Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single

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RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XLIX, n. 4, ottobre-dicembre 2008 Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single di ELISA BELLOTTI 1. Introduzione Il dibattito sociologico si è spesso concentrato sull’individua- lismo inteso come atomizzazione e frammentazione della società, fenomeno di cui ha rintracciato le radici nei profondi mutamenti che la prima e la seconda rivoluzione industriale (quella della produzione e quella delle comunicazioni) hanno comportato; ad essi si sono aggiunti anche gli effetti della secolarizzazione, della deistituzionalizzazione di molti ambiti della vita quotidiana e del conseguente ripiegamento sul privato, della rivoluzione culturale degli anni ’60 e dei movimenti giovanili e femministi. A questi mutamenti storici si è affiancato il fenomeno ampiamente dibattuto della globalizzazione, che se da un lato apre nuove possibilità e nuovi scenari, dall’altro acuisce le problematiche già presenti nella frammentazione: in un mondo sempre più connesso, sem- bra che gli individui si trovino soli ad affrontare la complessità crescente di un sistema che annulla i confini, disgrega i valori, mette in dubbio il ruolo e l’essenza stessa delle istituzioni (Bau- man 2001). Questo contributo affronta uno degli aspetti dell’individua- lizzazione della società, quello che tocca da vicino la sfera pri- vata degli individui: le trasformazioni delle culture dell’intimità (Giddens 1990) hanno messo in questione la persistenza dei legami affettivi primari, di quelle relazioni che, pur essendo a fondamento del vivere comune, sembrano oggi attraversate da Una parte del dibattito teorico e dei risultati di ricerca presentati in questo contributo sono stati esposti e trattati nell’articolo What are friends for? Elective communities of single people, in «Social Networks», 2008, 30, pp. 318-329.

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RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA / a. XLIX, n. 4, ottobre-dicembre 2008

Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single

di Elisa BEllotti

1. Introduzione

Il dibattito sociologico si è spesso concentrato sull’individua-lismo inteso come atomizzazione e frammentazione della società, fenomeno di cui ha rintracciato le radici nei profondi mutamenti che la prima e la seconda rivoluzione industriale (quella della produzione e quella delle comunicazioni) hanno comportato; ad essi si sono aggiunti anche gli effetti della secolarizzazione, della deistituzionalizzazione di molti ambiti della vita quotidiana e del conseguente ripiegamento sul privato, della rivoluzione culturale degli anni ’60 e dei movimenti giovanili e femministi. A questi mutamenti storici si è affiancato il fenomeno ampiamente dibattuto della globalizzazione, che se da un lato apre nuove possibilità e nuovi scenari, dall’altro acuisce le problematiche già presenti nella frammentazione: in un mondo sempre più connesso, sem-bra che gli individui si trovino soli ad affrontare la complessità crescente di un sistema che annulla i confini, disgrega i valori, mette in dubbio il ruolo e l’essenza stessa delle istituzioni (Bau-man 2001).

Questo contributo affronta uno degli aspetti dell’individua-lizzazione della società, quello che tocca da vicino la sfera pri-vata degli individui: le trasformazioni delle culture dell’intimità (Giddens 1990) hanno messo in questione la persistenza dei legami affettivi primari, di quelle relazioni che, pur essendo a fondamento del vivere comune, sembrano oggi attraversate da

Una parte del dibattito teorico e dei risultati di ricerca presentati in questo contributo sono stati esposti e trattati nell’articolo What are friends for? Elective communities of single people, in «Social Networks», 2008, 30, pp. 318-329.

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profonde modificazioni che ne snaturano le forme tradizionali e le fanno apparire, con il loro carico di impegno e incertezza, simili ai «succhi Ribena: troppo concentrati, nauseanti e forse dannosi per la salute, e che quindi – come questi – vanno di-luite prima di essere consumate» (Bauman 2004, IX). In realtà la contemporaneità non diluisce la portata emotiva delle relazioni primarie, ma i confini che un tempo separavano in modo netto i diversi tipi di rapporti a fondamento di quella che fin dalle origini della sociologia viene definita la vita di comunità. La mol-tiplicazione delle possibilità di scelta non porta necessariamente a una sospensione della capacità di scegliere (Bauman 2002), ma diffonde tale possibilità anche a rapporti un tempo vincolanti, come la relazione di coppia e quella di vicinato.

È per questo che l’amicizia, relazione leggera, non vincolan-te, che non comporta esclusività e che può essere terminata in qualsiasi momento sembra essere oggi l’archetipo della relazione affettiva, che non si declina più in termini diadici, ma assume forme molteplici e reticolari. Essa si configura come relazione centrale nella contemporaneità perchè diffonde le proprie carat-teristiche alle tradizionali relazioni di comunità: se il rapporto di coppia assume forma meno costrittiva e negoziata unicamente tra i partner (Giddens 1990), esso incorpora la dimensione della libera scelta, considerata fin dall’antichità come fondante e di-stintiva della relazione amicale. Anche la tradizionale dicotomia tra la vita solidale delle campagne e quella individualista delle città è stata smentita dagli ormai numerosi studi che dimostrano l’esistenza di relazioni quasi primarie (Gans 1962) nell’ambiente urbano. Di nuovo, ciò che differenzia i due stili di vita è la possibilità di scegliere le persone con cui relazionarsi, la frequenza e l’intensità delle relazioni, i contesti di frequentazione.

I primi due paragrafi di questo saggio affrontano la questione della trasformazione dei legami comunitari dal punto di vista teorico, ripercorrendo alcune delle principali tappe degli studi di comunità e di quelli sull’amicizia. Il terzo paragrafo introduce la ricerca empirica oggetto di questo studio, i cui risultati sono stati analizzati, nel quarto paragrafo, alla luce delle indicazioni teoriche emerse dalla letteratura. L’indagine ha esplorato la struttura e il significato delle reti amicali di un piccolo campione di giovani single milanesi, per indagare gli stili relazionali di quella parte della popolazione che sembra essere considerata rappresentativa dell’individualismo contemporaneo: giovani «ansiosi di instaurare

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legami, ma timorosi di rimanervi impigliati» (Bauman 2004, V) che hanno trasformato la procrastinazione dell’ingresso nell’adul-tità in un emblema generazionale. L’ultimo paragrafo discute i principali risultati della ricerca, mettendo in questione l’ipotesi di una possibile ricentralizzazione della vita intima dei giovani single attorno ai legami amicali e approfondendo le distinzioni di genere degli stili affettivi.

2. Le relazioni affettive come tracce di comunità

Fin dalle sue origini la sociologia ha considerato le relazioni affettive come polo analitico opposto alle relazioni strumentali, identificando i tratti distintivi delle une e delle altre e ponendo le prime alla base delle forme sociali comunitarie e preindustriali: legami intimi e spontanei che caratterizzavano le associazioni comunitarie per Tönnies (1963), esempi tipici dell’agire affettivo e tradizionale per Weber (1986), rapporti in cui si dispiegava la solidarietà meccanica per Durkheim (1989), tali legami sono stati utilizzati per analizzare, per differenza, i nuovi modelli di relazione emergenti delle società industriali, basati su vincoli logico-razionali più che su modi di sentire comuni e istintivi. Se però alcuni degli studiosi classici consideravano l’agire affettivo come una sorta di residuo istintuale (Pareto 1964) i cui effetti imprevisti, proprio per la loro natura irrazionale, sfuggivano al controllo consapevole sia dell’attore che dell’osservatore e pote-vano solo essere giustificati a posteriori (Weber 1986), merito di Simmel è stato quello di dedicare una particolare attenzione al ruolo delle emozioni nelle interazioni sociali, promuovendo in numerosi saggi (Simmel 1995; 1998; 2001) una critica serrata alla riduzione della vita a principi logico-razionali.

Simmel rivaluta la sfera emotiva considerandola una parte essenziale dell’individualità, non riducibile e non secondaria alla sfera razionale non tanto perché irrazionale e istintiva quanto perché dotata di una logica e una dinamica proprie. Nonostante ciò, l’autore sostiene che il processo di urbanizzazione ha com-portato una modificazione delle pratiche di interazione, favorendo la diffusione della personalità del blasè (Simmel 2002), di un individuo che si rapporta agli altri in termini più intellettuali che emotivi, in quanto con il crescere della densità della popolazione non è più possibile relazionarsi direttamente con tutti i membri

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di una comunità e i rapporti diventano necessariamente imper-sonali e mediati tramite le oggettivazioni astratte del valore di scambio. L’allentarsi dei legami affettivi è quindi un processo che gli autori classici legano principalmente allo sviluppo urbano, e la città diviene la società moderna per eccellenza (Bagnasco 1999), in cui le cerchie relazionali si differenziano sostanzialmente da quelle dei villaggi e dei piccoli centri. In questo modo l’opposi-zione idealtipica tra comunità e società assume un senso storico e segna il passaggio dalla premodernità alla modernità.

Sono queste alcune delle tracce del dibattito sulla comunità che sono giunte fino ai giorni nostri, fecondando numerosi filoni di ricerca che sarebbe troppo oneroso riassumere in poche righe. Di queste qui interessano quelle che si concentrano, più che sulle implicazioni politiche ed economiche delle ristrutturazioni macro della società nel passaggio da pre-moderno a moderno, sulle trasformazioni delle culture dell’intimità, sulle forme di supporto che i legami affettivi sono in grado di fornire, e sulle loro specificità di genere.

Le relazioni affettive sono rapporti che coinvolgono la sfera intima ed emotiva, in primo luogo quindi i legami familiari e di coppia, che sono oggetto oggi di profonde ristrutturazioni. Dopo essere stati fondamento del matrimonio moderno e simbolo del paradigma dell’amore romantico (Giddens 1990) che ha sostituito il contratto di natura economica su cui si basava il matrimonio tradizionale, i legami familiari sembrano oggi attraversare un periodo di profonda crisi, che ha portato Giddens a parlare di relazioni pure, «costruite in virtù dei vantaggi che ciascuna delle parti può trarre dal rapporto continuativo con l’altro, e come tale si mantengono stabili fintanto che entrambe le parti ritengono di trarne sufficienti benefici» (Giddens 1990, 68), e Bauman di relazioni liquide, forme temporanee di connessione in cui sono banditi impegno, negoziazioni e sacrifici, e in cui «è sempre possibile premere il pulsante cancella» (Bauman 2004, XII). Questo sarebbe vero soprattutto per le giovani generazioni, figlie dell’individualismo contemporaneo, della società dei consumi e della contrazione temporale degli ambienti virtuali: generazioni cresciute nel benessere che non conoscono il significato dell’at-tesa, dello sforzo della conquista (Cavalli 1985), e che faticano quindi a concepire l’amore e i sentimenti come qualcosa che ha bisogno di essere coltivato con impegno e dedizione. In uno scenario di questo tipo, la condizione temporanea delle relazioni

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affettive non permette loro di costituirsi come fonti di supporto durevole: divenuti legami tipici della società dell’incertezza e del rischio, non forniscono più risorse identitarie e fiduciarie sul lungo periodo, e vengono quindi sostituite, secondo Giddens e Bauman, dalle figure degli esperti e dei consulenti, personaggi simbolo della seconda modernità.

Le relazioni affettive comunitarie comprendevano tradizio-nalmente anche i rapporti di vicinato, che fornivano risorse di solidarietà informale e gratuita, nate dalla condivisione degli spazi comuni, della cultura di appartenenza e dei valori collettivi. Di nuovo, l’elevata mobilità, multiculturalità e frammentarietà degli ambienti urbani sembra allentare i tradizionali legami di vicinato (le comunità di luogo di cui parlava Tönnies) e dar forza alle correnti di pensiero che denunciano l’atomizzazione e l’indivi-dualismo della società contemporanea (Etzioni 1993; Bellah 1996; Putnam 2004). In realtà, come sosteneva Simmel, l’individualismo moderno e contemporaneo non cancella l’importanza della sfera emotiva nel soggetto, ma ne ridisegna le forme e le possibilità di espressione, modificando la composizione della rete dei rapporti che nell’ambiente urbano, come dimostrato da Fischer (1982a), tende a comprendere maggiormente soggetti non legati da vincoli di luogo o di sangue, ma scelti liberamente tra le molteplici possibilità che la città offre.

3. Le caratteristiche e le risorse dell’amicizia

L’unica forma di relazione affettiva che perdura nel tempo sembra essere quindi l’amicizia, relazione elettiva e virtuosa per eccellenza, considerata fin dall’antichità manifestazione più pura e disinteressata di una morale che spontaneamente produce norme etiche di interazione (Aristotele 1996). Per Tönnies l’amicizia è alla base della comunità di spirito «intesa come connessione della vita mentale, e cioè la forma propriamente umana e più elevata di comunità» (1963, 57). Data la sua natura mentale essa è fon-data essenzialmente sulla libera scelta ed è svincolata dal luogo in cui avviene, ma necessita di riunioni frequenti più probabili nell’ambito della città (Tönnies 1963, 58). L’amicizia sarebbe quindi un legame principalmente urbano, più adatto a un contesto in cui si moltiplicano le occasioni di relazione e contemporanea-mente diventano meno esclusive. Se nella città si può scegliere

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con chi interagire, l’amicizia diviene il dispositivo relazionale attraverso il quale si selezionano, ad esempio, con quali parenti, vicini, colleghi di lavoro o conoscenti instaurare rapporti intimi.

La crescita dell’importanza dell’amicizia nella vita contempo-ranea delle giovani generazioni è testimoniata dai risultati delle indagini IARD, che identificano in essa il valore maggiormente in ascesa nella scala delle cose importanti. Confrontando le risposte dagli anni ’80 a oggi della fascia d’età dei 15-24enni (sulla quale è possibile fare una comparazione) la percentuale di chi dice che l’amicizia è molto importante è salita dal 58,4% nel 1983 al 74,3% nel 2004 (La Valle 2007). L’amicizia però ha ricevuto attenzioni più specifiche dalla sociologia solo a partire dagli anni ’70. Mentre le problematiche relative ai legami di parentela e di quartiere hanno dato vita alla sociologia della famiglia e a quella urbana, una sociologia dell’amicizia non si è ancora affermata come disciplina a sé stante: pochi sono gli studi monografici dedicati al tema in Italia (Di Nicola 2002; 2003; Ghisleni e Rebughini 2006), mentre più numerosi, soprattutto in ambito internazionale, i tentativi di spiegarne le caratteristiche e le funzioni peculiari (Allan 1982; Fischer 1982a; 1982b; Wellman 1979; 1990; Spencer e Pahl 2006).

Il problema consiste nell’isolare delle dimensioni specificatamente sociologiche che rendano conto di una relazione squisitamente privata: se infatti la filosofia ne ha analizzato i significati intrinseci e la psicologia ha indicato i tratti della personalità chiamati in gioco in questo tipo di rapporto, la sociologia cerca ancora di individuare una fenomenologia del legame amicale che sia legata a varianti strutturali quali l’età, il genere, la classe sociale, la provenienza territoriale, ecc.

La teoria filosofica indica nell’amicizia la relazione elettiva per eccellenza, frutto della libera scelta in quanto non determinata da vincoli di sangue, di territorio e di contratto. In realtà Adams e Allan (1998) hanno dimostrato come una piena comprensione sociologica del legame amicale non possa prescindere dal con-siderare il contesto in cui la relazione ha luogo: si è liberi di scegliere gli amici, ma è più probabile che si scelgano persone con le quali si condivide l’età, il genere, lo status sociale, la provenienza territoriale, o con le quali si hanno interessi in co-mune. Garret (1989) sostiene così come nonostante la sua natura eminentemente elettiva l’amicizia sia un dispositivo relazionale volto a confermare, più che a sovvertire, l’ordine sociale.

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Il secondo ordine di problemi risiede nel fatto che il termine amicizia presenta un’elevata variabilità semantica che lo rende im-possibile da utilizzare come robusto indicatore sociologico. Come ha dimostrato Fischer (1982b), le persone vi attribuiscono un significato molto vasto: da uno studio su 1050 adulti californiani, è risultato che l’etichetta di amico non sembra identificare una categoria specifica di persone, quanto tutti coloro che, pur ritenuti importanti, non rientrano in nessuna delle categorie ascritte, non sono cioè parenti, vicini di casa o colleghi di lavoro. Questo significa che non esiste una definizione condivisa di ciò che si ritiene sia un amico: non essendo disponibile alcuna categoria sancita collettivamente in base a vincoli di sangue, territoriali o lavorativi, le persone attribuiscono al termine un significato altamente variabile, che dipende unicamente dalla qualità della relazione (Allan 1982; Fehr 1996).

Una delle possibilità per aggirare il problema della molteplicità di significati a livello metodologico consiste nell’utilizzare lo stru-mento del generatore di nomi (Marsden 1987; 2003), nel chiedere cioè agli intervistati di elencare le persone alle quali si rivolgono in determinate situazioni: a chi chiederebbero aiuto per i lavori domestici, con chi si confiderebbero su questioni personali, a chi chiederebbero in prestito soldi, ecc. e solo successivamente chiedere di definire il tipo di rapporto. Le principali ricerche sull’amicizia che hanno utilizzato questo metodo si inseriscono nel filone di sudi dell’analisi strutturale americana, che a partire dagli anni ’70 indaga le reti sociali utilizzando strumenti di rappresentazione matematica in modo da fornire una descrizione della struttura sociale a partire dalla sua unità di base, cioè la relazione (Piselli 1995). Secondo Piselli esistono due approcci distinti in tale cor-rente: un approccio maggiormente rigido, che considera le relazioni principalmente come fattori di costrizione che limitano (o nelle sue declinazioni più estreme impediscono) l’esercizio della scelta individuale (esponente di questo filone è Wellman), e un approccio, rappresentato nel nostro caso da Fischer, che considera invece le relazioni non solo come vincolo ma anche come risorsa per l’azione individuale (Piselli 1995, LIV). Entrambi gli autori contestano la precedente tradizione americana di matrice funzionalista (ripresa poi dai neocomunitaristi) che denuncia l’allentamento dei legami sociali e il conseguente isolamento relazionale degli abitanti delle città. Ciò che cambia, secondo questi autori è essenzialmente la composizione delle reti di relazioni personali degli individui.

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Le argomentazioni di Simmel sull’ampliamento delle cerchie relazionali in ambito urbano vengono dunque riprese da Wellman che ne approfondisce gli aspetti formali, traducendo il concetto di comunità in un insieme molteplice e interconnesso di reti sociali svincolate dal loro fondamento locale (Wellman 1979). Secondo l’autore, lo sviluppo dei sistemi urbani non comporte-rebbe la perdita di legami comunitari, ma questi non avrebbero luogo nemmeno nei villaggi urbani di cui parla Gans (1962). La sopravvivenza di relazioni primarie è connessa piuttosto alla qualità dei rapporti, alla facilità di mantenerli vivi (grazie alle innovazioni nel settore dei trasporti e delle comunicazioni), alla capacità dei membri di una rete di attivare legami secondari e all’interconnessione delle reti sociali (Bott 1971; Boissevain 1974; Granovetter 1973; Fischer et al. 1977; Wellman 1979).

Entrando nel dettaglio degli studi citati, Fischer (1982a; 1982b) ha rilevato come gli amici siano specializzati nel fornire supporto sociale, che consiste principalmente nel trascorrere il tempo libero assieme condividendo interessi e attività; sostiene invece che il supporto emotivo, cioè la confidenza su questioni personali e la discussione di problemi intimi, viene fornito solo in parte dagli amici ed è caratteristico di quelle persone che Fischer definisce close, che sono soprattutto i parenti e quel particolare tipo di amici che si distinguono per intensità di legame dalla cerchia amicale più ampia.

Nello studio sulla popolazione di East York, sobborgo re-sidenziale di Toronto, Wellman (1979; 1982; 1990) giunge a conclusioni simili a quelle di Fischer: interrogandosi sulla scom-parsa, la resistenza o la trasformazione dei legami comunitari, l’autore traduce il concetto di comunità in un operatore di rete, misurando cioè la densità e la struttura delle reti di relazioni degli individui. Scopre così che le principali forme di supporto (sociale, emotivo, materiale, economico e informativo) vengono fornite da componenti diverse delle reti, che a loro volta rap-presentano differenti tipi di legame, ma al di là delle specifiche percentuali di correlazione tra relazioni e forme di supporto ciò che è interessante nello studio di Wellman è la suddivisione dei soggetti intervistati a seconda della tipologia delle loro reti. A seconda del genere e dello stato civile gli individui nominano persone diverse da cui ottengono tipi specifici di supporto: gli uomini tendono a far rientrare nella rete i colleghi di lavoro, le donne i vicini di casa, i single prevalentemente gli amici. I

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primi cercano supporto sociale in misura maggiore rispetto alle seconde, le quali dalle loro reti ottengono più frequentemente supporto materiale (in forma di piccoli aiuti). Una tipologia di questo tipo permette di andare al di là delle percentuali dei dati aggregati e di suggerire non solo come la necessità di un tipo di supporto specifico dipenda dalle condizioni in cui si trovano gli individui (una casalinga o una madre sola avranno necessità molto diverse da uno studente), ma anche come vi siano delle importanti differenze di genere sia nel tipo di supporto richiesto che in quello fornito.

Uno studio simile è stato recentemente condotto da Spencer e Pahl (2006) su un campione di 80 persone residenti in Gran Bretagna. Anche in questo caso gli autori hanno costruito le reti di supporto individuali, identificando diversi stili relazionali a seconda del genere, dell’età, delle caratteristiche etniche, e così via. Studi di questo tipo hanno proposto una nuova definizione di comunità, basata non più sulla delimitazione territoriale, sui legami di parentela o su quelli elettivi, ma sul concetto di co-munità personale, intesa come «un modo di relazionarsi in reti dense, molteplici e relativamente autonome» (Calhoun 1998, 391), nelle quali possono rientrare legami di varia natura, da quelli familiari a quelli amicali.

Tra le numerose questioni che vengono sollevate nelle ricerche sulle relazioni amicali, la diversità di genere negli stili relazio-nali è particolarmente degna di nota. Le peculiarità maschili e femminili nei rapporti affettivi sono un argomento ampiamente trattato dalla sociologia contemporanea, che affonda le radici nella diversa storia sociale degli uomini e delle donne e si ripro-pone nei percorsi di socializzazione maschile e femminile. Non è possibile ripercorrere qui tutte le tappe del dibattito: ciò che emerge però dalle numerose ricerche (Wright 1982; 1991; Gould-ner 1987; O’Connor 1992; 1998; Werking 1997; McRobbie 2000; Mesa 2003) è che nell’amicizia gli uomini tendono a privilegiare relazioni basate sulla condivisione di attività, mentre le donne prediligono il dialogo e l’espressione delle emozioni.

4. Il progetto di ricerca, la metodologia e il campione

Lo studio di cui si riportano qui i risultati mira a esplorare alcune delle questioni che le precedenti ricerche hanno solle-

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vato. Rispetto all’idea che le giovani generazioni siano quelle tra le quali sono più diffuse pratiche relazionali temporanee e superficiali questo contributo si fonda su quella letteratura sociologica che ha mostrato come le posizioni pessimistiche di autori come ad esempio Bauman e Giddens siano in realtà viziate dalla mancanza di riprova empirica: spostando l’attenzione dalle percentuali crescenti di divorzi e matrimoni tardivi ai risultati ottenuti attraverso lo studio delle reti affettive individuali è pos-sibile individuare nuove culture dell’intimità, in cui non è solo la famiglia a fornire il supporto quotidiano di cui le persone hanno bisogno, ma l’insieme delle persone che formano quelle comunità personali dense, molteplici e relativamente autonome di cui parlava Calhoun (1998).

Dei legami che le compongono, il presente contributo si concentra esclusivamente sulle relazioni amicali, per comprendere il ruolo specifico dell’amicizia per quella parte della popolazione, i giovani single, che è comunemente considerata emblematica dell’individualismo contemporaneo e che sembra evitare il supe-ramento di alcune delle tappe necessarie per diventare adulto (in particolare quelle che comportano la creazione di nuovi nuclei familiari) rimanendo bloccata in un limbo di eterna giovinezza, complice una famiglia «lunga» (Scabini e Donati 1988) e ac-condiscendente che li considera figli (anziché single) fino ben oltre la soglia della maturità. I presupposti teorici del progetto di ricerca si basano sui risultati dello studio di Wellman (1982), che evidenziano la centralità delle relazioni amicali nelle comunità personali dei single: tale indicazione è stata ripresa da alcuni autori (Roseneil e Budgeon 2004; Watters 2004) che sono giunti a sostenere una possibile ricentralizzazione della vita dei single attorno ai legami amicali.

La prima questione che si vuole esplorare si lega all’ipotesi di allentamento dei confini tra le varie forme di relazioni affettive: se da un lato i rapporti di parentela e vicinato sono meno vin-colanti rispetto al passato e si caratterizzano per la possibilità di scegliere su quali delle relazioni ascritte investire emotivamente, in che modo e per quanto (assumendo quindi caratteristiche mag-giormente simili a quelle delle relazioni amicali) è possibile che l’amicizia assuma a sua volta un ruolo maggiormente assimilabile a quello della famiglia e del vicinato? La scelta di un campione di giovani single mira quindi a verificare se, pur non avendo ancora superato le tradizionali tappe di transizione all’adultità

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(per quanto riguarda l’autonomia affettiva e in qualche caso anche quella abitativa) le persone intervistate trasferiscano sulla propria rete amicale alcune delle funzioni che per le generazioni precedenti erano svolte dalla famiglia d’origine.

Scopo della ricerca è in secondo luogo quello di compren-dere come si strutturino le reti amicali, per fornire una prima sistematizzazione delle probabili tipologie reticolari: all’interno di queste, si vuole esplorare quali strategie adottino le persone per ottenere i diversi tipi di supporto individuati nella letteratura, e quali specificità di genere siano presenti. Un’indicazione delle possibili varietà nelle strutture reticolari viene dall’ultima inda-gine IARD: il 35,2% dei giovani intervistati dichiara di avere più gruppi di amici, il 40,5% di avere un gruppo, il 22,1% di avere amici separati e l’1,5% di avere un unico amico (La Valle 2007). Si tratta quindi di capire come siano effettivamen-te strutturati i legami amicali in modo da andare al di là del concetto di gruppo, di per sé poco esplicativo, e definirne le proprietà reticolari.

Per fare ciò, si è scelto di intervistare 23 giovani milanesi eterosessuali di età compresa tra i 25 e i 35 anni, 12 maschi e 11 femmine, che al momento della rilevazione si considerassero affettivamente single, non fossero cioè coinvolti in una relazione sentimentale sulla quale facessero progetti per il futuro. Il fattore discriminante è stato proprio quello dell’autopercezione da parte dei soggetti intervistati della propria condizione affettiva: il fatto che non abbiano un compagno non esclude che essi possano frequentare saltuariamente dei partner occasionali, o che in pas-sato avessero avuto delle relazioni sentimentali di lunga durata. Il campione è stato selezionato anche in base al titolo di studio, scegliendo quindi sette persone con al massimo la licenza media inferiore, otto con al massimo la licenza media superiore, e otto tra laureandi e laureati. Tale ripartizione è in linea con le principali ricerche italiane e straniere sull’amicizia (Adams e Allan 1998; Di Nicola 2002; 2003), che hanno evidenziato rilevanti differenze tra soggetti di diversa estrazione sociale e culturale: anche l’ultima rilevazione IARD indica come siano proprio i soggetti più deboli (disoccupati e inattivi) ad avere meno amici (La Valle 2007)1. La

1 Le tabelle commentate nel rapporto riportano i dati disaggregati in base all’at-tività dei soggetti intervistati (occupati, studenti, disoccupati, inattivi) ma non in base al titolo di studio.

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decisione di suddividere i soggetti in base al titolo di studio (più che all’attività lavorativa) è motivata con il fatto che si ritiene il livello di istruzione un indicatore maggiormente in grado di rilevare distinzioni socio-culturali nelle fasce di età giovanili. Non essendo però il campione rappresentativo (né sufficientemente ampio) non è stato possibile individuare variazioni nella struttura delle reti amicali a partire da tale ripartizione.

Soprattutto, dei 23 soggetti intervistati 13 vivono ancora in famiglia, 8 da soli, 1 con un amico, 1 con la sorella. Il campione comprende quindi sia persone che hanno già raggiunto un’in-dipendenza abitativa, sia persone che continuano a vivere con i genitori: tale distinzione è importante ai fini di questo studio in quanto per poter rilevare un effettivo spostamento dell’inve-stimento affettivo dalla famiglia d’origine alle relazioni amicali da parte dei giovani è necessario verificare se esso avvenga non solo per coloro che hanno già raggiunto l’indipendenza abitativa e per i quali si possa ipotizzare un’effettiva emancipazione dai genitori, ma anche per coloro che non hanno ancora superato tale soglia di iniziazione all’adultità2.

Come primo strumento di rilevazione si è scelto di impiegare la metodologia delle reti egocentrate, che è quella maggiormente utilizzata negli studi sulle relazioni amicali (Fischer 1982a; 1982b, Wellman 1979; 1990; Allan 1982; Di Nicola 2003; Bidart e La-venu 2005): durante un colloquio preliminare si è chiesto a ogni intervistato di nominare le persone che ritiene amiche, di fornire per ognuno di loro una serie di attributi (età, genere, luogo di nascita, luogo di residenza, situazione affettiva, condizione abitativa, titolo di studio e posizione lavorativa) e di riportare i legami che ritiene siano presenti tra gli amici nominati. Si sono prodotti così reticoli di ampiezza varia (da 3 a 27 nodi) che rappresentano le comunità amicali degli intervistati così come loro le percepiscono: non si hanno informazioni sulla recipro-cità dei legami, in quanto non è detto che gli alter nominati nominerebbero a sua volta l’intervistato, così come non è detto che gli intervistati siano a conoscenza di tutte le relazioni che intercorrono tra i loro amici. Ai fini di questo studio, però, è

2 In realtà l’indipendenza abitativa è solo in parte segnale dell’effettiva emancipazione dal nucleo familiare, poiché in Italia è spesso legata alle possibilità economiche della famiglia d’origine in grado di provvedere all’acquisto di una casa per i figli. Sul tema dell’emancipazione economica dei giovani si veda Rinaldi (2007).

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interessante rilevare quali siano le persone che ciascuno consi-dera amiche e perché, mentre meno rilevante (e più oneroso da raccogliere) è l’elemento della completezza e della reciprocità. L’ampiezza variabile delle reti dipende non solo dal fatto che gli individui possano avere più o meno amici, ma soprattutto dalle diverse definizioni di amicizia: si è scelto però di utilizzare questa tecnica al posto del generatore di nomi (che chiede di nominare le persone a partire dalle funzioni che queste svolgono) in quanto la terza questione che si vuole indagare è che non sempre gli amici siano una risorsa diretta di un particolare tipo di supporto. Se i nomi vengono prodotti solo a partire dal tipo di supporto fornito (ad esempio chiedendo con chi si confidano, a chi chiedono in prestito la macchina, ecc.) si escludono a priori quei legami che pur essendo presenti nella rete non vengono quotidianamente attivati. Può essere il caso di un amico lontano con il quale non si hanno contatti frequenti, oppure di amici che fanno parte della propria compagnia ma con i quali non vi è un rapporto stretto.

Dopo aver rilevato le reti, si è scelto di condurre interviste in profondità focalizzate sul tema dell’amicizia, per esplicitare i criteri di inclusione utilizzati dai singoli soggetti e indagare il significato che tali legami hanno per ciascuno di loro. Anche le tecniche dell’intervista non direttiva sono state ampiamente utiliz-zate nelle ricerche sulle relazioni amicali, spesso in combinazione con l’analisi di rete (Allan 1982; Wellman 1990; Di Nicola 2002) oppure come unico strumento di rilevazione (Spencer e Pahl 2006; Ghisleni e Rebughini 2006). Il ricorso a interviste non strutturate permette infatti di rendere conto in maniera più dettagliata delle sfumature di senso e dell’ambivalenza delle relazioni amicali, ovvero di specificare il significato che le strutture formali della rete hanno per gli individui in esse coinvolti.

Se quindi la social network analysis consente di formalizzare la rete amicale in modo da renderla visibile e comparabile con strutture assimilabili (e consente quindi di creare delle tipologie reticolari a partire da caratteristiche strutturali in comune), le interviste in profondità consentono di distinguere, tra reti simili, i diversi significati che esse possono avere per i soggetti intervi-stati. I colloqui, opportunamente registrati, trascritti e codificati a seconda dei temi emersi, hanno permesso inoltre di raccogliere informazioni su tutti gli amici nominati, e di ovviare così al problema delle diverse accezioni del termine «amico». È emerso

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come alcune persone facciano rientrare nella propria rete solo gli amici intimi, quelli cioè dai quali ottengono soprattutto supporto emotivo, con i quali si confidano sulle questioni più personali. Altri hanno incluso anche gli amici con i quali trascorrono il tempo libero, a prescindere dal grado di confidenza che hanno con loro. Inoltre, poiché selezionati in base al fatto di essere single, molti degli intervistati hanno spontaneamente tematizzato la propria condizione sentimentale, esprimendo attraverso affer-mazioni esplicite o comportamenti non verbali soddisfazione o frustrazione, aspettative e disillusioni di una vita da soli. Gli amici sono così risultati essere i principali testimoni, consiglieri e giudici delle questioni amorose, con i quali ci si confronta e a cui si chiede consiglio, non tanto per una loro superiorità gerarchica (come si farebbe con un padre o una madre), ma in virtù della loro posizione paritaria.

5. Per una tipologia delle reti amicali

Dall’analisi della struttura dei reticoli combinata con i resoconti delle interviste in profondità, sono emerse quattro tipologie di rete ricorrenti, che data la natura qualitativa dello studio non vogliono in alcun modo essere rappresentative o esaustive delle possibili strutture dei reticoli amicali: le caratteristiche di ciascuna tipologia sono illustrate attraverso alcuni casi esemplificativi.

5.1. I piccoli gruppi

Quattro intervistati hanno nominato solo tre amici, tutti con-nessi tra loro. Esemplificativa di questo tipo di piccola struttura è la rete di FM30, che per convenzione chiameremo Antonia. Antonia è un’operaia di 30 anni, con licenza media, che vive con la famiglia di origine alla periferia di Milano e lavora in catena di montaggio. Ha nominato tre amiche (Stefania, Cristina e Selene) che conosce fin dai tempi dell’infanzia e che vivono vicino a lei.

Il tipo di supporto che Antonia riceve dalle sue amiche è principalmente emotivo, e si basa sul dialogo e la condivisione di problemi personali. Le amiche si specializzano in base al tipo di confidenze che si scambiano: Stefania, l’unica laureata

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del gruppo, è quella con cui Antonia discute principalmente di questioni amorose, ma anche di politica, fatti di cronaca, e così via; Selene si è invece di recente rivelata una valida confi-dente per i problemi familiari. Ciò che manca a questa rete è essenzialmente il supporto sociale, cioè la condivisione di attività nel tempo libero. Antonia vorrebbe uscire più spesso ma non ha nessuno con cui farlo. Questo crea nell’intervistata un senso di solitudine e frustrazione, che emerge chiaramente nel corso dell’intervista:

Mi sono dovuta adeguare, mi sono dovuta calmare, a volte mi alzavo la mattina piena di voglia di fare e chiamavo una, chiamavo l’altra, ma nessuna voleva uscire, cosa fai esci da sola? All’inizio mi arrabbiavo da morire, sai quante discussioni ho fatto con loro? Ma non c’era verso, con loro è così, a ballare una volta ogni tanto (FM30)3.

In questo caso la condizione di singleness è vissuta con disagio, non solo perché sono poche le amiche nella stessa si-tuazione, ma anche perché un partner è visto come qualcuno con cui condividere le proprie esperienze. Da adolescente la figura del compagno era sostituita dall’amica del cuore; Antonia racconta dell’amicizia ormai conclusa con Samanta, incontrata sui banchi di scuola. Le amiche si frequentavano quotidianamente e in maniera molto esclusiva, al punto che si erano promesse a vicenda di non uscire con nessun altro. Una relazione di que-sto tipo è molto più simile a un rapporto di coppia, e diventa sostitutiva a tutti gli effetti di un partner vero e proprio: non sorprende quindi che si sia interrotta malamente nel momento in cui Samanta ha incontrato un ragazzo e ha smesso di uscire con Antonia. L’intervistata riconosce comunque che in passato le proprie amicizie fossero tutte impostate sul modello di quella con Samanta, troppo esclusive per poter durare, ma in grado di fornire i tipi di supporto di cui Antonia aveva bisogno:

Io sin da piccola sono sempre stata abituata ad avere una persona che si affeziona particolarmente a me, e adesso che è da qualche anno che non è più così senti che c’è qualcosa che ti manca, che prima eri abituato ad avere (FM30).

3 I soggetti intervistati sono codificati da una lettera indicativa del genere (M o F), una del titolo di studio (M = medie, D = diploma, L = laurea) e da un numero che indica l’età della persona.

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Nonostante oggi la sua rete non si componga più di un’unica amica, Antonia sente la mancanza di una figura di riferimento unica e insostituibile, che per lei rappresenta ancora la strategia predominante attraverso la quale ottenere una forma maggiormente variegata di supporto.

5.2. La compagnia

La seconda tipologia di rete amicale individuata è quella della compagnia, la più diffusa tra le persone intervistate, delle quali 12 presentano una struttura di questo tipo. Essa è composta da un numero variabile di persone (da 6 a 27) a densità elevata4 (da 0.72 a 0.93). La compagnia rappresenta di solito il gruppo di amici che si frequenta più spesso, e che viene considerato come un’entità unica, in cui i singoli legami tra le persone hanno meno importanza del gruppo nel suo insieme. Nonostante la funzione della compagnia sia essenzialmente quella di fornire supporto sociale, all’interno vi possono essere anche rapporti specializzati in altre forme di supporto.

La rete di FD28, Maria, è composta da una clique5 che rac-chiude 23 persone, più due coppie di amici che non rientrano nel sottogruppo principale (cfr. fig. 1). La clique rappresenta la compagnia che l’intervistata frequenta da circa dieci anni, men-tre le quattro persone raffigurate a destra sono due coppie che gestiscono le attività a fianco di quello dell’intervistata. Maria è infatti è proprietaria di un negozio di ferramenta, che gestisce con l’ex fidanzato attraverso il quale ha conosciuto gli amici attuali. La compagnia si ritrova quasi quotidianamente in un parco di Milano, dove si incontra per passare il tempo o per organizzare uscite serali e weekend fuori porta. Tra gli amici si creano dei sottogruppi in base al tipo di attività preferite nel tempo libero: alcune ragazze vanno a ballare latino americano, i maschi condividono la passione per la moto, un piccolo gruppo di facoltosi predilige serate nei locali più costosi di Milano.

4 La densità è il rapporto tra il numero di legami attivati e il numero di legami potenziali di una rete. Il suo valore può variare da 0 = nessun legame presente a 1 = tutti i legami presenti (Wasserman e Faust 1994).

5 Una clique è definita come il massimo sottografo connesso (Wasserman e Faust 1994), in cui, cioè, ciascun attore è collegato a tutti gli altri.

Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single 623

L’aspetto più interessante di questa rete è che comprende anche persone dalle quali Maria non ottiene nessun tipo di supporto, ma che poiché fanno parte della compagnia vengono comprese nella lista degli amici e considerate come tali:

Ci sono persone nella compagnia che ignoro. Nel senso, sono presenti, ci sono, ma io le ignoro, non perché mi stanno antipatiche, ma perché non ho interesse nel conoscerle. Sono quelle persone che comunque reputo amiche, ma non ho grande interesse nel conoscere cosa fanno nella vita (FD28).

Ciò che manca a questa rete è il supporto emotivo, poiché essenzialmente gli amici si ritrovano solo per passare il tempo libero assieme e per organizzare attività: anche con le ragazze è difficile che la relazione diventi confidenziale, perché Maria è una persona che non ama parlare di questioni personali. Perfino nei momenti più difficili, ad esempio quando è stata lasciata dall’ex fidanzato, il supporto emotivo si esprime più attraverso la condivisione di attività che nella confidenza, secondo un stile relazionale considerato più tipico degli uomini che delle donne: in una compagnia, nella quale la qualità delle singole relazioni rimane di sfondo rispetto alla rete nel suo insieme, è più facile evitare il rapporto intimo, la cui mancanza nei piccoli gruppi è percepita maggiormente.

Fig. 1. La rete amicale di FD28.

Ampiezza: 28 nodiDensità: 0.74Cerchi = MaschiTriangoli = Femmine

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La compagnia di MD35 è invece profondamente diversa da quella di Maria. Maurizio è un programmatore di software che vive da solo in un appartamento alla periferia nord della città. La sua rete si compone di tredici amici, di cui dieci strutturati in una clique, due ragazze che ha conosciuto ai tempi del liceo, e Marco che ha incontrato recentemente (fig. 2).

Fig. 2. La rete amicale di MD35.

I ragazzi che appartengono alla clique sono amici conosciuti tramite Iuri e Arialdo, che Maurizio ha iniziato a frequentare durante il servizio civile. Essi sono definiti collettivamente come la family, termine che già da solo indica come si possa effet-tivamente parlare in questo caso di ricentralizzazione della vita intima attorno alle relazioni amicali (Roseneil e Budgeon 2004). Per Maurizio, gli amici rappresentano quella famiglia d’elezione in grado di fornire ogni forma di supporto di cui il soggetto ha bisogno. A differenza di Antonia, gli amici di questo gruppo condividono lo stesso tipo di interessi, dalle uscite serali, alla palestra, ai viaggi in destinazioni esotiche, e Maurizio non sente quindi la mancanza di supporto sociale, in quanto la sua vita da questo punto di vista è pienamente soddisfatta. I ragazzi condi-vidono anche problemi e questioni personali, alcune relazioni si specializzano maggiormente sotto questo aspetto. Maurizio tende a confidarsi soprattutto con Iuri e Marco, che sente emotivamente

Ampiezza: 14 nodiDensità: 0.76Cerchi = MaschiTriangoli = Femmine

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più vicini, e con Rosella e Elena, che vede molto raramente e che forniscono quindi solo supporto emotivo. Infine, i ragazzi sono anche una valida fonte di supporto materiale, in quanto si aiutano a vicenda nelle piccole faccende quotidiane, come prestarsi la macchina, fare la spesa, fare riparazioni in casa.

Con una fonte di supporto quotidiano così variegata, la family sembra essere un gruppo non solo coeso, ma anche più autosufficiente e soddisfacente della compagnia di Maria: la ra-gazza esprime un forte senso di disillusione nei confronti delle relazioni affettive, che si ripercuote anche nei rapporti amicali. Maurizio invece, con la sua compagnia di «scapoloni d’oro», percepisce la propria condizione di single più in termini di scelta che di rifiuto della vita di coppia, non escludendo la possibilità di formare una famiglia in futuro, ma non sentendone nemme-no il bisogno immediato. È interessante notare come Maurizio abiti già da solo mentre Maria viva ancora con i genitori: non è possibile correlare direttamente l’indipendenza abitativa con la ricentralizzazione della vita affettiva sulle relazioni amicali e la conseguente presa in carico da parte dell’amicizia di alcune delle funzioni precedentemente svolte dalla famiglia d’origine, ma tale differenza potrebbe essere indicativa. Il fatto che Maurizio (e non Maria) si riferisca alla cerchia amicale con una metafora familiare suggerisce la necessità di approfondire la questione attraverso ulteriori e più ampi percorsi di ricerca.

5.3. Le strutture a centro e periferia

La terza tipologia di reti individuata per quattro delle per-sone intervistate consiste in strutture di ampiezza variabile (da 16 a 20 nodi) e con densità inferiore a 0.74, che pongono al centro un cuore coeso di amici intimi, e alle periferie una serie di legami specializzati in supporto sociale.

Di questo tipo è la rete amicale di Vittoria (FL31), laureata di 31 anni che vive da sola in un appartamento in centro, lavora come impiegata presso il consolato americano e la sera suona come DJ e vocalist nelle serate dedicate alla musica hip hop. Le linee di maggior spessore nella figura 3 indicano i legami con gli amici più stretti, che conosce fin dai tempi della scuola e con i quali condivide i pensieri e le preoccupazioni più inti-me. Gli altri sono invece persone con le quali passa il proprio

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tempo libero, che condividono con lei interessi specifici, come la passione per la musica e quella per la danza.

Ci sono gli amici confidenti, che sono gli amici più cari, quelli che ti conoscono più a fondo. Poi c’è la cerchia allargata di amici più superficiali, quelli con cui ti fa piacere uscire a bere l’aperitivo, andare al cinema, al festival, al concerto (FL31).

Mentre gli amici del cuore vengono definiti come insostituibili e rappresentano un punto fermo nella vita di Vittoria, gli amici periferici si distinguono per il tipo di attività che svolgono con l’intervistata. Alcune di queste persone sono raggruppate sotto nomi collettivi, che indicano chi li ha presentati (Simona e Da-vide), il contesto in cui li ha conosciuti (Francia), l’attività che condividono (danza, writers).

Fig. 3. La rete amicale di FL31.

Ampiezza: 20 nodiDensità: 0.56Cerchi = MaschiTriangoli = Femmine

Quando le capita di avere un partner, il tempo da dedicare agli amici si riduce di conseguenza: non potendo più frequentare tutti con la stessa intensità, Vittoria limita i contatti agli amici del cuore, allentando i legami con quelli periferici, che si tra-sformano così in amici «fossili» (Spencer e Pahl 2006, 74), con i quali la relazione diventa sporadica e occasionale. Presentare il

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proprio partner agli amici del cuore rappresenta inoltre un passo decisivo per definire l’importanza della relazione amorosa: il loro giudizio è considerato fondamentale nella valutazione del rapporto, in quanto è un giudizio basato su una conoscenza intima e di lunga data, e di cui Vittoria si fida ciecamente:

Un nuovo amore non ti conosce a fondo come ti conoscono i tuoi amici e allora sì, c’è la voglia di scoprirlo, di conoscersi, però c’è anche la voglia di rifugiarsi nel cerchio sicuro. Quello che poi diventa, diciamo, come la tua famiglia. E poi devi far accettare l’uomo alla famiglia, che non è facile, per-ché se hai un moroso che sta antipatico ai tuoi amici come fai? Tu magari sei innamoratissima, lo molli e metti gli amici davanti al moroso? Però anche mettere il moroso davanti agli amici è uno strappo al cuore (FL31).

Anche in questo caso l’intervistata si riferisce agli amici in-timi con una metafora familiare: la cerchia amicale rappresenta la famiglia d’elezione, quel nido sicuro in cui rifugiarsi, e dal quale a volte difficile uscire (Watters 2004). Affermazioni di questo tipo supportano quindi l’ipotesi della ricentralizzazione della vita intima attorno ai legami amicali (Roseneil e Budgeon 2004), ma offrono anche lo spunto per riconsiderare quel ruolo della «famiglia lunga», intesa come famiglia d’origine, che sem-bra ostacolare il processo di acquisizione di indipendenza dei giovani adulti (Scabini e Donati 1988): qui la «famiglia» che può avere un peso nel rallentare la formazione di un legame di coppia non è tanto quella composta dai genitori, quanto quella degli amici. Di nuovo, una situazione di questo tipo si verifica per una ragazza che vive da sola, rinforzando quindi l’ipotesi che l’investimento sulle relazioni amicali e la loro sostituzione di quelle familiari avvenga con maggior probabilità nei soggetti che hanno già raggiunto l’indipendenza abitativa, come nel caso di Maurizio presentato nel paragrafo precedente.

5.4. Reti contestuali

La quarta e ultima tipologia di rete identificata per tre delle persone intervistate è quella che presenta piccoli sottogruppi altamente coesi, indipendenti fra loro e specializzati in forme di sostegno specifiche.

La rete di Simone (ML29) comprende tre cliques (cfr. fig. 4). Quella in alto a destra è composta da amici d’infanzia, tutti

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maschi, che forniscono essenzialmente supporto sociale: con loro Simone esce la sera, va in vacanza, va a vedere le partite di hockey. Nonostante sia il gruppo che frequenta da più tempo, esso non è una risorsa di intimità. Il supporto emotivo è fornito dalle ragazze che compongono la clique in basso nel grafico, che ha conosciuto nei primi anni di università e che, nonostante veda di rado perché abitano fuori Milano, rappresentano la risorsa affettiva più importante insieme a Marzia, la sua ex ragazza. Con le donne Simone si confida sulle questioni di cuore, sui problemi familiari, sulle discussioni con gli amici: esse non sono una risorsa di socialità, perché le occasioni per vedersi sono sporadiche, ma sono quelle sulle quali può contare quando ha bisogno di qualcuno che lo ascolti. La clique in alto a sinistra è composta infine dai compagni di università, con i quali si incon-tra quotidianamente per studiare. Quest’ultimo gruppo fornisce principalmente un supporto materiale, in quanto il rapporto si basa su piccoli favori, come scambiarsi gli appunti delle lezioni, preparare gli esami assieme, dividere il costo dei libri.

La specificità del supporto emotivo assume in questa rete delle marcate connotazioni di genere, esplicitamente riconosciute dall’intervistato:

Fig. 4. La rete amicale di ML29.

Ampiezza: 16 nodiDensità: 0.58Cerchi = MaschiTriangoli = Femmine

Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single 629

Con Speranza mi sono trovato subito bene. Mi serviva un’amica perché era il periodo durante il quale mi ero lasciato con Marzia, quindi avevo proprio bisogno di confidarmi con qualcuno e non solo di vedere le ragazze come possibili storie, ma volevo avere una persona con cui chiacchierare e trovarmi bene senza pensare a nient’altro. Avevo bisogno di una migliore amica che non fosse solo di «conoscenza», con cui avrei parlato non solo di cose generali. Non so perché ma avevo bisogno di una figura femminile (ML29).

Simone riconosce alle amiche donne, e in particolare a Spe-ranza e Marilena, una capacità di ascolto e di comprensione diversa da quella dei ragazzi, con i quali il rapporto si limita alla condivisione di attività, ma non approfondisce mai questioni intime e personali.

6. Strategie di «singleness» e dimensione di genere

L’analisi delle diverse tipologie di rete ha mostrato come l’amicizia possa sì essere una fonte di supporto molteplice per i giovani single, e di come si declini in forme diverse a seconda dell’intensità del legame e del tipo di funzione che svolge per i soggetti intervistati, ma anche come alcune relazioni possano essere incluse nella rete anche se non forniscono nessun tipo di supporto specifico. Queste relazioni permangono nella struttura amicale sia perché sono interconnesse in componenti altamente coese (come i core o le cliques) che ne limitano la possibilità di allentamento, sia perché rappresentano legami con persone che sono state importanti in passato. In entrambi i casi si tratta di relazioni che non sarebbero state rilevate se avessimo chiesto agli intervistati di nominare le persone in base al tipo di supporto che forniscono (utilizzando quindi la versione classica del generatore di nomi), ma che invece vengono descritte nel dettaglio attraverso le tecniche qualitative delle interviste in profondità.

In base al racconto biografico si possono poi individuare tre tipi principali di strategie amicali trasversali alle reti. La prima consiste nell’ottenere la maggior parte del supporto emotivo, sociale e materiale da un unico amico, che rappresenta così un surrogato del partner. La strategia del compagno è quella adottata da Antonia, che concepisce l’amicizia come una relazione diadica, dalla quale si aspetta una dedizione esclusiva. Per lei l’amica è l’amica del cuore, con la quale condividere ogni esperienza quotidiana: l’amicizia è così simile a una relazione amorosa da

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non tollerare la presenza di altre persone, ma un rapporto di questo genere è difficile da mantenere, perché poco consono alla leggerezza tipica del legame amicale (Alberoni 1984). Ogni volta che Antonia si è legata esclusivamente a un’amica ha preteso che questa non frequentasse nessun altro, e quando l’amica ha conosciuto altre persone si è sentita tradita e abbandonata: tra lei e la sua compagna «c’è sempre stata un’ape che si metteva di mezzo» (FM31). In questo caso l’amicizia sfuma i propri confini e si fonde con la relazione d’amore, nonostante non ne assuma tutte le caratteristiche (ne è esclusa ad esempio la sfera della sessualità): questo tipo di strategia sembra però poco utile a mitigare il senso di solitudine che la condizione di singleness a volte comporta (Trimberger 2005), in quanto proietta aspettati-ve troppo elevate sulla relazione amicale, che poco si adatta a pretese di esclusività.

La seconda strategia individuata è quella della compagnia. Qui le esigenze individuali non vengono soddisfatte da un’unica persona, ma dall’intero gruppo di amici, all’interno del quale i legami si differenziano per intensità e tipologia di supporto. È questo il caso di Maurizio, che ottiene forme di supporto diverse ma complementari dalla «family», che «fa sentire piuttosto protetti, è come una famiglia acquisita, perché si sa che si riesce sempre a contare sull’aiuto di qualcuno» (MD35). La terza strategia è invece quella nella quale i diversi legami amicali si specializzano in base al tipo di supporto. Essa può dar luogo a strutture suddivise tra un centro composto dagli amici intimi e una periferia che fornisce supporto sociale (come nel caso di Vittoria), oppure a sottogruppi differenziati a seconda del tipo di supporto e non connessi tra loro (come nel caso di Simone). Qui sono i legami con amici intimi a essere sostitutivi delle relazioni di coppia o di quelle familiari, e che si distinguono per intensità del rapporto dalle cerchie più ampie di amici di compagnia.

Sia nel caso della strategia della compagnia sia in quella delle reti contestuali l’amicizia assume alcune funzioni un tempo considerate tipiche della famiglia d’origine, quale il trascorrere le festività insieme e il presentare un nuovo o una nuova partner alla cerchia degli amici intimi, ma in qualche caso sembra an-che inibire la voglia di dar vita a un nucleo familiare proprio, poiché, come dice Vittoria «Un nuovo amore non ti conosce a fondo come ti conoscono i tuoi amici e allora sì, c’è la voglia di scoprirlo, di conoscersi, però c’è anche la voglia di rifugiarsi

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nel cerchio sicuro. Quello che poi diventa, diciamo, come la tua famiglia» (FL31). Questo ruolo dell’amicizia per i giovani single fornisce quindi un’interessante rilettura della problematica della «famiglia lunga» individuata da Scabini e Donati (1988). Se la famiglia d’origine può in qualche caso frenare l’acquisizione di indipendenza dei propri figli attraverso una ristrutturazione delle dinamiche relazionali interne, anche gli amici possono in qualche caso ostacolare non tanto l’abbandono del nido, quanto la for-mazione di un nucleo familiare elettivo. L’elemento interessante consiste nel fatto che sono proprio i giovani single che vivono da soli (come Maurizio o Vittoria) a mostrare una maggior propen-sione per la centralizzazione della vita affettiva attorno ai legami amicali: la questione è degna di attenzione e richiede ulteriori indagine per capire quanto questo fenomeno sia generalizzabile alla popolazione giovanile che ha già raggiunto l’indipendenza abitativa e quanto invece sia riscontrabile in coloro che vivono ancora con la famiglia d’origine.

Per quanto riguarda i diversi tipi di supporto individuati, il supporto emotivo fornito dall’amicizia sembra essere una fonte indispensabile di riconoscimento identitario (Bagnasco 1999). Confidandosi con gli amici, i soggetti intervistati con-frontano le proprie esperienze, rafforzano il legame fiduciario e costruiscono nell’interazione significativa con gli altri la propria identità di single. Il supporto sociale, basato sulla condivisione del tempo libero, è utile soprattutto per attenuare la percezione di solitudine, per garantire quella compagnia e quel senso di appartenenza che le persone in coppia possono ottenere dal proprio partner. Il supporto materiale si configura come una valida risorsa di solidarietà reciproca, ma mette in luce anche le possibili differenze relazionali tra diversi ceti sociali (Allan 1982; Adams e Allan 1998). Sono le persone con minori dispo-nibilità economiche a fare maggiormente affidamento sull’aiuto informale e gratuito degli amici, che diventa così anche una fonte di risparmio. È questo il caso ad esempio di Giuseppe, 28 anni, disoccupato e con solo la licenza media inferiore, che racconta di come in momenti di estrema necessità (ha passato tre anni in carcere) gli amici lo hanno aiutato anche a livello economico, dandogli denaro, facendo la spesa per la sua famiglia (vive con la madre e la sorella), prestandogli la macchina o offrendogli lavoretti saltuari una volta terminato il periodo di detenzione.

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Un discorso a parte merita invece la questione di genere. Le diversità dello stile amicale tra uomini e donne sono emerse anche in questo studio: le ragazze sembrano più portate a richiedere e fornire supporto emotivo e a specializzarsi nel dialogo e nell’ascol-to. Anche gli uomini però hanno dimostrato di aver bisogno di intimità e di confidenza: spesso trovano nelle amiche donne una valida risorsa da questo punto di vista, ma vi sono anche casi (come quello di Maurizio) in cui l’apertura di sé avviene anche nei legami esclusivamente maschili. Inoltre, ragazze come Maria testimoniano come non sempre le donne siano necessariamente propense al dialogo. Le peculiarità relazionali legate al genere sono comunque una tematica complessa che necessita di ulteriori approfondimenti: ad esempio, studi precedenti suggerivano come le reti amicali femminili tendessero a essere meno ampie di quelle maschili, proprio perché la maggiore intimità e propensione al dialogo delle donne comporta un impegno relazionale più cospi-cuo, e di conseguenza un numero di legami ridotto (Allan 1982; McRobbie 2000). Le ragazze qui intervistate presentano invece non solo reti leggermente più ampie dei ragazzi, (in media 12,09 nodi rispetto alla media di 10,75 nodi delle reti maschili), ma anche più eterogenee, in quanto comprendono sia maschi che femmine in misura maggiore dei ragazzi (i maschi nominano il 71,3% di amici dello stesso sesso, percentuale che si abbassa al 62,4% di amici dello stesso sesso per le femmine). Tale dato è in linea con i risultati dell’ultima rilevazione IARD, che confer-mano una maggior eterogeneità di genere nelle relazioni amicali delle giovani donne (La Valle 2007, 266).

7. Questioni aperte e indicazioni di ricerca

Questo studio offre delle indicazioni interessanti per quanto riguarda la tematica delle peculiarità relazionali legate alla prove-nienza territoriale, al genere, alla classe sociale e alla condizione abitativa, che in parte confermano le ipotesi avanzate dalla let-teratura precedente, in parte portano alla luce l’estrema varietà e complessità delle esperienze, che richiedono quindi ulteriori approfondimenti: studi qualitativi come quello qui presentato infatti, non fornendo evidenze empiriche generalizzabili, sono utili a porre ulteriori domande di ricerca e a suggerire possibili direzioni esplorative.

Forme e risorse delle reti amicali per i giovani single 633

L’utilità delle tecniche di rilevazione qualitative consiste infatti nel suggerire fenomeni e correlazioni poco visibili se rilevati con una indagine estensiva: è ad esempio interessante l’uso metaforico che gli intervistati fanno delle relazioni familiari, attraverso le quali confrontano e definiscono quelle amicali e viceversa, così da suggerire il probabile allentamento dei confini tra le sfere relazionali della vita affettiva. Ricerche più estese e approfondite sulla composizione complessiva delle reti sociali primarie permet-terebbe di comparare i risultati con gli studi più noti dell’area anglosassone (Fischer 1982a; 1982b; Wellman 1979; 1990; Bidart e Lavenu 2005; Spencer e Pahl 2006).

Inoltre la tipologia dei reticoli amicali proposta non ha la pretesa di essere esaustiva: indagini più ampie e statisticamente rappresentative potrebbero individuare strutture amicali differenti, indicare se e quali variabili sociologiche possano correlarsi con i diversi tipi di rete, e in che misura queste si distribuiscono tra la popolazione. Indagini qualitative più approfondite potrebbe-ro inoltre indicare quali di queste reti siano più efficienti nel garantire un grado di soddisfazione adeguato della condizione di singleness.

Ciò che questo studio suggerisce è che un supporto quotidia-no e variegato non dipende tanto dall’ampiezza o dalla densità delle reti affettive, ma dalla qualità delle relazioni stesse e dalla loro eterogeneità. Le strutture a centro e periferia o quelle con-testuali sembrano infatti offrire al soggetto varietà di supporto, specializzazione dei ruoli e minor rigidità, in quanto permettono agli individui di calibrare le richieste e le aspettative a seconda del tipo di relazione che instaurano con gli amici. In un gruppo come quello di Maria, invece, nonostante la numerosità degli amici e la loro coesione, le risorse tendono a essere prevalentemente omologhe, permettendo all’intervistata di eludere l’intimità delle relazioni diadiche, ma non dandole nemmeno la possibilità di chiedere e ottenere supporto emotivo. La metodologia qualitativa permette d’altronde di distinguere il gruppo di Maria da quello di Maurizio, che pur presentando una struttura molto simile offre all’intervistato una tipologia molto più variegata di risorse affettive e strumentali.

Paradossalmente però, quello che emerge dalla ricerca è come una rete amicale soddisfacente e in grado di porsi come riferimento affettivo sembri inibire il desiderio di uscire dalla condizione di single, in quanto i soggetti trovano negli amici quel

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rifugio sicuro e familiare in grado di offrire una certa stabilità e protezione. Tale fenomeno è stato maggiormente tematizzato dalle persone che hanno già raggiunto un’indipendenza abitativa, rafforzando così l’ipotesi che questi single abbiano sostituito la famiglia d’origine con le comunità elettive degli amici.

Studi longitudinali delle reti (come quello proposto ad esempio da Bidart e Lavenu 2005) potrebbero quindi dar forza o con-futare le ipotesi di ricentralizzazione della vita intima dei single attorno ai legami amicali. Se è vero che le giovani generazioni sembrano farsi portatrici di nuove culture dell’intimità, c’è da chiedersi quanto questi stili relazionali abbiano la possibilità di sedimentarsi e durare nel tempo. Se e quando subentrano ulteriori esigenze affettive o responsabilità familiari (non solo di una famiglia elettiva, ma anche di quella d’origine, ad esempio con la cura di genitori anziani), il tempo dell’amicizia potrebbe contrarsi o non essere più così significativo come nell’età della giovinezza, e comportare profonde ristrutturazioni delle reti re-lazionali nelle quali c’è da chiedersi se gli amici saranno ancora così presenti.

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