Foglio periodico culturale Unione Sindacale Territoriale ... · Felice Sirtori 18 giugno 2012 n°2...
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Verso il sindacato di Montagna
cambiamenti
Sommario:
Rubrica “Il tempo della
cicala”. Fausto Gusmeroli
2-3
La scuola che verrà. Filippo Maiorana
4-5
Per un sindacato di
montagna. Ivan Fassin
6-8
Pensare come le
montagne. Luigi Pentimone
9
Il bosco, risorsa da
valorizzare. Cristiano Mazzucotelli
10
Primavera sulle alpi. Mirko Dolzadelli
11
Cambia il lavoro,
cambia il sindacato. Valerio Delle Grave
12-13
La scuola che verrà (forse) di Filippo Maiorana
È difficile fare previsioni. Provate a prestare attenzione al “meteo” e vi accorgerete che
più che dirvi il tempo che ci sarà domani sciorina particolari sul tempo di oggi e solo
qualche accenno incerto su quello che sarà.
Così è, soprattutto oggi, anche per la scuola:.……………………………continua a pag. 4
Per un sindacato di montagna di Ivan Fassin
Molti si chiedono che cosa sia questa formula del “sindacato di montagna” che abbiamo
cominciato ad usare un po‟ avventurosamente nella nostra realtà provinciale, per afferma-
re una identità specifica ed una volontà di autonomia dentro una visione „federalista‟ del
Sindacato. E in un contesto territoriale che dovrebbe evolvere verso forme di autentica
autonomia amministrativa. Ora deve essere ben chiaro che non si tratta di una idea uscita
completa da qualche testa, ma di una proposta o, se si preferisce, di una provocazione, che
mira a suscitare energie creative nel corpo dell‟organizzazione...............continua a pag. 6
Cambiare il lavoro
pubblico. Marco Contessa
14-15
Primavera sulle alpi di Mirko Dolzadelli
“l' autunno perde le vecchie idee si spoglia dal fardello dei retaggi per consentire poi una
libera e misurata riflessione sotto le nevi invernali.
Per troppe stagioni abbiamo ignorato l' insegnamento della natura continuando il nostro
lavoro come se nulla dovesse mai cambiare.
É ora di primavera, apertura al cambiamento senza nostalgie inutili, voglia d‟ innovare
mantenendo salde le radici dei vecchi valori “…………………………continua a pag. 11
La crisi attuale, vista
da un monastero. Don Paolo Trussoni
16
Il dentista di famiglia. Carlo Marchetti
17
Vero cambiamento o
solito camuffamento. Felice Sirtori
18
giugno 2012 n°2
Foglio periodico culturale Unione Sindacale Territoriale CISL Sondrio
GAS grupp.i acquisto
solidale. Daniela Viori
19
Pagina 2
cambiamenti
NOTIZIARIO SINDACALE CISL - Unione Sindacale Territoriale di Sondrio ANNO 2012 N° 2
ADERENTE ALLA CONFEDERAZIONE ITALIANA SINDACATI LAVORATORI - Bollettino di informazione sindacale - edito dalla CISL UST SONDRIO - 23100 Sondrio - Via Bonfadini,1 Tel:0342-527811 - Direttore: Daniele Tavasci - Direttore responsabile Ivan Fassin - Autorizzazione tribunale di Sondrio n°127 - SO – Stampa: Tipografia Bettini, via Spagna, 3 Sondrio tel: 0342-212007
Se vuoi ricevere “Cambiamenti” in formato elettronico, invia una mail
all‟indirizzo:[email protected]
inoltre lo puoi consultare e/o scaricare in formato elettronico sui siti:
www.cislsondrio.it/
www.fimsondrio.it http://sondrio.cislscuolalombardia.it
Il tempo della cicala! -non più il tempo della crescita, ma del limite-
Rubrica tenuta da Fausto Gusmeroli
Nel personaggio della formica della favola di La Fon-
taine, da cui trae spunto la rubrica, si possono ricono-
scere alcuni tratti propri del modello di sviluppo capi-
talista, specialmente nella sua espressione estrema neo
-libersita o turbo-capitalista. Uno di questi tratti è il
pragmatismo orientato all‟accumulo di beni, nel caso
della formica di scorte con cui fronteggiare la stagione
invernale. La cicala, invece, utilizza il tempo e le ener-
gie per prendere il sole e cantare, attività che agli oc-
chi della previdente e laboriosa formica paiono vane e
fini a sé stesse.
Abbbiamo a che fare con due modi di vivere diame-
tralmente opposti, l‟uno centrato sull‟aspetto materia-
le, l‟altro su quello spirituale. Queste due modalità
attraversano tutte le organizzazioni sociali e i loro ar-
chetipi antropologici, di qualsiasi epoca storica, con
però differenti accentuazioni e sensibilità.
Le comunità del paleolitico, quelle dei cacciatori-
raccoglitori, privilegiavano senz‟altro la visione della
cicala. Il lavoro occupava non più di venti-trenta ore la
settimana e non in modo continuativo, lasciando mol-
tissimo tempo libero per attività sociali e ricreative.
Era finalizzato, inoltre, al soddisfacimento dei bisogni
essenziali e immediati; non veniva accumulato nulla,
sia perché il nomadismo imposto dalla ricerca del cibo
negli ecosistemi obbligava a essere pronti e leggeri
negli spostamenti, sia perché un forte senso comunita-
rio, uno spirito altruista e un sostanziale egualitarismo
erano assicurazioni sul futuro ben più solide del posse-
dere. È interessante rilevare come nel vocabolario di
questi popoli non esistesse la parola “sviluppo”.
Nella società occidentale moderna è invece la modali-
tà della formica a prevalere. L‟accumulare è qui anzi-
tutto una componente del costrutto mentale delle per-
sone, esito tanto di modelli educativi che interpretano
la vita come una crescita, un‟espansione, quanto di un
contesto sociale individualista e insicuro, che spinge
l‟individuo a costruirsi proprie garanzie per il doma-
ni. Non è difficile smascherare in ciò debolezze e fal-
sità: la vita è senz‟altro un‟espansione, una vittoria
sull‟entropia nel linguaggio termodinamico, ma solo
temporaneamente, avendo come inevitabile sbocco il
disfacimento; le garanzie sul futuro, come ben sape-
vano i nostri antenati, non stanno esattamente nel pos-
sedere cose, ma piuttosto nell‟appartenere a comunità
solidali e amichevoli, nel sostegno di relazioni inter-
personali profonde, nella conservazione di un am-
biente salubre e bello, nella protezione da minacce e
catastrofi.
Pagina 3
Cambiamenti
“Quando sentiremo l‟ultimo avviso del
„Si chiude‟, solo allora il terrore, come molla,
ci butterà in piedi al grido di
„Vogliamo campare!‟. Eh no: è troppo tardi,
coglioni!” Dario Fo in “L‟apocalisse rimandata,
benvenuta catastrofe”
Ancor più che del sentire comune, l‟accumulare è oggi
fondamento del sistema economico. Senza accumulo non
vi possono essere capitali da reinvestire per migliorare
l‟azienda, la sua capacità competitiva e il suo giro
d‟affari, in definitiva per rimanere sul mercato e non fal-
lire. Si genera così il meccanismo perverso della crescita,
una sorta di condanna, come l‟ha definito qualcuno. Sen-
za sviluppo il sistema implode e allora gli economisti
hanno, giustamente, il terrore della stagnazione. Divisi
un po‟ su tutto, essi si ritrovano nell‟imperativo della
crescita. Loretta Napoleoni in Economia canaglia scrive
che “Il moderno capitalismo e il suo opposto, il marxi-
smo, hanno un identico cuore: lo sfruttamento ad infini-
tum delle risorse, per produrre una crescita economica
altrettanto infinita. Ma da Smith a Marx, da Keynes a
Friedman, tutti analizzano un mondo che non esiste, un
pianeta che possiede risorse illimitate”.
Il problema, dunque, è che una crescita illimitata
non è possibile. La cosa è talmente palese da risultare
comprensibile anche a un bambino, eppure è ostinata-
mente negata: collettivamente, da un immaginario di idee
e consuetudini assunte come dogmi; individualmente, da
un disturbo conosciuto nella scienza psicologica come
“dissonanza cognitiva” (l‟essere convinti di qualcosa,
ma agire nella maniera opposta). I dati in nostro possesso
dimostrano che si sono già ampiamente superate le capa-
cità del pianeta. Secondo il Global Footprint Network,
un‟organizzazione collegata con università, istituti di
ricerca, associazioni e agenzie governative di molti paesi
del mondo, il 27 settembre si è “celebrato” l‟overshoot
day (il giorno del superamento) dell’anno 2011. In nove
mesi l‟umanità ha consumato tutte le risorse che la bio-
sfera è in grado di generare in un anno e ha immesso
nell‟ambiente una quantità di scarti superiore alle sue
capacità di assorbimento. È come se avendo un deposito
in banca non ci si fosse limitati ad attingere agli interessi
maturati, ma si fosse intaccato il capitale: nel tempo que-
sto andrà a esaurirsi rapidamente, seguendo una dinami-
ca regressiva esponenziale.
L’overshoot day viene calcolato sull‟impronta
ecologica, un indicatore che misura l'area biologica-
mente produttiva di mare e di terra necessaria a rige-
nerare le risorse consumate e metabolizzare i rifiuti. A
fronte di una disponibilità di 1,8 ettari per abitante,
l‟umanità ha oggi un‟impronta superiore a 2,5 ettari,
oltretutto in continuo aumento. Stiamo vivendo sopra
le possibilità biologiche della Terra, come se avessimo
a disposizione non uno, ma un pianeta e mezzo! Stia-
mo sacrificando il futuro al presente, rubando ai nostri
figli la vita.
La bramosia accumulatoria non si limita, per
altro, a impattare sull‟ambiente, ma produce anche
disparità nell‟uso delle risorse. Nella teoria economica
classica, le disuguaglianze sono considerate funziona-
li, in quanto fonte di competizione “posizionale”. La
disparità, in altri termini, è un esito desiderato e inelu-
dibile, che oggi assume dimensioni abnormi: l‟80%
dell‟umanità detiene meno di un quinto della ricchezza
totale del pianeta e la metà di questa è nelle mani del
2% della popolazione più agiata. Il benessere materia-
le dell‟occidente, largamente sproporzionato rispetto
ai bisogni essenziali delle persone, si sedimenta sulla
povertà della gran parte dell‟umanità.
Il ritorno al senso del limite, che è poi il senso
della vita, costituisce allora oggi la prima, seppur non
sufficiente, condizione per una convivenza pacifica tra
ed entro le nazioni, per un nuovo e rispettoso rapporto
con la natura, forse per la conservazione stessa della
specie umana o, quantomeno, di moltissime vite. Non
si tratta semplicemente di ridurre i consumi (una cre-
scita negativa), perché dentro un sistema ancora votato
all‟espansione tale esperienza sarebbe sconvolgente e
ricadrebbe per l‟ennesima volta sulle fasce più deboli
della società. Occorre uscire dall‟ideologia della cre-
scita per entrare, almeno nell‟opulento mondo occi-
dentale, nella prospettiva della decrescita (o
dell‟abbondanza frugale, come titola in un suo libro
Serge Latouche, preoccupato dell‟impatto troppo forte
o delle ambiguità che potrebbe avere il termine decre-
scita!). Ciò non significa rinuncia, deprivazione, po-
vertà o sublimazione del pauperismo. Si parte certa-
mente dal fissare limiti chiari e invalicabili nell‟uso
delle risorse materiali e nell‟impronta ecologica degli
individui e dei paesi, ma dentro un percorso di libera-
zione dai bisogni inutili e di riconoscimento dei biso-
gni più autentici della persona, di revisione profonda
dell‟immaginario culturale, degli stili di vita e di tutto
il modello di sviluppo. Concretamente significa pro-
durre non per il profitto e dove conviene di più, ma
solo quello che serve e dove serve, dando spazio a
forme di economia eque, sobrie e solidali, affrancate
dal consumismo e dal profitto.
………Segue dalla prima pagina
quando ci si chiede che scuola verrà siamo tutti
pronti a descrivere come la vogliamo oggi e le tan-
te variabili che possiamo considerare (dalla crisi
all‟incertezza sul futuro, dall‟attenzione agli aspetti
tecnici più che alla mission istituzionale, …) ren-
dono assai difficile pensieri, progetti e previsioni
nuove. La vision cede il passo ad un linguaggio
sempre meno della società e di tutti, per diventare
quello specialistico dei soli addetti ai lavori. Eppu-
re i temi dell‟emergenza educativa e del collega-
mento tra scuola e mercato del lavoro, che conten-
gono le questioni concrete ed importanti del reclu-
tamento del personale, dell‟organico e delle risorse
funzionali al piano dell‟offerta formativa, del di-
mensionamento scolastico, impongono un abbrac-
cio corale intorno alla scuola e di riavviare insie-
me, nel territorio, una riflessione sulla scuola. Nel-
la scuola c‟è il futuro della nostra società ed oggi
siamo di fronte ad alcune scelte cruciali che deci-
deranno del nostro futuro. Dalla esasperazione del
mondo degli insegnanti, dalla forte demotivazione
degli studenti e delle loro famiglie si esce solo at-
traverso il coraggio di nuove scelte di investimento
per una scuola che vogliamo continuare a vedere
come istituzione dedicata allo sviluppo intellettuale
dei giovani. Proviamo a seguire qualche pista.
Nella nostra realtà regionale le operazioni di di-
mensionamento hanno portato ad una riorganizza-
zione delle scuole del primo ciclo (dell‟infanzia,
primarie e secondarie di 1° grado) in Istituti com-
prensivi. In provincia di Sondrio il dimensiona-
mento è stato effettuato in modo parziale e abba-
stanza pasticciato, perché nascondendosi dietro
motivi “storico sociali” o “ di campanile” non sono
stati fatti degli accorpamenti, mentre ne sono stati
stabiliti altri, che già prima di partire stanno crean-
do dei problemi di funzionalità. Andare oltre la
dimensione organizzativa vuol dire saper cogliere
le opportunità date al Piano dell‟offerta formativa
perseguendo ed esaltando la continuità descritta
nelle indicazioni nazionali ora in fase di rivisitazio-
ne da parte del ministero.
La scuola che verrà (forse)
Pagina 4
Cambiamenti
Intorno alla questione delle assunzioni pare ci sia
un gran desiderio di dare opportunità ai giovani
(abilitati) ma, al momento, non si è andati oltre le
dichiarazioni: le regole su cui si fonda il sistema di
reclutamento andrebbero completamente sovvertite
e con esse anche le attese dei precari abilitati inse-
riti nelle graduatorie permanenti ad esaurimento.
Rimane aperto il problema sullo strumento di re-
clutamento, il concorso, e sulla revisione delle mo-
dalità organizzative dello stesso. Ipotesi ne sono
state fatte ma la scelta è difficile perché le attese
sono alte e qualsiasi opzione non può assecondare
tutte le aspettative. Parlando di assunzione va ri-
cordato che è in atto un concorso per la selezione
del personale dirigente, importante per la nostra
realtà regionale dove ogni anno, per far fronte alla
mancanza di personale, si ricorrere a circa 500 (10
in provincia) reggenze affidate ai dirigenti in ser-
vizio, situazione che risulta sempre più insostenibi-
le a fronte delle nuove dimensioni, per numero di
alunni, di personale e di plessi, degli istituti scola-
stici.
Pagina 5
Cambiamenti
Filippo Maiorana Silvio Colombini
Sempre a proposito di assunzioni dobbiamo, al di
là di gride manzoniane, considerare che tra i con-
tenuti della legge regionale "Misure per la crescita
e l'occupazione" (approvata il 5 aprile dal Consi-
glio regionale) prevede, all‟articolo 8, la possibilità
per le singole istituzioni scolastiche di reclutare,
attraverso concorso, personale docente “con inca-
rico annuale necessario a svolgere le attività di-
dattiche annuali e di favorire la continuità didatti-
ca”. Tale possibilità sarà possibile solo “a titolo
sperimentale, nell‟ambito delle norme generali o
di specifici accordi con lo Stato, per un triennio a
partire dall‟anno scolastico successivo alla stipu-
la”. È bene ricordare che oggi non c‟è alcuna nor-
ma generale né una stipula con lo Stato che rende
operativa la cosiddetta “assunzione diretta” delle
scuole. Da parte nostra la massima vigilanza a tutti
i livelli.
La determinazione annuale del fabbisogno di per-
sonale docente e ATA per garantire il servizio sco-
lastico è un‟operazione ardua in un momento di
crisi. La necessità di contenimento della spesa pub-
blica, tuttavia, non può intaccare il diritto allo stu-
dio e quindi devono essere garantite risorse perché
la scuola sia in grado di corrispondere al meglio
nel suo compito istituzionale. Questo è il primo
anno che per la nostra regione non si prospettano
tagli al personale avendo il ministero scelto per la
stabilità dell'organico di diritto dei docenti. Per la
Lombardia l‟operazione ha portato ad un aumento
della consistenza complessiva dell‟organico dei
docenti di 218 unità sulla base dell‟andamento pre-
visionale del numero degli alunni: peccato che la
previsione sia stata clamorosamente smentita già
dal dato della scuola primaria. Quando le previsio-
ni si discostano dalla realtà occorre rifare i conti e
correggere subito l‟organico di diritto, come abbia-
mo chiesto, perché l‟organico del personale della
scuola (docente e ATA) di ciascuna scuola deve
essere commisurato al reale fabbisogno per essere
un organico funzionale ad un‟autonomia scolastica
pienamente esercitata. Questa operazione è impor-
tante oggi perché determina le basi per una gestio-
ne diversa dell‟organico del personale alla luce de-
gli obiettivi (organico dell‟autonomia, organico di
rete, stabilità triennale dell‟organico, ...) indicati
nella Legge 35 del 4 aprile 2012 (ex DL n.5/2012 -
“decreto semplificazioni”).
Infine la scelta per “Nuove norme per
l‟autogoverno delle istituzioni scolastiche stata-
li” attualmente in sede legislativa alla VIII Com-
missione della Camera. Il testo assume
l‟autonomia delle scuole come cardine di un mo-
dello di governo in cui viene profondamente rivisi-
tata, a quasi quarant‟anni dal varo dei decreti dele-
gati del 1974, la rete degli organi collegiali. Tra le
novità di maggior rilievo l‟apertura alla partecipa-
zione di soggetti esterni nei Consigli
dell‟Autonomia, la possibilità di ricevere contributi
finalizzati al sostegno economico dell‟attività delle
scuole, la costituzione in ogni istituzione scolastica
di un nucleo per l‟autovalutazione dell‟efficienza,
efficacia e qualità del servizio, la previsione di una
conferenza annuale di rendicontazione. Le Regioni
definiscono strumenti, modalità ed ambiti territo-
riali delle relazioni con le autonomie scolastiche e
per la loro rappresentanza in quanto titolari di com-
petenze legislative concorrenti in materia scolasti-
ca, oltre che esclusiva in materia di istruzione e
formazione professionale. A tal fine le Regioni isti-
tuiscono la Conferenza Regionale del Sistema edu-
cativo, scolastico e formativo e Conferenze di am-
bito territoriale, quali luogo del coordinamento tra
le istituzioni scolastiche, gli Enti Locali, i rappre-
sentanti del mondo della cultura, del lavoro e
dell‟impresa di un determinato territorio. Le Con-
ferenze hanno sostanzialmente compiti consultivi
su tutte le materie che direttamente o indirettamen-
te chiamano in causa le competenze esclusive o
concorrenti delle Regioni (rete scolastica, program-
mazione dell‟offerta formativa, accordi, reti, con-
sorzi, continuità tra i vari cicli di istruzione, inte-
grazione alunni diversamente abili, adempimento
dell‟obbligo di istruzione e formazione).
In questi tasselli, tessere di un mosaico da ricom-
porre ordinatamente, possiamo rintracciare nuovi
pensieri intorno al sistema scolastico. Un quadro,
certamente, complesso che, sulla base degli esiti di
una puntuale valutazione del sistema, impone a
tutti coloro che hanno a cuore il futuro del Paese,
azioni e scelte importanti sia in contenuti di inse-
gnamento sia in scelte organizzative. Tutto ciò è
possibile, facendo cadere il “forse” del titolo, solo
attraverso una rinnovata partecipazione.
Pagina 6
Cambiamenti
….segue dalla prima pagina
Se quest‟ultima, infatti, non si rinno-
va nel suo insieme e con convinzione
in rapporto alla situazione sociale
circostante, rischia di restare vittima
della routine, di un meccanismo di
burocratizzazione, e, in ultima anali-
si, di una caduta di significato e di
utilità sociale effettivi e riconosciuti.
La situazione, il contesto nei quali
opera oggi il sindacato non gli sono
certamente molto favorevoli. Non è
il caso qui di insistere su quel che
dovrebbe essere evidente a tutti.
Cioè che c‟è una crisi „epocale‟, co-
me si dice, una crisi mondiale e glo-
bale , non so lo economico -
finanziaria, ma anche sociale e cultu-
rale, che non sembra offrire prospet-
tive di soluzione, e che in ultima a-
nalisi ci tocca da vicino in quanto
siamo una struttura di rappresentanza
di interessi (largamente maggioritari
in senso numerico, non di potere o di
lobby) della società.
Così anche il sindacato è oggi
nell‟occhio del ciclone, soffre della
caduta di consensi che colpisce un
po‟ tutte le formazioni del sociale, e
non possiamo sperare che un qualche
colpo di fortuna ci risparmi i guai
che si profilano all‟orizzonte. Dob-
biamo, viceversa, riflettere a fondo
sulla nostra attuale condizione, ac-
collarci il difficile compito di risalire
la china, di ricostruire una credibilità
e una significatività, quantomeno di
prevenire un declino già più volte
profetizzato. Decidere di esserci e
contare, insomma, non di sopravvi-
vere soltanto… Questo, ad ogni buon
conto, è il senso anche della iniziati-
va del foglio CAMBIAMENTI.
PER UN SINDACATO DI MONTAGNA
Allora è necessario dotarsi di alcune linee di progetto e d‟azione tutt‟altro
che scontate o ereditate automaticamente dalla tradizione: ci occorre una vi-
sione, ci occorrono degli obiettivi, ci occorre una prospettiva d‟azione.
Ovviamente qui è possibile solo indicare alcune direzioni di movimento, il
resto dovrà essere fatto con la collaborazione di tutti. E, per intanto, parliamo
di noi, qui ed ora, in questa piccola realtà geopolitica che è la nostra provin-
cia, un‟area dai confini storici, ma non eterni, un territorio interamente mon-
tano salvo la breve
fascia del fondovalle,
abitato da una popola-
zione che di questa
condizione si è data
storicamente ragione
e ha costruito pazien-
temente le sua identi-
tà, quale che sia, ma
certo non immutabile,
e che ora si trova a
navigare senza busso-
la nel vasto mare della
globalizzazione.
1 - Anzitutto: una visione.
Dobbiamo prendere sul serio la crisi, uscire dalla illusione che si tratti di un
evento come tanti altri, di una delle “solite crisi”. Tanto più che essa è la ri-
sultante, oltre che dell‟enorme debito pubblico mondiale derivante da speri-
colate manovre speculative del mondo della finanza, anche di un crescente
debito con la natura del pianeta, che ci sta portando all‟esaurimento delle
risorse, dello spazio, perfino dell‟aria. Ma, soprattutto, non è figlia del „caso‟,
bensì di tortuosi disegni tutt‟altro che indecifrabili.
Dobbiamo prendere atto, cosa che riesce a quanto pare particolarmente diffi-
cile, che ci sono dei limiti strutturali allo „sviluppo‟, alla crescita , e che la
soglia del rischio è già stata superata, e pertanto si deve assolutamente cam-
biare, perché in caso contrario è assicurato un suicidio collettivo dell‟umanità
o quantomeno un mostruoso conflitto per la sopravvivenza…
Allora che fare? Si deve cambiare „paradigma‟, come si dice, ideare un mo-
dello di sviluppo non più all‟insegna della quantità, ma della qualità, della
qualità della vita per il maggior numero di persone, in un quadro di sobrietà
delle aspettative, in una prospettiva di solidarietà.
Ora, poiché in questo drammatico contesto non si intravede a breve la possi-
bilità di un governo globale e democratico della complessità, si dovrà comin-
ciare a immaginare una somma di azioni virtuose che partono dal basso e, -
se si vuole – dal „piccolo‟. Ma non per ritirarsi in uno spazio ristretto, bensì
per avviare percorsi democraticamente governabili, processi nutriti di cono-
scenze approfondite, buone pratiche locali che si assommino virtuosamente
in spazi e processi più vasti prima che si creino situazioni senza ritorno.
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Cambiamenti
2 - In secondo luogo: degli obiettivi.
Poiché parliamo di sindacato, il discorso della visione può non essere
soltanto visionario. Il Sindacato è una struttura costruita fondamen-
talmente per la solidarietà, ma per un insieme di ragioni ha perso per
strada molte buone intenzioni. Tutto del resto concorreva, nella sta-
gione del neoliberismo trionfante, a un progressivo snaturamento di
fatto del Sindacato, che, mentre cresceva numericamente, dimentica-
va qualche valore di fondo.
In un‟epoca in cui il lavoro scarseggia, le retribuzioni perdono consi-
stenza, le rivendicazioni si scontrano contro la sopravvivenza delle
stesse attività produttive, è necessario rivedere a fondo gli obiettivi
della nostra azione.
Forse la prospettiva deve spaziare ben oltre gli stessi confini
dell‟organizzazione, ma in ogni caso non possiamo continuare a farci
descrivere come una sommatoria di egoismi di categoria, di condizio-
ne lavorativa, ecc. O come abili solo a pretendere risarcimenti monetari.
Si dovranno, allora, piuttosto individuare obiettivi più propriamente „politici‟, vere e proprie „riforme radicali‟, che
qui si possono identificare solo in termini generalissimi, all‟insegna di alcune poche grandi domande che
l‟Organizzazione deve porsi:
Quale (modello di) sviluppo? eco-sviluppo, qui nel senso di ecologia anzitutto ambientale. Può il passato
alpino offrire modelli utili, quali e a quali condizioni? E come rinverdirli nella modernità?
Quale welfare? eco-welfare nel senso di ‘ecologia sociale’: c’è molto da inventare in termini di reddito, lavo-
ro, condizioni di vita, sia pure a partire da ricordi dell‟antico, dalle tradizioni alpine, ma anche da sperimenta-
zioni oggi diffuse, ad es. di volontariato, benché poco circolanti e per nulla collegate (qui da noi).
Ma il vero lavoro viene subito dopo aver abbozzato le risposte generali: non ci si può più accontentare di approssi-
mazioni e slogan, occorre un lavoro di ricerca e riflessione, e quindi formazione, assiduo e tenace, per costruire o-
biettivi condivisi, e praticabili, ferma restando la linea strategica individuata.
Il discorso si apre allora alla formulazione di precisi interventi in direzione dell‟ equità nella distribuzione della ric-
chezza, ma anche del lavoro, e delle condizioni di vita, di cittadinanza, di salute, di informazione e di cultura…
Ecco allora, per noi, ricomparire il discorso della montagna. L‟ambiente montano ha a tutt‟oggi delle caratteristiche
derivanti dalla geografia e anche dalla storia, che lo qualificano nel senso sopra indicato. Si tratta non di ritornare al
passato, ma di non perdere la memoria.
Può essere uno spazio di memoria della povertà di un tempo, che era, ovviamente, una sobrietà involontaria, ma non
priva di trovate ingegnose: così si dà il caso che oggi vi siano nel mondo molte iniziative per studiare le microecono-
mie del passato alla ricerca di soluzioni alternative in campo energetico, alimentare, artigianale, della salute e via
dicendo.
E‟ sicuramente uno spazio, la montagna, che ancora testimonia un uso oculato del territorio e dell‟ambiente, un com-
portamento un tempo assolutamente necessitato, però ancor oggi tutt‟altro che superato e anzi portatore di lezioni
spesso dimenticate ma da recuperare.
Dopo la società dell‟affluenza e dello spreco, dell‟individualismo acquisitivo, dell‟ utilitarismo spietato, la montagna
può aiutarci a reinventare una frugalità felice, una economia dello scambio di beni non mercificati (per non dire del
dono e della gratuità) , una solidarietà conviviale.
La montagna ci può insegnare una visione veramente integrata, come un tempo per necessità, oggi però per scelta
intelligente e lungimirante.
Pagina 8
Cambiamenti
Il discorso sulle prospettive d‟azione diventa a questo punto molto aperto e necessa-
riamente interrogativo.
Bisognerà cominciare a ripensare a fondo cosa fa (oggi) il sindacato, alle sue principali
forme d‟azione : offre servizi (certamente, quali, quanti? ecc.) , sviluppa forme di tute-
la, e, soprattutto, negozia e contratta (ma con chi, come, a quali condizioni?), ma an-
che concorre a processi di riforma, crea opinione, ecc. Senza soluzioni di continuità,
questi sono i suoi compiti oggi, il suo modo di praticare l‟autonomia. Le domande al-
lora sono:
I servizi attualmente offerti coprono la gamma dei più diffusi bisogni dei lavoratori
nell‟area d‟azione? Ci sono altre specificità, ci sono specificità locali?
Le forme di tutela esplicate oggi sono adeguate, possono (o devono?) essere arric-
chite o moltiplicate, prendere forme e dimensioni innovative…
Le esperienze di negoziato e contrattazione „territoriale‟ e „sociale‟ sono praticate
in modo efficace, o si devono studiare, anche qui, forme innovative?
Le forme di conflittualità inevitabili sono costruite in modo adeguato, praticate
con forte compartecipazione, valutate nella loro efficacia?
Soprattutto va esplorato lo spazio dei rapporti partecipativi, di codeterminazione o
partecipazione -non solo economica- alla vita dell’impresa o delle ammini-
strazioni.
Se la cultura è oggi determinante ai fini stessi di un modello di sviluppo desiderabile e
della individuazione delle attività e modalità produttive preferibili, con quali strumen-
ti e risorse si può curarne la crescita e la diffusione tra i militanti e gli operatori?
Ivan Fassin
“Tutti pensano a cambiare l‟umanità ma nessuo pensa a cambiare se stesso”
Lev Tolstoj, 1828-1910
3 - Un percorso, un metodo.
Per questo il ripensamento del Sindacato deve essere profondo, e subito deve tradursi in comportamenti organizza-
tivi innovativi e coraggiosi. Se ci riusciremo, non è dato di prevedere.
Si può tracciare una prima lista di campi da esplorare in un dibattito aperto e creativo:
Ci si vanta di essere associazione „volontaria‟: come eliminare tratti eccessivamente buro-
cratici? Come favorire la partecipazione reale?, ecc.;
Accorpamenti di categorie in insiemi dotati di senso (innovativo), non all‟insegna
dell‟opportunismo;
Innovazione organizzativa : massima flessibilità nelle strutture, nuove articolazioni territo-
riali su misura, creazione di figure e competenze innovative. In una parola: sperimentazioni
diffuse ma giustificate e soprattutto acquisite e valutate;
Intrecci tra le categorie attorno a progetti territoriali importanti;
Creazione di nuovi servizi con forte valenza politica sindacale;
Formazione mirata, efficace, coinvolgente;
Interscambi di esperienze e competenze su scale diverse e diversi spazi territoriali
Costruzione di reti stabili di collegamento e buone pratiche (in area Alpi, in Europa)
Acquisizione associativa di nuovi strati sociali e nuove „categorie‟ non necessariamente mer-
ceologiche, legate a condizioni reali di lavoro o non-lavoro!
Apertura a esperienze associative e movimenti della „società civile‟.
Unità sindacale ( condizioni, forme, dimensioni, transizione…)
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Cambiamenti
di Paolo Ermani e Valerio Pignatta, ed. Terra Nuova, Firenze 2011
ensare come le montagne, in che senso?
Le montagne evocano ricordi da sogno, ma anche luttuosi ingrati riposan-
ti faticosi paradisiaci. Ai valtellinesi poi parlare di montagne… Alti terri-
bili monti le definisce il Codice Atlantico.
Il titolo può essere riferito al come si pensa in montagna, o a come la
pensano quelli che vivono in montagna, oppure a come vivono quelli che
abitano la montagna. Fatica, riuso, attesa, sussistenza, autosufficienza,
solitudine, coraggio, incoscienza, prudenza, lentezza; ma anche… asfalto
fino alle ultime baite, sentieri cementificati, elicottero che volteggia per
qualche ora sopra le nostre teste per sistemare il terrazzamento da cui (si
spera) scaturirà un generoso Sassella, impianti di risalita, sparaneve, se-
conde case.
In una intervista viene chiesto all‟autore: Pensare come le montagne. In
che senso? “Ci piaceva l'immagine simbolica che ispirava; personalmen-
te penso che mai come adesso si debba guardare in prospettiva e affron-
tare i grandi problemi che abbiamo di fronte con solidità, lungimiranza e
saggezza, come le montagne appunto”. Ecco svelata la metafora.
Il libro è diviso in due parti, la prima è una ricca analisi della realtà italiana e mondiale su temi come ambiente salu-
te alimentazione potere tecnologia; la seconda illustra delle alternative concrete ai modelli di vita dominanti.
“È un libro perfetto per chi abbia davvero voglia di saperne di più, di riflettere, di approfondire e utilizzare concre-
tamente le informazioni per cambiare ora, per cominciare adesso una vita diversa. Il cambiamento avverrà per ini-
ziativa individuale e non collettiva”.
Si coglie una chiara sfiducia nelle istituzioni, nelle decisioni sempre annunciate ma spesso rinviate degli organismi
internazionali; e qui basti pensare all‟enorme problema delle emissioni di CO2. Ci troviamo nell‟ultimo anno di ob-
bligo, gli strumenti del Protocollo di Kyoto e la direttiva europea (l‟EU ETS) si sono dimostrati un buon punto di
partenza, ma le emissioni globali di gas serra sono ancora in continuo aumento.
Durante le Conferenze delle Parti (COP) la comunità internazionale cerca di trovare la base per un nuovo accordo
globale per il periodo post-2012, ma troppo distanti sono ancora le posizioni dei Paesi maggiormente inquinanti co-
me gli USA e la Cina.
E invece non c‟è più tempo da perdere. Scorrendo le pagine del libro si ha la sensazione di trovarsi in una situazione
da ultima chiamata. Preso atto comunque della diligenza encomiabile delle singole iniziative e della crescente matu-
razione spontanea delle coscienze, se si vuole evitare che la scelta verde rimanga un fenomeno di nicchia riservato a
delle élites, è necessario manovrare altre leve. Al lungo e indispensabile processo educativo va, per esempio, affian-
cato il percorso degli incentivi, della convenienza; è il sistema che ha fatto schizzare in alto la produzione di energia
da fotovoltaico.
Secondo i dati diffusi al Pv Summit di Verona, dal 2000 al 2011 il mercato delle rinnovabili è cresciuto del 125%. E
l‟anno scorso il nostro Paese si è piazzato in vetta alla classifica mondiale come potenza solare installata negli ultimi
dodici mesi.
Gli autori denunciano la contraddittorietà di tante nostre scelte quotidiane; è vero c’è incoerenza tra il montare sul
tetto pannelli fotovoltaici e mangiare carne tutti i giorni, ma non sarebbe peggio se oltre a mangiare carne tutti i gior-
ni il signore della citazione consumasse solo energia da fonti non rinnovabili? Non sempre le conversioni si verifica-
no sulla via di Damasco.
Forse sono più producenti campagne serie, ma scevre da ideologie e integralismi.
Pensare come le montagne Manuale teorico-pratico di decrescita per salvare il Pianeta
cambiando in meglio la propria vita
P
Luigi Pentimone
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Cambiamenti
Il Bosco: risorsa da valorizzare La crisi di questi anni ha profondamente inciso sul tessu-
to economico e sociale. E‟ del tutto evidente che non
esistono facili ricette risolutrici, ma risulta altrettanto
chiaro che il modello su cui si reggevano gli equilibri del
secolo scorso oggi non è più replicabile.
La Cisl di Sondrio, coerentemente con la scelta di auto-
definirsi “sindacato di montagna”, ha individuato nella
filiera bosco-legno uno dei segmenti di sviluppo sul qua-
le la nostra provincia dovrebbe scommettere per il futu-
ro.
Le ragioni, ovviamente, non sfuggiranno al lettore.
Le nostre montagne sono ricche di boschi e possono rap-
presentare una risorsa importante per il territorio se cor-
rettamente e intelligentemente gestita come, ad esempio,
fanno le realtà limitrofe (Alto Adige, Svizzera ma anche
Austria e Trentino).
In Provincia di Sondrio sono operative circa 40 segherie.
Esse lavorano circa 250.000 mc. di tronchi l‟anno, pari al
13% dell’intera produzione nazionale. Gli occupati sono
circa 400/500 addetti, con un
indotto che supera le 1000 uni-
tà, mentre il fatturato comples-
sivo supera i 55 milioni di euro
annui. Eppure circa il 90% del
l e gno v i e ne im p o r t a to
dall‟estero per poi essere lavo-
rato.
Sembrebbe un paradosso.
E‟un paradosso! Il bosco soffo-
ca e noi importiamo dall‟estero?
Quali sono le ragioni? Si può
fare diversamente? Che ruolo
dovrebbero ricoprire e che comportamento dovrebbero
adottare gli attori coinvolti?
Proprio partendo da queste riflessioni intendiamo affron-
tare una tematica, quella della filiera bosco-legno, che
nell‟ambito dello sviluppo montano riteniamo assoluta-
mente strategica.
Da questa consapevolezza è partito un confronto tra la
confederazione di Sondrio e le categorie interessate, la
Fai-Cisl che rappresenta i lavoratori dei consorzi foresta-
li, dei parchi, ecc, la Filca-Cisl che si occupa dell‟area
delle segherie e la Flaei-Cisl che rappresenta l‟ambito
energetico.
E‟ nata quindi l‟idea di ragionare attorno al tema attra-
verso il dibattito e il coinvolgimento degli addetti e degli
esperti del settore per analizzare criticità e punti forti
e per capire quale tipo di sviluppo il bosco può avere in
provincia.
Abbiamo già predisposto una serie di assemblee con i
lavoratori nelle realtà aziendali più significative, così
come ci stiamo confrontando con gli imprenditori del
settore. Intendiamo poi attivare un tavolo di interlocuzio-
ne con le istituzioni e abbiamo già riscontrato un forte
interesse da parte di un esperto in materia dell‟Università
di Trento, che ci seguirà nel lavoro.
Pieno sostegno ci è stato garantito anche dalle segreterie
nazionali delle categorie coinvolte, che osservano con un
certo interesse l‟evolversi di questa esperienza.
Basandoci anche su ricerche svolte in passato sul tema
(S.S.L. nel 2006), cercheremo di alimentare il dibattito in
provincia relativamente alla filiera bosco-legno perché
rimaniamo convinti che esistono ampi spazi di crescita
nel settore.
Vanno sicuramente approfondite questione di carattere
giuridico legate all‟utilizzo consorziato del bosco e al
sistema degli incentivi per favo-
rire il cippato “a km zero”, così
come questioni di carattere più
tecnico rispetto alla coltivazione
del bosco o alla formazione di
figure professionali adeguate
che potrebbero trovare uno
sbocco lavorativo nel settore.
Va va lo r i zzato ino l t re ,
nell‟ambito delle energie rinno-
vabili, il sistema di produzione
energetica attraverso le biomas-
se legnose, vero segmento di
sviluppo tra le energie rinnovabili.
Insomma siamo interessati, dopo una fase di analisi e di
studio, a proporre al territorio provinciale delle buone
pratiche rispetto all‟utilizzo intelligente del bosco.
Oltretutto una buona cura del bosco, oltre a garantire
vantaggi di carattere economico e occupazionale, genere-
rebbe positività ambientali, limitando rischi di carattere
idrogeologico, così come nell‟ambito del turismo, ecc.
E‟ questa una delle strade da percorrere se vogliamo dare
valore e dignità alla nostra terra.
Cristiano Mazzucotelli
“Adesso fate le anime belle perché siete sazi e al caldo; ma cosa farete quando resterete
al freddo nelle vostre belle case, le auto ferme, tutto razionato?”
Agente CIA Higgins ne “I tre giorni del Condor, 1975”
Pagina 11
Cambiamenti
Primavera sulle alpi - il bosco società -
.................Segue dalla prima pagina
Il bosco è un organismo vivente in cui ogni parte è
indispensabile ed in simbiosi con l' altra. Così il
“bosco-società” deve attivare atteggiamenti e finali-
tà simbiotiche per garantire la propria sopravviven-
za; nessuno deve essere escluso, ogni caratteristica,
diversità, fragilità e professionalità diventa patrimo-
nio comune. Pertanto, la vitalità degli organismi, la
vivacità e complessità dei loro rapporti è condizione
necessaria affinché il bosco e la comunità degli uo-
mini svolgano tutte le loro funzioni. Il sistema indu-
striale locale, il turismo legato alle grandi stazioni
sciistiche, il settore delle costruzioni, vivono una
situazioni di graduale declino, la contingenza econo-
mica, i tagli allo stato sociale generano nuove pic-
cole fragilità; nostro compito è mettere in relazione,
in rete i lavoratori esclusi, le professionalità svaluta-
te connettendoli in nuovi progetti legati al territorio.
La sfida è il passaggio dal lavoro dipendente orga-
nizzato da altri ad un lavoro nella comunità promos-
so ed organizzato dalla capacità e creatività locali.
La Cisl di Sondrio nel promuovere il progetto di fi-
liera bosco legno energia e la proposta filiera corta
in Valchiavenna, oltre al suo ruolo storico di tutela e
difesa occupazionale vuole calarsi nel “nuovo me-
stiere” di promotore economico e sociale del territo-
rio, partendo dal presupposto che “piccolo ed insie-
me” può costituire la forza organizzativa di un pos-
sibile lavoro futuro. I mutamenti climatici, specie
nelle Alpi, richiedono interventi attivi nella gestione
forestale e dei versanti alpini:
impegnare le comunità locali su questo tema, attra-
verso la partecipazioni di tutti gli attori del territorio
significa offrire risposte in termini di sicurezza idro-
geologica di lungo periodo, ma ci permette anche un
investimen-
to economi-
co, sociale
c u l t u r a l e
che può ge-
nerare un
nuovo mo-
dello di svi-
luppo forte-
mente inte-
grato con
l‟ambiente.
Il futuro di tutti noi e delle comunità locali dipende-
rà dalla nostra capacità di coniugare le esigenze eco-
nomiche con la valorizzazione dell‟ambiente e le
istanze sociali di equità, integrazione e solidarietà.
Trasformazioni profonde che richiedono la parteci-
pazione di tutte le componenti potenzialmente inte-
ressate al cambiamento: gli enti locali, l'imprendito-
ria locale, l'associazionismo, le organizzazioni sin-
dacali, la società civile. In sintesi riscoprire questo
importante patrimonio ambientale e culturale signi-
fica ottenere, soprattutto in momenti di crisi come
quella attuale, importanti occasioni di sviluppo eco-
nomico, sociale, generando una risposta positiva al
problema occupazionale in particolare dei nostri
giovani, creando un forte legame con un ambiente in
cui continuare a vivere.
Mirko Dolzadelli
“E‟ un peccato non fare niente col pretesto che non possiamo fare tutto”
Winston Churchill
Pagina 12
Cambiamenti
Cambia Il Lavoro, Cambia Il Sindacato (Seconda parte)
Dal lavoro alla solidarietà, due valori sim-
biotici. Cambia il lavoro, cambia la solida-
rietà.
Anche in questo capitolo l‟Autore sciorina un‟ampia
analisi per dimostrare che la solidarietà che abbiamo
conosciuto non esiste più.
Su questo problema, Antoniazzi è lapidario: “Non
possiamo assolutamente più pensare ad una solidarie-
tà che neghi le diversità e che misconosca le possibili-tà di espressione soggettiva. Se oggi ci si trova di
fronte a differenze, esse devono poter costituire la ma-
teria prima della nuova solidarietà. Questo é l‟unico
modo di porsi il problema della solidarietà del futuro,
perché non si può prescindere dai mutamenti storici”.
Si ha l‟impressione di essere immersi in un fiume in
piena dove a marcare le differenze ci sono gli egoismi
di gruppo, le chiusure esclusive, le molteplici barriere
difensive fisiche e normative di ogni genere che vanno
estendendosi.
Le differenze, da una parte generano paura, dall‟altra
rinchiudono in difesa dei propri simili, manifestando
esclusione e ostilità verso gli altri, bloccando la solida-
rietà. Lo stesso problema della sicurezza che ieri era
inteso come attenta vigilanza ai confini della patria,
oggi è diventato un problema tutto interno al Paese.
“La differenza delle differenze, dice Sandro, è quella
rappresentata dalla presenza degli immigrati, un pro-
blema che ci presenta un mondo unico, dove i rapporti
e la solidarietà siano fra tutti”.
Invece, al momento, tutto sembra dividere: lavoro,
territorio, casa, tradizioni, cultura, religioni, sicurezza;
invece ci sarebbe estremo bisogno di una forma di so-
lidarietà, magari più complessa, che richiederà molto
tempo, infiniti passaggi, pazienza e costanza.
Ieri era facile esprimere solidarietà con i popoli lonta-
ni; oggi che quei popoli si sono avvicinati e sono fra
noi, molti hanno cambiato atteggiamento.
Parlare di lavoro significa parlare di come vivono oggi
e vivranno domani miliardi di persone, da noi e nel
mondo. Nel mondo del lavoro odierno sono presenti
una miriade di problemi che non sappiamo più come
affrontare: chi guadagna troppo e chi troppo poco; c‟è
troppa concorrenza sul ribasso dei salari; la dignità dei
lavoratori è spesso calpestata; il lavoro nero è usato
come strumento di ricatto; una vera solidarietà tra i
lavoratori dei vari paesi è ancora tutta da realizzare.
Il problema della nuova militanza, sinda-
cale.
Il testo in questione affronta anche, e non poteva esse-
re diversamente, il problema della nuova militanza,
sindacale.
Abbiamo visto che tanto è cambiato, che molto sta
cambiando e che più ancora cambierà in futuro.
Per il sindacato, quindi, si pone il problema di come
adeguare la militanza (il militante) alla nuova realtà.
Uno dei tanti problemi con cui abbiamo a che fare è
l‟affermazione dell‟individualismo. Ciò che
l‟illuminismo sosteneva relativamente alla afferma-
zione del soggetto, alla libertà personale, come la
grande conquista dei nuovi tempi, oggi consiste
nell‟estensione dell‟autonomia individuale anche a
livello delle classi popolari, grazie all‟aumento del
reddito e allo sviluppo dei consumi. Siccome il consu-
mismo per funzionare non deve mai essere soddisfat-
to, (perché non è basato sulla ragione ma sul deside-
rio), deve sempre superare i risultati appena raggiunti,
deve distruggere quanto ha ottenuto per lasciar posto a
qualcosa di nuovo.
L‟individuo di oggi è apparentemente più libero, ma è
anche più solo e più fragile “fragile perché solo, ma
anche solo perché fragile”.
Infatti spesso la libertà individuale è vissuta in modo
superficiale, senza vero interesse e relazione con gli
altri, in una sorta di relativismo morale. L‟individuo si
trova troppo spesso senza riferimenti comunitari ad
affrontare scelte e situazioni mutevoli e complesse.
“All‟immagine così diffusa oggi della flessibilità del
lavoro, scrive l‟Autore, sembra corrispondere
un‟altrettanta diffusa flessibilità in ogni campo: nelle
scelte etiche, politiche, relazionali, famigliari”.
E‟ necessario che l‟individuo acquisisca una nuova
coscienza sociale, e non si può pensare di affidare
questo compito alla tradizione; essa richiede un impe-
gno di riflessione ed esperienza non facile, non acqui-
sibile spontaneamente.
Poiché siamo nell’epoca dell’individualismo, il pro-
blema decisivo consiste nell‟orientare la scelta sogget-
tiva verso l‟interesse per gli altri.
Il problema che si pone di fronte al sindacato è
complesso e di vaste proporzioni; esso non deve
solo formare dei militanti, ma potenzialmente deve
pensare a tutti i lavoratori, ed elaborare un modello
di coscienza sociale duratura, non egoistica.
Pagina 13
Cambiamenti
C‟è bisogno di occuparsi del lavoro femminile con le
sue caratteristiche peculiari, le donne oggi lavorano
in numero crescente, per scelta e per necessità; in
tanti settori sono competitive con gli uomini, ma su
di loro spesso ricadono ancora tutti i lavori domestici.
C‟é bisogno di occuparsi dei rapporti di lavoro nelle
imprese perché potrebbero essere molto diversi se
fosse riconosciuta la dignità, la soggettività,
l‟intelligenza, la cultura, la responsabilità delle lavo-
ratrici e dei lavoratori;
C‟è bisogno di offrire un’idea positiva del valore del
lavoro e non solo in termini di occasione di reddito.
La maggior parte del lavoro di oggi è nei servizi e
dunque relazionale. C‟è in questo una notevole poten-
zialità per una nuova socialità, diversa da ieri.
C‟è bisogno di occuparsi di progetti culturalmente
nuovi per dare una prospettiva ai giovani, da far sca-
turire da accordi con più soggetti ed enti: Uffici scola-
stici, Scuole statali e professionali, Associazioni indu-
striali, artigiane e commerciali, istituzioni locali.
C‟è bisogno di rendere compatibile il lavoro e la ca-
sa, il lavoro e gli affetti famigliari.
C‟è bisogno di occuparsi seriamente
del problema immigrazione. Il sin-
dacato può diventare forse il princi-
pale protagonista di quella che po-
tremmo definire come una
“alleanza” con la parte maggioritaria
democratica e civile della popola-
zione immigrata.
C‟è bisogno di far acquisire maggiore sensibilità so-
ciale ai problemi ambientali e dell‟ecosistema e dif-
fondere una maggiore e più puntuale visione delle
problematiche internazionali (nel mondo siamo sem-
pre meno soli e sempre più omogenei con altri popo-
li).
C‟è bisogno di cambiare i rapporti con le imprese.
Occorre tenere presente che in un sistema democrati-
co economicamente e socialmente avanzato, tra lavo-
ratori e imprenditori esistono rapporti non solo con-
trattuali, ma anche extracontrattuali, sui quali sono
auspicabili e possibili intese e impegni comuni, facen-
do convergere i reciproci interessi.
Infine, c‟è bisogno di fare una società locale. Fra un
impossibile rifiuto della globalizzazione e una sua
accettazione acritica, l‟alternativa da assumere è il
modello di una comunità locale che interagisca con la
globalizzazione, mantenendo e alimentando una pro-
pria identità.
“Cambia il lavoro; cambia il sindacato”, sono 53
pagine che ogni sindacalista e ogni militante, dopo
averle lette e meditate, dovrebbe sempre portare con
sé come un prezioso viatico.
Valerio Delle Grave
La formazione del militante di oggi deve essere (un
po‟ in analogia con quella di ieri), la formazione di
una persona preparata, ma che non si distacca dagli
altri , cioè che li rappresenta veramente.
A tale proposito, Sandro cita una frase attribuita a
Pietro Seveso (un vecchio sindacalista metalmeccani-
co ) “Il sindacalista deve essere un po‟ più avanti dei
lavoratori per guidarli, ma non troppo avanti perché
altrimenti perde il contatto”.
Per concludere riporto per esteso un pensiero che
chiude il terzo capitolo.
“Il compito dei militanti e dei sindacalisti non è facile
oggi perché essi non devono limitarsi ad amministra-re l‟esistente, ma devono guardare al futuro, ricerca-
re strade nuove, trasformare gli ideali in proposte economiche e sociali, portare la solidarietà nelle im-
prese, trasfonderla nei contratti, diffonderla tra i la-
voratori. E ancora, devono formare una nuova co-
scienza sociale e sviluppare una nuova cultura diffusa
tra i lavoratori, perché tutto ciò costituisce oggi una
condizione irrinunciabile dell‟azione sindacale e la
via giusta per cambiare le cose. In
una temperie storica dove tutto sta
cambiando e grande è il disorienta-
mento, il sindacato, i sindacalisti e i
militanti hanno il compito di guida-
re i lavoratori in questo difficile
passaggio, spendendosi per ricerca-
re la strada giusta e dimostrando
con coerenza di vita e di pensiero la
loro fiducia che assieme ai lavoratori è possibile
mantenere aperto un orizzonte di speranza”.
Lo scritto di Antoniazzi prosegue su questi toni, con
ulteriori analisi e qualche proposta.
Non entra nei particolari ma suggerisce ed esorta ad
avere fiducia nel futuro come la ebbero i padri fonda-
tori di questo straordinario strumento sociale che è il
sindacato.
Per quanto possa cambiare, il lavoro sarà sempre cen-
trale nella vita degli uomini.
Il sindacato va sempre più considerato un protagoni-
sta di quella democrazia sostanziale, economica e
sociale che è tutta da realizzare a livello mondiale, e
che costituisce la risposta vera ai problemi aperti dalla
globalizzazione: democrazia che non si potrà realizza-
re se il sindacato non sarà all‟altezza del ruolo a cui è
chiamato.
C‟è bisogno di governare il precariato, non di demo-
nizzarlo; necessita prendere coscienza delle trasfor-
mazioni del lavoro in atto e guardare al futuro nego-
ziando nuovi strumenti di tutela sul lavoro e sul wel-
fare.
Imperativo il suggerimento di
Antoniazzi: “ Il cambiamento
potrà avvenire solo partendo
dal basso, dalle comunità lo-
cali, dai territori”.
Pagina 14
Cambiamenti
Cambiare il lavoro pubblico
Anche il nostro paese è da tempo impegnato in un percorso di
riforma dell‟impiego pubblico, rispetto al quale un primo sparti-
acque è stato rappresentato dal cosiddetto processo di privatizza-
zione collegato al Decreto Legislativo n. 29 del 1993, sino ad
arrivare alle recenti innovazioni introdotte dalla Legge 15 del
2009 e dal collegato Dlgs 150 del 2009 definito “Legge Brunet-
ta”. Tuttavia, se su piano giuridico i recenti provvedimenti hanno
assicurato un importante allineamento del quadro di riferimento
nazionale alle migliori esperienze internazionali, la qualità delle
politiche e lo stato delle pratiche all‟interno delle amministrazio-
ni denunciano ancora elementi di preoccupante arretratezza.
In particolare, l‟Italia, si segnala per la bassa produttività del la-
voro pubblico, come dimostrano anche importanti indicatori rile-
vati a livello internazionale, quali il PIL per ora lavorata o la va-
riazione dello stesso nell‟ambito dell‟ultimo decennio.
Le motivazioni di questa scarsa produttività possono risiedere sia
nelle persone – ovvero nella qualità professionale, nella motiva-
zione e nell‟impegno espresso dai dipendenti pubblici – che
nell‟organizzazione – ovvero nelle condizioni di lavoro assicura-
te all‟interno del settore pubblico. Rispetto quest‟ultimo punto di
vista rilevano fattori quali la chiarezza degli obbiettivi da rag-
giungere, l‟assenza di un reale sistema delle responsabilità,
l‟adeguatezza degli spazi e delle attrezzature di lavoro, la qualità
delle politiche messe in atto per garantire la crescita e la parteci-
pazione attiva dei dipendenti.
Per assicurare servizi di qualità a costi contenuti l‟adozione di
nuove procedure e l‟introduzione di nuovi strumenti di gestione è
un passaggio necessario ma non sufficiente: le amministrazioni
pubbliche devono poter contare sull‟apporto individuale dei di-
pendenti.
La performance dei lavoratori è una risorsa critica per l’ente e la
motivazione a continuare a fornire adeguati contributi deve esse-
re sostenuta e riconosciuta. Si tratta di una prospettiva che richie-
de una forte assunzione di responsabilità da parte della dirigenza
dell‟Ente, consapevole che la qualità dei risultati è fortemente
influenzata dalla qualità, dall‟impegno e dalle competenze
possedute dal personale.
Esiste poi la necessità di individuare
quali strumenti garantiscono la con-
tinua crescita dell‟aspetto motiva-
zionale e di conseguenza una sempre
miglior prestazione.
Spesso si pensa che elementi quali le
politiche di direzione, le regole, le
relazioni con i superiori, il livello
retributivo, le condizioni di lavoro
siano elementi motivazionali suffi-
cienti, ma spesso essi sono fattori
che incoraggiano solo la permanen-
za nell‟azienda, poiché vengono letti
come elementi gratificanti per un
lavoro svolto con stimoli limitati
all‟ulteriore incremento della pro-
duttività.
SERVE INVESTIRE SUI LAVORATORI, SULLE PERSONE
Pagina 15
Cambiamenti
Al contrario i fattori motivanti che
incrementano la spinta ad agire sono:
l‟arricchimento dei contenuti del la-
voro, il livello di responsabilità, la
formazione, il riconoscimento dei
risultati ottenuti, promozioni, gruppi
di lavoro. Da qui si potrebbe desume-
re, ad esempio, che l‟effetto degli in-
centivi monetari è maggiore quando
si accompagna con altri meccanismi
di ricompensa non monetaria.
Certo è che gli scenari aperti
dall‟attuale crisi economica interna-
zionale impongono a tutti i paesi in-
dustrializzati uno sforzo deciso e in-
cisivo per il miglioramento della
macchina pubblica, della sua produt-
tività.
E‟ però difficile pensare che, in parti-
colare per l‟Italia, il prossimo decen-
nio possa vedere significativi cambia-
menti di quadro rispetto all‟esigenza
di contenimento della spesa, di rie-
quilibrio delle finanze pubbliche e di
riduzione del debito. Ergo, sarà molto
difficile pensare di reperire nuove
risorse per garantire quei percorsi
virtuosi sopra evidenziati.
Semplificando si potrebbe quindi af-
fermare che alle amministrazioni
pubbliche del futuro sarà richiesta
meno quantità e più qualità attra-
verso un percorso di revisione della
spesa che non miri esclusivamente al
risparmio fine a se stesso, ad esempio
applicando tagli lineari, ma punti a
una selezione della spesa riducendo o
eliminando quella inutile.
I più recenti provvedimenti di finanza pubblica, quali il blocco
indiscriminato del turn over, della contrattazione, degli stipendi e
non ultimo l‟ennesima riforma del sistema pensionistico stanno
avendo impatti senza precedenti nella storia degli ultimi decenni.
E‟ forte il rischio che, in situazioni come queste di grande tensio-
ne sulle risorse, si perda di vista la necessità di investire sulle
persone.
Sicuramente nei prossimi anni andrà governata, forse anche ridu-
cendola, la spesa per il personale nel settore pubblico, ma allo
stesso tempo deve essere esplicito che parte delle economie rea-
lizzate devono essere utilizzate per garantire un miglioramento
della qualità professionale dei dipendenti pubblici.
Investire sulle persone in periodo di crisi: questa in sintesi sarà
l‟esigenza da soddisfare al fine di garantire un rilancio del settore
pubblico e del sistema economico del nostro paese.
Marco Contessa
Pagina 16
Cambiamenti
La crisi attuale, vista da un monastero (da “La voce della Valchiavenna)
Don Marco Folladori, nel bollettino parroc-
chiale “Vita olgiatese”, ha dedicato una stres-
sante riflessione sull‟esperienza del suo amico
Ginepro. Ne riprendiamo alcuni passi più si-
gnificativi.
L‟attuale crisi, oltre che finanziaria ed econo-
mica, è crisi etica, cioè mette in discussione un
modo di vivere ormai divenuto abituale. Lo
stile di vita di un monastero diventa ora più
prezioso: mostra una alternativa che sarebbe
bene proporre a tutti.
Entrando in un monastero, vedi che il tempo
rallenta, non c‟è più fretta o assillo
dell‟orologio.
Impressiona poi il silenzio, che invita a met-
tersi di fronte a sé stessi.
Non è facile rimanere solo con sé stesso.
Nel monastero c‟è anche il lavoro: cucina, or-
to, manutenzione, accoglienza calma degli o-
spiti. Non c‟è nessun personale di servizio.
Curano la stalla, curano il formaggio, base del-
la loro economia.
Ma è un lavoro diverso: niente corsa al profit-
to, niente sfruttamenti, niente rivendicazioni,
niente stipendio. Si capisce subito che il lavo-
ro è vissuto come servizio alla comunità e non
come strumento per imporsi sugli altri. Anche
il denaro fa parte della vita del monastero, ma
come strumento per vivere dignitosamente,
non è un padrone che rende schiavi.
Stesso discorso per l‟autorità, che purtroppo
identifichiamo, in realtà, con il potere. Nel
monastero non c‟è alcun potere, c‟è solo qual-
che monaco, che, spesso contro voglia, per un
tempo a scadenza ben determinata, diventa il
perno della vita comunitaria, ossia Abate.
Utopia? Forse sì. Però una utopia realizza-
ta!
Vuol dire che, fatte le debite proporzioni, può
essere proposta anche alle nostre società mala-
te: perché si convertano.
Qualcuno ha sintetizzato l‟esperienza monasti-
ca di Ginepro con queste parole: “da capraio
ad Abate”.
Vista dall‟esterno è stata veramente così. Vista
un po‟ più nel profondo, è da leggere alla luce
della parabola evangelica del “mercante di
perle”, che quando ne vede una migliore, ven-
de tutto e la compera
(Mt 13,45)
Don Paolo Trussoni
“Di solito la storia non permette per più di una generazione che una nazione sia allo
stesso tempo ricca e stupida. Il nostro tempo sta per scadere”
Guido Rampoldi, giornalista
Pagina 17
Cambiamenti
om‟è noto, l‟Italia non è uno stato virtuoso fra quelli dell‟UE, in fatti patisce una cronica assenza di prospettive,
che la induce a trascurare gli investimenti quando le cose vanno bene e a lamentarsi di non averli fatti quando il ciclo economico
è in fase calante. Oggi, nel pieno di una crisi economica globale, fra aumenti delle bollette energetiche e una imposizione fiscale elevata, per ripaga-
re i debiti di passate scelte economiche e relativi effetti a cascata in tutti i settori, le famiglie vedono contratta la propria capacità di spesa e reagiscono modificandola al ribasso.
Ci si potrà quindi aspettare che fin da ora e per un po‟ di tempo, le famiglie rinviino tutte le decisioni di spesa rinviabili e limitino
la soddisfazione dei bisogni. In uno scenario di questo tipo la necessità sembra quella di anda-re in contro ai bisogni dei gruppi famigliari e più in particolare,
nel campo dell‟odontoiatria, dove i bisogni si traducono in problemi di salute, diventa indispensabile estendere la possi-bilità di curarsi al maggior numero di persone. Partendo da questi presupposti, l‟idea è quella di proporre il “dentista di famiglia”.
L‟idea nasce dall‟analisi dei pazienti che si rivolgono allo Studio, spesso attraverso indicazioni di altro famigliare già
paziente dello Studio. Poiché il fatto si ripete spesso, ci si trova a curare persone legate tra loro in nuclei famigliari più o
meno allargati. Tuttavia ogni singolo paziente viene (per consuetudine di tutti i medici) visto come singolo soggetto, per il quale vie-ne stilato un progetto terapeutico, ipotizzando tempi più o meno ravvicinati di trattamento e dal quale scaturisce un preven-
tivo più o meno oneroso. Qui nasce il problema, poiché la spesa legata alle prestazioni odontoiatriche va ad incidere non tanto sulla disponibilità di un singolo reddito, quanto piuttosto sul budget famigliare, nel caso in cui (e sono in molti) i soggetti che si rivolgono allo
Studio siano più d‟uno all‟interno della stessa famiglia. Se, ad esempio, in un nucleo famigliare si presenta contemporaneamente la necessità di intervenire su un bambino per un ciclo di cure ortodontiche, su una persona adulta per diverse problematiche odontoiatriche e su una persona anziana per
interventi importanti volti a ripristinare funzionalità deteriorate dell‟apparato stomato-gnatico, si hanno tre azioni cliniche che, prese singolarmente, possono essere affrontate con relativa tranquillità, ma se contemporanee, risultano pesanti e tal-
volta finanziariamente insostenibili, incidendo sulla possibilità di spesa dello stesso nucleo di reddito. Dovendo scegliere, come tende abitualmente a comportarsi una famiglia? Non disponendo di conoscenze odontoiatriche specifiche, che cosa fare prima e che cosa rimandare successivamente? Solitamente le decisioni vengono prese su base
affettiva o su base di “disponibilità al sacrificio”, cioé, siccome i figli vengono prima di tutto, si metterà al primo posto l‟intervento ortodontico. Ma mentre il bambino potrebbe attendere qualche mese perché la patologia non si aggrava (anche se, prima o poi, dovrà essere affrontata) magari è necessario intervenire immediatamente su un membro adulto, perché i
tempi di peggioramento delle sue patologie sono molto più rapidi. Lo stesso vale quando si tratta di stabilire chi viene pri-ma tra moglie e marito, oppure tra un adulto e un anziano.
In questo frangente la famiglia viene spesso lasciata troppo sola a decidere. Manca la consulenza di uno specialista che aiuti a stabilire che cosa viene prima o dopo: stabilire quindi le priorità terapeutiche globali del nucleo famigliare. Il servizio che serve offrire alle famiglie consiste dunque nell‟assumere, da parte dei Dentisti, la funzione di “ dentisti di
famiglia”. Serve un percorso di incontro con i nuclei famigliari , facendo con loro il punto della situazione sulla salute orale di ognuno dei componenti, per avere il quadro preciso delle problematiche esistenti; presentare tutte le possibili soluzioni
terapeutiche indicando le priorità temporali da attribuire ai problemi individuati. Ciò permetterà alle famiglie di vivere con maggiore tranquillità gli eventuali problemi di salute orale dei suoi membri, di pianificare la quota di budget che può essere assegnata nel tempo, di sapere che la collocazione temporale di una cura è
stata stabilita da un medico specialista su presupposti di urgenza clinica e non da spinte affettive che si trascinano appresso dubbi e sensi di colpa.
Un servizio di “dentista di famiglia “ che vuole anche essere, oltre che alla pianificazione personale dei costi in più an-ni, un contributo al superamento di questo periodo di difficoltà economica e sociale che affligge nostro Paese.
Il dentista di famiglia
C
Dott. Carlo Marchetti
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Cambiamenti
Vero cambiamento o solito camuffamento?
In accordo con le dinamiche e i presupposti di questa
stessa Dottrina di Mercato globale, indifferente a logiche
di carattere socio-assistenziali, prima tramite la rete del
sistema creditizio U.S.A e poi in Europa, fasce sempre
più ampie di popolazione, le più vulnerabili e meno ab-
bienti, sono state indotte ad indebitarsi per vivere, sottra-
endo gran parte dei loro soldi ai consumi.
Meno consumi, meno domanda, meno produzione, meno
lavoro, più disoccupazione e ancora meno consumi; ecco
sostanzialmente, e in estrema sintesi, come si configura
concretamente il circolo vizioso della crisi.
Per uscirne non ci si può affidare esclusivamente alle
inderogabili politiche correttive e ai conseguenti
“tecnicismi” da adottare nei vari ambiti socio-economici,
di qualsiasi rilevanza e livello, ma preventivamente è
necessario, a mio giudizio, maturare la predisposizione
individuale al cambiamento e assumersi l‟impegno a so-
stenerlo, senza alibi o compromessi dilatori dettati dalla
contingenza o dagli interessi “di botte-
ga” (organizzazione, partito,
ente, ecc).
Il tipo di cambiamento di cui la
Società necessita è diametral-
mente opposto a quello invoca-
to dai “Profeti” della politica e
della finanza transnazionale o
“casalinga”; essi, salvo rare
eccezioni, lo auspicano previo
calcolo delle fortune in termini
di ricchezze e/o incarichi elitari
che possono loro derivarne.
Coloro che propugnano un rea-
le cambiamento, all‟insegna del
p re va l e r e d e l l ‟ e t i c a e
dell‟equità e del radicamento di
questi elementi nel “Sistema”, devono essere rigorosi
nell‟assecondarlo; soprattutto chi opera e ha la rappre-
sentanza in ambito sociale e/o associativo deve puntual-
mente e pubblicamente censurare tutti i facoltosi Sogget-
ti, influenti sotto il profilo istituzionale, economico e
sociale di qualsivoglia ordine o grado che, con impertur-
babile “candore” approfittano del “momento” per incre-
mentare i propri privilegi e le proprie prerogative o si
arroccano sdegnosi sulla “difensiva” dei singoli, ingenti
patrimoni personali, come se la profonda crisi economi-
ca attuale non esigesse soprattutto da parte loro un cam-
biamento di prospettiva e valori in seno al consorzio
umano, reclamando l‟assunzione di precise responsabi-
lità comportamentali e concreti sacrifici nell‟ottica di
una più equa, ed oggi ineludibile, ridistribuzione delle
risorse collettive disponibili.
Felice Sirtori
Nei più eterogenei consessi (dalle Commissioni UE, ai
vari ambiti politici e sociali, dalle associazioni di comuni
cittadini e “giù in fondo” fino al “Bar dello Sport”) in
cui si analizza l‟attuale crisi socio-economica mondiale
propugnando le soluzioni più disparate e congeniali per
uscirne, una delle parole maggiormente ricorrenti, spes-
so evocata in un‟accezione risolutrice, quasi salvifica, è
CAMBIAMENTO.
Già di per sé il termine suscita un certo grado
d‟apprensione, che cresce nella misura in cui il cambia-
mento si prefigura rilevante e radicale, ma soprattutto
imposto.
Cambiamento di cosa e per chi è la domanda che inevi-
tabilmente segue.
Una risposta plausibile non credo possa prescindere dal-
la comprensione delle cause generanti la crisi, per evita-
re che si ripresentino, e dal conseguente definitivo riget-
to delle condizioni socio-economiche da esse generate.
Sintetizzando al massimo, le cause strutturali
dell‟odierna crisi globale si
possono ricondurre, nei Paesi
più industrializzati e ormai da
un quarto di secolo, al predo-
minio di un modello di econo-
mia liberista con la derivante
utopia di un Mercato autorego-
lante capace, per i suoi fautori,
di produrre ricchezza e favori-
re il benessere a tutti i livelli
della società.
Nella realtà, le politiche eco-
nomiche a livello mondiale,
che hanno sostenuto la chime-
ra di un Mercato senza regole,
hanno prodotto devastanti ef-
fetti di carattere sociale, come la “disumana” distribuzio-
ne del reddito, a scapito delle fasce sociali medio - basse
e del lavoro dipendente.
Non solo, il mercato finanziario sregolato ha poi deter-
minato le condizioni e, nel tempo, sostenuto la propen-
sione dei grandi investitori mondiali, degli industriali ,
degli imprenditori ad impegnare ingenti capitali nel ri-
schio dei mercati borsistici-azionari , attraverso la crea-
zione di sempre più artefatti strumenti finanziari (es.
derivati) che non contribuiscono certo a creare presuppo-
sti di valore aggiunto per la collettività, in quanto non
hanno alcuna attinenza diretta con il Lavoro “fisico”; si
pensi che alla fine del 2011 il valore dei derivati sul
mercato mondiale valeva circa dieci volte il Prodotto
Interno Lordo globale.
Cosa sono?
I GAS sono soggetti associativi senza scopo di lucro costituiti al fine di svolgere attività di acquisto collettivo di beni
e distribuzione dei medesimi, con finalità etiche, di solidarietà sociale e di sostenibilità ambientale.
Sono formati da un insieme di persone (gruppi) che decidono di incontrarsi per acquistare all‟ingrosso prodotti ali-
mentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro.
Si costituiscono, in genere, anche per favorire la riflessione sui temi dell‟alimentazione con prodotti biologici,
l‟acquisto dei prodotti stessi a prezzi accessibili e per stabilire patti fiduciari tra consumatori e produttori (soprattutto
locali).
L‟adesione ai GAS può dunque non avere come fine principale il risparmio (non sempre garantito), ma
l‟acquisizione progressiva di un diverso stile di vita, più sobrio, che favorisca la socializzazione e gli scambi di cono-
scenze ed eventualmente beni tra i soci e permetta di stabilire un rapporto diretto e personale con i produttori.
Criteri solidali per la scelta dei prodotti
I gruppi cercano prodotti provenienti per lo più da piccoli produttori locali per avere la possibilità di conoscerli diret-
tamente e per ridurre l‟inquinamento e lo spreco di energia derivanti dal trasporto.
Inoltre si cercano prodotti biologici o ecologici che siano stati realizzati rispettando le condizioni di lavoro dei dipen-
denti.
Divisione dei compiti dentro il Gruppo
Nei GAS ognuno ha un compito specifico: le cose da fare non mancano. Bisogna essere disposti a “mettersi in gioco”
concretamente dedicando qualche briciola del proprio tempo anche alle attività del gruppo, naturalmente su base vo-
lontaria.
Si possono creare diversi sottogruppi, ed ognuno di essi può organizzarsi in modo autonomo secondo modalità diffe-
renti, ciascuno con un compito diverso, ma integrato nell‟insieme.
Esempi:
C‟è chi fa il referente di un prodotto (contatti con il produttore, diffusione dei listini, raccolta degli ordini ecc.
C‟è chi gestisce la mailing list
C‟è chi organizza riunioni periodiche
C‟è chi lavora allo scarico dei prodotti e organizza il magaz-
zino
ecc...
Una rete
I Gruppi di acquisto si possono collegare fra di loro in una rete
che serve ad aiutarli e a diffondere questa esperienza attraverso lo
scambio di informazioni.
Si possono creare relazioni stabili tra diversi Gruppi di acquisto
su scala territoriale o di scambio di prodotti ecc...
Quanti sono?
Attualmente il Italia sono censiti oltre 600 GAS.
In Provincia di Sondrio ne esistono almeno tre:
“GAS CamBio-Morbegno e Bassa Valle”
“GASTELLINA” a Sondrio.
“GAS TIRANO” a Tirano.
GAS gruppi acquisto solidale Per una sperimentazione di filiera corta, locale, solidale, trasparente.
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Cambiamenti
Daniela Viori
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Cambiamenti
“Il fallimento dell‟obiettivo della felicità per tutti promessa dalla
società della crescita obbliga a interrogarsi sul contenuto della
promessa stessa.
Il sovraconsumo materiale lascia una parte sempre più consisten-
te della popolazione nella penuria e non assicura neppure un ve-
ro benessere agli altri. La ridefinizione della felicità come
“abbondanza frugale in una società solidale”: questa è la rottura
proposta dal progetto della decrescita. Una rottura che presuppo-
ne che si esca dal circolo infernale della creazione illimitata di
bisogni e di prodotti, come pure dalla frustrazione crescente che
questa genera, e contemporaneamente che si compensi attraverso
la convivialità l‟egoismo derivante da un individualismo ridotto a
una massificazione uniformizzante.”
La Decrescita Secondo Serge Latouche
“Non ci può essere una crescita illimitata in un pianeta le cui risorse
sono limitate e ormai sono stati raggiunti e superati i „limiti del
pianeta‟. La decrescita pertanto è necessaria per risparmiare all‟umanità la gravissima crisi alla
quale ci sta portando l‟attuale organizzazione economica e sociale”
“L‟attuale sistema agricolo non può nutrire un pianeta che nel 2050 raggiungerà quota 9 miliardi di
abitanti. Abbiamo già trasformato 18 milioni di ettari di foreste in deserto, ma nel 2050 non ci sa-
ranno più foreste da saccheggiare. Dobbiamo diminuire la nostra impronta ecologica, produrre ci-
bo che verrà mangiato localmente”
“Consumare meglio e realizzare l‟autonomia alimentare : ogni giorno 8 mila camion vanno
dall‟Italia alla Francia e viceversa per portare l‟acqua San Pellegrino da un lato e l‟acqua Evian
dall‟altro. Nel 2020 non ci sarà più petrolio per far camminare i camion”
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