Francesco Bossio_Fondamenti di pedagogia interculturale

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Francesco Bossio FONDAMENTI DI PEDAGOGIA INTERCULTURALE Itinerari educativi tra identità, alterità e riconoscimento ARMANDO EDITORE

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Francesco Bossio

FONDAMENTIDI PEDAGOGIA

INTERCULTURALE

Itinerari educativi tra identità,alterità e riconoscimento

ARMANDOEDITORE

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Sommario

Introduzione 9

Capitolo primo: Il problema pedagogico dell’identità 131.1. L’identità dialogica 131.2. L’identità come materia signata in San Tommaso d’Aquino 191.3. L’identità negata come neotenia nell’era

della globalizzazione 231.4. Identità come cura di sé 32

Capitolo secondo: L’alterità e i paradigmi educativi 412.1. L’alterità come categoria pedagogica in Emmanuel Lévinas 412.2. Il rapporto io-tu come fondamento pedagogico

della relazione in Martin Buber 542.3. Sé come un altro: identità e alterità in Paul Ricœur 66

Capitolo terzo: Il riconoscimento come percorso per l’inserimentoarmonico delle identità plurali nella società complessa 79

3.1. Il riconoscimento come radice pedagogica della relazione 793.2. Il riconoscimento della persona nelle stagioni dell’esistenza 913.3. Il riconoscimento dell’altro come fondazione etica

della civile convivenza 104

Capitolo quarto: Educare alla pluralità. Lineamenti di pedagogiainterculturale 113

4.1. L’educazione come costruzione dell’intersoggettività 1134.2. Educare alla pluralità nella società del Melting Pot 123

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4.3. Educare le identità in divenire. I bambini stranieri in classe 1344.4. La pedagogia interculturale come fenomenologia

personalistica 146

Bibliografia 157

Indice dei nomi 171

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Introduzione

L’uomo non vive e non agisce mai da solo, ma è strutturalmente orien-tato al rapporto con gli altri, anzi, è proprio in questo rapporto che il sog-getto realizza pienamente la propria personalità e la propria natura.

Parlare di pedagogia interculturale in una società come la nostra domi-nata dalla globalizzazione, dal relativismo e dalla reifi cazione vuol dire necessariamente confrontarsi con ciò che l’uomo è, con la sua identità, rifl ettere sulle possibilità di incontro, di confronto e di riconoscimento, analizzare le istanze educative che possono, concretamente, condurci ver-so una società plurale e democratica.

L’incidenza dell’altro, nel costituirsi dell’io, è quasi uno statuto dell’esistere umano, una norma dettata dalla sua stessa indole, per la qua-le sottrarsi alla dimensione della relazionalità non solo signifi ca andare incontro ad una aridità ontologica ed esistenziale ma, ancor più, morire all’ideale stesso di uomo, alienando una di quelle componenti che rende tale l’essere umano, elevando il suo essere a quel mistero affascinante che egli stesso, dagli albori della sua esistenza, anela a conoscere e a rivelare più di qualsiasi altra cosa.

Il soggetto che prende forma, si caratterizza, si emancipa e si determina per mezzo delle esperienze, delle emozioni e, soprattutto, delle relazioni che attraversano la sua esistenza. La dimensione relazionale, l’incontro con l’altro da sé, rappresentano fattori cardine della dinamica educativa e formativa. Nell’incontro vivo con l’altro, nella corrispondenza autentica fra persone, l’essere umano sboccia alla vita, nutrendo ed arricchendo la propria interiorità.

La pedagogia, in particolare secondo l’approccio critico e dialogico delle “scienze dell’educazione”, si presenta come scienza in costante con-fronto con la vita, che nasce nel concreto agire educativo, intenzionando-

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lo e conferendogli signifi cato; in tal senso, essa genera un sapere dotato di senso, capace di dialogare con l’effettivo divenire umano e di orientarlo in modo critico, progettuale e teleologico.

La formazione umana, dinamica delicata e costantemente in fi eri, è intesa, all’interno di queste rifl essioni, come un continuo miglioramento del sé che si realizza, anzitutto, nella dimensione intersoggettiva e tende, incessantemente, verso orizzonti esistenziali capaci di appagare, sem-pre un po’ di più, quell’inquietudine che accompagna da sempre l’essere umano e che, lungi da essere un elemento da rifi utare o da negare – così come vorrebbe il mondo moderno – innerva l’uomo di intenzionale vi-talità invitandolo a spendere positivamente la straordinaria opportunità dell’essere nel mondo.

Lo sviluppo armonico del soggetto, l’itinerario che lo porta alla sco-perta, alla coltivazione e alla piena realizzazione delle sue potenzialità si esplica attraverso una serie di passaggi sostanziali che avvengono neces-sariamente all’interno di un determinato contesto che infl uenzerà in ma-niera determinante l’esito di queste processualità. L’incontro tra l’identità tendenziale della persona e il suo sviluppo nella storia – il trovarsi al centro di tutta quella serie di eventi, esperienze, incontri, relazioni, emo-zioni che popolano l’esistente – è continuo, dinamico ed inscindibile. Il rapporto tra la struttura sociale e il processo formativo, a lungo indagato all’interno della ricerca pedagogica, è ancora oggi la chiave di volta per comprendere i problemi dell’educazione contemporanea e, ancor più, per costruire ipotesi teoriche e operative fi nalizzate alla loro risoluzione.

Il mondo è oggi popolato da una varietà di persone che – come mai nella storia dell’uomo – si trovano nelle condizioni fi siche e virtuali di entrare in relazione tra loro. Tuttavia, proprio nel tempo dell’effi cienza delle comunicazioni si registra una crisi di relazioni autentiche e qualita-tivamente signifi cative all’interno delle quali l’essere umano può effetti-vamente fare esperienza dell’altro.

La rapidità evolutiva con la quale la nostra società si è trasformata nel corso degli ultimi decenni, i cambiamenti demografi ci, economici e cul-turali che hanno segnato e continuano a segnare il nostro tempo rendono sempre più tangibili i limiti del nostro sistema sociale all’interno del qua-le il confronto interetnico rappresenta una delle realtà più diffi cili e deli-cate. Più aumentano le differenze o, meglio, più aumentano le possibilità

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di venire a contatto con una alterità che esplica le modalità esistenziali in maniera differente dalla nostra (considerando che la varietà di culture è sempre esistita costituendo una grande ricchezza per la specie umana) più è necessario trovare elementi di unione, estrapolare il generale dal particolare in un cammino che porti ad accettare la pluralità come espres-sione di una modalità diversa ma analoga di vivere l’esistenza. Compo-nendosi e distruggendosi con estrema rapidità, l’apparato gnoseologico, esperienziale e persino assiologico della civiltà odierna non fa che gettare l’essere umano in una dimensione di continua incertezza che può essere dominata solo andando alla radice della humanitas, ovvero dei bisogni, delle tensioni, degli aneliti più propri dell’umana esistenza, dimensioni che vanno al di là della contingenza del presente indirizzandolo, altresì, verso orizzonti di senso e signifi cato.

La dimensione relazione del soggetto all’interno del suo processo di formazione rende la persona stessa viva, aperta e permeabile al confronto profondo con l’alterità tutta. Questo fondamentale assunto pedagogico, analizzato e ribadito con forza all’interno del dibattito contemporaneo, assume oggi nell’era planetaria un signifi cato profondo che rappresenta una miniera da cui è possibile estrarre infi nite possibilità di emancipa-zione ma che può, nel contempo, diventare un oscuro labirinto in cui è sempre più facile perdersi.

Compito dell’educazione, ed in particolare dell’educazione formale, è quello di dotare la persona di un faro cognitivo, metodologico e valoriale con il quale affrontare questa preziosa opportunità cogliendone i molti lati positivi e annullando, per quanto è possibile, le occasioni di confl itto.

Coltivare una umanità proiettata verso una dimensione plurale auten-ticamente intesa (dunque non solo come tolleranza del diverso ma come capacità di andare oltre la diversità formale scorgendo le infi nite possibi-lità di incontro) è possibile solo tramite i sistemi educativi che hanno oggi la possibilità – contingente, teorica ed applicativa – di divenire il motore di una società nuova.

Le rifl essioni sull’identità, sull’alterità, sul riconoscimento e sull’edu-cazione condotte all’interno di questo volume, ci pongono dinanzi alla precarietà e alla problematicità esistenziale che investono il soggetto contemporaneo, un soggetto sempre più bisognoso di essere illuminato, indirizzato e accompagnato nel suo percorso di formazione e di crescita

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attraverso paradigmi pedagogici ed educativi che ne comprendano i biso-gni autentici, le fragilità e le sconfi nate potenzialità cognitive, affettive e relazionali. Le considerazioni teoriche e metodologiche fi n qui espresse hanno, in defi nitiva, l’obiettivo di delineare alcune linee guida in gra-do di orientare l’atto educativo verso orizzonti più propriamente umani, dunque corrispondenti ad una idea di uomo e di formazione lontana dalle deviazioni e dai “falsi bisogni” propagandati dalla società consumistica e reifi cata.

L’elaborazione di percorsi educativi che abbiano come obiettivo la coltivazione del soggetto e il suo inserimento armonico all’interno di una società aperta e democratica deve infatti prendere le mosse, a nostro av-viso, dalla consapevolezza di “chi è l’uomo”, domanda antica ed eter-namente insoddisfatta che ha trovato, nel corso del tempo e della storia, due importanti interpretazioni – una data dal personalismo e l’altra dalla rifl essione fenomenologica – che, a nostro avviso, ben si prestano alla complessa realtà contemporanea e che, se ben integrate, possono genera-re suggestioni pedagogiche tutt’altro che banali.

Le analisi, le rifl essioni, le proposte pedagogiche scaturite all’inter-no di questo lavoro vogliono richiamare l’essere umano verso dinamiche esistenziali di autenticità e di senso, invitandolo per mezzo di una edu-cazione propriamente intesa a declinare l’invito della modernità liquida e reifi cata a chiudersi in se stesso e a cercare fatui soddisfacimenti nella materialità e nell’omologazione, quanto piuttosto ad aprirsi con autenti-cità al dialogo con l’altro, con chi riconoscendolo come persona auspica a sua volta di essere visto come tale.

F.B.

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Capitolo primoIl problema pedagogico dell’identità

1.1. L’identità dialogica

“La formula dell’itinerario al signifi cato della realtà è quella di vivere il reale senza preclusioni, cioè senza rinnegare e dimenticare nulla […] Il mondo è come una parola, un logos che rinvia, richia-ma ad altro”.

L. Giussani, Il senso religioso

Potrebbe sembrare anacronistico e paradossale parlare di identità in un’epoca come la nostra marcatamente segnata dal materialismo, dal ni-chilismo e dalla globalizzazione con tutte le implicazioni, più o meno evidenti, che queste comportano, come il conformismo, l’omogeneizza-zione del modo di pensare, il relativismo, la negazione della coscienza, la funzione ipertrofi ca dell’apparire, insieme all’oblio personale e collettivo della memoria ed al trionfo, come paradigma onnicomprensivo, della pre-senzialità, dell’hic et nunc1.

1 Sugli aspetti complessi che caratterizzano la globalizzazione e sulle implicazioni a questa correlate vedi in particolare Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 2001; Id., Globalizzazine e glocalizzazione, Armando, Roma, 2005; M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2005; G. Bocchi, M. Ceruti, Educazione e globalizzazione, Raffaelo Cortina, Milano, 2004; L. Gallino, Globalizzazione e disuguaglianze, Laterza, Roma-Bari, 2007; C. Giaccardi, M. Magatti, La globalizzazione non è un destino. Mutamenti strutturali ed esperienze sog-gettive nell’età contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2001; A. K. Sen, Globalizzazione e libertà, Mondadori, Milano, 2003; D. Zolo, Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari, 2005. Sulle implicazioni educative e pedagogiche correlate a questi temi vedi M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessità. Prospettive

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Il termine identità rimanda, nella sua radice etimologica identitāte, īdem, ad una “uguaglianza completa e assoluta” ovvero ad una “quali-fi cazione di una persona […] per cui essa è tale e non altra”2. A questa defi nizione tradizionale di identità fa eco una celeberrima espressione di Willard Van Orman Quine: “A cosa serve la nozione di identità, se iden-tifi care un oggetto con se stesso è banale e identifi carlo con qualcos’altro è falso?”3. Potrebbe essere un valido punto di partenza quello di cercare di analizzare i nessi e le caratteristiche peculiari che connotano la persona umana come proprium identitario peculiare e irripetibile. Anche se è bene precisare che il concetto di identità non può essere catalogato in maniera rigida, defi nita e stabile, organizzato secondo modalità deterministiche e congruenti cronologicamente: si pensi, ad esempio, ad una persona ado-lescente che pensa, sente, agisce e interagisce con gli altri secondo alcune modalità che percepisce come proprie e che caratterizzano il suo essere nel mondo; pensiamo poi alla stessa persona qualche lustro più tardi nella piena età adulta. Cosa rimane, nei tratti peculiari e caratteristici, nell’adul-to dell’adolescente che è stato? È chiaro che l’esperienza, il vivere la vita, l’interagire, il dialogare continuamente con gli altri, oltre naturalmente che con se stessa, portano la persona a crescere, ad evolversi, auspichia-mo, ad ascendere verso la signifi catività autentica e al senso della propria esistenza, ma i tratti peculiari e caratteristici che connotano il proprium, l’identità unica e irripetibile della persona permangono come uno sfondo sul quale imprimere le trame della propria esistenza.

L’identità caratterizza e connota, in maniera particolare e caratteri-stica, tutti quegli elementi che individuano una persona in quanto tale. Un elemento caratterizzante della persona, come vedremo più avanti, è

dell’educazione nelle società globali, Carocci, Roma, 2003; F. Cambi, Abitare il disincan-to. Una pedagogia per il postmoderno, UTET, Torino, 2006; M. C. Demaio, Formazione e società complessa. Il ruolo della scuola, Carocci, Roma, 2010; G. Mari, Oltre il fram-mento. L’educazione della coscienza e le sfide del postmoderno, La Scuola, Brescia, 1995; F. Pinto Minerva, R. Gallelli, Pedagogia e post-umano. Ibridazioni identitarie e frontiere del possibile, Carocci, Roma, 2004; A Portera, Globalizzazione e pedagogia interculturale. Interventi nella scuola, Erickson, Trento, 2006; R. Regni, Geopedagogia. L’educazione tra globalizzazione, tecnologia e consumo, Armando, Roma, 2002.

2 Cfr. M. Cortellazzo, P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, voce “iden-tità”, Zanichelli, Bologna, 2004.

3 W. V. O. Quine, Quidditates (1987), trad. it. a cura di L. Bonatti, Garzanti, Milano, 1991, p. 121.

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la costante ricerca conoscitiva di questi nuclei profondi, identitari, che la segnano, anzitutto, nella direzione di zoon logon echon attraverso il logos raccogliendo il molteplice nell’unità del discorso. Questa apertura dialogica costitutiva della persona viene agita, come dicevamo, attraverso il logos in una apertura dialettica positiva di ricerca di senso, interiore anzitutto, e con gli altri in una feconda e inderogabile dimensione rela-zionale. Su questo così si esprime Platone nel Teeteto: “Su! Che mai vuol signifi carci ragione, ragionamento? Una di queste tre cose mi sembra vo-glia dire. […] La prima sarebbe il rendere manifesto il proprio pensiero mediante la voce, con verbi e nomi, come in specchio o acqua imprimen-do l’opinione nella corrente dell’emissione vocale. […] quanti una cosa giusta opinano, tutti è chiaro che l’avranno con ragione, e in nessun caso ci sarà ancora giusta opinione senza scienza”4. Il logos platonico è anzi-tutto discorso, ma è anche ragione, capacità di analisi verosimile degli elementi interrelati; è ancora caratterizzazione, ovvero studio, rifl essione sulle peculiarità specifi che che stabiliscono le differenze. Il logos è lin-guaggio, elemento peculiare e caratteristico della persona in relazione; è possibilità logica e razionale di percezione della realtà, e di tutti gli elementi che la caratterizzano e che quindi proprio attraverso il logos pos-sono essere analizzati; ancora è diaphorótēs differenza, come dicevamo, segno distintivo che indica la distinzione. Così Platone scrive: “[…] se tu cogli la differenza di una determinata cosa, per cui differisce dalle altre, tu coglierai la ragione, come alcuni dicono: ma fi nché tu tocchi qualcosa di comune, avrai la ragione di quelle cose di cui è la proprietà comune. […] Chi dunque, con giusta opinione, su qualsiasi degli esseri colga la differenza di esso dagli altri, sarà divenuto sciente di ciò di cui prima era opinante”5. Platone indica proprio nella ragione l’elemento attraverso il quale emerge la distinzione, la differenza; comprendere il logos è com-prendere la diversità, la “defi nizione reale” dei soggetti e degli oggetti.

Attraverso le molteplici accezioni del logos platonico sono emersi alcuni importanti elementi di rifl essione che ci rimandano, direttamente, alla sfera relazionale della persona: quella interna del dialogo interiore come imprescindibile motus maieutico, nel senso socratico e educativo, e quella del rapporto di coimplicazione persona/ambiente. La persona è

4 Platone, Teeteto, trad. it. di C. Guzzi, Mursia, Milano, 1985, 206 c-e, pp. 280-281.5 Ivi, 208 d, pp. 288-289.

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continuamente in relazione con altre persone attraverso il logos, la co-municazione e proprio tramite l’interazione dialogica la persona inizia, già dall’infanzia, quel processo auto conoscitivo che declinerà intera-mente tutte le stagioni della sua esistenza6. Il linguaggio, non solo quello verbale ma anche quello mimico e gestuale, è lo strumento principale di relazione già a partire dalla prima infanzia, in cui il bambino attra-verso un “linguaggio esteriore”, parafrasando Vygotskij, stabilisce una relazione comunicativa con le persone che gli stanno intorno. “La fun-zione primaria del linguaggio – scrive Vygotskij – sia nei bambini che negli adulti, è la comunicazione, il contatto sociale. Il primissimo lin-guaggio del bambino è quindi essenzialmente sociale. Dapprima esso è globale e plurifunzionale; successivamente le sue funzioni divengono differenziate”7. Il linguaggio rende possibile la relazione sociale, porta la persona, indipendentemente dalla sua età cronologica, status sociale, cultura, ad “essere nel mondo con gli altri”, utilizzando una celeberri-ma espressione heideggeriana che incontreremo ed analizzeremo, nel presente lavoro, più avanti. Vygotskij distingue poi altre due “funzioni” principali del linguaggio: quello “egocentrico” e quello “interiore”. Il linguaggio quindi, nella prospettiva vygotskijana, nasce dall’interazione del bambino con l’ambiente esterno nel quale vive e interagisce mag-giormente, e solo negli stadi successivi di sviluppo diventa linguaggio “interno”, interiore, contribuendo signifi cativamente alla strutturazione del pensiero8. Nel bambino una prima manifestazione del linguaggio avviene attraverso una reciprocità dialogica che si instaura – come di-cevamo – con la madre o entrambi i genitori o le persone con le quali maggiormente entra in contatto. Queste prime dinamiche comunicative rappresentano una forma embrionale, ma estremamente importante, di apprendimento, attraverso le quali il bambino inizia a relazionarsi non solo con le persone che lo circondano ma anche con le forme e gli “stru-menti culturali”, mediati attraverso attività pratiche: nella primissima in-fanzia, ad esempio, può essere la manipolazione o il portare alla bocca, il succhiare o il mordere, modalità attraverso cui il bambino sperimenta,

6 Cfr. R. Guardini, Le età della vita. Loro significato educativo e morale (1953), Vita e Pensiero, Milano, 19922, pp. 31-66.

7 L. S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio (1934), Giunti-Barbera, Firenze, 1966, p. 37.8 Ibidem.

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inventa o usa questi “strumenti” per adattarsi all’ambiente in cui vive. Per Vygotskij proprio attraverso questi “linguaggi” il bambino inizial-mente esplica questa funzione di socializzazione per poi utilizzare questi strumenti, segni e simboli comunicativi acquisiti per strutturare meglio il suo pensiero9. Analogamente a Vygotskij, Jerome Bruner riconosce che i processi mentali del bambino sono fortemente infl uenzati dalle interazio-ni sociali che questi andrà ad esperire ed in particolare analizza il legame che si stabilisce tra il bambino e le fi gure genitoriali o chi maggiormente si prende cura di lui. In questo rapporto comunicativo e relazionale il bambino e l’adulto interagiscono continuamente e reciprocamente in ma-niera interattiva comunicando le rispettive “intenzioni” e codifi candole a vicenda. Il bambino, secondo Bruner, percepisce l’adulto, i genitori o le persone che maggiormente frequenta, come esseri intenzionali e gradata-mente riesce trasformare la comunicazione in verbalizzazione in quanto, in questa dinamica, viene implicata l’elaborazione di una intenzione e di una attività interpretativa10.

“[…] i bambini – scrive Michael Tomasello – muovono da costru-zioni linguistiche organizzate intorno a particolari elementi linguistici e solo gradualmente formano costruzioni più astratte, che possono poi diventare entità simboliche che vanno a costituire un livello ulteriore della competenza linguistica. […] Della massima importanza sono tre insiemi di processi: l’apprendimento culturale, il discorso e la conver-sazione, l’astrazione e la schematizzazione”11. Il bambino apprende i segni e i codici linguistici attraverso raffi nati processi “imitativi” dagli adulti con i quali interagisce maggiormente12. Così come utilizzando le stesse modalità “imitative” il bambino inizierà ad assumere come propri i codici e le modalità che appartengono alle persone, ed ai luoghi, con i quali si relaziona di più. Analogamente l’adulto si esprime utilizzando codici e segni della cultura nella quale vive declinando questi paradigmi con la sua personalità, il suo modo d’essere, la sua identità. Il linguaggio, e più precisamente i dialoghi, che ciascuno di noi fa declinano in pri-mis la condizione del modo “specifi co” che noi instauriamo in rapporto

9 Ibidem.10 Cfr. J. S. Bruner, Il linguaggio del bambino (1983), Armando, Roma, 1987.11 M. Tomasello, Le origini culturali della cognizione umana (1999), Il Mulino, Bolo-

gna, 2005, pp. 172-173.12 Cfr. ivi, p. 175.

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al nostro “essere nel mondo”. In altre parole, la persona non parla un linguaggio, ma “è un linguaggio”13. Il linguaggio, il dialogo, è qualco-sa che ci appartiene, ci caratterizza, ci rende esseri relazionali, con noi stessi anzitutto – il dialogo interiore, la rifl essione, la nostra percezione, la nostra autonarrazione – e con gli altri nei rapporti continui io-tu e io-altri come un tramite originario e costitutivo che unisce e parimenti distingue le persone, in quanto depositarie ciascuna della propria iden-tità, nella loro irriducibile pluralità14. Ciascuna persona è depositaria di un proprium che la rende unica e irripetibile e le complesse ed articolate dinamiche che le permettono di prendere coscienza delle sue peculiarità caratteristiche emergono, prioritariamente, nell’incontro, nel confronto, nel dialogo, nella comunicazione che ciascuna persona, continuamen-te, esperisce. Etimologicamente il termine comunicazione rimanda allo “stare insieme con”, al “porre in comune”, proprio attraverso questa interazione comunicativa e dialogica con gli altri prende corpo quella complessa dinamica di svelamento dell’identità personale, già a partire dall’infanzia, la prima età dell’uomo in cui, come abbiamo visto, proprio attraverso gli stimoli comunicativi che riceve dagli altri e che rielabora-ti restituisce, il bambino può svilupparsi – iniziando progressivamente ad uscire, ad emanciparsi, dalla dimensione polimorfi ca e totalizzante del viluppo – per riconoscersi come essere singolo distinto dagli altri15. Nell’intero corso dell’umana esistenza, già a partire dall’infanzia come abbiamo visto, ogni atteggiamento, postura del corpo, movimento, oltre che espressione verbale sono comunicazione e queste relazioni comuni-cative radicano la persona nella realtà, con le sue particolari peculiarità, con il suo proprium identitario. Non è possibile, infatti, non comunica-re16.

13 Cfr. É. Benveniste, Problemi di linguistica generale (1967), Il Saggiatore, Milano, 1971, pp. 300-320.

14 Cfr. D. Dennett, Coscienza (1991), Rizzoli, Milano, 1993, pp. 255-282.15 Sulle articolate dinamiche dello sviluppo del linguaggio nel bambino, vedi in parti-

colare M. C. Corballis, Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio, Cortina, Milano, 2008; S. I. Greenspan, Il bambino sicuro, Fioriti, Roma, 2005; M. Mazzeo, Tatto e lin-guaggio. Il corpo delle parole, Editori Riuniti, Roma, 2003; M. Tomasello, Le origini della comunicazione umana, Cortina, Milano, 2009; Id., Altruisti nati. Perché cooperiamo fin da piccoli, Bollati Boringhieri, Torino, 2010.

16 Il primo assioma della comunicazione, negli studi del Mental Research Institute, mostra che è impossibile non comunicare: qualsiasi interazione umana è una forma di co-

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1.2. L’identità come materia signata in San Tommaso d’Aquino

Il problema dell’identità si lega, costitutivamente, a quello della per-sona già dal momento della nascita: un bambino appena nato deve im-mediatamente essere identifi cato con un nome, un cognome, quindi con un nucleo familiare di appartenenza ed un luogo dove questa nascita si è verifi cata, quindi, implicitamente, la cultura alla quale appartiene con il patrimonio di codici comportamentali, educativi, sociali. Questa identifi -cazione primaria sancisce, fattivamente, il proprium peculiare e caratteri-stico che distingue quella persona da tutti gli altri. Questa identifi cazione attraverso i propri tratti distintivi è, anzitutto, inscritta nel corpo tramite il DNA personale che rimanda, anche da un punto di vista biologico e scien-tifi co, all’unicità del soggetto17. Il nuovo nato è una progettualità aperta, completamente in fi eri, che attraverso l’educazione, nell’intero corso del-la propria esistenza realizzerà, concretamente, il poter essere potenziale che aveva alla nascita. È questa la mission più radicale dell’educazione, quella di sviluppare quanto più umanamente possibile le potenzialità in-nate della persona e rendere concreto questo “progetto gettato”, questo poter essere, portare alla piena realizzazione umana questa potenziali-tà iniziale. All’opposto una mancanza di educazione limita lo sviluppo della persona, che al momento della nascita è solo candidata alla condi-zione umana, che resta così relegata nell’originario viluppo e non riesce ad emergere in processualità di crescita, acquisizione di consapevolezza di sé e di progettualità positiva per la propria esistenza. Educazione da educĕre, ex-ducĕre, trarre fuori, far emergere, e nell’altra radice etimo-logica edere, mangiare, consumare, nutrire e dunque coltivare, allevare. In ambedue le accezioni etimologiche il termine educazione ci rimanda direttamente all’oggetto del suo operare, ovvero al soggetto/persona che per poter ascendere alla pienezza ed alla signifi catività della sua condi-

municazione. Qualunque atteggiamento assunto da un soggetto, diventa immediatamente gravido di significato per gli altri, cfr. P. Watzlawick, J. H. Beavin, D. D. Jackson, Prag-matica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi (1967), Astrolabio, Roma, 1997, pp. 40-41.

17 Cfr. R. Klitzman, Am I my Genes? Confronting Fate and Family Secrets in the Age of Genetic Testing, Oxford University Press, USA, 2012; J. D. Watson, A. Berry, DNA. Il segreto della vita, Adelphi, Milano, 2006; J. D. Watson, La doppia elica, Garzanti, Milano, 2004.

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zione umana deve far emergere da sé, deve tirare fuori maieuticamente la propria identità per poi poterla nutrire, coltivare, in altre parole deve prendersene cura affi nché possa crescere e ascendere pienamente alla re-alizzazione della sua umanità.

Possiamo ancora pensare l’identità come una sorta di principio pri-mo, unico, che appartiene a tutti gli esseri umani, il verbo della perso-na, la manifestazione autentica della sua natura specifi ca. San Tomma-so d’Aquino indica come materia signata la distinzione del soggetto da quella della specie, riconosce una materia costitutiva comune a tutti gli uomini, “la natura”, che assume poi dei tratti caratteristici identifi cando ciascuna persona come singola, unica, diversa da tutti gli altri. “[…] E con altro nome – scrive San Tommaso d’Aquino – l’essenza viene anche chiamata natura. […] L’essenza comprende la materia e la forma. […] Ma poiché il principio di individuazione è la materia, da ciò sembrerebbe forse derivare che l’essenza, che comprende in sé al contempo la materia e la forma, sia soltanto particolare e non universale. […] E perciò occorre sapere che non la materia intesa in un modo qualunque funge da principio di individuazione, ma solo la materia segnata, e chiamo materia segnata quella che viene considerata sotto determinate dimensioni. Tale materia non viene posta nelle defi nizioni dell’uomo in quanto uomo, ma potrebbe invece essere posta sulla defi nizione di Socrate, se Socrate avesse una defi nizione. Nella defi nizione dell’uomo si pone invece la materia non se-gnata. […] Risulta così chiaro che l’essenza dell’uomo e quella di Socrate differiscono tra loro per il fatto che in una la materia è segnata e nell’al-tra no”18. L’identità coniuga e rende manifesta sia la materia comune, le caratteristiche comuni per natura a tutti gli esseri umani che il segno, il proprium peculiare e caratteristico, di ciascuna persona. Da questi pre-supposti, l’identità assume il valore costitutivo più alto di cui la persona è depositaria, ovvero l’insieme di peculiarità e caratteristiche che rendono ciascuna persona eguale a tutte le altre – “natura”, come ci suggerisce San Tommaso – e diversa, in quanto depositaria di un suo “segno”, di materia signata, di una sua identità unica ed irripetibile. Questo proprium carat-teristico – materia signata, identità – non è solo da rintracciarsi in pecu-liarità fi siche e fi siologiche, si pensi alle differenze genetiche, di DNA

18 Tommaso d’Aquino, De ente et essentia (1252-1256), trad. it. L’ente e l’essenza, Bompiani, Milano, 2002, pp. 79, 83, 85, 87.

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come abbiamo visto, che rendono unica ciascuna persona, ma anche e soprattutto in qualità e modalità, modi d’essere, interiori che la persona può migliorare ed accrescere con l’educazione.

Il processo educativo e il divenire della forma19, ovvero le succes-sioni formative che declinano il modo d’essere della persona nell’intero corso della sua esistenza regolano e rendono possibile il passaggio, la trasformazione dell’individuo in persona. L’individuo è l’essere uma-no che vive, si riconosce e si realizza all’interno di quella dimensione comune (“di natura” riferendoci ancora a San Tommaso) da molteplici prospettive: socio ambientali, culturali, di gusti, tendenze e aspettative, dinamiche identifi cative e di riconoscimento, luoghi comuni, mode, con-sumismo.

La persona si affranca da queste istanze comuni e collettive e cerca di emanciparsi coltivando e curando il proprium, la sua dimensione in-teriore più profonda, la materia signata, la sua identità, ovvero i nuclei più autentici e intimi del sé tendendo alla personale individuazione. Così il soggetto, l’individuo, diviene persona quando ascende alla sua forma autentica, quando prende congedo dai tratti comuni (lo stato di “natura”, parafrasando ancora San Tommaso) per fare prevalere nella sua interio-rità le istanze proprie, che appartengono solo a lui e a nessun altro. In altre parole, si allontana dalle modalità, dai tratti comuni per affermare le differenze personali che distinguendolo dagli altri lo rendono auten-ticamente se stesso, persona unica ed irripetibile. L’altro è una risorsa impareggiabile, come vedremo più avanti, fonte di confronto e di stimolo, in tutte le stagioni dell’umana esistenza, ma tuttavia è necessario che la persona ascenda prioritariamente alla piena consapevolezza di sé, alla sua essenza più autentica, il proprium, l’identità di essere singolare, unico ed irripetibile. Queste acquisizioni, ovviamente, non portano la persona ad isolarsi come una “monade”, anzi all’opposto ascendendo all’essenza più autentica la persona incontra gli altri e vi si relaziona in maniera di-versa, più autentica, positiva e progettuale. Proprio distinguendosi dagli altri la persona non confonde più le istanze proprie con quelle dell’al-

19 Il percorso formativo, pedagogicamente, si caratterizza come un continuum, come una evoluzione continua ed inarrestabile della persona. Sul tema della formazione della persona nel corso dell’umana esistenza vedi F. Bossio, Il divenire della forma. Riflessioni pedagogiche sulla senescenza, Anicia, Roma, 2008.

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tro, si pensi ad esempio alle dinamiche psicologiche di “proiezione” e di “spostamento”20, ma agisce maieuticamente il riconoscimento: ovvero, riconoscendo, autenticamente, se stessa nella sua identità la persona ri-conosce anche l’altro nelle sue peculiari caratteristiche che lo rendono persona. “[…] Se infatti – scrive San Tommaso d’Aquino – la comunanza rientrasse nel concetto di uomo allora in tutto ciò in cui fosse l’umanità dovrebbe trovarsi anche la comunanza, e ciò è falso, perché in Socrate non si ritrova alcuna comunanza, ma tutto ciò che in lui è individuato”21. La persona diviene autenticamente tale solo dopo essersi appropriata del-le qualità proprie, senza questo passaggio è un individuo soggetto allo stato di “natura”, alla “comunanza”, ovvero allo status primigenio di vi-luppo, come abbiamo detto, una condizione polimorfi ca e confusa di ob-nubilamento di sé e della realtà. Quando la persona inizia a relazionarsi con la sua verità, il proprium, l’identità, progressivamente comincia a coltivare se stessa seguendo nuove modalità, inizia a prendersi cura delle sue istanze migliori, cercando, nel contempo, di trasformare i suoi aspetti caratteriali meno nobili in istanze migliori. Il “conosci te stesso” socra-tico è il punto di avvio di un lungo e faticoso percorso di miglioramento attraverso la dialettica interiore, anzitutto, e poi quella con le altre perso-ne, come progressiva acquisizione di consapevolezza. L’educazione è lo strumento attraverso il quale queste progressive acquisizioni di conoscen-za di sé, quindi di crescita interiore, di miglioramento, di trasformazio-ne, dicevamo, delle parti meno nobili del carattere in modalità migliori, possono autenticamente compiersi. Ad esempio l’aggressività, dal latino aggrĕdi, andare verso, è una energia libera, “di natura”, della persona che può essere educata ed incanalata in una direzione positiva, propositiva e progettuale invece che, all’opposto, rivolta per contrapporsi o sopraffare l’altro. Quando la persona inizia a rapportarsi, dialetticamente, con se stessa, mettendosi in discussione e coltivando la propria autonomia, per-sonale, economica, di pensiero, parimenti inizia a relazionarsi, ad aprirsi con verità e sincerità all’altro, in una dimensione di complementarità, di confronto positivo e di reciprocità, di condivisione.

20 Cfr. A. Freud, L’io e i meccanismi di difesa, Martinelli, Firenze, 1967; S. Freud, Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa, in Id., Progetto di una psicologia e altri scritti 1892-1899, Bollati Boringhieri, Torino, 2002, vol. 2, pp. 307-327; C. G. Jung, Tipi psicologici, Boringhieri, Torino, 1984.

21 Tommaso d’Aquino, L’ente e l’essenza, cit., p. 103.

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In conclusione, queste dinamiche evolutive dell’individuo in persona sono in primis profonde e radicali successioni educative: la percezione di sé, il riconoscimento di sé come persona, quindi specularmente, il rico-noscimento dell’altro; queste due processualità sono fortemente comple-mentari e interrelate: il riconoscimento di sé è propedeutico al riconosci-mento dell’altro e quindi alla consapevolezza che l’altro fonda insieme a me una relazione. Altro passaggio fondamentale riguarda la percezione della realtà personale – non la proiezione di sé nel reale, non la realtà mediata, guardata attraverso prospettive egocentriche, di ideale dell’io, o di onnipotenza – non la realtà come vorrei o desidererei che fosse, ma vera, concreta e reale senza veli o travisamenti. Questa presa di coscienza della realtà è mediata da una forte, autentica consapevolezza di se stessi. Più riesco a guadare a me stesso, alla mia essenza, al proprium che mi connota e mi caratterizza senza alcuna edulcorazione o fi nzione, tanto più riuscirò a codifi care effi cacemente la realtà e parimenti sarò capace di relazionarmi effi cacemente con la realtà esterna a me, con l’altro.

1.3. L’identità negata come neotenia nell’era della globalizzazione

“Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi”.

Benedetto XVI, Caritas in Veritate

Questa dimensione di autoreferenzialità, di cui parla Benedetto XVI, dell’uomo tecnologico del terzo millennio, fi glio della globalizzazione e dell’effi cientismo, è uno degli aspetti più penosi e preoccupanti dal quale scaturiscono i mali principali dell’epoca nella quale viviamo: il relativi-smo, la reifi cazione come paradigma onnicomprensivo e totalizzante, il consumismo, l’obnubilamento della coscienza individuale e l’incessante ricerca della felicità nell’esteriorità e nei beni materiali.

La condizione di inautenticità esistenziale che Martin Heidegger in-dicava con il “si” (Man) che comportava in primis lo smarrimento nella generalità dei “luoghi comuni” e della “chiacchiera”, come semplifi ca-zione linguistica funzionale alla restituzione di false immagini dell’uomo

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e della realtà, sembra oggi il paradigma prevalente attraverso cui decli-nare l’umano in questa società reifi cata. L’esserci – scrive Heidegger – è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può, nel suo essere, o sce-gliersi, conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conqui-starsi solo apparentemente. Ma esso può aver perso se stesso o non esser-si ancora conquistato solo perché la sua essenza comporta la possibilità dell’autenticità, cioè dell’appropriazione di sé”22. L’inautenticità esisten-ziale si connota in primis con l’omologazione di ogni sentire e di ogni comprendere, alimentando opinioni già condivise capaci di dare certezze rassicuranti a buon mercato, in quanto non discendono da domande o da ricerche di senso o di signifi catività, ma semplicemente sono già date, preconfezionate, ritenute valide, buone e giuste sempre ed in ogni luogo.

Lo sviluppo, inteso come abbiamo visto in qualità di emancipazione dal viluppo, la crescita interiore, l’ascesa attraverso l’educazione alla consapevolezza della propria identità, del senso della propria esistenza e la piena realizzazione della propria dimensione progettuale in una dire-zione etica e di signifi catività non sono affatto passaggi spontanei crono-logicamente determinati. La persona può decidere consapevolmente di “scegliersi” e di ascendere verso una dimensione progettuale positiva op-pure, all’opposto, può optare di percorrere un itinerario esistenziale più semplice – in linea a quanto pervasivamente viene restituito dalla società reifi cata e nichilista – e meno tortuoso regolato dall’omologazione e dal consumismo. Parafrasando un celeberrimo saggio di Erich Fromm il sog-getto può decidere se Avere o essere23, in altre parole, se appropriarsi delle sue peculiarità e capacità, quindi di se stesso, della sua identità di persona unica ed irripetibile oppure perdersi in una dimensione di inau-tenticità e di soddisfacimento dei bisogni e della pulsioni più elementari. Oggi molto più di ieri la società consumistica e globalizzata propone co-dici e modelli, stili di comportamento ed orientamenti esistenziali che attraverso paradigmi onnicomprensivi, si pensi ad esempio alle pubblici-tà o alla spettacolarizzazione dei sentimenti più profondi in trasmissioni di largo seguito, cerca di obliare lo sforzo personale che la ricerca di se stessi, necessariamente, comporta proponendo come alternativa modelli

22 M. Heidegger, Essere e tempo (1927), a cura di P. Chiodi, UTET, Torino, 19862 (1969), § 9, p. 107.

23 Cfr. E. Fromm, Avere o essere? (1976), Mondadori, Milano, 2001.

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fortemente performativi e competitivi. “Differenziarsi – scrive Jean Bau-drillard – signifi ca precisamente affi liarsi ad un modello, qualifi carsi in riferimento ad un modello astratto, a una fi gura combinatoria di moda e dunque per questo privarsi di ogni differenza reale, di ogni singolarità che non può manifestarsi che nella relazione concreta, confl ittuale con gli altri e col mondo”24. Lo smarrimento esistenziale discende dall’oblio del-la coscienza individuale che invece di affrancarsi dal collettivo con le sue modalità e ritualità naufraga nei piaceri e nel soddisfacimento superfi cia-le offerto al mondo dagli oggetti. Risuonano come una triste profezia le parole di Baudrillard, benché scritte quasi otto lustri fa, la differenziazio-ne consiste nel riconoscersi, nell’affi liarsi ad un modello, pensiamo, ad esempio, alle mode ed alle tendenze del mondo giovanile come l’uso del piercing oppure dei tatuaggi, che rappresentano, sia pure a livello em-brionale e superfi ciale, aneliti di differenziazione, di distinzione tra sé e gli altri. Oppure, ancora, all’uso pervasivo che fanno i giovani dei social network, come Facebook o Twitter, che hanno trasformato anche le mo-dalità di comunicare, di relazionarsi con se stessi, con gli altri, con il mondo, sia pure virtuale25. “Con il virtuale – scrive Jean Baudrillard – non si tratta più di retro-mondo: la sostituzione del mondo è totale, si è alla duplicazione dell’identico, il miraggio perfetto, e il problema si risol-ve attraverso l’annientamento puro e semplice della sostanza simbolica. Persino la realtà oggettiva diventa una funzione inutile, una sorta di rifi u-to, di cui lo scambio e la circolazione si fanno sempre più diffi cili. Si è dunque passati dalla realtà oggettiva a uno stadio ulteriore, una sorta di ultra-realtà che mette fi ne insieme alla realtà e all’illusione”26. Questo universo parallelo del virtuale dove i sogni possono divenire realtà, ov-viamente virtuale, rappresenta una sorta di “paese dei balocchi”, parafra-sando la celeberrima metafora utilizzata da Collodi in Pinocchio, dove alimentare le pulsioni più narcisistiche e infantili, caratterizzate in primis dal soddisfacimento dei propri bisogni e della propria vanità. Carl Gustav

24 J. Baudrillard, La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture (1974), il Mulino, Bologna, 1976, p. 115.

25 Vedi F. Bossio, I giovani e la cultura, ovvero la cultura dei giovani. Questioni pe-dagogiche, in M. Corsi, G. Spadafora (a cura di), Progetto generazioni. I giovani il mondo l’educazione, Tecnodid, Napoli, 2011, pp. 253-261.

26 J. Baudrillard, Violenza del virtuale e realtà integrale, Le Monnier, Firenze, 2005, p. 4.

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Jung, in un suo saggio sugli sviluppi stadiali nel corso dell’esistenza umana27, indica l’infanzia come la stagione in cui il bambino, completa-mente immerso in una dimensione inconscia di indifferenziazione, attra-verso le esperienze e la relazione con gli altri gradatamente si emancipa da questa condizione psicologica polimorfi ca di incoscienza per ascende-re alla conoscenza di sé e della realtà. Il virtuale, attraverso i social net-work, come abbiamo visto, i consumi, l’oblio di sé, continuamente ali-menta nel soggetto questa imago infantile a cui è semplice aderire in quanto collettivamente accettata e riconosciuta ed inoltre non richiede, come un moderno “paese dei balocchi” dicevamo, nessuno sforzo, nes-sun onere di responsabilità, o di impegno della volontà. Tutto è semplice e collettivamente condiviso, anche la pulsione infantile di alimentare lo status quo e di negare se stessi come soggetti in crescita, in trasformazio-ne; l’acquisizione di una propria identità viene ritenuta una operazione superfl ua ed anacronistica, il soggetto relega così se stesso in una condi-zione neotenica, di non nascita ad una dimensione adulta, autentica e progettuale. Anche la comunicazione si trasforma e prevalentemente nell’universo giovanile diviene virtuale, attraverso i social network, le modalità relazionali cambiano, il dialogo tradizionale viene rimpiazzato dal contatto via web, ciò che conta è ora l’essere in linea oppure no, l’apri-re o negare il contatto, riconoscere l’altro accordando l’amicizia, come avviene ad esempio con Facebook28. Insieme alle modalità di comunica-re, e quindi di relazionarsi, cambiano anche l’imago di sé, la propria per-cezione e rappresentazione e insieme i signifi cati e il senso con cui si codifi cano le situazioni, gli altri, la stessa realtà. Oltre alla comunicazio-ne, nell’universo giovanile in primis si trasformano i paradigmi di perce-zione, e quindi di codifi ca, della stessa realtà, i codici culturali e compor-tamentali, le modalità di interazione con se stessi e con gli altri. Ma l’ele-mento forse più importante pedagogicamente è l’oblio e l’obnubilamento di se stessi, della personale identità, negoziata di volta in volta con le iconiche molteplicità delle real-tà sociali, continuamente restituite pro-prio dai principali canali comunicativi, dai media e accettate attraverso le

27 Cfr. C. G. Jung, Gli stadi della vita (1931), in Id., La dinamica dell’inconscio, Bollati Boringhieri, Torino, 1976.

28 Cfr. F. Bossio, I giovani e la cultura, ovvero la cultura dei giovani. Questioni peda-gogiche, cit., pp. 257-258.

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relazioni/scambio nei social network. Nasce così una meta comunità, un moderno villaggio globale, una sorta di cittadinanza virtuale, in cui si viene riconosciuti e a cui si può accedere solo attraverso l’adesione a precisi modelli comunicativi e di consumo, legando ed intrecciando in maniera estremamente complessa la dimensione mediale, virtuale, con quella tradizionalmente relazionale. Nella società postmoderna e reifi cata il progressivo dissolvimento dei paradigmi valoriali ha comportato una crescente attribuzione di signifi catività a logiche altre, a paradigmi diver-si di senso, a modalità completamente nuove di interazione sociale, come ad esempio, le dinamiche di costruzione di un gruppo sociale; parimenti l’evoluzione delle tecnologie comunicative ha completamente modifi cato il concetto stesso di comunità, sostituendo sempre di più le forme tradi-zionali di aggregazione geografi ca, con altre fondate sulla condivisone di interessi o emozioni comuni. Le stesse modalità di percepire le relazioni umane si trasformano sostituendo, ad esempio, le passeggiate o le discus-sioni tra amici, con rarefatti incontri virtuali via web. Viene ad innescarsi un meccanismo estremamente complesso attraverso il quale il giovane destinatario e fruitore di questi codici e tendenze che il sociale continua-mente restituisce inizia a percepire il proprio sé come un crogiuolo di ruoli da mettere in scena sul palcoscenico virtuale dell’imago personale restituita, ad esempio, nella propria pagina Facebook. Questi strumenti di comunicazione divengono così, da un lato, luoghi privilegiati di costru-zione e di esternazione della propria identità, dall’altro, spazi simbolici di narrazione di sé e di condivisione della propria realtà interiore. La condi-visone, nell’universo giovanile, di particolari codici comunicativi e rela-zionali di riconoscimento, come abbiamo visto nei social network, blinda l’accesso e la condivisione solo a questa particolare stagione dell’esisten-za, opposta ed inaccessibile agli adulti, che non possiedono, talvolta, la chiave di accesso, la password, l’amicizia, come abbiamo visto, come può accadere ad un genitore preoccupato che non può accedere al domi-nio del proprio fi glio adolescente per rendersi conto di quello che real-mente sente e pensa. In questo modo l’acquisizione e lo svelamento del proprium identitario personale segue percorsi riconducibili anzitutto alla molteplicità ed alla frammentarietà veicolata da questi modelli sociali condivisi; il sé, l’identità soggettiva si trasforma in una sorta di puzzle fl essibile e aperto a continue revisioni e modifi che ispirate dai codici e dai

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modelli assunti e metabolizzati, ad esempio, attraverso lo stesso social network. L’io non riconoscendo più una sua dimensione autentica si de-centra e perde, o meglio, non si attribuisce più quel corpus di peculiarità e caratteristiche che lo rendono singolare ed irripetibile, e inizia ad assu-mere ruoli diversi e ad identifi carsi in un fascio di io, di maschere e imago che introietta per adattarsi e negoziare rispetto alle diverse esigenze che la realtà complessa gli restituisce, l’identità perde il suo focus e diventa multipla, quindi falsa e vuota in quanto deprivata di quei tratti caratteri-stici che la connotano.

Nelle società tradizionali le fasi della crescita soggettiva erano scandi-te da momenti precisi in cui tutta la comunità riconosceva alla persona candidata a questa evoluzione il nuovo status conseguito, oppure manca-to, attraverso riti di passaggio29. Nella contemporaneità questi momenti rituali sono stati progressivamente sostituiti da alcune tappe, alcuni risul-tati che implicitamente scandiscono le fasi evolutive e di crescita persona-le: possiamo indicare, ad esempio, il transito giovinezza/adultità come momento particolare caratterizzato da alcune trasformazioni che il sog-getto esperisce, la fi ne della formazione scolastica e l’ingresso nel mondo del lavoro, il conseguimento di una indipendenza economica, e quindi l’abbandono della casa genitoriale, la creazione di un nuovo nucleo fami-liare, l’assunzione di un ruolo genitoriale, rappresentano chiaramente un momento di passaggio, come dicevamo, dalla giovinezza all’età adulta30. Nel nostro presente postmoderno e globalizzato questi passaggi e dinami-che di crescita assumono sempre più consistentemente i contorni della precarietà e dell’incertezza – si è coniata l’espressione “sindrome di Peter Pan” ad indicare l’habitus giovanile di restare legati e dipendenti dalle fi gure parentali anche in età adulta31 – il soggetto sembra essere sempre più solo e spaesato in quanto non riesce a codifi care pienamente se stesso,

29 Cfr. A. van Gennep, I riti di passaggio (1909), Bollati Boringhieri, Torino, 1981.30 Cfr. C. Saraceno, M. Naldini, Sociologia della famiglia, il Mulino, Bologna, 2007;

Ead, La famiglia nella società contemporanea, Loescher, Torino, 1975.31 Cfr. D. Demetrio, L’educazione nella vita adulta: per una teoria fenomenologica

dei vissuti e delle origini, Carocci, Roma, 1998; Id., L’età adulta: teorie dell’identità e pedagogie dello sviluppo, Carocci, Roma, 1998; per una lettura psicologica e psicoanalitica sulla sindrome di Peter Pan come condizione di rifiuto della crescita all’età adulta vedi in particolare A. Carotenuto, La strategia di Peter Pan, Bompiani, Milano, 1995; M. R. Costanza, La favola di Peter Pan e la sindrome di Peter Pan, Seam, Roma, 1997; P. Guli-sano, C. Nejrotti, Alla ricerca di Peter Pan, Cantagalli, Siena, 2010; M. Lascala, Paura di

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non riesce ad ascendere allo svelamento e quindi alla coltivazione della propria identità, alla scoperta di sé come unità distinta dalla generalità della massa, della società. “Se il problema dell’identità moderno – scrive Zygmun Bauman – consisteva nel costruire una identità e mantenerla so-lida e stabile, il problema dell’identità postmoderno è innanzitutto quello di come evitare ogni tipo di fi ssazione e come lasciare aperte le possibilità”32. L’incertezza e la possibilità scandiscono, in maniera sem-pre più pervasiva, l’esistenza giovanile continuamente protesa tra gli ane-liti delle possibilità e una dimensione indefi nita di precarietà personale, carente comunque di una consapevole dimensione progettuale verso la vita adulta. Questo passaggio giovinezza/adultità si connota pedagogica-mente come una condizione più che come un processo: indicando come condizione una processualità legata all’attesa, alla possibilità, ma tuttavia caratterizzata da un esito incerto; il processo, invece, è costituito da una serie di azioni orientate progettualmente al conseguimento di un risultato precedentemente programmato. Non possiamo certo pensare pedagogica-mente al conseguimento della piena maturità della vita adulta come qual-cosa di spontaneo legato, ad esempio, all’incedere del tempo, ad un mero raggiungimento di una età cronologica come garanzia di realizzazione dell’obiettivo prefi ssato. La maturazione e la crescita interiore possono avvenire, pensando a processualità armoniche di sviluppo personale, op-pure all’opposto possono anche non avvenire relegando il soggetto in una condizione di immaturità permanente, di neotenia, ovvero di non nascita a se stesso, alla propria dimensione autentica, identitaria. Sono molteplici e estremamente complessi i fattori che possono infl uenzare o determinare l’arresto dell’evoluzione interiore del soggetto, che così resta prigioniero in una condizione di viluppo, come dicevamo, di obnubilamento di sé, di non nascita alla propria dimensione autentica di persona. Potremmo, come esempio simbolico, prendendo a prestito l’imago socratica della maieuti-ca, indicare il momento della nascita del bambino, il parto, come situazio-ne estremamente delicata e rischiosa sia per la madre che per il nascituro: la natura, solitamente nell’approssimarsi della nascita, fa girare il feto nell’utero in posizione cefalica rispetto al canale del parto così da consen-

crescere. Sindrome di Peter Pan e ribellione nel racconto di formazione contemporanea, Albatros, Viterbo, 2012.

32 Z. Bauman, La società dell’incertezza, il Mulino, Bologna, 1999, p. 27.

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tire una nascita naturale al bambino. In alcuni casi questo non accade e il feto resta nell’utero in una posizione podalica rispetto al canale di uscita, così da impedire, fattivamente, un parto naturale33. Se il bambino riesce a girarsi facilita il processo della nascita che può essere espletato con mag-giore sicurezza, all’opposto se questa condizione non si realizza è neces-sario incidere l’addome della madre ed estrarre il bambino; provare a far-lo nascere, in “posizione podalica”, seguendo un parto naturale espone il bambino e la madre alla possibilità di morire34. Analogamente, ritornando al nostro discorso, il soggetto può rendersi conto che deve “girarsi”, ovve-ro invertire la rotta rispetto ai modelli e agli habitus culturali e comporta-mentali che la società globalizzata e reifi cata propone e iniziare un percor-so personale di emancipazione dal collettivo e di progressiva acquisizione di coscienza, quindi di nascita a se stesso, alla propria identità; oppure all’opposto assopirsi nei comfort e nelle situazioni rassicuranti che la so-cietà continuamente restituisce e perdersi nell’oblio di una sterile condi-zione neotenica, non riuscendo a nascere a se stesso. In questo caso “[…] il contenuto – scrive Michel Maffesoli – certo non è insignifi cante per al-cuni. Ma per la maggior parte, esso vale semplicemente perché avvalora il sentimento di partecipare a un gruppo più vasto, di uscire da sé. Così si è più attenti al contenente che fa da sfondo, che crea ambiance, atmosfera, e perciò stesso unisce”35. I mezzi di comunicazione di massa, la televisio-ne e internet in primis, propongono continuamente nuovi modelli, nuovi codici relazionali, culturali e comportamentali, attraverso telefi lm, serie tv, fi ction, reality show, pubblicità, tutto è a portata di mano, o di teleco-mando, con le connessioni satellitari e via web siamo immersi, virtual-mente e passivamente, in un universo che non ci appartiene, che non sen-tiamo vicino ma che tuttavia ci pervade. L’uomo fruitore di tanti strumen-ti tecnologici appare sempre più solo e spaesato, non riesce a codifi care questa moltitudine di informazioni che riceve, a ricondurle ad una dimen-sione di signifi catività e di senso, a paradigmi culturali prossimi, in quan-to queste informazioni provengono da aree culturali che superano i confi -ni degli stati e dei continenti in quanto i mass media sono costitutivamen-

33 Cfr., H. Valensise, S. Felis, T. Ghi, Sorveglianza fetale in travaglio e parto, CIC, Roma, 2009.

34 Ibidem.35 M. Maffesoli, Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società di

massa, Armando, Roma, 1988, pp. 42-43.

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te aperti ad una dimensione globale. La televisione ci connette oramai con il mondo, facendo zapping possiamo vedere, ad esempio, un marito e una moglie che litigano ferocemente in un reality show, oppure assistere al ricongiungimento tra un genitore ed un fi glio dopo mezzo secolo di indif-ferenza, o ancora vedere immagini di guerra e seguire il bombardamento di una città in diretta, o assistere al parto plurigemellare di una attempata signora, oppure ancora seguire una preparazione meticolosa di una ricetta di una pietanza esclusiva. Volendo simbolicamente richiamare l’attenzio-ne, sia pure in maniera superfi ciale, su alcuni aspetti peculiari dell’umana esistenza, l’affettività; la morte e la vita. Tutto è immagine, velocità, desi-derio di altrove, fruizione prêt à porter, voracità e aneliti inappagati e in-confessabili, presente a combustione rapida. Manca in questo ampio pro-scenio globale e virtuale l’invito a cercare se stessi, a riconoscersi nelle proprie peculiarità e caratteristiche, a emanciparsi dall’incubo delle pas-sioni, a diventare persone. Questa mancanza, assolutamente non causale, relega ed orienta strumentalmente il fruitore/spettatore in una dimensione di passività radicale e di esteriorità: tutto deve essere cercato all’esterno, fuori da se stessi. La televisione comunica attraverso una dimensione ico-nica, immaginale, restituendo una fruizione semplice, e non richiedendo alcuno sforzo allo spettatore, sta divenendo, sostanzialmente, uno stru-mento che produce eventi, esperienze, tendenze, mode, ma anche paradig-mi esistenziali e di senso. Una volta che il soggetto/fruitore viene sgrava-to dall’onere della corresponsione, gli enunciati possono moltiplicarsi in-defi nitamente generandosi l’uno dall’altro. Tutto questo soddisfa un biso-gno implicito di disinteresse, di disimpegno e di oblio, d’altro canto la società effi cientista e performativa nella quale viviamo non incita in alcun modo la possibilità che il soggetto possa educarsi, crescere e maturare nella direzione della consapevolezza di sé. L’adolescenza come stadio evolutivo, talvolta, diventa una condizione permanente dell’intera esi-stenza personale, come abbiamo visto, in cui il soggetto rinuncia ad eman-ciparsi, ad ascendere alla consapevolezza di sé come persona unica ed ir-ripetibile, mancando, fattivamente, il progetto esistenziale fondamentale della sua vita e naufragando in una condizione neotenica di immaturità permanente. L’esistenza è la vita del soggetto che continuamente diviene, in primis attraverso l’educazione, le esperienze, gli incontri e le relazioni con gli altri; decidere di arrestare questa processualità esistenziale nel suo

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costitutivo divenire, vuol dire pedagogicamente mancare non solo alla progettualità personale, alle dinamiche di crescita, di evoluzione e di svi-luppo, ma radicalizzando il problema, vuole dire rinunciare a vivere coe-rentemente ad una progettualità personale e salvifi ca, in altri termini vuo-le dire, morire a se stessi, alla propria identità, al divenire esistenziale consapevole e a diventare persona.

1.4. Identità come cura di sé

“Noli foras ire, in teipsum redi: in interiore homine habitat veritas.[…] et si tuam naturam mutabilem inveneris trascende et teipsum”36.

Sant’Agostino, De vera religione, 39, 72

Il monito di Sant’Agostino all’introspezione per scoprire la verità in-terna a ciascuna persona è un invito a non distrarsi nelle cose futili ed esteriori, in quanto solo partendo da uno sguardo interiore autentico e disincantato possiamo ascendere alla conoscenza di noi stessi, fase pro-pedeutica per conoscere l’altro, gli altri, il mondo esterno, con tutte le pe-culiarità caratteristiche correlate. Solo dopo essere riuscito a fare queste trasformazioni l’uomo può scoprire una verità ulteriore che lo abita, la trascendenza di Dio37. L’esistenza umana è caratterizzata da un divenire continuo che trascina il soggetto nei suoi vortici impetuosi, solo riuscen-do a sottrarsi da questa velocità del divenire la persona ha la possibilità di perfezionare uno sguardo più attento e consapevole sugli eventi, solo la distanza dalla dinamica delle cose può conferire equilibrio e capacità di orientare l’esistenza stessa in dimensioni di progettualità e di senso. Nel rientrare in se stessa la persona inizia a prendersi autenticamente cura di sé, cominciando a operare uno svelamento, alétheia, della propria verità,

36 “Rientra in te stesso, è dentro l’uomo che abita la verità. […] e se scopri la tua mute-vole natura trascendi te stesso”; Sant’Agostino, La vera religione, Mursia, Milano, 2012.

37 Sant’Agostino descrive nelle Confessioni questa dinamica di autotrascendimento in cui l’anima una volta rientrata in se stessa “si scoprì in sé mutevole e di qui si sollevò all’intelligenza di sé sottraendosi alla vita abituale […] per ritrovare quella luce che l’aveva inondata quando senza alcun dubbio aveva dichiarato l’immutabile migliore di ciò che muta”, Sant’Agostino, Confessioni, Edizioni Paoline, Roma, 1961, VII, 17.23.

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l’identità, che anzitutto è emancipazione dal collettivo e dai luoghi comu-ni, dalle dimensioni fatue e polimorfi che del sociale. Purtroppo nell’epo-ca che noi viviamo dominata, come abbiamo visto, dalla globalizzazione, dalla reifi cazione e dal nichilismo tutto è consumo, merce in vendita da comprare, res, non è concesso alcuno spazio per gli aspetti squisitamente umani della persona, come l’anelito educativo e pedagogico insopprimi-bile a coltivare se stessi, epimeleisthai heautou di cui ci parla Platone nell’Alcibade primo38. Per i greci il prendersi cura di se stessi era un anelito fondamentale dell’esistenza personale ma anche sociale, si pensi al ruolo della persona nella polis. Questo precetto, epimeleisthai heautou, si coniugava con quello delfi co ghnōthi sauton, in quanto la conoscenza di sé è disgiungibile dalla coltivazione di se stessi, dal prendersi, auten-ticamente, cura della propria interiorità e della persona nel suo insieme. Così nell’Eutifrone Socrate sottolinea la necessità di “prendersi cura dei giovani, affi nché crescano nel miglior modo possibile”39. La cura a cui Socrate auspica è l’azione educativa e maieutica che porti il soggetto ad ascendere alla verità di se stesso, allo svelamento della propria natura più autentica, alla conoscenza della propria identità. Così come accade anche nel mondo delle idee: “Zeus, il grande sovrano che sta in cielo, conducen-do il carro alato, è il primo a procedere, ordina tutte quante le cose e ha cura di esse”40. Analogamente, l’uomo deve ristabilire un ordine nel caos originario della propria vita, emancipandosi dalle dimensioni totalizzanti e polimorfi che del viluppo originario, come abbiamo già sottolineato in precedenza, del suo stato di natura ed evolversi attraverso un consapevole percorso educativo di progettualità e di senso.

“L’esserci dell’uomo – scrive Romano Guardini – è plasmato da di-verse esperienze, in primo luogo dal modo in cui diviene consapevole della realtà del mondo e dal tipo di realtà interiore che entra in gioco nel

38 In questo dialogo platonico Alcibiade manifestando la volontà di intraprendere una vita politica, sente la necessità di imparare a parlare in pubblico in modo convincente ed assertivo. Socrate dopo avergli dichiarato il suo amore lo invita ad evolversi e acquisire una dimensione adulta, perché ciò possa compiersi, suggerisce Socrate, è necessario ascen-dere alla conoscenza delle regole della legge, della giustizia e della concordia. Purtroppo Alcibiade non è stato educato in queste direzioni, allora Socrate suggerisce di acquisire la technē, l’educazione a prendersi cura di se stesso, attraverso la cura dell’anima. Vedi Plato-ne, Alcibiade primo, Alcibiade secondo, trad. it. di D. Puliga, Rizzoli, Milano, 2000, 127e.

39 Platone, Eutifrone, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2001, 2d.40 Platone, Fedro, trad. it. di M. Bonazzi, Einaudi, Torino, 2011, 346e.

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suo incontro con il mondo. Vi è ad esempio l’esperienza della verità. La verità è tale da chiamare l’uomo alla conoscenza”41. Analogamente a Pla-tone, Romano Guardini indica nel rapporto fondamentale e complemen-tare conoscenza di sé, conoscenza del mondo/verità, il fondamento stesso che connota e caratterizza ontologicamente l’esserci dell’uomo, ovvero la persona in quanto tale. La cura di sé, è necessario precisare, può sussiste-re solo in presenza di una relazione. La cura di sé e la cura dell’altro, degli altri, possono essere esperite solo attraverso una relazione, una connes-sione profonda, un motus dialettico, una apertura costitutiva. Non possia-mo pensare alla cura in situazioni di completa chiusura rispetto a se stessi, in condizioni di alienazione personale o di estraniazione; così, specular-mente, rispetto agli altri la cura può essere offerta solo quando sussistano condizioni di relazione o di collegamento, di qualche tipo, tra sé e l’altro. È fondamentale, come ci ricorda Guardini, il rapporto con la realtà, quella interiore, e quella esterna a sé, del mondo, degli altri e l’elemento che in primis caratterizza questa processualità è il legame profondo che la perso-na ha stabilito con se stessa e con gli altri. Pedagogicamente, infatti, non possiamo pensare ad un soggetto che possa dare o restituire qualcosa che non ha, che non gli appartiene. Pensiamo, ad esempio, al rapporto docen-te/discente, il docente può concretamente, insegnare ai suoi allievi solo ciò che conosce, sarebbe paradossale chiedere ad un docente di insegnare argomenti che non possiede o che ignora. Allo stesso modo, la conoscen-za verso altro sarà direttamente proporzionale alla conoscenza che il sog-getto avrà di sé medesimo. Sarebbe irreale pensare ad un soggetto alieno a se stesso, alla sua dimensione interiore, alla sua identità, che riesca a co-noscere l’altro nella sua autenticità. L’atto educativo esperito dal docente nei riguardi dei suoi allievi è un radicale processo educativo di cura che si connota, anzitutto, nella capacità del maestro di farsi carico, di compren-dere, cǔm prehendere, prendere con sé, assumersi la responsabilità della cura dei suoi allievi, così da condurli in primis verso la conoscenza di se stessi e verso l’inculturazione. Da molti anni si discute, anche in ambiti diversi da quelli squisitamente pedagogici, come, ad esempio, nei conte-sti istituzionali e legislativi, sulle fi nalità precipue dell’educazione sco-lastica: in particolare il nodo cruciale della questione riguarda le fi nalità

41 R. Guardini, L’uomo. Fondamenti di una antropologia cristiana, in Id., Opera om-nia, III/2, Morcelliana, Brescia, 2009, p. 110.

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della scuola, ovvero ci si pone la domanda se il compito precipuo della scuola sia quello di istruire oppure di educare. In altre parole, da una parte viene richiamata l’attenzione sull’esigenza, di matrice tipicamente dewe-yana42, di fare fronte con l’istruzione – intesa in primis come trasmissione di conoscenze, di contenuti – alla crescente complessità sociale, così da formare cittadini in grado di interagire positivamente con i problemi della quotidianità e risolverli e di abitare positivamente il presente; dall’altra viene sottolineata l’esigenza di educare, ovvero di fare emergere l’identità della persona e di coltivarla, così da farla crescere ed emanciparsi in una dimensione etica di consapevolezza di sé e di rispetto per l’altro, ovvero di cura degli aspetti più tipicamente umani dell’esistenza43. Sicuramente la scuola, pedagogicamente, deve assolvere ad ambedue questi compiti fondamentali, quello dell’istruzione e quello dell’educazione. La crisi del sistema scolastico italiano affonda le sue radici proprio nello squilibrio, nella disarmonia tra queste due componenti fondamentali. In particolare negli ultimi anni è prevalso, sicuramente, il ruolo dell’istruzione – pen-siamo allo slogan di qualche anno fa, ampiamente esternato dall’allora Ministro dell’Istruzione italiano, della centralità delle “tre I: informatica, inglese, impresa”44 – slogan che ha segnato, in maniera consistente, i tentativi di riforma della scuola che negli ultimi anni si sono succeduti45. Resta comunque fondamentale il ruolo nell’educazione scolastica della cura che il docente deve profondere verso i suoi allievi. Oggi molto più di ieri – a causa di situazioni particolari restituite dal nostro presente come, ad esempio, la disgregazione familiare, le famiglie monoparentali oppure i nuclei familiari con entrambi i genitori impegnati in defatiganti attività lavorative che comportano una scarsa interazione con i fi gli – il ruolo del docente scolastico riveste una importanza fondamentale a livello socia-le. In termini psicologici possiamo indicarla come “identifi cazione”46, in quanto la sua imago deve vicariare la presenza genitoriale o la mancanza di riconoscimento o anche di semplice ascolto delle fi gure parentali, ele-

42 Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione (1916), a cura di A. Granese, La Nuova Italia, Firenze, 1992.

43 A tal proposito vedi, in particolare, F. Mattei, Sfibrata Paideia, Anicia, Roma, 2009.44 Cfr. G. Bertagna, Dietro una riforma. Quadri e problemi pedagogici dalla riforma

Moratti al «cacciavite» di Fioroni, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2009. 45 Ibidem46 Cfr, E. H. Erikson, Infanzia e società, Armando, Roma, 19893, p. 244.

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menti assolutamente fondamentali per uno sviluppo psicologico armo-nico del bambino e del ragazzo. Se questo processo di “identifi cazione” educativa nella fi gura del docente per qualche dinamica psicologica, non dovesse avvenire, possono insorgere nel soggetto blocchi emotivi, ferite narcisistiche e disturbi della personalità, mancanza di autostima, carenze di volontà47. Esiste un legame molto profondo, costitutivo, tra l’educa-zione e la cura, non solo da un punto di vista etimologico, edere come nutrire, coltivare, allevare, quindi appunto prendersi cura; l’educazione, l’atto di educare, come abbiamo visto parlando dell’educazione formale nella scuola, si realizza nel legame profondo che si instaura tra il docente e l’educando; l’educatore ante litteram è tale solo attraverso il prendersi cura dei suoi allievi, attraverso la maieutica educativa quotidiana che agi-sce continuamente nella sua mission educativa.

Purtroppo, come abbiamo visto, il sociale oggi restituisce in manie-ra sempre più totalizzante e pervasiva l’imago atomistica del soggetto e della stessa realtà, come se solo la dimensione solipsistica e narcisistica della soggettività fosse il paradigma da adottare per vivere in sintonia con se stesso e con la società, negando in maniera implicita la dimensione relazionale, fondamento cardine della cura. L’altro è visto sempre di più come problema da evitare, non come persona da incontrare, conoscere, con cui stabilire feconde corrispondenze. Questa chiusura solipsistica porta in primis il soggetto a vivere una situazione di disagio, di estra-niazione anzitutto rispetto a se stesso e poi nei confronti degli altri, della realtà circostante, del mondo intero. “[…] L’altro in quanto altro – scrive Emmanuel Lévinas – non è qui un oggetto che diventa nostro o che fi ni-sce per identifi carsi con noi; esso, al contrario si ritrae nel suo mistero”48, ad indicare, da un lato, il fondamento radicale dell’esistenza umana nella relazione; dall’altro, “l’irriducibile alterità dell’altro” – utilizzando una felice espressione lévinassiana – che identifi ca e connota in primis l’altro come persona depositaria di identità, di elementi che la caratterizzano come essere unico ed irripetibile, come “mistero”, ovvero depositaria di una verità propria che non è percepibile in maniera superfi ciale o esterio-

47 Cfr. H. Kohut, La guarigione del sé (1951-19632), Bollati Boringhieri, Torino, 1980, pp. 125-140; R. May, L’arte del counseling. Il consiglio, la guida, la supervisione, Astrola-bio, Roma, 1991, p. 23 e sgg., 49 e sgg.

48 E. Lévinas, Il tempo e l’altro (1947), il melangolo, Genova, 1993, p. 55.

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re ma deve essere cercata, accolta e disvelata. Negare l’altro in quanto tale e eludere le relazioni che l’esistenza continuamente restituisce, come abbiamo visto, è fonte di alienazione per il soggetto, di sofferenza. Se questa chiusura egoica e questa dimensione di non accettazione dell’al-tro e della dialettica relazionale dovessero protrarsi nel tempo, ovvero essere vissute molto a lungo, l’esistenza soggettiva potrebbe deformarsi patologicamente fi no a sfociare anche in disturbi della personalità e della mente. Copiosi studi e ricerche scientifi che49 indicano quale eziologia delle malattie mentali, anzitutto, disturbi di tipo relazionale50. La rela-zione rappresenta un elemento costitutivo della persona, non possiamo pensare l’umano privato della sua galassia relazionale che è naturalmen-te collegata all’esistenza personale. Elemento cardine della relazione, come abbiamo visto, è la cura. Possiamo indicare due modalità principali dell’esplicarsi della cura. La prima modalità è il prendersi cura di sé, cura sui, è il passaggio, propedeutico e fondamentale, di svelamento del pro-prium personale, l’identità che caratterizza la persona umana come essere unico ed irripetibile. Il passaggio successivo riguarda la cura dell’altro, elemento fondante, come vedremo più avanti, della civile convivenza. Esiste poi una terza modalità, non meno importante delle prime due, che è il prendersi cura dell’ambiente in cui si vive, l’utero che ci circonda – etimologicamente ambiĕnte participio presente di ambīre, circondare, andare incontro – che ci accoglie, ci nutre e ci dà la possibilità di vivere. Una delle conquiste della contemporaneità è la coscienza ecologica, il rispetto e la cura dell’ambiente, l’educazione ambientale. In tutti i Paesi democratici esiste un ministero deputato alla tutela ambientale. Queste tre modalità della cura: il prendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente sono fortemente interrelate tra loro, complementari, lineari e sincroniche. Solo chi riesce autenticamente a prendersi cura di sé, può realmente avere cura dell’altro, degli altri e parimenti, colui che ha cura degli altri avrà cura dell’ambiente in cui vive, del mondo. Esiste poi una ulteriore modalità

49 Vedi D. Goldberg, I. Goodyer, Origine e sviluppo dei disturbi mentali, Centro Scien-tifico Editore, Milano, 2009; D. Hales, R. Hales, La salute della mente. Riconoscere, preve-nire e curare i disturbi mentali, Longanesi, Milano, 1998; F. Pellegrino, L’approccio inte-grato ai disturbi mentali. Linee guida e pratiche cliniche, Springer Verlag, Milano, 2011.

50 Cfr., G. Caprara, D. Cervone, Personalità. Determinanti, dinamiche, potenzialità, Cortina, Milano, 2003; V. Lingiardi, La personalità e i suoi disturbi. Un’introduzione, Il Saggiatore, Milano, 2001.

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del prendersi cura, sicuramente meno importante delle tre precedenti, la cura delle cose, degli oggetti. Questa forma di cura, razionalmente, meno rilevante delle altre, come abbiamo detto, ha assunto nei Paesi occiden-tali, fortemente industrializzati, nell’ultimo secolo una preoccupante dif-fusione e rilevanza. Questo fenomeno, già lucidamente analizzato nella seconda metà del Novecento da diversi esponenti della Scuola di Franco-forte, tra questi è opportuno ricordare Herbert Marcuse51, Erich Fromm52 e Jürgen Habermas53, si circostanzia nella sostanziale identifi cazione tra l’essere umano e gli oggetti che possiede, o che vorrebbe possedere. In altre parole, le persone iniziano a riconoscersi, a sentire sentimenti pro-fondi come l’affettività per le loro merci, ed in questa direzione cercano soddisfacimento e felicità. Una delle possibili ragioni di questa dinamica psicologica e sociale potrebbe essere individuata nel tentativo di vicaria-re la mancanza di relazionalità, quindi di cura, con se stessi, anzitutto, e poi con gli altri, magari per una chiusura caratteriale, oppure uno stato di sfi ducia o alienazione, con un soddisfacimento semplice quanto effi mero negli oggetti posseduti o desiderati. Questa dinamica di cura rivolta alle cose, ai complementi, può essere particolarmente venefi ca per il soggetto postmoderno che assopito nella speranza effi mera di avere soddisfazione e benefi ci dalle cose materiali, come un moderno adoratore di oracoli, si allontana sempre di più da se stesso, da una dimensione autentica di ricer-ca della propria verità interiore, della identità personale, dall’autenticità delle relazioni interpersonali, per chiudersi in una dimensione di sterile solipsismo, alienandosi così sempre di più dalla realtà. La cura, come abbiamo visto, è una categoria pedagogica che declina costitutivamen-te l’identità della persona che amorevolmente ha cura di sé, degli altri, dell’ambiente. Pensando alla formazione umana – come processualità di

51 Cfr. H. Marcuse, Eros e civiltà (1955), Einaudi, Torino, 1980; Id., L’uomo a una dimensione (1964), Einaudi, Torino, 1987.

52 Vedi, E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea (1955), Mondadori, Mi-lano, 1995; Id., Avere o essere? cit.; Id., Da avere a essere, a cura di R. Funk, Mondadori, Milano, 1991.

53 Vedi, J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica (1962), Laterza, Roma-Bari, 2005; Id., Conoscenza e interesse (1968), Laterza, Roma-Bari, 1990; J. Habermas, N. Luhmann, Teoria della società o tecnologia sociale (1971), Etas, Milano, 1983; J. Ha-bermas, Il discorso filosofico della modernità (1985), Laterza, Roma-Bari, 2003; Id., La rivoluzione in corso (1990), Feltrinelli, Milano, 1990; Id., Fatti e norme: contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1992), Guerini, Milano, 1996.

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crescita interiore e di acquisizione di consapevolezza di sé e degli altri, quindi della realtà – che continuamente si dispiega nel tempo delle stagio-ni della vita e nello spazio esistenziale segnato, in primis, dalle relazioni interpersonali, risulta evidente che l’educazione, elemento caratterizzante e fondamentale del processo formativo, processualità aperta e in divenire, che conduce il soggetto allo svelamento delle sue peculiarità e caratteri-stiche, ovvero l’identità della persona unica e irripetibile, è anzitutto cura che consente di orientare la persona a realizzare se stessa in una direzione etica per quanto umanamente possibile.