Fisiopatologia della Termoregolazione - TIM · Aumento della sintesi delle ATPasi ......
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Fisiopatologia della
Termoregolazione
Sono detti omeotermi gli esseri viventi (mammiferi e uccelli) capaci
di mantenere costante la loro temperatura corporea.
La temperatura corporea fisiologica è geneticamente determinata.
Nell’uomo:
Temperatura 37°C
Minime oscillazioni nelle 24 h
Nella donna in età feconda variazioni della temperatura corporea
in relazione al ciclo mestruale:
• Abbassamento di circa 0.5°C nel periodo preovulatorio
• Innalzamento di circa 0.5°C con l’ovulazione
• Tale aumento permane fino alla comparsa del flusso
mestruale
Termoregolazione
Il meccanismo della termoregolazione consente l’omeostasi
della temperatura corporea attraverso un corretto bilancio tra:
Termogenesi (produzione di calore)
Termodispersione (dissipazione del calore)
La termoregolazione è controllata dai centri termoregolatori
ipotalamici cui pervengono:
Segnali locali - temperatura del sangue circolante nel
distretto ipotalamico
Segnali periferici – temperatura dei distretti periferici
rilevata da termocettori superficiali e profondi che sono
connessi al SNC.
Termogenesi
L’organismo può produrre calore attraverso l’attività metabolica
di tutte le sue cellule.
L’energia chimica degli alimenti (particolarmente carboidrati e
lipidi) è immagazzinata in molecole di ATP ad alto contenuto
energetico.
Le ATPasi (attivate da Ca2+, Na+, K+) trasformano l’ATP in
ADP+Pi.
La produzione di calore è il risultato di
Processi involontari – principalmente l’azione sul
metabolismo di alcuni ormoni (tiroidei, adrenalina,
glicocorticoidi).
Processi volontari – la contrazione muscolare.
Metabolismo Basale
Il Metabolismo basale corrisponde al calore (espressione del
metabolismo energetico) prodotto da un soggetto a digiuno, in
condizione di riposo ed in ambiente termicamente neutro.
Unità di misura è la caloria (c) – calore necessario per
aumentare di 1°C la temperatura di 1gr di acqua (da 14.5 a
15.5 °C).
Il fabbisogno giornaliero è di circa 1400-1800 c.
Per una misura indiretta del metabolismo basale si determina il
quoziente respiratorio (Q.R.)
Volume CO2/ Volume O2
Termodispersione
Il calore in eccesso è dissipato attraverso diverse vie.
La cute è certamente la via più efficiente
Per l’estensione della superficie di scambio
Per la vasodilatazione periferica
Per la costante evaporazione del sudore (perspiratio insensibilis)
Il calore è inoltre dissipato
Con la respirazione
Con l’emissione di feci ed urina
Con l’introduzione di cibi e bevande fredde
Gli scambi di calore possono avvenire essenzialmente per
Conduzione
Convezione
Irraggiamento
Evaporazione
Centri Termoregolatori
Sono localizzati nella regione preottica dell’ipotalamo e costituiti da neuroni
sensibili alle variazioni di temperatura rispetto alla temperatura di
riferimento (nell’uomo 37°C).
Neuroni W (sensibili a segnali termici al di sopra e al di sotto dei 37°C)
Neuroni I (insensibili agli stimoli termici)
Neuroni w (effettori della termodispersione)
Neuroni c (effettori della termogenesi)
Il modello proposto da Hammel nel 1965 definisce la termoregolazione
come bilancio di stimoli eccitatori ed inibitori sui centri termoregolatori e che
determinano una risposta
Termodispersiva (segnali termici > 37°C)
Termoconservativa (segnali termici < 37°C)
Ipertermie e Ipotermie non febbrili
Sono così denominate le condizioni di aumento o diminuzione della
temperatura corporea rispetto al valore di riferimento.
Possono essere di origine
Esogena
Endogena
Ipertermia di origine endocrina
Nell’ipertiroidismo, l’aumento dei livelli di orm. tiroidei induce:
Aumento della sintesi delle ATPasi (aumenta l’espressione
genica)
Stimola il rilascio di cationi
Stimola la lipolisi
Ipertermia maligna
L'ipertermia maligna (IM) è una malattia genetica dei muscoli scheletrici caratterizzata da
una risposta ipermetabolica a potenti gas anestetici volatili (alotano, sevoflurano,
desflurano e succinilcolina).
Raramente si manifesta dopo stress fisici secondari ad un eccessivo esercizio oppure al
calore.
E’ una malattia autosomica dominante (frequenza 1:3000) con crisi ipertermiche
improvvise (anche > 46°C) nei soggetti affetti.
Le modificazioni patofisiologiche della IM sono dovute a un aumento non controllato del
calcio mioplasmico, che innesca processi biochimici legati all'attivazione muscolare. A
seguito della deplezione di ATP viene compromessa l'integrità della membrana
muscolare, che produce iperkalemia e rabdomiolisi.
Geneticamente eterogenea, l’ipertermia maligna è principalmente dovuta a mutazioni del
gene RYR1 (19q13.1) che codifica il recettore della rianodina, proteina trasmembrana
che regola l’omeostasi del calcio.
La febbre
Distinta dalle altre forme di ipertermia per il peculiare meccanismopatogenetico.
Un’alterazione funzionale e reversibile dei neuroni dei centritermoregolatori
Il decorso prevede:
Fase del rialzo termico (sensazione di freddo, brividi, pallore evasocostrizione)
Fase del fastigio (la temperatura si stabilizza su valori superiori a quellodi riferimento)
Fase della defervescenza (sensazione di caldo, sudorazione,abbassamento della temperatura)
Nella febbre si possono riconoscere andamenti caratteristi dellatemperatura:
F. continua (rialzo costante nel periodo del fastigio)
F. remittente (oscillazioni superiori ad 1°C nel periodo del fastigio,senza defervescenza)
F. intermittente (periodi di ipertermia si alternano a periodi di apiressia)
Fisiopatologia generale endocrina
Gli ormoni sono storicamente indicati come sostanze prodotte da ghiandoleprive di dotti escretori (endocrine) e versati nel sangue che li veicola agliorgani bersaglio su cui esercitano la loro azione.
Il meccanismo di azione degli ormoni è in realtà comune ad un numerocrescente di molecole prodotte da cellule e tessuti diversi (nonnecessariamente endocrini)
Neurotrasmettitori
Citochine
I meccanismi di trasmissione del segnale possono essere molteplici
Autocrino
Paracrino
Endocrino
Intracrino
Neurocrino
Neuromodulatore
Tutti sono espressione della necessità di comunicazione tra le cellule checoncorrono a costituire un organismo pluricellulare complesso.
Le molecole ormonali
In base alla loro natura chimica si distinguono:
Ormoni di natura proteica (o. crescita, insulina, glucagone) e peptidica
(ipotalamici, ipofisari, ecc.)
Ormoni steroidei (glicocorticoidi, mineralcorticoidi, gonadici)
Ormoni derivati da aminoacidi (tiroidei, adrenalina e noradrenalina)
L’Endocrinologia è la disciplina che studia la biosintesi, secrezione,
trasporto e azione degli ormoni in condizioni fisiologiche ed in presenza di
alterazioni patologiche.
Moltissimi sono gli ormoni prodotti e le funzioni da essi regolate.
Meccanismo di azione ormonale
Il meccanismo di azione degliormoni può essere schematizzatoin una serie di eventi successivi:
Biosintesi dell’ormone
Secrezione
Trasporto
Interazione dell’ormone conspecifici recettori dellecellule bersaglio
Azione (innesco dellarisposta da parte dellacellula con meccanismi dimodulazionedell’espressione genica)
Effetto (con modificazioniindotte dall’azionedell’ormone che investonol’intero organismo).
Biosintesi degli ormoni (1)
Biosintesi degli ormoni (2)
Secrezione e Trasporto
Esocitosi (o. peptidici)
Diffusione (o. steroidei)
Ritmo circadiano
O. Idrosolubili – veicolati come soluti nel plasma
O. Liposolubili- veicolati da proteine plasmatiche (albumina,
altre proteine plasmatiche)
Trasduzione del segnale
La trasduzione del segnale ormonale è operatada specifici recettori, talora presenti sullasuperficie delle cellule bersaglio.
I recettori sono molecole proteiche complessecaratterizzate da:
Elevata specificità per l’ormone (capacità dilegame)
Elevata affinità per l’ormone (forza dilegame)
Il processo di trasduzione del segnale è unprocesso complesso che vede coinvolti:
Molteplici mediatori citoplasmatici attivatisecondo un modello di eventi a cascata
Fenomeni di fosforilazione edefosforilazione delle proteine coinvolte chemodulano il processo di trasduzione
Attivazione dell’ espressione di geniormono-responsivi mediata da specificifattori trascrizionali attivati dalla trasduzionedel segnale ormonale.
Recettori per gli ormoni proteici (1)
Recettori per gli ormoni liposolubili
(steroidei e tiroidei)
Ipotalamo e Ipofisi
Controllo ipotalamo-ipofisario
Ipotalamo e ipofisi hanno un
ruolo centrale nel
complesso meccanismo di
regolazione del sistema
endocrino.
Ipofisi anteriore (Adenoipofisi)
Ipofunzioni endocrine (1)
La ridotta produzione di ormone/i da parte di una ghiandola può esseredistinta in:
Ipofunzione primaria – alterazione che coinvolge il parenchimaghiandolare
Ipofunzione secondaria – conseguente ad un difetto nella stimolazione
Le ipofunzioni primarie possono dipendere da:
Agenesia o malformazione
Processi distruttivi a carico del parenchima ghiandolare
• Infezioni
• Neoplasie
• Malattie autoimmuni
• Difetti circolatori (ischemie, fenomeni emorragici)
Alterazioni genetiche (mutazioni inattivanti di geni che codificano perorm. Proteici o enzimi coinvolti nella sintesi di orm. Steroidei)
Deficienze alimentari
Ipofunzioni endocrine (2)
Le ipofunzioni secondarie sono il risultato di una alterazione
dei meccanismi che regolano la produzione dell’ormone da
parte di una ghiandola.
E’ una situazione tipica delle ghiandole la cui attività è
controllata dall’ asse ipotalamo-ipofisario:
L’assente o ridotta produzione di un dato fattore di rilascio
ipotalamico o ormone ipofisario può avere come effetto la
ridotta produzione di ormone da parte della ghiandola
bersaglio
Ipofunzioni endocrine (3)
Ipofunzioni secondarie possono essere il risultato di:
Difetti recettoriali
Difetti post-recettoriali
Le alterazioni a carico dei recettori sono quasi sempre dovute a
mutazioni.
Nanismo di Laron – epatociti deficienti del recettore per il GH
non producono la somatomedina (IGF-1).
Sindrome di femminilizzazione testicolare – Individui
geneticamente maschi non esprimono il recettore per gli
androgeni
In alcuni casi l’alterazione che determina l’ipofunzione (difetto post-
recettoriale) può essere a carico di uno qualsiasi degli intermedi
coinvolti nella trasduzione del segnale.
Iperfunzioni endocrine
L’eccessiva produzione di ormone/i da parte di una ghiandola può
essere distinta in:
Iperfunzione primaria
• Iperproduzione eutopica – adenoma ghiandolare
• Iperproduzione ectopica – neoplasia capaci di produrre
ormoni (sindromi endocrine paraneoplastiche)
Iperfunzione secondaria – conseguente ad un eccesso nella
stimolazione
• Adenomi ipofisari
• Malattie autoimmuni – Ipertiroidismo su base autoimmune
(morbo di Basedow-Graves)
Il diabete
Il Diabete Mellito è un disordine cronico del metabolismo dei carboidrati, lipidi eproteine. Circa il 3% della popolazione mondiale (100 milioni di individui) soffre diquesta patologia.
Elementi caratteristici della malattia sono:
Insufficiente o difettosa risposta secretoria dell’insulina
Compromissione del metabolismo dei carboidrati
• Iperglicemia a digiuno (v.n. 100 mg/dL)
• Poliuria (emissione di una maggiore quantità di urina)
• Glicosuria (glicemia > 180 mg/dL)
Le diverse forme di diabete mellito si distinguono in:
Primitivo – che comprende le forme più comuni.
• Diabete mellito di Tipo 1
• Diabete mellito di Tipo 2
Secondario – dipendente da altre patologie che incidono sulla funzione delpancreas endocrino.
Le alterazioni metaboliche indotte dal diabete determinano, nel lungo periodo,complicanze a carico del s. cardiocircolatorio, del SNC, dei reni e degli occhi. Lapatologia risulta quindi notevolmente invalidante e di elevato impatto sociale.
Pancreas Endocrino
Il pancreas endocrino è costituito dalle isole di Langerhans, agglomerati di cellule
endocrine presenti nel contesto del parenchima ghiandolare.
Cellule A (20%) - producono glucagone
Cellule B (68%) - producono insulina
Cellule D (10%) - producono somatostina
Cellule PP (2%) - producono l’ormone PP (polipeptide pancreatico).
L’insulina (insieme al glucagone) ha un ruolo centrale nell’omeostasi del glucosio: è
uno dei più importanti ormoni anabolici, necessario per
Trasporto transmembrana di glucosio e aminoacidi
Sintesi del glicogeno a livello epatico e muscolare
Conversione del glucosio in trigliceridi
Sintesi acidi nucleici e proteine
Anatomia delle isole di Langerhans. Le cellule beta, produttrici di insulina (indicate
in blu) sono situate al centro, in immediata vicinanza dei vasi sanguigni e sono
circondate dalle cellule alfa, produttrici di glucagone (indicate in arancione).
All’esterno si trovano le cellule delta (in giallo; producono somatostatina) e le cellule
PP (in verde; producono polipeptide pancreatico).
Cellule B (68%)Producono
Insulina
Cellule A (20%)
Producono GlucagoneInduce iperglicemia
attività glicogenolitica epatica
Cellule D (10%)
Producono
SomatostatinaInibisce secrezione
Insulina e Glucagone
Cellule PP (2%)
Producono Polipeptide
pancreaticoSvariate azioni a livello
gastointesinale
Regolazione della glicemia
Glicemia = concentrazione plasmatica di glucosio
Variazioni fisiologiche della glicemia
Aumento post-prandiale
Diminuzione con lo sforzo fisico e il digiuno
Un solo ormone ipoglicemizzante: l’INSULINA
• Secreta dalle cellule b-pancreatiche
• Una secrezione basale continua consente l’utilizzo periferico del glucosio
• Picchi di secrezione post-prandiali
Numerosi ormoni iperglicemizzanti
• Consentono di evitare o compensare l’ipoglicemia
• Esempi: glucagone, catecolamine, GH, cortisolo..
• Il glucagone favorisce in particolare il rilascio epatico di glucosio durante il digiuno
Insulina
Ormone peptidico (pre-proinsulina)
• Proinsulina = pro-ormone insulina (catene A+B) + peptide C(Connecting peptide)
PRO-INSULINAPeptide C
INSULINA
Effetti metabolici dell’insulina
L’insulina è un’ ormone IPOGLICEMIZZANTE e ANABOLIZZANTE
Metabolismo glicidico:
• favorisce ingresso cellulare del glucosio (non nel sistema nervoso)
• favorisce glicogenogenesi epatica e trasformazione di glucosio in acidi grassi
• inibisce glicogenolisi
Metabolismo lipidico:
• favorisce sintesi epatica di trigliceridi
• a livello del tessuto adiposo sintesi e accumulo di acidi grassi, effetto anti-chetogeno e anti-lipolitico
Metabolismo proteico:
• favorisce ingresso cellulare di aminoacidi e sintesi proteica
• inibisce il catabolismo proteico
Fegato
Aumenta il
glucosio
ematico
Diminuisce il
glucosio
ematico
Glicolisi
Gluconeogenesi
InsulinaGlucagone
Glicolisi
Gluconeogenesi
Pancreas
Cellule bCellule
Glucosio
Glicogeno
Glucosio
Glicogeno
Ormoni pancreatici: insulina e
glucagone
Fisiologia dell’insulina (1)
La normale omeostasi del glucosio è strettamente regolata da tre processiinterconnesi:
Produzione di glucosio nel fegato
Utilizzazione del glucosio da parte dei tessuti periferici
Secrezione dell’insulina
Lo stimolo più grande alla sintesi e rilascio d’insulina da parte delle cellule B delleisole pancreatiche è costituito dal glucosio (mediato dai recettori GLUT-2, insulinaindipendenti).
La funzione metabolica fondamentale è aumentare il tasso di trasporto del glucosioin determinate cellule del corpo (epatociti, cell. muscolari, adipociti). L’azione èmediata dallo specifico recettore esposto sulla superficie delle cellule bersaglio.
Effetto precoce è la traslocazione delle unità di trasporto del glucosio GLUTs(insulina dipendenti) dal golgi alla membrana, che facilita l’ingresso del glucosionella cellula. GLUT-4 (presente nel muscolo e negli adipociti) è il più importantetrasportatore
GLUT-4 (presente nel muscolo e negli adipociti) è il più importante trasportatorea regolazione insulinica
GLUT-2 (presente negli epatociti e nelle cellule B) è insulina indipendente efacilita il riequilibrio dei livelli intra ed extracellulari del glucosio
Fisiologia dell’insulina (2)
Cellula Beta Cellula Bersaglio
Fisiologia dell’insulina (3)
I markers del metabolismo
glicidico Glicemia
Variazioni fisiologiche (a digiuno 70-110 mg/dl; aumento post-prandiale, generalmente < 140 mg/dl; diminuzione con l’esercizio fisico)
Glicosuria
Definizione: presenza di glucosio nelle urine
Generalmente patologica, si verifica quando viene superata la soglia di riassorbimento renale del glucosio (circa 180 mg/dl)
Se abbondante determina aumento del volume urinario poliuria (diuresi > 2500 cc/24h circa )
Emoglobina glicata (HbA1c)
Frazione dell’emoglobina capace di legare il glucosio, utilizzata come marker dei valori medi di glicemia nelle ultime settimane
I corpi chetonici
Gli acidi grassi rappresentano una forma di energia alternativa al glucosio
il glucagone favorisce la beta-ossidazione degli acidi grassi a livello epatico → produzione di corpi chetonici (aceto-acetato → acetone, acido b-idrossibutirico) che vengono liberati nella circolazione sanguigna (chetosi) e eliminati nelle urine (chetonuria)
La formazione di corpi chetonici si può verificare in 2 tipi di situazioni, totalmente diverse
Digiuno prolungato o ipoglicemia nelle urine presenza di chetonuria isolata
Carenza insulinica profonda nelle urine presenza di glicosuria abbondante + chetonuria
Definizione del diabete
mellito
Il diabete mellito viene definito dalla presenza di una iperglicemia cronica, secondaria a un difetto di produzione e/o di azione dell’insulina.
L’iperglicemia cronica induce una serie di complicanze sistemiche che interessano in particolare occhi, reni, sistema cardiovascolare e sistema nervoso.
I criteri diagnostici sono stati rivalutati nel 1997 (ADA: American Diabetes Association)
Criteri diagnostici (ADA, 1997)
Il diabete mellito (DM) può essere definito da uno dei seguenti criteri:
In base alla glicemia
Glicemia a digiuno > 126 mg/dl
Oppure: in presenza di sintomatologia tipica qualsiasi valore di glicemia > 200 mg/dl
In base al test di carico orale con glucosio 75 gr (= OGTT o “curva glicemica” con misurazione della glicemia ogni 30’ per 2 ore)
Glicemia 2 ore dopo carico orale > 200 mg/dl
Altre definizioni (ADA, 1997)
Normale tolleranza ai carboidrati (NT) Glicemia a digiuno < 100 mg/dl
OGTT: glicemia 2 ore dopo carico orale < 140 mg/dl
Intolleranza ai carboidrati (IGT) OGTT: glicemia 2 ore dopo carico orale >
140 mg/dl e < 200 mg/dl
Alterata glicemia a digiuno (IFG) Glicemia a digiuno > 100 mg/dl e < 126
mg/dl
100
126
Glicemia
a digiuno
Glicemia
2 ore post-
carico orale
140
200
(mg/dl) (mg/dl)
DM
N
IFG
DM
IGT
NT
Classificazione del diabete
mellito Diabete di tipo 1
una malattia tipicamente AUTO-IMMUNE, anche se esistono
forme “idiopatiche”
il meccanismo principale è la profonda carenza insulinica
interessa essenzialmente bambini e adolescenti
Diabete di tipo 2
iperglicemia legata a insulino-resistenza (= difetto di azione
dell’insulina) + carenza insulinica relativa e progressiva.
interessa essenzialmente l’adulto e rappresenta la forma di
diabete PIU’ FREQUENTE
comune associazione con obesità e altre malattie
metaboliche
Altre forme di diabete mellito
Diabete secondario Malattie endocrine,patologie pancreatiche, farmaci..
Alcune forme sono reversibili
Malattie genetiche Difetti genetici della secrezione o dell’azione dell’insulina
Sindrome genetiche complesse con diabete
Diabete gestazionale > 30 % sviluppano diabete di tipo 2 nel corso della vita
Curva da carico del Glucosio
Un aspetto caratteristico del diabetemellito è la ridotta tolleranza al glucosio.
Nel test da carico del glucosio (OGTT75 gr. di glucosio per os)
Nei soggetti normali la glicemiaaumenta di poco ed il rapidorilascio dell’insulina consente ilritorno a valori normali entro un’ora
Nei soggetti diabetici la glicemiasale a livelli molto elevati e tende arimanere elevata per un periodo ditempo prolungato
Tale risultato è espressione di:
Assoluta mancanza di secrezioned’insulina
Alterata risposta dei tessutibersaglio all’ormone
La presenza di entrambe lecondizioni
Patogenesi del diabete di tipo 1
E’ espressione di una grave eassoluta mancanza di insulina,dovuta alla riduzione globale dellecellule beta del pancreasendocrino.
Il diabete di tipo 1 insorge ingenere nell’infanzia e divienemanifesto e grave nellapubertà.
I pazienti dipendonodall’insulina per la lorosopravvivenza
Esistono tre meccanismi, tra lorointerdipendenti, responsabili delladistruzione delle cellule beta:
Suscettibilità genetica
Autoimmunità
Fattori ambientali
Il diabete mellito di tipo 1
Malattia auto-immune caratterizzata da infiltrazione linfocitaria
(linfociti T) delle isole di Langherans pancreatiche, seguita da
progressiva distruzione delle cellule b-pancreatiche e profonda
carenza di produzione insulinica
Fattori di rischio
Aplotipo HLA (classe II, in particolare DR3/4)
Familiarità: 5-15 %
Possibile associazione con altre malattie auto-immuni (ipotiroidismo, morbo celiaco…)
Possibili fattori scatenanti (infezioni virali, agenti tossici..)
I markers biologici del diabete mellito
di tipo 1
L’auto-immunità nel diabete di tipo 1 induce la produzione di anticorpi specifici, che precedono l’insorgenza della malattia (valore predittivo) e ne confermano la patogenesi.
Trattasi essenzialmente di Anticorpi anti-isole pancreatiche (ICA)
Anticorpi anti-insulina (IAA)
Altri (anti-GAD anticorpi anti decarbossilasi dell’acido glutammico, anti-proinsulina, …)
Storia naturale del diabete di tipo 1
Devendra D et al. BMJ 328:752,2004
Presentazione clinica del diabete di
tipo 1
Rappresenta < 10 % dei casi di diabete
Una patologia dell’ età evolutiva essenzialmente bambini e adolescenti, più raramente adulti giovani (90 % < 20 anni) Tipicamente magri
Con l’aumento dell’obesità infantile, fino a 20-25 % dei nuovi casi sono obesi
Esordio tipicamente subacuto/acuto Subacuto: poliurodipsia, dimagrimento
Acuto: cheto-acidosi
Fisiopatologia del diabete mellito
di tipo 1
La carenza insulinica determina l’incapacità delle cellule (in particolare adipose e muscolari) di utilizzare il glucosio, con 2 conseguenze immediate:
1. Accumulo di glucosio nel plasma iperglicemia marcata superamento della soglia renale di riassorbimento glicosuria poliuria polidipsia
2. Utilizzo di fonti alternative di energia• Riserve lipidiche perdità di massa grassa
• Riserve proteiche perdità di massa magra
(muscolare)
Nella cheto-acidosi diabetica si associano carenza insulinica e iperproduzione di glucagone
dimagrimento
La cheto-acidosi diabetica
Se la situazione precedente continua ad evolvere perché non diagnosticata in tempo si verificano:
1. Disidratazione severa per poliuria
ipotensione, tachicardia, torpore..
2. Produzione massiccia di corpi chetonici
acidosi metabolica (cheto-acidosi) con iperventilazione secondaria e turbe digestive (vomito..) che peggiorano la disidratazione.
La cheto-acidosi è una complicanza spontaneamente fatale del diabete di tipo 1
Patogenesi del diabete di tipo 2
E’ la forma più comune di diabete (>80% dei diabetici), tipica della mezzaetà.
Due alterazioni metabolichecaratterizzano il diabete di tipo 2:
Abnorme secrezione d’insulina
Diminuita capacità dei tessutiperiferici di rispondere allasecrezione d’insulina (resistenzainsulinica)
Fattori predisponenti l’insorgenza dellamalattia sono:
Background genetico (familiarità)
Stile di vita
• Errata alimentazione (obesità)
• Vita sedentaria
Fisiopatologia del diabete di tipo 2
Caratterizzato da 2 elementi essenziali
Insulino-resistenza: inadeguata utilizzazione del glucosio da
parte delle cellule, che non rispondono normalmente alla
stimolazione insulinica; il difetto può essere di tipo pre-
recettoriale, recettoriale o post-recettoriale.
Difetto della b-cellula: anche se inizialmente relativo (la
secrezione insulinica è a lungo conservata), è ormai
ammesso che l’insorgenza del diabete di tipo 2 è legata a
una produzione di insulina insufficiente a compensare la
resistenza insulinica.
La lunga fase pre-clinica è responsabile di una sottovalutazione della malattia
e di una diagnosi spesso tardiva
Storia naturale del diabete di
tipo 2
Fattori di rischio per il diabete di tipo 2
Il diabete di tipo 2 è il più frequente (> 90 % dei casi di diabete)
Tipicamente caratteristico dell’ età matura (> 40 anni), interessa pazienti sempre più giovani
Fattori di rischio Familiarità ++ (ereditarietà multigenica)
Età
Obesità
Stile di vita: alimentazione e sedentarietà
Patologie associate (frequenti) Dislipidemia, sindrome metabolica.
Obesità e diabete (1)
L’obesità viene definita da un “body mass index” = BMI > 30 kg/m2;interessa circa 20 % della popolazione mondiale (stima del 2003)
L’obesità viscerale è particolarmente dannosa da un punto di vista metabolico, perché resistente all’effetto anti-lipolitico dell’insulina aumentata produzione di acidi grassi liberi (NEFA) insulino-resistenza a livello di muscolo e fegato.
Il tessuto adiposo non è una semplice riserva di grassi ma un vero organo endocrino le cellule adipose producono varie molecole capaci di indurre insulino-resistenza, in particolare leptina, TNF-, resistina, interleuchina-6
Ciò spiega come l’obesità rappresenti un fattore di rischio per il diabete di tipo 2 e perché la riduzione ponderale migliora la glicemia dell’obeso.
Obesità e diabete (2)
L’obesità esercita una
notevole influenza
diabetogena.
Circa l’80% dei pazienti
con diabete mellito di tipo 2
è obeso.
L’obesità, anche in assenza di
diabete, si caratterizza per
Resistenza insulinica
iperinsulinemia
Questa condizione, sul lungo
periodo, può evolvere nel
diabete conclamato.
Disregolazione della secrezione
d’insulina
In una fase iniziale si può osservare un’iperresponsività delle cellule
beta all’iperglicemia.
Quando si manifesta la malattia si modificano le modalità di secrezione
dell’insulina innescata dal glucosio
Successivamente si riduce la capacità delle cellule beta di produrre
l’insulina, senza tuttavia danni irreversibili alle cellule.
Resistenza insulinica
Nella maggior parte dei casi il deficit d’insulina non spiega le
alterazioni metaboliche.
Interviene anche un disturbo della risposta tissutale all’ormone le
cui basi molecolari non sono state ancora del tutto chiarite.
Riduzione del numero dei recettori per l’insulina
Difetti nella trasduzione post-recettoriale del segnale
Dal punto di vista fisiologico l’insulino-resistenza genera:
Incapacità dell’insulina circolante di modulare la disponibilità di
glucosio
Iperglicemia persistente
Prolungata stimolazione delle cellule beta
Le complicanze del diabete
La microangiopatia diabetica Alterazioni specifiche del microcircolo
retinopatia, nefropatia e neuropatia diabetiche
La macroangiopatia diabetica Ateromatosi precoce e diffusa complicanze cardiovascolari
Altre complicanze Aumentata sensibilità alle infezioni
Cataratta
Piede diabetico
La microangiopatia diabetica
1. La RETINOPATIA diabetica• Retinopatia semplice proliferativa
• Altre complicanze visive: glaucoma, cataratta..
“oftalmopatia diabetica” complessa con calo del visus
2. La NEFROPATIA diabetica• Glomerulopatia diabetica IRC progressiva
• Fattori aggravanti: macroangiopatia e ipertensione
3. La NEUROPATIA diabetica• Patogenesi mista: microangiopatia + danni metabolici diretti
(polioli, alterazioni della mielina…)
La macroangiopatia diabetica
Una forma di ATEROMATOSI istologicamenteaspecifica ma precoce e diffusa, con frequente interessamento plurisegmentare delle arterie di medio calibro distali.
Fattori aggravanti: Obesità
Ipertensione arteriosa
Fumo
Dislipidemia (in particolare ipercolesterolemia con aumento LDL)
Complicanze
della macroangiopatia diabetica
Sono quelle dell’ateromatosi diffusa:
Cardiopatie ischemiche
Angina / infarto miocardico
Patologia cerebrovascolare
TIA / ictus cerebrale
Patologia ischemica periferica (ateriopatia obliterante)
Claudicatio intermittens / ischemia acuta / gangrena
Il piede diabetico
Una sintesi delle varie complicanze del diabete mellito: Ischemia (macroangiopatia)
Ridotta troficità tessutale (microangiopatia/neuropatia)
Infezioni (batteriche, micosi..)
Vari tipi di lesioni Deformazioni osteoarticolari (neuropatia)
Ulcere (origine vascolare e neurogena)
Infezioni
Gangrena
Esempio di ulcera diabetica