FORMAZIONE PROFESSIONALE NO. 5 RIVISTA EUROPEA · 2014. 11. 4. · FORMAZIONE PROFESSIONALE NO. 5...

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    Da numerosi anni nella maggior parte deipaesi europei si riflette sull’importanzaattribuita dalle diverse politiche al ruolodelle aziende nella formazione professio-nale.

    Le ragioni che spingono maggiormente adesaltare questo ruolo sono state spessoanalizzate e sono ben note; si tratta ditrasformazioni tecnologiche e dell’orga-nizzazione del lavoro, della crescita delladisoccupazione, del contributo della for-mazione alla competitività delle econo-mie.

    L’intervento delle aziende nel processo diformazione assume varie forme, tipichedi ciascun paese, in considerazione delleparticolarità di ogni sistema di formazio-ne professionale.

    Questo intervento delle imprese e, più ge-nericamente, delle organizzazioni profes-sionali nella definizione degli obiettivi edei contenuti della formazione professio-nale è stato ed è tuttora un tema centralein molti paesi. Un aspetto del problemaconcerne i modelli di regolamentazionedelle formazioni basate su una concer-tazione efficace tra attori del mondoeconomico e di quello della formazione,soprattutto in paesi, come la Francia, chepossiedono un sistema di formazione fon-dato su insegnamenti formali in strutturescolastiche di competenza dello stato. IlRegno Unito ha dato una risposta diver-sa, introducendo una codificazione dellecompetenze e una certificazione indipen-denti dall’atto di formazione, in cui leaziende svolgono un ruolo essenziale.L’obiettivo in tal caso è di fornire agli at-tori interessati - aziende o enti di forma-zione - riferimenti che migliorano l’effi-cacia del mercato del lavoro e permetto-no alle strutture di formazione di orienta-re i relativi programmi e filiere.

    Un’altra questione fondamentale riguar-da l’intervento delle aziende nel proces-so di formazione professionale. L’impre-sa come luogo di formazione è il temadi questo numero della Rivista europea;si tratta di un tema “classico”, spesso esa-

    Editoriale

    minato dal punto di vista dell’efficaciadelle formazioni in alternanza rispetto alleformazioni scolastiche. Questo approcciodifferisce da quello del presente numero,che affronta in maniera diversa il ruolodelle aziende nella formazione.

    Alcuni interrogativi emergono in quasitutti gli articoli: che cosa permette lo svi-luppo delle conoscenze teoriche e prati-che dei dipendenti? quali sono le condi-zioni interne che garantiscono che la for-mazione sul posto di lavoro, la formazio-ne informale o le formazioni su iniziativadell’azienda assicurino la produzione dicompetenze utili all’impresa? Un’aziendanon è solo posti di lavoro e azioni inmateria di formazione, ma è anche orga-nizzazione, strumenti di gestione, siste-ma di mobilità, modalità di reclutamento,ecc. Ognuna di queste dimensioni puòincidere sul processo di apprendimentodella manodopera e, di conseguenza, sullacostituzione delle sue competenze. Un’im-presa, come qualsiasi organizzazione, nonè solo un modello di coordinamento del-le attività dei suoi membri, ma è ancheuna forma d’organizzazione dell’apprendi-mento di ciascuno dei suoi componenti eciò vale sia per le organizzazioni di tipotayloristico sia per quelle di nuovo tipo.Inoltre essa è un luogo d’acquisizione diconoscenze teoriche e pratiche che van-no al di là di quelle possedute dal singo-lo individuo: conoscenze e “mestiere”dell’azienda.

    La riflessione sul ruolo delle imprese nelprocesso d’apprendimento e nella forma-zione non è isolata, ma si sviluppa nellamaggior parte dei paesi. I francesi parla-no di organizzazione qualificante, gli in-glesi di “learning company”. In tale con-testo si affronta il tema proprio dellescienze della gestione e dello sviluppodelle risorse umane. L’attenzione non vie-ne più rivolta alle sole formazioni forma-li, ma anche agli apprendistati più diffu-si, più difficili da comprendere, ma tuttiimportanti sotto il profilo della competiti-vità dell’azienda. Le analisi condotte ri-guardano in primo luogo le condizioni diesercizio del lavoro individuale e collet-

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    tivo che facilitano, ostacolano e struttu-rano la formazione o l’emarginazione:mobilità, classificazioni, autonomia nellavoro, stimoli.

    Si tratta di un tema nuovo che si differen-zia da una visione della formazione ba-sata sull’esistenza di mestieri ben indivi-duati attorno ai quali si organizzano leformazioni formali e informali. L’articolodi U. Teichler situa il ruolo dell’azienda edel profilo professionale nell’organizza-zione delle formazioni in Germania e inGiappone.

    Il presente numero contiene inoltre di-verse concezioni dell’azienda e del suoruolo in materia di formazione:

    ❏ l’impresa come attore della formazio-ne, che definisce obiettivi e attua strumen-ti specifici di formazione nel caso delleautofficine (G. Spöttl) e della Rover (J.Berkeley);

    ❏ l’impresa come luogo di apprendi-mento - articoli di J. Onstenk e G.Dybowski;

    ❏ l’impresa come learning company -articoli di autori francesi P. Zarifian, L.Mallet, M. Campinos-Dubernet, T. Colline B. Grasser.

    Da questi articoli emerge una nuova vi-sione dei processi di formazione risultan-ti dall’attività di lavoro in azienda. Non sitratta più semplicemente di considerarel’apprendimento sul posto di lavoro comerisultato dell’attività di lavoro individua-le, eventualmente svolta nell’ambito di untutorato. La costruzione delle competen-ze va vista non solo come un risultatodelle azioni di formazione, ma anchecome un fatto d’organizzazione, un risul-tato della cooperazione tra individui.

    Jean-François Germe

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    La produzione delle com-petenze nell’impresa.

    Il dibattito in Francia

    Organizzazione qualificante e modello della competenza:che ragioni? che formazioni? ................................................................................. 5Philippe ZarifianAd esser posti in discussione sono sia il contenuto che la forma dei percorsiformativi: si tratta di interrogativi significativi; é per cominciare a risponderviche sono state attivate le organizzazioni qualificanti.

    Organizzazione qualificante, coordinamento e incentivazione .................... 10Louis MalletE se alcune organizzazioni soggette a precise regolamentazioni consentisseroanche “nuove forme di apprendistato”? E se l’organizzazione qualificante nonriqualificasse altro che una nuova forma di controllo e di stimolo?

    Organizzazione qualificante e mobilità.I tecnici di gestione nella chimica ...................................................................... 17Myriam Campinos-DubernetLe imprese francesi si misurano con la tensione tra le “nuove” norme interne ela costruzione sociale basata sul sistema d’istruzione: le organizzazioniqualificanti non rischiano forse di restare stagnanti?

    Classificazioni e nuove forme di organizzazione del lavoro:quali articolazioni? ................................................................................................ 26Thierry Colin; Benoît GrasserLa negoziazione dei sistemi di classificazione crea un precario equilibrio trainnovazione e limiti.

    Programmare diversamente i curricoli formativi

    Apprendimento sul posto di lavoro e riorganizzazionedell’industria di trasformazione .......................................................................... 33Jeroen OnstenkSia le imprese a tecnologia avanzata, sia quelle dotate di un processo diproduzione relativamente semplice possono innovare e divenire qualificanti.

    Apprendimento professionale nel contesto di processi aziendaliinnovativi- implicazioni per la formazione professionale ............................................... 42Gisela DybowskiLe trasformazioni del lavoro e delle qualifiche inducono a ripensare e ariorganizzare i percorsi formativi e il ruolo dei formatori.

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    Innovazione dei modelli di formazione: il caso delservizio assistenza automobilistico

    Modelli innovativi di formazione continua come risposta alle sfide delsettore europeo del servizio assistenza automobilistico................................. 47Georg SpöttlLe trasformazioni del settore dell’automeccanica comportano uno sviluppo dellaformazione continua patrticolarmente ricco di innovazioni.

    Formazione aziendale e sistema di formazione:il caso Rover nel Regno Unito

    Alla ricerca della “impiegabilità a vita”:priorità per la formazione iniziale ..................................................................... 55John BerkeleyLe scuole devono poter presentare in prospettiva “un posto di lavoro connesso alprogramma” e finalizzato soprattutto a pereseguire risultati formativi definiti inprecedenza.

    Il sistema di qualifica e di socializzazioneprofessionale: un raffronto Germania – Giappone

    Formazione e avviamento professionale in Giappone.Impressioni del raffronto Giappone-Germania ................................................ 65Ulrich TeichlerI sistemi di qualificazione e di socializzazione professionale dei due paesi nonsi distinguono tanto grazie a concrete esigenze di qualifica, quanto invece perle nozioni di base su cui si fondano: “professione” in Germania, “azienda” inGiappone.

    Da leggere

    Letture scelte .......................................................................................................... 73

    Giunti in redazione ............................................................................................... 87

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    Il nostro obiettivo non è quello di tentaredi dire ciò che è o potrebbe essere un’or-ganizzazione qualificante: l’abbiamo giàfatto in altra sede1. Intendiamo invece af-frontare a monte gli aspetti alla base diquesta tematica.

    L’organizzazione qualificante può esseredefinita, semplicemente, come un’organiz-zazione che favorisce, costruendole, leformazioni professionali, un’organizzazio-ne che consente d’apprendere. Questadefinizione è insufficiente per definirequanto in gioco. Infatti, da tempo, ci siattendeva che l’organizzazione generas-se ciò che in economia si chiama “effettidi formazione”. Con Adam Smith è natala concezione di una stessa serie di gestiripetuti di continuo che doveva favorirel’acquisizione di una notevole destrezza.Adam Smith riteneva che la ripetizione especializzazione dei gesti portasse glioperai, che cercavano una certa comodi-tà ed efficacia nell’esecuzione di tali se-rie, a ideare importanti migliorie tecniche.

    La novità - per quanto di novità si possaparlare - non è costituita dalla ricerca dieffetti di formazione e nell’introduzionedi un’organizzazione “d’apprendimento”2,ma dai motivi per cui tale problema siripropone e dalla nuova natura delle for-mazioni.

    1. Motivi della ricomparsadei problemi legati all’or-ganizzazione

    I vantaggi della cooperazione...

    Chi conduce delle ricerche nelle aziende,almeno in quelle che intendono innovarela loro organizzazione e i loro metodi digestione, rimane colpito dall’importanzaattribuita alla cooperazione.

    Certamente questo termine non vienequasi impiegato in quanto tale, come sesi esitasse a utilizzarlo, ma, attraversosottili giri di parole, è di questo che sitratta, dell’”agire assieme”, come attestanonumerosissimi esempi:

    ❏ si vantano i meriti del lavoro collettivoin officina, delle équipes autonome, dinorma responsabili del raggiungimentodegli obiettivi, che si autodisciplinano esi autocoordinano per assumere questa re-sponsabilità;

    ❏ s i par la d ’aper tura t ra funzioni ,d’interazione, di dialogo tra servizi che,in precedenza, s’ignoravano. Il modellodel “coordinamento orizzontale” guada-gna terreno e interessa gli schemi associatialla struttura funzionale dell’impresa;

    ❏ si sviluppano organizzazioni per pro-getto o, più modestamente, gruppi avan-zati polivalenti, che consentono ai diver-si profili professionali e alle fonti d’espe-rienza di lavorare parallelamente, in ma-niera simultanea e convergente;

    ❏ si mira a razionalizzare i processi tra-sversali (ad esempio, dalla ricezione del-l’ordine alla fornitura) e si scopre che l’au-mento principale della produttività pro-viene dal miglioramento (e dalla riduzio-ne) delle interfacce tra le diverse compo-nenti del processo;

    ❏ si sperimenta il passaggio dal subap-palto al la cooperazione fondata suun’intensificazione degli scambi e sullarealizzazione di lavori in comune, alla ri-cerca di rapporti di fiducia, stabilizzati neltempo;

    ❏ si configurano nuovi profili gerarchici,valorizzando le capacità d’ascolto, d’ani-mazione, di dialogo;

    Philippe Zarifiandocente universitario disociologia dell’Università diMarne la Vallée, decano delcollegio di scienze sociali edirettore delle ricerche pressoil LATTS, laboratorio legatoalla direzione per la ricercadell’ENPC e associato alCNRS.

    Organizzazione qualifi-cante e modello dellacompetenza:che ragioni? che formazioni?

    Nell’articolo, l’autore s’in-terroga sui motivi che han-no posto all’ordine del gior-no l’organizzazione qualifi-cante, evidenziando tre or-dini di ragioni: l’importan-za attribuita alla coopera-zione sul lavoro, i problemiposti dalle tendenze ademarginare una parte deidipendenti e dei giovani,l’instabilità delle scelte pro-fessionali. Afferma inoltreche l’organizzazione quali-ficante non si può accon-tentare di essere “d’appren-dimento”. E’ necessario svi-luppare nuovi strumentid’apprendimento, che supe-rino e integrino il ricorsoall’esperienza professiona-le e alla formazione scola-stica.

    1) Cfr.: Philippe Zarifian, “Acquisitionet reconaissance des compétencesdans une organisation qualifiante”,revue Education Permanente, n° 112,Parigi, ottobre 1992.

    2) Da cui l’ambiguità dell’espressio-ne “learning organization”.

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    ❏ ci si attende tecnici, specialisti di unsettore, che sappiano comprendere i pro-blemi degli altri, assicurare assistenza,formare, offrendo vera prestazione di ser-vizi;

    ❏ si privilegia lo spirito del rapportocliente-fornitore: sapere ciò che l’altro (ilcliente) si attende da quanto si fa e comel’accetta.

    In breve: si tratta di un “agire assieme”globale che sembra apparire nei discorsie, almeno in parte, nei fatti, a livello del-la costruzione concreta delle nuove or-ganizzazioni. E’ vero che spesso non sicolloca correttamente l’opposto della co-operazione, ossia le nuove separazioniche rischiano di generare:

    ❏ quando si creano dei gruppi autono-mi, si pensa al rischio che questi gruppisi ripieghino su di sé, mettendo in que-stione solidarietà implicite già esistentinelle officine?

    ❏ quando si “aprono” le funzioni, si pen-sa all’identità dei profili professionali e aimomenti di relativa autonomia che si de-stabilizzano? Il coordinamento orizzontaledà a ciascuno la possibilità di trovare unbuon posto? Poniamo la questione, adesempio, all’addetto alla manutenzione, dicui spesso ci si meraviglierà che “resista”.

    ❏ quando si creano delle organizzazioniper progetto, come nel settore automobi-listico, e si situano a monte del lancio delprogetto le scelte e le decisioni più im-portanti, si è certi di non collocare le per-sone a valle in una situazione di dipen-denza ancora maggiore? Se l’organizzazio-ne per progetto avvicina gli attori dellaconcezione dei prodotti e dei processi,essa associa effettivamente in questa co-operazione gli attori delle officine?

    Tuttavia, malgrado le numerose riserveespresse da uno spirito attento, ci sem-bra indubbio che il modello della “coo-perazione” prenda piede e divenga unpunto di riferimento culturale per gli or-ganizzatori, che sostituisce, almeno a li-vello di predominio, il paradigma dellaseparazione dei compiti e delle respon-sabilità.

    Oggigiorno le ragioni della “cooperazio-ne” sono tanto solide quanto lo erano in

    passato i motivi della “separazione e iso-lamento”. Esse hanno raggiunto un certolivello di banalità, che ne giustifica inqualche modo, la solidità, ma che impe-disce spesso di andare più in profonditànell’analisi dei processi di cooperazione.Citiamo due di queste ragioni ormaibanalizzate:

    la reattività: un’organizzazione reattiva èun’organizzazione che sa reagire con ra-pidità, efficacia e correttezza a una varia-zione del contesto economico; tale capa-cità risulta particolarmente preziosa inquest’epoca d’instabilità e d’incertezza checaratterizza le attuali forme di crescita.Reagire presto e bene significa far circo-lare rapidamente le informazioni nelle retiorizzontali, avvicinare l’analisi dei proble-mi alla presa di decisioni e all’azione, farein modo che le (re)azioni dei diversi at-tori aziendali siano convergenti; tutte va-lide ragioni per decentrare e cooperare.

    L’integrazione: sia che sia dovuta allaconfigurazione dei sistemi tecnici o allarazionalizzazione e alla tensione dei flus-si, essa rende obiettivamente più indipen-denti le diverse attività aziendali e richie-de, in qualche modo, un’intensificazionedegli scambi tra coloro che assumonoqueste attività. Pensiamo, ad esempio, aciò che implica un’organizzazione a flus-si tesi in un’impresa - come la SNECMA -che cerca di ridurre il ciclo di fabbrica-zione all’interno delle proprie unità e intutta la rete dei fornitori. Ecco un’altrabuona ragione per far convergere le azio-ni, strutturare gli incontri dei componen-ti dei motori e svi luppare i l sensod’interdipendenza tra un numero elevatodi attori.

    Ma si misura appieno ciò che la coopera-zione implica? E’ qui che il tema dell’or-ganizzazione qualificante inizia ad aversenso: si tratta di mettere in relazioneconoscenze diverse, punti di vista e inte-ressi creatisi in maniera separata od op-posta nell’organizzazione, conoscenze chesi devono sviluppare nel rapporto e nellacomunicazione e non più nell’isolamen-to, rigida specializzazione e autoaccentra-mento.

    L’organizzazione diviene qualificante inquanto permette e favorisce questa mes-sa in relazione e consente ad ogni parte-cipante di aumentare le proprie compe-

    “La novità - per quanto dinovità si possa parlare -

    non è costituita dallaricerca di effetti di forma-

    zione e dall’introduzionedi un’organizzazione

    “d’apprendimento”, madai motivi per cui tale

    problema si ripropone edalla nuova natura delle

    formazioni.”

    “Chi conduce delle ricer-che nelle aziende (...)

    rimane colpito dall’impor-tanza attribuita alla

    cooperazione.”

    “E’ vero che spesso non sicolloca correttamente

    l’opposto della coopera-zione, ossia le nuove

    separazioni che rischianodi generare (...)”

    “Oggigiorno le ragionidella “cooperazione” sono

    tanto solide quanto loerano in passato i motivi

    della “separazione eisolamento”.

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    tenze nel contatto sociale con altre pro-fessioni e/o altre categorie sociali, in fun-zione delle necessità direttamente colle-gate alle prestazioni del funzionamentoproduttivo.

    Rischio d’emarginazione

    Uno dei principali rischi delle “nuove or-ganizzazioni”, in particolare di quelle ba-sate sulla cooperazione e la crescita dellecompetenze, è data dal fatto che esseappaiono come vere e proprie macchineper selezionare ed emarginare.

    Un lavoratore che dopo 20-30 anni crededi “essere competente”, può sentirsi di-chiarare brutalmente “incompetente” evenir messo alla porta o, in maniera piùelegante, ma con lo stesso risultato, puòvenir emarginato nell’organizzazione dilavoro e collocato fuori dai circuiti e dal-le forme di modernizzazione. Questaestromissione non rischia di colpire sologli adulti in attività, ma, secondo lo stes-so principio, anche i giovani che esconodal sistema educativo senza un diplomao sono ritenuti dai datori di lavoro “in-sufficientemente qualificati”: essi sarannosocialmente dichiarati “incompetenti”,senza neanche aver potuto dimostrare ciòdi cui sono capaci. Ecco il paradosso del-le “nuove organizzazioni”: possono venirapprezzate per l’opportunità che offronodi accedere a qualifiche più elevate, mapossono anche degradare la situazione dimolte persone.

    Se si attribuisce una certa importanza atale problema, si deve uscire da una vi-sione puramente “economica” dell’orga-nizzazione qualificante e dire che essadeve consentire di rispondere alla seguen-te sfida: come trasformare le competenzedei dipendenti partendo dalla loro situa-zione e dalla diversità dei loro percorsi edelle loro conoscenze, in modo che pos-sano partecipare alla costituzione e allosviluppo delle “organizzazioni qualifican-ti”?

    Ritorniamo alla prima definizione di or-ganizzazione qualificante: acquisire com-petenze nell’organizzazione, non in modobanale, ma in una maniera che è neces-sario inventare in larga misura3, dato cheil problema è del tutto nuovo.

    Instabilità delle scelte organizzative

    Secondo la visione che i quadri superiorisi erano creati durante il periodo taylo-ristico, l’organizzazione si basava sul postu-lato in base al quale era possibile realizza-re una struttura resistente nel tempo eindifferente alla durata, all’usura e ai cam-biameni di contesto. Ciò implicava l’ideadi un’”organizzazione scientifica”, costrui-ta su leggi relativamente immutabili.

    Questa visione permane. E’ per tale ra-gione che molti quadri di grandi impre-se, assistiti da consulenti specializzati inquesto campo, pensano di poter definiredegli “obiettivi organizzativi” a 3-5 anni ed’avviare il processo che permetterà dipassare dall’organizzazione attuale a que-sta nuova configurazione, che si suppo-ne stabile. Ma le premesse di tale approc-cio sono alquanto discutibili:

    ❏ chi può dire che tra 3-5 anni la situa-zione (economica, tecnica e sociale) cor-risponderà a quella prevista oggi? Fon-dando l’obiettivo e il percorso del cam-biamento organizzativo su questa previ-sione, si corre il rischio enorme di doverabbandonare per strada le finalità prefis-se e annullare gli sforzi, spesso conside-revoli, intrapresi;

    ❏ “traendo” il mutamento partendo da unobiettivo elaborato da alcuni esperti, sipone la gran maggioranza dei dipendentiin una situazione fondamentalmente pas-siva: si chiede loro d’inserirsi in un pro-cesso che essi non hanno domandato, dicui non comprendono né il senso né laportata, che viene loro imposto senza unavera scelta. Il risultato sarà (è) unadifferenziazione dei comportamenti: alcu-ni dipendenti staranno al gioco, cerche-ranno di cogliere le nuove opportunitàche questo cambiamento (anche se im-posto) offre loro; altri, invece, freneran-no, resisteranno, o perderanno il treno inattesa di giorni migliori...

    Ad ogni modo, il cambiamento teso ver-so un obiettivo, poiché pone le personein condizione di seguire o di opporre re-sistenza, non favorisce l’apprendimentodi questo elemento essenziale che è ...l’or-ganizzazione stessa. Si collocano i dipen-denti in (verso) una nuova organizzazio-ne, ma non si consente loro di apprende-re che cosa sia una scelta organizzativa.

    “Ma si misura appieno ciòche la cooperazioneimplica? E’ qui che il temadell’organizzazionequalificante inizia ad aversenso (...)”

    “Uno dei principali rischidelle “nuove organizzazio-ni”, in particolare diquelle basate sulla coope-razione e la crescita dellecompetenze, è data dalfatto che esse appaionocome vere e propriemacchine per selezionareed emarginare.”

    “Secondo la visione che iquadri superiori si eranocreati durante il periodotayloristico, l’organizza-zione si basava sulpostulato in base al qualeera possibile realizzareuna struttura resistentenel tempo (...). Questavisione permane. Ma lepremesse (...) sono al-quanto discutibili(...)”

    3) Uno dei grandi meriti della missio-ne “Nuove qualifiche” in Francia èquello di affrontare questo problemae di sperimentare nuove soluzioni peri giovani e gli adulti.

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    E’ soltanto dal momento in cui si rinun-cia alla finzione di una struttura organiz-zativa stabile, in cui si accetta di rimette-re in causa uno schema fisso, che si co-mincia a capire l’interesse:

    ❏ di una definizione dell’organizzazione,non in termini di struttura, ma in terminidi potenziale d’evoluzione;

    ❏ di un’implicazione dei dipendenti nel-la concezione di un mutamento che nonha quale riferimento principale un “ber-saglio”, ma l’analisi di situazioni mobili.

    Ciò implica che i dipendenti acquisisco-no una competenza sull’organizzazione,una vera cultura organizzativa, base dellaloro capacità di condurre queste analisied evoluzioni.

    L’organizzazione qualificante, poiché fa-vorisce l’acquisizione di competenzenell’organizzazione e sull’organizzazio-ne, si pone in una dialettica molto parti-colare e nuova. Essa deve permetterel’apprendimento su di sé e al suo inter-no!

    Ciò non porta certamente a un approcciodi tipo empirico, anzi: tale modelloorganizzativo suppone dei principi forti,ma che interesseranno più le modalitàd’apprendimento organizzativo condivisoche i nuovi schemi strutturali. Ad esem-pio, è molto più importante definire ciòche implica un processo d’acquisizionedell’autonomia che cercare d’immaginarequello che deve essere un’équipe auto-noma.

    Natura delle formazioni

    Avendo passato in rassegna tre ordini dimotivi per attuare delle organizzazioniqualificanti, abbiamo già parlato implici-tamente della natura delle formazioni.

    La routine, vale a dire l’appropriazione,sulla base dell’esperienza, di schemid’azione suscettibili di essere riprodotti,ha svolto un ruolo notevole nel funzio-namento industriale. Essa continua adessere presente, ma non riteniamo chepossa svolgere un ruolo guida nella for-mazione, e ciò per vari motivi: un nume-ro crescente di azioni di routine sono in-corporate nei sistemi tecnici automatizzati

    e nei computer ed evadono dal lavoroumano; le situazioni, in un contesto mol-to instabile ed evolutivo sotto tutti i puntidi vista, permettono sempre meno di af-fidarsi alla routine; la routine stessa di-viene oggetto d’interrogativi in una pro-spettiva di “progresso continuo”. Ciò nonsvaluta l’esperienza sviluppata dai dipen-denti, ma obbliga a ripensarne la costru-zione.

    La prescrizione è stata, a suo modo, ilsecondo grande modello di formazione,che consentiva di organizzare e forma-lizzare la costituzione di conoscenze sullavoro e di elaborare negli uffici studi emetodi. Questo modello di capitalizza-zione è entrato in crisi: i metodi, le pro-cedure, le gamme così definite sono sem-pre più distanti non solo dalle conoscen-ze effettivamente utilizzate negli atti realidi produzione, ma anche dal caratteresempre più “legato agli eventi”, comples-so e in parte imprevedibile dei problemida risolvere nell’attività concreta. E’ a li-vello degli attori diretti che sorgono edevono essere risolti i problemi. Gli uffi-ci studi e metodi non sfuggono a questaregola: la loro stessa attività diviene unaproduzione di conoscenze raccolte sottoil denominatore di questioni e problemicomportati dai nuovi progetti (di prodot-ti, attrezzature, processi,...) e per i qualisi conoscono soltanto alcune soluzioni.

    La formazione scolastica, strutturata perdiscipline, ha e avrà sempre un ruolo percreare conoscenze di base, ma si rilevasempre più che:

    ❏ il presupposto positivista, che animaimplicitamente la maggior parte delle for-mazioni, non riesce a tenere il passo coni problemi reali della produzione. Lescienze non sono “esatte”; sono degli in-siemi di proposizioni, ma contestabili, chepretendono di essere valide ed è così cheesse possono avanzare. Ciò significa chela prova della pratica e il confronto conaltri contenuti delle conoscenze devonoessere esplicitamente inclusi nella forma-zione scientifica (a prescindere dal suolivello).

    ❏ La nozione di “conoscenze di base” èestremamante incerta. Che cosa sono?Come definirle e insegnarle? Che cos’è,ad esempio, un sapere base relativo adun comportamento d’autonomia e respon-

    “L’organizzazione qualifi-cante, poiché favorisce

    l’acquisizione di compe-tenze nell’organizzazione

    e sull’organizzazione, sipone in una dialettica

    molto particolare e nuova.Essa deve permettere

    l’apprendimento su di sé eal suo interno!”

    La routine “(...) continuaad essere presente, ma

    non riteniamo che possasvolgere un ruolo guida

    nella formazione.”

    “La prescrizione è stata, asuo modo, il secondo

    grande modello di forma-zione (...)., però i metodi,

    le procedure, le gammecosì definite sono sempre

    più distanti (...)”

    “La formazione scolasticaha e avrà sempre un ruolo

    per creare conoscenze dibase.” Essa è comunque

    messa in discussione.”

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    sabilità? Il sistema scolastico ha qualcosada dire e da fare in questo campo e, incaso affermativo, che cosa? Porre la que-stione significa vedere sino a che puntol’attuale funzionamento del sistemaeducativo risponde male.

    ❏ Infine, tutti sanno che le situazioni pro-duttive comportano un groviglio di co-noscenze di diverse discipline, non solodi cosiddette scienze “dure” (meccanica,elettricità, elettronica, informatica,...), maanche di scienze “dure” e scienze umanee sociali. Come imparare da questo coa-gulo, da questo groviglio? Le forme sco-lastiche tradizionali sono effettivamenteadatte a questo tipo di formazione?

    Sul piano sia della forma sia del contenu-to delle formazioni siamo chiamati a con-frontarci con importanti questioni; le or-ganizzazioni qualificanti hanno visto laluce cominciando a rispondere a tali sfi-de.

    Tuttavia queste si scontrano con la defi-nizione del loro oggetto (che cos’è la“competenza” che si deve apprendere?) econ i metodi di riconoscimento sociale diciò che viene appreso. Si sarà compresoche, secondo noi, la competenza è inse-parabile dalle situazioni produttive e nonriducibile alle “conoscenze pratiche” ac-quisite attraverso l’esperienza.

    Da un lato, la competenza può essere de-finita come la comprensione individua-le e collettiva delle situazioni produtti-ve, prese nella complessità dei problemiche pone la loro evoluzione; dall’altro,l’acquisizione di tale comprensione sup-pone di stabilire dei quadri d’azione cheassicurano un effettivo accumulo delleconoscenze. Tali quadri assomigliano piùad uno strumento di sperimentazione cheall’esperienza, ma una sperimentazionecostruita dall’interno delle situazioni pro-duttive reali. Se ne registrano indizi, siapure ancora parziali, nella creazione dielementi di studio delle situazioni che con-sentono di ritornare sugli elementi dellaproduzione (rischi, innovazioni), d’analiz-zarne lo svolgimento, di rettificare le con-dizioni della loro nascita4 e che permetto-no ai dipendenti di valorizzare l’esperien-za degli eventi e la capacità induttiva e diprendere le distanze dalla loro compren-sione immediata delle cause e dei motivi,autorizzando un ritorno critico sulla valu-tazione iniziale della situazione originale.

    Con un simile approccio della competen-za e delle modalità privilegiate d’appren-dimento ci allontaniamo considerevolmen-te dai sistemi di classificazione basati sul“mantenimento” di un posto di lavoro o diun impiego, anche se ampliato nella suadefinizione. In questo settore tutto, o qua-si, deve essere ancora inventato.

    “(...) la competenza puòessere definita come lacomprensione individualee collettiva delle situazio-ni produttive, prese nellacomplessità dei problemiche pone la loro evoluzio-ne.”

    “Con un simile approcciodella competenza e dellesue modalità privilegiated’apprendimento ciallontaniamo considere-volmente dai sistemi diclassificazione basati sul“mantenimento” di unposto di lavoro o di unimpiego, anche se amplia-to nella sua definizione. Inquesto settore tutto, oquasi, deve essere ancorainventato.”

    4) Abbiamo partecipato all’attuazionedi tal i strumenti presso DanoneFrance.

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    Organizzazione qualifi-cante, coordinamento eincentivazione

    Louis MalletDirettore delle

    ricerche presso ilCNRS e direttore del

    LIRHE*

    Da alcuni anni il concetto di organizza-zione qualificante è oggetto di numerosericerche. I punti di partenza di queste in-dagini sono vari e sono collegati all’im-precisione del concetto: alcuni lavori oesperienze muovono dalle preoccupazionidei gestori delle aziende che per diversimotivi devono far fronte alla necessità diaumentare l’efficienza delle loro organiz-zazioni di lavoro (1). Altri studi s’iscrivo-no nelle problematiche disciplinari: psi-cologia del lavoro, sociologia del lavoroe delle organizzazioni, gestione scientifi-ca, economia. All’interno di quest’ultimadisciplina si possono distinguere variecorrenti: quella che s’interessa delle basisociali della concorrenza, che cerca dideterminare come i nuovi dati economici(internazionalizzazione delle condizionidella concorrenza...) o sociologici (com-portamento d’attività, sviluppo dell’istru-zione...) contribuiscono a trasformare leorganizzazioni e analizza su quali princi-pi si possono costruire delle organizza-zioni efficaci in questi nuovi contesti (2).Un’altra corrente, fortemente influenzatada autori anglosassoni, si occupa dei col-legamenti tra organizzazione e apprendi-mento. A partire dai lavori di Argyris eSchön sull’apprendimento organizzativo,si sono sviluppati diversi settori di ricer-ca, ad esempio in Francia i lavori sull’or-ganizzazione per progetti (3) o quelli checollocano proprio il concetto di organiz-zazione qualificante al centro delle evo-luzioni organizzative (4). A questa cor-rente possono venir collegati gli sviluppiad interfaccia tra economia e scienzecognitive. Infine, le nuove formalizzazionimicro-economiche del comportamentodegli attori, se possono essere collocatenella scia dei lavori degli economistineoclassici, cercano d’integrare semprepiù gli elementi del collettivo di lavoroattraverso lo studio dei meccanismi dicooperazione e l’impatto delle conoscen-ze collettive o della cultura d’impresa sul-l’efficienza dell’organizzazione (5).

    Il contributo qui proposto nasce dai la-vor i condot t i su commiss ione delCEDEFOP nell’ambito del progetto “Pro-duzione della qualificazione”**, raccogliele tre correnti economiche menzionate (6)e s’interroga sul tema centrale dell’effica-cia delle organizzazioni qualificanti par-tendo da due approcci classici: i proble-mi inerenti al coordinamento sono tratta-ti efficacemente in questo tipo d’organiz-zazione? I problemi legati all’incitamentovi trovano delle risposte valide?

    Logicamente non è possibile porsi questiinterrogativi senza parlare degli obiettividell’organizzazione, anch’essi legati al-l’ambiente aziendale. L’efficacia dell’orga-nizzazione non può essere giudicataastrattamente, ma va vista in relazione airisultati raggiunti. Le caratteristiche del-l’organizzazione devono quindi esserecoerenti con tali finalità (7).

    Sotto questo profilo, non è possibile iso-lare la riflessione sulle organizzazioniqualificanti dall’evoluzione dell’ambien-te economico e sociale delle imprese; laquestione generale diviene pertanto: leorganizzazioni qualificanti sono in gardodi r ispondere a l le nuove es igenzeaziendali?

    E’ evidente l’ambizione delle questioniposte. Il nostro obiettivo consiste soltan-to nell’introdurre il dibattito su questi duetemi del coordinamento e dell’incitamen-to.

    Prima di affrontare questi punti, fornire-mo la nostra definizione di organizzazio-ne qualificante allo scopo di delimitare,per quanto possibile, un campo spessomal circoscritto. Concluderemo quindi coni collegamenti tra organizzazione qualifi-cante e prescrizione sul lavoro.

    Nell’articolo, in maniera unpo’ provocatrice, si confu-tano due ipotesi ampiamen-te accettate e si propongo-no altre due vie. Si contestal’idea che l’autonomia nellavoro è necessaria per ot-tenere un miglior coordina-mento nelle organizzazionicomplesse. Nuove forme diprescrizione sostituisconole vecchie. Si contesta inol-tre l’ipotesi che l’autonomianel lavoro è necessariaaffinchè l’organizzazionesia formatrice. Esistono tipid’apprendimento non auto-nomi molto efficaci.Si avanza invece la tesi chel’autonomia rappresenta unimportante motivo di stimo-lo interno e che pertanto, sesi desidera fare della forma-zione un fattore diincitamento interno, lo svi-luppo dell’autonomia nellavoro appare indispensabi-le. Resta da scoprire in chemisura questo dibattito nonsia limitato al territoriofrancese e da individuarequali forme esso può assu-mere in altri Stati membridell’Unione europea.

    * Laboratoire Interdisciplinaire deRecherches sur les RessourcesHumaines et l’Emploi (Laboratoriointerdisciplinare di ricerche sulle ri-sorse umane e l’occupazione), teamassociato al CNRS, Università di scien-ze sociali, Tolosa I.

    ** N.d.r.: serie di studi nazionali “Ruo-lo dell’impresa nella produzione del-le qualifiche: effetti formatori dell’or-ganizzazione del lavoro”, in fase distampa.

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    Organizzazione qualificante

    1. Desideriamo dare una definizione pre-cisa e restrittiva del termine organizzazio-ne qualificante. Innanzitutto poniamoci alivello del gruppo di lavoro. Non trattia-mo le macrostrutture nel senso di orga-nizzazione dell’impresa, ma le micro-strutture nel senso dell’organizzazione dellavoro, di ripartizione tra singoli indivi-dui e di coordinamento tra di loro.

    Infatti ci interessiamo di un aspetto pre-ciso all’interno di un concetto molto piùampio. Il già citato studio del CEDEFOPs’incentrava con prudenza sugli effettiformatori dell’organizzazione del lavoro,tematica più limitata rispetto alla costru-zione delle organizzazioni qualificanti.Questa limitazione corrisponde anche adelle specificità nazionali: sembra che l’or-ganizzazione tayloristica “alla francese” siastata caratterizzata da una parte da unaforma di divisione del lavoro che lascia-va ampio spazio alla gerarchia e dall’altradallo scarso livello di formazione dellamaggior parte dei dipendenti (8). La Fran-cia è del resto un paese in cui la tradizio-ne di formazione formale nell’azienda èmolto modesta. Per questi vari motivi, laquestione dell’incorporazione nell’orga-nizzazione del lavoro del processod’apprendimento informale presenta gran-de interesse e proprie specificità.

    Pertanto riteniamo che un’organizzazio-ne è qualificante quando comporta dellepossibilità d’apprendimento per tutti o perparte delle persone che la compongono.Sono necessarie altre precisazioni.

    ❏ Il carattere formatore qui delineato nonfa riferimento ad un’attività di formazio-ne sul posto di lavoro disgiunta dall’atti-vità produttiva, ma ad un’organizzazionedell’attività produttiva che comporta ele-menti formatori. L’acquisizione e/o la ri-velazione di nuove competenze è un pro-dotto collegato all’attività di produzione;esse non possono avvenire al di fuori ditale attività. L’apprendimento non vieneformalizzato come un’attività con una pro-pria finalità di formazione. La formazio-ne è informale, il che non significa che èaccidentale o indesiderata. L’attività diapprendimento non segue i modelli clas-sici di formazione, bensì è integrata al-l’attività lavorativa.

    ❏ Un’organizzazione non ha queste ca-ratteristiche per caso. Noi ci interessiamodegli approcci degli attori che, per moti-vi diversi sui quali ritorneremo, agisconosull’organizzazione affinché essa preve-da queste possibilità di apprendimento.

    ❏ Le opportunità d’apprendere possonoessere ripartite in maniera disuguale al-l’interno di un’organizzazione. Numerosiesempi di mutamenti organizzativi da noiosservati evidenziano che tali trasforma-zioni offrono soprattutto possibilità adalcuni, precludendole ad altri. Quando sicambia organizzazione, non è detto chequesto non comporti alcuna conseguen-za, spesso vi sono vincitori e perdenti.Ciò accade in particolare quando le stes-se persone passano da un’organizzazio-ne all’altra; ciò è tanto più vero, anche setalvolta non viene ricordato, quando l’evo-luzione è accompagnata da cambiamentidi personale, che essa stessa provoca o èchiamata a provocare.

    ❏ E’ probabilmente difficile immaginareche un’organizzazione sia indefinitiva-mente e continuamente qualificante. Unastabilità minima della ripartizione dellemansioni costituisce un fattore d’ineffica-cia. Gli stessi processi d’apprendimentosono discontinui. Si può pertanto pensa-re che le opportunità d’apprendere sonodistribuite in maniera disuguale nel tem-po, come sono distribuite in maniera di-suguale tra i singoli individui.

    ❏ Non ci sembra che si debba contrap-porre organizzazione qualif icante especializzazione individuale. Si trattereb-be di una prospettiva radicale considera-re che la specializzazione non è più pro-duttiva. Nei lavori in atto nulla autorizzaa percorrere questa via. La formazioneinformale appare anche negli studi delCEDEFOP come un elemento di differen-ziazione dei lavoratori. Essa può contri-buire alla specializzazione.

    Non solo permangono i collegamenti traspecializzazione e apprendimento me-diante la ripetizione in zone stabili del-l’organizzazione, ma la flessibilità delledefinizioni di posto può portare a nuoveforme di specializzazione. Da un lato lecapacità e la volontà di apprendere nonsono distribuite in maniera omogenea trai lavoratori, dall’altro la complessità deiprocessi e la diversità delle competenze

    “(...) riteniamo che un’or-ganizzazione è qualifican-te quando comporta dellepossibilitàd’apprendimento per tuttio per parte delle personeche la compongono.”

    “Il carattere formatorequi delineato non fariferimento ad un’attivitàdi formazione sul posto dilavoro disgiunta dall’atti-vità produttiva, ma adun’organizzazione dell’at-tività produttiva checomporta elementiformatori.”

    “Le opportunità d’appren-dere possono essereripartite in manieradisuguale all’interno diun’organizzazione.”

    “E’ probabilmente difficileimmaginare che un’orga-nizzazione siaindefinitivamente e conti-nuamente qualificante.”

    “Non ci sembra che sidebba contrapporreorganizzazione qualifi-cante e specializzazioneindividuale.”

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    richieste possono spingere verso una cre-scente specializzazione.

    1.2. Il collegamento tra opportunitàd’apprendimento e autonomia sul lavoronon sembra scontato. La formazione nonè necessariamente collegata ad una scel-ta. La formazione informale non esige diper sé una situazione d’autonomia.

    In effetti non appare indispensabile usci-re dal l ’ambito del le organizzazioniprescrittive coordinate gerarchicamenteper trovare delle organizzazioni qualifi-canti. Numerosi studi recenti contrappon-gono organizzazioni di lavoro a carattereprescrittivo, caratterizzate da una scarsaautonomia dei dipendenti, a organizza-zioni che lasciano libertà di scelta ai sin-goli individui (9). Si ritiene che le primeoffrano poche possibilità di formazioneinformale e che le seconde siano porta-trici, attraverso la variabilità delle situa-zioni di lavoro, di nuove opportunità.E’ difficile integrare questa visione con inumerosi risultati delle ricerche che di-mostrano che in Francia nell’epoca d’orodel taylorismo l’organizzazione del lavo-ro non ha mai ridotto totalmente l’auto-nomia (10). Questa appariva certamentein maniera informale, ma era necessariae tollerata. E’ già stato scritto abbastanzasul fatto che le organizzazioni non fun-zionavano allora se non grazie a questezone indefinite, nelle quali erano possi-bili apprendistati informali. L’elementonuovo non sarebbe perciò dato dal colle-gamento tra autonomia e formazione, madalla comparsa del “non-prescritto” nelleorganizzazioni formali.

    D’altro canto non ci sembra che sia so-prattutto il carattere prescrittivo a ridurrele possibilità d’apprendimento, ma piut-tosto il carattere semplice, ripetitivo e sta-bile nel tempo. Un’organizzazione lasciapoche possibilità di sviluppo delle com-petenze se obbliga a fare sempre le stes-se cose e se queste cose sono poche esemplici . Invece un’organizzazioneprescrittiva che spinge il dipendente arealizzare delle operazioni complesse se-condo una progressione temporale puòconsentire di sviluppare delle competen-ze o di acquisirne di nuove. Un’organiz-zazione di lavoro può non lasciare spa-zio all’autonomia, ma attraverso una pre-scrizione complessa, che utilizza varieforme, può introdurre un model lo

    d’apprendimento obbligato. Le forme diprescrizione, le procedure di controllo,differiranno dal modello di un sistematayloristico classico, ma guideranno il la-voratore nella sua progressione. Il rifiutoo l’impossibilità da parte di qualcuno diprogredire saranno sanzionati allo stessomodo dell’incapacità di tenere il ritmo,ossia mediante l’espulsione dal sistema.

    Nei vincoli imposti dalle schede-qualità,dalle norme ISO e dai capitolati d’oneridi subappalto si possono individuare nu-merosi esempi delle nuove “prescrizioni”.In queste pratiche non vi è alcun collega-mento chiaro tra lo sviluppo dell’autono-mia e quello delle competenze. Si puòritenere che la direzione aziendale cerchisistemi di norme che impongono delleprogressioni. Queste norme devono es-sere legittimate e incluse in una forma dicontratto.

    Se è vero che le nuove tecnologie e lacomplessità delle organizzazioni rendo-no difficili e costosi dei controlli classicidel lavoro, potrebbe essere arrischiatoconsiderare che la sola risposta efficacedelle imprese è fondata su una maggiorefiducia e autonomia. La ricerca di struttu-re d’organizzazione che producano nuo-vi tipi di vincoli adeguati a questi ambienticomplessi è anche una risposta possibile.Vi si troverebbero degli esempi soprat-tutto nell’evoluzione dei servizi di gestio-ne della produzione (11).

    Organizzazione qualifican-te e coordinamento

    La questione del coordinamento tra i sin-goli individui è fondamentale ai fini del-l’efficienza organizzativa. Dall’affidabilitàdelle relazioni tra le persone dipende lacoerenza del processo produttivo. Dallarapidità della trasmissione delle informa-zioni dipendono i tempi della realizza-zione.

    Le nuove condizioni della concorrenzapongono particolare enfasi sui seguentielementi:

    ❏ Variabilità della produzione. In ter-mini di livello di produzione, in terminidi tipi di prodotti, la capacità delle orga-nizzazioni di adattarsi a condizioni di

    “Il collegamento traopportunità d’apprendi-

    mento e autonomia sullavoro non sembra sconta-

    to.”

    “(...) in Francia nell’epocad’oro del taylorismol’organizzazione del

    lavoro non ha mai ridottototalmente l’autonomia

    (...)”

    “L’elemento nuovo nonsarebbe (...) dato dal

    collegamento tra autono-mia e formazione, ma

    dalla comparsa del “non-prescritto” nelle organiz-

    zazioni formali.”

    “(...) non ci sembra che siasoprattutto il carattere

    prescrittivo a ridurre lepossibilità d’apprendi-mento, ma piuttosto il

    carattere semplice, ripeti-tivo e stabile nel tempo.”

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    domanda in mutamento diviene un ele-mento essenziale della competitività.

    ❏ Qualità dei prodotti. La capacità diprodurre in maniera regolare secondonorme di qualità sempre più precise costi-tuisce il secondo elemento determinante.

    Queste due esigenze si traducono nelfabbisogno di nuove competenze: l’evo-luzione dei prodotti e dei processi, la ri-duzione dei tempi e degli stock richiedo-no nuove combinazioni di competenzetecniche e organizzative. Queste combi-nazioni attribuiscono un ruolo essenzialeai modelli di coordinamento. Il vecchiomodello di produzione stabile e in lun-ghe serie doveva la propria efficacia inuna considerevole standardizzazione deicontenuti dei posti di lavoro e dei pro-cessi di coordinamento disciplinati dallarelazione gerarchica. La tendenza allasemplificazione attraverso l’omogeiniz-zazione era una risposta organizzativaaccettabile. La rottura rispetto a questalogica consiste non solo nell’accettare, maanche nel creare delle differenziazioni peressere in grado di far fronte a situazionivarie e difficilmente prevedibili.

    Anche il semplice inasprirsi delle condi-zioni di concorrenza collegato all’interna-zionalizzazione dei mercati spinge in taledirezione. Persino quando le condizionidella produzione permangono abbastan-za stabili, la crescita di aumenti della pro-duttività secondo modelli di tipo taylo-ristico sembra raggiungere dei limiti. Purel’idea che il vantaggio concorrenzialepossa provenire da un miglior utilizzodelle risorse umane spinge verso unadifferenziazione. Essa conduce in effettia rimettere in causa un’organizzazionedel lavoro che esige la stessa cosa datutti (logica della conformità) per sfrut-tare delle capacità individuali finorainutilizzate e per lo più negate o ignora-te. Si passerebbe da un’organizzazioneche utilizza delle competenze normaliz-zate, note e reperibili, in cui si può per-tanto avere una concezione aprioristicadell’organizzazione, come un gioco dicostruzione nel quale i pezzi sonocalibrati a priori, ad un’organizzazionein grado d’individuare capacità nascoste(12). Diviene pertanto difficile avere unavisione a priori dell’organizzazione, per-ché si parte dall’ipotesi che non si cono-scono tutte le caratteristiche delle per-

    sone e che si corre il rischio di lasciareche si rivelino, piuttosto che di evitarequesto rischio con la normalizzazione.In questa logica della differenziazionenon si conosce aprioristicamente la for-ma degli elementi del gioco di costru-zioni, che si rivelano durante il proces-so di costruzione.

    Evidentemente, per mentenere la stessametafora, il datore di lavoro deve assicu-rarsi che l’edificio alla fine costruito pos-sieda le caratteristiche desiderate; da ciòderiva l’importanza fondamentale del co-ordinamento in queste nuove organizza-zioni. La difficoltà basilare è che il coor-dinamento non consiste più nel gestiredelle frontiere stabili e individuate traentità (contenuti del lavoro) omogeneein grandi gruppi. Questa configurazioneconsentiva una gestione mediante proce-dure stabili; attualmente coordinamentosignifica gestire frontiere mobili tra entitàche vengono spinte verso la differenzia-zione. Sul piano della massa e della com-plessità delle informazioni da scambiare,il sistema rischia di divenire estremamentepesante e costoso. Sul piano della formadegli scambi (relazione di dipendenza edi potere) si possono verificare crescentiasimmetrie.

    ** *

    Di fronte a queste caratteristiche, o a que-ste esigenze, come si presentano le orga-nizzazioni cosiddette qualificanti?

    Innnanzitutto, affinché un’organizzazioneoffra delle opportunità di apprendimento,occorre che essa s ia evolut iva. Laripartizione delle mansioni e delle respon-sabilità non può essere fissata una voltaper tutte. Le frontiere dei diversi posti dilavoro devono potersi spostare per tenerconto delle conoscenze professionali.Tuttavia questa capacità di evoluzione nondeve implicare una instabilità permanen-te. Essa deve essere cadenzata, delimita-te e organizzata nel tempo. La coerenzadell’organizzazione è collegata al fatto checiascuno dispone di un certo numero d’in-formazioni su quanto fanno gli altri. L’in-stabilità di queste informazioni porrebbegravi problemi.

    Un altro problema consiste nel sapere chidecide lo spostamento delle frontiere.

    “(...) l’evoluzione deiprodotti e dei processi, lariduzione dei tempi edegli stock richiedononuove combinazioni dicompetenze tecniche eorganizzative. Questecombinazioni attribuisco-no un ruolo essenziale aimodelli di coordinamen-to.”

    “(...) il coordinamento nonconsiste più nel gestiredelle frontiere stabili eindividuate tra entità(contenuti del lavoro)omogenee in grandigruppi (...); attualmentecoordinamento significagestire frontiere mobilitra entità che vengonospinte verso ladifferenziazione.”

    “(...) affinché un’organiz-zazione offra delle oppor-tunità di apprendimento,occorre che essa siaevolutiva.”

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    Quale parte può essere lasciata al reci-proco adattamento?

    In secondo luogo, queste organizzazionispingeranno verso la differenziazione deicontenuti dei posti di lavoro, in ragionedei ritmi di apprendimento. Partendo dasituazioni identiche, due dipendenti sonosoggetti a evoluzioni diverse. Questa in-dividualizzazione pone problemi di co-ordinamento comparabili al carattereevolutivo.

    In terzo luogo, apprendere suppone del-le relazioni con gli altri diverse da quelledel semplice rapporto prescrittivo. Com-prendere presuppone delle spiegazioni,cioè tempo e scambi. Un’organizzazionesoggetta a continua urgenza, spinta quin-di a distribuire in permanenza il lavoroin funzione delle migliori capacità dispo-nibili (colui che sa fare e che lo fa nellamaniera più rapida), non offrirà pratica-mente opportunità d’apprendere (13).

    Complessivamente, questi elementi muo-vono nella stessa direzione: la quantità ela complessità delle informazioni da ge-stire nell’organizzazione sono aumentatein misura considerevole. Si vede che al-cune caratteristiche delle organizzazioniqualificanti vanno incontro alle esigenzenate dalle nuove forme di concorrenza,ma si vede anche che la complessità delcoordinamento è moltiplicata dall’aperturadi opportunità di apprendimento.

    Per lanciarsi in una siffatta scommessa, sicomprende che le imprese hanno unanotevole esigenza di regole; regole con-cernenti i modelli di coordinamento sa-rebbero del resto probabilmente insuffi-cienti di fronte ai rischi presi. I sistemid’incentivazione devono contribuire afornire questa garanzia. Sia che questeorganizzazioni lascino una certa libertàall’iniziativa individuale sia che gestisca-no delle prescrizioni complesse, ciò por-ta ad un ripensamento dei meccanismid’incentivazione. Il controllo non si eser-cita soltanto attraverso il coordinamento,ma anche attraverso la ricerca di garan-zie che l’individuo offrirà all’organizza-zione. Qualora non si trovi un sistemaadeguato d’incentivazione, è probabileche l’impresa si possa allontanare da or-ganizzazioni prescrittive.

    Le organizzazioni qualifi-canti “(...) spingeranno

    verso la differenziazionedei contenuti dei posti di

    lavoro, in ragione deiritmi di apprendimento.”

    “(...) apprendere supponedelle relazioni con gli altri

    diverse da quelle delsemplice rapporto

    prescrittivo.”

    “Sia che queste organizza-zioni lascino una certa

    libertà all’iniziativaindividuale sia che gesti-scano delle prescrizioni

    complesse, ciò porta aripensare i meccanismi

    d’incentivazione.”

    Due sono i tipi di meccani-smo d’incentivazione:

    ❏ esterno all’attivitàlavorativa (retribuzione,

    premi, ecc.)❏ interno all’attivitàlavorativa (soddisfazione

    di fare, d’apprendere,ecc.)

    Organizzazione qualifican-te e incentivazione

    Tra i meccanismi d’incentivazione si pos-sono distinguere due forme; nella prima,l’incentivazione è esterna rispetto all’atti-vità di lavoro; essa interviene comecontropartita in relazione al tempo e allosforzo compiuto. Assume le forme di sa-lario, premi, vantaggi vari che non hannonulla a che vedere con l’attività di lavoro.L’incentivazione non interviene sull’orga-nizzazione del lavoro. Il sistema taylo-ristico schematico è di questo tipo. Peravere diritto alla contropartita, è necessa-rio seguire una norma prestabilita, pocodifferenziata a seconda dei lavoratori. E’indispensabile conformarsi alla norma.

    Nella seconda forma, l’incentivazione èinterna rispetto all’attività lavorativa. Essainterviene attraverso la realizzazione dellavoro e agisce sul registro della soddi-sfazione di eseguirlo, di apprendere, non-ché sui meccanismi identificativi o suquelli dell’emulazione. Se s’intende uti-lizzare una tale forma d’incentivazione, ènecessario reintrodurre questa preoccu-pazione nell’organizzazione stessa del la-voro. I sistemi post-tayloristici sono diquesto tipo, per diversi motivi convergen-ti.

    Alcune ragioni sono collegate alle esigen-ze dei singoli individui. Meglio formati,largamente vincolati dal carattere istitu-zionale della fissazione delle retribuzio-ni, i lavoratori dipendenti ritengono chel’esercizio del lavoro rappresenti un im-portante elemento di stimolo. Spesso inquesto ambito si privilegia l’autonomiarispetto alla prescrizione.

    Altri motivi fanno riferimento all’evolu-zione delle imprese. La logica delladifferenziazione dei lavoratori, attuata perle ragioni sopra menzionate, induce acessare d’invitare a conformarsi ad unanorma, permettendo invece a ciscuno didistinguersi.

    Si pone allora il problema di sapere inche misura l’opportunità di apprenderecostituisca un’incentivazione interna oesterna.

    L’aspetto “stimolo esterno” corrisponde-rebbe ad un investimento personale in

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    “Si pone allora il proble-ma di sapere in chemisura l’opportunità diapprendere costituisceun’incentivazione internao esterna.”

    “(...) è l’opportunità diapprendere che costitui-sce un incentivo o ènecessario un sistemad’incentivazione particola-re per stimolare le perso-ne ad apprendere?”

    “(...) l’esercizio di scelte èprobabilmente essenzialein un lavoro che si deside-ra sia a sua volta stimo-lante.”

    vista di una valorizzazione salariale, al-l’interno o all’esterno dell’azienda. Inquesta ipotesi, il singolo individuo desi-dera probabilmente un investimentoquanto più valido possibile. Se un’orga-nizzazione prescrittiva è più efficace, eglivi aderirà.

    L’aspetto “stimolo interno” corrisponde-rebbe alla soddisfazione di apprendere,di seguire un percorso vario... In questocaso, l’incentivazione è compatibile con ivincoli? Non vi è forse una contraddizio-ne tra il fatto di essere costretto e quellodi trovare utile fruire di “beni d’apprendi-mento”?

    L’autonomia non è necessaria alla forma-zione e non la garantisce. Ma sfruttare leopportunità di apprendimento come unfattore di stimolo esterno esige una certapossibilità di scelta da parte del singoloindividuo. L’esercizio del potere di sceltae della responsabilità ad esso collegatarappresentano dei fattori di stimolo. Per-ché scegliere obbliga a discutere, a pren-dere posizione, a ragionare. Il livello d’im-plicazione del singolo individuo che sce-glie è più importante di quello dell’indi-viduo che applica delle prescrizioni.

    A seconda della risposta a questa alter-nativa, le scelte relative all’organizzazio-ne del lavoro possono essere diverse.Portando all’estremo questa prospettiva,si può affermare che il modello di coor-dinamento dovrebbe venir scelto in fun-zione del modello d’incitamento prescelto.Al l imi te , i l carat tere più o menoprescrittivo o vincolante del lavoro siriallaccerebbe alle prospettive dell’incenti-vazione più che a quelle del coordina-mento. Si giunge ad una visione, un po’semplicistica, ma che ha degli estimatori,in base alla quale alla fine l’organizzazio-ne, in quanto insieme di norme e di pro-cedure formali che stabilisce un modellodi coordinamento, riveste scarsa impor-tanza. Se i lavoratori sono motivati, sa-ranno efficienti, troveranno delle soluzio-ni. L’organizzazione non li obbligherà. Lescelte organizzative hanno allora qualeunico obiettivo la motivazione. Esse sonototalmente contingenti rispetto alle aspet-tative delle persone. Non vi è una strut-tura migliore di un’altra per quanto con-cerne gli obiettivi dell’organizzazione. Lastruttura buona è quella che promuove ilcoinvolgimento.

    Un attento esame dello studio empiricocondotto dal CEDEFOP nell’ambito delsummenzionato progetto fornisce, su casiconcreti, una conferma a tesi di questotipo. Alcuni mutamenti organizzativi han-no infatti il solo scopo, non dichiarato, diprovocare una trasformazione nel siste-ma d’incentivazione: cambiando i respon-sabili, obbligando il sistema delle relazioniinterpersonali a uscire da equilibri stabi-li, ma spesso non ottimali, generando uncontatto esterno che costringe ognuno arinegoziare con gli altri, si ottiene un“reinvestimento” da parte dei singoli in-dividui. In altr i casi , i l mutamentoorganizzativo permette di creare oppor-tunità di carriera per una categoria parti-colare, giudicata strategica per il futuro.E’ rimotivando una determinata categoriache si migliora l’efficacia del sistema, enon attraverso una nuova distribuzionedelle mansioni (14).

    A questo punto si è spinti a porsi degliinterrogativi circa gli effetti formatori del-l’organizzazione, non più sotto il profilodella sua efficienza in quanto struttura dicoordinamento, ma dal punto di vistadella motivazione.

    ** *

    Certamente la questione può essere po-sta nei due sensi: è l’opportunità di ap-prendere che costituisce un incentivo o ènecessario un sistema d’incentivazioneparticolare per stimolare le persone adapprendere? E’ il fatto che l’impresa creadelle organizzazioni qualificanti per mo-tivare i lavoratori o che ha bisogno, peraltre ragioni, che i lavoratori apprenda-no, ciò che spinge a ricercare degli sti-moli in questo senso. E’ probabile che sitrovino tutte le situazioni. Tuttavia lo svi-luppo dell’autonomia nel lavoro e il de-clino delle forme prescrittive sono parti-colarmente legati a ciò. I modelli did’incentivazione esterna sono compatibi-li con forme prescrittive, mentre l’eserci-zio di scelte è essenziale in un lavoro chesi desidera sia a sua volta stimolante. Intal caso l’autonomia non è una caratteri-stica obbligatoria di un’organizzazionequalificante e risulta più necessaria per ilsistema d’incentivazione che per i mec-canismi di coordinamento.

    Riassumendo, in maniera un po’ provo-catoria, si confutano due ipotesi largamen-

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    te accettate e si propongono due altre vie.Si contesta l’idea che l’autonomia nel la-voro è indispensabile per giungere ad unmiglior coordinamento all’interno delleorganizzazioni complesse. Nuove formedi prescrizione sostituiscono le vecchie.Si contesta inoltre l’ipotesi che l’autono-mia nel lavoro è necessaria affinchè l’or-ganizzazione sia formatrice. Esistono tipidi apprendimento non autonomi moltoefficaci.

    Si avanza invece la tesi che l’autonomiarappresenta un importante motivo di sti-molo interno e che pertanto, se si desi-dera fare della formazione un fattore diincitamento interno, lo sviluppo dell’au-tonomia nel lavoro appare indispensabi-le. Resta da scoprire in che misura que-sto dibattito non sia limitato al territoriofrancese e da individuare quali forme essopuò assumere in altri Stati membri del-l’Unione europea.

    Note/Riferimenti bibliografici

    1. Numerosi esempi sono offerti dai grandi gruppifrancesi (studio di C. Midler presso la Renault“Emergence et développement de la gestion parprojet chez Renault de 1970 à 1985”, Cahiers duCentre de Recherche en Gestion n° 3, giugno 1989.Giornate del Cergy organizzate nel giugno 1993 dalgruppo Rhone-Poulenc sul tema “Aver successo conil cambiamento...”

    2. A. d’Iribarne. La compétitivité, défi social,enjeu éducatif. Ed. Presses du CNRS. Parigi, 1989.

    3. R.J. Benghozi. Innovation et gestion de projets.Ed. Eyrolles, Parigi, 1990.

    4. P. Zarifian. “La compétence, mythe, construc-tion ou réalité”. Ed. L’Harmattan. Parigi, 1994.

    5. Cfr. ad esempio i lavori di M. Aoki (Economiejaponaise. Informations, Motivations, Marchandage.Ed. Economica 1991) e di J. Cremer (Corpotate Cul-ture and Shared Knowledge, in: Industrial andCorporate Change. Vol. 2, n° 3, 1993).

    6. Contributo su tre studi di casi nell’ambito dellaparte francese del progetto. Monografia su un’azien-da chimica e due reparti di un’impresa aeronautica(F. Allard, L. Mallet, M. Pouget). Disponibili pressoil CEDEFOP. Cfr. anche il rapporto per la Francia(M.C. Villeval) e il rapporto finale (J. Delcourt e P.Méhaut) in corso di pubblicazione presso ilCEDEFOP.

    7. M. Mintzberg, Structure et Dynamique desorganisations. Ed. Organisation. Parigi, 1982.

    8. I risultati del confronto Francia-Germania cu-rato dal LEST sono chiari a questo riguardo. Cfr. M.Maurice, F. Sellier, J.J. Silvestre. Production de lahiérarchie dans l’entreprise, Allemagne-France.LEST, Aix-en-Provence, 1977.

    9. P. Zarifian, “Coopération, compétence etsystème de gestion dans l’industrie. Communicationau 5e colloque de l’AGRH.” Montpellier 18 novem-bre 1994. Atti editi dalla FNGE.

    10. D. Brochier., A. d’Iribarne, J.P. Froment. Laformation en alternance intégrée à la productionin: Revue Formation-Emploi, n° 30, 1990. Cfr. an-che la tesi di D. Brochier. L’entreprise formatrice.Aix-en-Provence, LEST, 1993.

    11. Cfr. in particolare le monografie citate sull’ae-ronautica nell’ambito dello studio del CEDEFOP(F. Allard e M. Pouget).

    12. Tali organizzazioni costituirebbero una rispo-sta possibile al problema che i teorici definisconodella “selezione opposta”. Cfr. ad esempio B. Gazier.Economie du travail et de l’emploi pag. 235. Ed.Dalloz. Parigi 1992.

    13. C. Riveline. De l’urgence en gestion, Gérer etcomprendre, n° 22, 1991.

    14. L. Mallet. Etude de cas n° 1. France-Régiontoulousaine. Cfr. anche Note du CEJEE n° 118.“Investissement et Organisation. Leçons d’unchantier.” Università di Tolosa 1, 1992.

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    L’organizzazione qualificante è una con-figurazione particolare della divisionedelle attività e delle conoscenze, del lorocoordinamento e riproduzione. Da variautori 1(1), tra cui Philippe Zarifian, essaviene descritta come l’organizzazione piùefficace in un contesto di economia di va-rietà 2(2). La problematica adottata consi-ste nel considerare detta forma di orga-nizzazione come il mezzo migliore a di-sposizione dell’azienda per far fronte al-l’incertezza, in quanto suscettibile di con-tinui adattamenti ai vari eventi aleatori.L’organizzazione qualificante consentel’affermarsi di una risposta adeguata al-l’eterogeneità crescente dei saperi da mo-bilitare e allo sviluppo di conoscenze con-divise tra le varie categorie di impiego e ivari servizi aziendali. Più precisamentetale forma organizzativa permette l’adat-tamento continuo delle conoscenze, ol-tre a garantirne il rinnovamento della pro-duzione.

    D’altro canto la riflessione avviata in me-rito alla organizzazione qualificante haavuto il grande merito di porre l’accento,dopo ARGYRIS e SCHOEN (1978), sulleconoscenze per l’azione, il che non è unrisultato di poco conto in un paese comela Francia in cui il modello predominanteè la formazione scolastica. Il caratteredell’azienda come luogo legittimo di for-mazione è stato infatti riconosciuto mol-to tardi (BARBIER, 1992; BROCHIER etalii, 1990; JOBERT, 1991).

    Nell’ampio dibattito che tale concetto hasuscitato nelle varie discipline, dallasociologia all’economia alla gestione d’im-presa, un aspetto ci sembra scarsamenteaffrontato. Si tratta del rapporto tra la pro-duzione delle conoscenze in azienda e laforma e le regole della mobilità nel sensoampio del termine (regole di accesso egerarchia dei posti di lavoro). Infatti leorganizzazioni qualificanti, secondo la

    definizione che ne abbiamo dato, si svi-luppano soprattutto in aziende di grandidimensioni o appartenenti a grandi grup-pi che funzionano prevalentemente inbase al cosiddetto modello del “mercatointerno”. Un modello che in Francia nelcorso degli anni ottanta ha chiaramentesubito una crisi strutturale ancora oggilontana da una soluzione. La coerenza ditale modello si basava su una forte cre-scita degli organici e sullo scarso svilup-po della formazione professionale inizia-le. A differenza dei mercati interni dellaGermania e del Giappone (SILVESTRE,1986), diversi fattori hanno contribuito aincrinarla: riduzione degli organici indu-striali, considerevole aumento dell’offer-ta di formazione iniziale, concorrenza traformazione iniziale e continua, e infineminore propensione da parte delle don-ne, in possesso grazie alla scuola di piùelevati livelli formativi, a ritirarsi dal mer-cato del lavoro in caso di congiunturanegativa. Le trasformazioni introdotte inFrancia nel funzionamento del mercatointerno non ci sembrano affatto irrilevantirispetto al futuro dell’organizzazione qua-lificante. Riprendendo l’analisi elaboratada HATCHUEL e WEIL (1992) sui sistemiesperti, si può infatti ammettere, comesostengono i due studiosi, che i processiattraverso i quali si formano e si scam-biano le conoscenze nell’azione sonodecisamente più importanti. Questo signi-fica “che bisogna comprendere che i pro-cessi burocratici, istituzionali o politicipossono inibire, distorcere o favorire unadinamica e una ripartizione delle cono-scenze compatibili con le esigenze eco-nomiche attuali”.

    Inoltre queste conoscenze non si forma-no semplicemente nell’azione, ma proce-dono “dalla rielaborazione di elementi diconoscenza in un contesto di azione”(HATCHUEL e WEIL, op.cit.). In questosenso la produzione di conoscenze d’azio-

    Organizzazione qualifi-cante e mobilitàI tecnici di gestione nella chi-mica

    MyriamCampinos-Dubernetricopre attualmentela carica di vice-direttore del GIPMutations Industri-

    elles, Unità di Ricerca CNRSGIP 0002. In passato hadiretto il DipartimentoFormazione e Lavoro delCEREQ (Centre d’Etude et deRecherche sur les Qualifica-tions).

    1) Cfr. “L’organisation qualifiante”,numero speciale della rivista “Educa-tion Permanente”, n.112. ottobre 1992.

    2) Con tale termine si intendono deimodi di produzione che presuppon-gono sia un’importante innovazionedei prodotti che una contrazione del-la lunghezza delle serie.

    L’articolo affronta la que-stione del raggiungimentodi coerenza tra le nuove for-me di organizzazione dellavoro per far fronte a una“economia di varietà” e alleregole di mobilità. L’autricesostiene la tesi secondo cuitale coerenza è indispensa-bile ai fini dell’efficacia edella stabilizzazione dellenuove forme di organizza-zione lavorativa, un proble-ma cruciale nel contesto at-tuale del “mercato interno”in Francia. Da un lato le vec-chie regole ancora in vigo-re vengono destabilizzateper effetto della riduzioneautomatica delle opportuni-tà di carriera legata alla di-minuzione degli organici ealla contrazione delle lineegerarchiche. Dall’altro, l’au-mento dell’offerta di forma-zione professionale inizialeper tutti i livelli della gerar-chia dei posti di lavoro in-duce le imprese a incentiva-re il ricorso al “mercato in-terno”. L’analisi viene ap-plicata alla categoria dei tec-nici di gestione a partire daidati statistici per l’insiemedell’industria francese.

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    tività dell’azienda. Conoscenze di questotipo vengono ormai non solo stimolate erichieste, ma sono elaborate e organizza-te in una struttura teorica che tende acostituire veri e propri modelli d’azione.Tenendo conto dell’interdipendenza deivari saperi tali modelli strutturano un’azio-ne etichettata ora come collettiva.

    La costruzione sistematica delle conoscen-ze d’azione presuppone il riconoscimen-to preliminare della legittimità di questeconoscenze e dunque della legittimità deiloro produttori a divenire parte integran-te di questo processo. Ciò finisce in qual-che modo per riconoscere loro lo statusdi “esperti”. Pertanto, tenendo conto del-la situazione anteriore, questa legittimitànon viene stabilita automaticamente poi-ché implica un certo “spostamento” rispet-to alla situazione. Per illustrare questoaspetto porteremo ad esempio la situa-zione osservata in due fabbriche di chi-mica raffinata appartenenti allo stessogruppo.

    Nella prima abbiamo potuto osservarel’esistenza di due sistemi di rappresenta-zione dell’azione processo qualità, attua-ta da attori diversi senza che fossero statielaborati, al momento dell’inchiesta, verie propri compromessi. Il primo sistemaconcepisce il progresso e l’organizzazio-ne del lavoro che ne deriva a partire dal-la superiorità di una rappresentazionemodellizzante basata sulle matematiche ealimentata dalle informazioni sul proces-so automaticamente registrate grazie al-l’informatica. Per il secondo sistema ilprocesso qualità deve innanzi tutto per-mettere di risolvere le disfunzioni mag-giori, anche se deve accontentarsi di sot-to-ottimizzazioni locali, privilegiando un“percorso a piccoli passi” di tipo KAISEN,secondo la denominazione giapponese.Tra i sostenitori del primo modello, di tiposcientifico, c’è il personale del “servizioprocedimento”, ingegneri e tecnici: secon-do loro si tratta di un modello corrispon-dente allo stato attuale delle conoscenzedisponibili, mentre le soluzioni di miglio-ramento parziale e locale, elaborate apartire da processi più induttivi basatisulle conoscenze di gestione del proces-so, e attuate dagli operatori, non merita-no ai loro occhi che poco spazio. Non siriconosce loro legittimità, né il diritto dipartecipazione al progredire della padro-nanza del processo. Le constatazioni, i

    ne e l’operazione di legittimazione per-manente delle nuove conoscenze cosìprodotte sono intimamente legate. Que-ste non dipendono solo dalla divisionedel lavoro adottata, ma dalla configura-zione degli “spazi di mobilità” che costru-iscono e organizzano le forme concretedel coordinamento, cioè della coopera-zione. Tali spazi sono definiti dall’ “insie-me delle regole (scritte o meno) la cuiapplicazione ripetuta traccia le linee diforza (di ciò che può essere definito)come uno spazio professionale o unospazio di qualificazione” (SILVESTRE,op.cit.) 3(3). Queste regole strutturano siala coerenza dei contenuti di attività e deiprofili occupazionali che strati e gerarchiedel mondo industriale, basandosi su unadetrminata rappresentazione della gerar-chia dei requisiti di conoscenza. Di con-seguenza appare indispensabile osserva-re in che misura le modifiche introdottenelle regole di accesso ai posti di lavoroe nello svolgimento delle carriere possa-no influire sullo sviluppo di quella nuovaforma organizzativa che è l’organizzazio-ne qualificante. Anche queste configura-zioni implicano alcuni effetti che non sirivelano necessariamente coerenti con icambiamenti organizzativi avviati. La no-stra ipotesi è che, in mancanza di un’ela-borazione di tale coerenza con le formedella mobilità, lo sviluppo stesso dellenuove scelte introdotte nella divisione dellavoro rischia di essere rimesso in discus-sione.

    Questo punto di vista lo illustreremo apartire da recenti indagini nel settore dellepolitiche di qualità 4(4), cercando di di-mostrare quanto la costruzione di spazidi qualificazione sia più o meno favore-vole non tanto all’elaborazione delle co-noscenze d’azione, ma alla loro “teorizza-zione”, cioè alla loro costruzione orga-nizzata, sistematica e trasmissibile.

    Conoscenze d’azione espazio di qualificazione

    La novità nel contesto industriale attualenon è tanto l’esistenza delle “conoscenzed’azione” a lungo clandestine, ma rico-nosciute “tacitamente” (JONES e WOOD,1984) da direzione e quadri, quanto larecente affermazione della loro necessitàcome contributo indispensabile all’opera-

    “... Appare indispensabileosservare in che misura lemodifiche introdotte nelleregole di accesso ai posti

    di lavoro e nello svolgi-mento delle carriere

    possano influire sullosviluppo di quella nuova

    forma organizzativa che èl’organizzazione qualifi-

    cante”.

    “La costruzione sistemati-ca delle conoscenze

    d’azione presuppone ilriconoscimento prelimina-

    re della legittimità diqueste conoscenze e

    dunque della legittimitàdei loro produttori per

    divenire parte integrantedi questo processo”.

    3) Si tratta più precisamente della for-mazione iniziale o continua; profes-sionale o generale; dei cambiamentidi azienda o della rotazione tra lemansioni; del procedere da posto aposto o del riconoscimento di status.

    4) Questo studio del CEREQ-GIPMutations Industrielles è stato realiz-zato nel corso del 1994 da BLAIN C.,CAMPINOS-DUBERNET M. ,MARQUETTE C. in tre industrie dichimica raffinata e in due di trasfor-mazione dell’alluminio. I risultati sa-ranno pubblicati nel corso di quest’an-no.

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    rilievi, le osservazioni puntuali degli ope-ratori sono a priori poco credibili, e i loropunti di vista sono da prendersi con be-neficio d’inventario. Appare pertanto su-perflua l’organizzazione delle condizionidi raccolta e trattamento rigoroso di que-ste informazioni, comprese quelle relati-ve a sezioni del processo di cui si ritienedi non avere sufficiente padronanza.

    Gli sforzi sostenuti dalla direzione del-l’azienda per stimolare il coinvolgimentodegli operatori, a titolo volontario, neigruppi di intervento finalizzato alla qua-lità si scontrano con le contraddizioniprecedentemente menzionate. Le loroaspettative nei confronti degli operatorisi pongono in collisione profonda con illoro status e l’assenza di legittimità delleloro conoscenze. Da tale situazione emer-gono difficoltà reali. Ciascuna tipologiadi attore si appoggia al proprio sistemadi rappresentazione, mobilitando le risor-se fornite dalle proprie conoscenze perla difesa del proprio punto di vista e rin-viando ai limiti di conoscenza dell’altro

    gruppo, senza che possa crearsi una verae propria “zona di scambio”. Tale zona sipotrebbe basare su un certo recuperodelle conoscenze congiuntamente ricono-sciute come complementari. Una similefrattura è largamente comprovata dai pro-fili e dalle regole di accesso ai posti dilavoro.

    Insisteremo sul caso del “tecnico di labo-ratorio” o tecnico di gestione, le cui ca-ratteristiche sono in discontinuità conquelle degli operatori, dal momento chepossiede un’esperienza limitata dell’atti-vità di gestione acquisita dopo il recluta-mento sul mercato esterno. Titolare di undiploma “BTS” (Brevetto di tecnico supe-riore - cfr.inserto 1), è stato immediata-mente fatto rientrare nella clausola II delContratto collettivo (cfr.inserto 2). Senten-dosi vicino per cultura e percorso, maanche per status, ai tecnici e ingegneridel “servizio procedimento”, collaboraspontaneamente con loro, mentre descri-ve la collaborazione con gli operatoricome difficile, come confermato da que-

    Inserto n.1

    Il sistema di istruzione: struttura e tutele

    quelli dei centri di formazione per ap-prendisti, ma non si tratta di apprendi-sti). Il secondo ciclo professionale (im-partito nei lycées professionali) compren-de le classi che preparano al CAP in 3anni, al CAP in due anni e al BEP, oltreche al diploma professionale. Il secon-do ciclo generale e tecnologico com-prende le classi seconda, prima e con-clusiva.

    ❏ L’insegnamento superiore, che èimpartito nei lycées per le sezioni deitecnici superiori (STS) e le classi prepa-ratorie alle grandes écoles (CPGE) in al-cune scuole specializzate o “grandi scuo-le” e nelle università.

    L’insegnamento speciale è in partesotto la tutela della Pubblica Istruzione,nelle classi speciali degli istituti di pri-mo o secondo livello e negli istituti spe-cializzati. Il Ministero della Sanità, degliAffari sociali e della Città è competente

    Da: Economie et statistiques, nn.277-278, 1994 - 7/8

    Il sistema di istruzione sotto la tutela delMinistero della Pubblica Istruzione e diquello per l’Università e la Ricerca si ar-ticola in tre livelli.

    ❏ Il primo livello, che corrisponde al-l’insegnamento pre-elementare e ele-mentare.

    ❏ Il secondo livello, che raggruppaprimo e secondo ciclo. Il primo ciclocomprende le classi sesta e quinta, quar-ta generale e tecnologica, terza genera-le e tecnologica, ol t re al le c lass ipreprofessionali (CPPN) e a quelle pre-paratorie all’apprendistato (CPA). Il pri-mo ciclo viene impartito essenzialmen-te nel collège, ad eccezione delle classidi quarta e terza tecnologiche che perlo più hanno sede nei lycées professio-nali. Una minoranza di classi preparato-rie all’apprendistato si trovano in centridi formazione per apprendisti (i loroeffettivi rientrano nella contabilità di

    per gli altri istituti (socio-educativi, me-dico-educativi e medici).

    L’apprendistato è un percorso di for-mazione professionale in alternanza edè impartito nei centri di formazione perapprendisti (CFA). La loro tutela peda-gogica è garantita dal Ministero dellaPubblica Istruzione o da quello perl’Agricoltura per i centri di formazioneper gli apprendisti agricoli.

    L’insegnamento agricolo, sotto la tu-tela del Ministero per l’Agricoltura, im-partisce un largo spettro di formazioniprofessionali, dal CAPA (certificato diattitudine professionale agricola) al BTSA(brevetto di tecnico superiore agricolo).

    Il Ministero della Sanità, degli Affarisociali e della Città assicura la tuteladelle scuole di formazione per le pro-fessioni sociali e nell’ambito della sani-tà.

    Nel primo caso, “ciascunatipologia di attore siappoggia al propriosistema di rappresenta-zione, mobilitando lerisorse fornite dalleproprie conoscenze per ladifesa del proprio puntodi vista e rinviando ailimiti di conoscenzadell’altro gruppo, senzache possa crearsi unavera e propria ‘zona discambio’ (...)”.

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    sti ultimi. Nonostante il tentativo delladirezione aziendale di incentivare i grup-pi di intervento finalizzato alla qualità, edi procedere all’evidenziazione sistema-tica, nei laboratori, dei risultati ottenuti edei reclami pervenuti dai clienti, il tecni-co in questione deplora da parte sua ildisimpegno crescente degli operatori chenon fa che confortare le scarse aspettati-ve del “servizio procedimento” nei lororiguardi. La discontinuità “degli spazi” sirivela particolarmente accentuata.

    La situazione del secondo laboratorio,anch’esso finalizzato a prodotti di chimi-ca raffinata, in un’altra fabbrica dello stes-so gruppo offre un quadro assai diversorispetto a quello sopra descritto.

    Il tecnico di gestione questa volta è unex-operatore. Reclutato come operaio(clausola I) ha ottenuto il posto di tecni-co dopo aver seguito una formazionecontinua in azienda. Tale formazione, as-sai lontana da un modello scolastico ac-cademico, è stata costruita sull’amplia-mento della padronanza dell’attività digestione del processo. La padronanzadegli aspetti tecnici e scientifici è stataorganizzata a partire da un percorso disoluzione dei problemi fortemente orien-tato verso l’interfunzionalità (manutenzio-ne e analisi). In tal caso il tecnico di ge-stione resta un interlocutore legittimo peri servizi connessi alla fabbricazione, dalmomento che ha accesso allo stesso tipodi conoscenze scientifiche e teoriche. Main quanto ex-operatore egli è allo stessomodo in grado di comprendere e “tradur-re” le conoscenze sperimentali elaboratedagli operatori. Può così fungere da

    interfaccia tra spazi discontinui e consen-tire la messa in opera di una reale com-plementarità e di un reciproco arricchi-mento delle conoscenze possedute daidiversi gruppi. Conoscenze che possonoessere mobilitate in un nuovo contestoconsentendo al tempo stesso l’economiadi una reinvenzione costellata di soluzio-ni di fronte agli stessi problemi. Ne risul-ta in un certo senso un tipo di dispositivoche non è solo il prodotto di un percorsocollettivo interfunzionale (gestione, pro-cedimenti, ricerca e manutenzione), mache, aldilà del gruppo degli iniziatori, di-venta allo stesso modo oggetto di unaappropriazione collettiva.

    Peraltro, l’itinerario dell’ingegnere inca-ricato della gestione del laboratorio haanch’esso contribuito al ravvicinamentointerfunzionale operato. Provenendo dauno dei servizi di ricerca dell’azienda,aveva dovuto gestire la realizzazione diun investimento importante in una sedediversa dal reparto osservato, un compi-to che l’aveva posto in stretta collabora-zione con il servizio tecnico e il serviziodi manutenzione. La sua nomina alla di-rezione gestionale di un insieme di labo-ratori era dunque avvenuta solo dopoquesta serie di esperienze su cui si era ingran parte basato per sviluppare e soste-nere i cambiamenti organizzativi avviati.

    Tuttavia, in questo secondo caso sembraingiustificato considerare la situazione -sebbene più favorevole dal punto di vi-sta delle cooperazioni sviluppate e delleregole di accesso ai posti di lavoro fissa-te - come totalmente idilliaca. Grazie al-l’esistenza di conoscenze condivise, que-sta situazione sembra coerente nella pro-pria architettura, sia per la legittimità del-le diverse conoscenze che per le “zonedi interfaccia” effettivamente costruite at-traverso l’organizzazione delle mobilità;ma non sembra, dopo un’esperienza diotto anni, destinata a una sicura durata.Al momento dell’inchiesta si percepiva lapossibilità di un ricaduta all’indietro. Lezone di fragilità che si manifestano si col-locano intorno al nuovo profilo del tec-nico di gestione: da un lato la sua pro-mozione passa ormai attraverso il percor-so di una formazione scolastica classica(BTS), in quanto l’impresa ha abbando-nato la formazione interna prima orga-nizzata; dall’altro le sue possibilità futu-re, la carriera prevista per lui, allo stadio

    Nel secondo caso, “grazieall’esistenza di conoscen-

    ze condivise, questasituazione sembra coeren-

    te nella propria architet-tura, sia per la legittimità

    delle diverse conoscenzeche per le “zone di

    interfaccia” effettivamentecostruite attraverso

    l’organizzazione dellemobilità; ma non sembra,

    dopo un’esperienza diotto anni, destinata a una

    sicura durata”.

    Inserto n.2

    Il contratto collettivo dell’Unione delle Industrie Chi-micheComporta 3 clausole che specificano 3 categorie di classificazione degli impieghi.

    Clausola 1 Va dal coefficiente 130 al 205. Riguarda principalmente operai e im-piegati

    Clausola 2 Va dal coefficiente 225 al 360 Riguarda agents de maitrise e tecnici

    Clausola 3 Va dal coefficiente 350 all’880. Riguarda ingegneri e quadri

    Se in teoria il passaggio da una clausola a quella superiore non pone problemi,nella prassi della politica del lavoro seguita dalle imprese il confine tra le clausoleè del tutto reale.

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    attuale non sono ben delineate. Questoproblema non riguarda tanto i tecnici piùanziani (dai 40 anni in su) che sono sod-disfatti della recente promozione dopo piùdi 15 o 20 anni di esercizio dell’attività dioperatore in configurazioni tecniche no-tevolmente trasformate dall’informatizza-zione. Tocca invece direttamente i tecni-ci più giovani che hanno acquisito lostatus di “tecnici di gestione” dopo 5-7anni circa di attività come operatori, easpirano a un avanzamento di carriera percompensare l’aumento di padronanza delprocesso a cui hanno preso parte con glioperatori e i responsabili di altre funzioni.