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Il fenomeno deglI uomInI-bomba:elementI per una prIma analIsI

psIcologIca

Francesco Bruno

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Distributed under license Creative CommonsPrima Edizione, Novembre 2011

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EditorialeDa anni parliamo della comunicazione e di una società costruita attorno alla comunicazione.

“In pochi vivono dentro la comunicazione.”

Vivere dentro la comunicazione significa pensare per connessioni, imparare dai problemi, sviluppare e formalizzare il pensiero. Vivere nella comunicazione significa avere un progetto didascalico.

Nel corso degli ultimi anni lo sviluppo dell’informatica e della telematica ha aperto una nuova dimensione alla comunicazione visiva e alla fruizione dei testi: quella dell’interazione cibernetica mediata da oggetti grafici.

Tutto cambia: cambiano gli artifici visivi, la interazione relazionale; cambiano i tempi, gli spazi, i processi di significazione, la partecipazione, le sensazioni, le riflessioni; cambia la politica, l’economia, la progettazione, la programmazione, i linguaggi; cambiano gli stimoli percettivi, in dispositivi semiotici, gli oggetti d’uso; cambia infine la scrittura in un lessico fatto prevalentemente di interfacce grafiche, iconiche, da quando cursori e pulsanti hanno sostituito penne e calamai popolando ormai il nostro spazio operativo di nuove funzioni Touch Screen. Ormai siamo definitivamente nella comunicazione, dentro la florida e incessante dinamica della ipermedialità.

Ma non cambiamo noi. Cambiano molto più lentamente le nostre capacità cognitive e culturali. Apprendiamo con le vecchie metodologie, le scuole e le università continuano ad ignorare i processi di apprendimento nuovi della società della comunicazione. Tra la vita scolastica istituzionale, pubblica e privata, e i processi di apprendimento della società della comunicazione c’è un vuoto in cui crollano quasi tutte le professioni.

Il Glocal University Network ha la grande ambizione di coprire quel vuoto, di entrare nella comunicazione globale con una serie di strutture universitarie locali, organizzate in sintonia con la multimedialità della nuova didattica.

Liliana Montereale

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Il criminologo Francesco Bruno svolge un’intensa attività mediatica; vive a Roma, è Docente di Criminologia e di Psicopatologia Forense in varie sedi universitarie ed è straordinario di Pedagogia Sociale presso l'Università di Salerno. Oggi dirige la sua attenzione, soprattutto su tematiche politiche, sociali, morali e di formazione per riproporre la centralità e la soggettività

dell'uomo che la società attuale delle nuove tecnologie dell’informazione e comunicazione sembra ridurre. lessandro Politi è un analista politico e strategico.

Dal 1979 al 1987 funzionario, e poi di direttore di sezione presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, dal 1980 è consulente scientifico presso le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e alla Comunità Economica Europea. Inoltre collabora con vari ministeri per lo studio delle droghe.

Nel 1987 diventa professore di criminologia e medicina forense a La Sapienza, negli anni '90 collabora nuovamente con vari ministeri contro la criminalità mafiosa e la lotta alla droga. Ha collaborato inoltre a vari programmi televisivi dedicati a serial killer, tra cui "Delitti", "Porta a Porta" e "Maurizio Costanzo Show".

profIlo bIografIco

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“Quando una ragazza di 17 anni arriva al punto di farsi saltare in aria e uccide

con sé una coetanea israeliana, è il futuro stesso a morire”

Gorge W. Bush parlando di Ayat al Akras la ragazza palestinese che il 29 3

2002 si è fatta saltare in aria uccidendo la coetanea israeliana Rachel Levy.

Il fenomeno degli uomini bomba palestinesi è assolutamente inquietante, infatti anche se nella storia già si conoscevano situazioni in cui delle persone, in particolare soldati, si lasciavano morire, dando al loro suicidio un significato di aggressione al nemico e diventando essi stessi strumenti di morte, è la prima volta che questa condotta si esprime con tanta frequenza e soprattutto

Il fenomeno degli uomini-bomba:Elementi per una prima analisi

psicologica

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coinvolge anche donne, adolescenti ed addirittura bambini. Abbiamo voluto approfondire lo studio di questo fenomeno per valutarne gli aspetti psicologici e soprattutto per capire se esiste una possibilità di prevenzione.

I dati a nostra disposizione non sono molti, tuttavia da tutti quelli che abbiamo potuto raccogliere e soprattutto dall’analisi delle valutazioni compiute da tutti coloro che se ne sono occupati, riteniamo di essere riusciti comunque a dare al problema almeno un’impostazione teorica.

Innanzitutto riteniamo sia importante conoscere le dimensioni del fenomeno: si tratta infatti di centinaia di persone che a cominciare dalla fine degli anni ’80 (inizio Intifada) fino ad oggi (seconda Intifada) si sono fatti saltare in aria per portare l’attacco omicida all’interno dello Stato di Israele.

Il fenomeno è in rapida espansione e negli ultimi due anni ha coinvolto una settantina di soggetti fra cui 5 donne e almeno 4 minorenni.

Grafico n. 1

Frequenza dei casi

137 8

4 4 2 04

36

58

0

10

20

30

40

50

60

numero

1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002

anni

Numero di uomini-bomba palestinesi nella prima e seconda intifada

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Tavola n. 1Ragazze-bomba

WAFA IDRIS , assistente medica, 26 anni, si è fatta esplodere il 27 gennaio nel centro di Gerusalemme, uccidendo una persona e ferendone 140.

MURA SHALUB, 15 anni con un coltello il 25 febbraio aggredisce un gruppo di soldati israeliani, ferendone alcuni e venendone uccisa.

AAYAT AL-AKHRAS, 17 anni, si è fatta esplodere il 29 marzo in un supermercato di Gerusalemme, uccidendo due persone.” Io combatterò al posto degli eserciti arabi che dormono e stanno a guardare le ragazze palestinesi che combattono da sole”

NIDAL DARAGHMA, apparteneva alle Al-AQSA, proveniva dal campo profughi di Jenin ove l’esercito Israeliano ha ucciso più di 250 persone.

DARIN ABU AISHE, studentessa di 21 anni, si è fatta saltare in aria il 27 febbraio a un posto di blocco vicino Gerusalemme ferendo tre poliziotti israeliani.

La storia di Ayat è esemplare perché dimostra un dato comune a quasi tutti gli uomini e le donne boma, ovvero il loro passaggio in un campo profughi e la sperimentazione diretta delle conseguenze più atroci della Guerra nella loro stessa famiglia e/o nelle loro amicizie.

Il fratello Samir fu imprigionato due volte per aver lanciato dei sassi contro l’ esercito israeliano, durante la seconda intifada egli fu ferito dalle truppe di Israele, tre cugini sono stati uccisi nella striscia di Gaza. Mahmud Mughrabi, un caro amico di famiglia e membro di Fatah, fu ucciso preparava una bomba da collocare in un insediamento israeliano la famiglia di Ayat appese un suo poster in casa e la madre di Ayat si vantava di aver costruito essa stessa la cornice.

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La sera dell’ 8 Marzo di quest’anno il loro vicino di casa Isa Zakari Faraj stava giocando con sua figlia con il Lego, quando fu ferito mortalmente perché attinto da un colpo di pistola sparato attraverso la finestra; Ayat e suo fratello Samir hanno provato a portarlo al più vicino ospedale, ma l’ uomo gli è morto tra le mani. A parte tali eventi biografici Ayat era una ragazza normale, innamorata, con progetti di studiare giornalismo e prossima alle nozze.

Tra i minorenni che non avevano ancora 14 anni tre palestinesi sono stati uccisi a Gaza dai soldati israeliani che presidiavano il perimetro della colonia ebraica di Netzarim dove i tre ragazzini volevano penetrare. In un loro resoconto hanno detto di aver aperto il fuoco dopo aver scorto tre sagome strisciare sul terreno e cercare di superare la recinzione in filo spinato. Accanto ai corpi sono stati trovati una carica di esplosivo di produzione artigianale, una bomba a mano, quattro coltelli e una scure da boscaiolo.

Tavola n. 2Minorenni-bomba

Ismail Ajash era il più bravo del corso numero 9 della scuola Salah Eddin, da grande voleva fare l'ingegnere, « il «piccolo martire», prima di farsi uccidere sotto il filo spinato di Nezarim, ha lasciato una lettera ai genitori. «Mi sacrifico in nome di Dio e del mio popolo»,

Youssef Zaqout, 14 anni uno degli aspiranti suicidi, aveva lasciato un biglietto nascosto tra i libri: ''Mamma, prega per me affinché la mia azione di martirio abbia successo''. II piccoli Youssef e Haithman erano amici: si incontravano spesso sotto casa, in viale Aljala, parlavano di libri, di internet e ogni tanto della guerra. Dieci giorni prima Haithman, 14 anni, non è rientrato; I soldati israeliani lo hanno ucciso mentre tentava di penetrare nella colonia ebraica di Dugit, al confine con la striscia di Gaza.

Anwar Anduna è il terzo dei ragazzi uccisi.

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Le immagini della tragedia di Jenin li avevano sconvolti tutti e tre.

La polizia palestinese, più recentemente avrebbe bloccato, nella striscia di Gaza, una ventina di minorenni rispedendoli a casa prima che si gettassero in braccio alla morte.

Gli uomini bomba hanno agito in quasi tutto il territorio di Israele ed in particolare nelle grandi città, a Gerusalemme e Tel Aviv. La maggior parte dei soggetti sono giovani e non superano i trenta anni, tuttavia alcuni di loro sono di età più matura e finanche padri di famiglia.

I dirigenti di Hamas e della Jihad hanno costituito cellule supersegrete per il reclutamento di giovani che potevano essere utilizzati come possibili candidati per missioni suicide. Questi uomini per la maggior parte erano non sposati e disoccupati, molti avevano raggiunto il livello della scuola superiore ma non avevano futuro. Per molti di loro veniva offerto un contributo di almeno 10.000 $ alle famiglie. Secondo Brian Jenkins il tipico kamikaze è oggi un giovane tra i 18 ed i 22 anni non particolarmente istruito, appartenente agli strati economici più disagiati della popolazione.

Secondo Hely Karmon un funzionario israeliano antiterrorismo “una bomba umana è come un missile autoguidato molto sofisticato, ma nessun sistema antimissile, anche al costo di miliardi di dollari può fermarlo”.

Ma che cosa succede nella mente di chi fa una scelta così tragica come quella di distruggere la propria vita e quella di decine, centinaia se non addirittura, come nel caso degli attentati dell’11 settembre a New York e Washington, migliaia di persone innocenti?

Secondo lo psicologo inglese Andrew Silke dell’Università di Leicester “Non si tratta di individui mentalmente anormali, non sono psicopatici o psicotici, né è stato fatto loro il lavaggio del cervello”. “Né i kamikaze né i terroristi islamici sono pazzi” “Sono semplicemente arrabbiati, disperati e fermamente decisi”.

Ai kamikaze giapponesi si diceva che le loro anime avrebbero trovato posto nel tempio sacro di Yasukuni. Ai volontari islamici, oggi, si racconta che si risveglieranno in paradiso, circondati da 72 vergini disposte a soddisfare ogni loro desiderio.

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Negli ultimi tempi la Bbc ha riferito che la Jihad islamica avrebbe aperto una “scuola estiva” per martiri, dove si insegna a ragazzi tra 12 e 15 anni non solo che è bene uccidere, ma anche che è bene morire.

La disperazione, è quasi sempre una delle cause di atti così terribili.

I giapponesi, non a caso, decisero di ricorrere alla tattica dei kamikaze solo quando diventò chiaro che stavano perdendo la guerra. E la disperazione creata dalle campagne militari contro popoli musulmani in Bosnia, Albania, Cecenia, Iraq e in Palestina potrebbe spiegare perché in molti Paesi islamici il terrorismo suicida possa essere considerato un sistema di difesa praticabile, nonostante il Corano affermi che chi si toglie la vita finisce all’inferno.

Secondo Massimo Polidoro, che ne parla in un recente articolo,(Focus, Nov. 2001), analizzando tutti i casi storici in cui ha fatto la sua comparsa la figura del guerriero suicida, si potrebbero identificare essenzialmente 3 tipologie di kamikaze.

Tavola n.3Tipologia dei Kamikaze (M. Polidoro)

1. In nome di una sopravvivenza superiore.

E’ il caso dei kamikaze giapponesi, ma anche quello espresso dal fanatismo islamico: il guerriero è disposto a morire per garantire la sopravvivenza alla sua nazione o alla sua fede religiosa: un valore considerato più “alto” della vita. Spesso c’è anche la promessa di una ricompensa divina in una vita futura.

2. In nome di un’autorità superiore.

Il suicida è plagiato da una figura carismatica (per esempio il Vecchio della montagna): viene convinto che l’obbedienza agli ordini è un valore superiore alla vita stessa. Con lo stesso meccanismo psicologico si possono spiegare anche alcune atrocità compiute dalle forze armate di regimi dittatoriali. Spesso, per tacitare l’istinto di sopravvivenza, chi “obbedisce” fa ricorso a droghe.

3. In nome di un principio morale superiore.

E’ il caso dei samurai che si suicidano per difendere l’onore, o di chi si dà fuoco per protestare contro l’autorità. Ma anche quello dei guerrieri, come i “dog soldiers”, che si votano al combattimento estremo: non necessariamente vogliono morire, ma sono disposti a farlo. E’ un atteggiamento che si può sviluppare solo in presenza di un rigido codice morale.

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Abbiamo passato in rassegna le teorie e le ricerche eseguite sui terroristi, nonché le scarse considerazioni svolte dai principali osservatori del fenomeno per renderci conto che non esistono particolari patologie di mente in loro, a parte, forse, una leggera tendenza alla paranoia che viene fortemente aumentata dall’ educazione e dalle esperienze di vita (Brian Jenkins).

Tra le principali teorie interpretative del terrorismo si possono citare:

La prima che potremmo definire di tipo psicologico-sociale è stata da noi chiamata “della guerra fantastica” e postula il verificarsi di una trasformazione psicologica dell’individuo il quale, viene a trovarsi come un soldato che combatte una guerra disperata e disperante, parziale e soltanto in parte reale. In questo caso vi è l’adozione unilaterale da parte di un gruppo più o meno numeroso di individui, di valori, norme e comportamenti di guerra nei confronti di un altro gruppo, allo scopo di risolvere con la forza un conflitto determinatosi tra i loro reciproci interessi. Tale guerra fantastica non è accettata, né riconosciuta da uno dei due gruppi, che tende viceversa a negarla come tale.

Una seconda teoria, sempre di tipo psicologico, postula la necessità di una identificazione negativa nel terrorista visto come eroe.

Tale identificazione in giovani particolarmente predisposti sarebbe l’ unica opzione che si presenta e che si sceglie perché altrimenti non se ne potrebbe realizzare alcuna diversa e il soggetto non riuscirebbe a realizzarsi come adulto.

Una terza teoria è di tipo socio-culturale ed a differenza delle altre, che tentano di spiegare perché una singola persona diventa terrorista, tenta di comprendere perché il terrorismo si diffonde a gruppi di individui.

Secondo tale concetto il fenomeno terroristico sarebbe parte della società in cui ha origine, tuttavia per l’adozione della violenza come strumento di lotta e per il capovolgimento dei principali valori, le relazioni intercorrenti tra la società ed il fenomeno non differirebbero di molto da quelli intercorrenti tra una cultura domina ed una sottocultura violenta.

I Kamikaze appaiono come un fenomeno ancora più complesso, quasi tutti hanno subito traumi gravi riguardanti la morte o il ferimento di persone a

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loro care e sono poi vissuti in un clima mistico-ideologico che ha sviluppato in loro, anche in considerazione di operazioni di controllo psicologico del loro comportamento e di pratici benefici per l’ intera famiglia, un forte senso d’ appartenenza e di dignità.

E’ proprio la perversione di tale sentimento che porta queste persone a identificarsi in un’ arma mortale ed a dare un senso alla propria vita solo attraverso la morte degli altri.

L’ oggettificazione in un’ arma diventa il modo di identificarsi e di riscattarsi dalla soggezione fisica e psicologica.

Molti considerano che la cultura del martirio è ispirata dal nazionalismo e sottesa dal fervore religioso.

Si può pensare che la personalità del soggetto suicida che trasforma il suo gesto in un’azione di guerra indiscriminata sia in qualche modo segnata da caratteristiche patologiche che ne fanno una personalità abnorme. Tra queste caratteristiche possono esserci il tipo borderline, quello schizoide, quello narcisistico, quello paranoide e fino anche quello istrionico.

Già per Lombroso la manifestazione del terrorismo da parte degli anarchici dell’800 doveva essere considerata come una variante abnorme del comportamento criminale. Per gli psicanalisti si può parlare di prevalenza dell’istinto di morte, o di meccanismo di proiezione e di identificazione paranoica del persecutore, causato spesso da un disturbato e conflittuale rapporto con la figura paterna.

Queste idee tuttavia non sembrano sufficienti a fornire una spiegazione psichiatrica del terrorismo. Ciò che invece ci sembra più utile nel campo della nosografia psichiatrica è, oggi come oggi, studiare i meccanismi dello stress e come gli eventi traumatici possono agire sulla personalità di base dell’individuo, in determinati contesti socioculturali e sotto determinati climi ambientali, per produrre risposte comportamentali abnormi fino al comportamento suicidiario degli uomini bomba.

Ci sembra evidente che il meccanismo dell’ identificazione personale sia importante soprattutto nelle età della formazione quali la preadolescenza, l’ adolescenza e la post adolescenza.

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Una dinamica interessata potrebbe essere la seguente:

Il soggetto sin dai primi mesi di vita è sottoposto ad una spinta genetica, interna, istintiva e forte verso la costruzione della propria identità intesa come “idem”, ovvero se stesso, medesimo, quindi uguale, se possibile, ad un modello esterno offerto prima dalla famiglia e poi dalla società. L’evoluzione avviene non solo per imitazione, ma anche grazie ad un meccanismo sostenuto da un sentimento forte che è il senso dell’ appartenenza, ovvero ciò che delimita e protegge dall’ altro che pure si vuole imitare. Insieme a questo agiscono poi meccanismi di punizione e gratificazione, di attrazione e repulsione etc.

Ciò che in definitiva consente il completamento del percorso verso il raggiungimento e la stabilizzazione dell’ identità è poi ciò che possiamo chiamare la Costruzione sociale della dignità intesa come qualità, condizione, grado di persona meritevole di rispetto ( dallo scand. “Tign”, ovvero: merito, decente, decoro. Dal lat. “dicere, docere”, ovvero: conveniente, eccellente meritevole di..)

• Identificazione primaria ( padre, madre, famiglia)

• Identificazione secondaria (gruppo dei pari, eroi, miti)

• Identificazione razionale (religiosa, ideologica, militare, politica, lavorativa)

• Identificazione personale (propria famiglia, proprio ambiente, produzione sociale, successo)

Il terrorismo si serve di categorie normative che si riferiscono a modelli della realtà finalizzati alla regolazione ed al controllo della vita socializzata, mentre questo fenomeno sembra affondare le sue radici direttamente nella realtà naturale della vita dell’uomo.

In altri termini si potrebbe teoricamente sostenere che il terrorismo sia nato ancor prima della criminalità. Mentre infatti perché esista un comportamento criminale è necessaria l’esistenza di una norma che in qualche modo definisca ciò che è legale e ciò che non lo è, perché si manifesti il terrore non è necessaria l’esistenza di alcuna norma, anzi è proprio sulla capacità di incutere terrore

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che, secondo alcune correnti di pensiero (vedi per tutti H.M. Enzensberger), si fonda il potere come una delle condizioni della sovranità da cui a sua volta promana la legge

E evidente a questo punto che il problema definitorio del terrorismo può essere affrontato a due diversi livelli.

Ad un primo livello si può dire che il terrorismo è una modalità primitiva di comportamento umano che produce potere attraverso la manifestazione diretta o indiretta della capacità di violenza.

Ad un secondo livello si può dire che il terrorismo è uno strumento di cui gli uomini possono servirsi per influenzare, attraverso un uso economico della violenza nella direzione prescelta e per effetti diversi, il comportamento di altri uomini.

Mentre il terrorismo del primo livello sembra produrre la storia, il terrorismo del secondo livello sembra prodotto da essa, nel senso che, esso si manifesta in situazioni storiche determinate e con finalità che possono essere diverse (ideologiche, religiose, nazionalistiche, criminali, politiche, sociali etc. etc.).

Secondo molti osservatori in nessuna cultura non c’è nulla di naturale nell’uccidere se stessi.

In quelli che hanno compiuto suicidi di guerra la motivazione più forte sembra essere la protezione della patria, della casa e della terra. Ciò appare vero sia per i giapponesi che per i guerriglieri Tamil che negli ultimi 25 anni hanno portato a termine più di 170 attacchi suicidi.

Secondo A. Koestler (1969) “Una delle caratteristiche principali della condizione umana è questa suprema esigenza e bisogno di identificarsi con un gruppo sociale e/o con un sistema di credenze che è indifferente alla ragione, indifferente all’interesse dell’individuo ed anche all’istinto di autoconservazione … siamo così portati alla conclusione, che contrasta con quella dominante, che il problema della nostra specie non deriva da un eccesso di aggressività per autodifesa, ma da un eccesso di devozione trascendentale”.

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Secondo Rita Levi Montalcini “La disparità tra le facoltà intellettuali dell’uomo e la sua condotta irrazionale ed emotiva è purtroppo dolorosamente in continuo crescendo se si paragona da una parte, l’esponenziale curva di crescita delle capacità cognitive e distruttive, dall’altra quella statica della condotta emotiva”.

Per il premio Nobel il ventunesimo secolo, oltre all’esplosione di gravi epidemie letali come l’AIDS, vede anche l’espandersi di una nuova grave sindrome che lei definisce “martiriomania” che si trasmette attraverso il linguaggio.

La grande biologa si chiede come si possa bloccare nell’uomo questo comportamento che deriverebbe a suo giudizio da un tratto umano perverso profondamente radicato nell’uomo sin dalle epoche più remote e non sufficientemente controllato da meccanismi inibitori efficienti.

Responsabili della degenerazione sarebbero i sistemi etico-sociali ai quali l’individuo viene esposto sin dall’infanzia soprattutto quelli legati da un’inscindibile appartenenza etnica e credenza ideologica e/o fideistica.I messaggi recepiti negli anni non ancora caratterizzati dalla maturità cerebrale, dall’infanzia all’adolescenza, assumono un ruolo importantissimo nel plasmare il comportamento dell’individuo adulto.

Solo la conoscenza, il bene primario più prezioso dell’uomo, può servire come antidoto e come prevenzione della “martiriomania” e, per far questo, si può e si deve anche approfittare della globalizzazione che vede oggi trasformarsi radicalmente il rapporto fra i singoli e gli Stati.

Al contrario il fenomeno degli uomini-bomba è già divenuto un videogioco reperibile su internet (Kaboom) che simula l'attacco di una «bomba-umana» in un affollata strada cittadina. Nella pagina di apertura del gioco appare l'immagine del presidente palestinese Yasser Arafat.

Con il cursore è quindi possibile indirizzare il kamikaze verso le zone maggiormente affollate della via. Premendo un tasto del mouse il terrorista apre la camicia e attiva il proprio corpetto esplosivo con gli effetti che si

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possono facilmente immaginare. Si tratta sicuramente di una conseguenza del fenomeno e dimostra quanto si tenda ad esorcizzare la paura che esso produce, tuttavia ciò è anche il segno di una tendenza ad assorbire nel normale e nella consuetudine della realtà ciò che dovrebbe, invece, per educazione, esserne espulso dalla ragione e ciò ci preoccupa gravemente.

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