Fogli della Comunità RIMANETE NEL MIO AMORE · 2016. 8. 12. · Si, perché si par-lava di amore e...

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Anno III - Numero 24 pro manuscripto 4/94 Maggio Fogli della Comunità v 1 IL NICODEMO RIMANETE NEL MIO AMORE Lo stesso che ha portato Dio a creare l’uomo, lo stesso che ha portato il Cristo a morire per noi, lo stesso che ha portato vostra madre a partorirvi di Nino Ragusa «Q uesto è il mio coman- damento: che vi amia- te gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv. 15,12). Ecco il Vangelo di questa domenica, il comandamento del Cristo ma, spesso, una dimenticanza per noi. «Allo scan- dalo! Qualcuno nel Nicodemo ha scrit- to che abbiamo dimenticato l’amore fraterno!» Forse non è vero, e io sono solo un pessimista, o forse avete dimen- ticato quella volta, quando il problema era tale che soli sapevate che non pote- vate farcela e avete chiesto aiuto e prontamente quel qualcuno ha aperto le braccia e detto con un sibilare affettuo- so «quanto mi dispiace. Ah se potessi aiutarti!» E poi vi ha aiutati? Certo, è anche vero che c’è ancora qualcuno di cui potersi fidare, a cui ap- pendere le nostre speranze, ma quanto è cambiato questo nostro mondo, quanto ha fatto la civiltà, la “libertà”; vi sono ancora gli eroi? Vi sono ancora i Salvo D’Acquisto? È vero che molti politici hanno rubato ma anche che molti hanno dato la vita per la loro città. Il bene e il male sono in continua lotta ma come far vincere il bene? «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i coman- damenti del Padre mio e rimango nel suo amore». (Gv. 15,10) Come può ancora l’uomo parlare di amore fraterno e non sentirsi anacroni- stico, fuori dal tempo, lontano dall’attuale ideologia della nostra socie- tà. La nostra società si è incamminata verso l’autodistruzione, si parla tanto di democrazia, chiarezza, intransigenza; tutte belle parole, pesanti nel significato ma che fanno da ombra di una realtà primordiale che viene nominata poco o addirittura rifuggita. Si sta perdendo la “realtà morale”: i miei nonni ripetono incessantemente “non c’è chiù cunte- gnu” ovvero non c’è più freno. Il sesso, la droga, il vandalismo, il razzismo, la minigonna, il nudismo, la pornostar onorevole, tutto è lecito, è moda, è pro- gresso. Ma la famiglia, il nucleo familiare, il pilastro della società è ormai ritenuto un obsoleto sistema di costruzione della società, tanto da ritenerlo non indispen- sabile. “Sposarsi? In Chiesa? Perché mai? È più facile convivere, poi se un giorno mi stanco del partner lo lascio e me ne cerco un altro. I Figli? No, non ci sentiamo pronti, delle pesti che pian- gono sempre, che mangiano, sporcano, si ammalano e i soldi che non sono mai sufficienti; troppi problemi, preferisco di no!” E allora tu lettore per chi voti: per un pilastro che si chiama famiglia o per un pilastro che si chiama progres- so, libertà? Attento a rispondere perché se voti per la seconda possibilità e vivi in una famiglia, vattene di casa, non hai il diritto di viverci, a Natale o a Pasqua vai a mangiare solo, per il tuo compleanno non pretendere che il 1 Amore incondizionato Una Madre dà e basta di Rosa Maria Sciotto N ei miei ricordi più belli, c’è mia madre che culla sulla sedia mia sorella neonata mentre intona per lei una ninna nanna. Ricordo le parole e il motivo canti- lenante che accompagnavano il suo sonno, allora io prendevo la mia bambola preferita e la imitavo. Ades- so se penso che un giorno avrò un bambino so già che ripeterò dei gesti che non saranno solo miei perché li ho ricevuti in eredità e li ho consoli- dati nel tempo attraverso i miei giochi d’infanzia. Questa piccola esperienza perso- nale non è che un esempio insignifi- cante di ciò che ognuno di noi apprende da sua madre, c’è tutto un bagaglio di atti, gesti, insegnamenti, emozioni sguardi parole dette o il più delle volte taciute che arricchisce e rende più intenso il legame ma- dre-figlio. Questo vincolo è così forte che non svanisce col tempo, si evolve in un rapporto diverso man mano che il figlio cresce, ma resta sempre una manifestazione di una relazione affet- tiva indissolubile. C’è un mix di istinto primordiale e intelligenza che caratterizza il rapporto di qualsiasi madre con il proprio figlio nel susseguirsi delle generazioni; per Parrocchia S. Maria della Visitazione Pace del Mela

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Anno III - Numero 24 pro manuscripto 4/94 Maggio

Fogli della Comunità

v

1

IL NICODEMO

RIMANETE NEL MIO AMORELo stesso che ha portato Dio a creare l’uomo, lo stesso che ha portato il Cristoa morire per noi, lo stesso che ha portato vostra madre a partorirvi

di Nino Ragusa

«Questo è il mio coman-damento: che vi amia-te gli uni gli altri,come io vi ho amati»

(Gv. 15,12).Ecco il Vangelo di questa domenica,

il comandamento del Cristo ma, spesso,una dimenticanza per noi.«Allo scan-dalo! Qualcuno nel Nicodemo ha scrit-to che abbiamo dimenticato l’amorefraterno!» Forse non è vero, e io sonosolo un pessimista, o forse avete dimen-ticato quella volta, quando il problemaera tale che soli sapevate che non pote-vate farcela e avete chiesto aiuto eprontamente quel qualcuno ha aperto lebraccia e detto con un sibilare affettuo-so «quanto mi dispiace. Ah se potessiaiutarti!» E poi vi ha aiutati?

Certo, è anche vero che c’è ancoraqualcuno di cui potersi fidare, a cui ap-pendere le nostre speranze, ma quanto ècambiato questo nostro mondo, quantoha fatto la civiltà, la “libertà”; vi sonoancora gli eroi? Vi sono ancora i SalvoD’Acquisto? È vero che molti politicihanno rubato ma anche che molti hannodato la vita per la loro città. Il bene e ilmale sono in continua lotta ma come farvincere il bene?«Se osserverete i mieicomandamenti, rimarrete nel mioamore, come io ho osservato i coman-damenti del Padre mio e rimango nelsuo amore».(Gv. 15,10)

Come può ancora l’uomo parlare diamore fraterno e non sentirsi anacroni-stico, fuori dal tempo, lontanodall’attuale ideologia della nostra socie-tà. La nostra società si è incamminataverso l’autodistruzione, si parla tanto didemocrazia, chiarezza, intransigenza;tutte belle parole, pesanti nel significatoma che fanno da ombra di una realtàprimordiale che viene nominata poco oaddirittura rifuggita. Si sta perdendo la“realtà morale” : i miei nonni ripetonoincessantemente“non c’è chiù cunte-

gnu” ovvero non c’è più freno. Il sesso,la droga, il vandalismo, il razzismo, laminigonna, il nudismo, la pornostaronorevole, tutto è lecito, è moda, è pro-gresso.

Ma la famiglia, il nucleo familiare, il

pilastro della società è ormai ritenuto unobsoleto sistema di costruzione dellasocietà, tanto da ritenerlo non indispen-sabile. “Sposarsi? In Chiesa? Perchémai? È più facile convivere, poi se ungiorno mi stanco del partner lo lascio eme ne cerco un altro. I Figli? No, nonci sentiamo pronti, delle pesti che pian-gono sempre, che mangiano, sporcano,si ammalano e i soldi che non sono maisufficienti; troppi problemi, preferiscodi no!”

E allora tu lettore per chi voti: perun pilastro che si chiama famiglia oper un pilastro che si chiama progres-so, libertà? Attento a rispondere perchése voti per la seconda possibilità e viviin una famiglia,vattene di casa, nonhai il diritto di viverci , a Natale o aPasquavai a mangiare solo, per il tuocompleanno non pretendere che il

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Amore incondizionatoUna Madre dà e basta

di Rosa Maria Sciotto

Nei miei ricordi più belli, c’èmia madre che culla sullasedia mia sorella neonatamentre intona per lei una

ninna nanna.Ricordo le parole e il motivo canti-

lenante che accompagnavano il suosonno, allora io prendevo la miabambola preferita e la imitavo. Ades-so se penso che un giorno avrò unbambino so già che ripeterò dei gestiche non saranno solo miei perché liho ricevuti in eredità e li ho consoli-dati nel tempo attraverso i miei giochid’infanzia.

Questa piccola esperienza perso-nale non è che un esempio insignifi-

cante di ciò che ognuno di noiapprende da sua madre, c’è tutto unbagaglio di atti, gesti, insegnamenti,emozioni sguardi parole dette o il piùdelle volte taciute che arricchisce erende più intenso il legame ma-dre-figlio.

Questo vincolo è così forte chenon svanisce col tempo, si evolve inun rapporto diverso man mano che ilfiglio cresce, ma resta sempre unamanifestazione di una relazione affet-tiva indissolubile.

C’è un mix di istinto primordiale eintelligenza che caratterizza il rapportodi qualsiasi madre con il proprio figlionel susseguirsi delle generazioni; per

ParrocchiaS. Maria

della VisitazionePace del Mela

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(continua... Rimanete nel mio amore)papà o la mamma o i nonni o i figli sia-no con te a festeggiarlo, tutto ciò non ècontemplato nellaversione progresso.

Potrete chiedervi cosa c’entri la fa-miglia o i figli con il Vangelo di oggi?Ve lo siete chiesto?

Beh mi dispiace, forse avete dimen-ticato cos’è l’Amore. Si, perché si par-lava di amore e nulla può esistere senon vi è amore, lo stesso che ha portatoDio a creare l’uomo, lo stesso che haportato il Cristo a morire per noi, lostesso che ha portato vostra madre apartorirvi.

«Rimanete in me e io in voi. Come iltralcio non può far frutto da se stesso senon rimane nella vite, così anche voi senon rimanete in me. Io sono la vite, voii tralci. Chi rimane in me e io in lui, famolto frutto, perché senza di me nonpotete far nulla... Se rimanete in me e lemie parole rimangono in voi, chiedetequel che volete e vi sarà dato.» (Gv.15,4-5-7).

Solo nell’amore di Dio potremo darbuoni frutti, solo se osserveremo i suoiComandamenti, solo se stenderemo lamano pietosa verso il fratello povero,solo così potremo chiedere il Regno deiCieli.

Eccolo Padre Santino si avvia al leg-gio, proclama il Vangelo della Domeni-ca, poi, alla fine, alza gli occhi e sichiede,«Chissà se oggi hanno capitoche il Vangelo parlava di amore frater-no?», non ha dubbi eincomincia subi-to l’omelia. r

In questo numero:

(continua... Una Madre...)

questo non pensiamo ancora questorapporto, malgrado lo studio dei fe-nomeni relazionali sia ormai panequotidiano, come ad un qualcosa diassolutamente scontato, prevedibile.

Le nostre vite, infatti, sebbene si arric-chiscano di esperienze personali riman-gono impresse del sigillo indelebile dellanostra infanzia fatto essenzialmente diamore dato gratuitamente.

La ricchezza più grande per l’uomo èproprio l’esperienza del dono di sé e ledonne sono fortunatissime perché hannola possibilità di dare la vita, di usare ilproprio corpo come prima culla per laloro creatura.

Hanno l’esclusività di una esperienzaesaltante e sono le protagoniste del mira-colo che proietta la vita al di là dellebarriere dell’esistenza finita dell’uomo.

Non a caso qualche attore famoso siè fatto fotografare con un pancione inbella mostra, segno di un po’ d’invidiaverso il sesso femminile per la possibilitàdi generare.

Non voglio fare un’esaltazione a tutti icosti del legame di sangue tra madre e fi-glio, non credo che conti solo il vincolobiologico perché l’unica cosa importanteè la capacità di donare amore e questolo può fare altrettanto bene un genitoreadottivo. In questo caso anzil’abnegazione è ancora più lodevole datal’assenza di questo legame naturale.

Non voglio nemmeno sminuire la fi-gura paterna e la sua essenzialità, perònon bisogna scordare che l’amore di unpadre, bisogna conquistarlo attraverso uncomportamento che meriti la sua appro-

vazione.Non a caso le religioni monoteistiche

scelgono un Dio da venerare che è buo-no ma è anche capace di dare delle pu-nizioni per gli errori degli uomini e checoncede il perdono solo se c’è un ravve-dimento della propria creatura.

L’amore di una madre invece è qual-cosa di assolutamente incondizionato,prescinde da qualsiasi valutazione delcomportamento del proprio figlio, nonutilizza dei parametri per decidere se dareo non dare amore. Una madre dà e ba-sta. Per questo ritengo (forse gli psicologinon sarebbero molto d’accordo con me)che la nostra personale capacità di ama-re dipenda notevolmente dall’amore chenoi abbiamo ricevuto da nostra madreperché non abbiamo chiesto nulla ed ab-biamo avuto moltissimo.

Non stupisce, allora, che chi più, chimeno tra gli scrittori, abbia dedicato al-meno un verso alla propria madre, che icantanti abbiano fatto altrettanto con leloro canzoni. Ci sono pagine che com-muovono per la loro intensità, come ac-cade ad esempio nella laude di Iacoponeda Todi che canta lo strazio di Maria da-vanti al Figlio crocifisso: perché per unamadre non c’è esperienza più soffertache sopravvivere al proprio figlio!

Pochi non hanno letto del dolore diMaruzza la Longa ne “I Malavoglia” cheha assistito alla distruzione della propriafamiglia.

O ancora la crudezza di una storiaraccontata ne “La città della gioia” diDominique Lapierre dove una donna in-diana sceglie di sacrificare il figlio cheporta in grembo vendendolo ad unuomo di pochi scrupoli, intermediario diuna casa di cosmetici, per non far moriredi fame tutti gli altri figli che erano a casama che non l’hanno vista più tornare.

Adesso c’è un giorno di maggio dedi-cato a tutte le mamme, forse è poca cosavisto che a ricordarlo per la maggior par-te sono solo i bambini e che si portanoin dono solo dei fiori. Faremmo meglio aricordare le nostre madri anziane o mala-te o addolorate per la nostra indifferen-za dovuta forse alla ricerca delbenessere materiale ad ogni costo,farle partecipi della nostra vita perchéa buon diritto possono dire che unpo’ è anche la loro. r

Rimanete nel mio amore . 1Amore incondizionato. . . . 1Lettera del Papa . . . . . . 3Amore di un adolescente . 4I giovani e il Vescovo . . . 4Quale Federalismo . . . . . 5Ripensare all’Africa . . . . . 65 Anni di storia . . . . . . 7Il mito dei Nirvana . . . . . 8Schindler’s List . . . . . . . 9Scuola Pubblica e . . . . . 10Con la tunica.. la gioia... . 11Ti ha dato se stesso . . . 12Farsi prete oggi . . . . . . 12Lui mi ha chiamato . . . . 131° Maggio. . . . . . . . . . 14Il dramma antico . . . . . . 15Avvolti da Dio Padre. . . . 16

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Maggio '94 Il Nicodemo 3

LETTERA DEL PAPA ALLE FAMIGLIE“Libero amore” ... “Passioni dell’anima” ... o ancora famiglia come fulcro dell’amore?

di Mimmo Reitano

Come tutti sanno il 1994 è statoproclamato, da parte delle Na-zioni Unite, come anno inter-nazionale della famiglia e

sembra quindi quanto mai opportuno ri-flettere su questo tema perché riteniamoche la famiglia sia base fondamentaleper una vera crescita spirituale. Il Papa,su questo argomento, ha da poco scrittouna “Lettera alle Famiglie”. Cerchere-mo di approfondire alcuni temi trattati,compito molto arduo, viste le grandiquantità di problematiche che GiovanniPaolo II ha affrontato in questa sua“Lettera”.

Viene innanzitutto affermato che lafamiglia è da considerare la via più im-

portante, fra le numerose stra-de, perché si compia lamissione della Chiesa sulla ter-ra. Infatti il Mistero Divinodell’incarnazione del Verbo èin stretto rapporto con ogni fa-miglia umana perché il figlio diDio nell’incarnazione si è unitoad ogni uomo. Quindi comeGesù è venuto sulla terra perservire così la Chiesa considerail servizio alla famiglia comecompito essenziale tanto da in-dicare sia l’uomo che la Famiglia come“Via della Chiesa”. Vi è quindi unaesortazione da parte del Papa affinché,lungo tutto quest’anno, si possa risco-prire il dono dell’amore e della cura as-sidua della Chiesa per la Famiglia,perché questa ritorni ad essere conside-rata come “Chiesa Domestica” cosìcome agli inizi del Cristianesimo.

Il Papa, trattando poi il tema dellapaternità-maternità, esorta le famiglieaffinché attraverso questa cresca la for-za di rinnovarsi nell’amore. Infatti, invirtù del patto coniugale, i due si uni-scono così da diventare “una sola car-ne” e la loro unione si deve realizzarenella verità e nell’amore. Dio stesso èpresente nella paternità-maternità, poi-ché solo attraverso Lui la generazionepuò essere la continuazione della “crea-zione”. La nuova creatura umana deveessere voluta dai genitori così come èvoluta da Dio “per se stessa”. La nascitadeve rappresentare non solo un compitodi natura semplicemente fisica ma an-

che spirituale perché, attraverso essa,passa la genealogia della persona che hail suo inizio in Dio ed a Lui deve con-durre. È indispensabile quindi, perchéquesta unione sacramentale dei due,possa sempre più consolidarsi, che lapreghiera diventi elemento dominante.In ogni famiglia è necessario che il pre-gare sia una abitudine radicata nella vitadi tutti i giorni. La preghiera è renderegrazie e lode a Dio, perdono, supplica einvocazione. La preghiera è il modo piùsemplice perché si manifesti il ricordodell’uomo da parte di Dio. Il matrimo-nio, continua il Papa, è indissolubileperché rappresenta dono della personaalla persona, dono quindi vicendevole

che manifesta il carattere sponsaledell’amore. I coniugi, che attraversol’atto coniugale possono diventare geni-tori, devono prendere coscienza di esse-re diventati padre e madre. Sia l’uomoche la donna non possono non ricono-scere o accettare il risultato di una lorolibera decisione e devono quindi pren-dere tutte le responsabilità della nuovavita di fronte a se stessi e agli altri. LaFamiglia deve essere il luogo dove sideve sviluppare ed ampliare la culturadell’amore o, come Paolo VI diceva, la“civiltà dell’amore”. Infatti la famigliaè il centro, è il cuore della civiltàdell’amore perché l’uomo, creato daDio a Sua immagine e somiglianza, nonpuò ritrovarsi con Lui se non attraversoil dono sincero di se. L’amore deve es-sere sempre vissuto alla ricerca del benedella persona e della comunità non devequindi esistere l’egoismo perché questosi oppone alla “civiltà dell’amore”.Ogni uomo e ogni famiglia deve donar-si agli altri sinceramente perché donare

è la dimensione più importante della ci-viltà dell’amore. Anche il cosiddetto“libero amore” rappresenta un pericolo,ancora maggiore per l’uomo, in quantoviene proposto come frutto di sentimen-to vero ma in realtà distrugge l’amore.Esso rappresenta, come li chiama S.Tommaso, “passioni dell’anima”, se-guire cioè l’impulso affettivo in nomedi un amore libero da condizionamentirendendo l’uomo schiavo di questiistinti umani. Compito fondamentaledella famiglia è l’educazione, che deveessere considerata un vero e proprioapostolato. Accanto ad essa, nella mis-sione educativa, vi sono la Chiesa e loStato, secondo una corretta applicazio-

ne del principio di sussidia-rietà, che servono acompletare l’azione dei ge-nitori. Ogni altro parteci-pante al processo educativo,deve operare in nome delgenitore con il suo consensoe su suo incarico. Anchequando il figlio, nel suocammino educativo, incon-trerà nuovi ambienti e nuo-ve persone che potrannoesercitare in lui un influsso

educativo o diseducativo rimarrannosempre presenti i principi morali appre-si. I genitori però non devono limitarsiad affidare i figli, per quanto riguardal’educazione religiosa, ad istituzioni ec-clesiali o scuole gestite da sacerdoti, madevono continuare nella loro costanteed attiva presenza educativa. Devonovalorizzare la scelta vocazionale ed inessa la preparazione. Infatti nonostantela Chiesa promuova sempre dei corsi dipreparazione al matrimonio non va di-menticato che è compito dei genitoripreparare i figli alla futura vita di cop-pia. Ecco, dunque, alcuni punti della“Lettera alle Famiglie” scritta dal Papa,punti su cui ogni uomo e ogni famigliadeve riflettere, meditare ma, soprattutto,operare perché ogni famiglia diventi ve-ramente fulcro vitale di amore, nucleoda cui parte e si espande la comunionedella Trinità Santa fonte di Grazia eSalvezza. r

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23 Aprile a S. Filippo del Mela

I giovani della Valle del Mela con il Vescovodi Micaela Parisi

E’raro che tra i giovani sivivano momenti di veraf r a t e l l a n z a , e s s e n d oognuno di noi chiuso nel-

la sua ristretta cerchia di amici equasi isolato nei confronti delleesperienze di altre persone o di altrigruppi di persone. L’incontro giova-ni, voluto dal nostro ArcivescovoMons. Ignazio Cannavò e organizza-to dai gruppi parrocchiali facentiparte della valle del Mela, è stato unmomento importante per i molti gio-vani che vi hanno partecipato.Entrare nella Chiesa dei Santi Filip-po e Giacomo a San Filippo delMela e cogliere lo straordinario col-po d’occhio dei banchi pieni di ra-

gazzi e ragazze pronti a vivereun’esperienza “diversa” mi ha colpi-to profondamente; si intuiva subitoche tutti noi eravamo presenti pro-pr io perché avevamo cap i tol’importanza di un incontro che po-teva rappresentare una comune cre-scita nella fede. Così, all’arrivodell’Arcivescovo, abbiamo iniziato acantare gioiosamente e subito dopoci siamo apprestati ad ascoltare laParola di Dio.

E proprio prendendo spunto dal-la lettura di un brano tratto dal Li-bro della Sapienza si è svoltosuccessivamente, nel salone dellaChiesa, un animato dibattito sultema “Una vita diversa”. Per primo

ha preso la parola il relatore, Seba-stiano Puliafito, studente di Architet-tura a Reggio Calabria econtemporaneamente di Teologia aMessina, che ha messo in evidenzal’aspetto più profondo del brano ecioè lo scarso significato cristianoche assume, ogni giorno di più, lavita dell’uomo comune, impegnatonella lotta quotidiana per la conqui-sta del potere o di una migliore posi-zione sociale.

Emergeva quindi nelle sue paroleun forte pessimismo nei confronti delfuturo perché, a suo parere, sarebbesempre più difficile trovare personedisposte a sacrificare i propri egoismiper il bene comune e soprattutto a vi-

AMORE DI UN ADOLESCENTEdi Fabrizio Schepis

Il significato della parola “Amo-re” è l’affetto reciproco di duepersone, ma per l’adolescente haun significato meno profondo di

quello che è in realtà. In un linguag-gio gergale si usa dire “cotta” quelladimostrazione di affetto che provaun adolescente verso una ragazza oviceversa, ma questo sentimento vie-ne preso un po’ alla leggera dal ra-gazzo nella fase di sviluppo che èappunto l’adolescenza.

In ogni maniera si cerca di con-quistare il partner o la partner scelti:tutto ciò è un fatto naturale che è av-venuto, avviene ed avverrà sempre,ma in età adolescenziale non si haancora la maturità per capire ciò chedeve avvenire in una coppia vera epropria. Ciò si potrà verificare soloquando si sarà raggiunta la maggioreetà. Anche questo è uno dei problemiche affliggono l’adolescente, crean-do in lui dei pensieri errati di ciò cheè il vero significato della parola“amore”, una parola troppo grandeda dire per un ragazzo di appenaquattordici anni, il quale haun’intera vita davanti a sé per sco-

prire il vero contenuto che vi è inquesta parola.

In questa fase delicata di crescita,per il ragazzo bisognerebbe ampliare

questo sentimento e trasformarlo inuna vera e propria amicizia da “colti-vare” nel tempo, ma purtroppo non èun’impresa semplice e l’unico che vipuò riuscire è il tempo; quello che civuole per far capire al ragazzo dinon bruciare le “tappe” della vita edi non avere fretta nel crescere.

Molti ragazzi, non avendo unvero e proprio colloquio con i geni-tori e non avendo chiarito dei dubbi,si fanno un’idea sbagliata di questosentimento e purtroppo poi ne ven-gono a conoscenza troppo tardi percorreggersi.

L’aiuto dei genitori in questa fasedi sviluppo è fondamentale per il ra-gazzo ma, ancora più fondamentale èil vero colloquio che si dovrebbeavere con essi, cosa ormai scompar-sa in molte famiglie. Ciò natural-mente comporta delle graviconseguenze all’adolescente, il qua-le, non avendo persone con cui par-lare, agisce con il proprio istinto,senza seguire la ragione, e così quelpunto fisso che sono i genitori, vascomparendo, proprio perché il ra-gazzo non è venuto a conoscenza deiveri valori della vita ormai perduti inquesta nuova civiltà alle soglie delDuemila, basata su cose materiali enon sui sentimenti, per cuil’adolescente inevitabilmente devesoccombere. r

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vere avendo come fine principale ilraggiungimento della Santità. Hamolto colpito tutti i giovani presenti ilparagone che ha usato per spiegarequale dovrebbe essere il vero mododi intendere la vita per un vero segua-ce di Cristo, e cioè quello del salmoneche affronta innumerevoli sacrifici perrisalire la corrente e scalare le rapidefino ad arrivare alla sorgente del fiu-me dove depone le uova e poi muorespossato dalla fatica. Proprio su que-sto argomento si sono inseriti gli inter-venti successivi da parte dei giovanidelle diverse Parrocchie che hannomirato tutti a sottolineare la difficoltàdi costituire dei gruppi formati da ra-gazzi e ragazze che hanno come sco-po l’apprendimento degliinsegnamenti di Cristo o molto piùsemplicemente un “diverso” modo diintendere la vita nei suoi significatipiù veri.

Ogni gruppo presente rappresenta-va una vittoria su molti problemi og-gettivi: l’assenza di un sacerdote che liguidasse nel loro cammino di fede, lascarsa attenzione da parte degli adultiimpegnati in altri problemi, la man-canza di luoghi dove incontrarsi e cre-scere insieme.

Successivamente, dopo moltissimiinterventi, ha preso la parolal’Arcivescovo che ha valutato inmodo molto positivo la nostra presen-za, l’attenzione che abbiamo dimo-strato per i problemi nostri e degli altrigruppi parrocchiali, ma soprattutto ildesiderio molto forte di rinnovare alpiù presto l’esperienza vissuta e diriincontrarci con l’intento di migliora-re sempre di più il nostro modo di sta-re insieme e di vivere la fede.

Degna conclusione della serata èstato un momento molto allegro di ri-storazione con focaccia e bibite, chehanno certamente contribuitoall’ottima riuscita dell’incontro.

Alla fine, tornando a casa ho avu-to l’impressione di aver vissuto unaserata veramente “diversa”, di grandecomunicazione con i miei coetanei esoprattutto di grande gioia nel capirecome l’orizzonte dei miei interessi sifosse allargato notevolmente. r

QUALE FEDERALISMO?Federare significa unire e non dividere, accordarsi enon separarsi, incontrarsi e non allontanarsi! Questoè l’equivoco di fondo nel quale vogliono farci cadere ip e r i c o l o s i i d e o l o g i d e l s e p a r a t i s m o !

di Carmelo Pagano

“ Federalismo": che cosaracchiude e per qualiscopi è usata questa pa-rola così bramata ed

esaltata da alcuni e tanto temuta da al-tri?

Quali sono, in realtà, le differenze traStato Unitario, Stato Federale e StatoConfederale?

Uno Stato è Unitario, dal punto di vi-sta delle potestà di governo, quando lecitate potestà siano concentrate mate-rialmente in un’unica struttura. Inquest’ottica non esistono molti casi diStati completamente unitari ed accen-trati ma, piuttosto, degli Stati in cui il de-centramento legislativo edamministrativo è, più o meno, realizzato.

All’estremo opposto dello Stato com-pletamente accentrato vi è lo Stato Con-federale.

Esso è, infatti, costituito daun’unione di più Stati indipendenti che siuniscono per il conseguimento di scopicomuni.

Ciò da’ vita ad una sorta di società diStati: la Confederazione, appunto, i cuipoteri vengono esercitati solo nei con-fronti degli organi esecutivi degli Statipartecipanti e non nei confronti dei sin-goli cittadini degli Stati stessi.

Nella Confederazione, cioè, la pote-stà di imperio degli organi preposti vieneesercitata solo sugli apparati di governodegli Stati membri e non sui cittadini.Questi ultimi saranno soggetti soltantoal governo dei singoli Stati di apparte-nenza.

Lo Stato Confederale, propriamentedetto, non ha, quindi, un unico territorio,non ha un unico popolo, non ha una po-testà di governo diretta nei confronti del-la popolazione.

Anche di questa forma di Stato esi-stono nel mondo solo pochissimi esem-pi: la stessa Svizzera, pur conservandola vecchia denominazione di Confedera-zione Elvetica, è, in realtà, uno StatoFederale.

Da queste considerazioni discendela conseguenza che per la quasi totalità

degli Stati si può parlare di Stati Federa-

li.

Quasi tutti, cioè, sono organizzati inmodo che le potestà legislative, esecuti-ve e giurisdizionali vengano decentrate.La differenza tra di essi sta, invece, neltipo e nell’intensità del decentramentoattuato.

Decentramento che può essere affi-dato sia ad entità pubbliche non territo-riali sia ad enti pubblici territoriali sia adentrambi.

Lo Stato Federale ha un popolo, unterritorio ed un governo: è quindi unaNazione!

L’Italia, checché ne dicano i leghisti,è già uno Stato Federale anche se per ilnostro paese è più usato il termine diStato Regionale. Infatti, non soltantoparte delle potestà di governo ma ancheparte di quelle legislative sono costitu-zionalmente decentrate alle Regioni.

Queste ultime esercitano i loro poteritramite le Province ed i Comuni.

L’obiettivo di chi parla e bramad’amore per il federalismo è, in realtà,un altro.

Il professor Miglio ed accoliti sannobenissimo che l’Italia è già strutturata fe-deralmente, ma chiedono l’attuazione di

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forme di federalismo più esasperate perpoter più facilmente raggiungere il lorovero scopo: la secessione e la creazio-ne della Repubblica del Nord.

Il problema principale dello Stato ita-liano, al di là delle strumentalizzazionifatte da Miglio, sta nel far funzionare almeglio l’apparato. Ciò potrebbe essereottenuto non già riorganizzando territo-rialmente lo Stato ma effettuando unmaggiore decentramento delle potestàattribuite agli organi centrali: quali, adesempio, la riscossione delle imposteed il controllo sulle evasioni.

Maggiori poteri e potestà di controllo,quindi, agli Enti Pubblici Territoriali ma éassolutamente da escludere lo smem-bramento dello Stato.

Ciò che si rende, invece, necessarioè lo snellimento delle procedure buro-cratiche ed il più diretto contatto fra cit-tadini ed enti pubblici, il fornire un’ampiaautonomia impositiva ai Comuni,l’eliminare gli enti pubblici inutili, il priva-tizzare dove necessario mantenendopubbliche, però, alcune strutture cardinedello Stato quali l’Istruzione, la Difesa, iTrasporti.

Federalismo, quindi, come maggioredecentramento e non come smembra-mento!

D’altronde, decentrare significhereb-be anche snellire ed accentuare le pos-sibilità di controllo sulla gestione dellacosa pubblica.

I leghisti hanno come loro cavallo dibattaglia le idee di Carlo Cattaneo, ma

Miglio per primo sa che il federalismo

del Cattaneo si basava sul mantenimen-

to dei valori e delle peculiarità delle real-

tà locali che dovevano, però, integrarsi

le une alle altre per dar vita ad uno Sta-

to unito.

Il Cattaneo non propugnava losmembramento dello Stato, ma la salva-guardia delle caratteristiche e delle incli-nazioni delle realtà locali. Unfederalismo come esaltazione di valorigenuini.

Egli contrapponeva ad un astrattoStato accentrato, la realtà viva degli entilocali. Il vero fine era quello di coordina-re la vita delle entità locali, nella più to-tale concordia, per un principio diprogresso comune e nazionale.

Lo stesso Gaetano Salvemini che daalcuni è contrapposto al Cattaneo comecampione del meridionalismo, diceva, ineffetti, le medesime cose, avendoanch’egli come fine ultimo l’unità dellaNazione attraverso la difesa dei valoridelle forze sane delle varie realtà locali.

Federare, quindi, significa unire enon dividere, accordarsi e non separar-si, incontrarsi e non allontanarsi. Questoè l’equivoco di fondo nel quale voglionofarci cadere i pericolosi ideologi del se-paratismo.

Da un punto di vista etico vi è un al-tro problema: la revisione delle leggi co-stituzionali, in base all’art. 138 dellanostra Costituzione, è possibile. Sareb-be, quindi, giuridicamente ineccepibileuna revisione, in senso maggiormentefederalistico, delle strutture dello Stato

ma ciò che è giuridicamente corretto tal-

volta si scontra con principi morali che

imporrebbero un diverso operare.

È corretto moralmente, oltre che giu-ridicamente, il riformare le strutture car-dine dello Stato senza interpellare ilpopolo sovrano? Certamente no!

Sarebbe, invece, opportuno che fos-se un’assemblea con un’ampia rappre-sentanza delle opposizioni a redigere glieventuali cambiamenti prima di sotto-porli al giudizio del popolo.

Non dimentichiamo e non facciamodimenticare ai governanti che in una de-mocrazia la piena sovranità è del popo-lo. I deputati alla cosa pubblicagovernano per una nostra delega e nonper un loro diritto assoluto.

Inoltre, ciascun parlamentare rappre-senta non soltanto gli elettori e la circo-scrizione in cui è stato eletto ma, comedispone l’art. 67 della Costituzione“Ogni membro del Parlamento rappre-senta la Nazione” ed “esercita le suefunzioni senza vincolo di mandato”.

In una democrazia chi volesse cam-biare radicalmente le regole dovrebbetenere conto della voce delle opposizio-ni, redigere con l’ausilio di esse un pro-getto di revisione costituzionale e poisottoporlo alla sovranità del popolo.

Nel caso in cui tutto questo non do-vesse avvenire saremmo veramente difronte al tentativo di uccidere la demo-crazia ed allora toccherebbe al popolo

difenderla tenacemente. r

Ripensare all’AfricaL’inculturazione è il processo con cui incarnare il Vangelo nella visione

della vita... per evitare che le diversità siano causa di conflittidi Anna Cavallaro

Dal 10 Aprile all’8 Maggio è incorso a Roma il primo Sinodoafricano, che ha per tema “LaChiesa in Africa e la sua mis-

sione evangelizzatrice, verso l’anno2000: «Mi sarete testimoni» (Atti 1, 8)”.

Nella relazione introduttiva il cardi-nale Hyacinthe Thiandaum ha eviden-ziato che “... l’Africa è satura diproblemi: in quasi tutte le nazioni, vi èuna miseria spaventosa, una cattiva am-ministrazione, delle rare risorse dispo-nibili, un’instabilità politica e undisorientamento sociale. Il risultato èsotto i nostri occhi: miserie, guerre, di-sperazione. In un mondo controllato

dalle Nazioni ricche e potenti, l’Africaè divenuta praticamente un’appendicesenza importanza, spesso dimenticata etrascurata da tutti”.

Giovanni Paolo II ha espresso il de-siderio che “... questo sia un sinodoafricano fino in fondo, che vada alle ra-dici stesse, mediante ciò per cui laChiesa in Africa è africana e allo stessotempo universale. Desideriamo che essoconfronti la vita di tutte le Chiesedell’Africa con il comandamentodell’Amore di Dio e del prossimo e contutto il messaggio cristiano della veritàmorale, che ha la sua dimensione perso-nale, familiare, sociale, nazionale

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Maggio '94 Il Nicodemo 7

1989-1994: 5 anni di storia... “IN DIRETTA”Sembra impossibile scindere il concetto di “guerra” dal concetto di “civiltà

occidentale”, ma il “villaggio globale” resta comunque una realtà.

di Lino Calderone

Ci sono delle date che imprimo-

no svolte radicali al processo

storico. Basti pensare a come

il 1492 abbia allontanato, dap-

prima lentamente, poi sempre più velo-

cemente, l’asse della storia dall’Europa.

Oppure a come il 1789 abbia contribui-

to a diffondere il concetto di libertà,

fondamento delle democrazie contem-

poranee.

Ogni epoca, per chi la vive, non è

storia ma semplice attualità. Ciò vale

anche per noi, in questi anni di fine se-

colo, nei quali il processo storico, es-

sendo ancora in divenire, sfuma in una

sorta di quotidianità che, spesso, ci im-

pedisce di attribuire ai singoli eventi la

loro effettiva portata. Nonostante que-

sto limite, tutti sono concordi nel rite-

nere il 1989 una di quelle date

fondamentali nel cammino umano. Sul

finire di quell’anno, infatti, cadeva il

muro di Berlino, trascinando con sé

certezze, incubi, illusioni, ideologie, di-

sfunzioni che mezzo secolo di guerra

fredda aveva consolidato. Da allora

sono passati solo 5 anni; un arco di

tempo breve ma ricchissimo

d’avvenimenti che hanno modificato

profondamente la geografia del mondo,

imponendo una rilettura completa del

passato e rendendo “freneticamente”

instabile il presente. La dissoluzione di

interi Stati, e in particolare dell’Unione

Sovietica, ha riportato alla ribalta antichi

popoli, costretti per decenni a convive-

re tra loro, ma ora galvanizzati al punto

di reclamare la propria indipendenza.

Dobbiamo ammetterlo: un po’ tutti,

ingenuamente, avevamo sperato che la

fine del bipolarismo USA-URSS introdu-

cesse una nuova era di pace e progres-

so tra le Nazioni. Paradossalmente, era

sembrato che ciò fosse confermato da

un evento tragico: la guerra del Golfo.

Contro Saddam Hussein si era, infatti,

creata una vastissima coalizione capace

di tenere assieme vecchi nemici e nuovi

alleati: gli Stati Uniti intervenivano mili-

tarmente col “placet” di Mosca; la Na-

zione araba inusualmente si

compattava; l’ONU diveniva di colpo il

punto di riferimento della politica mon-

diale. Tuttavia, non si trattava

dell’affermarsi di un nuovo ordine inter-

nazionale, quanto piuttosto di una serie

fortuita di circostanze tali da determina-

re un’ampia comunione d’interessi.

La violenza, quindi, continua ancor

oggi ad essere considerata un ovvio

strumento al quale ricorrere per risol-

vere controversie interne o internazio-

nali. Del resto, per dirla con un

pensiero del filosofo contemporaneo

Severino, sembra impossibile scindere il

concetto di “guerra” dal concetto di

“civiltà occidentale”, così come

quest’ultimo si è venuto ad affermare

sin dall’epoca dell’ellenismo. Perché

scompaia la prima, deve scomparire an-

che la seconda; il che presupporrebbe

uno sconvolgimento così profondo e ra-

dicale del nostro modo di vita che non

è possibile neanche teorizzare.

Il ventesimo secolo, dunque, si chiu-

de ancora all’insegna della guerra. Cer-

to: non si tratta più dell’apocalittico

scontro frontale tra le due superpoten-

ze nucleari temuto da decenni, quanto

piuttosto di tutta una serie di conflitti

locali non per questo meno dolorosi e

umilianti per l’umanità intera. Assistia-

mo, infatti, all’esplosione del regionali-

smo più esasperato. Esso fa leva spesso

su futili motivi, “travestendo” e giustifi-

cando la volontà di aggressione della na-

zione vicina con motivazioni religiose e

etniche, se non addirittura tribali. Re-

gionalismo e Nazionalismo sembrano

avere ultimamente invertito la tendenza

che fino agli anni `80 aveva spinto molti

Stati ad aggregazioni economiche e po-

litiche sempre più ampie, tali da rende-

re la comunità internazionale quasi

come un unico grande “villaggio globa-

le”. Proprio quest’ultimo concetto sem-

bra fomentare le varie tendenze

centrifughe che agitano le minoranze di

parecchi Stati, come se con una simile

reazione si volesse evitare la perdita

della propria identità culturale, etnica,

religiosa e politica.

Il “villaggio globale”, nonostante al-

cune sue implicazioni negative, dovreb-

be essere inteso piuttosto come una

comunità nella quale i membri sono le-

gati da costruttivi vincoli di cooperazio-

ne ed aiuto reciproco. Che si voglia o

no, esso è già realtà. Non si può negare,

infatti, l’esistenza di una profonda inter-

dipendenza tra i vari Stati del mondo, al

punto che il malessere di uno di essi si

riflette inevitabilmente su tutti gli altri.

Un esempio pratico può far capire me-

glio questo concetto: l’attuale crisi eco-

nomica mondiale è dovuta

indubbiamente a una molteplicità di fat-

tori. Tuttavia, essa si sta prolungando

anche perché un singolo Stato (la Ger-

mania) sta tentando di riversare sulla

Comunità internazionale i costi della

sua riunificazione. A tale scopo mantie-

ne alti i propri tassi d’interesse, costrin-

gendo gli altri Stati a fare altrettanto,

ritardando la ripresa. Quest’ultimo in-

troduce sulla nostra analisi l’elemento

economico, che da sempre è uno dei

motori più potenti (forse il più potente)

della storia dell’uomo.

Ma questo è proprio un altro discor-

so. r

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8 Il Nicodemo N. 24

KURT COBAIN SI E’ SPENTOMA IL MITO DEI NIRVANA “RISPLENDE” ANCORA

di CROMAE

E’ il 10 Aprile 1994 e una notiziasconvolgente strazia il cuore degliappassionati del grunge: Kurt Co-bain è morto!

Aveva solo 27 anni, sufficienti per esse-re stanco della vita e del mondo che lo cir-condava; un mondo che odiava, cosa chenon esitava a dire nelle sue canzoni. Avevaraggiunto il successo, ed i soldi non eranocerto un problema, aveva una moglie eduna bellissima bimba di due anni ed eraconsiderato uno dei più grandi talenti delgrunge.

Perché ha premuto il grilletto di quellapistola che, strappandolo alla vita, lo ha fat-to entrare nel “club dei maledetti”? Qualcu-no pensa che lo abbia spinto la paura chegli venisse sottratta dalle autorità la piccolaFrances, ma probabilmente voleva solo fug-gire dalla noia del successo tanto agognatosin da ragazzo.

Kurt era un tipo strano, che non era riu-scito ad integrarsi nella società; per lui lamusica, ed in particolare i Melvins rappre-sentano tutto e, proprio dall’incontro con unaltro fan di questo gruppo, il bassista KristNovoselic, nasce un gruppo: si chiamano“Ed” poi “Ted and Fred” ed infine “Nirvana”;subito dopo l’incisione dell’ormai mitico “Ble-ach” trovano un batterista fisso, Dave Grohl,ed insieme si avviano al successo che arri-va dirompente con Nevermind che tocca idieci milioni di copie vendute.

In breve sono divenuti rock-stars e nonhanno più mutato il loro nome “Nirvana”, trat-to dalla religione buddista che significa libera-zione dal dolore e dalle umane sofferenzeverso la vita eterna.

Ma come si può raggiungere questo?Non di certo conducendo una vita senza re-gole; come egli stesso diceva, aveva com-messo molti errori passando dall’eroina,all’alcool, alle risse.

La loro anima ribelle si manifestava pie-namente nei concerti, a conclusione dei qualispaccavano gli strumenti o demolivano gliamplificatori e ancor di più nei testi delle lorocanzoni. La ribellione voleva consumarsinell’autodistruzione e Kurt ha raggiunto pro-prio questo. Si è liberato dei giornalisti ipocritie dei fans privi di personalità che lo imitava-no ma che, sicuramente, non lo dimentiche-ranno e continueranno a credere nel fascinodell’acustico e riascolteranno l’album che haconsacrato il suo successo “In Utero”, del

quale vogliamo ricordare “Rape me” (Stupra-mi), ispirato al dramma delle donne musul-mane e croate che hanno subito violenze,composta con la collaborazione di Krist No-voselic che non vuole dimenticare le sue ori-gine slave.

La morte di Cobain ha sancito l’ingressodei Nirvana nella leggenda, nel mito, accantoa tanti altri celebri personaggi della musica,morti da giovani come Ritchie Valens (18anni), Jim Morrison (27), Jimi Endrix (27),Elvis Presley (42), John Lennon (40).

Il “club dei maledetti” sembra preferire imusicisti ma sarà colpa della musica? Asso-

lutamente no! Molti attribuivano a Kurtun’influenza malefica sul trio di Seattle. Lacolpa non era solo della star dei Nirvana madel successo che lo aveva sconvolto, tantoda fargli perdere completamente la testa fa-cendogli credere che con il suicidio avrebberaggiunto la pace interiore.

Non possiamo certo giustificarlo, tantomeno condannarlo in quanto non siamo noi igiudici. Resta comunque il fatto che un suici-dio è un atto poco lodevole, un modo forseun po’ troppo sbrigativo per dire “basta”, perfuggire da qualcosa o da qualcuno. La naturaumana sempre incline alla ricerca del buonoe del comodo, spesso, dimentica il “vero”,l’essenza, cioè, di quello che è insito in cia-scuno di noi e che rappresenta “il divenire”dell’uomo come entità fisica e morale nellarealizzazione di se stesso come Persona.

La vita è un dono e come tale va vissutaanche se ciò comporta sacrifici e rinunceche, senza dubbio, la rendono più significa-tiva ed emblematica.

Spesso, purtroppo, essa è vista comeun fardello pesante assegnatoci e non do-

nato solo perché altri hanno deciso per noi.Quante volte sentiamo tra i giovani frasicome: “Perché mi hanno portato in questomondo?”, “Ma che ci sto a fare io qua?”.Sono frasi agghiaccianti che testimonianol’esistenza di un vuoto nell’animo di chi lepronuncia e quel che più dispiace è chesono proprio “giovani”.

È necessario fare una riflessione per ca-pire che non si “gettano fuori” frasi del gene-re se non dettate da un lavorio interiore cheha le sue basi nella “pochezza” e nella “po-vertà” di sentimenti che caratterizzano lafragilità umana. È proprio nella presa di co-scienza di questa condizione che l’uomodeve avere la volontà e la forza di migliorar-si nella ricerca di una dimensione che lo av-vicini sempre di più all’immagine del suoCreatore per far si che il Progetto Divino sirealizzi.

Dove attingere tutto ciò? Senza dubbiodentro ciascuno di noi in quell’attimo in cui Dioha innestato la vita dando quei “talenti” neces-sari per cui ogni uomo deve realizzare sestesso all’insegna della celebrazione del Veroe del Buono che c’è in ciascuno di noi. Dob-biamo fare in modo che la nostra vita sia fontedi gioia, serenità e testimonianza di quei valoriche non sempre riusciamo ad estrinsecareperché spesso li offuschiamo col desiderio difrivolezza e piaceri momentanei.

Certo è che se Kurt Cobain avesse “sa-puto” leggere nel suo intimo, non avrebbecertamente compiuto quell’insano gesto.Pietà, dunque, per questo ragazzo che si èallontanato dalla “retta via” e che sulla suastrada non ha trovato un “buon Samaritano”che lo aiutasse, che lo curasse per fargli ri-scoprire la “luce” che sulla via di Damascoha accecato Saulo.

Auguriamoci, dunque, che quella “luce”illumini il cammino di noi giovani, che riescaad abbagliare tutti coloro che nella notte te-tra della droga dimenticano la loro originedivina prendendo strane sembianze ed affi-dando la loro preziosa esistenza a mani de-leterie e nefande.

Forti e sicuri della misericordia divina,però, ci auguriamo che lo sventuratonell’attimo più nero della sua tragedia abbiainneggiato a Dio dicendo: “Si, o Dio, il miobaluardo sei Tu, o mio Dio di misericordia”.Solo così il suo “sacrificio” non sarà statovano. r

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Maggio '94 Il Nicodemo 9

di Patrizia e Silvana Donato

“ SCHINDLER’S LIST”, lalista di Schindler, rac-conta la storia di milleebrei salvati da un im-

prenditore, Oskar Schindler, il quale,approfittando del “Free Labour” (mano-dopera gratuita) degli ebrei, li assumenella sua fabbrica privilegiata, dove itedeschi sono più malleabili.

Il film è tratto dal romanzo di Tho-mas Neuilly.

Il regista è Steven Spielberg, che,con questa pellicola, segna una svoltadalla linea prettamente avventurosa efantastica dei precedenti “Indiana Jo-nes” e “Jurassic Park”.

Spielberg afferma che si tratta di unfilm documento, ma, in realtà, è moltodi più.

Quando si pensa ad un filmsull’Olocausto, ci si aspetta una storiaraccontata con rabbia, con enfasi, comese il regista entrasse di prepotenza neglieventi, mutandoli parallelamente al suostato d’animo. In realtà, Spielberg faproprio il contrario: egli narra “sempli-cemente” i fatti perché conscio che di

per se stessi bastano a su-scitare orrore, rabbia edimpotenza nello spettato-re; qualsiasi giudizio ri-sulta, quindi, superfluo.

La nota dominante delfilm è la presenza ossessi-va della morte, resa anco-ra più angosciante dallamancanza di immaginicruente; essa non si vedema c’è.

“Scrivete i vostri nomisulle valige e lasciatele aterra, vi raggiungerannonei campi di lavoro” gridauna voce alla stazione.

Ma, poco lontano, altre vali-ge sono svuotate ed il lorocontenuto smistato e catalo-gato; ogni identità è dispersanel mucchio di foto che bru-cia.

Nelle cupe giornate, lacenere cade dal cielo sullestrade, sfiora gli abiti e lemani dei passanti, ricopreogni cosa, annuncia la mor-te, ma nessuno sembra cu-rarsene.

Un gruppo di donnenude entra nello stanzonedelle docce ad Auschwitz,

una porta pesante si chiude alle lorospalle, vengono spente le luci e, nelbuio, non è la morte che le spaventa, mal’attesa di un qualcosa che non si puòné vedere né prevedere.

Unica nota di colore, in un’interapellicola girata in bianco e nero, unsemplice cappottino rosso.

Può stupire la scelta di un soggettocosì banale; il cappottino, che appartie-ne ad una bambina, compare solo duevolte nel film: la prima, all’inizio, quan-do la bambina cerca di nascondersi du-rante l’evacuazione del ghetto diCracovia. Ha i capelli neri, sta ridendo;poi, quasi alla fine, un cappotto rossosgualcito su un mucchio di cadaveri.Solo quel cappottino rende nota la suaidentità: quanti colori sarebbero statinecessari per identificare oltre sei mi-lioni di ebrei? r

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri

Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera

Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

Che lavora nel fango

Che non conosce pace

Che lotta per mezzo pane

Che muore per un si o per un no.

Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome

Senza più forza per ricordare

Vuoti gli occhi e freddo il grembo

Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

Vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

Stando in casa andando per via,

Coricandovi alzandovi;

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

La malattia vi impedisca,

I vostri nati torcano la vita da voi.

Primo Levi

Schindler’s List, “Chiunque salvauna vita, salva il mondo intero”

Una scena del film di Spielberg

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10 Il Nicodemo N. 24

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Un problema di giustizia e di rispetto costituzionale

SCUOLA PUBBLICA E SCUOLA PRIVATALa scuola occupa un ruolo centrale ed è chiamata ad assolvere un delicato compito

di Giuseppe Capilli

Di recente, c’è stata occasioneper far riemergere la questio-ne del rapporto fra scuolapubblica e scuola privata. Ci

saranno sicuramente nuove occasionima intanto va subito detto che la que-stione, così come di norma viene posta,è sicuramente posta in modo sbagliato.In Italia infatti non vi sono scuole chenon siano pubbliche; sono pubbliche in-

fatti, sia le scuole statali, che le scuolenon statali. Ed è così che va posto ilproblema: le scuole infatti non vannodistinte fra pubbliche e private, inten-dendo per pubbliche “scuole aperte achiunque”, ma piuttosto fra scuole pub-bliche statali, i cui oneri, dunque sonosopportati dallo Stato, cioè da tutti, escuole pubbliche non statali i cui onerisono invece sopportati esclusivamenteda chi se ne serve, da chi sceglie di fre-quentarle.

Io credo di poter dare per assodatoche non ci sia da convincere nessunosul fatto che in ogni società, la scuolaoccupa o dovrebbe occupare un ruolocentrale ed è chiamata ad assolvere adun delicatissimo compito. Attraversol’opera della scuola infatti che, da unagenerazione a un’altra trasferisce saperie valori, ogni società garantisce la so-pravvivenza e il futuro di se stessa, oltrela durata temporale della vita dei sog-getti di cui è composta. Si pensi alle an-tiche civiltà: le città greche, Roma, lacultura egiziana. Cambiavano certa-mente i modelli “pedagogici” ma inogni caso la scuola era, per tutte queste

e per altre realtà, nodo essenziale del vi-vere civile. Occorre però dire che lescuole, in queste antiche culture, eranorealmente vicine a modelli di tipo au-tenticamente privato. Infatti la “trasmis-sione” di saperi e di valori nonavveniva per tutte le componenti dellasocietà; chi possedeva saperi o era inqualche modo custode di valori, trasfe-riva questa sua “ricchezza” a discen-denti che così mantenevano i mezzi dicontrollo e di governo delle loro socie-tà; insomma la scuola fortemente fun-zionale agli interessi delle classidirigenti. Bisognerà aspettare tempi piùvicini a noi per poter verificare la gra-duale maturazione del concetto “demo-cratico” della istruzione come diritto. Sipensi che nell’Italia pre-unitaria l’unicoStato, dove era prevista una istruzioneelementare obbligatoria era il Lombar-do-Veneto amministrato dall’Austria, intutti gli altri Stati l’istruzione di baseera affidata alla famiglia, la quale viprovvedeva direttamente, quando viprovvedeva, oppure si affidava alle isti-tuzioni religiose.

Dopo l’unità nazionale si avviò unprocesso di potenziamento della pubbli-ca istruzione e in tempi successivi l’art.34 della Costituzione repubblicana haproclamato l’istruzione come “diritto”nella affermazione “la scuola è aperta atutti” e l’ha parimenti definita come“dovere” in quanto per almeno ottoanni... obbligatoria. L’itinerario, dun-que, verso una scuola statale e obbliga-toria, sebbene qui, soltanto accennato,si configura chiaramente come paralleloe corrispondente a quello della crescitademocratica. Ma io non confondo asso-lutamente, statalismo e democrazia.Una scuola statale, da sola, può non si-gnificare affatto livelli di democrazia,anzi è più facile che rappresenti il con-trario. La democrazia è sostanzialmentepluralista e perciò risulta fondamentalela possibilità che chiunque, in alternati-va o in concorrenza con la scuola stata-le organizzi scuole “non statali”secondo modelli di pedagogia e di valo-ri nei quali meglio si riconosce. Nel no-stro Paese questa facoltà è riconosciuta

dalla legge e viene abbastanza esercita-ta. Vi sono parecchie scuole non statalie fra queste la stragrande maggioranza ècostituita da scuole cattoliche. Io non soesattamente se queste scuole non statalicattoliche si distinguono da quelle stata-li, in quanto in esse hanno un ruolo cen-trale i valori della culturacristiana-cattolica. So però, che così do-vrebbe essere, altrimenti si comprende-rebbe poco il motivo della loroesistenza. Ammettiamo pure che siacosì. D’altra parte il problema della“qualità” della scuola riguarda certa-mente le scuole non statali, nella stessamisura in cui riguarda anche quelle sta-tali. Il problema dunque non è se debba-no esistere contemporaneamenteistituzioni scolastiche diverse. Anzi nonvi è dubbio che è bene che vi siano e seil regime di libera concorrenza ne mi-gliora la qualità, tanto meglio. Ma inquesti giorni la questione posta è di di-verso tipo. Il Presidente della Repubbli-ca, Scalfaro, ha sostenuto che occorreràpresto, fornire alla scuola non stataleadeguati mezzi di organizzazione e datala sede in cui l’affermazione è stata fat-

ta il significato reale diventa questo: lescuole non statali cattoliche che oggi sifinanziano con le rette di chi le frequen-ta, dovranno presto essere finanziatecon fondi pubblici. Questo a me pare undiscorso rischioso e sostanzialmente in-giusto. Trovo infatti logico e necessarioche accanto alle scuole statali vi sianoanche le scuole non statali, ma mi risul-

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Maggio '94 Il Nicodemo 11ta assolutamente incomprensibile che loStato che con i soldi di tutti organizza lascuola di tutti, sempre con i soldi di tut-ti debba organizzare anche la scuola dichi vuole modelli didattici diversificati.Costoro devono restare liberi di poterfare le scelte che vogliono, ma mi pareovvio che debbano farlo a loro spese,come in atto avviene, e non a spese ditutti, come si vorrebbe. Più necessariomi sembra invece che lo Stato migliorisempre più la qualità della scuola stata-le rendendola competitiva con una scu-ola non statale efficiente. Un confrontoche allo stato attuale porta piuttosto ver-so il basso data la modesta e a voltescadente qualità del servizio scolasticonon statale. Ma c’è anche un altroaspetto del problema, che va considera-to. Soldi pubblici alla scuola non statalesignifica anche un allettante mare disovvenzioni per le scuole cattoliche.Non è un caso che i nuovi potenti, quel-li emersi dalle elezioni politiche del 27e 28 Marzo, si stanno occupando attiva-mente per trasformare il dibattito inun’esca sicuramente allettante.All’insegna della “privatizzazione”, pa-rola che di questi tempi conosce un suc-cesso su cui occorrerà riflettere, ilcompromesso sta per avviarsi e può es-sere così riassunto: tanti soldi, moltisoldi alle scuole cattoliche e in cambiouna Chiesa, come organizzazione, di-sponibile e all’occorrenza anche acco-modante con i nuovi poteri.L’occasione che sta vivendo l’Italia èautenticamente storica perché la Chiesasuperi definitivamente, ambiguità e in-certezze nei rapporti con il potere chesono stati anche troppo visibili nel pas-sato più recente. La profferta di finan-ziamenti così cospicui, le altre profferteche sicuramente verranno e le risposteche a tutto ciò saranno date, proverannola misura della voglia di libertà dei cat-tolici e della loro capacità di contribuirerealmente a costruire un’Italia più giu-sta, più civile e più democratica. Io, ov-viamente, non mi limito soltanto asperare e intanto penso che, se c’è daaffrontare, come mi pare ci sia, ancheuna questione di giustizia, sarebbe inte-ressante pensare alla defiscalizzazionedegli oneri che le famiglie sostengonoper pagare, per i figli, le scuole non sta-tali. È un’idea fra tante possibili. Stare-mo a vedere, ma non solo. r

CON LA TUNICA...

LA GIOIA IN CRISTOdi Nino Trifirò

Il 6 febbraio scorso, nella nostraChiesa parrocchiale, durante lacelebrazione Eucaristica delle11.00, con una modesta suggestiva

cerimonia davantiall’Assemblea dei fe-deli ventuno ragazzi,(vedi foto), sono statiammessi nella fami-glia dei Ministranti.

Dopo la procla-mazione della Paroladi Dio, il celebranteha avuto parole dimonito e di incorag-giamento per i nuoviservitori all’Altare diDio. Benedette ed in-dossate le tunichettela funzione si è con-clusa con la “Pre-ghiera del Ministrante”: “O Gesù Tiadoro... dammi il dono della pietà...Maria SS. insegnaci...”

Ma, chi è, chi deve essere il “Mini-strante”? È colui che, nella liturgialoda, adora, ringrazia, supplica, serveil Signore!

Non basta, quindi, essere un buonragazzo per diventare ministrante; oc-corre un sincero desiderio di amare eservire il Signore aiutando il Sacerdotee l’intera Comunità. È necessaria una“chiamata” di Dio che può arrivare amezzo del catechista, di un amico, delSacerdote, dei genitori o altri mini-stranti.

Il vostro “SI” sia veramente concre-to nel vostro stile di vivere,nell’impegno di studio nell’osservanzascrupolosa dei vostri doveri in famiglia,a scuola, nella società.

Importante è comprendere che NONsi può fare il Ministrante per mettersi inmostra, per fare bella figura; al sincerodesiderio del cuore si devono aggiunge-re altre qualità di molto rilievo: pre-ghiera, serietà, senso del servizio,puntualità, ordine.

Al di sopra di tutto è necessario ungrande amore a Gesù con un forte desi-derio di portarlo agli altri.

Quando il Ministrante sta all’Altare,l’Assemblea del Popolo di Dio deve es-sere edificata, non distratta dal suo

comportamento; egli, con il suo esem-pio serio e composto può e deve essereguida per una partecipazione più atten-ta alla liturgia.

Stupende sono state le parole che ilnostro amato Arcivescovo, Mons. Igna-zio Cannavò ha rivolto ai 600/700 Mi-nistranti ritrovatisi nel Duomo diMessina in occasione del loro tradizio-nale, festoso, gioioso convegno dioce-sano del 25 aprile scorso.

«Vi esorto, Ministranti (li ha solleci-tati l’Arcivescovo), siate come gli Apo-stoli, amici di Gesù; così comel’Evangelista Marco lo accolse in casasua, accoglietelo anche voi nei vostricuori perché in essi possa trovarvi laSua casa; impegnatevi a conoscerLosempre di più e farLo conoscere agli al-tri; amateLo e fateLo amare dagli altri;pregateLo, serviteLo e fateLo pregare eservire dagli altri; siate tutti capaci discrivere un Vangelo, non sulla carta,ma in ogni manifestazione della vostravita; Siate Vangelo vivente!... E seGesù chiedesse a qualcuno di voi piùsomiglianza agli Apostoli ed essere, do-mani, Suo Sacerdote, preghi molto pri-ma di dare la risposta:“GESÙ, FAMMI

CONOSCERE LA TUA VOLONTÀ, SE VUOI

CHIAMAMI... E TI SEGUIRÒ...”»

Grazie Eccellenza Reverendissimaper queste illuminate parole e vogliamosperare che, con l’aiuto di Maria San-tissima, Madre di Gesù e Madre nostra,i frutti possano arrivare per il benedell’umanità intera e per la maggiorgloria di Dio Padre. r

Gruppo Ministranti “S.Tarcisio e Pier Giorgio Frassati”

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12 Il Nicodemo N. 24

TI HA DATO

SE STESSO

GRATUITAMENTE

Questo, é stato il tema svol-

to il 25 aprile dai ministranti del-

la diocesi di Messina, Lipari e

Santa Lucia del Mela, in un con-

vegno.

E anche noi ministranti vi abbia-

mo partecipato come facciamo da

un po’ di tempo a questa parte.

La giornata è iniziata ritrovan-

doci sul piazzale della chiesa par-

rocchiale, con zaini e con

cartelloni.

Arrivati a Messina ci siamo riuni-

ti insieme ai ministranti delle varie

parrrocchie nella cattedrale, dove

sua Eccellenza Mons. Ignazio Can-

navò ha presieduto la Santa Messa

concelebrata dai sacerdoti presen-

ti.

Dopo la celebrazione ci siamo

incamminati verso Cristo Re, du-

rante il corteo siamo stati accom-

pagnati dai seminaristi, che hanno

dato prova della loro abilità, dando

vita a canti animati che ci hanno

rallegrati fino al nostro arrivo

all’istituto, dove giunti abbiamo

consumato la nostra colazione a

sacco.

Verso le 14:15 abbiamo disputa-

to dei giochi di abilità, di forza e ve-

locità. La squadra vincitrice aveva

il privilegio di essere premiata con

delle medaglie da Mons. Ignazio

Cannavò. Dopo la premiazione del-

la squadra vincitrice si è passati a

quella dei cartelloni più significati-

vi.

Per non dimenticare questa

esperienza ad ogni parrocchia è

stato donato un diploma di parteci-

pazione.

Questa bella giornata, che noi

ministranti non dimenticheremo fa-

cilmente, si è conclusa con un bel

gelato offerto dai seminaristi.

Tutti noi ministranti ringraziamo

i seminaristi per aver organizzato

la giornata con molto impegno

come gli scorsi anni.

Gruppo Ministranti San Tarcisio

e Pier Giorgio Frassati.

“FARSI PRETE OGGI”di don Angelo Oteri*

Avevo promesso di dare un piccolo contributo: unatestimonianza da essere pubblicata nel vostro mensileparrocchiale “Il Nicodemo”, che ho apprezzato subito,la prima volta che l’ho sfogliato, per la sua ricchezza evarietà di contenuti, per l’interesse delle sue paginefresche e sprizzanti di vita comunitaria.Eccomi, con molto ritardo.

“ FARSI PRETE OGGI”Ho scelto questo titoloper fare giungere a voitutti l’annuncio della

Vocazione al Sacerdozio presente (ecome!) in tanti giovani della nostraDiocesi di Messina-Lipari e S. Luciadel Mela.

Si, è vero, l’aria che si respira èmolto inquinata di egoismo, di pessi-mismo, di tante ingiustizie, di smarri-mento di valori morali e spirituali.

Ci sono condizioni di vita in cuisono assenti segni di speranza, di im-pegno, di legalità, di altruismo e di so-lidarietà. È vero.

Da questo tipo di vita non può ve-nire fuori una scelta radicale di amoregratuito, un progetto fondato su “ide-ali”.

Ma ci sono altresì segni di rinnova-mento, di volontariato, di fede genui-na e luminosa. Ci sono tanti fermentidi vita, di religiosità, di ricerca di one-stà, di pace, di amicizia e di amoresincero.

In questo contesto sociale, oggi,come ieri, Cristo, il RISORTO, la Pa-rola di Vita, il Redentore dell’uomo,passa ancora e chiama...

“Se vuoi, vieni e seguimi.. ti farò

pescatore di uomini”.È la medesima voce di 2000 anni

fa, ha lo stesso fascino, la stessa irresi-stibile potenza interiore. ..."Eccomi, oSignore, che cosa vuoi che io fac-cia?".

Il nostro Seminario, oggi, accoglie29 giovani che, afferrati dalla chiama-ta di Cristo e dal suo amore, hannorisposto e hanno deciso di percorrereun cammino di discernimento voca-zionale, stando con Gesù, ascoltandola Sua Parola, condividendo le sueconfidenze, accogliendo le sue propo-ste. I ritmi della giornata STUDIO -PREGHIERA - FRATERNITA’ e con-fronto con una umanità che attendela testimonianza di una vita spesa peramore. Così attendono alla matura-

zione di una risposta esistenziale: “Si,con l’aiuto di Dio, lo voglio”.

Dio chiama anche oggi.FARSI PRETE!Una misteriosa proposta di Cristo

per i giovani di oggi.Una chiamata che chiede un cuore

capace di amare, di donarsi, di ri-schiare il tutto per il Tutto.

Anche nella tua Comunità la vocedi Cristo risuona con dolcezza e deci-sionalità:

“Se vuoi, vieni e seguimi”...(*Rettore del Seminario). r

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Maggio '94 Il Nicodemo 13...così una finestra si spalanca sul panorama della nostra esistenza...Dio chiama a tutte le ore della vita, chiama tutti, nessuno escluso

Lui mi ha chiamatodi Emanuela Fiore

In un mondo che sembra aver persoogni valore, nel quale tutto sembracedere il posto alle ansie sfrenate,ai rumori assordanti, avvertiamo il

bisogno di entrare in noi stessi, di sco-prire e di riscoprirci, di credere e di so-prattutto di fare silenzio per ascoltare eper vivere qualcosa di più vero.

Noi giovani, in questa nostra di-mensione così fragile, siamo ridottia vivere senza chiederci perché eche cosa possa veramente gratifi-carci.

È importante che esaminiamoattentamente la luce che penetranei nostri occhi e che può aprirciad una vita nuova ...così una fine-stra si spalanca sul panorama dellanostra esistenza e nascono quindile meditazioni autentiche sulla mis-sione di ognuno.

È proprio così che il mondo hanuove speranze, ed è proprio inquesto modo che Gianluca P., unodi noi, ventiseienne, un D.J., un ra-gazzo che ha provato forse più de-gli altri, per la mancanza prematuradel padre e della madre, il deside-rio e l’esistenza di giungere ad unascelta più concreta, più vera e dinon farsi stordire dai clamori dellediscoteche, ma di intendere e ditrovare di più nella sua vita.

Sono felicissima di intervistarloe di poter capire dal nostro dialogoche vive intensamente ciò che ha dentroed è capace di rendere partecipi anchegli altri. Lo ringrazio di cuore e nel con-tempo spero sinceramente che questasua maturazione interiore possa essereun incentivo per tutti coloro, che sulleorme del Padre, vogliono percorrere lestrade della santità.

Ripercorrendo le tappe salienti del-la tua vita, quando hai avvertito la“chiamata”?

Sin da quando ero piccolo, non riu-scivo ad identificarla e anche se spessone ero certo, la paura mi bloccava, per-ché dovevo affrontare una cosa piùgrande di me.

La perdita dei tuoi genitori, pensiabbia contribuito per la vocazione?

Tutto questo ha rafforzato ciò cheprovo, infatti soprattutto durante la ma-lattia di mia madre, le sue sofferenzehanno intensificato in me il desiderio didonare pienamente la mia vita al servi-zio dei più bisognosi.

Quale tipo di vocazione hai decisodi intraprendere?

Non ho ancora vagliato bene, sonoin fase di discernimento, ho fatto diver-se esperienze nei vari ordini, ma quellache più sento è la vita missionaria.

Volendo parafrasare una canzonedi Masini, ti chiedo «Perché lo fai»?

Perché quando ti accorgi che achiamarti è Dio, non riesci a tirarti in-dietro, è più forte di te, ho provato atapparmi le orecchie più volte ma nonsono riuscito nel mio intento. Devi sa-pere che da piccolo sentivo la necessitàdi conoscere più da vicino Gesù, comeun amico, di parlare con Lui, come iosto parlando con te e finalmente “Lui”un bel giorno mi ha detto “Ah, si e mòti frego io!” E da allora è diventato ilmio più inseparabile amico e mi sonoinnamorato perdutamente di Lui.

Con questa tua scelta, che cosa tiaspetti di trovare entrando in una co-munità?

Sicuramente non quello che mi eroprefisso, perché ho sempre dipinto lecomunità religiose come il perfetto ide-ale di famiglia, ma mi sono reso contoche purtroppo non è così. Il nostro

cammino è paragonabile alCalvario di Cristo, attraversola sofferenza si arriva alla metatanto desiderata: la croce. Ognicristiano è chiamato da Dio aintraprendere un cammino divita sulle orme del Figlio,Gesù. Ed io, mi sto incammi-nando.

Hai incontrato ragazzi checome te hanno intrapreso que-sto cammino?

Sì, ho condiviso con tanti ra-gazzi della mia età e di vari ter-ritori questa chiamata, e conmia grande ammirazione ho po-tuto constatare che in ognunodi loro c’è veramente la presen-za di Dio.

Cosa suggerisci a tutti queiragazzi che, come te, sentonodentro di loro il fascino irresi-stibile di Dio?

Dico che seguire Gesù Cri-sto sia la cosa più misteriosa epiù fantastica che ognuno possaaugurarsi, l’importante è fidar-

si ciecamente, lasciarsi guidare edamare, e in ogni caso, rimettersi allasua volontà, consci che in ogni difficol-tà che incontreremo, Lui sarà sempre alnostro fianco per risollevarci da ognicaduta e confortare ogni nostro pianto.

* * *È proprio vero che il Signore è im-

mensamente più grande della nostrapiccolezza e ci ricompensa non secondola nostra misura. È straordinario: Diochiama a tutte le ore della vita, chiamatutti, nessuno escluso. Questa chiamataè un dono. Chi è stato chiamato da anni,chi molto tempo dopo, chi addiritturastasera: ciò che conta è la qualità dellanostra risposta. r

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1º MAGGIO: LA PASQUA ORTODOSSAdi Anna Arizzi

Quest’anno, nel giorno in cui inItalia ricorreva, come sempre,la festa del lavoro, i greci or-todossi hanno festeggiato la

“Megàli Paraschevì”, cioè la Pasqua delSignore, anche per loro il giorno in as-soluto più solenne dell’Anno Liturgico.

E l’hanno festeggiata, come è loro co-stume, a coronamento di una SettimanaSanta di intensa partecipazione ai nu-merosi riti che si svolgono tutti i giorni,a partire dal lunedì, in ogni Chiesa.Sono funzioni di grande solennità, ric-che di canti -intonati rigorosamente dauomini-, di incenso, di Olio Santo, diceri e di molteplici altri elementi simbo-lici: non un solo ministro di Dio (il “Pa-pàs”) le celebra, ma coralmente ungruppo di preti.

Il mercoledì santo, ad esempio, dopodeterminate letture tratte dal Vangelo, ifedeli si fanno ungere con l’Olio Santosulla fronte o su una parte del corpodove sentono dolore, poi portano a casa

ciascuno il suo batuffolo di cotone epossono adoperarlo per ungere qualcheammalato che non era presente in Chie-sa, ma comunque non devono buttarlovia, ma bruciarlo.

Il giovedì santo la “Megali liturghìa”inizia alle 20 e si protrae almeno fino

alle 24. Al centro dellaChiesa è posto un croci-fisso su una panca; que-sto è un particolaredegno di rilievo: infattiil crocifisso è l’unicoesempio di statua pre-sente nelle chiese gre-che, laddove si trovanosolo “icone”, cioè qua-dri, dipinti, di Cristo odei Santi. Il giovedì, di-cevamo, dopo che sonostati letti cinque branidi Vangelo, i molti pretipresenti girano per trevolte dentro la Chiesa,portando il crocifisso,accompagnati da cantied incenso; quindi, lettauna sesta lettura, si riti-rano. I fedeli baciano ilcrocifisso, propriocome spesso si fa danoi, e poi ancora ascol-tano canti e letture delVangelo fino ad un nu-mero di dodici.

La mattina del ve-nerdì nelle chiese sischioda la statua diGesù Cristo dalla croce

e la si pone in un feretro coperto dal ve-tro e da una gran quantità di fiori: cia-scun fedele, devotamente, porta a casacon sé un fiorellino del sepolcro di Cri-sto. Nel pomeriggio riprendono le me-ste funzioni del venerdì santo, checulminano in una processione del fere-tro per le vie del quartiere: la pesantecassa viene portata a spalle da alcunipreti ed attorniata da altri con i ceri inmano.

Il sabato santo e la domenica di Pa-squa sono caratterizzati, come da noi,dalle celebrazioni più solenni, che pren-dono l’avvio dalla notte del sabato.

È difficile spiegare con parole la

particolare atmosfera che avvolge que-ste funzioni in Grecia: le chiese sonopresenziate da una schiera di preti, ve-stiti di solito in nero, con un tipico co-pricapo, con lunghe barbe e spesso coni capelli lunghi raccolti sulla nuca (an-che se tra i preti giovani è invalso l’usodi portarli corti), e gremitissime di fede-li che, per ore ed ore, rimangono com-posti ed intensamente partecipi,evidentemente educati a captare il mi-sticismo che emana da quei canti la-mentosi, da quei ceri, da quei profumi...I greci dicono sorridendo che esconodalla settimana santa letteralmente este-nuati: molti di loro, ancora, in queigiorni e non solo il venerdì santo, siastengono oltre che dalla carne anchedai cibi conditi con olio, dalle uova, daiformaggi..., e consumano per lo più mi-nestre a base di verdure, ed olive con ilpane.

Una tradizione curiosa è che in Gre-cia, il giovedì santo, sitingono le uova.Ogni madre di famiglia, in quel giorno,con una particolare bollitura a base dipolveri coloranti ed aceto, colora mol-tissime uova, in rosso soprattutto, maanche in altri colori, e le espone poi incasa componendole in graziosi cestini,o le regala ad amici e parenti. Gli anti-chi facevano risalire quest’uso ad uncurioso aneddoto miracoloso. Un ebreo,un giovedì santo, di molti secoli fa,vendeva delle uova e sfidò un tale chevoleva convincerlo che Cristo era risor-to: se ciò era vero, tutte le sue uova do-vevano diventare rosse. Ebbene, questoavvenne, e da allora fino ad oggi nonc’è greco che si rispetti che il lunedì diPasqua non abbia un uovo rosso damangiare. Altri dolcetti tipici e ciambel-line si consumano nella festività pa-squale, ma questo d’altronde avvieneanche da noi e interesserà poco il letto-re.

Spero di aver detto cosa nuova sve-lando qualche aspetto della vicina e in-tensamente cristiana grecità moderna,una grecità che è nelle mie radici e chevivo grazie a mia nonna Cristina e amia zia Teodora: le ricordo, qui, e le sa-luto entrambe con affetto. r

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Maggio '94 Il Nicodemo 15

Il dramma antico

A Siracusa per scoprire le nostre radici culturalidi Pina Tuttocuore

Se proviamo a chiederci dadove abbiano tratto originele basi del pensiero occi-dentale moderno, non pos-

siamo fare a meno di andare acercare la risposta nelle pagine deilibri di storia antica, che si usanoa scuola. Già qualche millennioprima della nascita di Cristo diver-si popoli erano riusciti a raggiun-gere un certo grado di civiltà, masolo i Greci ebbero la capacità dielaborare forme artistiche e cultu-rali elevate, quali ad esempio la fi-losofia, la letteratura e, da questa,la tragedia. Chiunque abbia assi-stito alla rappresentazione di undramma antico si sarà sicuramen-te trovato disorientato di fronte aduno spettacolo scritto e rappresen-tato per un pubblico vissuto più diduemila anni fa, soprattutto senon ha mai affrontato gli studiclassici, infatti, è abbastanza com-plesso riuscire a comprendere deltutto il significato di un’opera che,apparentemente non presenta al-cun legame, non solo con le vicen-de attual i , ma anche con letecniche teatrali moderne. Non èneppure facile riassumere in po-che colonne di giornale e renderepiù semplice un così vasto e com-plesso universo come quello dellatragedia greca, basti pensare chesu questo argomento i critici han-no scritto saggi su saggi!

Goethe ha sintetizzato l’iter ge-nerico della tragedia con la defini-zione della tragicità che, “fondata

su un conflitto inconciliabile. Se

interviene o diventa possibile una

conciliazione, il tragico scompa-

re”. Probabilmente proprio dallaconciliazione dell’esistenza di taleconflitto tra desiderio umano diautodeterminazione e forze scono-sciute che ad esso si oppongono siè sviluppata l’idea base che haportato gradatamente alla nascitadella tragedia. Molti furono di cer-to gli scopi di tale creazione artisti-ca, etico, scenico e,importantissimo, fu il suo ruolo

all’interno di una società demo-cratica come quella di Atene anti-ca. Presso i Greci, infatti,partecipare alle rappresentazioniteatrali costituiva un momento digrande importanza e non solo perciò che riguardava la loro vita po-litica, in quanto il teatro era unodei pochi mezzi educativi civile adessere adoperati; ma esse, essen-do inserite in un particolare conte-sto – le feste Dionisiache o Lenee–, erano ritenute ancheun’occasione unica di festeggia-menti religiosi. La tragedia attinge

al mito classico, basando su diesso l’intero intreccio ed è il trage-diografo che assume su di sé il ru-olo di maestro del popolo, cioè diinterprete della storia sacra.

Il primo dei grandi autori tragicigreci di cui ci è giunta notizia èEschilo di Eleusi; tutte le sue tra-gedie rivelano una concezione eti-ca e religiosa profondamentevissuta; egli vive in un periodo diradicali mutamenti storici: la nuo-va organizzazione statale, più de-mocratica rispetto al passato, haoccupato il posto di quella domi-nata dal fato e dalla giustizia divi-na; ed è il protagonista dellatragedia a vivere, in maniera con-trastata, questo passaggio: da unaparte è desideroso di libertà e co-

sciente delle proprie responsabili-tà, dall’altra è ancora vincolatoalla necessità divina, l’ananche. Ilmondo di Eschilo è, inoltre, pocoaperto alla violenza, dal momentoche per ogni delitto non solo il di-retto colpevole, ma anche i suoidiscendenti pagheranno le conse-guenze, non sarà mai peròun’involontaria decisione umanaquella che porterà l’uomoall’errore, quanto, invece, unaconsapevole presa di posizione,dettata quasi da una predisposi-zione genetica; così la colpa si ri-

pete e si ripete pure la punizionedivina, “è un cammino doloroso

che la stirpe compie verso la puri-

ficazione, finché il male non cessa

di produrre altro male” e l’ordinecosmico viene ristabilito.

Questa primavera l’INDA (Isti-tuto Nazionale del dramma anti-co) propone nel teatro greco diSiracusa, per il consueto appunta-mento biennale, due tragedie diEschilo, l’Agamennone e il Prome-teo incatenato, ed una commediadi Aristofane, Gli Acarnesi.

L’invito a parteciparvi è rivoltoa tutti, se non altro per conoscereuna parte, quasi del tutto scono-sciuta, della nostra cultura euro-pea-occidentale. r

Siracusa - Il TEATRO GRECO

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16 Il Nicodemo N. 24

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Inneggiavamo l’Alleluia a Cristo, quando una ragazza si alzò dalla carrozzina eincominciò a camminare. Ma la grazia più grande resta la conversione a Cristo

Avvolti da Dio PadreLa comunità Gesù Risorto

«Andate in tutto il mon-do e Annunciate ilVangelo».A questo incontro di

preghiera hanno partecipato circa 3.500persone; la comunità di Pace del Melaera rappresentata da 58 persone. Il con-vegno ha avuto inizio il 22 Aprile, nelpomeriggio, con una forte preghiera dilode a Gesù, che ha fatto esplodere neinostri cuori la gioia dello Spirito Santo.Si è creato subito un clima di piena co-munione fraterna; era l’amore di Dio Pa-dre che ci avvolgeva insieme e cicomunicava la sua Paternità. Il giornoseguente, di buon mattino, la preghieradi lode seguita dalla celebrazione Euca-ristica presieduta da Mons. Luigi Bellolivescovo di Anagni, che con tanta gioiaha pregato con noi e ha dato il sacra-mento della cresima a 18 ragazzi, traquesti, una di colore.

Alle ore 15.00 abbiamo ripreso lapreghiera di lode, con canti, salmi e in-vocazioni, poi si è passati prestoall’adorazione Eucaristica. È stato porta-to il Santissimo sull’altare continuandocosì con canti di adorazione e con mo-menti di riflessione. In pochi minuti è di-vampato nei cuori di tutta l’assembleaun fuoco pieno di emozioni, pianti di gio-ia, grida di Alleluia. Trascorrendo cosìun’ora nell’immensa gioia del Signore,contemplando quello che Gesù operavain tanti fratelli, passando con il suo amo-re in mezzo a noi.

Sono avvenute molte guarigioni inte-riori; abbiamo sentito dei fratelli in mez-zo all’assemblea, che rinunciavano arancori, e chiedendosi scusa a vicenda,si abbracciavano. Un fratello che cam-minava con i bastoni, ha lasciato i ba-stoni e senza appoggiarsi con nessuno,è andato all’altare per ringraziare Gesù.Nello stesso tempo, una ragazza sullacarrozzina che era con noi, ha sentitodelle scosse alle gambe e un calore edha avuto l’istinto di alzarsi; quasi subitovedemmo una suora avvicinarsi a leiporgendo le mani, la ragazza si alza te-nendosi col braccio e recatasi all’altaredavanti a Gesù Eucarestia, loda e rin-

grazia Dio, insieme al grido di gioia di

tutta l’assemblea che batteva le mani,

ringraziando e benedicendo Dio.

Conosciamo molto bene la ragazza,

in quanto l’anno scorso si trovava con

noi al campo estivo di Antillo, sappiamo

che riusciva a muoversi nella sua came-

ra senza carrozzina aggrappandosi qua

e là.La preghiera di adorazione è stata

per noi il momento più forte e più effica-

ce di tutto il convegno. Potremmo anco-

ra dire molto dell’esperienza di questi

giorni, infatti, ci sono state tante testimo-

nianze. Una di queste che ci ha colpito

di più, è stata quella fatta da un sacer-

dote, parroco di una parrocchia di Ta-

ranto, don Giuseppe che ha accolto

subito questo gruppo nella sua parroc-

chia pregando anche lui insieme a loro;

oggi sono 200 i fratelli che vi partecipa-

no e tutti provenienti da brutte esperien-

ze: ladri, drogati, e parecchi usavano

anche la pistola. Chi si lascia prendere

dall’amore di Dio, viene trasformato e

diventa strumento del Signore per la

conversione di altri fratelli. Don Giusep-

pe ha ancora testimoniato, guarigioni fi-

siche, come al cuore, all’udito, ecc.,

avvenute durante la preghiera comuni-

taria a Taranto. Tra le grazie più grandi

ricevute vi è il cambiamento di vita dei

fratelli. Di queste testimonianze anche

noi possiamo farne, ma li rimandiamo a

tempi più maturi.Ha chiuso il convegno (questi giorni

di intensa preghiera e catechesi sulla

parola del Vangelo) Mons. Giuseppe

Mani, vescovo ausiliare di Roma, che

all’inizio della celebrazione Eucaristica,

ha fatto la preghiera per le famiglie; e su

tutte le coppie di sposi presenti in sala,

ha rinnovato le promesse del matrimo-

nio e la benedizione degli anelli.Lodiamo e ringraziamo il Signore, per

questi giorni che ci ha donato, di viverli

insieme a tanti fratelli di tutta Italia.rFiuggi 1994 - Convegno Nazionale

(continua da pagina 6)ed internazionale. Desideriamo chequesto sinodo studi l’applicazionealle necessità dell’Africa dei principidella dottrina sociale cattolica”.

Il documento di base su cui di-scutono i delegati delle conferenzeepiscopali africane, le suore, i cate-chisti laici ed i membri di nominapontificia contiene alcune paro-le-chiave: annuncio, inculturazione,dialogo, giustizia e pace.

L’annuncio del Vangelo richiedeuna riflessione approfonditasull’esperienza cristiana sin qui vis-suta, sull’esigenza di trasformare la“chiesa di missione” in “chiesa inmissione” per scoprire un volto ori-ginale al cristianesimo africano.

L’inculturazione è il processo concui incarnare il Vangelo nella visio-ne della vita e del mondo tipica dellacultura locale in modo che la sacra-lizzazione e la ritualizzazione contri-buiscano ad una teologia ed a unaliturgia autoctone.

Il dialogo con le religioni native,con l’Islam, con le sette e con i varigruppi etnici è la via maestra da se-guire per evitare che le diversità sia-no causa di conflitti ed è la grandesfida da vincere per soddisfare leaspirazioni di emancipazione dagliinflussi diretti ed indiretti del mondooccidentale.

Di giustizia e pace ha estremobisogno il continente africano e lachiesa ha il compito di denunciaree condannare ogni violazione deidiritti umani, civili e politici deipopoli e dei singoli e di impegnarsiper il mutamento della società.

A conclusione di questa brevenota si riporta un pensiero di padrePiero Gheddo: “... l’Africa è unagrande speranza per la Chiesa uni-versale. Giovane nella fede, liberada intellettualismi, prende il Van-gelo sul serio”. r