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LA PRESSIONE ARTERIOSA La volta scorsa, quando ci siamo lasciati, io ho parlato della componente arteriosa del letto vascolare e abbiamo dato un cenno, una sintesi ma l’essenziale, sugli aspetti morfo-funzionali del letto arterioso. Però per completare questa parte, prima di continuare il microcircolo, io vorrei dare alcune notizie sulla pressione arteriosa, che ha anche un impatto pratico. Perché ricorderete che io avevo detto che il sistema arterioso è un sistema ad alta pressione e la pressione a livello delle arterie di grosso e medio calibro è di tipo pulsatile. Voi sapete che la misura della pressione arteriosa è una pratica di semeiotica molto importante perché ci permette di valutare tanti aspetti del letto vascolare. Intanto cerchiamo di definire il termine pressione arteriosa. Cos’è la pressione del sangue in un’arteria? Ce lo dice la Fisica: è la forza (che in questo caso è il sangue)esercitata sulla parete arteriosa. La pressione sanguigna è influenzata da diversi fattori: la pressione arteriosa infatti è uguale al flusso per resistenza. P= RxF. Il flusso dipende dalla gittata cardiaca quindi frequenza e gittata sistolica, le resistenza periferiche dipendono (ho fatto una sintesi) dalla viscosità del sangue (se il flusso è laminare), dalla lunghezza del vaso e dal raggio alla quarta. Quindi se aumenta la viscosità o la lunghezza del sistema, le resistenze saranno più elevate, quindi di conseguenza più elevata sarà la pressione arteriosa. Se il diametro o il raggio aumentano, le resistenze diminuiscono quindi avremo una minore pressione arteriosa; all’opposto: una condizione di vaso costrizione, comporterà un aumento delle resistenze e quindi un aumento della pressione arteriosa. Un altro fattore che incide sulla pressione arteriosa è la distensibilità del vaso: la parete del vaso è distensibile in virtù della presenza di elastina nel tessuto elastico e se il vaso diventa più rigido, come negli anziani, ne condiziona la pressione (in particolare aumenterà). Infine dipende anche dalla volemia, ovvero la quantità di sangue contenuto all’interno dei vasi, perché è chiaro: maggiore è il volume del sangue, maggiore sarà la forza esercitata sulla parete, maggiore sarà la pressione arteriosa. Se abbiamo una condizione di ipovolemia avremo di conseguenza una minore forza esercitata sulla parete del vaso, quindi avremo una minore pressione arteriosa. In questo schema sono presentati i fattori che ho indicato: i fattori fisiologici (ovvero il flusso,portata cardiaca, che dipende dalla frequenza per gittata sistolica e dalle resistenze periferiche che abbiamo già indicato), e i fattori fisici (il volume ematico arterioso, la

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LA PRESSIONE ARTERIOSA

La volta scorsa, quando ci siamo lasciati, io ho parlato della componente arteriosa del letto vascolare e abbiamo dato un cenno, una sintesi ma l’essenziale, sugli aspetti morfo-funzionali del letto arterioso. Però per completare questa parte, prima di continuare il microcircolo, io vorrei dare alcune notizie sulla pressione arteriosa, che ha anche un impatto pratico. Perché ricorderete che io avevo detto che il sistema arterioso è un sistema ad alta pressione e la pressione a livello delle arterie di grosso e medio calibro è di tipo pulsatile. Voi sapete che la misura della pressione arteriosa è una pratica di semeiotica molto importante perché ci permette di valutare tanti aspetti del letto vascolare. Intanto cerchiamo di definire il termine pressione arteriosa. Cos’è la pressione del sangue in un’arteria? Ce lo dice la Fisica: è la forza (che in questo caso è il sangue)esercitata sulla parete arteriosa.

La pressione sanguigna è influenzata da diversi fattori: la pressione arteriosa infatti è uguale al flusso per resistenza.

P= RxF.

Il flusso dipende dalla gittata cardiaca quindi frequenza e gittata sistolica, le resistenza periferiche dipendono (ho fatto una sintesi) dalla viscosità del sangue (se il flusso è laminare), dalla lunghezza del vaso e dal raggio alla quarta. Quindi se aumenta la viscosità o la lunghezza del sistema, le resistenze saranno più elevate, quindi di conseguenza più elevata sarà la pressione arteriosa. Se il diametro o il raggio aumentano, le resistenze diminuiscono quindi avremo una minore pressione arteriosa; all’opposto: una condizione di vaso costrizione, comporterà un aumento delle resistenze e quindi un aumento della pressione arteriosa. Un altro fattore che incide sulla pressione arteriosa è la distensibilità del vaso: la parete del vaso è distensibile in virtù della presenza di elastina nel tessuto elastico e se il vaso diventa più rigido, come negli anziani, ne condiziona la pressione (in particolare aumenterà). Infine dipende anche dalla volemia, ovvero la quantità di sangue contenuto all’interno dei vasi, perché è chiaro: maggiore è il volume del sangue, maggiore sarà la forza esercitata sulla parete, maggiore sarà la pressione arteriosa. Se abbiamo una condizione di ipovolemia avremo di conseguenza una minore forza esercitata sulla parete del vaso, quindi avremo una minore pressione arteriosa. In questo schema sono presentati i fattori che ho indicato: i fattori fisiologici (ovvero il flusso,portata cardiaca, che dipende dalla frequenza per gittata sistolica e dalle resistenze periferiche che abbiamo già indicato), e i fattori fisici (il volume ematico arterioso, la distensibilità del vaso che è la compliance) che condizionano la pressione arteriosa.

Come dicevo, nelle arterie di grosso e medio calibro la pressione è di tipo pulsatile e varia a secondo le fasi del ciclo cardiaco, quindi abbiamo:

Una Pressione Massima o Sistolica che coincide con il massimo efflusso sistolico.In un soggetto adulto la pressione massima fisiologica è di 120 mmHg

Una Pressione Minima o Diastolica che coincide con la diastole. Quella fisiologica è di 80 mmHg. Alcuni cardiologi considerano 80 mmHg una pressione minima leggermente alta.

Una Pressione Media, (PAM) che è la media tra quella sistolica e quella diastolica. Però è la media integrale e non aritmetica dei valori massimi e minimi. Infatti calcolando la media aritmetica risulterebbe 100 mmHg, ma noi abbiamo detto più volte che la pressione media è intorno a 97 mmHg, ovvero leggermente inferiore a quella aritmetica. Infatti se voi guardate in questa figura vi è la pressione pulsatile.. questo se ricordate è il polso arterioso, in questo caso polso pressorio; abbiamo la pressione sistolica, diastolica e quella media che è più vicina alla pressione diastolica rispetto a quella sistolica perché la durata della sistole e quella della diastole non sono uguali. Infatti la durata della diastole è maggiore della sistole. Per cui la media si ottiene mediante questa

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formula : la pressione diastolica più la sistolica meno la diastolica diviso 3 e otteniamo quel valore di 96-97 mmHg.

PMA = Pd + 1/3 (Ps-Pd)

Da cosa dipende la pressione sistolica?

Dipende dal flusso, gittata cardiaca e dalla distensibilità del vaso. Per cui se aumenta la gittata cardiaca, cioè il flusso (quindi la portata), la pressione massima sarà più elevata; se diminuisce la gittata cardiaca, quindi la portata, la pressione massima tende ad essere più bassa. È chiaro: per quanto riguarda la distensibilità, il vaso non può diventare più distendibile ma con l’età si attua una condizione di fibrosi, quindi il vaso diventa meno distendibile, più rigido, e in queste condizioni aumenta la pressione massima. Infatti nei soggetti anziani abbiamo una massima normale, fisiologica intorno ai 140 mmHg, questo valore può essere indicativo di un caso patologico, ma di norma, se non ci sono altri parametri che contribuiscono ai valori pressori, l’anziano ha una pressione massima leggermente più alta rispetto al soggetto giovane.

Da cosa dipende la pressione diastolica?

Invece la pressione diastolica dipende dalle resistenze periferiche, quindi se aumenta la viscosità, se aumenta a lunghezza del sistema, se il raggio tende a diminuire allora la pressione diastolica tenderà adaumentare. È chiaro che se la pressione diastolica aumenta di pari passo aumenterà anche la massima perché mettendo un ostacolo al flusso (dato che le resistenze sono aumentate), il lavoro del cuore sarà aumentato. Quindi in questo caso la massima aumenta in conseguenza dell’aumento della minima. Questo è molto importante dal punto di vista pratico: nelle così dette ipertensioni essenziali, quelle maggiormente presenti, la causa iniziale è un aumento delle resistenze; quindi aumenta la minima e come compenso aumenterà anche la massima. E come interviene il medico in queste condizioni? Devo far diminuire la massima o la minima? La minima. Infatti abbiamo alcuni farmaci come i diuretici che hanno lo scopo di far diminuire la minima. Oppure ci sono farmaci che possono determinare una dilatazione delle arteriole. È chiaro che se io intervengo riducendo la minima verrà ridotta anche la massima perché diminuisco il lavoro cadiaco. Un soggetto tachicardico avrà una pressione minima leggermente più alta, mentre uno bradicardico una pressione minima più bassa.

L’altro valore pressorio è dato dalla Pressione Differenziale: la differenza tra la massima e la minima. La massima è 120 mm Hg, la minima è 80 mm Hg quindi la differenziale è di 40 mm Hg. Ma se un soggetto ha di massima 140 e di minima 100 la differenziale è sempre di 40! Quindi significa che ancora il cuore riesce a svolgere un lavoro tale da riuscire a vincere le resistenze periferiche. Ora immaginate che a un certo punto il cuore va incontro a scompenso: la minima risulterà sempre alta ma se c’è uno scompenso cardiaco, la massima tenderà a diminuire e quindi così anche la differenziale tenderà a ridursi, e questo è un segno prognostico molto grave. Infatti questo segno ci dice che, essendo la differenziale più bassa, il cuore non è più capace di vincere le resistenze periferiche. Perché a livello del circolo polmonare, la pressione non è 120 mm Hg ma 25 la massima e 8 la minima? Perché è un sistema a bassa pressione? La gittata cardiaca è ridotta o è uguale? È uguale, quindi la causa della diminuita pressione arteriosa a livello del circolo polmonare è da attribuire al fatto che questo è un circolo a bassa resistenza: la viscosità è uguale, mentre la lunghezza del vaso diminuisce perché il letto vascolare è ridotto. Quindi una minore resistenza determina una minore minima e quindi una minore massima. Anche il diametro dei vasi è leggermente più grande nel circolo polmonare rispetto a quello sistemico. Quindi il circolo polmonare è un circolo a bassa pressione perché è un sistema a bassa resistenza, perché è minore la lunghezza del sistema e il raggio è leggermente più grande.

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Di questi fattori qual è la variabile? La lunghezza, la viscosità o il raggio, in condizioni normali? È il raggio. I soggetti che vivono alle grandi altezze hanno una poliglobulia, quindi hanno un numero di globuli rossi elevato (si arriva anche a 12 milioni per mm cubo), quindi la viscosità in questi soggetti sarà quindi notevolmente aumentata. E cosa dovremmo aspettarci? Una pressione minima elevata e quindi un maggiore impegno cardiaco per vincere queste resistenze periferiche; ma non è così: il soggetto ha la poliglobulia ma ha la pressione diastolica normale e quindi normale anche quella sistolica. Quindi cosa si è verificato come compenso in questi soggetti che normalmente vivono a grande altezza per compensare l’aumentata viscosità? Hanno tendenza ad avere un’arteriolo dilatazione che compensa la viscosità. Infatti questi soggetti hanno un colorito abbastanza roseo perché hanno un flusso sanguigno notevolmente più alto proprio per l’arteriolo dilatazione. Altrimenti il povero cristo che vive alle grandi altezze dovrebbe prendere sempre dei farmaci che lo aiutino a ridurre la minima per il motivo che abbiamo già ricordato.

La pressione differenziale può essere usata per calcolare la gittata sistolica. La frequenza cardiaca è facilmente misurabile con la palpazione del polso. Per calcolare la gittata sistolica ci sono tecniche cruente (il principio di Fick) ma ce n’è uno anche non cruento, molto pratico che ci permette di valutare in modo ipotetico la gittata sistolica di un individuo. Questo grazie al fatto che la gittata sistolica è uguale alla pressione differenziale per la superficie corporea di un individuo.

Gs = Pdifferenziale X Superficie corporea

Possiamo facilmente calcolare la differenziale facendo la differenza tra massima e minima, e posso anche facilmente sapere la superficie corporea con un normale normogramma tenendo conto del peso e dell’altezza dell’individuo. Quindi moltiplicando la pressione differenziale per la superficie corporea io ottengo la gittata pulsatoria. Vedete questo 1.73 m quadri è la superficie corporea di un individuo adulto che pesa 70 Kg ed è alto 1.70 m, se la differenziale è 40 e la moltiplico per la superficie che è 1.73 ottengo 69.20 mm, cioè la gittata sistolica. Ma è un mezzo però preciso o empirico? È un mezzo empirico ma può essere molto valido per conoscere la gittata sistolica o pulsatoria di questo individuo.

Quali sono i fattori che possono modificare la pressione arteriosa?

1. Il sesso: le donne tendono ad avere una pressione arteriosa leggermente più bassa, sia massima che minima rispetto al maschietto. Questo è legato al fatto che hanno una minore viscosità del sangue.

2. L’età: con l’aumentare dell’età tende ad aumentare soprattutto la pressione massima (per la fibrosi delle grosse arterie) ma anche quella diastolica.

3. Attività fisica: qui bisogna differenziare che tipo di attività fisica si svolge: un’attività di tipo isotonica come la corsa o il camminare più o meno velocemente: avremo

delle modificazioni pressorie diverse da un soggetto che fa attività di tipo isometrica, di potenza. Vedete che questa figura rappresenta cosa succede durante un’attività fisica di tipo isotonico ( io non vado oltre del resto se avete seguito il corso di fisiologia dello sport lo dovreste già conoscere). Aumenta la frequenza e la gittata ma a un certo punto la gittata tende a diminuire perché se la frequenza supera certi livelli avremo minor riempimento ventricolare e tutto questo si ripercuote sulla gittata cardiaca. Elevata frequenza cardiaca determina quindi un minor riempimento ventricolare in diastole e quindi avremo una minore forza di contrazione, per questo prima aumenta poi tende irreversibilmente a diminuire. Ma siccome la frequenza cardiaca aumenta, aumenterà di conseguenza anche la gittata cardiaca durante tutta la durata dell’attività fisica. Quindi aumenterà la pressione sistolica, perché durante l’attività fisica aumenta la gittata cardiaca e ho detto che maggiore è la gittata cardiaca, maggiore sarà la gittata sistolica. Invece la minima diastolica resta a valori normali perché durante l’attività fisica si ha un’arteriolo dilatazione a livello del letto vascolare dei muscoli e le resistenze periferiche

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diminuiscono quindi la minima o resta costante o aumenterà di poco. E la differenziale quindi aumenta, questo è un vantaggio: in un soggetto iperteso normalmente suggeriremmo un’attività fisica perché la minima con l’attività fisica diminuisce la minima e quindi anche la massima.

Ma deve svolgere un tipo di attività isotonica e non di potenza o isometrico, come una corsa di breve durata. Infatti durante questo ultimo tipo di attività fisica aumenta la massima ma anche la minima, e questo è uno svantaggio. La minima aumenta perché i grossi vasi contenuti al livello dei muscoli vengono compressi e quindi aumenteranno le resistenze e quindi anche la minima. Per cui un soggetto iperteso che fa un’attività fisica si deve consigliare un’attività ben ricettata di tipo aerobico, isotonico che comporta una riduzione sia della minima che della massima.

4. Posizione corporea: quando un soggetto passa da una posizione orizzontale a una verticale sia la pressione sistolica che quella diastolica tendono a diminuire; mentre se il soggetto passa da una posizione clinostatica e passa ad una posizione orizzontale la pressione aumenta, ci sono però dei meccanismi di compenso.

5. Il sonno: non si hanno modificazioni pressorie o tende leggermente a diminuire ma nel sonno REM che è un sonno attivo invece la pressione arteriosa tende ad aumentare. Quindi durante le fasi del sonno la pressione aumenta o diminuisce a seconda della fase del sonno, lo vedremo poi nel prossimo semestre.

6. Gli stati emotivi: determinano una scarica di catecolamine, soprattutto noradrenalina, che è un potente vaso costrittore, quindi avremo un aumento delle resistenze e quindi un aumento della minima e della massima.

Voi sapete che la pressione la possiamo calcolare con lo sfigmomanometro e abbiamo due tecniche: la palpatoria e l’auscultatoria . Quando io metto dell’aria in un manicotto, la pressione all’interno del manicotto aumenta e quindi questo aumento pressorio determinerà cosa? Se voi ponete il fonendo su un vaso non sentite nessun rumore, ma se voi prendete un manicotto e iniettate dell’aria (immaginiamo che il soggetto abbia una pressione di 120) e aumentate la pressione al di sopra di 120 il vaso si chiude, poi decomprimendo il flusso aumenta e compare un rumore. Quando inizia questo rumore avremo il valore pressorio della massima, poi decomprimiamo fino a quando il vaso diventa completamente pelvio e a un certo punto, quando il valore va al di sotto della minima, il rumore scompare e otteniamo il valore della minima. Questo è il metodo auscultatorio, ma possiamo usare anche quello palpatorio. Con questo però possiamo calcolare la massima ma non la minima. Siccome la causa più frequente di ipertensione è l’aumento della minima è preferibile utilizzare il metodo auscultatorio; questo per dire che quando usiamo lo sfigmomanometro per avere la pressione massima e minima dobbiamo utilizzare la tecnica auscultatoria. Con il metodo della palpazione otteniamo il valore della massima perché quando abbiamo il primo rumore, questo corrisponde all’aumento del flusso ovvero all’espansione della parete del vaso, dopo di che rimane la pulsazione e non posso apprezzare la minima.

IL MICROCIRCOLO

Andiamo ora al microcircolo.

Da cosa è costituito il microcircolo?

Dai vasi di resistenza (arteriole e venule). Per cui vengono chiamate resistenze pre-capillari, quelle arteriolari e resistenze post capillari quelle a livello delle venule.

Le arteriole che sono i vasi a lume ristretto, ad esse è dovuto il 70-75% delle resistenze totali del letto vascolari in virtù del loro piccolo diametro.

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Dal punto di vista morfologico sono ricche della componente muscolare, di tipo multiunitario che si può contrarre o rilasciare; infatti il ruolo funzionale delle arteriole è quello di distribuire la gittata cardiaca tra i diversi sistemi circolatori dei vari organi. In quale sistema però? Nel sistemico, perché invece a livello polmonare tutta la gittata del ventricolo di destra si distribuisce unicamente a livello polmonare, invece in quello sistemico la gittata cardiaca si deve distribuire in diversa misura ai diversi distretti vascolari. Questo compito di distribuire in diversa misura dipende dalle arteriole, quindi dalla loro muscolatura liscia. Quindi tra un’arteriola polmonare e una sistemica, quale avrà maggior componente di muscolatura liscia? Ovviamente le arteriole del circolo polmonare sono in condizioni normali meno ricche di tessuto muscolare liscio. Ma se si crea una condizione di ipossia cronica (mancanza di ossigeno cronica) si ha un’ipertrofia della componente della muscolatura liscia e quindi cosa si potrà verificare se i vasi hanno una tendenza alla vasocostrizione?Una modificazione delle resistenze e quindi aumenterà la pressione polmonare (la sistolica e la diastolica). Inoltre regola il flusso nei singoli distretti perché durante l’attività fisica le coronarie che irrorano il miocardio e i vasi che irrorano i muscoli devono ricevere più sangue. Quindi a questo livello le arteriole vanno incontro a una vasodilatazione. Ma a livello cutaneo, splancnico e renale si verifica una vasocostrizione, quindi avremo un flusso aumentato a livello del tessuto muscolare e uno ridotto a livello splancnico, cutaneo e renale e a determinare questo sono le arteriole in base di una vasodilatazione o vasocostrizione causata da fattori chimici o nervosi.

Vasi di scambio: ovvero i capillari. Morfologicamente sono costituiti da solo endotelio che poggia sulla membrana basale, favorendo così gli scambi tra ambiente intravascolare e ambiente extravascolare, quindi il liquido interstiziale. Non tutti i letti capillari sono uguali: questa figura rappresenta ancora meglio il microcircolo: vasi di resistenza, le arteriole, i vasi di scambio, i capillari e le venule a bassa resistenza che però sono capaci di accogliere una quantità di sangue superiore rispetto agli altri distretti.

Vasi di Shunt : collegano direttamente le arteriole con le venule. Quindi viene saltato il letto capillare, ma questo è uguale in tutti i distretti o varia a seconda del distretto? Guardate, questo è un letto capillare di un muscolo scheletrico, composto da arteriola, meta arteriola e un canale preferenziale che si collega alla venula. Dalle meta arteriole e dai canali preferenziali originano dei capillari chiamati capillari veri, al cui inizio è presente uno sfintere pre-capillare. Ora immaginate un soggetto che svolge un’attività muscolare modesta; in queste condizioni il muscolo può essere facilmente ed adeguatamente irrorato esclusivamente attraverso il canale preferenziale. Quindi i capillari veri che originano dalle meta arteriole e dai canali preferenziali non sono irrorati perché questo sfintere è contratto e il flusso è deviato esclusivamente nel canale preferenziale. Ma se il soggetto compie un’attività fisica le cose sono diverse: il flusso deve aumentare per poter avere un maggiore afflusso di nutrienti a quel muscolo che lavora e per allontanare una quantità maggiore di cataboliti, quindi il flusso deve aumentare. Quindi in queste condizioni si avrà un rilasciamento degli sfinteri precapillari e di conseguenza aumenterà il flusso a livello dei capillari veri e avremo quindi una maggiore irrorazione dell’organo e una maggiore possibilità di scambio. Questo invece è un letto capillare del mesentere: è simile ma non è uguale. Avremo sempre un canale preferenziale però i capillari veri saranno in un minor numero perché non è necessario modificare notevolmente l’apporto di sangue a livello del mesentere. Questo invece è un letto sottoungueale: abbiamo un’arteriola, un canale preferenziale e una venula, mentre vi sono pochissimi capillari veri. Questa invece è una condizione in cui un’anastomosi artero-venosa chiusa(vi ricordate i vasi di Shunt che collegano l’arteria con la vena?) fa si che il flusso raggiunga il letto capillare. Invece se questa anastomosi artero-venosa è aperta, il sangue dall’arteriole passa subito alle vene senza passare dal letto capillare infatti vedete che non si verifica un’ arteriolodilatazione. Questa figura è molto simile: vi è un’arteriola, un canale preferenziale e la venula, inoltre vedete gli sfinteri precapillari che regolano il flusso al livello dei capillari veri e che alcuni di questi sono aperti (quindi aumenterà

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il flusso di sangue all’interno dei capillari veri), mentre altri sono chiusi (quindi i capillari veri saranno scarsamente vascolarizzati).

Quanti tipi di endotelio conoscete?

1. Abbiamo capillari in cui l’endotelio è continuo e sono presenti nel muscolo, nella cute, nei polmoni, tessuto adiposo, tessuto connettivo e in parte tessuto nervoso. Gli scambi avvengono attraverso o delle vescicole (pinocitosi) o attraverso delle giunzioni tra cellule, con diametro di circa 4nm. Quindi queste lasciano passare acqua e soluti, mentre ostacolano il passaggio di proteine.

2. Un altro tipo di endotelio è quello fenestrato. Anche in questo caso tra le cellule esistono delle fenestrature con diametro maggiore delle giunzioni precedenti (che talvolta presentano un diaframma) che rendono il capillare più permeabile all’acqua, ai soluti, e passa anche qualche proteina. È tipico dei tessuti specializzati in scambi di liquido, come a livello glomerulare o a livello del tubulo renale. Infatti la quantità di liquido che si forma nel glomerulo è notevolmente più elevata di quella filtrata nei circoli periferici. Questo tipo di epitelio lo ritroviamo anche a livello della mucosa intestinale, la quale infatti può assorbire anche proteine non digerite soprattutto in età neo-natale.

3. Un endotelio discontinuo, presente soprattutto nel midollo osseo, nella milza e nel fegato. Queste grosse discontinuità permettono anche il passaggio di elementi corpuscolati, come i globuli rossi; basta pensare il ruolo della milza nelle cellule della serie linfoide (nell’emocateresi e nell’emopoiesi). Quindi abbiamo anche bisogno di ampie fenestrature per far passare i linfociti, infatti gli intervalli intercellulari sono molto elevai e la permeabilità non è solo per i soluti ma anche per proteine e passaggio di globuli rossi e globuli bianchi.

4. Giunzioni molto strette a livello cerebrale,che fanno parte della barriera emato-encefalica (è una barriera morfologica ma anche funzionale.)

Quali sono i meccanismi di trasporto attraverso questi vasi di scambio?

Sono diversi, ma il processo che maggiormente incide negli scambi tra vaso e liquido interstiziale è la

1. diffusione che avverrà sempre lungo un gradiente di concentrazione ed è legata all’energia cinetica delle molecole.

2. Poi c’è la pinocitosi di cui abbiamo già parlato 3. Un altro processo, tipico del letto capillare (anche presente a livello renale ma con valori pressori

diversi) che è un processo di ultrafiltrazione e di riassorbimento e che dipende da fattori prettamente fisici o meglio di tipo fisico-chimico. Questi fattori sono soprattutto la pressione idrostatica e quella oncotica. Per pressione oncotica intendiamo la pressione che viene esercitata dalle proteine plasmatiche dal momento che la parete è impermeabile a queste. Ora in modo molto semplicistico, se prevale la pressione idrostatica su quella oncotica, avviene il processo dell’ultrafiltrazione: il liquido viene filtrato e passa dal vaso al liquido interstiziale; questa è diversa dalla semplice filtrazione perché un filtro separa la parte corpuscolata da quella plasmatica. Invece qui cosa si deve separare? La parte corpuscolata , ma anche la parte proteica della parte corpus colata. Quindi il liquido che si viene a formare è plasma privo di proteine. Perché possa avvenire il processo di ultrafiltrazione è necessario che si crei una pressione di ultrafiltrazione che si ottiene quando la pressione idrostatica prevale su quella oncotica e avviene nell’estremità arteriosa del capillare, cioè nella parte del capillare che segue l’arteriola.

4. Nell’estremità venosa che poi sarà seguita dalle venule, è invece la pressione oncotica a prevalere su quella idrostatica perché a questo livello ci stiamo allontanando dal vaso e la pressione idrostatica tende a diminuire mentre quella oncotica rimane costante o potrebbe leggermente aumentare perché perdendo liquidi il contenuto è più concentrato (questo avviene soprattutto a

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livello renale). Quindi in questo caso avremo il fenomeno del riassorbimento. Questo scambio di liquidi e di elettroliti è molto importante perché contribuisce al rinnovo del liquido interstiziale. Ma non è così semplice perché i valori pressori che a noi interessano sono quattro: la pressione idrostatica del capillare, oncotica del plasma, idrostatica del liquido interstiziale e quella oncotica del liquido interstiziale perché pur essendoci poche proteine,queste eserciteranno sempre una certa pressione oncotica.

Ma cosa succede all’estremità arteriolare del capillare dove avverrà l’ultrafiltrazione? Abbiamo forze che spingono il liquido verso l’esterno e forze atte a spingerlo all’interno (quindi ad ostacolare il passaggio del liquido dal vaso all’esterno). Vedete che le forze che tendono a spingere il liquido verso l’esterno sono tre: la pressione idrostatica del capillare che è intorno ai 30 mm Hg, la pressione interstiziale che è anch’essa una pressione che tende a spingere il liquido verso l’esterno (ma per poter fare questo lavoro deve essere inferiore alla pressione atmosferica e infatti è negativa di 3; per cui non si oppone ma richiama liquido a livello interstiziale) e poi la pressione oncoto-osmotica del liquido interstiziale che è modesta. Se noi le sommiamo abbiamo una forza totale delle forze che spingono verso l’esterno, pari a 41. L’unica forza che invece trattiene il liquido è la pressione colloido-osmotica plasmatica che è intorno ai 28 mm Hg, quindi la differenza di queste due forze mi da la forza effettiva di filtrazione o pressione di ultrafiltrazione cioè 41-28= 13 mm Hg. Avviene all’estremità arteriolare del letto capillare.

A livello venulare invece non deve esistere una pressione di ultrafiltrazione ma una pressione di assorbimento. A questo livello le forze che spingono il liquido verso l’interno sono sempre date dalla pressione colloido-osmotica che è sempre di 28 mm Hg. Mentre le forze che si oppongono al riassorbimento e che quindi spingono il liquido verso l’esterno sono: la pressione capillare che da 30 mm Hg diventa 10 mm Hg, la pressione interstiziale idrostatica è sempre di 3 mm Hg, la pressione colloido osmotica del liquido interstiziale è di 8 mm Hg. La somma di queste ultime mi da 21 mmHg, per cui prevale la forza che chiama verso l’interno rispetto a quella che spinge verso l’esterno. Ma il terzo parametro non tiene conto delle estremità ma della parte centrale del letto capillare: abbiamo le solite tre forze che spingono il liquido verso l’esterno (la pressione capillare che in media è 17.3, quella negativa del liquido interstiziale che è sempre 3 e la pressione colloido-osmotica del liquido interstiziale che è sempre 8) e quindi una pressione di filtrazione di 28.3. Vediamo invece la forza che tende a riassorbire: abbiamo la pressione colloido osmotica che è intorno a 28. Quindi c’è un equilibrio: tanto filtra e tanto si riassorbe, ma predomina leggermente quella di ultrafiltrazione, per cui nel tempo si potrebbe verificare un accumulo di liquido interstiziale, ma vi sono i vasi linfatici che richiamano quel liquido che è stato filtrato ma non è stato riassorbito che prendono infatti origine a livello degli spazi interstiziali. Ora ci sono delle forme di edema dovute a un blocco dei linfatici. Se si ha un blocco dei linfatici avremo di conseguenza che viene meno l’assorbimento di quella quota ultrafiltrata ma non riassorbita a livello dei capillari e si formano degli edemi abbastanza cospicui, che di norma raggiungono dimensioni notevoli. Guardate questo caso: questo è un’ edema da blocco linfatico che allontana il liquido refluo dagli arti inferiori e quindi si ha un elefantismo. Questo è invece un linfo-edema massivo per blocco dei linfatici limitato a un arto. Questi problemi ce li hanno i soggetti che hanno subito interventi di vasectomia con asportazione dei noduli linfatici per evitare metastasi, si ha quindi un’edema. Io avevo anche un’altra figura, ma i vostri colleghi precedenti me l’hanno rubata, di un soggetto che aveva avuto un blocco dei linfatici dei vasi dello scroto. Ma il problema non è solo di questo edema scrotale enorme ma il problema era che questo povero cristo per portare a spasso questo scroto enorme adoperava una carriola, e si vedeva appunto questa carriola su cui poggiava la massa enorme e lui se la portava a spasso. Però gli edemi possono essere legati a diversi fattori. Per esempio ci sono degli edemi quando aumenta la pressione venulare, oppure quando si ha una riduzione del contenuto di proteine plasmatiche, in particolare l’albumina. Una ipoalbulinemia può essere dovuta o a fattori alimentari o perché il rene, non riassorbe in maniera dovuta le proteine (proteinuria), oppure a causa del fegato o ancora quando aumenta la permeabilità dei capillari (edemi dei processi infiammatori).

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Circolo polmonare

Tutto quello visto finora è a livello del ciclo sistemico, ma a livello polmonare le cose sono molto diverse, essendo questo un sistema a bassa pressione. Infatti vedete che in media la pressione periferica non è 30 ma è 7, la pressione colloido-osmotica del liquido interstiziale è 14 (quindi più elevata), e la pressione negativa del liquido interstiziale è 8; quindi abbiamo una forza totale verso l’esterno di 29. L’unica forza che si oppone è la pressione colloido-osmotica all’interno dei vasi che è 28. Quindi la pressione netta di filtrazione è 1, e questo ci dice che gli alveoli sono asciutti , ma questo non è vero perché c’è sempre un sottile strato di liquido che tappezza gli alveoli, come vedremo tra qualche lezione, ma ci dice comunque che a livello polmonare il liquido interstiziale è scarsamente rappresentato e questo fattore facilita gli scambi gassosi tra alveoli e sangue venoso. Quindi alla fine il fenomeno del riassorbimento dipende da fattori fisici-chimici e contribuisce al mantenimento di una quantità costante del liquido interstiziale.

Sistema venoso

Andiamo ora al sistema venoso .

È un sistema a bassa pressione, e questo è molto importante perché essendo a bassa pressione è un sistema che ne facilita la funzione di serbatoio (contiene circa l’85% del volume totale del sangue).

Mentre nei vasi arteriosi prevalgono le fibre di elastina, nei vasi venosi prevalgono fibre di collagene e dato che è molto elastico, alla fine questi vasi sono scarsamente distendibili per il maggiore ritorno elastico.

1. Ha due funzioni fondamentali: Portare il sangue dai capillari all’atrio (quindi ritorno venoso)2. Serve come serbatoio a bassa pressione, ecco perché il letto venoso è capace di accogliere elevate

quantità di sangue. Per questo motivo vengono chiamati vasi di capacità

Ma da cosa dipende la capacità di serbatoio di un sistema?

Dipende dalla sua distensibilità di volume, che a sua volta dipende da due parametri:

Aumento di volume Aumento di pressione

Questo significa che un letto vascolare può avere una buona attività di serbatoio aumentando il volume ma facendo aumentare di poco la pressione.

C’è un testo che dice che questa caratteristica di distensibilità dipende dalle fibre di collagene. È vero o no? In base al fatto che si oppongono alla distensione non è vero, però se consideriamo il fatto che le fibre di collagene sono ripiegate,queste per essere distese deve aumentare il volume del vaso. Quindi se non è il collagene che contribuisce alla funzione di serbatoio delle vene rispetto alle arterie, questa elevata capacitanza venosa da cosa dipende? Dipende dalla forma delle vene: se prendiamo l’aorta ha una forma sferica e man mano che aumenta il volume di sangue, aumenta il diametro dell’aorta e di pari passo la sua pressione arteriosa. È ovvio che una tale struttura non permette alle arterie di essere un buon serbatoio perché aumenta notevolmente la pressione. Mentre la forma delle vene è ellittica e non sferica: qui l’aumento di volume per poter determinare un aumento di pressione dovrebbe prima trasformare la forma ellittica in una meno ellittica e infine sferica. È questo che permette alle vene di avere una buona capacitanza, cioè di accogliere molto liquido con bassa pressione. Quindi il collagene deve impedire che la parete sia troppo distesa perché altrimenti si avrebbe una rottura del vaso, e quindi questa elevata distensibilità della vena rispetto all’arteria dipende non dalla struttura della parete (e quindi dalle fibre di collagene) ma solo dalla forma delle vene (che è ellittica e non sferica)

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Emodinamica nel sistema venoso

Un altro aspetto molto importante è l’emodinamica nel sistema venoso.

Se noi ci riferiamo a un soggetto che ha una stazione eretta, per effetto della gravità avremo delle ripercussioni sul flusso di sangue nel letto arterioso e nel letto venoso.

Quindi :

dobbiamo riferirci alla statura dell’individuo, (in questo caso 180cm) Dobbiamo differenziare i vasi arteriosi e venosi situati al di sopra del cuore (ed è un’altezza modesta:

40 cm) rispetto all’altra che va dal cuore ai piedi che è maggiore (circa 140 cm)

Io non voglio ricordarvi la Fisica però nel flusso di sangue dobbiamo tener conto della pressione idrostatica, che è appunto dettata dalla terza legge dell’idrostatica che dice che la pressione esercitata da una colonna di liquido dipende dall’altezza di questa colonna ed è uguale alla massa/Volume per la forza di gravità g e per l’altezza h.

P=m/V*g*h

A livello del cuore abbiamo una pressione “zero” come punto di riferimento, uguale o superiore a quella atmosferica.

Cosa succede al livello superiore del cuore? L’altezza è modesta, quindi in questo caso, la pressione che esiste a questo livello è uguale alla pressione di riferimento (zero) meno la pressione idrostatica (m/V*g*h). Quindi in questo caso la pressione di riferimento supera la pressione della colonna idrostatica.

Vediamo cosa succede al livello inferiore. Qui (essendo più alto il livello) la pressione è uguale alla pressione di riferimento alla quale dobbiamo aggiungere quella del liquido.

Quindi ho detto che la pressione di riferimento è intorno a 100, mentre la pressione dovuta alla colonna di liquido è zero perché siamo a livello del cuore. Nei vasi situati a livello del cuore, a livello del letto arterioso, la pressione idrostatica è 98 perché tende a diminuire un po’, meno la pressione idrostatica. Quindi avremo molta o poca ripercussione sul flusso di sangue? Avremo una certa ripercussione, ma essendo il letto vascolare molto piccolo non sarà poi così influente. Andiamo invece a livello del letto venoso: abbiamo sempre Po come pressione di riferimento, la pressione del sangue è 10, quella idrostatica è -30, e quindi le altre vene saranno quasi collassate, a meno che non aumenti la pressione del sangue e le vene saranno ingrossate, quindi è possibile notarlo anche con la palpazione nei soggetti con scompenso cardiaco. Ma andiamo invece nella zona sottostante il cuore. Qui la pressione è di 95, ma bisogna sommare la pressione dovuta al liquido. Mentre a livello venoso abbiamo la pressione idrostatica che diminuisce a dieci, mentre l’altra è 104 quindi in questo caso verrà ostacolato il ritorno venoso, per cui in un soggetto in posizione eretta, si può verificare, da un punto di vista emodinamico, un ostacolo al ritorno venoso.

Infatti abbiamo un problema: colonne idrostatiche elevate; (quindi si parla a livello dei piedi). Qui i vasi di grande capacità, ovvero le vene, sono molto dilatate. Cosa succederebbe se non ci fossero dei meccanismi di compenso ?Un ristagno nelle parti basse, a livello per esempio delle caviglie e dei piedi. Ecco la conseguenza se non esistessero dei meccanismi di compenso. In posizione clinostatica gli effetti sono molto modesti, perché essendo coricato, il soggetto subisce la forza di gravità solo su brevi altezze, ovvero cuore e spalle. Se invece il soggetto è in piedi la colonna eserciterà maggiore pressione alle estremità più basse, quindi di conseguenza, essendo i vasi venosi distensibili, si ha un ristagno di sangue a livello venoso. Questo problema può essere superato in diversi modi:

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Il sistema nervoso simpatico: a livello delle vene, grazie all’intervento dell’noradrenalina, causa una venocostrizione e quindi una spinta del sangue verso il cuore

Le pompa cardiaca: è la spinta che il sangue riceve in virtù della sistole ventricolare e tende a vincere il ristagno di sangue delle grosse vene. Ma man mano che noi ci allontaniamo dal cuore, tende a diminuire, quindi vi devono essere anche le altre pompe per compensare.

La pompa muscolare: esercitata dai muscoli scheletrici. Che eserciterà i suoi effetti soprattutto a livello delle grosse vene nel contesto dei muscoli degli arti inferiori. Queste vene sono provviste di valvole. Immaginate che si tratti di una grossa vena situata nel contesto della massa muscolare: quando il muscolo è fermo (come nel caso del soldato che sta all’in piedi) avremo gli effetti sul flusso delle colonne idrostatiche; in questo caso le valvole sono aperte sia a livello dell’estremità prossimale che distale della vena, quindi si formerà un ristagno e non vi è il ritorno venoso. Mentre se il muscolo si contrae avremo una compressione sulla vena che provocherebbe un riflusso di sangue preferibilmente verso il cuore, cercando di vincere la gravità. Quando poi il muscolo si rilascia, la colonna viene interrotta perché le due valvole si chiudono, poi una si apre e l’altra si mantiene chiusa. Quindi avremo un nuovo flusso di sangue a livello venoso, poi il muscolo si contrae e riprende il ciclo. Quindi il muscolo si contrae, comprime le vene, la valvola a monte è aperta , si ha un flusso verso il cuore e si favorisce il ritorno venoso. Mentre con il rilasciamento del muscolo, le valvole sono chiuse sia a monte che a valle, si riempie di nuovo la vena e il ciclo continua. Se il soggetto è in piedi questa pompa non è molto efficiente perché non si alternano fasi di contrazione e fasi di rilasciamento. Quindi il soggetto che sta in piedi per molto tempo non ha ritorno venoso, e se un soggetto cerca di svenire si sollevano infatti le gambe per favorire questo ritorno venoso.

La pompa toraco-addominale: Qui ha un ruolo molto importante il diaframma, il muscolo inspiratorio per eccellenza. Quando si contrae di norma si sposta verso il basso, quindi cosa farà questo diaframma che tende a spostarsi verso il basso? Quando si inspira, tende ad appiattirsi e si sposta in basso, di conseguenza a livello endo-addominale si avrà un aumento della pressione all’interno dell’addome e quindi una compressione delle vene addominali e il sangue riceve una spinta verso il cuore. Ma quando invece si espira, il diaframma si abbassa, la pressione tende a diminuire e si ha una vis a fronte e non a tergo, perché se diminuisce la pressione a livello del torace, verrà favorito il risucchio di sangue a livello cardiaco. Per cui la pompa toraco-addominale è dovuta all’attività del diaframma che contraendosi da un lato aumenta la pressione endo- addominale, per cui si ha una contrazione dei vasi all’interno dell’addome e contemporaneamente nel torace diminuisce la pressione intratoracica e quindi avremo di conseguenza una facilitazione del ritorno venoso.

Quindi i meccanismi di ritorno venoso nel soggetto che sta in piedi sono fondamentalmente quattro:il controllo nervoso regolato dalla noradrenalina e l’attività di tre pompe , di cui una poco efficiente (la pompa cardiaca) e due molto efficienti (pompa muscolare e pompa toraco-addominale).

Fattori che regolano il microcircolo

Vorrei parlare dei fattori che regolano il micro circolo a livello arteriolare, perché ricordate che sono vasi a resistenza e sono capaci di controllare il flusso facendolo aumentare o facendolo diminuire. Quindi tutti i fattori che regolano il microcircolo arterioso, avranno due funzioni principali:

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il controllo della pressione arteriosa, perché se i vasi arteriolari vanno incontro a una vaso costrizione, la pressione tende ad aumentare, se invece vanno incontro a una vasodilatazione questa tende a diminuire

il controllo dell’entità del flusso di sangue a livello dei vasi di scambio, quindi si controllano le resistenze dovute alle arteriole.

Questo perché le arteriole hanno una prevalenza di componente muscolare liscia rispetto a quella elastica. E abbiamo fondamentalmente due tipi di controllo:

1. Controllo centrale2. Controllo periferico, può essere legato a diversi fattori:

controlli estrinseci che possono essere di natura chimica o di natura ormonale. controlli locali o intrinseci, quindi non dettati da fattori esterni ma da fattori che agiscono

localmente. Il meccanismo miogeno è importante per mantenere contante il flusso se la pressione arteriosa , infatti se questa aumenta il flusso dovrebbe aumentare, ma non è così perché in un soggetto iperteso, se non curato con i farmaci, non è che il flusso va ad aumentare, si mantiene costante perché variando la pressione il flusso si mantiene costante. Ora se il flusso è P/R se l’aumento pressorio dovrebbe determinare un aumento pressorio, o viceversa la caduta pressoria dovrebbe determinare una riduzione del flusso, se tutto tendesse a rimanere costante le resistenze dovrebbero variare. Per esempio se la pressione aumenta e aumenta anche il flusso le resistenze devono diminuire. Infatti quando aumenta la pressione, per un meccanismo miogeno intrinseco alla muscolatura liscia del vaso, il vaso in un primo momento si distende perché aumenta la pressione, ma poi reagisce alla distensione con un refrazione, e quindi le resistenze tenderanno ad aumentare. Questo è un meccanismo miogeno legato quindi alla risposta muscolare alla distensione e tende autoregolare il flusso quando varia la pressione. Questo meccanismo è molto spiccato a livello celebrale e a livello renale. Un soggetto iperteso non filtra più urina di un soggetto normoteso perché se la pressione aumenta, aumenta anche il flusso ma aumentano anche le resistenze; quindi il flusso si mantiene costante.I fattori metabolici locali, prodotti durante il metabolismo e che possono provocare un aumento o una riduzione del flusso a livello distrettuale. Per esempio abbiamo l’ipossia (ovvero una diminuzione della pressione dell’ossigeno a livello tissutale) che aumenta il flusso. Ma quando si verifica un’ipossia a livello tissutale? Si verifica durante l’attività fisica perché durante questa il muscolo riceve meno ossigeno dal sangue di quanto ne necessiti e si ha l’ipossia. Quando aumenta il metabolismo si crea una condizione di ipossia locale, quindi si ha una diminuzione della pressione dell’ossigeno nel liquido interstiziale e provoca una vasodilatazione al fine di ingrandire il vaso e far aumentare il flusso. Mentre se si potesse verificare una iperossia si avrebbe una vasocostrizione.L’aumento dell’anidride carbonica (ovvero ipercapnia) come l’ipossia causa una vasodilatazione arteriolare, soprattutto a livello dei muscoli al fine di allontanare l’eccesso di anidride carbonica che si è formato durante l’attività cellulare.Anche l’acidosi determina una vasodilatazione. Questa può essere dovuta sempre all’anidride carbonica perché questa normalmente si idrata, forma l’acido carbonico, si dissocia in idrogenione e anione causando l’acidosi che determina vasodilatazione. Ma durante un ‘attività fisica anche un aumento del lattato può determinare una vasodilatazione, un aumento dei corpi chetonici quando vengono consumati molti acidi

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grassi in presenza di glucosio. Sono tutti fattori che contribuiscono ad aumentare l’acidosi, la quale a sua volta determina un aumento del flusso a livello del tessuto che lavora.Un altro potente vasodilatatore è l’adenosina. Questa si forma quando il muscolo consuma ATP e produce adenosina, di conseguenza è una causa di vasodilatazione soprattutto a livello delle coronarie. Anche il potassio extracellulare tende a causare una vasodilatazione.Poi abbiamo anche sostanze vasoattive chiamate autacoidi , sostanze che di norma vengono prodotte durante i processi allergici o infiammatori, quindi non durante i processi metabolici. Tra queste abbiamo l’Istamina, il fattore responsabile dell’infiammazione in cui si ha una vasodilatazione, le bradichinine che si formano da precursori inattivi che si chiamano chinino geni, e anche queste sono vasodilatatori anche grazie alla produzione di ossido di azoto. Inoltre abbiamo la serotonina rilasciata dalle piastrine che è invece un vasocostrittore; questa agisce nella fase iniziale dell’emostasi che consiste nella vasocostrizione in parte per reazione riflessa ma anche in virtù della serotonina. Non confondete emostasi con coagulazione perché la prima è un processo più complesso. La serotonina interviene quando si ha una lesione vasale (di piccoli vasi) arrestando l’emorragia quando le piastrine si aggregano e liberano la serotonina. Poi abbiamo anche le prostaglandine: le PGE sono di norma vasodilatatrici, mentre le PGF sono vasocostrittrici. Sono sintetizzate a partire dall’acido arachidonico. I leucotrieni, che si formano sempre dall’acido arachidonico, ma a partire non dalla ciclo ossigenasi ma dalla lipo ossigenasi, sono anch’essi vasocostrittori. Inoltre abbiamo anche i fattori fisici, come la temperatura corporea che aumentando determina un’arteriolo-dilatazione. Per cui se immaginate il muscolo che lavora si crea ipossia, ipercapnia, viene prodotta adenosina, aumentano le sostanze acide, aumenta la temperatura quindi di conseguenzasi ha una notevole vasodilatazione. I fattori meccanici perché ricordiamo che il muscolo normalmente si contrae e quindi si allunga e si accorcia. Quando viene irrorato il muscolo? Quando si contrae o quando si rilascia? In fase di rilasciamento. Durante la contrazione il flusso si arrestra perché i vasi vengono compressi, mentre durante il rilasciamento del muscolo il flusso aumento perché i vasi si dilatano e aumentano di calibro. Ricordate che questi fattori sono molto importanti a livello del miocardio. Questo è irrorato soprattutto a livello di diastole, mentre durante una sistole isometrica si può addirittura avere un arresto del flusso del miocardio, mentre il flusso aumenta di poco durante la fase di efflusso sistolico . Quindi abbiamo tre momenti: uno di massimo flusso durante la diastole a livello delle coronarie e quindi massima irrorazione a livello del miocardio, durante la sistole isometrica il flusso si arresta o diventa addirittura retrogrado, e durante la fase di efflusso sistolico il flusso aumenta di poco. Quindi un soggetto tachicardico ha un miocardio scarsamente nutrito o ben nutrito? Scarsamente nutrito. Mentre un bradicardico avrà un miocardio notevolmente nutrito. Ma nei soggetti con un’iniziale coronaropatia, un ‘iniziale arteriosclerosi, la tachicardia cosa può provocare? O un dolore, l’angina pectoris o anche un infarto. Tra i fattori endoteliali dobbiamo ricordare l’ossido nitrico che è un potente vasodilatatore che infatti venne anche chiamato EDFR (fattore di origine endoteliale capace di causare un rilasciamento vasale) e venne chiamato così perché non si sapeva cosa fosse, era una sostanza capace di dilatare le arteriole. Infine abbiamo l’endotelina, sempre di origine endoteliale che è uno dei più potenti vasocostrittori .

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