con la pronuncia in esa-

Garanzie autonome, «prova liquida» e inibitoria di pagamento

NGCC 2006 - Parte seconda 109

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me, il giudice ha ritenuta fraudolenta la richie-sta della banca garante (e nei confronti dellabanca controgarante) di provvedere all’escus-sione dell’advance payment bond «senza avereessa stessa adempiuto alla prestazione oggettodella propria ed in assenza di una attuale solleci-tazione da parte del beneficiario», circostanzache risultava «dall’esame testimoniale», «non-ché dalla documentazione prodotta».

7. Osservazioni conclusive. L’altalenan-te atteggiamento giurisprudenziale, nell’evi-denziare la sussistenza di differenti indirizzi in-terpretativi, appare sintomatico della difficoltàdi contemperare esigenze di politica del dirittocon le ragioni più propriamente tecniche. Seper un verso, infatti l’insensibilità del rapportodi garanzia alle vicende del rapporto garantitoinduce ad escludere l’opponibilità di qualsiasieccezione discendente dal rapporto base, perl’altro, il pericolo di un abuso dello strumentodi garanzia connaturato al carattere dell’auto-nomia suggerisce l’opportunità di trovare degliidonei correttivi a fronte di tentativi di escus-sione che si rivelino manifestamente abusivie/o fraudolenti. Si è già detto, in tale ottica, delruolo che riveste la «prova liquida» nella deli-cata operazione. Si osserva, in proposito, cherisulta sicuramente condivisibile la ratio sottesaall’indirizzo più restrittivo, nel senso di evitareche un uso disinvolto dei provvedimenti di ini-bitoria possa snaturare l’autonomia della ga-ranzia e dunque svilirne la stessa funzione. Èpur vero, tuttavia, che, una volta ammessal’esperibilità dei provvedimenti d’urgenza a tu-tela delle posizioni dell’ordinante e/o del ga-rante potrebbe apparire ingiustificata e incom-prensibile una limitazione dei mezzi di provache il ricorrente è legittimato a produrre neiprocedimenti cautelari. Si afferma, pertanto,che «la contraria opinione significherebbe pre-tendere di “correggere la legge processuale”»,(così, Bonelli, op. cit., 107, nt. 70). In questaottica, non appare condivisibile l’ulterioreobiezione, secondo cui sarebbe contradditto-rio limitare, da un lato, la necessità di «proveliquide» alla sola exceptio doli ed ammettere,

dall’altro, la formazione del convincimento insede cautelare nei limiti del consueto giudiziodi verosimiglianza fondato su prove leviores (inquesti termini, Portale, Le garanzie bancarieinternazionali, cit., 35, nt. 74, nonché 40). Nonvi sarebbe contraddizione alcuna dal momentoche «l’evidenza del dolo attiene alla fattispeciesostanziale che legittima la sola exceptio dolimanifesti, mentre la verosimiglianza sul carat-tere manifesto della frode del richiedente attie-ne, per contro, alle condizioni di concessionedella tutela cautelare» (così, Tommaseo, Auto-nomia negoziale e tutela giurisdizionale nei rap-porti di garanzia a prima richiesta, in Riv. dir.civ., 1992, II, 17, nt. 69).

Si dovrebbe pertanto propendere per l’am-missibilità di tutti i mezzi istruttori, da acquisir-si compatibilmente con la natura sommaria delprocedimento (cfr. Trib. Verona, ord.20.5.2001, cit., eTrib. Vicenza, ord. 10.7.2001,cit.).

A tale conclusione si perviene anche per al-tra via, ove si consideri che la consapevolezzadell’intrinseca pericolosità connessa ai proce-dimenti cautelari che non si fondano su unapiena cognizione, ma seguono la logica del giu-dizio di alta probabilità (cfr. Proto Pisani,Appunti sulla tutela cautelare, in Riv. dir. civ.,1987, I, 117 ss.; sul punto, anche Tommaseo,voce «Provvedimenti d’urgenza», in Enc. deldir., XXXVII, Giuffrè, 1988, 859), ed in parti-colare al procedimento cautelare atipico ex art.700 cod. proc. civ., dovrebbe operare nel sensodi ridurre la superficialità della cognizione, inmodo da limitare, di fatto, la possibilità di ri-baltamento del giudizio nel processo a cogni-zione piena. Tali preoccupazioni sono condivi-se da quella parte della dottrina che, al fine diridurre la pericolosità intrinseca del provvedi-mento cautelare, invita il giudice a svolgereuna cognizione il più possibile approfondita infatto e non solo in diritto ed a valutare compa-rativamente il danno che subirebbe l’istantedalla mancata concessione del provvedimentod’urgenza ed il danno che subirebbe la contro-parte dalla sua concessione (cfr. Proto Pisa-ni, op. cit., 132 ss.).

Aggiornamenti

110 NGCC 2006 - Parte seconda

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Dibattiti

Il fondamento sistematico dell’exceptio dolie gli obiter dicta della Cassazione

1. – Il riconoscimento dell’exceptio doli come rimedio generale in relazione

al caso deciso da Cass. n. 5273 del 2007

Un errore sistematico, o una non corretta impostazione giuridica della

controversia, forniscono talvolta l’occasione per enunciare importanti prin-

cipi di diritto. È accaduto, di recente, nella sentenza n. 5273 del 2007 (1),

con la quale la Cassazione, per la prima volta dall’emanazione del codice

civile del 1942, ha espressamente sancito l’ammissibiltà dell’exceptio doli

quale rimedio di carattere generale (2).

(1) Cass., sez. I, 7 marzo 2007, n. 5273, pres. G. Losavio, rel. L. Salvato.

(2) Secondo la massima ufficiale, consultabile in Mass. Foro it., 2007, c. 417 s., « la ex-

ceptio doli generalis seu presentis indica il dolo attuale, commesso al momento in cui viene

intentata l’azione nel processo, e costituisce un rimedio di carattere generale, utilizzabile

anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, il quale è diretto a precludere l’e-

sercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, paraliz-

zando l’efficacia dell’atto che ne costituisce la fonte o giustificando il rigetto della domanda

giudiziale fondata sul medesimo, ogni qualvolta l’attore abbia sottaciuto situazioni soprav-

venute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanza-

to richieste di pagamento prima facie abusive o fraudolente o ancora abbia contravvenuto al

divieto di venire contra factum proprium; tale rimedio si distingue dalla exceptio doli specia-

lis seu preteriti, la quale indica invece il dolo commesso al tempo della conclusione dell’at-

to, ed è diretta a far valere (in via di azione o eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per

indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annul-

lamento, ovvero a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fe-

de nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, la quale assume rilie-

vo, quale dolo incidente, nel caso in cui l’attività ingannatrice abbia influito su modalità del

negozio che la parte non avrebbe accettato, se non fosse stata fuorviata dal raggiro, e non

comporta l’invalidità del contratto, ma la responsabilità del contraente in mala fede per i

danni arrecati dal suo comportamento illecito, i quali vanno commisurati al minor vantag-

gio e al maggior aggravio economico subiti dalla parte che ne è rimasta vittima, salvo che

sia dimostrata l’esistenza di danni ulteriori, collegati a detto comportamento da un nesso di

consequenzialità diretta (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato

la sentenza impugnata, la quale aveva qualificato come exceptio doli generalis l’eccezione

con cui una banca, senza far valere l’invalidità del contratto o il diritto al risarcimento dei

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Leggendo la motivazione della pronuncia si coglie la distanza non so-

lo cronologica, ma anche e soprattutto culturale, che separa la posizione

attuale della Cassazione dalle riflessioni svolte, agli inizi degli anni ’60

dello scorso secolo, da Giovanni Pellizzi, primo tra i giuristi positivi ad av-

viare, nel dopoguerra, una riflessione aperta, in nuce, a riconoscere la pie-

na operatività dell’exceptio doli nel diritto vigente (3). È necessario però

procedere con ordine.

La pronuncia costituisce l’ultimo atto di una vicenda processuale già

oggetto di una prima sentenza di Cassazione e di un successivo giudizio

di rinvio. La questione origina dalla stipulazione, nel 1990, di un contrat-

to di apertura di credito a favore di una società cui era collegato un man-

dato irrevocabile alla banca all’incasso dei crediti della propria cliente,

nonché all’utilizzo dei relativi introiti a copertura della posizione debito-

ria nei confronti dell’ente erogante. Meno di quattro mesi dopo la stipula-

zione di tale contratto la società cadeva in concordato preventivo e, nel

corso della procedura, era esercitata l’azione revocatoria nei confronti del-

la banca per la restituzione alla massa concordataria delle somme introita-

te con l’incasso dei crediti.

La banca resisteva sostenendo la violazione, da parte della società, del

dovere precontrattuale di informazione per non aver reso noto, al mo-

mento della stipulazione dell’apertura di credito, la situazione di difficoltà

finanziaria in cui versava. Tuttavia la domanda non aveva ad oggetto né

l’invalidazione del contratto per dolo determinante (art. 1439 c.c.), né il ri-

sarcimento del danno per dolo incidente (art. 1440 c.c.), bensì la mera pa-

ralisi, tramite l’exceptio doli generalis, dell’azione concorsuale vòlta ad ot-

tenere l’inefficacia dei pagamenti a favore della banca, qualificata come

contraria alla buona fede oggettiva e, quindi, in violazione del divieto di

abuso del diritto.

La pronuncia di legittimità conferma, nel dispositivo, la sentenza del-

danni, aveva dedotto la scorrettezza dell’azione proposta nei suoi confronti per ottenere la

dichiarazione di inefficacia dei pagamenti effettuati in suo favore da un’impresa ammessa

alla procedura di concordato preventivo, in quanto lesivi della par condicio creditorum) ».

(3) Ci si riferisce al ben noto studio di Pellizzi, Exceptio doli (diritto civile), in Noviss.

dig. it., VI, Torino, 1960, p. 1074 ss., in part. p. 1078, poi riedito in Id., Saggi di diritto com-

merciale, Milano, 1988, p. 705 ss., in cui l’a., ricostruito il sistema del diritto positivo, si in-

terrogava sulla generale ammissibilità del rimedio ben consapevole del risvolto «lato sensu

politico » della questione, osservando che « appunto per la profondità delle radici della di-

sputa – in un tempo che si dice di crisi del diritto, e nel dibattersi di concezioni opposte,

spesso d’ambi i lati autorevolmente rappresentate, sul tema stesso della funzione e dei li-

miti dell’interpretazione giuridica – non può darsi al quesito, specie in questa sede, una ri-

sposta che aspiri ad essere definitiva ».

1370 CONTRATTO E IMPRESA

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la Corte d’appello di rinvio, che nel caso di specie aveva negato la sussi-

stenza di una violazione della buona fede e ritenuto di conseguenza

inammissibile l’exceptio doli, ma ne integra e corregge la motivazione pre-

cisando, da un lato, la distinzione sistematica tra exceptio doli specialis e

generalis e, dall’altro, esprimendo la propria posizione in ordine all’am-

missibilità dell’exceptio doli come rimedio generale.

La Cassazione ritiene quindi infondato, nel caso di specie, il ricorso al-

l’exceptio doli da parte della banca, il che rende per lo meno dubbia la

qualificazione come ratio decidendi dei principi espressi sul punto nella

sentenza (4). Tuttavia la loro stretta attinenza, sotto il profilo logico-for-

male, alla ratio decidendi effettiva del caso fa sì che, in termini di persuasi-

vità e di rilevanza sui futuri orientamenti della Corte, essi costituiscano in

ogni caso un vero e proprio punto di svolta nella giurisprudenza di legitti-

mità.

2. – La distinzione tra exceptio doli specialis ed exceptio doli generalis; gli

obiter dicta in tema di responsabilità precontrattuale e dolo incidente

La necessità di correggere la motivazione della pronuncia di rinvio,

che oltre a respingere l’exceptio doli generalis aveva anche ritenuto infon-

data l’azione di dolo ex artt. 1439 e 1440 c.c., costituisce per la Corte l’oc-

casione per enunciare una serie di obiter in tema di exceptio doli specialis

e, in particolare, di dolo incidente. Partendo infatti dalla distinzione ro-

manistica tra exceptio doli specialis, inteso come « il dolo commesso al

tempo della conclusione del negozio », ed exceptio doli generalis, ovvero

« il dolo attuale, commesso al momento in cui viene intentata l’azione nel

processo », la Cassazione:

ha ribadito, seguendo la prima pronuncia di legittimità riferita al caso

in esame, che la banca convenuta non ha mai fatto valere l’invalidità del

(4) Nell’affermare ciò si prescinde, in questa sede, da ogni presa di posizione in ordine

alla distinzione sistematica tra ratio decidendi ed obiter dictum e, in particolare, se debba es-

sere qualificata come ratio della sentenza ogni premessa o passaggio logico necessario per

la soluzione della controversia, come affermato da Galgano, L’interpretazione del preceden-

te giudiziario, in questa rivista, 1985, p. 701 ss., in part. p. 705, oppure ogni principio di dirit-

to di per sé sufficiente, ma non per forza di cose necessario, a decidere il caso concreto, co-

me ritiene Bin, Funzione uniformatrice della Cassazione e valore del precedente giudiziario, in

questa rivista, 1988, p. 545 ss., in part. p. 553, o come regola giuridica effettivamente impie-

gata quale criterio di decisione del caso, secondo quanto sostenuto da Taruffo, Giurispru-

denza, in Enc. scienze sociali Treccani, IV, Roma, 1994, p. 348 ss., in part., p. 359.

Per più ampi ragguagli in materia v. anche Bin, Il precedente giudiziario, Padova, 1995,

in part. p. 141 ss.

DIBATTITI 1371

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contratto, di cui, all’opposto, ha sempre voluto tener fermi gli effetti. Da

qui l’erroneità della sentenza di rinvio, che aveva respinto l’eccezione di

dolo in base all’irrilevanza del mero silenzio come causa di invalidità del-

l’atto (5);

ha esplicitamente qualificato il dolo incidente ex art. 1440 c.c., a sua

volta impropriamente evocato dalla difesa della banca in corso di causa,

come fattispecie riconducibile alla violazione della buona fede in con-

trahendo ex art. 1337 c.c. (6);

ha ulteriormente riconosciuto che in tal caso il quantum risarcibile

dev’essere determinato secondo il criterio dell’integrale risarcimento del

danno, e quindi prescindendo dai limiti quantitativi implicitamente as-

sunti dalla giurisprudenza tradizionale con il ricorso alla nozione di inte-

resse contrattuale negativo (7).

Tali affermazioni seguono e, a loro volta, rafforzano l’orientamento

della S.C., ormai prevalente, che riconosce la continuità tra culpa in con-

(5) Ne consegue per la Corte, in punto di correzione ed integrazione della sentenza

d’Appello, l’ulteriore rilievo che « sono palesemente contraddittorie rispetto all’intento ed

all’interesse della Banca di mantenere fermo il contratto del 30 marzo 1990 – ancora ribadi-

ti in questa sede – le deduzioni con le quali, reiteratamente, la ricorrente si duole della

mancata considerazione della circostanza che l’azione ‘fa seguito ad una condotta negozia-

le da dolo che ha inciso sul consenso’ . . ., ovvero si riferisce al ‘dolo commesso al tempo

della conclusione del negozio’ . . . e richiama l’art. 1337 c.c. . . . e l’art. 95, r.d.l. 12 marzo

1936, n. 375 . . ., che configurava il cd. mendacio bancario, ipotesi di truffa riconducibile,

sotto il profilo civilistico, alla figura del dolo determinante (o dolus causam dans).

Invero, siffatte deduzioni, così come sviluppate, mirano a prospettare un vizio invali-

dante del negozio, diretto cioè a porre nel nulla, complessivamente, gli effetti del negozio,

quindi a conseguire un risultato che l’istante ha univocamente dimostrato di non volere,

come già accertato dalla sentenza di questa Corte che ha dato luogo al giudizio di rinvio ».

(6) « La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento

delle trattative e nella formazione del contratto, benché assuma rilievo anche, quale dolo

incidente, se il contratto concluso sia valido ma risulti pregiudizievole per la parte rimasta

vittima del comportamento scorretto, comporta infatti, secondo la disciplina stabilita dal-

l’art. 1440 c.c., che, in questa ipotesi, la parte che si ritenga lesa può agire al fine di ottene-

re il risarcimento del danno che detta violazione gli abbia provocato, in quanto, in difetto,

avrebbe concluso il contratto a condizioni diverse ».

(7) « Questa figura di dolo attiene dunque alla formazione del contratto; la sua even-

tuale esistenza non incide sulla possibilità di far valere i diritti sorti dal medesimo, ma com-

porta soltanto che il contraente in mala fede è responsabile dei danni provocati dal suo

comportamento illecito ed i danni vanno commisurati al ‘minor vantaggio’, ovvero al ‘mag-

gior aggravio economico’ prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo di

buona fede, salvo che ne sia dimostrata l’esistenza di ulteriori, i quali risultino collegati a

detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto (Cass. n.

19024 del 2005; Cass. n. 9523 del 1999) ».

1372 CONTRATTO E IMPRESA

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trahendo e dolo incidente e, in coerenza con tale assunto, ammettono la

generale configurabilità di una responsabilità ex art. 1337 c.c. anche in

presenza di un contratto validamente concluso.

Per quanto concerne il rapporto tra responsabilità precontrattuale e do-

lo incidente vanno richiamati i precedenti di Cass. n. 10779 del 1991 (8) e

Cass. n. 2956 del 1999 (9), che si adeguano all’opinione ormai prevalen-

te in dottrina (10). A tale corrente dottrinale fa capo, a sua volta, l’ulte-

riore giurisprudenza che, a partire da Cass. n. 10249 del 1998 (11), fino al-

la sentenza n. 19024 del 2005 (12), ha per l’appunto affermato la compa-

tibilità, anche al di fuori dell’ipotesi testuale dell’art. 1440 c.c., tra con-

(8) Cass., 14 ottobre 1991, n. 10779, in Giur. it., 1993, I, 1, c. 190 ss., in motivazione, in

part. c. 193.

(9) Cass., 29 marzo 1999, n. 2956, in Giust. civ., 2000, I, p. 3303 ss., e Giur. it., 2000, c.

1192 ss., con nota di Dalla Massara, Dolo incidente: quantum risarcitorio e natura della re-

sponsabilità, cui ha fatto seguito il giudizio di rinvio di App. Venezia, 31 maggio 2001, n.

724, in Corriere giur., 2001, p. 1199 ss., con nota adesiva di Dalla Massara, Sul risarcimen-

to del danno per dolo incidente.

(10) In argomento v., per tutti, Mantovani, « Vizi incompleti » del contratto e rimedio ri-

sarcitorio, Torino, 1995, in part. pp. 22 ss., 131, 255 e 289. Per una più ampia ricostruzione

del dibattito, con specifico riferimento agli aspetti qui in esame, sia consentito l’ulteriore

rinvio a Meruzzi, La trattativa maliziosa, Padova, 2002, p. 235 ss. Difende, da ultimo, la

concezione classica della responsabilità in contrahendo, che reca tra l’altro con sé il corolla-

rio secondo cui la disciplina dell’art. 1440 c.c. costituirebbe norma speciale e, comunque,

non ricollegabile alla responsabilità ex art. 1337 c.c., D’Amico, Buona fede in contrahendo,

in Riv. dir. priv., 2003, p. 335 ss., in part. p. 351 ss., che si interroga sulla stessa opportunità di

trattare la buona fede ex art. 1337 c.c. come una clausola generale.

(11) Cass., 16 ottobre 1998, n. 10249, in Contratti, 1999, p. 329 ss., con nota di Mucio,

Ritardo nella conclusione e responsabilità precontrattuale.

(12) Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno resp., 2006, p. 25 ss., con nota di Rop-po -Afferni, Dai contratti finanziari al contratto in genere: punti fermi della Cassazione su

nullità virtuale e responsabilità precontrattuale; in Contratti, 2006, p. 446 ss., con nota di Po-liani, La responsabilità precontrattuale della banca per violazione del dovere di informazione;

in Corriere giur., 2006, p. 669 ss., con nota di Genovesi, Limiti della “nullità virtuale” e con-

tratti su strumenti finanziari; in Foro it., 2006, I, c. 1105 ss., con nota di Sconditti, Regole di

comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della responsabilità precontrattuale; in

Giur. comm., 2006, II, p. 626 ss., con nota di Salodini, Obblighi informativi degli intermedia-

ri finanziari e risarcimento del danno. La Cassazione e l’interpretazione evolutiva della respon-

sabilità precontrattuale; in Giur. it., 2006, c. 1599 ss., con nota di Sicchiero, Un buon ripen-

samento della S.C. sulla asserita nullità del contratto per inadempimento; Nuova giur. civ.

comm., 2006, I, p. 897 ss., con nota di Passaro, Intermediazione finanziaria e violazione degli

obblighi informativi: validità dei contratti e natura della responsabilità risarcitoria; in Giust.

civ., 2006, I, p. 1526 ss. Su tale pronuncia v. anche gli ulteriori commenti di Franzoni, La

responsabilità precontrattuale: una nuova stagione, in Resp. civ., 2006, p. 295 ss.; Miriello,

La responsabilità precontrattuale in ipotesi di contratto valido ed efficace, ma pregiudizievole,

DIBATTITI 1373

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tratto validamente concluso e violazione del dovere precontrattuale di

correttezza.

Proprio la configurabilità della culpa in contrahendo non nelle sole ipo-

tesi tipizzate di stipulazione di un contratto invalido o di recesso sine cau-

sa dalle trattative, ma anche in presenza di un contratto validamente con-

cluso e pur tuttavia condizionato, nei suoi contenuti, dalla violazione del-

la regola di condotta sancita dall’art. 1337 c.c., apre il problema della ride-

finizione dell’interesse contrattuale negativo, inteso quale criterio di com-

misurazione del danno distinto e contrapposto all’interesse contrattuale

positivo. Anche su tali aspetti la Cassazione si è orientata, nelle più recen-

ti sentenze, verso l’abbandono della tesi tradizionale, che partendo dalla

formula descrittiva del danno « da occasioni perdute » commisurava l’in-

teresse negativo in relazione al positivo, per approdare alla più corretta ap-

plicazione del criterio dell’integrale risarcimento del danno. In aggiunta ai

già citati precedenti di Cass. n. 2956 del 1999 e Cass. n. 19024 del 2005, da

cui è ripresa la formula del « minor vantaggio » o « maggior aggravio eco-

nomico », va menzionata l’ulteriore sentenza n. 14539 del 2004 (13), che

anche per tale aspetto ha recepito le conclusioni sostenute ormai da tem-

po in dottrina (14).

in Resp. civ., 2006, p. 648 ss.; Meruzzi, La responsabilità precontrattuale tra regola di validità

e regola di condotta, in questa rivista, 2006, p. 944 ss.; Morelato, Violazione di obblighi di

informazione e responsabilità dell’intermediario finanziario, in questa rivista, 2006, p. 1616 ss.;

Maffeis, Contro l’interpretazione abrogante della disciplina preventiva del conflitto di interessi

(e di altri pericoli) nella prestazione dei servizi di investimento, in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 71 ss.

(13) Cass., 30 luglio 2004, n. 14539, in Foro it., 2004, I, c. 3009 ss., con nota di Pardole-si, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale: di paradossi e diacronie; in Giust. civ.,

2005, I, p. 117 ss.; in Corriere giur., 2005, p. 1099 ss., con nota di Meruzzi, La quantificazio-

ne dell’interesse contrattuale negativo nella responsabilità in contrahendo ex art. 1338 c.c.; in

Nuova giur. civ. comm., 2005, I, p. 619 ss., con nota di Rocca, Conoscenza e riconoscibilità

dell’errore. Il danno emergente ed il problema del lucro cessante nella responsabilità precon-

trattuale.

(14) In argomento v., ex multis, Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto, cit., p. 176, nonché

Id., Diritto civile. 5. La responsabilità, Milano, 1994, in part. p. 127 s.; G. Patti, in G. Patti-

S. Patti, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in Comm. Schlesinger (artt. 1337-

1342), Milano, 1993, p. 88; Pinori, Il principio generale della riparazione integrale dei danni,

in questa rivista, 1998, p. 1144 ss., in part. p. 1146, ove ulteriori riferimenti; Rovelli, La re-

sponsabilità precontrattuale, in Tratt. Bessone, XIII, 2, Torino, 2000, p. 199 ss., in part. p. 431

s.; Gallo, Responsabilità precontrattuale: il quantum, in Riv. dir. civ., 2004, I, p. 487 ss., in

part. pp. 502, 511 s., 519, per il quale l’adozione del criterio dell’integrale risarcimento del

danno si giustifica anche in termini di efficienza economica, dato che « ogni forma di limi-

tazione della responsabilità è inefficiente da un punto di vista economico perché fonte di

esternalità negative » (p. 519). Si applicano quindi gli ordinari criteri risarcitori previsti dagli

1374 CONTRATTO E IMPRESA

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Non è certo questa la sede per ripercorrere nel dettaglio gli argomenti

che inducono a ritenere del tutto condivisibile il mutato atteggiamento

della S.C. nei confronti di problematiche la cui soluzione è stata, per de-

cenni, pesantemente ipotecata da una tradizione giuridica ormai non più

accettabile, in quanto maturatasi nel vigore di un contesto normativo as-

sai lontano dall’attuale (15).

Tuttavia va segnalato che il definitivo accoglimento delle conclusioni

ribadite, sia pure in obiter, proprio con la sentenza n. 5273 del 2007 è og-

getto di forte resistenza da parte degli stessi giudici di legittimità. Lo di-

mostra, tra l’altro, quanto statuito dalla terza sezione con i due preceden-

ti n. 3746 del 2005 (16) e n. 16937 del 2006 (17). Il primo di essi, in tema di

interesse negativo, ribadisce, almeno formalmente, la nozione tralaticia

secondo cui il danno risarcibile sarebbe circoscritto alle spese sopportate

in vista del futuro contratto da concludersi (danno emergente) e alla per-

dita di occasioni per stipulare un contratto altrettanto vantaggioso (lucro

cessante) (18). Il secondo, concernente la compatibilità tra contratto vali-

artt. 1223 ss. c.c., come è stato peraltro riconosciuto espressamente da Cass., 23 febbraio

2005, in Mass. Foro it., 2005, c. 833. Denuncia da ultimo, a conclusione dell’analisi storico-

comparatistica della nozione jheringhiana di interesse negativo, « l’arbitrarietà della perdu-

rante trasposizione nel nostro ordinamento di una limitazione quantitativa del risarcimen-

to dell’interesse negativo e, a fortiori, di una sua generalizzazione a tutte le fattispecie di

culpa in contrahendo, che abbiamo visto non operare in realtà neppure nell’ordinamento te-

desco », Turco, L’interesse negativo nella culpa in contrahendo, in Riv. dir. civ., 2007, I, p.

165 ss., in part. p. 190.

(15) In argomento si consenta ancora il rinvio a Meruzzi, La trattativa maliziosa, cit., in

part. pp. 308 ss., 310 e 311, nonché Id., La quantificazione dell’interesse contrattuale negativo

nella responsabilità in contrahendo ex art. 1338 c.c., cit., in part. p. 1104 ss., per quanto con-

cerne la nozione di interesse negativo. Con riferimento al diverso problema del rapporto tra

regole di validità e regole di condotta v. inoltre Id., La responsabilità precontrattuale tra re-

gola di validità e regola di condotta, cit., p. 950 ss.

(16) Cass., 23 febbraio 2005, n. 3746, in Danno resp., 2006, p. 46 ss., con nota di Guer-reschi, Responsabilità precontrattuale: liberi di recedere dalle trattative . . . ma fino ad un cer-

to punto.

(17) Cass., 25 luglio 2006, n. 16937, in Contratti, 2007, p. 550 ss., con nota di Fontanel-la, Il problema del cumulo fra responsabilità precontrattuale e contrattuale; in Giust. civ.,

2006, I, p. 2717 ss.; in Corriere giur., 2007, p. 539 ss., con nota di Rolfi, La Cassazione e la

responsabilità precontrattuale: idee del tutto chiare?

(18) Cass., 23 febbraio 2005, n. 3746, cit., in motivazione, p. 47. L’idea che l’interesse na-

gativo sia strutturalmente inferiore al positivo, e comunque mai equivalente ad esso, torna

anche in Cass., 10 giugno 2005, n. 12313, in Giur. it., 2006, c. 1389 ss., di redazionale Saler-

no; Nuova giur. civ. comm., 2006, I, p. 349 ss., con nota di Morese, La responsabilità precon-

trattuale della pubblica amministrazione per recesso ingiustificato da trattative con privato e ri-

DIBATTITI 1375

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damente concluso e responsabilità in contrahendo, ripropone la tesi se-

condo cui una volta concluso il contratto non sarebbe più ammissibile l’a-

zione di risarcimento danni ex art. 1337 c.c. (19).

Il problema della compatibilità tra contratto validamente concluso e

slealtà precontrattuale torna peraltro, con opposta tensione sistematica, in

Cass. n. 3683 del 2007 (20), ordinanza con cui la prima sezione della Corte,

partendo dalla materia della violazione dei doveri precontrattuali di infor-

mazione posti dalla legge a carico degli intermediari finanziari, ha rimesso

alle Sezioni unite l’asserito contrasto concernente la questione se la viola-

zione del dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. determini la nullità dei suc-

cessivi contratti, ex art. 1418, comma 1°, c.c., o la mera risarcibilità dei dan-

ni che siano conseguenza di tale illecita condotta (21).

sarcimento del danno, e in Cass., 7 febbraio 2006, n. 2525, in Mass. Foro it., 2006, c. 165 s.,

entrambe concernenti ipotesi di responsabilità precontrattuale della P.A. Ammette invece

che il danno risarcibile possa comprendere anche la retribuzione dell’opera intellettuale,

purchè si tratti di importo già eventualmente anticipato, Cass., 27 ottobre 2006, n. 23289, in

Contratti, 2007, p. 313 ss., con nota di Cavajoni, Ingiustificato recesso dalle trattative e risar-

cimento del danno.

(19) Cass., 25 luglio 2006, n. 16937, cit., in part. p. 552 s., in motivazione, che dalla tesi

secondo cui la violazione della buona fede precontrattuale non è di per sé idonea a dar luo-

go ad un’invalidità dell’atto, deduce aprioristicamente che, una volta concluso il contratto,

le trattative « perdono ogni autonomia e ogni giuridica rilevanza, e sotto il profilo risarcito-

rio convergono . . . in quella struttura contrattuale che, essa si, essa sola, potrà (in ipotesi)

costituire fonte di responsabilità risarcitoria » (p. 553). Nel medesimo senso anche la più re-

cente Cass., 5 febbraio 2007, n. 2479, in Mass. Foro it., 2007. Sull’errore logico sotteso a ta-

le impostazione ci si è soffermati, in termini critici, in Meruzzi, La trattativa maliziosa, cit.,

p. 229 ss., cui si rinvia per più ampia trattazione.

(20) Cass., 16 febbraio 2007, n. 3683 (ord.), in Corriere giur., 2007, p. 631 ss., con nota cri-

tica di Mariconda, Regole di comportamento nella trattativa e nullità dei contratti: la critica-

bile ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite; in Foro it., 2007, I, c. 2093, con

nota di Sconditti, Regole di comportamento e regole di validità nei contratti su strumenti fi-

nanziari: la questione alle Sezioni unite; in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 999 ss., con no-

ta di Salanitro, Violazione delle norme di condotta sui contratti di intermediazione finanzia-

ria e tecniche di tutela degli investitori: la prima sezione della Cassazione non decide e rinvia

alle Sezioni unite.

(21) Per comprendere la distanza che, su tale aspetto, separa la prima sezione rispetto

alla terza va peraltro rilevanto che nell’ordinanza di rimessione, che opta esplicitamente per

l’ammissibilità dell’azione di nullità ex art. 1418 c.c. in caso di violazione della buona fede

precontrattuale, il Giudice estensore (Schirò) adduce, a sostegno di tale opinione, che « una

pluralità di indici pone in evidenza un tendenziale inserimento, in sede normativa, del

comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto » (v. p. 634).

Va tuttavia rilevato che, tra la più recente giurisprudenza, anche la Sezione lavoro, con il

precedente di Cass., 6 ottobre 2005, n. 19415, in Mass. Foro it., 2005, c. 1433, opta per la te-

1376 CONTRATTO E IMPRESA

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Si giustifica quindi, sia pure alla luce di argomenti diversi da quelli

esposti dall’estensore dell’ordinanza, la rimessione della delicata questio-

ne alle Sezioni unite. L’auspicio è che queste ultime confermino la ratio

decidendi di Cass. n. 19024 del 2005, mediando così tra le opposte spinte

da un lato alla conservazione acritica del pregresso, dall’altro all’apertura

incondizionata a tesi suggestive ma non compatibili con l’attuale assetto

normativo, oltreché di difficile gestione sotto il profilo delle conseguenze

pratiche.

3. – Il ricorso, da parte della S.C., ai propri precedenti come argomento siste-

matico a favore della generale ammissibilità dell’exceptio doli, intesa

come rimedio di natura oggettiva

Quanto sopra visto costituisce, in realtà, il contesto sistematico che fa

da sfondo al vero elemento di originalità della sentenza n. 5273 del 2007,

ovvero i principi ivi espressi in tema di exceptio doli generalis.

Con tale pronuncia la Cassazione fa proprie, sotto il profilo non solo

delle conclusioni sistematiche ma anche della logica argomentativa, la so-

stanza di quanto recentemente esposto in uno studio dedicato alla mate-

ria, con il quale si è per l’appunto dimostrata la piena ammissibilità del-

l’exceptio doli come rimedio di natura generale, operante anche al di fuori

delle ipotesi codificate dal legislatore (22).

Al di là del più che giustificato plauso che va reso alla presa di posi-

zione della S.C., è qui utile ripercorrere l’iter argomentativo della senten-

za, onde evidenziarne non solo i profili sistematici salienti, ma anche le

questioni irrisolte, in quanto tali aperte a futuri sviluppi.

La motivazione assume, sul punto, un andamento particolarmente

sintetico e stringente, soprattutto se si considera la complessità degli argo-

menti affrontati (23). Tuttavia la Corte affronta e risolve una serie di que-

si tradizionale in ordine all’irrilevanza della violazione dei doveri di correttezza e buona fe-

de ai fini della declaratoria d’invalidità, ritenendo nel caso inammissibile l’azione di annul-

lamento dell’atto di dimissioni rese dal lavoratore in presenza di una condotta di contro-

parte contraria a buona fede. Viene in tal modo ribadito, sia pure per implicito, il principio

già sancito dalla cit. Cass. n. 19024 del 2005, che, pur ammettendo la risarcibilità del danno

precontrattuale in presenza di un contratto validamente concluso, ha escluso la rilevanza in

sé delle condotte precontrattuali contrarie a buona fede a fini invalidatori.

(22) Il riferimento è a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale,

Padova, 2005, cui nel corso della trattazione dovrà farsi più volte rinvio.

(23) Merita quindi riportarne per intero il testo: « la tesi sviluppata [dalla banca resisten-

te] è, quindi, coerente con la deduzione quale motivo di appello – giusta l’indicazione con-

tenuta nella sentenza impugnata – della exceptio doli generalis seu presentis che costituisce

DIBATTITI 1377

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stioni di ampio impatto sistematico, sancendo principi del tutto inediti

nella giurisprudenza di legittimità.

Partendo dal rilievo secondo cui l’exceptio doli costituisce rimedio di

carattere generale si afferma infatti, in primo luogo, che il ricorso ad esso

è finalizzato a precludere l’esercizio non solo fraudolento, ma anche slea-

le, dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento giuridico (24). Da

ciò discende, come espressamente riconosciuto dalla Corte, l’inefficacia

rimedio generale, diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in

volta attribuiti dall’ordinamento. Siffatto istituto, soprattutto di recente, è stato utilizzato

anche al di fuori delle ipotesi espressamente codificate, benché sussistano opinioni non

concordi in ordine al suo fondamento ed alla collocazione sistematica. Secondo un orien-

tamento, detta eccezione costituirebbe espressione del criterio della buona fede; un diffe-

rente indirizzo l’ha invece ricondotta al divieto di abuso del diritto; un altro orientamento

rinviene il suo fondamento congiuntamente nel divieto di abuso del diritto e nella viola-

zione del criterio di correttezza; un ulteriore indirizzo reputa che il rimedio condivida con

la buona fede oggettiva e con l’abuso del diritto la medesima esigenza di razionalizzazione

dei rapporti giuridici e di selezione degli interessi meritevoli di tutela, che giustifica e legit-

tima il sindacato del giudice sull’esercizio discrezionale dei diritti attribuiti dall’ordinamen-

to, allo scopo di verificarne la congruità con i valori fondamentali espressi dall’ordinamen-

to e con le finalità insite nel loro normale esercizio.

Indipendentemente da questo contrasto di opinioni, in estrema sintesi, per quanto qui

interessa, è sufficiente osservare che il rimedio è strumentale rispetto allo scopo di paraliz-

zare l’efficacia dell’atto o di giustificare la reiezione della domanda giudiziale fondata sul

medesimo. La sua applicazione è stata effettuata ‘in chiave di oggettivo contenimento di

azioni giudiziarie pretestuose o palesemente malevole, intraprese, cioè, all’esclusivo fine di

arrecare pregiudizio ad altri o contro ogni legittima ed incolpevole aspettativa altrui’, sotto-

lineando l’esigenza di disancorarne gli elementi costitutivi da aspetti e valutazioni essen-

zialmente soggettivi, ricercando sicuri contorni di natura oggettiva (Cass. n. 15592 del

2000). Questa Corte ha quindi individuato una situazione legittimante l’exceptio doli gene-

ralis seu presentis nella circostanza che l’attore, nell’avvalersi di un diritto del quale preten-

de tutela giudiziale, si renda colpevole di frode, in quanto sottace, nella prospettazione del-

la fattispecie controversa, situazioni sopravvenute alla fonte negoziale del diritto fatto vale-

re ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto stesso (Cass. n. 10864 del 1999), ovve-

ro – ancora con riguardo al cd. contratto autonomo di garanzia – nel caso di richieste di pa-

gamento risultanti prima facie abusive o fraudolente (Cass. n. 3964 del 1999; n. 3552 del

1998; n. 12341 del 1992), avendo talora fatto applicazione – sia pure non esplicita – del di-

vieto di venire contra factum proprium, affermato mediante la regola della correttezza (Cass.

n. 5639 del 1984, in materia di contratto di assicurazione; Cass. n. 12405 del 2000, in tema di

dichiarazione di fallimento; Cass. n. 13190 del 2003, in materia di rapporti di lavoro; cfr. an-

che Cass. n. 15592 del 2000, anche se sembra farvi riferimento al precipuo fine di esplicita-

re le posizioni della dottrina), fermo restando il limite oggettivo della meritevolezza dell’in-

teresse perseguito ».

(24) Testualmente in tal senso Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto com-

merciale, cit., in part. p. 451 e p. 532. Ma già in precedenza l’idea che con l’exceptio doli sia

1378 CONTRATTO E IMPRESA

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dell’atto o il rigetto, anche ex officio, della domanda giudiziale vòlta a far

valere la pretesa giuridica di cui si è formalmente titolari, ma che nella so-

stanza l’ordinamento non tutela (25).

Il principio reca con sé un importante corollario, ovvero quello secon-

do cui l’exceptio doli, proprio in quanto strumento di tutela avverso con-

dotte anche solo sleali e non per forza fraudolente, costituisce un rimedio

avente natura oggettiva (26). Per quanto la Corte non si dilunghi sulle rica-

dute sistematiche di tale affermazione, ne va tratta la logica conclusione

secondo cui l’azionabilità del rimedio prescinde dalla sussistenza, in capo

al titolare del diritto vantato, di una finalità fraudolenta o dolosa, doven-

dosi a tal fine ritenere sufficiente la prova della mera conoscenza o della

conoscibilità, secondo diligenza, della contrarietà ai canoni della corret-

tezza della condotta tenuta, che è a sua volta conseguenza dell’ingiustifi-

cato persistere nella propria pretesa (27).

possibile sanzionare non solo condotte fraudolente, ma anche comportamenti meramente

sleali è ben espressa, in dottrina, da Ranieri, Eccezione di dolo generale, in Digesto, disc.

priv., sez. civ., VII, Torino, 1991, p. 311 ss., in part. p. 322.

(25) Il che è conseguenza della natura sostanziale assunta dal rimedio nel diritto vigen-

te, a differenza di quanto accadeva, in origine, nel diritto romano. In argomento v. Meruz-zi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 461, ove ulteriori riferimen-

ti, nonché, con riguardo al diritto romano, Ranieri, Exceptio temporis e replicatio doli nel

diritto dell’europa continentale, in Riv. dir. civ., 1971, I, p. 253 ss., in part. p. 265, e Talaman-ca, La bona fides nei giuristi romani: ‘leerformeln’ e valori tutelati dall’ordinamento, in Garo-

falo (a cura di), Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contem-

poranea, IV, Padova, 2003, p. 1 ss., in part. p. 39 s. e p. 145. Per le varie applicazioni dell’ex-

ceptio doli nel diritto romano v. inoltre, da ultimo, i contributi raccolti in Aa.Vv., L’eccezio-

ne di dolo generale. Diritto romano e tradizione romanistica, a cura di Garofalo, Padova, 2006,

cui si rinvia.

(26) Sul punto v. Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in

part. p. 462, ove si parla di fattispecie oggettivata. In termini analoghi si esprime, in dottri-

na, anche Portale, Lezioni di diritto privato comparato, Torino, 2001, p. 156, per il quale

l’exceptio doli « può essere opposta pure in base a sole circostanze oggettive, dalle quali ri-

sulta che nel caso concreto l’esercizio del diritto dà luogo a situazioni contrastanti con l’e-

quità, a prescindere da qualsiasi elemento soggettivo ».

(27) In dottrina v. in tal senso il già cit. Pellizzi, Exceptio doli (diritto civile), p. 1077, ove

ulteriori riferimenti. In giurisprudenza va segnalata la sentenza di Cass., 11 dicembre 2000,

n. 15592, in Giust. civ., 2000, I, p. 2439 ss., con nota di Costanza, Brevi note per non abusare

dell’abuso del diritto; in Giur. it., 2001, c. 1887 ss., con note di Giusti, Impugnative di bilan-

cio ed exceptio doli, ed di Bergamo, Abuso del diritto e impugnativa del bilancio; in Foro it.,

2001, I, c. 3274 ss.; in Riv. dir. comm., 2001, II, p. 197 ss., con nota di Astone, Impugnativa di

bilancio e divieto di venire contra factum proprium, precedente peraltro esplicitamente ri-

chiamato dalla stessa S.C., che scompone la nozione di exceptio doli nelle due direttrici del

divieto di venire contra factum proprium e della negazione di tutela giuridica « al soggetto

DIBATTITI 1379

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Altro principio sancito dalla Cassazione, sia pure implicitamente, attie-

ne al fondamento dell’exceptio doli, ed è desumible dalla tecnica argomen-

tativa utilizzata. Nella propria motivazione la Corte, infatti, analizza i pre-

cedenti giurisprudenziali in materia e desume da essi, con logica tipica-

mente induttiva, l’esistenza dell’exceptio doli come regola generale. Tale

modus operandi postula l’accoglimento della tesi, altrove prospettata, se-

condo cui l’exceptio doli costituisce una clausola generale di creazione

giurisprudenziale (28).

La Corte si astiene infatti, come meglio si vedrà nel successivo para-

grafo, dal prendere espressa posizione sul fondamento sistematico dell’ex-

ceptio doli, evitando ogni riferimento non solo alle fattispecie tipizzate dal

legislatore, ma anche alle norme che codificano la clausola generale della

buona fede (29). Con logica autogiustificativa i giudici di legittimità pon-

gono a fondamento dell’istituto unicamente la propria giurisprudenza e i

principi di diritto ivi richiamati.

L’analisi giurisprudenziale legittima tale approccio. L’esame dei prece-

denti conferma che i giudici fanno espresso ricorso all’exceptio doli, anche

al di fuori delle ipotesi codificate, in una serie ormai tipizzata di fattispe-

cie quali il contratto autonomo di garanzia, il credito documentario e la fi-

deiussione omnibus (30). A ciò si aggiunge un diffuso utilizzo del rimedio

che intenda trarre vantaggio da un suo precedente comportamento scorretto » (e non, quin-

di, dalla sua condotta fraudolenta o dal suo maleficio).

Va da sé che, in termini operativi, il problema investe il profilo probatorio, con riguar-

do al quale si rinvia, per brevità, a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto com-

merciale, cit., p. 462, in part. in nota 103, ove ulteriori riferimenti bibliografici.

(28) Il riferimento è, ancora una volta, a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al di-

ritto commerciale, cit., p. 460.

(29) Sulle norme riconducibili alla ratio sottesa all’istituto dell’exceptio doli v. per tutti,

in dottrina, le elencazioni fornite da Carraro, Valore attuale della massima ‘fraus omnia

corrumpit’, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1949, p. 782 ss., in part. p. 785 s.; Pellizzi, Exceptio do-

li (diritto civile), cit., p. 1079 s.; Galgano, Mancata esecuzione del ‘transfert’ ed esercizio dei

diritti sociali nel trasferimento per girata delle azioni nominative, in Riv. dir. civ., 1962, II, p.

400 ss., in part. p. 417; Torrente, Eccezione di dolo, in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, p. 218

ss., in part. p. 219; Nanni, L’uso giurisprudenziale dell’exceptio doli generalis, in questa rivista,

1986, p. 197 ss., in part. p. 207 s.; Ranieri, Eccezione di dolo generale, cit., p. 322.

(30) Per la ricostruzione dei relativi orientamenti v. ancora Meruzzi, L’exceptio doli dal

diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 465 ss., ove ulteriori riferimenti. Con riferimento

al contratto autonomo di garanzia, unica tra la fattispecie tipizzate ad essere espressamente

menzionata dalla Corte, vengono richiamati i precedenti di Cass., 18 novembre 1992, n.

12341, in Giust. civ., 1993, I, p. 1535 ss., con nota di Costanza, Contratto di garanzia e dirit-

ti di regresso della banca controgarante; in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, p. 284 ss.; Cass., 6

aprile 1998, n. 3552, in Giur. it., 1999, c. 502 ss., con nota di Barbieri, La polizza fideiussoria

tra normativa tipica e prassi contrattuale; in Banca, borsa, tit. cred., 2001, II, p. 667 ss.;

1380 CONTRATTO E IMPRESA

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tramite la sua applicazione talora palese, più spesso occulta, anche in casi

ulteriori e diversi, soprattutto in ambito societario (31).

È proprio sulle fattispecie giurisprudenziali non tipizzate che si con-

centra la Cassazione quando rinvia alle sentenze n. 5639 del 1984 (32), n.

12405 del 2000 (33), n. 15592 del 2000 (34) e n. 13190 del 2003 (35).

Cass., 21 aprile 1999, n. 3964, in Arch. civ., 2000, p. 222; Cass., 1° ottobre 1999, n. 10864, in

Corriere giur., 1999, p. 1463 ss.; in Contratti, 2000, p. 139 ss., con nota di Lamanuzzi, Fi-

deiussione e contratto autonomo di garanzia. In argomento v. da ultimo, in dottrina, Baril-là, Contratto autonomo di garanzia e Garantienertrag, Frankfurt, 2004, in part. p. 109 ss.

(31) Non a caso la prima pronuncia di legittimità che, al di fuori delle fattispecie tipizzate,

riconosce esplicitamente l’ammissibilità dell’exceptio doli, sia pure in obiter, matura in ambi-

to societario. Si tratta del precedente di Cass., 12 ottobre 1994, n. 8332, in Società, 1995, p. 175

ss., con nota di Fabrizio, Nessun limite alla richiesta di estratti del libro soci, con cui la Cassa-

zione ha ammesso la possibilità di neutralizzare, tramite l’exceptio, il diritto ad ottenere copia

integrale della documentazione contenuta nel libro soci qualora, per le modalità di suo eser-

cizio, integri una condotta emulativa, ovvero tale da esulare completamente dalle finalità di

informazione dei soci sottese al diritto di ispezione riconosciuto dall’art. 2422 c.c.

Per un esame delle singole ipotesi, in base alla distinzione tra applicazioni palesi ed oc-

culte, v. Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 476 ss., non-

ché p. 490 ss. con riferimento alle applicazioni in materia societaria, in part. p. 491 in nota

157 per quanto concerne la sentenza n. 8332 del 1994. Una più ampia trattazione della ma-

teria, suddivisa per aree tematiche e settori ordinamentali, è ora offerta dai numerosi con-

tributi raccolti in Aa.Vv., L’eccezione di dolo generale. Applicazioni giurisprudenziali e tecni-

che dottrinali, a cura di Garofalo, Padova, 2006.

(32) Cass., 8 novembre 1984, n. 5639, in Foro it., 1985, I, c. 2050 ss., con nota redaziona-

le di Paganelli; in Resp. civ. prev., 1985, p. 376 ss.; in Giur. it., 1985, I, 1, c. 436 ss., che ha am-

messo l’applicazione dell’art. 1460 c.c. anche alla fattispecie prevista dall’art. 1901 ult. cpv.

c.c., considerata espressione particolare dell’istituto dell’eccezione di inadempimento, con

la conseguenza che, in caso di mancato pagamento dei premi, l’assicuratore non può invo-

care tale disposizione in violazione della buona fede.

(33) Cass., 19 settembre 2000, n. 12405, in Foro it., 2001, I, c. 2326 ss., con nota redazio-

nale di Silvestri, per la quale se l’insolvenza dell’impresa è determinata dall’unico suo cre-

ditore, che con la propria condotta ha impedito all’imprenditore insolvente di realizzare

quanto necessario per far fronte al debito, il creditore non è legittimato a proporre istanza

di fallimento e, se accolta, la relativa procedura dev’essere revocata.

(34) Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592, cit., riferita al ben noto tema dell’ammissibilità

dell’exceptio doli in sede di impugnativa di bilancio. Secondo la massima ufficiale la pro-

nuncia costituisce un’applicazione negativa del divieto di venire contra factum proprium, da-

to che per i giudici di legittimità l’amministratore che abbia concorso ad approvare il pro-

getto di bilancio è comunque legittimato, nella sua diversa qualità di socio, ad impugnarne

la delibera assembleare di approvazione. La ratio decidendi effettiva della sentenza va tutta-

via ridimensionata, nel senso che è ivi espresso il principio per cui non costituisce di per sè

abuso del diritto, sub specie di violazione del divieto di venire contra factum proprium, il fat-

to che la medesima persona che ha concorso, come amministratore di una società, all’ap-

DIBATTITI 1381

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Nella logica seguita dalla Corte il richiamo a precedenti non ricondu-

cibili a fattispecie tipizzate avvalora e conferma l’idea che l’exceptio doli è

istituto la cui esistenza prescinde da ogni norma codificata. Tuttavia pro-

prio l’assenza di un fondamento normativo solleva il problema in ordine

al presupposto della sua operatività. L’unica risposta sistematicamente ac-

cettabile a tale interrogativo consiste nell’affermarne l’esistenza quale

clausola generale di origine giurisprudenziale, che opera nel sistema a

prescindere da ogni riferimento normativo e dalle scelte operate, in mate-

ria, dal legislatore del 1942 (36). Tramite l’exceptio doli viene attribuito al

giudice un potere di sindacato sul concreto esercizio dei diritti soggettivi,

diretto a verificarne la congruità con i valori fondamentali espressi dall’or-

dinamento e con le finalità insite nel loro normale esercizio (37).

La conclusione non deve stupire, né a ben vedere è così eversiva come

a prima vista appare. È ormai largamente diffusa e condivisa l’idea che,

pur nel quadro di una concezione giuspositivistica del diritto, sebbene

non dogmatica, al giudice va riconosciuto un ruolo creativo analogo a

quello svolto dal legislatore (38).

provazione del bilancio di esercizio proceda poi alla sua impugnazione come socio della so-

cietà medesima, qualora non sia data l’ulteriore prova della violazione, da parte sua, del cri-

terio di correttezza; prova che, ricorrendone i presupposti, può essere sempre fornita. Per

più ampio sviluppo si rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commercia-

le, cit., p. 495 ss., in part. p. 497. In argomento v. inoltre Portale, Impugnative di bilancio ed

exceptio doli, in Giur. comm., 1982, I, p. 407 ss., in part. p. 418.

(35) Cass., sez. lav., 9 settembre 2003, n. 13190, in Guida al dir., 38/2003, p. 62 ss., per la

quale la violazione, da parte del datore di lavoro, del principio di immediatezza nella conte-

stazione dell’addebito disciplinare a carico del dipendente comporta il venir meno della fa-

coltà di far valere l’illecito da costui commesso, in virtù della necessità di tutelare l’affidamen-

to del lavoratore, generato dalla situazione di inerzia, circa lo scarso rilievo dell’infrazione.

(36) Si tratta dell’ipotesi di lavoro espressamente enunciata in Meruzzi, L’exceptio doli

dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. XII.

(37) In tal senso, a conclusione dell’esame svolto, Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto ci-

vile al diritto commerciale, cit., p. 460, cui si rinvia per più ampia trattazione.

(38) Il tema è già stato ampiamente sviluppato, con riguardo ai profili che qui interessa-

no, in Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 55 ss. Tra i nu-

merosi apporti della dottrina meritano in questa sede di essere ricordati i contributi di Bi-giavi, Appunti sul Diritto giudiziario, 1933, rist., Padova, 1989, in part. p. 51 ss. e p. 135; Bet-ti, Teoria generale della interpretazione, Milano, 1955, rist., Milano, 1990, II, in part. p. 858

ss.; Lombardi Vallauri, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1975, in part. p. 372

ss.; Galgano, Giurisdizione e giurisprudenza in materia civile, in questa rivista, 1985, p. 29

ss., in part. p. 33 s.; Marinelli, Ermeutica giudiziaria, Milano, in part. p. 183; Id., “Dire il di-

ritto”. La formazione del giudizio, Milano, 2002; Luzzati, L’interprete e il legislatore, Milano,

1999; Taruffo, Legalità e giustificazione della creazione giudiziaria del diritto, in Riv. trim.

dir. proc. civ., 2001, p. 11 ss., in part. p. 11 e p. 22.

1382 CONTRATTO E IMPRESA

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Altrettanto condivisa è l’idea che nei sistemi giuridici contemporanei

gli standards valutativi, e le clausole generali in particolare, assumono un

ruolo sempre crescente come consapevole tecnica normativa e come stru-

mento operativo per la soluzione delle controversie (39).

Nulla quindi impedisce, in tale contesto sistematico, di riconoscere

che il giudice, nella propria attività, può desumere l’esistenza, dal com-

Tra gli scritti più recenti v. inoltre Lipari, Per una revisione della disciplina sull’interpre-

tazione e sull’integrazione del contratto?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, p. 711 ss., in part. p.

712 s.; Zaccaria, Il giudice e l’interpretazione, in Pol. dir., 2006, p. 461 ss., in part. p. 467 s.,

per il quale « il diritto giurisdizionale configura perciò senza alcun dubbio un’attività pro-

duttiva di diritto », nel senso che « tale creazione di diritto rappresenta l’esito di un’attività

riferita alle norme legislative e da esse derivata », con la conseguenza che « la creatività del

giudice rappresenta . . . uno strumento necessario per consentire alla creatività del legislato-

re, che si colloca su di un piano strutturalmente diverso, . . . di attuarsi sotto il profilo nor-

mativo. . . . Pretendere di eliminare surrettiziamente qualsiasi momento creativo in sede

giurisdizionale finirebbe, paradossalmente, con l’occultare quegli inevitabili interventi di

perfezionamento giudiziale della norma che occorre invece mettere pienamente in luce al

di là di qualsiasi artificio retorico, in modo da consentire un loro effettivo controllo »; Ror-dorf, Stare decisis: osservazioni sul valore del precedente giudiziario nell’ordinamento italia-

no, in Foro it., 2006, V, c. 279 ss., in part. c. 280, ove il rilievo che è « impossibile non rico-

noscere anche nel nostro sistema una funzione creativa della giurisprudenza, quanto meno

– ma non solo – in tutti i campi nei quali il legislatore opera attraverso clausole generali (o

norme elastiche), per ciò stesso suggerendo che sia l’interprete a specificare di volta in vol-

ta il contenuto del precetto legale che deve essere attinto dal patrimonio dei valori sociali ».

(39) Si tratta di fenomeno ormai da tempo avvertito ed analizzato dalla dottrina, a par-

tire dai contributi di Rodotà, Ideologie e tecniche nella riforma del diritto civile, in Riv. dir.

comm., 1967, I, p. 83 ss., in part. p. 89 s.; Id., Il tempo delle clausole generali, in Busnelli (a

cura di), Il principio di buona fede, Milano, 1987, p. 247 ss., in part. p. 253, cui adde, tra i più

recenti contributi, Confortini, Brevi note sul principio di effettività e la giurisprudenza come

fonte del diritto, in Studi in onore di P. Rescigno, I, Milano, 1998, p. 309 ss., in part. p. 314, e

Fois, Le clausole generali e l’autonomia statutaria nella riforma del sistema societario, in

Giur. comm., 2001, I, p. 421 ss., in part. p. 432. Con riguardo al ruolo delle clausole generali

nell’interpretazione v. da ultimo, in prospettiva de iure condendo, Lipari, Per una revisione

della disciplina sull’interpretazione e sull’integrazione del contratto?, cit., in part. p. 724 ss. Per

una più accurata trattazione delle varie probematiche sollevate dal ricorso a tali norme si

rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in part. p. 31 ss.

Una conferma del ruolo crescente assunto dalle clausole generali nel diritto privato,

anche in ambito comunitario, si trae dalla lettura del Libro verde della Commissione Europea

sulla Revisione dell’acquis relativo ai consumatori, in G.U.C.E. C 61, 15 marzo 2007, p. 1 ss.,

in part. p. 7 e 11, che, nel definire le direttrici di ammodernamento e razionalizzazione del-

la disciplina comunitaria a tutela dei consumatori, inserisce tra i quesiti oggetto di pubblica

consultazione anche quello in ordine all’opportunità o meno di prevedere una clausola ge-

nerale di buona fede quale generale criterio di condotta cui attenersi in sede di conclusione

ed interpretazione del contratto.

DIBATTITI 1383

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plesso del sistema giuridico, non solo di principi, come ammesso espres-

samente dalla legge (art. 12 cpv. prel.), ma anche di clausole generali, la

cui ammissibilità ha come unico limite la loro coerenza con le norme vi-

genti e con gli stessi principi generali del diritto.

Le clausole generali di origine giurisprudenziale consentono al giudi-

ce, alla pari di quelle codificate, di introdurre nell’ordinamento giuridico

regole operative attinte dal complesso dei valori economico-sociali condi-

visi in un determinato momento storico, la cui coerenza con le norme

analitiche e con i valori fondanti del sistema è salvaguardata dalla possibi-

lità di sindacato, da parte della Cassazione, per violazione o falsa applica-

zione di norme di diritto ex n. 3 art. 360 c.p.c., come riconosciuto dalla

stessa giurisprudenza di legittimità (40).

(40) In tal senso Cass., sez. lav., 18 gennaio 1999, n. 434, in Foro it., 1999, I, c. 1891 ss.,

con note di E. Fabiani, Sindacato della Corte di cassazione sulle norme elastiche e giusta cau-

sa di licenziamento, e di De Cristofaro, Sindacato di legittimità sull’applicazione dei « con-

cetti giuridici indeterminati » e decisione immediata della causa nel merito; in Giust. civ., 1999,

I, p. 667 ss., con nota di Giacalone, Dalla certezza del diritto alla « civiltà del lavoro »: un li-

cenziamento in tronco da parte della Corte di cassazione? ; in Corriere giur., 1999, p. 718 ss.,

con nota di Recchioni, Norme “elastiche”, standards valutativi e sindacato di legittimità del-

la Corte di cassazione; Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 441 ss., con nota di Bove, Il sindacato del-

la Corte di cassazione in relazione all’applicazione del concetto di giusta causa di licenziamen-

to; Cass., sez. lav., 22 ottobre 1998, n. 10514, in Foro it., 1999, I, c. 1891 ss., cit.; Cass., sez.

lav., 13 aprile 1999, n. 3645, in Foro it., 1999, I, c. 3558 ss., con nota di E. Fabiani, Norme ela-

stiche, concetti giuridici indeterminati, clausole generali, « standards » valutativi e principî ge-

nerali dell’ordinamento; Cass., sez. lav., 22 aprile 2000, n. 5299; Cass., sez. lav., 8 maggio

2000, n. 5822; Cass., sez. lav., 21 novembre 2000, n. 15004; Cass., sez. lav., 3 agosto 2001, n.

10750; Cass., sez. lav., 15 novembre 2001, n. 14229, tutte pubblicate in Foro it., 2003, I, c.

1845 ss., con nota di E. Fabiani, Orientamenti della Cassazione sul controllo delle clausole ge-

nerali, con particolare riguardo alla giusta causa di licenziamento; Cass., sez. lav., 4 maggio

2002, n. 6420, in Foro it., 2002, I, c. 2378 ss.; Cass., sez. lav., 26 luglio 2002, n. 11109, in Mass.

Foro it., 2002; Cass., sez. lav., 22 agosto 2002, n. 12414, in Mass. Foro it., 2002; Cass., sez.

lav., 3 settembre 2003, n. 12483, in Foro it., 2004, I, c. 1174 ss., con nota redazionale adesiva

di E. Fabiani; Cass., 17 agosto 2004, n. 16037, in Giust. civ., 2005, I, p. 2085 ss.; Cass., 2 no-

vembre 2005, n. 21213, in Mass. Foro it., 2005, c. 1926 s. Con tali precedenti la giurispru-

denza di legittimità accoglie le soluzioni proposte, già agli inizi degli anni ’80 dello scorso

secolo in base ad un’analisi storico-evolutiva della giurisprudenza in materia, da Roselli, Ilcontrollo della Cassazione civile sull’uso delle clausole generali, Napoli, 1983, passim, in part.

p. 187. In argomento v. inoltre Galgano, L’efficacia vincolante del precedente di Cassazione,

in questa rivista, 1999, p. 889 ss.; E. Fabiani, Clausole generali e sindacato della Cassazione,

Torino, 2003, in part. p. 1 ss. e 54 ss.; Id., Il sindacato della Corte di Cassazione sulle clauso-

le generali, in Riv. dir. civ., 2004, II, p. 581 ss., in part. p. 602 ss. e 610 ss.; Meruzzi, L’excep-

tio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., in part. p. 52 s. e p. 130 ss., cui si rinvia per

più ampia trattazione.

1384 CONTRATTO E IMPRESA

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La sentenza n. 5273 del 2007 sancisce, infine, il riconoscimento del di-

vieto di venire contra factum proprium e la sua riconduzione nell’alveo si-

stematico dell’exceptio doli. Di per sé la configurabilità del divieto di veni-

re contra factum proprium come regola implicita del diritto privato non co-

stituisce certo una novità. La riconosce ormai da tempo la dottrina, che

negli studi più recenti si preoccupa di definirne i contorni sistematici e le

condizioni d’uso (41). Sempre più frequente è il suo uso da parte della giu-

risprudenza, sia di legittimità che di merito, talora in forma esplicita (42),

più spesso applicandone, in forma occulta, la ratio sostanziale (43).

(41) A tale finalità sono dedicati, in particolare, i contributi di Astone, Venire contra fac-

tum proprium, Napoli, 2006, e Festi, Il divieto di “venire contro il fatto proprio”, Milano, 2007,

cui si rinvia per una più ampia trattazione.

(42) In particolare in ambito comunitario, come conferma la sentenza di Corte giust.

Ce, 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage Ltd c. Crehan, in Raccolta, 2001, I, p. 6297

ss.; Foro it., 2002, I, c. 75 ss., con note di Palmieri-Pardolesi, Intesa illecita e risarcimento a

favore di una parte: « chi è causa del suo mal . . . si lagni e chieda i danni », Sconditti, Danni

da intesa anticoncorrenziale per una delle parti dell’accordo: il punto di vista del giudice italia-

no, e Gius. Rossi, «Take Courage »! La Corte di giustizia apre nuove frontiere per la risarcibi-

lità del danno da illeciti antitrust; in Danno resp., 2001, p. 1151 ss., con nota di Bastianon,

Intesa illecita e risarcimento del danno a favore della parte debole; in Riv. dir. int., 2001, p.

1133 ss.; in Corriere giur., 2002, p. 454 ss., con nota di Colangelo, Intese obtorto collo e ri-

sarcibilità del danno: le improbabili acrobazie dell’antitrust comunitario; in Resp. civ. prev.,

2002, p. 668 ss., con nota di Tonelli, Intesa antitrust e risarcimento del danno; in Europa dir.

priv., 2002, p. 785 ss., con nota di Di Majo, Il risarcimento da inadempimento del contratto,

con cui la Corte ha esplicitamente riconosciuto che il divieto di venire contra factum pro-

prium costituisce principio generale del diritto comunitario.

(43) Oltre alle già cit. sentenze di Cass., 8 novembre 1984, n. 5639; Cass., 19 settembre

2000, n. 12405; Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592 e Cass., sez. lav., 9 settembre 2003, n.

13190, vanno qui ricordati i precedenti di Trib. Milano, 3 gennaio 2000, in Banca, borsa, tit.

cred., 2001, II, p. 608 ss., con nota di De Luca, Estinzione della fideiussione ex art. 1955 c.c.

e ritardo sleale nell’esercizio del diritto; Cass., 25 luglio 2000, n. 9728, in Mass. Foro it., 2000,

c. 920 s.; Cass., 6 giugno 2002, n. 8222, in Danno resp., 2002, p. 941 ss., con nota di Cuocci,Leasing finanziario e vizi occulti della cosa; in Nuova giur. civ. comm., 2003, I, p. 435 ss., con

nota di Chindemi, Leasing di autovettura non immatricolata: diritti ed obblighi delle parti,

che fanno ricorso al medio sistematico della buona fede oggettiva. In altre e più numerose

ipotesi la giurisprudenza prescinde dal riferimento a tale clausola generale, come confer-

mano i precedenti di Cass., 29 settembre 2000, n. 12953, in Contratti, 2001, p. 244 ss., con

nota di Romeo, Vendita di cosa altrui: la responsabilità del venditore; Cass., 23 febbraio 2001,

n. 2661, in Foro it., 2001, I, c. 3254 ss., con nota redazionale di Mastrorilli; Cass., sez. lav., 26

maggio 2003, n. 8363, in Mass. Foro it., 2003; Cass., 16 luglio 2003, n. 11149, in Danno resp.,

2004, p. 42 ss., con nota di Foffa, Opera non eseguita a regola d’arte ma accettata dal com-

mittente: esclusa la responsabilità dell’appaltatore; Cass., 20 novembre 2003, n. 17607, in

Guida dir., 49/2003, p. 31 ss.; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3403, in Mass. Foro it., 2004, ai qua-

li va aggiunta la giurisprudenza in tema di rinuncia tacita o acquiescenza e di prescrizione.

DIBATTITI 1385

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Il profilo di novità consiste, in realtà, nel riconoscimento esplicito che

il divieto di venire contra factum proprium è, per l’appunto, parte integran-

te dell’exceptio doli, di cui costituisce una della più rilevanti manifestazio-

ni. Il che legittima, negli argomenti della Corte, il ricorso alle sue ipotesi

di applicazione occulta e non tipizzate proprio per giustificare l’ammissi-

bilità dell’exceptio doli quale rimedio generale.

4. – Il problema, apparentemente non risolto, del fondamento sistematico

dell’exceptio doli

Pur enunciando compiutamente i termini del problema la Corte si

astiene, almeno formalmente, dal prendere posizione in ordine alla que-

stione del fondamento sistematico dell’exceptio doli.

Non deve stupire, e va sicuramente condivisa, la scelta dei giudici di

legittimità di affrontare la problematica dell’exceptio doli esclusivamente

« per quanto qui interessa », ovvero senza entrare nel dettaglio di una que-

stione sistematica non rilevante in relazione alla concreta fattispecie e,

quindi, non utile ai fini della decisione. Si tratta di atteggiamento rispetto-

so della coerenza tra contenuto della motivazione e caso deciso, e in linea

con quell’esigenza di self-restraint dell’organo giudicante che costituisce

uno dei principali fattori di autorevolezza del precedente (44).

Per più ampio esame di tali fattispecie si rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al

diritto commerciale, cit., in part. p. 479 ss. e p. 484 ss. Distingue a sua volta, nell’esame delle

numerose fattispecie dottrinali e giurisprudenziali, tra ipotesi riconducibili alla buona fede

oggettiva ed ipotesi estranee a tale clausola generale Festi, Il divieto di “venire contro il fat-

to proprio”, cit., p. 109 ss. e p. 183 ss.

Tra la giurisprudenza più recente si segnala, inoltre, Cass., 13 dicembre 2005, n. 27405,

in Giur. it., 2006, c. 2264 ss., con nota redazionale di Mondini; in Nuova giur. civ. comm.,

2006, I, p. 976 ss., con nota di Moscati, Osservazioni in tema di imputazione dei pagamenti,

in materia di acquiescenza all’imputazione di pagamento effettuata dal creditore; Cass., 20

dicembre 2005, n. 28243, in Società, 2006, p. 1505 ss., con nota di Balzarini, Effetti della de-

libera di approvazione del bilancio sui compensi autoattribuiti degli amministratori, sulla rati-

fica tacita delle delibere consiliari aventi ad oggetto la determinazione dei compensi degli

amministratori; Cass., 2 maggio 2006, n. 10120, in Mass. Foro it., 2006, c. 847, sul decorso

dei termini di decadenza in pendenza di trattative.

(44) In argomento v. per tutti le riflessioni svolte da Bin, Funzione uniformatrice della Cas-

sazione e valore del precedente giudiziario, in questa rivista, 1988, p. 545 ss., in part. p. 548, da

Visalli, La logica del giudice e la funzione uniformatrice della Cassazione, in Riv. dir. civ., 1998,

I, p. 705 ss., in part. p. 724, e da Vacca, Casistica e sistema nel diritto giurisprudenziale. Alcune

riflessioni con riferimento al ‘metodo’ dei giuristi romani, in Europa e dir. priv., 2003, p. 325 ss., in

part. p. 340, che evidenzia la carenza, da parte dei giuristi continentali, nell’uso razionale dei

precedenti ai fini di uno stretto collegamento dei principi di diritto al caso concreto.

1386 CONTRATTO E IMPRESA

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Resta tuttavia ferma la constatazione che la sentenza n. 5273 del 2007

non risolve uno dei nodi fondamentali in tema di exceptio doli, quello

concernente, per l’appunto, il suo fondamento sistematico; problema che,

a sua volta, è connesso all’individuazione della funzione svolta da tale ri-

medio nel sistema del diritto privato.

Per radicata tradizione giuridica la questione è strettamente legata alla

buona fede oggettiva e al divieto di abuso del diritto, nonché alle funzio-

ni a loro volta assunte da tali istituti.

Parte della dottrina riconduce infatti l’exceptio doli alla buona fede og-

gettiva, rispetto alla quale costituirebbe uno dei rimedi, in sostituzione o

in aggiunta al risarcimento del danno, utilizzabili per reprimere le condot-

te contrarie alle regole di correttezza (45).

Altra parte considera invece l’exceptio doli come la manifestazione, in

termini operativi, del divieto di abuso del diritto, istituto con riferimento

al quale si assiste, a sua volta, ad una concettualizzazione promiscua, in

cui non è chiaro il profilo distintivo rispetto alla stessa buona fede ogget-

tiva (46).

(45) In tal senso già Barassi, La teoria generale delle obbligazioni. III. L’attuazione, Mila-

no, 1948, p. 13, poi seguito da Carraro, Valore attuale della massima « fraus omnia corrum-

pit », cit., p. 793 s.; Pellizzi, Exceptio doli (diritto civile), cit., p. 1075; Natoli, L’attuazione

del rapporto obbligatorio e la valutazione del comportamento delle parti secondo le regole del-

la correttezza, in Banca, borsa, tit. cred., 1961, I, p. 157 ss., in part. p. 169 s.; Id., L’attuazione

del rapporto obbligatorio, I, in Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 1974, p. 38 s.; Torren-te, Eccezione di dolo, cit., p. 221; Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto civile, in Digesto, di-

sc. priv., sez. civ., II, Torino, 1988, p. 154 ss., in part. p. 173; Franzoni, Degli effetti del con-

tratto, II, in Comm. Schlesinger (artt. 1374-1381), Milano, 1999, p. 252.

Ripropone da ultimo tale visione sistematica Festi, Il divieto di “venire contro il fatto

proprio”, cit., p. 109 ss., giustificandola con il rilievo che la tesi andrebbe preferita alle altre

suggerite in dottrina in quanto, « a differenza di queste, risulta compatibile con il nostro si-

stema » (p. 109). Analoghe conclusioni in Astone, Venire contra factum proprium, cit., in

part. p. 237 ss., che, pur negando l’esistenza di un generale principio di non contraddizione,

nel cui ambito andrebbe ascritto il divieto di venire contra factum proprium, ritiene che la ra-

tio ad esso sottostante operi tramite l’applicazione delle clausole generali e, in particolare,

la buona fede contrattuale.

(46) Per tale opinione v. in part. Nanni, L’uso giurisprudenziale dell’exceptio doli genera-

lis, cit., p. 211 ss. Sul collegamento tra divieto d’abuso ed exceptio doli, e sull’analogia di

funzione assunta da tali istituti, si diffonde anche Festi, Il divieto di “venire contro il fatto

proprio”, cit., p. 92 ss., secondo il quale l’exceptio doli rappresenterebbe « la descrizione in

termini processuali del rimedio collegato all’abuso del diritto » (p. 94). Sul fondamento del

divieto di abuso v. ex multis, con diversità talora sensibili di impostazione, Gambaro, Abu-

so del diritto. II) Diritto comparato e straniero, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, p. 1 ss.,

in part. p. 2; S. Patti, Abuso del diritto, in Digesto, disc. priv., sez. civ., I, Torino, 1989, p. 1 ss.,

in part. p. 6 s.; Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, p. 205 ss., ora riedito in

DIBATTITI 1387

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Proprio la carenza di definizione dei contorni sistematici e degli ele-

menti distintivi tra buona fede e abuso del diritto hanno indotto parte del-

la dottrina a rinvenire il fondamento dell’exceptio doli nel congiunto ope-

rare di tali istituti (47). In realtà nessuna di tali ricostruzioni può essere ac-

cettata né sotto il profilo sistematico né in termini operativi, in quanto so-

no tutte caratterizzate, nel loro complesso, da un medesimo vizio, ovvero

dall’appiattimento dell’exceptio doli su istituti ben distinti tra loro, rispetto

ai quali essa si pone in un rapporto sì di complementarietà, ma non certo

di riassorbimento (48).

Per quanto attiene all’aspetto sistematico si è altrove dimostrata, in pri-

mo luogo, la diversa origine storica dell’exceptio doli rispetto alla buona fe-

de oggettiva e al divieto di abuso (49). A tale rilievo, di per sé non dirimente,

si aggiunge la considerazione che qualificare l’exceptio doli come una mera

appendice operativa della buona fede oggettiva vuol dire limitarne l’ambito

di applicazione al diritto delle obbligazioni e dei contratti (50). D’altro canto

Id., L’abuso del diritto, Bologna, 1998, in part. p. 21; Busnelli-Navarretta, Abuso del diritto e

responsabilità civile, in Diritto privato, 1997 (III), p. 171 ss., in part. p. 181 s. e p. 210 s.; Brec-cia, L’abuso del diritto, in Diritto privato, 1997 (III), p. 5 ss., in part. pp. 13 e 17; Martines, Teo-

rie e prassi sull’abuso del diritto, Padova, 2006, in part. p. 73 ss. Per una più ampia trattazione

si rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 348 ss.

Rare sono le pronunce che riconducono l’exceptio doli al solo divieto di abuso. Tra es-

se si segnalano Trib. Torino, 13 giugno 1983, in Resp. civ. prev., 1983, p. 815 ss., con nota re-

dazionale di Gambaro, e la più volte cit. Cass., 11 dicembre 2000, n. 15592.

(47) Giunge in particolare a tale conclusione, con specifico riferimento al divieto di ve-

nire contra factum proprium, Festi, Il divieto di “venire contro il fatto proprio”, cit., p. 240, per

il quale « il principio ‘nemo potest . . .’ rappresenta un’applicazione dell’obbligo di correttez-

za e del divieto di abuso del diritto, consistendo nel dovere di un soggetto di non tenere un

comportamento incoerente, cioè, in sleale contraddizione con la propria precedente con-

dotta, in ambito contrattuale e precontrattuale ». Con il che si ripropone, con riferimento al

divieto di abuso, lo stesso limite sistematico cui si farà subito cenno nel testo in tema di ex-

ceptio doli, ovvero la limitazione dell’ambito di operatività del rimedio al solo campo del di-

ritto delle obbligazioni e dei contratti, in palese contrasto, peraltro, con quanto elaborato

dalla giurisprudenza in materia.

(48) Assume atteggiamento critico verso l’appiattimento strutturale dell’exceptio doli

sulle norme degli artt. 1175 e 1375 c.c. anche Dolmetta, Exceptio doli generalis, in Banca,

borsa, tit. cred., 1998, I, p. 147 ss., in part. p. 175 e p. 177, che all’opposto ritiene che esse

« neppure possono costituire la base di partenza per poter avviare una corretta dimostrazio-

ne della vigenza, nell’attuale sistema, del nostro istituto ».

(49) Si rinvia, sul punto, all’ampia analisi svolta in Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto ci-

vile al diritto commerciale, cit., in part. p. 149 ss. sulla buona fede oggettiva, p. 323 ss. sul di-

vieto di abuso, p. 429 ss. in tema di exceptio doli.

(50) Si tratta di aspetto già segnalato in Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al dirit-

to commerciale, cit., p. 456 ss., ed ulteriormente suffragato proprio dalle già viste conclusio-

1388 CONTRATTO E IMPRESA

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il divieto di abuso del diritto costituisce, rispetto all’exceptio doli, un rime-

dio più elastico e flessibile, mentre a sua volta il ricorso ad essa non im-

plica necessariamente l’esistenza di un abuso (51).

Tali considerazioni sono confermate, sotto il profilo operativo, dall’a-

nalisi della giurisprudenza, la quale evidenzia il ricorso all’exceptio doli, sia

pure tramite sue applicazioni occulte, in ipotesi estranee all’ambito opera-

tivo tanto della buona fede oggettiva, quanto del divieto di abuso (52).

La soluzione del problema va cercata nell’individuazione del minimo

comune denominatore che lega tra loro buona fede oggettiva, abuso del

diritto ed exceptio doli, intesi come rimedi distinti e complementari. Tale

comune denominatore è costituito dalla finalità perseguita per loro trami-

te, ovvero dall’identità funzionale che caratterizza il ricorso a tali tecniche

rimediali (53).

ni cui giunge, in piena coerenza con la tesi sostenuta, Festi, Il divieto di “venire contro il fat-

to proprio”, cit., p. 240.

(51) Di tale avviso già Pellizzi, Exceptio doli (diritto civile), cit., p. 1077. Sulla distinzio-

ne tra exceptio e divieto di abuso v. anche i rilievi svolti da Ranieri, Eccezione di dolo gene-

rale, cit., p. 326 in nota 91, e Dolmetta, Exceptio doli generalis, cit., p. 157 s. e p. 192 s., che

enfatizza, in ogni caso, l’appartenenza dei rimedi ad un medesimo genere e la loro comple-

mentarietà.

(52) V. in part. Trib. Torino, 13 giugno 1983, cit., che applica l’exceptio doli in materia di

diritti reali e in particolare per paralizzare l’azione diretta a far dichiarare l’illiceità della con-

dotta di un soggetto che abbia costruito proprie opere su suolo parzialmente altrui; Cass., 16

marzo 1999, n. 2315, in Foro it., 1999, I, c. 1834 ss., con nota di Sconditti, «Consensus facit

filios ». I giudici, la Costituzione e l’inseminazione eterologa, ed ulteriore nota di Di Ciommo,

Fecondazione eterologa, disconoscimento di paternità e tutela del minore, in Foro it., 1999, I, c.

2918 ss.; in Giur. it., 2000, c. 275 ss., con note di Sciso, Ancora in tema di fecondazione assi-

stita eterologa e di disconoscimento della paternità, e di Caggia, Fecondazione eterologa e azio-

ne di disconoscimento di paternità intentata dal marito: un’ipotesi di abuso del diritto, seguita

da Trib. Napoli, 24 giugno 1999, in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, p. 296 ss., con nota di Bel-lini, Consenso del marito e fecondazione eterologa: il disconoscimento di paternità non è am-

missibile, che interdicono al marito che abbia assentito all’inseminazione eterologa il suc-

cessivo esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità; Cass., 28 novembre 2001, n.

15132, in Mass. Foro it., 2001, in materia di opponibilità dell’eccezione di prescrizione pre-

suntiva; Cass. pen., sez. un., 21 dicembre 2000, n. 32, in Guida al dir., 8/2001, p. 65 ss., che,

in tema di esercizio del diritto d’impugnazione della sentenza penale di condanna, ha di-

chiarato inammissibile il ricorso per cassazione manifestamente infondato e pretestuoso, fa-

cendone derivare l’impossibilità di una pronuncia di proscioglimento per intervenuta pre-

scrizione ai sensi dell’art. 129 c.p.p. A tali ipotesi poi va aggiunta l’articolata serie di prece-

denti in tema di rinuncia tacita. In argomento si rinvia a Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto

civile al diritto commerciale, cit., p. 482 ss., in part. p. 485 ss., ove ampio esame della casistica.

(53) V. in merito i rilievi già sviluppati in Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al di-

ritto commerciale, cit., p. 458 s. Propone, da ultimo, un approccio rimediale al tema dell’ex-

DIBATTITI 1389

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Nel concreto operare delle Corti la buona fede oggettiva assume la

funzione di integrare e correggere il contenuto del contratto, nonché di

creare norme giuridiche ulteriori e diverse rispetto al sistema del diritto

codificato (54).

A tali funzioni, però, se ne aggiunge e sovraordina un’altra, di stru-

mento finalizzato a razionalizzare i rapporti giuridici e a selezionare, in

coerenza con il principio causalistico, gli interessi in concreto perseguiti

dalle parti in sede di esecuzione dei rapporti obbligatori (55).

Proprio la funzione selettiva, in tal modo individuata, costituisce il co-

ceptio doli Mannino, Considerazioni sulla “strategia rimediale”: buona fede ed exceptio doli

generalis, in Europa e dir. priv., 2006, p. 1283 ss., in part. p. 1312 s. e p. 1315 s., che ne trae

peraltro la ben più limitata conclusione (su cui v. anche infra, in nota 57) secondo cui l’ex-

ceptio doli sarebbe lo strumento tecnico che legittima il ricorso alla buona fede oggettiva in

funzione correttiva del rapporto contrattuale. L’approccio al tema delle clausole generali in

termini rimediali è peraltro già sviluppato, con specifico riferimento alla buona fede con-

trattuale, da A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, in Europa e dir. priv., 2005, p. 341 ss., in

part. p. 353 s., il quale ne evidenzia l’uso, per tal via, « verso esiti che possono definirsi (an-

che) orientati a garantire più corretti effetti distributivi tra le parti » (p. 354).

(54) Si tratta delle tre funzioni (integrativa, correttiva ed eversiva) tradizionalmente

svolte dalla buona fede oggettiva e in dottrina enucleate, anche alla luce dell’esperienza te-

desca, da A. Di Majo, Clausole generali e diritto delle obbligazioni, in Riv. crit. dir. priv., 1984,

p. 539 ss., in part. p. 553 e p. 555; Id., Delle obbligazioni in generale, in Comm. c.c. Scialoja-

Branca (artt. 1173-1176), Bologna-Roma, 1988, p. 311 ss. e p. 353 s. Per più ampi riferimen-

ti in ordine ai limiti operativi, alle condizioni d’uso ed alla casistica più rilevante concer-

nente ciascuna di esse v. da ultimo Meruzzi, L’exceptio doli dal diritto civile al diritto com-

merciale, cit., in part. p. 228 ss., p. 241 ss. e p. 255 ss.

(55) Si tratta della c.d. funzione selettiva, in virtù della quale la buona fede costituisce il

mezzo di garanzia della coerenza, sotto il profilo causale, tra atti esecutivi del rapporto ob-

bligatorio ed originario progetto economico, in una logica di bilanciamento tra i contrappo-

sti interessi che di volta in volta vengono in rilievo. La funzione selettiva della buona fede

legittima in concreto, in relazione al singolo caso, un sindacato giudiziale sulla meritevo-

lezza degli atti di esercizio dei poteri e delle facoltà contrattualmente attribuite alle parti. La

sua finalità è di stabilire la legittimità o meno, nell’ambito della discrezionalità concessa,

del comportamento da esse tenuto, in relazione all’interesse perseguito. Per più ampia trat-

tazione, anche in ordine alla casistica giurisprudenziale, v. ancora Meruzzi, L’exceptio doli

dal diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 288 ss., in part. p. 292. Ad analoghe conclusio-

ni giunge, in dottrina, Uda, La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004, p. 33 s.,

che fa riferimento al criterio della meritevolezza dell’interesse perseguito con gli atti di

esercizio dei diritti che scaturiscono dal contratto per sancirne l’illegittimità quando essi

non siano teleologicamente orientati a perseguire il risultato economico originariamente

programmato, nonché A. Di Majo, Il linguaggio dei rimedi, cit., p. 354, quando, in relazio-

ne ai più recenti sviluppi della normativa comunitaria e transnazionale, afferma che « un

vero e proprio fenomeno di ‘monitoraggio’ del contratto, attraverso la buona fede e corret-

tezza, è più che evidente e marcato nelle fonti segnalate ».

1390 CONTRATTO E IMPRESA

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mune denominatore, storico e sistematico oltreché operativo, che acco-

muna buona fede oggettiva, abuso del diritto ed exceptio doli. L’exceptio

doli costituisce uno strumento con cui viene condotta un’analisi degli in-

teressi perseguiti in concreto dalle parti tramite gli atti di esercizio dei di-

ritti riconosciuti dall’ordinamento; analisi che, quando il loro esercizio è

diretto a perseguire interessi non meritevoli di tutela, porta alla reiezione

della pretesa esercitata (56).

(56) Nella più recente giurisprudenza un’ipotesi di ricorso alla buona fede in funzione

selettiva, assimilabile, sotto il profilo del potenziale risultato operativo, a un caso di appli-

cazione occulta dell’exceptio doli, può essere ravvisato nel precedente di Cass., sez. un., 28

febbraio 2007, n. 4631, in Corriere giur., 2007, p. 961 ss., con nota di Travaglino, Clausola

di regolazione del premio e buona fede oggettiva; in Nuova giur. civ. comm., 2007, I, p. 919 ss.,

con nota di Quarticelli, Contratto di assicurazione e clausola di regolazione del premio: il

punto delle Sezioni unite. Con esso le Sezioni unite hanno affermato che « la determinazio-

ne del premio nei contratti di assicurazione contro i danni, fissata convenzionalmente in

base ad elementi variabili (cosiddetta assicurazione con clausola di regolazione del premio

assicurativo), comporta che l’adempimento dell’assicurato è adempimento di un’obbliga-

zione civile diversa dalle obbligazioni indicate nell’art. 1901 c.c., e come tale deve essere va-

lutata, tenendo conto del comportamento di buona fede tenuto dalle parti nell’esecuzione

del contratto, del tempo in cui la prestazione è effettuata e dell’importanza dell’inadempi-

mento ». Si conferma quindi il principio di diritto per cui nei contratti di assicurazione con

clausola di regolazione del premio l’inadempimento, da parte dell’assicurato, del dovere di

comunicare all’assicuratore i dati variabili, necessari alla definitiva quantificazione del pre-

mio, e il conseguente mancato pagamento della parte variabile di premio, non può essere

assimilato, ai fini della sospensione dell’assicurazione ex art. 1901 c.c., al suo mancato pa-

gamento iniziale. La sentenza conferma il nuovo orientamento in materia già maturato con

il precedente di Cass., 18 febbraio 2005, n. 3370, pubblicato ex multis in Giust. civ., 2006, I,

p. 1583 ss. L’elemento di novità rispetto a quest’ultima sentenza risiede nella parziale cor-

rezione delle motivazioni sistematiche addotte dalle Sezioni unite, proprio grazie al ricorso

alla buona fede oggettiva. Nella motivazione i giudici di legittimità, partendo dal presuppo-

sto che la clausola di regolazione del premio dev’essere interpretata « come strumento di

tutela per entrambe le parti del contratto di assicurazione », affermano che, nei contratti

che prevedono tale clausola, « nel caso di eccedenza del dato variabile, il comportamento

dell’assicurato può risolversi nell’inadempimento di un obbligo convenzionalmente stabili-

to, ma esso deve essere valutato in concreto con il parametro della buona fede da lui tenu-

ta nell’esecuzione del contratto; il che è come dire che, per esprimere un giudizio di ina-

dempimento, è necessario individuare quali siano i suoi effettivi doveri giuridicamente rile-

vanti, tenendo conto anche del tempo in cui il suo comportamento doveva essere tenuto ».

In base a tale principio è stata cassata con rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Ro-

ma, che « non ha considerato il carattere autonomo dell’obbligazione di pagamento del

conguaglio del premio, il cui inadempimento non doveva essere valutato alla luce dell’art.

1901 c.c.; ma in maniera indipendente dalla disciplina in questo contenuta e secondo le re-

gole che presiedono alla valutazione dell’adempimento delle obbligazioni civili, valutando

il comportamento dell’obbligato con il metro della buona fede oggettiva, intesa come leale

DIBATTITI 1391

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L’exceptio doli legittima quindi, alla pari della buona fede e del divieto

di abuso, il sindacato del giudice sull’esercizio discrezionale dei diritti at-

tribuiti dall’ordinamento, allo scopo di verificarne la congruità con i valo-

ri fondamentali da esso espressi e con le finalità insite nel loro normale

esercizio (57).

La tesi qui esposta è succintamente ripresa dalla Corte nella motivazio-

ne della sentenza n. 5273 del 2007, come argomento sistematico alternati-

vo a quelli sopra analizzati. Tuttavia, al di là della formale neutralità assun-

ta dalla Cassazione in tema di fondamento dell’exceptio doli, essa sembra

costituire il filo conduttore delle argomentazioni svolte in sede di esame

della giurisprudenza sul divieto di venire contra factum proprium. Il ricorso

a tale divieto è infatti ammesso dai giudici di legittimità « fermo restando il

limite oggettivo della meritevolezza dell’interesse perseguito » (58).

L’applicazione del divieto di venire contra factum proprium, e più in ge-

nerale dell’exceptio doli, è quindi soggetta, a sua volta, ad un sindacato di

ed onesto comportamento che le parti devono tenere nell’esecuzione del contratto in una

valutazione equilibrata del termine dell’obbligazione e dell’interesse creditorio della Com-

pagnia di assicurazione, nel caso di pagamento ritardato ».

Negli argomenti delle Sezioni unite il ricorso alla buona fede oggettiva giustifica una

valutazione dell’inadempimento dell’assicurato in base non alla norma speciale dell’art.

1901 c.c., bensì alla regola generale dell’art. 1460 c.c. Si apre in tal modo la strada a un sin-

dacato in concreto dei contrapposti interessi perseguiti dalle parti del contratto di assicura-

zione, secondo una logica di reciproco bilanciamento. Con esso si accerta se, nel caso di

specie, il rifiuto della compagnia assicurativa ad adempiere alla propria prestazione di in-

dennizzo sia legittimo, e quindi meritevole di tutela, alla luce della condotta dell’assicura-

to, o se, all’opposto, l’eccezione di sospensione della garanzia, da questa sollevata, debba

essere respinta in quanto contraria a buona fede.

(57) Si tratta delle conclusioni già testualmente esposte in Meruzzi, L’exceptio doli dal

diritto civile al diritto commerciale, cit., p. 458 ss., ove se ne trae la conclusione che, analoga-

mente a quanto accade per il divieto di abuso, l’exceptio doli, pur avendo come naturale se-

de di applicazione il diritto delle obbligazioni e dei contratti, opera nell’intero campo del di-

ritto privato, consentendo la neutralizzazione degli effetti giuridici derivanti dai comporta-

menti fraudolenti o scorretti. Nell’ambito dei rapporti obbligatori l’exceptio è tuttavia con-

cettualmente sovrapposta e riassorbita, sotto il profilo funzionale, nel dovere di buona fede,

al quale offre un ulteriore strumento operativo per garantire adeguate forme di tutela spe-

cifica. Proprio in ambito contrattuale l’exceptio doli costituisce, anzi, il medio logico e con-

cettuale che legittima le funzioni correttiva e selettiva della buona fede ed il ricorso al ri-

medio dell’inefficacia dell’atto abusivo (p. 459 s.).

(58) Si ritiene, infatti, di dover interpretare in tal senso il summenzionato inciso finale

della frase non solo in quanto sembra essere riferito al solo divieto di venire contra factum

proprium, e non al più generale tema dell’exceptio doli, ma anche in ragione della circostan-

za che esso segue immediatamente la citazione di Cass. n. 15592 del 2000, che come sopra

visto costituisce un caso di applicazione negativa del divieto in questione.

1392 CONTRATTO E IMPRESA

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legittimità da parte del giudice. Il diritto sostanziale in tal modo vantato, a

veder rigettata una pretesa giuridica azionata con modalità fraudolente o

sleali, è legittimamente esercitato solo se vòlto a perseguire interessi me-

ritevoli di tutela. Il che costituisce la conseguenza, speculare e simmetri-

ca, del ricorso alla menzionata teoria della funzione selettiva quale fonda-

mento sistematico dell’exceptio doli.

5. – Il principio di diritto, sancito dalla Corte, dell’inopponibilità dell’excep-

tio doli alla procedura concorsuale

La regola secondo la quale il ricorso all’exceptio doli, inteso come ri-

medio sostanziale, è consentito solo se il rigetto della pretesa azionata

corrisponde a un interesse meritevole di tutela, è alla base del giudizio di

infondatezza, nel caso di specie, dell’eccezione in tal senso sollevata dalla

banca nei confronti della procedura concordataria.

In presenza di una procedura concorsuale le ragioni del singolo, pur

indotto in errore da una maliziosa reticenza posta in essere da contropar-

te durante la fase precontrattuale, cedono di fronte all’interesse, giudicato

prevalente, al rispetto della par condicio creditorum. Emerge quindi, quale

implicita ratio operativa della decisione, la necessità di effettuare una pon-

derazione tra gli interessi messi in discussione con il ricorso all’exceptio

doli.

In ultima battuta, la ratio decidendi del caso sottoposto all’esame della

Corte con la sentenza n. 5273 del 2007 è data dall’affermazione del princi-

pio per cui « l’esercizio dell’azione diretta ad ottenere l’inefficacia dei pa-

gamenti effettuati nel corso della procedura concorsuale, allo scopo di

realizzare la par condicio creditorum, e cioè di un’azione sorta a seguito ed

in conseguenza dell’apertura di detta procedura, non può configurare

esercizio fraudolento dei diritti derivanti dal contratto . . ., ovvero violazio-

ne della buona fede e della regola di correttezza nell’esercizio dei diritti

pure con lo stesso sorti » (59).

In assenza di una domanda diretta a far valere l’invalidità del contrat-

to di finanziamento in quanto concluso con dolo (art. 1439 c.c.), l’unica

(59) Ne consegue, per la Corte, che « la deduzione della condotta dolosa eventualmen-

te tenuta dall’imprenditore in sede di conclusione del contratto è irrilevante, una volta che

la stessa ricorrente non ha inteso agire perché gli effetti del medesimo fossero posti nel nul-

la – come già accertato da questa Corte nella sentenza di rinvio –, come pure avrebbe potu-

to fare e che, come sopra precisato, neppure ha agito, allo scopo di ottenere il risarcimento

del danno derivante dall’eventuale dolo incidente pure ascrivibile all’imprenditore, limitan-

dosi invece a prospettare, con tesi non corretta, che questa condotta sarebbe idonea a para-

lizzare l’esercizio di una azione sorta a seguito dell’apertura della procedura concorsuale ».

DIBATTITI 1393

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tutela offerta sarà quindi l’azione risarcitoria, esercitabile anche a prescin-

dere dalla contestuale proposizione dell’azione invalidatoria (60).

Ma il risarcimento sarà pagato, in tale ipotesi, in moneta fallimentare,

alla pari di ogni altro credito di massa. La regula iuris enunciata dai giudi-

ci di legittimità consiste quindi nel principio secondo cui l’exceptio doli,

intesa come rimedio generale diretto ad impedire l’esercizio fraudolento

o sleale dei diritti attribuiti dall’ordinamento, non può essere opposta al

fallito, o alla procedura concordataria, per derogare alla par condicio credi-

torum, in quanto non rientra tra le cause legittime di prelazione previste

dalla legge (61).

Spetterà alla futura giurisprudenza di legittimità confermare la bontà

di tale regula iuris e, ancor prima, affrontare i punti ancora non del tutto

chiariti sul fondamento sistematico dell’exceptio doli.

Giovanni Meruzzi

(60) In tal senso Cass., 19 settembre 2006, n. 20260, in Guida al dir., 39/2006, p. 52 ss.; in

Contratti, 2007, p. 319, che conferma il precedente di Cass., 9 febbraio 1980, n. 921, nonché,

sia pure con riguardo all’ipotesi del dolo incidente ex art. 1440 c.c., di Cass., 8 settembre

1999, n. 9523. Sulla configurabilità della relativa fattispecie come ipotesi di responsabilità

precontrattuale in presenza di contratto validamente concluso v. Meruzzi, La trattativa

maliziosa, cit., p. 245 ss., ove ulteriori riferimenti.

(61) A conferma dell’assunto la Corte cita il precedente di Cass., 28 agosto 1995, n. 9030,

in Fallimento, 1995, p. 69 ss., per la quale, intervenuta l’ammissione alla procedura di con-

cordato preventivo, non possono essere effettuati pagamenti lesivi della par condicio credi-

torum, nemmeno se realizzati attraverso la compensazione di debiti sorti prima della proce-

dura concordataria con crediti sorti in pendenza della medesima. Il principio è stato recen-

temente ribadito da Cass., 12 gennaio 2007, n. 578, in Mass. Foro it., 2007, c. 42 s. La sua

pertinenza con il caso esaminato con la sentenza n. 5273 del 2007 è tuttavia dubbia se si

considera che nulla, nella motivazione in fatto, lascia intendere che la banca eccipiente

avesse incassato le somme oggetto di exceptio doli dopo l’ammissione alla procedura con-

cordataria. Altra questione, su cui non è qui opportuno diffondersi, attiene alla coerenza si-

stematica del decisum con i principi che ispirano la riforma della legislazione fallimentare, e

in particolare con l’attenuazione del principio della par condicio creditorum (sul punto v.,

per tutti, Gualandi, Gli effetti del fallimento per i creditori, in Aa.Vv., Manuale di diritto fal-

limentare, Milano, 2007, p. 160).

1394 CONTRATTO E IMPRESA