Food: in arrivo le "Cucine da Incubo" dello Chef Cannavacciuolo

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iù di un metro e 90 di altezza, Antonino Cannavacciuolo sem- bra la versione ringiovanita di Bud Spencer. Lo chef, napole- tano verace, oltre alla stazza ha anche il vocione dell’attore e basta uno sguardo (ma visto il fisico, passerebbe la voglia comunque) per capire che non ama trop- po essere contraddetto. Forse sarà anche perché possiede simile physique du rôle che è stato scelto come protagonista di Cucine da incubo Italia (dall’8 maggio su FoxLife, canale 114 di Sky), versione nostrana del celebre Kitchen Nightmares dello chef scozzese Gordon Ramsay, il format Tv che vede il cuoco- guru riportare ordine nei peggiori ristoranti americani e inglesi. Incontria- mo Cannavacciuolo nel backstage dello spot del programma, mentre si sottopone con pazienza a ore di attesa per recitare le sue battute. Ci accoglie con un enor- me, minaccioso coltello in mano: «È per esigenze di copione», spiega serio serio. Scusi, ma lei si ispira a Gordon Ramsay? «Ho solo visto qualche puntata del format americano. Gordon è Gordon, io sono io. E poi in Tv l’ho visto meglio nei panni di attore che in quelli di chef. Io faccio sul serio, quando mi arrabbio». Beh, anche Ramsay non scherza. Che dif- ferenze ci saranno rispetto all’edizione americana? «Moltissime. Prima di tutto in Italia non ho trovato la sporcizia che si vede nei risto- ranti americani: niente topi o vermi, per intenderci. A salvarci ci sono i frequenti controlli di Asl e Nas. E poi la cucina ita- liana vola molto più alto: a differenza del format americano io cucinerò molto, così i telespettatori potranno imparare anche delle ricette. Nella versione con Ramsay i passaggi sul cibo sono molto più sfumati e veloci. E del resto la cucina americana non mi rispecchia: io voglio valorizzare gli ingredienti senza coprire con intingo- li e salse. Bisogna capire che cosa si sta mangiando». Come si intuisce, da clienti, che si è capi- tati in una «cucina da incubo»? «Fate attenzione al numero dei piatti in menu. Se un ristorante, dove paghi in me- dia 30 euro, ha nella carta 50 piatti a base di gamberi, vuol dire che la qualità ne ri- sente. E poi badate alle facce dei camerie- ri: se sono tristi è perché ricevono molte critiche dai clienti o non sono convinti di quello che stanno servendo». Quali sono gli errori più frequenti dei risto- ratori che provvede a «raddrizzare»? «La lunghezza della carta, appunto. I più giovani, soprattutto, pensano che più la loro lista è lunga, più è prestigiosa. Per me sono meglio 10 piatti, ma fatti bene. Lo ripeto sempre: “La gente si deve ricordare e deve parlare della vostra amatriciana e del vostro branzino. Del fatto che solo voi li fate così buoni”. Poi è meglio variare il menu ogni dieci giorni, rispettando la stagionalità e per non annoiare la clientela abituale. E bisogna abituarsi a fare squa- dra: una volta un cuoco, per giustificarsi IL CONIGLIO OFFENDE CUOCHI ALLA FRUSTA DI SARA TIENI

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Lo Chef stellato Antonino Cannavacciuolo ha girato l'Italia per raccontare in tv le "Cucine da Incubo"...

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iù di un metro e 90 di altezza,

Antonino Cannavacciuolo sem-

bra la versione ringiovanita di

Bud Spencer. Lo chef, napole-

tano verace, oltre alla stazza ha anche il

vocione dell’attore e basta uno sguardo

(ma visto il fisico, passerebbe la voglia

comunque) per capire che non ama trop-

po essere contraddetto.

Forse sarà anche perché possiede simile

physique du rôle che è stato scelto come

protagonista di Cucine da incubo Italia

(dall’8 maggio su FoxLife, canale 114

di Sky), versione nostrana del celebre

Kitchen Nightmares dello chef scozzese

Gordon Ramsay, il format Tv che vede il

cuoco- guru riportare ordine nei peggiori

ristoranti americani e inglesi. Incontria-

mo Cannavacciuolo nel backstage dello

spot del programma, mentre si sottopone

con pazienza a ore di attesa per recitare

le sue battute. Ci accoglie con un enor-

me, minaccioso coltello in mano: «È per

esigenze di copione», spiega serio serio.

Scusi, ma lei si ispira a Gordon Ramsay?«Ho solo visto qualche puntata del format

americano. Gordon è Gordon, io sono io.

E poi in Tv l’ho visto meglio nei panni di

attore che in quelli di chef. Io faccio sul

serio, quando mi arrabbio».

Beh, anche Ramsay non scherza. Che dif-ferenze ci saranno rispetto all’edizione americana?«Moltissime. Prima di tutto in Italia non

ho trovato la sporcizia che si vede nei risto-

ranti americani: niente topi o vermi, per

intenderci. A salvarci ci sono i frequenti

controlli di Asl e Nas. E poi la cucina ita-

liana vola molto più alto: a differenza del

format americano io cucinerò molto, così

i telespettatori potranno imparare anche

delle ricette. Nella versione con Ramsay i

passaggi sul cibo sono molto più sfumati

e veloci. E del resto la cucina americana

non mi rispecchia: io voglio valorizzare

gli ingredienti senza coprire con intingo-

li e salse. Bisogna capire che cosa si sta

mangiando».

Come si intuisce, da clienti, che si è capi-tati in una «cucina da incubo»?«Fate attenzione al numero dei piatti in

menu. Se un ristorante, dove paghi in me-

dia 30 euro, ha nella carta 50 piatti a base

di gamberi, vuol dire che la qualità ne ri-

sente. E poi badate alle facce dei camerie-

ri: se sono tristi è perché ricevono molte

critiche dai clienti o non sono convinti di

quello che stanno servendo».

Quali sono gli errori più frequenti dei risto-ratori che provvede a «raddrizzare»?«La lunghezza della carta, appunto. I più

giovani, soprattutto, pensano che più la

loro lista è lunga, più è prestigiosa. Per me

sono meglio 10 piatti, ma fatti bene. Lo

ripeto sempre: “La gente si deve ricordare

e deve parlare della vostra amatriciana e

del vostro branzino. Del fatto che solo voi

li fate così buoni”. Poi è meglio variare

il menu ogni dieci giorni, rispettando la

stagionalità e per non annoiare la clientela

abituale. E bisogna abituarsi a fare squa-

dra: una volta un cuoco, per giustificarsi

IL CONIGLIO OFFENDECUOCHI ALLA FRUSTA

DI SARA TIENI

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gestione del ristorante del Claridge’s Ho-tel a Londra: secondo gli addetti ai lavori, è quasi una tragedia.«Quando si hanno così tante attività bi-

sogna avere degli ottimi “secondi”: forse

qualcuno dei suoi non è stato all’altezza.

Io ho registrato Cucine da incubo durante

i due mesi e mezzo di chiusura del mio ri-

storante e qualche anno fa ho rinunciato

persino a una proposta di Maradona per

non abbandonare le mie aziende».

Maradona?«Dopo essere venuto ospite da me, mi

disse che, se l’avessero fatto allenatore

dell’Argentina, mi avrebbe voluto con sé

a seguire la Nazionale. Quando accadde,

nel 2008, non ebbi il coraggio di richia-

marlo: non potevo abbandonare le mie

aziende, con me lavorano 50 persone».

Inviterebbe Ramsay nella sua cucina?«Certo, e mi impegnerei con tutto me stes-

so. Ho grande stima di lui: può risultare

antipatico, ma è una “macchina da guer-

ra”. Avrei solo qualche problema sul cal-

cio: io tifo Napoli, lui i Rangers e l’Inter,

ca nun c’è storia».

di una pessima serata, ha dato la colpa

ai camerieri. Mi sono arrabbiato moltis-

simo: la cucina è lavoro di squadra. Ma-

radona non sarebbe stato nessuno se non

avesse avuto dei compagni di squadra che

gli passavano la palla, così come io ho una

testa per dirigere una cucina come un’or-

chestra, ma non cento mani».

Gli «incubi» più incredibili?«Ho trovato olio usato anche per una set-

timana o dieci giorni. Carne e pesce che

puzzavano. E una volta un coniglio mi ha

fatto veramente incazzare…».

Prego?«Mi hanno servito della carne di coniglio

che “friggeva” in bocca, tanto era acida.

Mi è salito un rancore così forte che ho

sputato nel piatto. Mi sono sentito offeso.

Se rischi di far star male il cliente non hai

scusanti: ti devi solo mettere al muro e

chiedere ai tuoi commensali “frustatemi”.

Ti giochi la reputazione. Per sempre».

Nell’edizione americana molti chef e risto-ratori si oppongono ai metodi di Ramsay: ha rischiato «insurrezioni»?«Più che ribellioni, molte volte ho capito

che sparlavano di me: la cucina era molto

vicina alla sala e, mentre mangiavo, li sen-

tivo che commentavano pesantemente».

Come ha reagito?«Parlo in modo diretto, non mi invento

le cose per fare show. Solo con le parole,

grazie a sguardo e stazza, posso “inchio-

dare”. Ho fatto piangere qualcuno sì,

però mai senza un motivo. E se all’inizio

mi hanno dato anche del “bastardo”, poi

qualche soddisfazione me la sono presa.

È capitato che chiedessero alla produzio-

ne: “Ma perché non ce lo lasciate un’altra

settimana?”. Io ti prendo anche a schiaf-

fi, moralmente parlando, per motivarti.

Ma poi ti ricompenso con tutta la mia

umanità».

È già tornato a mangiare in qualche risto-rante tra quelli che ha visitato?«No, ma senza che neanche il canale lo

sapesse, ho mandato in un paio di posti

i miei suoceri a vedere come andavano le

cose e che cosa pensavano di me. Mi han-

no fatto una vera e propria recensione (e

IL VETERANO

IL DEBUTTANTE

la mostra sull’iPhone, ndr) di quello che

andava o meno».

Vista la nostra mentalità sul cibo, non c’è il rischio che nei ristoranti che lei ha provato non ci vada più nessuno?«No, proprio perché ci sono stato io, que-

sto è il momento perfetto per andare in

quei ristoranti».

Lo chef è anche imprenditore?«Oggi tra tasse e spese, per guadagnare

con la cucina devi essere imprenditoriale

per forza, anche se hai solo una piccola

trattoria».

Adesso come va con la crisi?«C’è, ma la gente non ha smesso di usci-

re, solo preferisce farlo meno e andare sul

sicuro. A Capodanno ho mandato via 60

persone per overbooking».

Dopo dieci anni Ramsay ha perso la

«CUOCHI, LA GENTE DEVE PARLARE DELLA

VOSTRA AMATRICIANA»

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