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“Paul Ekman è noto per il suo innovativo lavoro empirico e teorico sulle emozioni umane. Ha fatto si che l’emozione ritornasse ad essere nuovamente studiata attraverso specifiche ricerche in ambito psicologico, dopo un lungo periodo di inattività. Ci ha insegnato a leggere il volto umano, trasformandolo in una potente fonte di dati quantitativi. Ha descritto la dinamica del comportamento non verbale e la sua teorizzazione è divenuta parte integrante del vocabolario di base sulle emozioni. Ha dimostrato l’universalità delle emozioni attraverso specifici studi cross-culturali e rivedendo il famoso pensiero darwiniano. Ha portato avanti ricerche specifiche sui correlati biologici delle emozioni. Nel corso della sua carriera ha influenzato e coinvolto tanti altri ricercatori, formandoli e guidandoli. In tanti ambiti lui risulta un leader dinamico, un uomo profondamente attento e sensibile, un artista e scienziato”. Patricia S. Goldman-Rakic

Paul Ekman – Ph: Linda Sue Scott

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Tra le varie culture sparse per il mondo esistono tanti tipi di gestualità, tante quante sono le lingue parlate; i gesti universali sono rari. Quando si tratta invece di esprimere le emozioni profonde i ricercatori hanno notato somiglianze impressionanti tra i vari popoli. Forse le espressioni delle nostre emozioni possono essere definite come un linguaggio comune a tutti gli esseri umani? Nel 1967 lo psicologo Paul Ekman volle risolvere una questione scientifica riguardante le emozioni umane. Charles Darwin scrisse, nel 1872, che indipendentemente dalla cultura di provenienza tutte le persone possiedono la capacità di esprimere le emozioni allo stesso modo. Alla fine degli anni ’50 Ekman terminò il suo dottorato di ricerca in Psicologia e in questo periodo la teoria di Darwin era considerata, da gran parte della comunità scientifica, superata. La famosa antropologa Margaret Mead affermò che tutti i comportamenti umani, comprese le singole emozioni, derivano dalle particolarità della singola cultura alla quale si appartiene. Per poter dirimere la questione tra le teorie di Darwin e quelle della Mead, Ekman dovette trovare una particolare cultura che fosse isolata dalle altre; una popolazione che non avesse mai visto fotografie, film, televisione e qualunque informazione mediatica che potesse rimandare alla visione di altri individui di altre culture. Tutto questo avrebbe consentito ai ricercatori di essere certi dell’assenza di specifici elementi di disturbo, eventi generatori di possibili interferenze culturali. Ekman riuscì a trovare il gruppo perfetto in Nuova Guinea. Questo gruppo di soggetti era composto da individui di una popolazione che aveva vissuto sempre in isolamento. Egli escogitò un modo semplice per capire come venissero espresse le differenti emozioni. In breve, lo scienziato, mostrò loro tre fotografie, raccontò loro una storia semplice e chiese loro di indicare la fotografia corretta che rappresentasse la specifica

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emozione presente nella storia. In circa un mese furono fatti numerosi test ed i risultati si rivelarono clamorosi. Darwin aveva ragione: nonostante la condizione di isolamento questa popolazione possedeva già la capacità di esprimere e riconoscere le emozioni come altre culture vissute in un ambiente più civilizzato e soggetto ad interferenze. Ekman confermò che esistono sei espressioni universali che vengono riconosciute in tutte le culture del mondo: la gioia, la rabbia, la tristezza, la sorpresa, la paura ed il disgusto; successivamnete aggiunse alla lista anche il disprezzo. Dal momento in cui Ekman pubblicò le sue scoperte, altri ricercatori hanno seguito le sue orme sempre più incuriositi dall’argomento, ampliando i quesiti da comunicare alla comunità scientifica. Matsumoto, per esempio, ha scoperto che atleti ciechi dalla nascita fanno le stesse espressioni facciali, nelle stesse condizioni, degli atleti vedenti. “Quando le persone assumono una specifica espressione facciale, sappiamo che anche il loro corpo si sta preparando per compiere una determinata azione; quando si vede l’espressione della rabbia sul viso di qualcuno, si sa che il suo battito cardiaco sta aumentando; studi scientifici hanno dimostrato che con l’aumento del battito cardiaco il flusso del sangue aumenta, soprattutto nelle braccia; la rabbia prepara le persone a combattere. Quando, invece, una persona ha paura il flusso sanguineo aumenta e prende la direzione dei piedi perché così l’individuo si prepara a fuggire”. Dopo gli studi sulle emozioni universali, Ekman e due suoi colleghi, idearono il F.A.C.S. (Facial Action Coding System). Attraverso di esso vengono documentati tutti i modi in cui si possono muovere i muscoli facciali. E’ stato riscontrato che un essere umano possa generare all’incirca 10.000 espressioni diverse; la maggior parte di queste difficilmente vengono

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osservate in una comunicazione normale. Il F.A.C.S. è lo strumento che ci insegna a riconoscere le espressioni facciali e abbinarle alle emozioni; esso si basa su un’analisi accurata dell’anatomia del viso. Vi è infatti un immenso lavoro di scomposizione dei movimenti muscolari e dell’attivazione dei rispettivi muscoli. Nella fase di decodifica invece vengono abbinati alle rispettive emozioni.

Ph: Facial Action Coding System Il volto umano, sia quando è a riposo sia quando è in movimento, durante la morte, quando è in vita, quando non vi è emissione verbale o quando parla, quando è in relazione con gli altri, nella realtà e nella virtualità, è una complessa e confusa fonte di informazioni. Il volto è la parte del nostro corpo maggiormente visibile e rappresenta il primo contatto che avviene tra due persone e,

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grazie alle scoperte di Ekman, sappiamo che esso può sempre rimandare a qualcosa, anche quando non vi è l’intenzione di farlo. Inoltre il viso, con le sue molteplici espressioni, rappresenta il luogo da cui parte la comunicazione proprio perché è da qui che si sviluppano molti input sensoriali; qui sono situati molti recettori dell’olfatto, dell’udito, del gusto e della vista. Il volto ed il suo riconoscimento sono di fondamentale importanza anche nelle fasi di sviluppo precoci della vita. Negli ultimi decenni l’attenzione all’infanzia e le ricerche sulle competenze emotive e cognitive precoci hanno modificato l’immagine e la concezione del bambino. Quest’ultimo viene visto, non più come un passivo recettore di stimoli ma come un attivo elaboratore di informazioni provenienti dall’ambiente circostante.

Ph: Myecard (Web)

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Il neonato mostra precocemente una netta preferenza per il volto umano e questo fenomeno appare essere sia innato (perché si manifesta già a poche ore dalla nascita) sia adattivo (nel senso che favorisce il legame di attaccamento e le relazioni primarie). Alla nascita l’apparato visivo appare essere funzionante ma non ancora maturato del tutto e il neonato reagisce a movimenti, svariate luminosità e distingue alcuni colori mostrando specifiche preferenze. Caratteristiche visive più complesse come la simmetria, il riconoscimento di forme, caratterizzazioni curvilinee si manifestano successivamente. A 6 mesi il bambino sa riconoscere il viso di una persona anche se vi sono cambi espressivi o anche se di profilo. Quello che se ne deduce è che il bambino è già precocemente capace di discriminare differenti pattern facciali che esprimono diverse emozioni e, tutto questo è fondamentale per il riconoscimento del volto materno e la discriminazione tra questo e il volto di estranei. Esso rappresenta il primo mezzo comunicativo nella relazione tra genitore e figlio. Per concludere questa prima parte introduttiva, possiamo affermare che è possibile imparare diverse cose osservando il volto di una persona. Può infatti inviare messaggi inconsci e fugaci, con esso è possibile esprimere sentimenti, emozioni ed è possibile veicolare, consentire e gestire un’intera conversazione tra più interlocutori. Attraverso il volto è possibile mostrare stati d’animo duraturi nel tempo, caratteristiche e tratti di personalità stabili, cambiamenti tipici del progredire dell’età o dello stato di salute oppure caratteristiche immutabili come il sesso di una persona.

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