Fr. 70 D (121-122 Deg.) - Scena di pugilato Fr. 70 D (121-122 Deg.) - Scena di pugilato Tra i...

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Ipponatte * Fr. 70 D (121-122 Deg.) - Scena di pugilato Tra i personaggi presi di mira il nome che ricorre più di frequente è quello dello scultore Bupalo, tanto che Callimaco parle- rà di una vera e propria «battaglia contro Bupalo» (boup}leioj m}ch). Quali siano state le motivazioni di tanto odio non è del tutto chiaro. Le fonti antiche narrano di un ritratto caricaturale eseguito dallo scultore, che avrebbe mandato su tutte le fu- rie il poeta; è probabile che a questo si sia aggiunta la rivalità amorosa nei riguardi della bella e licenziosa Arete e l'incompati- bilità delle posizioni politiche. Da ascrivere senz'altro alla leggenda è, invece, il racconto secondo cui la violenza degli strali del giambografo avrebbe costretto lo scultore e il fratello, per la disperazione, a impiccarsi; il calco della vicenda di Archiloco e Licambe appare evidente. Quasi certamente alla boup}leioj m}ch appartiene il fr. 12: Il riferimento a Bupalo è esplicito nel frammento 70. La pittoresca scena di pugilato è scandita da rapidi gesti, che assumo- no colore caricaturale sia per il carattere plebeo della lezione che il poeta si propone di impartire, sia per la proclamazione, un po' troppo strombazzata, della propria irresistibile potenza fisica. Forse, però, tutta la scena non deve essere letta in termini di concretezza realistica, ma di metaforica rappresentazione; il poeta intende dire che i propri giambi non perdonano e mettono infallibilmente in ginocchio l'avversario. [L. Barbero] l£betš meo ta„m£tia, kÒyw Boup£lou tÕn ÑfqalmÒn. ¢mfidšxioj g£r e„mi koÙk ¡mart£nw kÒptwn. Tenetemi il tabarro, pesterò l’occhio di Bupalo! ambidestro infatti sono, né fallisco nel pestare! (Trad. di E. Degani) Tenetemi per la manica: gli spacco un occhio, io a Bupalo. Un uno-due. Faccio centro, con i pugni. (Trad. di E. Savino) Metro: tetrametri trocaici catalettici. l£betš . . . kÒptwn: «prendetemi il mantello, voglio colpire l'oc- chio di Bupalo; sono ambidestro infatti e non sbaglio nel colpire». - meo: forma distratta del genitivo ionico (att. mou). - ta„m£tia: crasi e psilosi ionica per t~ ƒm£tia = «le vesti», ma qui puoi tradurre «mantello», per poter essere il poeta più libero nel colpire Bupalo. Anche Aristofane nelle Tesmoforiazuse presenta una donna che, in procinto di colpire Mnesiloco, dice all'amica: Lab qo„m£tion, Fil…sth (v. 568). - kÒyw: futuro con valore intenzionale, ma vi è chi lo ritiene cong. aoristo. - Boup£lou: gen. di possesso; secondo altri, potrebbe considerarsi genitivo di ostilità, da collegare a kÒptw, nel qual caso ÑfqalmÒn sarebbe accusativo di relazione. - ¢mfidšxioj: capace di colpire con ambedue le mani. Anche nell'O- dissea (XVIII, 27-29) il pitocco Iro si vanta di essere ambidestro prima di battersi con Odisseo. - koÙk (crasi per kaˆ oÙk) kÒptwn: un'ironica litote; il participio predicativo è retto da ¡mart£nw; tut- tavia non manca chi lo intende con valore temporale («quando col- pisco»). fr. 12 D (33 Deg.) - Contro Bupalo Alla solennità dell'apertura, sottolineata dall'ampio distendersi dei due composti ( ÅmfalhtÇmoj, «tagliatrice di ombelichi» e diopl¥ga, «colpito da Zeus»), fa da contrappunto la scomposta immagine del bimbo che sgambetta e viene ripulito o, più precisamente, «strigliato» come le bestie da soma, appena uscito dal ventre materno. Ma gli aulici composti sono, in realtà, fin dall'inizio irridenti e servono solo a enfatizzare la domanda-imprecazione che coinvolge nel divertito sarcasmo non solo il po- vero Bupalo, ma anche l'ignara levatrice. [L. Barbero] T…j ÑmfalhtÒmoj se tÕn dioplÁga œyhse k¢pšlousen ¢skar…zonta; Chi è quella tagliaombelichi, intronato da Zeus, che ti deterse e risciacquò mentre sgambettavi? (Trad. di E. Degani) Segnato da dio; dimmi, chi fu / la tagliatrice di ombelichi che al guizzo delle gambe / ti prese, ti strigliò, ti ripulì? (Trad. di M. Valgimigli) Metro: trimetri giambici scazonti T…j ÑmfalhtÒmoj . . . ¢skar…zonta; : «Quale tagliatrice di ombeli- chi pulì te, colpito da Zeus, e lavò mentre sgambettavi?». - ÑmfalhtÒmoj: da ÑmfalÒj (cfr, lat.umbilicus) e t™mnw «tagliare». Abitualmente, per indicare la levatrice, si usa il termine ma¹a. La neoformazione viene ripresa da Sofrone (fr. 60 Kaibel) e da Ippo- crate (Mul. 1, 46). In Platone (cfr. Teeteto, 149 e) l'arte della levatri- ce è detta Ñmfalhtom…a. - dioplÁga (da ZeÐj e pl£ssw «colpito da Zeus» cioè stordito): è un hapax coniato sui composti omerici diogen£j, diotref£j e corrisponde all'att. eÎbrÇnthtoj («intonti- to»). – œyhse: da y£w che vale «strigliare», applicato per lo più ai cavalli ed agli asini. Il poeta avrà tenuto presente l'immagine delle sorelle di Metanira, che nell' Inno omerico a Demetra 283 si prendo- no cura del neonato Demofonte lavandolo mentre sgambetta. Ha poi inserito parodisticamente il verbo y£w e si è servito, al posto di {spa·rw ricorrente nell'inno citato, del verbo sinonimico {skar·zw, che ricorda i vermi intestinali detti «ascaridi». Infine è da notare 1' enjambement. - k¢pšlousen: crasi per ka¸ {p™lousen. Fr. 77 D (126 Deg.) - Parodia epica Le testimonianze antiche parlano di Ipponatte come dell'inventore della parodia e l'affermazione è senza dubbio accettabile, perché, se sporadici motivi parodici sono riconoscibili già negli Inni omerici e in Archiloco, solo nel poeta di Efeso assumono una sistematicità e una intenzionalità programmatiche. Così, per un verso dalla sottile trama di allusività letterarie si sviluppa una satira sofisticata, elitaria, perfettamente coerente con la matrice ideologica, e per un altro verso la base realistica, presa nel vortice della giocosità e dell'ironia, subisce una radicale deformazione, con esiti vividamente espressionistici. L'esempio più eloquente è costituito da un frammento esametrico: lo stravolgimento parodico è tutto giocato sulla utilizzazione di moduli e- pici: dall'invocazione della Musa all'altisonante «Eurimedontiade», dai solenni composti sesquipedali ( pontoc}rubdin, «l'o- ceanica Cariddi» ÷ggastri-m}cairan, «lo stomaco tritatutto») alle clausole omeriche («di luttuosa fine perisca» e «sul lido del mare infecondo»); ma la loro attribuzione a un personaggio che epico non è genera uno stridente contrasto che si risolve in tratti grotteschi e in disincantata ironia. Chi sia questo «discendente di Eurimedonte» non è possibile ipotizzare; potrebbe essere Bupalo o un altro appartenente alle classi umili emergenti, ma è certo che nella rappresentazione caricaturale diventa un eroe pantagruelico dalla gola vasta come «Cariddi» e dallo stomaco mostruoso, sempre pronto a triturare immediatamente i cibi ingozzati; e il suo destino, auspice la Musa, sarà quello dei farmako·, cioè dei «capri espiatori» che, secondo un rituale

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Ipponatte* Fr. 70 D (121-122 Deg.) - Scena di pugilato

Tra i personaggi presi di mira il nome che ricorre più di frequente è quello dello scultore Bupalo, tanto che Callimaco parle-rà di una vera e propria «battaglia contro Bupalo» (boup}leioj m}ch). Quali siano state le motivazioni di tanto odio non è del tutto chiaro. Le fonti antiche narrano di un ritratto caricaturale eseguito dallo scultore, che avrebbe mandato su tutte le fu-rie il poeta; è probabile che a questo si sia aggiunta la rivalità amorosa nei riguardi della bella e licenziosa Arete e l'incompati-bilità delle posizioni politiche. Da ascrivere senz'altro alla leggenda è, invece, il racconto secondo cui la violenza degli strali del giambografo avrebbe costretto lo scultore e il fratello, per la disperazione, a impiccarsi; il calco della vicenda di Archiloco e Licambe appare evidente. Quasi certamente alla boup}leioj m}ch appartiene il fr. 12:

Il riferimento a Bupalo è esplicito nel frammento 70. La pittoresca scena di pugilato è scandita da rapidi gesti, che assumo-no colore caricaturale sia per il carattere plebeo della lezione che il poeta si propone di impartire, sia per la proclamazione, un po' troppo strombazzata, della propria irresistibile potenza fisica. Forse, però, tutta la scena non deve essere letta in termini di concretezza realistica, ma di metaforica rappresentazione; il poeta intende dire che i propri giambi non perdonano e mettono infallibilmente in ginocchio l'avversario. [L. Barbero]

l£betš meo ta„m£tia, kÒyw Boup£lou tÕn ÑfqalmÒn. ¢mfidšxioj g£r e„mi koÙk ¡mart£nw kÒptwn.

Tenetemi il tabarro, pesterò l’occhio di Bupalo! ambidestro infatti sono, né fallisco nel pestare!

(Trad. di E. Degani)

Tenetemi per la manica: gli spacco un occhio, io a Bupalo. Un uno-due. Faccio centro, con i pugni.

(Trad. di E. Savino)

Metro: tetrametri trocaici catalettici. l£betš . . . kÒptwn: «prendetemi il mantello, voglio colpire l'oc-chio di Bupalo; sono ambidestro infatti e non sbaglio nel colpire». - meo: forma distratta del genitivo ionico (att. mou). - ta„m£tia: crasi e psilosi ionica per t~ ƒm£tia = «le vesti», ma qui puoi tradurre «mantello», per poter essere il poeta più libero nel colpire Bupalo. Anche Aristofane nelle Tesmoforiazuse presenta una donna che, in procinto di colpire Mnesiloco, dice all'amica: Lab� qo„m£tion, Fil…sth (v. 568). - kÒyw: futuro con valore intenzionale, ma vi è

chi lo ritiene cong. aoristo. - Boup£lou: gen. di possesso; secondo altri, potrebbe considerarsi genitivo di ostilità, da collegare a kÒptw, nel qual caso ÑfqalmÒn sarebbe accusativo di relazione. - ¢mfidšxioj: capace di colpire con ambedue le mani. Anche nell'O-dissea (XVIII, 27-29) il pitocco Iro si vanta di essere ambidestro prima di battersi con Odisseo. - koÙk (crasi per kaˆ oÙk) kÒptwn: un'ironica litote; il participio predicativo è retto da ¡mart£nw; tut-tavia non manca chi lo intende con valore temporale («quando col-pisco»).

fr. 12 D (33 Deg.) - Contro Bupalo Alla solennità dell'apertura, sottolineata dall'ampio distendersi dei due composti (ÅmfalhtÇmoj, «tagliatrice di ombelichi»

e diopl¥ga, «colpito da Zeus»), fa da contrappunto la scomposta immagine del bimbo che sgambetta e viene ripulito o, più precisamente, «strigliato» come le bestie da soma, appena uscito dal ventre materno. Ma gli aulici composti sono, in realtà, fin dall'inizio irridenti e servono solo a enfatizzare la domanda-imprecazione che coinvolge nel divertito sarcasmo non solo il po-vero Bupalo, ma anche l'ignara levatrice. [L. Barbero]

T…j ÑmfalhtÒmoj se tÕn dioplÁga œyhse k¢pšlousen ¢skar…zonta;

Chi è quella tagliaombelichi, intronato da Zeus, che ti deterse e risciacquò mentre sgambettavi?

(Trad. di E. Degani)

Segnato da dio; dimmi, chi fu / la tagliatrice di ombelichi che al guizzo delle gambe / ti prese, ti strigliò, ti ripulì?

(Trad. di M. Valgimigli)

Metro: trimetri giambici scazonti T…j ÑmfalhtÒmoj . . . ¢skar…zonta;: «Quale tagliatrice di ombeli-chi pulì te, colpito da Zeus, e lavò mentre sgambettavi?». - ÑmfalhtÒmoj: da ÑmfalÒj (cfr, lat.umbilicus) e t™mnw «tagliare». Abitualmente, per indicare la levatrice, si usa il termine ma¹a. La neoformazione viene ripresa da Sofrone (fr. 60 Kaibel) e da Ippo-crate (Mul. 1, 46). In Platone (cfr. Teeteto, 149 e) l'arte della levatri-ce è detta Ñmfalhtom…a. - dioplÁga (da ZeÐj e pl£ssw «colpito da Zeus» cioè stordito): è un hapax coniato sui composti omerici

diogen£j, diotref£j e corrisponde all'att. eÎbrÇnthtoj («intonti-to»). – œyhse: da y£w che vale «strigliare», applicato per lo più ai cavalli ed agli asini. Il poeta avrà tenuto presente l'immagine delle sorelle di Metanira, che nell'Inno omerico a Demetra 283 si prendo-no cura del neonato Demofonte lavandolo mentre sgambetta. Ha poi inserito parodisticamente il verbo y£w e si è servito, al posto di {spa·rw ricorrente nell'inno citato, del verbo sinonimico {skar·zw, che ricorda i vermi intestinali detti «ascaridi». Infine è da notare 1'enjambement. - k¢pšlousen: crasi per ka¸ {p™lousen.

Fr. 77 D (126 Deg.) - Parodia epica Le testimonianze antiche parlano di Ipponatte come dell'inventore della parodia e l'affermazione è senza dubbio accettabile,

perché, se sporadici motivi parodici sono riconoscibili già negli Inni omerici e in Archiloco, solo nel poeta di Efeso assumono una sistematicità e una intenzionalità programmatiche. Così, per un verso dalla sottile trama di allusività letterarie si sviluppa una satira sofisticata, elitaria, perfettamente coerente con la matrice ideologica, e per un altro verso la base realistica, presa nel vortice della giocosità e dell'ironia, subisce una radicale deformazione, con esiti vividamente espressionistici. L'esempio più eloquente è costituito da un frammento esametrico: lo stravolgimento parodico è tutto giocato sulla utilizzazione di moduli e-pici: dall'invocazione della Musa all'altisonante «Eurimedontiade», dai solenni composti sesquipedali (pontoc}rubdin, «l'o-ceanica Cariddi» ÷ggastri-m}cairan, «lo stomaco tritatutto») alle clausole omeriche («di luttuosa fine perisca» e «sul lido del mare infecondo»); ma la loro attribuzione a un personaggio che epico non è genera uno stridente contrasto che si risolve in tratti grotteschi e in disincantata ironia. Chi sia questo «discendente di Eurimedonte» non è possibile ipotizzare; potrebbe essere Bupalo o un altro appartenente alle classi umili emergenti, ma è certo che nella rappresentazione caricaturale diventa un eroe pantagruelico dalla gola vasta come «Cariddi» e dallo stomaco mostruoso, sempre pronto a triturare immediatamente i cibi ingozzati; e il suo destino, auspice la Musa, sarà quello dei farmako·, cioè dei «capri espiatori» che, secondo un rituale

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apotropaico qui adombrato, venivano caricati, per decisione comune, delle colpe di tutti ed espulsi o condotti a morire fuori della città. [L. Barbero]

Moàs£ moi EÙrumedonti£dew t¾n pontoc£rubdin, t¾n ™ggastrim£cairan, Öj ™sq…ei oÙ kat¦ kÒsmon, œnnef', Ópwj yhf‹di <kakÍ> kakÕn o�ton Ôlhtai boulÍ dhmos…V par¦ q‹n' ¡lÕj ¢trugštoio.

Musa, dell’Eurimedontiade l’oceanica Cariddi, la lama-in-pancia di quel mangione senza ritegno dimmi, sì che per malo suffragio di mala morte perisca, per volontà di popolo, lungo la riva del mare infecondo!

(Trad. di E. Degani)

Cantami, o Musa, / dell'Eurimedontiade, che sconciamente s'ingozza, l'oceanica Cariddi / e lo stomaco tritatutto, / perché con voto luttuoso / di luttuosa fine perisca per volontà popolare / sul lido del mare infecondo.

(Trad. di L. Barbero)

Metro: esametri. vv. 1-3. Moàs£ moi . . . œnnef',: «Cantami, o Musa, la Cariddi ma-rina, il coltello in pancia del figlio di Eurimedonte che mangia di-sordinatamente». - Moàs£ moi ... œnnef' (e): nota la parodia del primo verso dell'Iliade MÁnin ¥eide qe¦ Phlh#£dew 'AcilÁoj e del primo dell'Odissea ”Andra moi œnnepe, Moàsa, polÚtropon, Öj m£la poll¦. - EÙrumedonti£dew (sinecfonesi per EÙrumedonti£dou): è emendamento del Knox. In Ateneo invece vi è l'acc. EÙrumedonti£dea. Il patronimico, abbastanza lungo, è pro-babilmente parodia del Phlh#£dew di Il. I, 1. Eurimedonte era lo scudiero di Agamennone (cfr. Il. IV, 228); anche Nestore aveva un qer£pwn con lo stesso nome (cfr. VIII, 114 e XI, 620), mentre nel-l'Odissea Eurimedonte era il nome di un avo del re feace Alcinoo che aveva dominato sui Giganti (VII, 58-59). Ma qui si ignora il personaggio menzionato dal poeta - "il figlio di Eurimedonte° - in cui si è tentato di riconoscere l'avversario Bupalo oppure un altro appartenente alle classi umili emergenti. - pontoc£rubdin: "vortice marino" è neoformazione ipponattea. Cariddi, mostro marino che inghiotte le acque del mare, è definito metaforicamente il personag-gio che eccede nel bere. - ™ggastrim£cairan: "che ha un coltello nello stomaco" (Hesych. ™n gastrˆ katat™mnousan) e quindi è talmente vorace e capace di digerire che sembra avere in pancia un coltello che spezzetta i cibi, allo stesso modo che la spada. - Öj ™sq…ei ktl.: "i1 quale mangia senza ordine" quindi "indecentemen-te". Nota la litote. - œnnef' (e) (imp. pres. di ÷nn™pw) = œnnepe (con

aspirazione davanti a Ópwj) da œnsepe, donde insece usato da Livio Andronico (nella versione latina dell'Odissea). vv- 3-4. Ópwj yhf‹di . . . ¢trugštoio: «affinché con infausto voto perisca di mala sorte per volere del popolo presso la riva del mare infecondo». - Ópwj Ôlhtai: proposizione finale. Cfr. lat. ut pereat. Quanto a kakÕn o�ton Ôlhtai, formula epica in clausola, cfr. Hom. Il. III, 417, VIII, 34 ove o�ton (cfr. e¿mi) è accusativo dell'oggetto interno. - <kakÍ>: ho accolto l'integrazione di Musuro. yhf‹di (cfr. y¥foj): "sassolino, pietruzza" e, per metonimia, "voto" (perché nei tribunali si votava mediante sassolini). La morte di Eu-rimedontiade dovrebbe essere deliberata mediante il voto dell'as-semblea popolare (boulÍ dhmos…V [att. dhmos…v], espressione che serve d'integrazione al precedente yhf‹di), indignata per la condotta del farmakÇj = "capro espiatorio" (da non confondere con f}r-makoj “avvelenatore, stregone"). Infine si devono notare un polip-toto <kakÍ> kakÕn, un'allitterazione o�ton Ôlhtai ed un chiasmo tra sostantivi ed aggettivi. - par¦ q‹n' ¡lÕj ¢trugštoio (att. ¢trugštou): il mangione cesserà di vivere "presso la riva del mare infecondo", clausola epica ricorrente in Il. I, 316 e 317, Od. X, 179. - ¢trugštoio: epiteto che già si presenta in Omero e nei componi-menti elegiaci e giambici presi in esame; secondo uno scoliasta (a Od. II, 370) sarebbe costituito da { priv. e trug£w "vendemmiare" e significherebbe "infecondo", quindi contrapposto alla "terra fe-conda" (cfr. Il. XIV, 200).

Fr. 29 D (44 Deg.) - La parodia di Pluto Divertimento e ironia non investono solo il mondo degli uomini; colpiscono anche gli dei. Qui a farne le spese è Pluto, il

dio della ricchezza. Probabilmente le due prerogative di Pluto - cecità e viltà - evidenziate anche dalla collocazione l'una in apertura e l'altra in chiusura del frammento, risalgono a motivi della tradizione popolare. Esiodo, nella sua concezione sostan-zialmente ottimistica del lavoro, aveva immaginato il dio indaffarato a percorrere la terra e il mare per distribuire ricchezze e beni (Teogonia, 972 e sgg.); ma la situazione reale conosceva molti poveri e pochi ricchi, ricchi indegni della loro ricchezza e poveri immeritevoli della loro povertà: nulla di più ovvio del fatto che il dio sia stato ben presto etichettato come «cieco». Ip-ponatte sfrutta il luogo comune per una scanzonata protesta personale, che, attraverso lo snodarsi dell'accusa iniziale e del bo-nario discorsetto del dio, punta direttamente all'insulto finale, più sghignazzato che blasfemo, più divertito che risentito. Lo si capisce dai sottintesi: se Pluto è un «vigliacco», è perché teme un energico - e insieme buffonesco - regolamento di conti a suon di botte, simile a quello della boup}leioj m}ch. [L. Barbero]

™moˆ d� Ploàtoj - œsti g¦r l…hn tuflÒj- ™j tçik…' ™lqën oÙd£m' e�pen «@Ippînax, d…dwm… toi mnšaj ¢rgÚrou tri»konta kaˆ pÒll' œt' ¥lla»: de…laioj g¦r t¦j fršnaj.

ma a me Pluto – troppo è cieco, infatti! – non ha mai detto, entrato in casa mia: «Ipponatte, ti dò trenta mine d’argento e molte altre cose ancora»: perché è un vigliacco nei precordi! (Trad. di E. Degani)

A me Pluto (che è orbo ormai del tutto) mai è venuto qua per dirmi: «Ipponatte, ecco per te trenta mine d'argento, questo e quest'altro»: eh sì, è un gran vigliacco.

(Trad. di E. Mandruzzato)

Metro: coliambi (vv. 1-3) con un trimetro giambico puro (v. 24). Sinize-si al v. 3 mnšaj. vv.1-2. ™moˆ d� Ploàtoj . . . @Ippînax: «Pluto, invece, venuto alla mia casetta - infatti è troppo cieco - non mi ha mai detto». - Ploàtoj: il nome di questa divinità si connette col termine che significa ricchezza, forse connesso con polÐj «molto». Il d� che precede forse ha valore avversativo, perché è opinabile che Pluto nei versi precedenti avesse un atteggiamento diverso rispetto ad altri. - œsti g¦r l…hn (ion. per l'att. l…an): quest'espressione parentetica in età ellenistica sarà imitata da Callimaco nei Giambi e da Eronda nei Mimiambi. - tçik…'(a): crasi per

t~ oµk·a, da oµk·on diminutivo di o¿koj, «casa» (cfr. lat. vicus); t~ oµk·a è un plurale cosiddetto «analizzante», come dámata, m™gara, o¿koi, ricorrenti in Omero, per indicare un'abitazione costituita da più vani. - oÙd£m' = oÙdam£: neutro avverbiale. - @Ippînax: per la citazione del nome del poeta, cfr. fr. 42 Deg. 4. Quanto alla cecità del dio della ricchezza, ignota ad Esiodo, ma testimoniata anche da Timocreonte (731 P), Aristofane compose il Pluto, commedia in cui attribuiva la causa della cecità del dio all'invidia di Zeus per gli {gaqo·. Infatti il dio privò della vista il bambino che voleva frequentare solo uomini onesti e saggi.

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vv. 3-4. d…dwm… . . . t¦j fršnaj: «"Io, o Ipponatte, ti dono trenta mine di argento e molte altre cose ancora", giacché è un vigliacco nell'ani-mo». - toi forma epico-ionica per soi (att.). - mnšaj: forma distratta per mn‚j. - tri»konta (tri£konta): nel fr. 42 la richiesta fatta ad Ermes era di sessanta stateri d'oro, mentre questa attuale, rivolta al dio della ricchezza, è di trenta mine d'argento, una somma

alquanto rilevante, considerando che la mina valeva cento drac-me. Oltre a questo capitale, quasi doppio di quello chiesto ad Ermes, il poeta con impertinenza chiede pÒll'¥lla. - de…laioj: è forma ampliata di deilÇj «vile» (cfr. de…dw). Cfr. Aristoph. Plut., 123. - t¦j fršnaj: acc. di relazione.

Fr.24 a D (42 Deg.) - Preghiera a Ermes L'elemento autobiografico assurge a un ruolo di notevole importanza e - a prima vista - di intensa drammaticità nella famosa

preghiera a Ermes. È stato detto che «qui appare per la prima volta nella poesia il canto del pitocco, il lamento del miserabile ridotto in estrema povertà». Senonché l'ostentata solennità dell'apostrofe d'apertura e la raffinata struttura dell'inno cletico - ar-ticolato nei tre momenti dell'invocazione, della motivazione e della richiesta di aiuto - destano subito vivaci sospetti sulla pre-sunta drammaticità della preghiera; l'analisi particolareggiata non fa che confermarli. All'interno dell'aulico inizio, l'affettuoso «caro Ermes» evoca il linguaggio confidenziale dei ladri e il matronimico MaiadeÒ - «cucciolo di Maia» più che «figlio di Maia» - non riesce a dissimulare una punta ironica. Divertimento e ironia diventano aperti e prorompenti nel lungo elenco di richieste che segue: la «tunichetta» (kupass·skon) è un abito elegante, probabilmente persiano, assolutamente fuori delle mi-re di un «pitocco» che muore dal freddo; i diminutivi - insistiti, confidenziali, ricercati - definiscono un'atmosfera sorridente, in contrasto con la crudezza della situazione descritta; la somma di «sessanta stateri d'oro» - non esattamente definibile ma in-gente - suona come uno scoppio di riso nella sua balorda assurdità. Insomma la preghiera non ha una serietà autobiografica; il poeta finge di essere un pezzente per costruire il suo pezzo di bravura, intessuto su una trama di parodiche allusioni e di tratti più scopertamente buffoneschi. [L. Barbero]

@ErmÁ, f…l' @ErmÁ, Maiadeà, Kull»nie, ™peÚcoma… toi, k£rta g¦r kakîj ∙igî kaˆ bambalÚzw ... dÕj cla‹nan @Ippènakti kaˆ kupass…skon kaˆ sambal…ska k¢sker…ska kaˆ crusoà statÁraj ˜x»konta toÙtšrou to…cou.

Ermete, caro Ermete, cucciolo di Maia, Cillenio, ti scongiuro, ché ho un grande, terribile freddo e batto i denti da’ un mantello a Ipponatte, e una casacchina, e sandalucci e babbuccette, e, di oro, una sessantina di stateri, nell’altro piatto della bilancia.

(Trad. di F.M. Pontani)

Ermes, caro Ermes, cucciolo di Maia, Cillenio, ti supplico. Ho un freddo cane e batto i denti... Da' a Ipponatte un mantello e una tunichetta, sandalucci e pantofoline, e sessanta stateri d'oro sull'altro piatto della bilancia.

(Trad. di L. Barbero)

Metro: trimetri giambici scazonti, ma il v. 1 è un trimetro giambico puro. v. 1. @ErmÁ, f…l' @ErmÁ, ktl.: «Ermes, caro Ermes, figlio di Maia Cilleneo». - @ErmÁ, f…l' @ErmÁ: la reduplicazione del nome del dio è particolarità dell'inno cletico (cfr. Arch. fr. 177 W. 1 ð Zeà, p£ter Zeà, , ed Hom. Il. V, 31), ma in questa sede, per l'uso di f…le, perde la solennità assumendo carattere confidenziale e comico ad un tem-po (infatti, secondo lo scoliaste di Aristofane, Nuvole, 1478, l'e-spressione ð f…l' @ErmÁ era tipica dei ladri); f…le, già omerico, può aver valore di aggettivo possessivo. - Maiadeà: matronimico «bur-lesco» che, secondo il Degani, potrebbe essere reso con «cucciolo» di Maia, figlia di Atlante e di Pleione (cfr. Hom. Od. XIV, 435 ed Inno omerico ad Ermes IV e XVIII). È noto, infatti, che Maia gene-rò Ermes, avendo avuto un rapporto con Zeus. Ma considerando che i patronimici in deÐj sono riferiti ad animali, qui si evidenziano l'in-tento ironico e l'irriverenza verso il dio. - Kull»nie: come è noto, Ermes nacque in una grotta del Monte Cillene, in Arcadia. Il dio è invocato da Ipponatte con tutti i suoi epiteti affinché abbia compas-sione di lui. v. 2-3. ™peÚcoma… . . . bambalÚzw: «io ti prego, perché ho davvero un freddo impossibile e batto i denti». - ™peÚcoma…: verbo frequente in Omero (cfr. Il. III, 350 e VI, 475, Od. XI, 46). - toi ionismo per soi; ricorre non solo in Ipponatte, ma anche in Archiloco ed Ana-creonte. - k£rta kakîj: il primo avverbio rafforza il secondo ren-dendolo di grado superlativo (= k£kista), che ben si addice al ver-bo ∙igî. Ma vi è chi considera k£rta kakîj giustapposti asindeti-camente indicando i due avverbi, l'uno la quantità, l'altro la qualità (come se fosse «ho un eccessivo, terribile freddo»). Si nota inoltre una forma allitterante nell'asindeto. - bambalÚzw: verbo onomato-peico, non diverso dall'omerico bamba…nw (cfr. Il. X, 375). vv. 4-6. dÕj cla‹nan . . . to…cou: «Da’ un mantello ad Ipponatte, e una tunichetta e sandalucci e babbucce e sessanta stateri d'oro (prendendoli) dall'altra parete». - dÕj: voce verbale tipica della pre-ghiera; cfr. Hom. Il. VII, 203 dÕj n…khn A‡anti. - cla‹nan: man-

tello che si indossava sopra la tunica (citán). Secondo gli antichi, Ermes sarebbe stato l'inventore del mantello (cfr. Tertull. De pallio, 3,5). - @Ippènakti: non è infrequente nei suoi carmi la menzione del proprio nome che può produrre un effetto comico. - kupass…skon: diminutivo di kÐpassij che era una tunica corta e leggera (†pax legÇmenon); una tale richiesta da parte di chi ha un freddo cane è senz'altro ridicola. - sambal…ska: diminutivo di s£mbala, forma eolica per s£ndala. - k¢sker…ska (crasi per kaˆ ¢sker…ska): diminutivo di ¢skšra; ¢sker…skon è hapax, forse di origine lidia, indicante una "calzatura foderata adatta all'inverno". Da notare anzi-tutto il polisindeto kaˆ... kaˆ... kaˆ, indi un omeoteleuto (sambal…ska - k¢sker…ska), una forma allitterante ed un enjam-bement. Questi diminutivi sono del linguaggio confidenziale, non indicando il formato piccolo, ma l'uso comune. L'ironia sta nel fatto che il poeta chiede indumenti che in realtà non sono affatto abituali, ma di lusso, di foggia lidia e persiana (Degani).- statÁraj (dalla radice sta- di ½sthmi): "sessanta stateri" di oro che non erano una sommetta, bensì un grosso capitale odierno, corrispondente a più di mezzo chilo di oro. Ipponatte è uno dei primi poeti che menziona l'uso della moneta, che ebbe inizio nel VII sec. a.C. Si noti che egli, alla richiesta di indumenti di valore relativo, ora aggiunge la pretesa di ottenere dal dio dei traffici e dei guadagni una somma considere-vole di denaro. E quest'{prosdÇkhton, cioè battuta a sorpresa, è di carattere parodico, di cui più tardi faranno uso i commediografi. - toÙtšrou (crasi con psilosi per toÒ ˜t™rou) to…cou: espressione di non facile interpretazione, causata dalla mancanza del verso succes-sivo. Perciò, essendo impossibile riportare le varie esegesi, è d'uopo citare quella che è sembrata più attendibile, intendendo toÙtšrou to…cou, genitivo di allontanamento, nel senso di "dall'altra parete" ossia "dell'altra casa". In tal caso Ermes, dio dei ladri, ruberebbe la predetta somma d'oro dalla casa del vicino, bucandone il muro a mo' dei toicwrÐcoi. Infine bisogna notare l'enjambement crusoà | statÁraj e la parechesi toÙtšrou to…cou.

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* Le introduzioni sono per lo più tratte da: BARBERO L., Civiltà della Grecia Antica, Mursia, Milano, 1999, pp. 163 e sgg.;

- per i commenti si è attinto a: FERRANTE D., Incontro con i lirici, Ferraro, Napoli, 2004. pp. 31 sgg.