Fisica Tecnica Ambientale
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FISICA TECNICA AMBIENTALE
G. V. Fracastoro
progettodidattica in rete
prog
etto
dida
ttica
in re
tePolitecnico di Torino, maggio 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica AmbientaleParte I: termodinamica applicata
G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE Itermodinamica applicata
WWW.POLITO.IT
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientaleparte I - termodinamica applicata
Prima edizione maggio 2003
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Introduzione alla termodinamica e proprietà delle sostanze 5
1.1. Definizioni fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.2. Equilibrio, stato e trasformazione . . . . . . . . . . . . . 6
1.3. Reversibilità ed irreversibilità . . . . . . . . . . . . . . . 8
1.4. Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.5. Calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
1.6. Sostanze pure e loro fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.7. Transizione liquido-vapore . . . . . . . . . . . . . . . . 18
1.8. I gas ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2. I Principi della Termodinamica 23
2.1. Primo principio della termodinamica . . . . . . . . . . . 23
2.2. Primo principio della termodinamica per i sistemi aperti . 27
2.3. Secondo principio della termodinamica . . . . . . . . . . 31
2.4. Secondo principio per i sistemi aperti ed exergia . . . . . 37
2.5. Equazioni di Gibbs e conservazione dell’energia meccanica 39
2.6. Trasformazioni termodinamiche . . . . . . . . . . . . . 41
2.7. Riepilogo equazioni fondamentali . . . . . . . . . . . . 42
3
3. Applicazioni: Macchine termiche 43
3.1. Le macchine termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.2. Macchine a ciclo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.3. Macchine a ciclo inverso . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
3.4. Cogenerazione e trigenerazione . . . . . . . . . . . . . . 49
4. Applicazioni: aria umida 53
4.1. Proprietà dell’aria umida . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
4.2. Il diagramma di Mollier per l’aria umida . . . . . . . . . 56
4.3. Trasformazioni dell’aria umida . . . . . . . . . . . . . . 59
4
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA EPROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
1.1. DEFINIZIONI FONDAMENTALI
La Termodinamica studia l’energia posseduta e scambiata dai corpi nelle sue varie
forme e le trasformazioni di energia da una forma all’altra che hanno luogo durante i
processi a cui i corpi sono sottoposti. Le leggi della Termodinamica costituiscono le
restrizioni di carattere generalealle quali tali trasformazioni devono soggiacere.
La prima di tali leggi, come vedremo, riflette l’osservazione di un fatto sperimen-
talmente accertato, e cioè che l’energia si conserva. L’energia gode dunque della
proprietà di conservazione ed è possibile pertanto dire che essa esiste in quanto
si conserva.
Occorre a questo punto definire l’oggetto la cui energia si conserva. Tale oggetto,
a cui daremo il nome di sistema termodinamico, è una porzione finita di spazio,
caratterizzata da un volume e da una massa costanti o variabili, ma identificabili in
ogni istante. Il sistema è separato dall’ambiente esternoda un contorno, il quale può
consentire o no il passaggio da o verso il sistema di energia e di massa. L’insieme di
sistema + ambiente esterno costituisce l’universo. Se il contorno non lascia passare né
energia né massa il sistema è detto isolato; se lascia passare solo energia, chiuso; se
lascia passare energia e massa è detto aperto.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
È opportuno distinguere fra due tipi di energia:
– quella possedutadal sistema
– quella in transitoattraverso il suo contorno.
Per quel che riguarda l’energia posseduta da un sistema si possono citare, ad esempio,
l’energia che risulta dalla posizione (energia potenziale) e dalla velocità (energia
cinetica) del sistema, e l’energia interna, associata alle proprietà interne del sistema,
di cui si riparlerà in seguito.
L’energia che attraversa il contorno può essere di due tipi: lavoro (L) e calore (Q).
Quando vi è scambio di lavoro, esiste una forza applicata sul contorno del sistema, il
cui punto di applicazione subisce uno spostamento. Quando attraverso il contorno del
sistema vi è scambio di calore, a livello macroscopico si osserva che vi è sempre una
differenza di temperatura fra il sistema e l’ambiente circostante e che il calore, come
si vedrà, ha un verso preferenziale non invertibile.
È interessante osservare che, una volta trasferiti al sistema, calore e lavoro risultano
del tutto indistinguibili.
1.2. EQUILIBRIO, STATO E TRASFORMAZIONE
Per definire lo stato termodinamico di un sistema è necessario introdurre il
concetto di equilibrio: un sistema si dice in equilibrio quando è incapace di
cambiamenti spontanei.
L’equilibrio può essere meccanico, termico o chimico. Un sistema isolato raggiunge
dopo un certo periodo di tempo una condizione di equilibrio interno ed esterno con
l’ambiente circostante.
In condizione di equilibrio il sistema può essere descritto attraverso il suo stato
termodinamico, ovvero la totalità delle proprietà macroscopiche associate al sistema
in quelle condizioni.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Si definiscono intensive le proprietà che non dipendono dalla massa, come, ad
esempio, temperaturae pressione. Viceversa, le proprietà che dipendono dalla massa,
come il volume, sono dette estensive. Se riferite all’unità di massa, le proprietà
estensive vengono dette specifichee come tali divengono intensive.
Lo stato di un sistema termodinamico semplice, ovvero una sostanza fluida omogenea
formata da una sola specie chimica e nella quale possono essere trascurati fenomeni
elettrici, magnetici, gravitazionali, etc., viene spesso definito attraverso le tre proprietà
(dette anche coordinate termodinamiche) pressione (p), volume (V ) e temperatura
(T ). Si parla in questo caso di sistemi pVT.La relazione che lega le coordinate
termodinamiche di un sistema in equilibrio si chiama equazione di stato. Per un
sistema pV T essa è espressa analiticamente da un’equazione del tipo:
f (p, V, T ) = 01.
Quando un sistema si allontana dalle condizioni di equilibrio si dice che esso subisce
una trasformazionetermodinamica, durante la quale le sue proprietà termodinamiche
cambiano finché non si raggiungono nuove condizioni di equilibrio. Una trasfor-
mazione si dice ciclica (o semplicemente ciclo) quando gli stati iniziale e finale
coincidono.
Pressione
La pressione, come si ricorderà, è la forza esercitata sull’unità di superficie. La sua
unità di misura nel Sistema Internazionale (S.I.) è dunque N/m2, ovvero pascal (Pa).
Trattandosi di una grandezza impiegata in molte discipline diverse, sono presenti
e ancora spesso usate molte altre unità di misura non S.I.: l’atmosfera (atm), il
millimetro di colonna di mercurio (mm Hg), il millimetro di colonna d’acqua (mm
H2O), il bar, etc. I fattori di conversione da una unità all’altra sono riportati di seguito:
1 atm = 760 mmHg = 10332 mmH2O = 1.01325 bar = 101325 Pa
1Un esempio è l’equazione di stato dei gas ideali: pV = nRT , di cui si parlerà nel paragrafo 1.8.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Temperatura
Il Principio zero della Termodinamicaafferma che due corpi, ognuno in equilibrio
termico con un terzo, sono in equilibrio termico fra di loro. Tale principio può essere
riformulato affermando che due corpi sono in equilibrio termico se hanno la stessa
temperatura, e permette di introdurre dunque la seguente definizione assiomatica della
temperatura:
esiste una grandezza di stato detta temperatura che assume
lo stesso valore in due corpi in equilibrio termico fra di loro.
La scala termometrica di uso più comune è la scala Celsius, definita inizialmente
attraverso due punti fissi (la temperatura di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione
dell’acqua) a cui attribuisce i valori rispettivamente di 0 C e 100 C. Ne risulta
che 1C (grado celsius) corrisponde alla centesima parte dell’intervallo fra i due
punti fissi sopra citati. Per rendere indipendente dalla sostanza la definizione della
scala termometrica è stata introdotta la scala della temperatura termodinamica, che
nel sistema S.I. è la scala Kelvin. Attraverso considerazioni basate sul Secondo
Principio della Termodinamica e il funzionamento di un motore termico essa permette
di definire i rapporti fra le temperature assolute dei corpi. Per definire in modo
completo l’unità di misura della temperatura, detta kelvin (K), se ne è definito lo zero,
che coincide con la temperatura più bassa raggiungibile in asssoluto, e si è attribuito
il valore di 273.16 K (corrispondenti a 0.01 C) alla temperatura assoluta del punto
triplo dell’acqua. Si ha dunque la relazione: T (K) = T (C) + 273.15.
1.3. REVERSIBILITÀ ED IRREVERSIBILITÀ
Se una trasformazione è caratterizzata da una successione infinita di stati che tendono
all’equilibrio (il che richiede che la trasformazione sia infinitamente lenta), ad ognuno
dei quali corrisponde un ben preciso insieme di coordinate termodinamiche, essa viene
detta reversibile.
Perché dunque una trasformazione possa essere detta reversibile è necessario che
la differenza fra forze motrici e resistenti, come anche la differenza di temperatura
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
fra il sistema e l’esterno, siano infinitamente piccole, e dunque siano piccole le
accelerazioni (variazioni di energia cinetica) e infinitamente lenti gli scambi di calore.
Per illustrare la differenza fra reversibilità ed irreversibilità si può esaminare il
seguente problema (Problema di Zemansky).
Problema di Zemansky
Si abbia un cilindro che racchiude un gas in equilibrio termico, meccanico e chimico
interno e con l’ambiente esterno (Fig. 1.1 - Caso a). Il pistone che lo sovrasta esercita
una forza F1 equilibrata dalla pressione del gas ed è dunque fermo nella posizione z1;
inoltre il sistema è in equilibrio termico con l’ambiente esterno, considerato come un
termostato, ovvero un corpo capace di cedere o ricevere calore senza che vari la
sua temperatura.
Caso a
Alla stessa altezza z1 del pistone si abbia un peso (F2 – F1) > 0. Posando il peso
(F2 – F1) sul pistone ci si allontana dalle condizioni di equilibrio. Il pistone accelera
verso il basso e si ferma oscillando nella posizione z2. Durante il moto il gas tende a
scaldarsi, non soltanto perché viene compresso, ma anche a causa degli attriti interni e
della viscosità del gas; per riportarsi in equilibrio termico cede una quantità di calore Q′
all’ambiente esterno. In questa fase inoltre l’ambiente esterno ha compiuto un lavoro
positivo:
L = F2 · (z1 − z2)
z1z2 z2
F2-F1
F1
F2-F1
F1F2
z
F
F2
F1
z1z2
L"
L'
Fig. 1.1 – Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso a.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Rimovendo il peso il pistone si risolleva fino al livello z 1 assorbendo una quantità di
calore Q ” dall’ambiente, pari a quella necessaria per compensare il raffreddamento
dovuto all’espansione meno quello che vi viene introdotto a causa degli attriti. Si ha
pertanto:
˛˛˛Q
′ ˛˛˛ >
˛˛˛ Q
′′ ˛˛˛
Inoltre l’ambiente esterno ha compiuto un lavoro:
L” = − F1 · ( z 1 − z 2 )
Al termine delle due trasformazioni si osserva che il sistema si ritrova nelle condizioni
iniziali (ha cioè subito una trasformazione ciclica), e che l’ambiente esterno:
– ha ricevuto una quantità netta di calore˛˛˛ Q
′ ˛˛˛ −
˛˛˛ Q
′′ ˛˛˛ > 0
– ha compiuto un lavoro netto: L′ + L′′ = (F2 − F1 ) · ( z 1 − z 2 )
Si osservi che il lavoro netto è proprio pari alla perdita di energia potenziale del peso,
e dunque dell’ambiente esterno, che non è più nelle condizioni iniziali.
Caso b
Si può ora ripetere l’operazione prelevando gradualmente da n livelli diversi n pesi
uguali, pari ciascuno a ( F2 − F1 ) /n (si veda figura 1.2, in cui si è posto, a titolo di
esempio, n = 3). Il livello di posizionamento di ogni pesino sarà scelto in modo da
farlo coincidere con l’altezza raggiunta dal pistone all’equilibrio dopo l’aggiunta del
pesino precedente.
Si osserva innanzitutto che la somma delle quantità di calore assorbite dall’ambiente
tende a uguagliare la somma di quelle cedute (perché si riducono le dissipazioni).
Inoltre è facile dimostrare che il lavoro netto effettuato dall’ambiente (pari al lavoro
globale di compressione meno il lavoro globale di espansione) vale:
F2 − F1
n· (z1 − z2) ,
pari alla variazione di energia potenziale di uno dei pesini dal livello z1 al livello z2, e
tendente a zero quando n →∞.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
z1 z2
F1
z2
F2-F1F1F2F2-F1
F
F2
F1
z1z2
L"
L'
z
Fig. 1.2 – Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso b.
È immediato concludere che per n →∞ la forza esterna tende ad essere in ogni istante
eguagliata dalla pressione interna e le accelerazioni del pistone tendono a zero. Le
trasformazioni divengono così reversibili.
Conclusioni di carattere generale
Le conclusioni di carattere generale che si possono trarre dall’esperienza sopra
descritta sono molteplici:
– se il processo è reversibile lo stato del sistema è noto in ogni fase del processo
e le energie scambiate possono essere determinate attraverso le sole variabili
di stato del sistema;
– la successione di due trasformazioni reversibili invertite ripristina sia le
condizioni del sistema che quelle dell’ambiente esterno;
– le irreversibilità riducono sempre l’efficienza di un processo. Pertanto un
processo reversibile rappresenta una astrazione che pone un limite superiore
al lavoro che può essere ottenuto da un processo e pone un limite inferiore al
lavoro richiesto per compiere un processo.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Una trasformazione reversibile può dunque essere definita come una successione
di stati di equilibrio, in cui le variabili intensive interne uguagliano quelle esterne.
Ad ognuno di questi stati corrisponde un certo numero di proprietà macroscopiche
(coordinate termodinamiche) che dà luogo ad un punto su un diagramma di stato.
L’insieme dei punti che descrive l’evolversi degli stati di equilibrio dà luogo a sua
volta ad una curva che descrive in forma grafica la trasformazione.
Se invece la trasformazione è irreversibile gli stati intermedi non sono stati di
equilibrio e non possono essere caratterizzati da valori definiti delle coordinate
termodinamiche, e dunque soltanto gli estremi della trasformazione possono essere
rappresentati su un diagramma di stato.
1.4. LAVORO
Come si è detto, il lavoro è scambio di energia dovuto all’azione di una forza
(generalizzata), il cui punto di applicazione subisce uno spostamento (generalizzato).
Ne sono esempi lo spostamento di un pistone, la rotazione di un’elica collegata
ad un albero, una corrente elettrica che percorre un conduttore che attraversa il
contorno del sistema. I sistemi termodinamici chiusi scambiano lavoro con l’esterno
prevalentemente attraverso variazioni di volume. Un esempio classico è un fluido
contenuto in un cilindro a pareti rigide, ma chiuso da un pistone scorrevole, il cui
moto denota lo scambio di lavoro. In questo caso si parla di lavoro termodinamico
o lavoro di variazione di volume(L). I sistemi aperti hanno invece, in genere, il
contorno rigido e scambiano lavoro con l’esterno attraverso sistemi collegati ad un
albero ruotante (turbine, compressori, ventilatori). In questo caso si parla di lavoro
all’asse o lavoro interno(Li). Di quest’ultimo si parlerà più approfonditamente nel
CAPITOLO 2.
Il lavoro termodinamico compiuto da un sistema sotto l’azione di una forza
esterna F vale:
L = −∫
F × ds 1.1
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
in cui il segno meno è imposto dalla convenzione che in Termodinamica si considera
positivo il lavoro compiuto dal sistema.
Se la trasformazione è reversibile la pressione interna uguaglia continuamente la forza
F e dunque:
Lrev =∫
p · A · ds =∫
p · dV 1.2
Se invece la trasformazione è irreversibile il lavoro sarà sempre minore di Lrev se
L > 0 e maggiore in valore assoluto di Lrev se L <0. Ovvero:
L = Lrev − L w =∫
p · dV − Lw 1.3
in cui Lw rappresenta il lavoro perso per irreversibilità.
Riportando la trasformazione su un diagramma (p, V ), noto come diagramma di
Clapeyron, il lavoro è pari all’area sottostante la trasformazione stessa. Poiché la
pressione è sempre positiva, il lavoro ha lo stesso segno di dV.
Si osservi che nel caso di uno spostamento infinitesimo della forza esterna il lavoro
infinitesimo compiuto non rappresenta il differenziale esatto di una funzione L, ma
una quantità infinitesima di lavoro e dunque va indicato con un simbolo diverso da
quello di differenziale (δL anziché dL).
Una ovvia conseguenza di ciò è che il lavoro compiuto fra due stati estremi dipende
dalla trasformazione compiuta e non soltanto dagli stati estremi, come si desume dalla
figura 1.3.
a. Lif =∫
i1f
p · dV = p1 · (Vf − Vi)
b. Lif =∫
i2f
p · dV = p2 · (Vf − Vi)
Nel caso di trasformazione ciclica (c) il lavoro complessivo è uguale all’area del ciclo;
maggiore di zero se percorso in senso orario (macchina termica); minore di zero se
percorso in senso antiorario (macchina frigorifera o pompa di calore).
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
p
V
p
V
p
V
i i
ff
L>01
2
(a) (b) (c)
Fig. 1.3 – Valutazione grafica del lavoro sul diagramma (p,V).
1.5. CALORE
Come detto in precedenza, a livello macroscopico il calore è energia in transito per
effetto di una differenza di temperatura.
Il calore, come il lavoro, non è una proprietà del sistema, ma è funzione della
trasformazione seguita. Il simbolo δQ non indica pertanto il differenziale esatto di
una funzione Q dello stato termodinamico di un sistema, funzione che non esiste, ma
una quantità infinitesima che, integrata, dà una quantità finita.
Convenzionalmente viene considerato positivo il calore fornito al sistema.
Si definisce capacità termicala quantità di calore necessaria per elevare di un grado la
temperatura di un determinato corpo. Poiché la capacità termica è in genere funzione
della temperatura, conviene esprimerla come:
C =δQ
dT1.4
Poiché δQ dipende dal tipo di trasformazione, la capacità termica sarà in genere
diversa per ogni tipo di trasformazione. Ad esempio:
Cp =(
δQ
dT
)p
per una trasformazione a pressione costante (isobara)
Cv =(
δQ
dT
)v
per una trasformazione a volume costante (isocora)
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Per esprimere le caratteristiche di una sostanza conviene riferire la capacità termica
all’unità di massa. Si indicherà questa quantità, detta capacità termica massica o
calore specifico, con la lettera c minuscola.
1.6. SOSTANZE PURE E LORO FASI
Per sostanza pura si intende una sostanza la cui composizione chimica è la stessa in
tutta la massa. L’aria e l’acqua sono, ad esempio, sostanze pure, mentre non lo è
una miscela di olio e acqua. Una miscela di due o più fasi di una stessa sostanza (ad
esempio, acqua e ghiaccio) è ancora una sostanza pura.
Come è noto, una sostanza può trovarsi in natura in fase solida, liquida o gassosa
(detta anche aeriforme). Nel primo caso le molecole sono molto vicine fra loro
e si dispongono secondo un reticolo tridimensionale che, per l’equilibrio esistente
fra forze repulsive e attrattive, può essere considerato rigido. Nella fase liquida le
molecole non assumono più una posizione fissa, ma restano vicine le une alle altre,
pur allontanandosi un po’ rispetto alla fase solida (tranne l’acqua). Nella fase gassosa
o aeriforme le molecole si muovono liberamente e in modo disordinato l’una rispetto
all’altra: le distanze sono grandi ed elevato è il livello energetico delle molecole.
Regola delle fasi
La regola delle fasi di Gibbs consente di determinare il numero di variabili intensive
indipendenti (o gradi di libertà) che consentono di descrivere lo stato termodinamico
di una sostanza qualunque. Essa può essere formulata come segue:
f = n − r + 2 1.5
dove:
f = numero di gradi di libertà
n = numero di componenti nel sistema
r= numero di fasi presenti
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Dunque, per una sostanza pura (n = 1) si ha: f = 3 − r. Ciò significa che
se è presente una sola fase sono sufficienti due variabili intensive indipendenti per
descrivere compiutamente lo stato termodinamico di un sistema, se sono presenti
due fasi (ad esempio, liquido e vapore) ne è sufficiente una, mentre, quando sono
presenti tutte e tre le fasi contemporaneamente, non vi sono gradi di libertà. Pertanto
quest’ultima situazione identifica uno stato termodinamico, caratterizzato da una ben
precisa temperatura e pressione, detto punto triplo.
Un utile modo di rappresentazione delle relazioni esistenti nelle varie fasi fra pres-
sione, volume massico e temperatura è dato dal diagramma tridimensionale riportato
in figura 1.4. Da esso si vede come esistano regioni dove la sostanza è presente in
fase solida (S), liquida (L) e gassosa (G), ed altre regioni in cui due di queste fasi
coesistono: solido-gas (S-G), solido-liquido (S-L) e liquido-gas (L-G). Vi è inoltre
una linea AB in cui sono presenti contemporaneamente tutte e tre le fasi (S-L-G).
Proiettando il diagramma tridimensionale di figura 1.4 sul piano (p, T ) la linea AB
si riduce al punto triplo e le regioni di compresenza di due fasi si riducono a delle
curve (fig. 1.5).
Per l’acqua il punto triplo corrisponde ad una temperatura di 273.16 K e una pressione
di 610.8 Pa.
Transizioni di fase
Particolare interesse hanno nella tecnica le transizioni di fase, perché esse mettono in
gioco grandi quantità di energia2.
Il passaggio solido – liquido viene detto fusione o liquefazione e quello inverso
solidificazione.
Il passaggio liquido – vapore viene detto vaporizzazione(a volte si parla
impropriamente di evaporazione e di ebollizione) e quello inverso condensazione.
2Si pensi che l’energia necessaria per vaporizzare (far bollire) un litro d’acqua è 6 volte maggiore
di quella necessaria per scaldarlo da 0C a 100C.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
Fig. 1.4 – Diagramma (p,v,T) per una sostanza pura.
T
p
Punto triplo
Punto critico
liquefazione conaumento di volume
vaporizzazione
sublimazione
liquefazione condiminuzione di volume
SOLIDO
LIQUIDO
AERIFORME
Fig. 1.5 – Diagramma (p,T) per una sostanza pura.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
0
50
100
150
200
250
300
1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01Volume massico, m3/kg
Pre
ssio
ne, b
arC
L"
L'
L
V"
V'
V 21
pressione critica
Fig. 1.6 – Transizione isobara liquido-vapore sul diagramma di Clapeyron (acqua).
Al di sotto del punto triplo la fase liquida non esiste più; il passaggio diretto solido –
vapore viene detto sublimazionee quello vapore-solido sublimazione inversa.
1.7. TRANSIZIONE LIQUIDO-VAPORE
Vediamo adesso in maggior dettaglio ciò che avviene nel passaggio da liquido a
vapore (e viceversa), descrivendo con l’ausilio del diagramma (p, v) i risultati di un
esperimento consistente nel riscaldare a pressione costante l’unità di massa di una
sostanza, inizialmente in fase liquida (fig. 1.6).
In un primo tempo si osserverà un regolare aumento della temperatura (1 − L) ed un
aumento quasi trascurabile del volume massico. Poi la temperatura resterà costante e
si osserverà un repentino aumento del volume massico (L−V ). Infine, la temperatura
riprenderà a salire e con essa il volume massico (V − 2). Nel processo (L − V ) il
calore fornito serve a modificare lo stato di aggregazione della sostanza (cambiamento
di stato). I punti intermedi fra L e V non rappresentano un sistema omogeneo in una
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
unica fase, ma una miscela (fluido bifase) composta da liquido saturo in condizioni L,
e da vapore saturo secco in condizioni V. Questa miscela viene detta vapore umido.
La temperatura a cui inizia il cambiamento di fase si chiama temperatura di
saturazione (o evaporazione o condensazione) alla pressione considerata.
Riassumendo:
1 − L liquido sottoraffreddato (o semplicemente liquido)
L liquido saturo
L − V vapore umido
V vapore saturo secco
V − 2 vapore surriscaldato (⇒gas)
Ripetendo l’esperimento a pressioni diverse si possono costruire due curve:
– la curva dei punti L = curva limite inferiore
– la curva dei punti V = curva limite superiore
Continuando ad aumentare la pressione si raggiunge un valore pC (pressione critica)
per cui i punti L e V coincidono. La temperatura TC corrispondente si chiama
temperatura critica. Al di sopra di questi valori di temperatura e pressione, vapore
e liquido non possono più coesistere in condizioni di equilibrio, né è possibile
distinguere fra le due fasi: la sostanza è detta genericamente fluido.
Il calore necessario per far passare l’unità di massa di una sostanza da una fase all’altra
è detto calore di transizione di fase, o calore latente.3
Nel caso del passaggio dallo stato di liquido saturo a quello di vapore saturo secco è
detto calore di vaporizzazione(r). Nel passaggio inverso viene rilasciata una quantità
uguale di calore (calore di condensazione).
3Latente (=nascosto), in quanto non associato ad una variazione di temperatura, e quindi non
sensibile.
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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
0
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100
150
200
250
300
1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01Volume massico, m3/kg
Pre
ssio
ne, b
arC
Fig. 1.7 – Andamento delle isoterme in coordinate (p,v) per l’acqua.
Per l’acqua a 100C si ha: r100 = 2257 kJ/kg. A 0 C si ha: r0 = 2501 kJ/kg.
Analogamente, per il passaggio solido-liquido, si parla di calore di fusione (i) e di
solidificazione nel passaggio inverso.
Per l’acqua a 0 C si ha: i0 = 334 kJ/kg.
Nella zona del vapore umido sono presenti due fasi diverse (liquido e aeriforme);
esiste dunque, per la regola delle fasi 1.5, una sola variabile intensiva indipendente.
Pertanto p e T non sono fra loro indipendenti. Fissata la pressione, si avrà un solo
valore di temperatura in corrispondenza del quale si verifica la transizione di fase.
L’andamento tipico delle isoterme in coordinate (p, v) è rappresentato, a titolo di
esempio per l’acqua, in figura 1.7.
In figura 1.8 le isoterme sono invece riportate in un diagramma (p, pv ), detto anche
diagramma di Amagat. Si osserva che, per temperature sufficientemente alte, il
prodotto pressione per volume rimane costante (legge di Boyle). Ciò induce a ritenere
che sia possibile descrivere in modo semplice la relazione che lega le variabili di stato
p, v, T per un gas sufficientemente lontano dal suo punto critico. A questo tipo di gas
si darà il nome di gas idealeo perfetto.
20
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000
Pressione (bar)
T
pv (
kJ/k
g)
Fig. 1.8 – Andamento delle isoterme in coordinate (p, pv) per l’acqua.
1.8. I GAS IDEALI
L’esperienza mostra che tutti i gas possiedono, a temperatura sufficientemente alta e
pressione sufficientemente bassa, un comportamento simile fra loro che obbedisce ad
una legge semplice, denominata equazione di stato dei gas ideali:
pV = nRT 1.6
dove:
p = pressione, Pa
V = volume occupato dal gas, m3
n = numero di kilomoli di gas, kmol
R = costante universale dei gas, pari a 8314 J/(kmol·K)
T = temperatura assoluta, K
La 1.6 può essere più comodamente espressa nella seguente forma, ottenuta dividendo
primo e secondo membro per la massa m :
21
1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE
pv = R∗ T 1.7
dove:
v = volume massico (ovvero, riferito all’unità di massa), m3/kg
R∗ = costante di elasticità del gas considerato, J/(kg·K)
È facile verificare che:
R∗ = R · n
m=
R
µ,
in cui µ = m/n, rapporto fra massa e numero di kilomoli, rappresenta la massa
molecolaredel gas (kg/kmol).
22
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
2.1. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
L’esperienza di Joule
Si abbia un recipiente contenente un fluido (fig. 2.1). In una prima fase si dissipa nel
fluido, per mezzo di un mulinello, un lavoroL senza che questo scambi calore con
l’esterno (fase adiabatica).
Nella seconda fase, senza compiere altro lavoro, si lascia che il fluido torni nelle con-
dizioni iniziali di pressione e temperatura disperdendo una certa quantità di caloreQ.
Poiché le condizioni iniziali e finali del fluido sono le stesse, la somma delle due
trasformazioni dà una trasformazione ciclica; Joule osservò che, pur variando il tipo
di fluido e la quantità di lavoro dissipatovi, in una trasformazione ciclica il rapporto
Fig. 2.1 – Esperienza di Joule.
23
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
fra il lavoro assorbito dal fluido ed il calore da esso dissipato era costante, ovvero:∮δL∮δQ
= J
Se si esprime il lavoro in Joule (J) e il calore in kcal (Sistema Tecnico), la costante
J vale 4186 J/kcal, ed è dettaequivalente meccanico della caloria.In unità coerenti
(Sistema Internazionale)J = 1 e si ha la classicaespressione del I Principio:
L’equazione2.1 rappresenta l’espressione analitica del I Principio della Termodina-
mica. Essa vale per qualsiasi sostanza e per qualunque tipo di trasformazione,
irreversibile o no, e può essere formulata nel seguente modo:in una trasformazione
ciclica il lavoro compiuto (o subito) dal sistema è uguale al calore ricevuto (o ceduto).
Dalla 2.1 discende immediatamente una importante conseguenza. La si applichi (con
J = 1) alla trasformazione ciclica 1-A-2-B-1 (fig. 2.2). Si ha:
2∫1A
δQ +
1∫2B
δQ =
2∫1A
δL +
1∫2B
δL
mentre, applicando la 2.1 alla 1-A-2-C-1 si ha:
2∫1A
δQ +
1∫2C
δQ =
2∫1A
δL +
1∫2C
δL
A
B C
1
2
Fig. 2.2 – δQ − δL è un differenziale esatto.
∮δQ =
∮δL 2.1
24
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Sottraendo le due espressioni si ottiene:
1∫2B
(δQ − δL) =
1∫2C
(δQ − δL)
da cui si dimostra che la quantitàδQ − δL è un differenziale esatto, poiché il suo
integralenon dipende dal percorso, ma soltanto dagli estremi di integrazione. La
funzione integrale di questo differenziale esatto rappresenta l’energia totaleE del
sistema. Ovvero:
δQ − δL = dE
e, in forma integrale:
Q − L = ∆E 2.2
L’energia totale del sistema è data dalla somma delle varie forme di energia possedute
dal sistema: magnetica, elettrostatica, elastica, superficiale, cinetica (Ec), potenziale
(Ep) ed interna(U) :
Nel caso, frequente in termodinamica, in cui le variazioni di tutte le forme di
energia del sistema, eccettuata l’energia interna, siano trascurabili, si ha la classica
espressione:
Q − L = ∆U 2.2a
o, in forma differenziale,
δQ − δL = dU 2.2b
E = Ec + Ep + ... + U 2.3
L’energia internaU può essere considerata come la somma delle energie cinetiche e
potenziali possedute dalle particelle che costituiscono il sistema.
È facile dimostrare che l’espressione 2.2 contiene l’ enunciato di Joule 2.1. Infatti
l’integrale circuitale di una variabile di stato, qual è l’energia di un sistema, è per
25
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
definizione nullo, e dunque in una trasformazione ciclica il calore netto ricevuto
uguaglia il lavoro netto prodotto.
L’approccio assiomatico al I Principio
Nei primi paragrafi di queste dispense si è sottolineato che il concetto di energia è un
concetto primitivo, come quello di punto, o di forza. L’esistenza di tale concetto può
essere giustificata da un assioma, ovvero da una affermazione indimostrabile, ma mai
contraddetta dall’esperienza, che sancisce la conservazione dell’energia in un sistema
isolato. Il Primo Assioma dellaTermodinamica afferma che:
esiste una grandezza, detta energia interna, legata a grandezze mi-
surabili di un sistema e dunque funzione del suo stato termodinami-
co, la cui variazione, in un sistema chiuso in assenza di variazioni
delle altre forme di energia posseduta dal sistema (energia cinetica,
potenziale, etc.), è data da:
dU = δQ − δL
Nel caso più generale, pertanto, la variazione totale di energia di un sistema chiuso è
data da:
dE = δQ − δL
Analizziamo adesso le conseguenze di una trasformazione qualunque fra un sistema S
e l’ambiente circostante A. La variazione di energia del sistema sarà data da:
∆Es = Q − L
e, per l’ambiente circostante:
∆EA = −Q + L
Perciò la variazione di energia complessiva dell’universo è data da:
∆Etot = ∆Es + ∆EA = Q − L − Q + L = 0
che è un altro modo di esprimere il Primo Assioma:
in ogni processo l’energia totale dell’universo si conserva.
26
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
In particolare in un processo ciclico, poiché non varia l’energia del sistema non deve
variare neppure quella dell’ambiente circostante.
2.2. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA PER I SISTEMI APERTI
Il principio di conservazione della massa (noto anche come equazione dicontinuità)
per un sistema aperto delimitato da un volume di controllo (VC) si esprime come:
massa entrante nel VC – massa uscente dal VC = variazione della massacontenuta nel VC
Riferendo all’unità di tempo tutte le grandezze espresse nell’equazione di
conservazione della massa si ottiene:
portata entrante nel VC – portata uscente dal VC = variazione della massacontenuta nel VC nell’unitàdi tempo
La portata è espressa in kg/s ed è a sua volta data dall’equazione:
m = ρ · A · w
dove:
ρ = densità o massa volumica, kg/m3
A = sezione del condotto, m2
w = velocità, m/s
In condizioni di regime stazionariole grandezze che caratterizzano il sistema non
variano nel tempo. Se ne deduce che la somma delle portate in ingresso uguaglia
quella delle portate in uscita. Nel caso particolare di un ingresso e una uscita
l’equazione di continuità si riduce a:
min = mout 2.4
Si introduce ora una nuova, importante funzione di stato, dettaentalpia, definita come:
27
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Applicando (vedi DIMOSTRAZIONE) ad un sistema termodinamico aperto il Primo
Principio della Termodinamica si perviene ad una espressione particolarmente comoda
in cui la differenza fra la potenza termica e meccanica può essere espressa attraverso
il flusso netto di entalpia. Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale, si
ottiene il Primo Principio per i sistemi aperti:
in cui Li rappresenta il lavoro interno svolto nell’unità di tempo.
Nel caso di sistemi aperti in regime permanente con un solo ingresso ed una sola
uscita, dividendo per la portata la 2.6 si ottiene l’espressione valida per l’unità di
massa:
Dalle precedenti relazioni si vede che la variazione di entalpia misura il lavoro interno
in una trasformazione adiabatica e il calore scambiato in una trasformazione in cui
non si compie lavoro.
DIMOSTRAZIONE
Si abbia un sistema termodinamico aperto nel quale si suppone, per semplicità di
dimostrazione, sia presente un solo ingresso e una sola uscita (fig. 2.3).
Scriviamo il Primo Principio1 nel periodo di tempo [t, t + dt] :
1Si è adottata la forma differenziale perché nel tempo infinitesimo dt sihanno variazioni in-
finitesime (nel caso delle funzioni di stato) o quantità infinitesime scambiate (nel caso di
lavoro ecalore).
H = U + p · V 2.5
Q − L i =∑out
mjh j −∑in
mjh j 2.6
q − i = ∆h 2.6a
o, in forma differenziale,
δq − δi = dh 2.6b
28
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
dLi
dQ
regione III
dV1
dV2
p1
p2
1' 1
2'2
I
II
1m
2m
Fig. 2.3 – Primo Principio della Termodinamica per un sistema termodinamico aperto
in regime permanente
δQ − δL = dU + dEp + dEc D.1
Al tempo t il sistema è contenuto nei volumi I e III ; al tempo t+dt il sistema è contenuto
nei volumi III e II.
Esaminiamo le grandezze (tutte estensive) che compaiono a secondo membro
della D.1. La variazione di ognuna di esse fra l’istante t e l’istante t + dt è dovuta al
contributo portato dalla massa entrante dm1 (contenuta nel volume I), a quello della
massa uscente dm2 (contenuta nel volume II) ed alla variazione avvenuta nel volume
III nel tempo dt. Pertanto:
dU = UIII (t + dt) + UII (t + dt) − UIII (t) − UI (t)
ovvero:
dU = u2 · m2 · dt − u1 · m1 · dt +d (u · m)
dt· dt
Un caso particolare, ma di frequente occorrenza nei problemi di termodinamica, è
quello in cui il moto attraverso il sistema aperto sia permanente, ovvero quando le
proprietà termodinamiche possono variare da punto a punto, ma sono costanti nel
tempo. In questo caso si ha anche che la portata in ingresso è uguale alla portata
29
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
in uscita:
m1 = m2 = m
e inoltre:
d (u · m)
dt= 0
e dunque:
dU = m · (u2 − u1) · dt
Analogamente, sempre nel caso di moto permanente, si avrà:
dEp = mg (z2 − z1) · dt
dEc =1
2m
`w2
2 − w21
´ · dt
A primo membro della D.2 il lavoro δL è costituito da due componenti: il lavoro interno
δLi (detto anche lavoro tecnico o lavoro all’asse) e il lavoro effettuato dalle forze di
pressione:
δL = δLi + p2 · dVII − p1 · dVI = δLi + p2v2 · mdt − p1v1 · mdt
Riscrivendo dunque i termini così ottenuti nella D.1 e dividendo per dt (si ricordi che
δLi = Li · dt e δQ = Q · dt ) si ottiene:
Q − Li = m
»„p2v2 + u2 + gz2 +
1
2· w2
2
«−
„p1v1 + u1 + gz1 +
1
2w2
1
«–
Essendo h = u + pv si ha:
Q − Li = m · ∆„
h +1
2w2 + gz
«D.2
ed infine, estendendo a più ingressi ed uscite la trattazione si ha:
Q − Li =Xout
mj
„h +
w2
2+ gz
«j
−Xin
mj ·„
h +w2
2+ gz
«j
D.3
30
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
che è l’espressione del Primo Principio per sistemi aperti in regime permanente, scritta
in forma di potenza. Nel caso più generale di sistema termodinamico aperto in regime
2.3. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Come per il I Principio, anche del II Principio della Termodinamica è possibile fornire
una descrizione fenomenologica, oppure assiomatica. Seguiremo quest’ultima via,
mostrando come i vari enunciati fenomenologici possano essere agevolmente derivati
da un solo assioma (Secondo Assioma fondamentale). Esso afferma che:
esiste una proprietà intrinseca dei corpi, detta entropia, la cui
variazione, per processi reversibili, è data da:
dS =δQrev
T
Per processi irreversibili si riscontra invece:
dS >δQ
T
e dunque in generale si può porre:
dovedSi è detta produzione di entropia per irreversibilità (dS i ≥ 0)2.
2La temperatura da introdurre nella 2.7 dovrebbe essere quella del sistema che sta evolvendo. Ma
se la trasformazione è irreversibile questa temperatura non è nota. Alcuni autori propongono
di adottare comeriferimento la temperatura del termostato; in questo caso nel terminedSi
si tiene conto di tutte le irreversibilità: interne (cioè dovute ad attriti) ed esterne (salti finiti
di temperatura). Questo approccio ha il vantaggio che la temperatura del termostato è sempre
definibile, ma lo svantaggio di fare riferimento, per il calcolo di una funzione che caratterizza lo
stato del sistema, a qualcosa di esterno al sistema stesso (il termostato). Qui si adotterà invece
non permanente la D.3 diviene:
Q − Li =X
± mj ·„
h +w2
2+ gz
«j
+d (u · m)
dtD.4
dS =δQ
T+ dSi 2.7
31
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Una prima conseguenza di questo assioma è che in un sistema isolato(Q = 0) come
l’ universol’entropia cresce sempre.
Postulato di Clausius
Consideriamo due termostati A e B a temperatureTA e TB, con TA > TB, che
si scambiano una quantità arbitraria di caloreQ, si supponga da A a B. Durante
tale scambio di calore non si manifestano irreversibilità interne ai termostati stessi.
Pertanto l’unica causa di variazione dell’entropia dei due termostati è rappresentata
dallo scambio di caloreQ :
∆SA =∫
δQ
T= − Q
TA
∆SB =∫
δQ
T=
Q
TB
Qualunque sistema comprendente sia A che B è, rispetto a questo processo, adiabatico,
poiché lo scambio di caloreQ è interno al sistema stesso. Ciò implica, per il
II Assioma, che∆S(A+B) ≥ 0 , ovvero:
∆SB =∫
δQ
T=
Q
TB
Se nededuce cheQ > 0, e ciò conferma l’ipotesi inizialmente fatta sul suo verso.
Questo risultato riflette una osservazione sperimentale a tutti ben nota e talmente evi-
dente e importante da suggerirla come enunciato del II Principio della termodinamica
(postulato di Clausius):
se due corpi a temperatura diversa sono messi a contatto il calore
fluisce spontaneamente dal corpo a temperatura più alta a quello a
temperatura più bassa.
la convenzione per cui, quando si è in presenza di irreversibilità solo esterne e la temperatura
del sistema è dunque definibile, si introduce nella 2.7 la temperatura del sistema e il termine
dSi tiene conto solo delle irreversibilità interne.
32
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Enunciato di Kelvin-Planck
Consideriamo adesso un processo ciclico in cui si compie lavoro, ovvero in cui il
lavoro netto, inteso come somma algebrica di tutti i lavori scambiati nel corso del
ciclo, risulta maggiore di zero. Per il Primo Principio, applicato a questo ciclo, si ha
Q = L > 0.
Supponiamo che il sistema sia in contatto con un solo termostato A. La variazione di
entropia dell’universo ad ogni ciclo3 varrebbe:
∆Stot = ∆Ssist + ∆SA = 0 +(−
∮δQ
T
)= − Q
TA< 0
Il risultato sarebbe pertanto in contrasto con il II Assioma. Anche in questo caso se ne
può concludere (enunciato di Kelvin-Planck) che:
non è possibile operare un processo ciclico il cui solo risultato sia
l’assorbimento di calore da un termostato e la conversione di questo
in lavoro.
Macchine che producono lavoro
Si abbia ora un sistema S in contatto con due termostati A e B a temperatureTA eTB
(conTA > TB). Si vuole determinare un’espressione generale del lavoro e ilsegno
delle quantità di calore scambiate nel caso che il sistema operi ciclicamente.
Si suppone che durante il processo il sistema riceva dal termostato A una quantità di
caloreQA e ceda al secondo la quantità di caloreQB.
La variazione totale di entropia dell’universo (∆Stot) varrà:
∆Stot = ∆SA + ∆SB + ∆SS = −|QA|TA
+|QB|TB
+ 0 ≥ 0
3Si ricorda che la variazione di entropia del sistema in un processo ciclico è nulla perché
l’entropia èuna funzione di stato.
33
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Dalla precedente si ottengono:
|QA| = TA
(−∆Stot +
QB
TB
)
|QB| = TB
(∆Stot +
QA
TA
)
Inoltre, per il I Principio applicato al ciclo percorso dal sistema:
Lnetto = |QA| − |QB| − ∆US = |QA| − |QB|
in quanto∆US = 0. Sostituendo nell’espressione del I Principio prima il valore di
QA epoi quello diQB si ottiene rispettivamente:
Lnetto = −TA∆Stot + |QB|(
TA
TB− 1
)2.8
Lnetto = −TB · ∆Stot + |QA|(
1 − TB
TA
)2.9
PoichéLnetto > 0 è confermato il verso diQB eQA, il chedimostra che:
in un processo ciclico che produce lavoro è sempre indispensabile
che del calore sia sottratto ad un termostato a temperatura più alta
e dell’altro venga ceduto ad un termostato a temperatura più bassa.
Una macchina che operi secondo tale processo viene definitamacchina termica
motriceed il suo rendimento è definito come:
η =Lnetto
QA2.10
Sia dalle 2.8 che dalle 2.9 si può osservare che il lavoro che si estrae da una macchina
termica motrice è massimo per∆Stot = 0 (processo reversibile) e vale, per una
trasformazione ciclica:
Lnetto,max = |QB| ·(
TA
TB− 1
)= QA
(1 − TB
TA
)2.11
34
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
PoichéLnetto,max = |QA| – |QB| si ha:
|QA||QB| =
TA
TB2.12
Il rendimento chesi ottiene è massimo:
ηmax =Lnetto,max
QA= 1 − TB
TA2.13
ed è funzione soltanto delle temperature estreme dei due termostatiTA eTB.
Si può dimostrare che l’unico ciclo che può raggiungere il rendimento massimo è
costituito da due trasformazioni isoterme, che si svolgono alla stessa temperatura dei
termostati con cui il sistema scambia calore, e due adiabatiche reversibili. Esso viene
detto ciclo di Carnot.
Macchine che assorbono lavoro e II enunciato di Clausius
Supponiamo ora di ideare una macchina S che,operando ciclicamente, trasferisca
calore da un termostato a temperaturaTB ad uno a temperatura più altaTA. Dimo-
streremo che tali sistemi per operare devonoassorbire lavoro netto. La variazione di
entropia dell’universo per questa macchina ciclica vale:
∆Stot = ∆SS + ∆SA + ∆SB
essendo∆SA =|QA|TA
, ∆SB = −|QB|TB
si ottiene
∆Stot =|QA|TA
− |QB|TB
≥ 0
per cui
|QA|TA
≥ |QB|TB
PoichéTA > TB deve essere|QA| > |QB| . Dunque, per il I Principio:
Lnetto = |QB| − |QA| < 0
35
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Pertrasferirecalore da un termostato a temperatura minore ad uno a temperatura mag-
giore è dunque necessario spendere del lavoro. Da questo risultato nasce un ulteriore
enunciato (II enunciato di Clausius):
è impossibile costruire una macchina che operando ciclicamente
non produca altro effetto che trasferire calore da un termostato a
temperatura minore ad uno a temperatura maggiore.
Una macchina che assorbe lavoro trasferendo calore da una temperatura più bassa
ad una più alta opera secondo un ciclo inverso, in quanto lavoro netto e calore netto
scambiati sono entrambi negativi. Essa ha nomi diversi, a seconda che il suo obiettivo
sia sottrarrecalore ad un ambiente freddo (macchina frigorifera) oppure fornire calore
ad un ambiente più caldo (pompa di calore). Nel primo caso il parametro che ne
descrive le prestazioni è dettoeffetto frigorifero specificoε, dato da:
ε =|QB||L| 2.14
Nel secondo caso si introduce invece il cosiddetto effetto di moltiplicazione termica
ε* (più spessodefinito COP -Coefficient of Performance), definito come:
ε∗ = COP =|QA||L| 2.15
Utilizzando ancora il Primo e Secondo Principio ricaviamo adesso una espressione
generale del lavoro speso per azionare una macchina a ciclo inverso:
|Lnetto| = TA∆Stot + |QB|(
TA
TB− 1
)
o anche
|Lnetto| = TB∆Stot + |QA|(
1 − TB
TA
)
In entrambi i casi il lavoro assorbito sarà minimo per∆Stot = 0, ovvero:
|Lnetto,min| = |QA|(
1 − TB
TA
)= |QB|
(TA
TB− 1
)
Pertanto l’effetto frigorifero specifico massimo di una macchina frigorifera varrà:
36
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
εmax =|QB||Lmin| =
TB
TA − TB2.16
e l’effetto di moltiplicazione termica massimo di una pompa di calore varrà:
COPmax =|QA||Lmin| =
TA
TA − TB2.17
Anche in questo caso l’efficienza massimadipende soltanto dalle temperature dei due
termostati con cui viene scambiato calore.
2.4. SECONDO PRINCIPIO PER I SISTEMI APERTI ED EXERGIA
Per un sistema aperto con un ingresso ed unauscita in regime permanente che compie
unaserie di trasformazioni 1 - 2 ricevendo una quantità di caloreQ0 dall’ambiente
esterno a temperaturaT0 e unaquantità di caloreQ con un termostato a temperatura
T > T0, compiendo un lavoro L i si ha, per la 2.6:
|Q| − |Q0| = Li + (H2 − H1)
e, per il Secondo Principio:
∆Stot = −|Q|T
+|Q0|T0
+ (S2 − S1) ≥ 0
da cui, ricavandoQ0 e sostituendo nell’espressione del I Principio:
Q
(1 − T0
T
)− Li = T0∆Stot + ∆(H − T0 · S) 2.18
In modo del tutto analogo si può procedere per un sistema aperto (un ingresso ed una
uscita) in regime permanente che riceve caloreQ0 dall’ambiente e cede caloreQ ad
un termostato a temperaturaT < T0, compiendo un lavoro L i. In questo caso, con
passaggi analoghi ai precedenti si ottiene
Q
(T0
T− 1
)− Li = T0 · ∆Stot + ∆ (H − T0 · S) 2.18a
37
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Si osservi come l’unica differenza fra la 2.18 e la2.18a è la parentesia fattore delle
quantità di calore, oltre al fatto che nel primo caso l’ambiente funge da pozzo termico,
mentre nel secondo esso funge da sorgente termica. Nelle espressioni 2.18 e 2.18a
sopra riportate:
– (1− T0/T )·Q = f C ·Q è laquota di calore assorbito a T > T 0 e trasformabile
in lavoro
– (T0/T − 1)·Q = f C ·Q è la quota di calore ceduto a T < T 0 e trasformabile
in lavoro
– T0 ·∆S to t = I è laperdita di lavoro per irreversibilità
– H − T0 ·S = B è l’entalpia disponibile come lavoro o exergia
e fc, detto fattore di Carnot, è riportato in figura 2.4 per T 0 = 293 K.
Le quantità sopra riportate sonoomogeneenon soltanto dal punto di vista dimen-
sionale (tutti i termini hanno infatti le dimensioni di unaenergia), ma anche come
valore termodinamico: ognuna di esse rappresenta unlavoro meccanico equivalente
o energia disponibile. In particolare, si dimostra che l’exergia (che èuna funzione
di stato) rappresenta il lavoro massimo ottenibile da un flusso di massa nel passaggio
dallo stato in cui si trova a quello neutro (T = T0). Si può allora introdurre un nuovo
tipo di rendimento, dettorendimento di secondo principio, definito come:
ηII =energia disponibile utile
energia disponibile spesa
La corrispondenza fra energia e energia disponibile è indicata di seguito:
Tipo di energia Valore Energia disponibile Valore
Calore assorbito a T > T0 Q Energia termica disponibile (1 − T0/T )Q =fc·Q
Calore ceduto a T < T0 −Q Energia termica disponibile (T0/T − 1)Q = fc·Q
Entalpia H Exergia H − T0·S = B
Lavoro Li Lavoro Li
38
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
0 200 400 600 800 1000 1200 1400
0
0.5
1
1.5
2
2.5
Temperatura (K)
Fig. 2.4 – Andamento del fattore di Carnot in funzione della temperatura del termostato
(T0 = 293K).
2.5. EQUAZIONI DI GIBBS E CONSERVAZIONE DELL’ ENERGIA
MECCANICA
Si è visto (1.3) che per una trasformazione qualunque si ha:
δL = p·dV – δLw
e, per il II Principio 2.7,
δQ = TdS − TdSi
.Pertanto, per una trasformazione reversibile si avràδL = pdV eδQ = TdS. In questo
caso il Primo Principio diviene:
dU = T · dS − p · dV 2.19
Nonostante sia stata ricavata per una trasformazione reversibile la 2.19, nota anche
comeprima equazione di Gibbs, è valida per tutte le trasformazioni, perchéU è una
39
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
funzione di stato e non dipende perciò dal tipo di trasformazione, ma soltanto dai
suoi estremi.
Inoltre, scrivendo in forma differenziale la definizione2.5 della funzioneentalpia,
dH = dU + p · dV + V · dp
e sostituendovi la 2.19 si ha:
dH = T · dS + V · dp 2.20
Anche la 2.20, nota come seconda equazione di Gibbs, ha validità generale, pur essen-
dostata ricavata per trasformazioni reversibili, perché ancheH èuna funzione di stato.
Dall’equazione di conservazione della massa e della quantità di moto (ricavata in
Idraulica) si ottiene l’equazione di conservazione dell’energia in forma meccanica:
− δLi = δLw + V dp + dEc + dEp 2.21
che rappresenta l’espressione generalizzata delteorema di Bernoulli scritta in forma
di energia.
Confrontando la 2.21 con il Primo Principio per i sistemi aperti e introducendo la
seconda equazione di Gibbs e l’espressione del calore ricavata dal Secondo Principio
si ottiene:
δLw = TdSi
che mostra come il lavoro perso per vincere gli attriti (δLw) sia proprio pari altermine
TdSi, che rappresenta ilcaloregenerato internamente a causa delle irreversibilità.
40
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
2.6. TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE
Trasformazioni politropiche
Le principali trasformazioni termodinamichereversibili sono denominate in base alla
grandezza che durante la trasformazione rimane costante:
Tipo di trasformazione Grandezza che rimane costante Equazione
isocora o isovolumica volume dV = 0
isobara pressione dp = 0
isoterma temperatura dT = 0
adiabatica entropia dS = 0
Questi tipi di trasformazioni possono essereconsiderati come facenti parte di un’unica
famiglia, detta delle trasformazionipolitropiche, caratterizzate dal fatto di mantenere
capacità termica massica costante:
c =δq
dT= cost
con:
c = cv per la trasformazione isocora
c = cp per la trasformazione isobara
c =∞ per la trasformazione isoterma
c = 0 per la trasformazione adiabatica
Trasformazioni isentalpiche
Alle trasformazioni sopra citate occorre aggiungere un’altra trasformazione, tipica dei
cicli inversi dei sistemi termodinamici aperti, che si realizza facendo trafilare un fluido
attraverso un setto poroso o una strozzatura.
41
2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Lo scopo di questa trasformazione, eminentemente irreversibile, dettatrafilazioneo
laminazione, è quello di ridurre la pressione di un fluido che scorre. In essa non si
compie lavoro né si scambia calore.
Applicando ad un volume di controllo compreso fra due sezioni, una a monte e l’altra
a valle del setto, a distanza tale da poter trascurare le variazioni di energia cinetica e
potenziale, il Primo Principio per i sistemi aperti, si ha dunque:∆h = 0
Ovvero, nel passaggio attraverso il setto l’entalpia non cambia. Applicando invece
il principio di conservazione dell’energia in forma meccanica con le stesse ipotesi si
ottiene:
w = −2∫
1
v · dp
che mostra come l’energia di pressione sia stata dissipata in attrito.
2.7. RIEPILOGO EQUAZIONI FONDAMENTALI
Principi della Termodinamica (in forma differenziale e riferita all’unità di massa)
I Principio della Termodinamica δq − δ = du
I Principio per sistemi aperti (in regimestazionario, un ingresso, una uscita)
δq − δi = dh
II Principio della Termodinamica ds =δq
T+ dsi
Conservazione energia in forma meccanica −δi = v · dp + c · dc + g · dz + δw
Funzioni termodinamiche (in forma differenziale)
Energia interna (I equazione di Gibbs) du = T · ds − p · dv
Entalpia (II equazione di Gibbs) dh = T · ds + v · dp
42
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
3.1. LE MACCHINE TERMICHE
In senso generale unamacchina termica è un dispositivo o una serie di dispositivi che
producono lavoro (macchina termicamotrice o motore) o che trasferiscono calore da
un ambiente più freddo ad uno più caldo (macchinafrigorifera o pompa di calore).
Inoltre, le macchine termiche possono essere raggruppate in due tipologie:
– macchine alternative
– macchine a flusso continuo
Nelle prime il dispositivo in cui avvengono le trasformazioni è unico (cilin-
dro) e dunque il fluido che vi è contenuto si configura come un sistema
termodinamico chiuso.
Nelle seconde, invece, in ogni dispositivo avviene una particolare trasformazione;
poiché in questo caso il fluido percorrendo la macchina si sposta da un dispositivo
all’altro, esso viene considerato un sistema termodinamico aperto.
3.2. MACCHINE A CICLO DIRETTO
Nelle macchine motrici il fluido operante percorre un ciclo termodinamicodiretto,
ovvero percorso in senso orario sui diagrammi termodinamici. Il loro rendimento è
43
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
dato dalla 2.10:
η =∮
δL
Q1per le macchine alternative
η =∮
δLi
Q1per le macchine a flusso continuo
In entrambi i casi il numeratore rappresenta il lavoro netto prodotto ed il denominatore
la somma di tutte le quantità di calore ricevute dall’esterno.
Per il primo principio (sistemi chiusi e aperti) si ha:
∮δQ =
∮δL =
∮δLi
e dunque:
η =∮
δQ
Q1
Si ha pertanto:
η =|Q1 | − |Q 2 |
Q1= 1 − |Q2 |
|Q1 | 3.1
Le macchine termiche a ciclo diretto hanno come fluido operante un gas (solitamente
aria o fumi della combustione), oppure una sostanza presente sia allo stato gassoso
che liquido (solitamente vapor d’acqua).
Lo schema comune di funzionamento di queste macchine è riportato in figura 3.1. Con
il simbolo L si intende qui il lavoro nettoL =∮
δL =∮
δLi.
In alcune di queste macchine il fluido operante è contenuto in un sistema cilindro-
pistone, nel quale si alternano le varie trasformazioni (compressione, riscaldamento,
espansione, cessione di calore). L’apportodi calore è in genere fornito da una reazione
di combustione fra aria comburente e combustibile che avviene all’interno del cilindro.
Esse sono dunque dette macchinealternative a combustione interna, o semplicemente
motori. Esse trovano impiego soprattutto nella trazione autoveicolare.
44
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
T1
T2
Q2
Q1
L
Fig. 3.1 – Schema di macchina a ciclo diretto
Nelle macchinea flusso continuo il fluido scorre attraverso i diversi dispositivi in
ciascuno dei quali avviene una determinata trasformazione termodinamica. Anche in
questo caso l’apporto termico è in genere fornito da una reazione di combustione.
Quando il fluido operante è aria la combustione avviene all’interno di uno dei
dispositivi, detto camera di combustione, quando invece esso è costituito da vapor
d’acqua la combustione è ovviamente esterna.
Le loro caratteristiche sono riassunte in Tabella3.1.
Tab. 3.1 – Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto(ST=Sistema Termodinamico).
macchina fluido combustione ciclo applicazioniprevalenti
rendimentoη = L/Q1
alternativa(STchiuso)
aria/fumi interna Otto trazione < 30 %
Diesel trazione < 35 %
esterna Stirling sperimentale ηmax
»
45
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Tab. 3.1 – Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto(ST=Sistema Termodinamico).
macchina fluido combustione ciclo applicazioniprevalenti
rendimentoη = L/Q1
a flussocontinuo(STaperto)
aria/fumi interna Joule-Brayton
produzioneelettrica,propulsioneaerea
30 %
acqua/fluidiorganici
esterna Rankine-Hirn
produzioneelettrica
< 40 %
aria+acqua interna+esterna
Combinato produzioneelettrica
50 %
3.3. MACCHINE A CICLO INVERSO
Nelle macchinefrigorifere e nelle pompe di calore il fluido operante percorre un
ciclo termodinamicoinverso, ovvero percorso in senso antiorario sui diagrammi
termodinamici. Le prestazioni delle macchine frigorifere sono descritte dall’effetto
frigorifero specifico (ε), mentre il parametro che definisce le prestazioni di una
pompa di calore è dettofattore di moltiplicazione termica (ε∗) o COP (Coefficient
of Performance). Nei due casi si ha, come indicato dalle 2.14 e 2.15
ε =|Q2|∣∣∮ δLi
∣∣ =|Q2|
|Q1| − Q2macchina frigorifera 3.2
COP = ε∗ =|Q1|∣∣∮ δLi
∣∣ =|Q1|
|Q1| − Q2pompa di calore 3.3
Esse possono operare secondo due diverse modalità:
– a compressionedi vapore
– ad assorbimento
46
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Condensatore
Evaporatore
Valvola dilaminazione Compressore
A
BC
D
Fig. 3.2 – Schema funzionale di una macchina fr igor ifera.
Macchine frigorifere a compressione di vapore
Le macchine frigorifere a compressione di vapore impiegano come fluidi termodina-
mici sostanze chimiche particolari detti refrigeranti o fluidi frigorigeni, quali NH3,
CH3Cl, SO 2, e vari idrocarburi alogenati detti genericamente freon (R11, R12, R22,
R114, R134a, etc.), in genere fortemente riducenti. Esse hanno in comune la proprietà
di evaporare a temperature basse (dell’ordine di qualche decina di gradi sotto zero,
nella maggior parte delle macchine frigorifere) a pressioni superiori o di poco inferiori
alla pressione atmosferica e di condensare a temperature dell’ordine di 50 -100 C in
corrispondenza di pressioni non troppo elevate.
Lo schema funzionale di una macchinaoperante secondo un ciclo inverso a
compressione di vapore è riportato in figura 3.2.
Il fluido frigorigeno sotto forma di vapore saturo secco o leggermente surriscaldato
(A) viene prima compresso (A-B), poi desurriscaldato e condensato (B-C), poi viene
fatto trafilare in una valvola di laminazione con un processo isentalpico C-D e infine
fatto evaporare (D-A).
Poiché all’evaporatore il fluido è sottoposto ad una pressione bassa, vicina alla
pressione atmosferica, anche la sua temperatura di evaporazione sarà bassa, e sarà
dunque in grado di sottrarre calore ad ambienti anche molto freddi.
47
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Ad esempio, alla pressione atmosferica il freon R134a evapora a una temperatura
di circa –26C. Messo a contatto con un ambiente a – 20C, esso assorbe calore
evaporando. Una volta portato a una pressione opportuna, dell’ordine di 10 bar, alla
quale corrisponde una temperatura di transizione di fase pari a 40C, se messo in
contatto con un ambiente a 20C essocondensa cedendogli calore.
Per ottenere l’effetto utile da una macchina frigorifera (sottrazione di calore ad un
ambiente freddo), o da una pompa di calore (cessione di calore ad un ambiente
caldo) è necessario impiegare energia meccanica, ovvero elettrica, per la compressione
del vapore.
Macchine frigorifere ad assorbimento
Il ciclo termodinamico percorso dalle macchine ad assorbimento differisce dal ciclo
inverso a vapore soltanto per le modalità di compressione del vapore. Pur presentando
dei rendimenti inferiori a quelli dei ciclia compressione tradizionali, le macchine ad
assorbimento si stanno sempre più diffondendo sia nelle macchine di grande potenza
(per il fatto di non avere quasi, nei loro circuiti, organi in movimento soggetti ad avarie
meccaniche) che in alcune applicazioni domestiche (per la loro silenziosità ed il basso
consumo di energia elettrica, soprattutto quando è disponibile una fonte termica a
costo basso o addirittura nullo, come l’energia solare o energia termica di recupero).
Alcuni fluidi comunemente impiegati in questo tipo di cicli sono l’ammoniaca (NH3)
e il bromuro di litio (LiBr), in soluzioni acquose.
Il principio di funzionamento si basa sulla proprietà di una soluzione di due liquidi
di assorbire, ovvero far condensare, il vapore della soluzione stessa anche quando la
temperatura della soluzione liquida è superiore a quella del vapore.
In tal modo il vapore all’uscita dall’evaporatore viene assorbito nella soluzione liquida
e conpiccolo dispendio energetico (dato che è allo stato liquido) viene pompato alla
pressione superiore del ciclo. In seguito alla somministrazione di calore esso viene
poi rilasciato dalla soluzione sotto forma di vapore per essere inviato al condensatore.
Da ciò nasce l’interesse particolare verso le macchine ad assorbimento, cheproducono
freddo utilizzando calore, invece che energia pregiata, come l’energia elettrica.
48
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
3.4. COGENERAZIONE E TRIGENERAZIONE
Una tecnica sempre più diffusa per migliorarel’efficienza complessiva degli impianti
per la produzione termoelettrica è quella dellacogenerazione, ovvero della produzione
combinata di calore ed energia elettrica. Essa consiste nel rendere utilizzabile ad una
utenza termica il caloreQ2 ceduto alla temperatura più bassa da una macchina termica
a ciclo diretto, che, nel caso di un ciclo a vapore, è quello di condensazione. In questo
caso la condensazione viene operata ad una temperatura che sia sufficientemente alta
da rendere «interessante» il calore ceduto, tipicamente dell’ordine di 100C. In tal
modo diminuisce il rendimento termodinamico dato dalla 3.1, e dunque il lavoro
prodotto, ma si rende utilizzabile anche il calore che normalmente viene scaricato
in ambiente.
Una macchina simile consente di utilizzare al meglio l’energia termica pregiata (in
quanto a temperatura molto alta) prodotta nella combustione, a differenza di un
comunegeneratore di calore (caldaia), che si limita a trasformare tale energia in
calore a temperatura medio-bassa (dell’ordine dei 100C).
Normalmente il calore prodotto da un impianto di cogenerazione non ha una utenza
nelle immediate vicinanze. Pertanto è necessario predisporre una rete per il trasporto
del calore, per mezzo di un opportuno fluido termovettore (normalmente, acqua
surriscaldata o vapore). Tale sistema di distribuzione del calore viene dettoteleri-
scaldamento.Molte città italiane, fra cui Brescia, Modena, Torino hanno da tempo
adottato questo sistema per riscaldare ampie zone urbane.
Poiché al di fuori del periodo di riscaldamento è difficile reperire una utenza
interessata ad acquistare calore, una ulteriore possibilità, peraltro ancora poco diffusa,
è rappresentata dalla trigenerazione, che consiste nell’impiegare il calore prodotto
d’estate per alimentare una macchina frigorifera ad assorbimento, in grado, come si è
visto, di produrre freddo a partire da calore a temperatura medio-alta.
Uno schema che riassume il funzionamento delle varie macchine sopra descritte è
riportato nelle Figure 3.3 e 3.4.
49
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
Q1
L
Q2
T0
T2
macchina frigorifera acompressione
Q1
L
Q2
T1
T0
pompa di calore
Q1
Q0
Q2
T1
T2
T0
macchina frigorifera adassorbimento
Q1
Q2
Q0
T1
T0
T2
generatore di calore
LQ2=
LQ
COP 1=
Fig. 3.3 – Schemi di macchine frigorifere, pompa di calore e generatore di calore (la
freccia tratteggiata indica l’energia spesa, la freccia grigia l’energia utile).
50
3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE
macchina cogenerativa(calore ed elettricità)
macchina trigenerativa(calore, freddo ed elettricità)
Fig. 3.4 – Schemi di macchine per la cogenerazione e la trigenerazione.
51
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Questo capitolo esamina le trasformazioni termodinamiche della miscela aria-vapor d’acqua (aria umida).
L’ aria secca e il vapor d’acqua compresenti nella miscela che chiamiamoaria umida non reagiscono chimicamente fra loro e, essendo normalmente ilvapor d’acqua in condizioni di vapore surriscaldato, possono entrambi essereconsiderati gas ideali; esse costituiscono dunque una miscela di gas ideali, percui vale lalegge di Dalton, ovvero:
ogni gas in una miscela si comporta come se occupasse da solo
tutto il volume alla temperatura della miscela.
La pressione esercitata da ogni gas è dunque pari a quella che eserciterebbe sefosse solo nel volume occupato dalla miscela e viene dettapressione parziale
del gas. Conqueste ipotesi si ha:pava = R∗aT = RT/µa 4.1
pvvv = R∗vT = RT/µv 4.2
e la pressione totale (pressione barometrica) è data da:
p = pa + pv 4.34.1. PROPRIETÀ DELL’ ARIA UMIDA
Si definiscono le seguenti grandezze
ϕ =ρv
ρvs≈ pv
pvsumidità relativa 4.4
x =mv/V
ma/V=
ρv
ρagrado igrometrico o titolo dell’aria umida 4.5
53
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Fig. 4.1 – Pressione di saturazione del vapor d’acqua in funzione della temperatura.
dovepvs rappresenta la pressione di saturazione (pressione alla quale il vapore inizia
a condensare) alla stessa temperatura a cui si trova la miscela aria-vapore. Essa è
funzione della temperatura come indicato in figura 4.1.
Date le 4.1 - 4.3, dalla 4.5 si ricava:
x =va
vv=
R∗a · Tpa
· pv
R∗v · T =
µv
µa· pv
p − pv= 0.622
ϕ · pvs
p − ϕpvs4.6
Entalpia dell’aria umida
Lo studio delle trasformazioni termodinamiche dell’aria umida interessa molti settori,
dagli impianti di condizionamento degli edifici, agli impianti di essiccazione di derrate
alimentari, agli impianti tessili, etc...
In tali impianti l’aria, prima di essere immessa in ambiente, vienetrattata in modo
da modificarne la temperatura e il grado igrometrico. Il costo energetico di questi
trattamenti è calcolabile attraverso le variazioni di entalpia dell’aria, che assume
quindi fondamentale importanza. Essendo questa una grandezza estensiva, può essere
54
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
calcolata, per un sistema formato da una massama di aria secca e una massa
d’acquamv allo stato di vapore surriscaldato, da:
Ha+v = maha + mvhv
dove:
ha = entalpia specifica dell’aria secca
hv = entalpia specifica del vapore
Poiché la portata d’aria secca resta costante nel corso del trattamento, mentre quella di
vapore può variare (se l’aria viene deumidificata o umidificata), vige la consuetudine
di riferire l’entalpia della miscelaall’unità di massa di aria secca, anziché all’unità di
massa della miscela. Per cui, dividendo per la massa dell’aria seccama, si ha:
h1+x = ha + xhv
dove h1+x rappresenta l’entalpia di 1 kg di aria secca e dix kg di vapore ad essa
associati. Poiché le entalpie sono riferite a 0C, si ha:
ha = cpa (T − 0) = cpaT
in cui cpa è il calore specifico medio dell’aria eT è espressa in C. Per ciò che riguarda
l’entalpia del vapore surriscaldato, essa può essere calcolata come:
hv = r0 + cpvT
,in cui cpv è il calore specifico medio del vapor d’acqua surriscaldato edr0 il calore
di evaporazione dell’acqua a 0C. Pertanto l’entalpia dell’aria umida sarà espressa
dalla formula:
h1+x = cpa · T + x ·(r0 + cpv ·T
)4.7
,In unità S.I. si ha:
cpa = 1.0kJ/(kg · K)
cpv = 1.9kJ/(kg · K)
r0 = 2500kJ/kg
55
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
4.2. IL DIAGRA MMA DI MOLLIER PER L’ ARIA UMIDA
L’equazione 4.8 viene riportata in forma grafica in un diagramma (h,x) che tiene anche
conto della relazione 4.6 ricavata in precedenza. Tale diagramma assume il nome di
diagramma di Mollier per l’aria umida (fig. 4.2).1
Nel diagramma di Mollier si riporta in ascisse il grado igrometrico e in ordinate
l’entalpia. Tuttavia, quest’ultima viene conteggiata a partire da un asse inclinato verso
il basso di un angolo la cui tangente vale 2500. Pertanto le isentalpiche saranno rette
parallele a tale asse: il termine (2500 · x) starà al di sotto dell’asse delle ascisse e nel
primo quadrante verrà riportato soltanto il termine:
(1 + 1.9x)T
Le curve ad ugual umidità relativa si ricavano ponendo ϕ = cost nell’equazione 4.6 e
trovando poi le coppie di valori(pvs(T ), x) che la soddisfano.
Particolare interesse riveste in questo diagramma la curvaϕ = 100% (curva di
saturazione). Al di sopra di tale curva l’aria è insatura e il vapore in essa presente è
in condizioni di vapore surriscaldato. In corrispondenza della curva il vapore è saturo
secco e l’aria viene dettasatura di vapor d’acqua.
Il diagramma così tracciato vale per una particolare pressione barometrica (totale),
ma le curve ad ugual umidità relativa rimangono tali (sia pure riferite ad un diverso
1Ne esistono anche versioni diverse, come il diagramma psicrometrico Carrier (T-x), o quello
ASHRAE (h-x come il diagramma di Mollier, ma ad assi invertiti), più comunemente usate nei
Paesi anglosassoni.
Sostituendo i valori numerici e riordinando si ottiene:
h1+ x = 2500x + (1 + 1.9x)T 4.8
56
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
valore di umidità relativa) anche per pressioni barometriche diverse. Infatti, dalla 4.6
si ottiene:
ϕ = p · x
pvs · (0.622 + x)4.9
che dimostra come il valore dell’umidità relativa sia direttamente proporzionale alla
pressione barometrica. Pertanto, ad esempio, la curva che perp = 1 bar rappresenta
la curva ad umidità relativa costante pari aϕ = 50 %, corrisponderà aϕ = 40 % se la
pressione è pari a 0.8 bar.
Inoltre, dalla 4.9 si osserva come, a parità di grado igrometrico x, al crescere della
temperatura crescepvs, edunque diminuisce l’umidità relativa.
Andamento delle isoterme
Nel campo di massimo interessetecnologico (aria insatura:x < xvs) le isoterme sono
rette di equazione:
h1+x = 2500x + (1 + 1.9x) T
ma, data la particolaritàdella scelta dell’asseh = 0 divengono:
h1+x = (1 + 1.9x) T
che intercettano sull’asse delle ordinate(x = 0) un segmento pari aT ed hanno tutte
origine in un punto avente:
h1+x = 0; x = −1/1.9
Per una temperatura superiore a quella del punto triplo dell’acqua(T > 0C) e x >
xvs ci si trova a destra della curva di saturazione, nella cosiddettaregione delle nebbie,
in cui le isoterme avranno equazione:
h1+x = 2500 xvs + (1 + 1.9 xvs)T + 4.2 T xl
L’ entalpia crescerà dunque, al crescere dix, solo a causa dell’aumento del contributo
della frazione liquida4.2 Txl , relativamente modesto e proporzionale aT . Pertanto
nella regione delle nebbie le isoterme risulteranno quasi isentalpiche.
57
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
Diagramma di Mollier per l'aria umida (p = 1 atm)
-10.0
-5.0
0.0
5.0
10.0
15.0
20.0
25.0
30.0
35.0
40.0
0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 0.03 0.035 0.04titolo (kg/kg)
T (
°C),
h (
kJ/k
g)
Fig. 4.2 – Diagramma di Mollier per l’aria umida (p = 1 atm).
Calcolo della portata d’aria umida
La legge di Dalton sancisce il fatto che in una miscela di gas ideali ciascuno dei singoli
gascoesiste con gli altri nello stesso volume senza interferenze. Nel caso dell’aria
umida, ciò significa che in un metro cubo di aria umida è contenuto un metro cubo
d’aria secca e un metro cubo di vapore. Lo stesso vale per la portata in volume.
Ovvero:
Va = Vv = V
Diverso è il discorso per la massa (e la portata in massa) dell’aria secca. La portata in
massa d’aria secca sarà data da:
ma = ρaVa =pa
R∗aT
V
in cui pa rappresenta lapressione parziale dell’aria secca. Questa può essere ricavata
dalle 4.3 e 4.4:
pa = p − ϕpvs
58
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
e infine la portata in massa di vapore è data da:
mv = x · ma
4.3. TRASFORMAZIONI DELL’ ARIA UMIDA
Le principali trasformazioni subite dall’aria umida negli apparecchi di trattamento
dell’aria sono:
– Miscelazione
– Riscaldamento
– Raffreddamento senza condensazione
– Deumidificazione (raffreddamento con condensazione)
– Umidificazione
Miscelazione
La miscelazione è un processo nel quale due correnti di aria umida a temperatura e
umidità relativa diverse vengono mescolate. Indicando con i pedici 1 e 2 le grandezze
relative alle due correnti in ingresso e con il pediceu le caratteristiche della corrente
in uscita e considerando anche in questo caso il processo adiabatico, le equazioni di
conservazione dell’energia per i sistemi aperti e della massa (di acqua) forniscono:
ma · hu − ma1 · h1 − ma2 · h2 = 0
ma · xu − ma1 · x1 − ma2 · x2 = 04.10
in cui tutte le portate sono di aria secca e si è omesso per semplicità il pedice(1 + x)
dal simboloh dell’entalpia. Sapendo inoltre che:
m = m1 + m2
si desumono, note portata, grado igrometrico ed entalpia dei flussi d’aria in ingresso,
portata, gradoigrometrico ed entalpia dell’aria in uscita.
59
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
=100%
h2
hu
1
2u
x1 x2xu
φ
h1
x
h
Fig. 4.3 – Miscelazione
Tali valori sono facilmente determinabili anche per via grafica. Le condizioni hu
ed xu dell’aria in uscita si ricavano infatti tracciando la congiungente i punti 1 e 2
rappresentativi dei due flussi d’aria in ingresso ed individuando su tale segmento
il punto tale da dividere il segmento stesso in parti inversamente proporzionali alle
portate (fig. 4.3).
Riscaldamento
Il riscaldamento dell’aria umida viene operato in una batteria di scambio termico nella
quale un fluido scaldante, in genere acqua o vapore, cede all’aria umida una potenza
termicaQ . Scrivendo le equazioni di conservazione per l’aria umida si ottiene:
Q = ma · hu − ma · hi
ma · xu = ma · xi
4.11
Dalle relazioni precedenti si ricava che il riscaldamento è sempreisotitolo (ovvero,
60
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
φφ =100%
hui
u
x i = x u
hi
x
h
Ti
Tu
Fig. 4.4 – Riscaldamento dell’ar ia umida.
a grado igrometrico costante) ed è accompagnato da un aumento di entalpia e di
temperatura pari a:
∆h = Q/m a = ∆T · (1 + 1.9x) ≈ ∆T
È facile verificare dalla 4.9 che riscaldando a titolo costante l’aria umida l’umidità
relativa diminuisce (vedi Fig. 4.4), poiché aumenta pvs.
Raffreddamento
Il raffreddamento viene operato in una batteria di scambio termico alimentata da
acqua refrigerata. Da un punto di vista termodinamico esso ha modalità analoghe
al riscaldamento, finché non si raggiungono le condizioni di saturazione (ϕ = 100 %):
si tratta di una trasformazione isotitolo caratterizzata da una diminuzione di entalpia
e di temperatura calcolabile come indicato per il riscaldamento, e da un aumento di
umidità relativa.
Diverso è il caso in cui, nel corso del raffreddamento isotitolo, l’aria raggiunga
le condizioni di saturazione (fig. 4.5). La temperatura a cui l’aria diviene satura
61
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
=100%
hi
i
u
xi
hu
x
h
Ti
Tu
Tr
xu
Fig. 4.5 – Raffreddamento con deumidificazione dell’aria umida.
viene dettatemperatura di rugiada (Tr ); continuando a sottrarre calore il vapore
inizia a condensare, mentre l’umidità relativa si mantiene pari al 100 %. Se l’acqua
condensata viene rimossa (non rimane in sospensione) le equazioni di conservazione
danno dunque:
Q = ma · (hu − hi) + mw · hw
ma(xu − xi) + mw = 04.12
dove:
Q = calore sottratto (negativo) nella batteria di raffreddamento
mw = portata di acqua condensata
hw = entalpia dell’acqua condensata
Le due equazioni 4.12 non consentono di risolvere il problema perché sono incogniti
xu, hu e mw . In realtà, entalpia e grado igrometrico dell’aria in uscita sono fra loro
legate, poiché l’aria è satura. Va pertanto aggiunta la condizione supplementare:
xu = 0.622pvs
p − pvs
62
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
dedotta dalla 4.6 (con ϕ =1) che consente di legare il grado igrometrico alla pressione
di saturazione, e dunque alla temperatura ed all’entalpia.
La soluzione analitica del problema è, come si vede, piuttosto involuta; al contrario,
il problema può essere agevolmente risolto con l’ausilio del diagramma di Mollier: si
calcola in primo luogo l’entalpia dell’aria in uscita con la prima delle 4.12 trascurando
il termine mwh w ; si determina poi il punto finale sul diagramma di Mollier quale
intersezione fra la retta h = hu e la curvadi saturazione; dal valore del grado
igrometrico xu, infine, si ricava per mezzo della seconda delle 4.12 la portata m w .
Si potrà a questo punto verificare che l’errore compiuto trascurando il termine mwh w
è dell’or dine dell’1%, edunque accettabile.
Umidificazione
L’ umidificazione può essere effettuata in due modi diversi:
– con acqua nebulizzata
– a vapore
Nel primo caso si impiega una apposita batteria in cui dell’acqua nebulizzata viene
spruzzata nell’aria che la attraversa. L’acqua evapora sottraendo calore all’aria ed
aumentandone il grado igrometrico. Considerando il processo adiabatico, le equazioni
di conservazione danno:
ma(h u − h i) − m w · h w = 0
ma(xu − xi) − m w = 04.13
Questa volta, essendo nota la portata mw , entalpia e grado igrometrico dell’aria in
uscita sono facilmente determinabili. Dalla prima delle 4.13 si deduce, inoltre, che la
trasformazione è pressoché isentalpica, poiché, come in precedenza, il termine mwh w
è trascurabile rispetto ai termini mah i e m ah u (fig. 4.6).
Poichéxu è maggiore di xi, a parità di entalpia si deve avere, per la 4.7, T u < T i.
63
4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA
hi
i
u
x i
φ =100%
hi = hu
x
h
= Tbs
Tu = T bu
x u
Ti
Fig. 4.6 – Rappresentazione sul diagramma di Mollier di una umidificazione isentalpica.
Quando la portatamw introdotta è tale da portare l’aria in condizioni di saturazione
Tu coinciderà con la cosiddetta temperatura di bulbo umido T bu.2
2Questa è la temperatura che verrebbe misurata da un termometro il cui bulbo sensibile sia stata
avvolto da una pezzuola imbevuta di acqua distillata. Tale strumento è detto termometro a bulbo
umido opsicrometro di Assman.
64
progettodidattica in rete
prog
etto
dida
ttica
in re
tePolitecnico di Torino, maggio 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica AmbientaleParte II: trasporto di calore e di massa
G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE IItrasporto di calore e di massa
WWW.POLITO.IT
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientaleparte II - trasporto di calore e di massa
Prima edizione maggio 2003
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Generalità sulla trasmissione del calore e conduzione 69
1.1. Conduzione e legge di Fourier. . . . . . . . . . . . . . 69
1.2. Equazione generale della conduzione . . . .. . . . . . . 72
1.3. Condizioni al contorno e scambio termico misto . . . . 75
1.4. Paretepiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79
1.5. Paretecilindrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
1.6. Transitori termici in sistemi a capacità termica concentrata 85
1.7. Alcuni problemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . 88
2. Irraggiamento 95
2.1. Leggi del corponero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
2.2. Caratteristicheradiative delle superfici reali . . . . . . . 98
2.3. Scambio termico per irraggiamento fra corpi neri . . . . 99
2.4. Scambio termico per irraggiamento fra superfici grigie . 101
3. Convezione 105
3.1. Regimedi moto e viscosità . . . . . . . . . . . . . . . . 107
3.2. Concetto di strato limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108
3.3. Analisi dimensionale per la convezione forzata . . . . . . 110
3.4. Convezionenaturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113
67
4. Problemi termoigrometrici nelle pareti edilizie 117
4.1. Scambio termico misto in intercapedini . . . . . . . . . 117
4.2. Diagramma(T,R) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121
4.3. Trasmissione del calore in pareti opache in presenza di .
radiazionesolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122
4.4. Il problema della condensa superficiale . . .. . . . . . . 122
4.5. Diffusione del vapore e condensa interstiziale . . . . . . 124
4.6. Trasmissionedel calore in pareti vetrate . . . . . . . . . 130
68
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DELCALORE E CONDUZIONE
La Parte della Fisica Tecnica che studia il trasferimento di calore all’interno diun corpo o fra corpi diversi è detta Termocinetica o Trasmissione del Calore.
Per meglio comprendere l’ambito di studio della Termocinetica si può dire cheessainizia là dove finisce la Termodinamica. Quest’ultima, infatti, ci consentedi calcolare lo stato termico che si raggiunge in condizioni di equilibrio, manon le leggi con cui si perviene a queste condizioni. Ad esempio, ci consentedi stimare la temperatura finale di due corpi messi a contatto, ma non lavelocità di evoluzione delle loro temperature. Questo è appunto il compitodella Trasmissione del Calore.
Si è già detto che il calore è energia in transito per differenza di temperatura;sebbene nei problemi reali sia abbastanza raro che si verifichino isolatamente,si distinguono tre modi fondamentali di trasmissione del calore:conduzione,irraggiamentoe convezione. Inizieremo con la trattazione della conduzione,ma poiché la distribuzione di temperatura all’interno di un corpo dipende daquello che avviene sul suo contorno, sarà necessario fornire anche qualcheinformazionepreliminare sulle altre modalità di scambio termico.
1.1. CONDUZIONE E LEGGE DI FOURIER
Nella conduzione lo scambio di energia termica avviene per scambio di energia
cinetica molecolare (fluidi e dielettrici) o per diffusione elettronica (metalli) senza
scambio di materia, all’interno di un corpo. Si ricorda che, secondo la teoria cinetica,
la temperatura è proporzionale all’energia cinetica molecolare media e l’energia
69
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
interna di un corpo non è altro che la somma delle energie cinetiche e potenziali delle
molecole che lo costituiscono.
L’esperienza insegna che il flusso di calore all’interno di un corpo non isotermo
avviene sempre dalle regioni a temperatura più alta a quelle a temperatura più bassa
(II Principio della Termodinamica), e che esso è tanto più intenso quanto più è grande
il gradiente di temperatura. Ciò può essere espresso in forma analitica attraverso la
legge di Fourier:
Q = −λ · A∂T
∂x1.1
dove:
Q = potenza o flusso termico,W
A = area della superficie di passaggio del flusso termico,m2
λ = conducibilità termica,W/(mK)
T = temperatura,K
x = lunghezza generica,m
Il segno meno è imposto dal Secondo Principio della Termodinamica, poiché il flusso
termico è diretto nel verso delle temperature decrescenti, e quindi ha segno opposto al
gradiente termico. Laconducibilitàtermicaλ risulta definita anche dimensionalmente
attraverso la 1.1. Essa varia a seconda del tipo di sostanza, e in genere cresce con la
densità. I valori per alcuni materiali e sostanze di comune impiego in edilizia sono
riportati in tabella 1.1.
La conducibilità termica varia in funzionedella temperatura. Essa cresce con
l’aumentare della temperatura per i gas e per i materiali isolanti: ad esempio, per
l’aria il gradiente è di circa 0.5 % alC. Per i metalli molto puri essa diminuisce,
invece, al crescere della temperatura.
70
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Tab. 1.1 – Valori di conducibilità termica per alcune sostanze e materiali
di comune impiego nell’edilizia.
Sostanza o materiale Conducibilità termica[W/(m · K)]
FLUDI aria 0.024
acqua 0.554
ISOLANTI lana minerale, granuli 0.046
poliuretano 0.026
fibra di vetro 0.027
polistirene espanso 0.03-0.17
MATERIALI laterizi ordinari 0.72
DA laterizi faccia-vista 1.3
COSTRUZIONE calcestruzzo normale 1.2-2.0
calcestruzzo alleggerito 0.2-0.8
legno duro (quercia, acero) 0.16
legno tenero (abete, pino) 0.12
vetro 1.4
pietra (calcare, granito, marmo) 2.15-2.80
intonaco di cemento 0.72
intonaco di gesso 0.22-0.25
METALLI acciaio inox 13-15
acciaio 45-60
ferro 80
alluminio, lega di alluminio 170-237
rame 385
71
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
1.2. EQUAZIONE GENERALE DELLA CONDUZIONE
Coordinate rettangolari
Applicando il I Principio della Termodinamica a un cubetto elementare attraversato
da flussi termici conduttivi si ottiene, nell’ipotesi di conducibilità termica costante
nelle tre direzioni, l’equazione generale della conduzione(vd. DIMOSTRAZIONE a
pag. 73):
∂2T ∂2T ∂2T q ρc ∂T
∂x2+
∂y2+
∂z2+
i
λ=
λ·
∂t1.2
o anche
∇2T +qi
λ=
1
α·∂T
∂t1.2a
2
dove∇ è l’operatore di Laplace eα è ladiffusività termica,α =λ
ρ · c
La 1.1 è un’equazione differenziale alle derivate parziali integrabile soltanto in alcuni
casi particolari, ai quali si tenta di ricondurre i problemireali. Ad esempio,
quando il corpo è costituito da una parete piana di grandi dimensioni rispetto allo
spessore che separa due ambienti a temperatura diversa, il flusso termico può essere
ragionevolmente considerato monodimensionale e ortogonale alla parete. In questo
caso la1.2 si riduce a:
∂2T
∂x2+
qi
λ=
1
α
∂T
∂t
In assenza di generazione interna si ottiene:
∂2T
∂x2=
1
α
∂T
∂t1.3
Nel caso di flusso stazionario (∂T/∂t = 0) e in assenza di generazione interna si ottiene:
d2T
dx2= 0 1.4
72
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
DIMOSTRAZIONE
Applicando il Primo Principio della Termodinamica in forma di potenza:
XQ =
∂U
∂t
ad un solido elementare di materia avente lati dx, dy e dz e conducibilità λ x, λy,
λ z (fig. 1.1) attraversato da un flusso ter mico conduttivo tr idimensionale e sede di un
flusso termico generato internamente, Qi si avrà:
Qx + Qy + Qz + Qi = Qx+dx + Qy+dy + Qz+dz +∂U
∂t
Applicando la 1.1 si ottiene:
Qx = −λx · dy · dz · ∂T
∂x
Qy = −λy · dx · dz · ∂T
∂y
Qz = −λz · dx · dy · ∂T
∂z
Il flusso uscente lungo x sarà:
Qx+dx = Qx +∂Q
∂xdx
e analogamente lungo y e z. La differenza fra i flussi termici sullo stesso asse dà:
Qx+dx − Qx =∂
∂x
„λx
∂T
∂x
«dx · dy · dz
Qy+dy − Qy =∂
∂y
„λy
∂T
∂y
«dx · dy · dz
Qz+dz − Qz =∂
∂z
„λz
∂T
∂z
«dx · dy · dz
A sua volta la variazione di energia interna ed il flusso generato internamente possono
essere espressi come:
∂U
∂t= ρ · c · dx · dy · dz · ∂T
∂t
Qi = qi · dx · dy · dz
dove:
73
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
x
Qx+dx
Qz+dz
Qy+dy
Qz
Qy
Qx
y
z
dy
dz
dx
Fig. 1.1 – Flussi di conduzione attraverso un solido elementare.
ρ = massa volumica (kg/m3)
c = capacità termica massica (J/kg·K)
qi = flusso generato per unità di volume (W/m3)
Si ottiene in questo modo l’equazione generale della conduzione:
∂
∂x
„λx
∂T
∂x
«+
∂
∂y
„λy
∂T
∂y
«+
∂
∂z
„λz
∂T
∂z
«+ qi = ρc · ∂T
∂tD.1
Se la conducibilità termica è costante nelle tre direzioni si ottiene:
∂2T
∂x2+
∂2T
∂y2+
∂2T
∂z2+
qi
λ=
ρc
λ· ∂T
∂tD.2
Coordinate cilindriche
Adottando un sistema di coordinate cilindriche (r,θ, z), con un procedimento
simile a quello illustrato nella DIMOSTRAZIONE a pag.73 l’equazione generale della
conduzione diviene:
1r2
∂2T
∂θ2+
∂2T
∂z2+
∂2T
∂r2+
1r
∂T
∂r+
qi
λ=
1α· ∂T
∂t1.5
che si riduce, nel caso di flusso monodimensionale radiale, stazionario e senza
generazione interna, a:
74
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
d2T
dr2+
1r· dT
dr= 0 1.6
1.3. CONDIZIONI AL CONTORNO E SCAMBIO TERMICO MISTO
La soluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali come le 1.2- 1.6
permette di descrivere il campo termico all’interno di un corpo. Questo dipende
tuttavia dalle condizioni termicheal contornoe, per i problemi che dipendono dal
tempo, iniziali.
Per esempio, la 1.4 ha come soluzione generale
T = a · x + b
che indica come in una parete piana in regime stazionario il profilo di temperatura sia
lineare. Tuttavia, il valore delle due costantia e b può essere determinato soltanto
sesono definite due condizionial contorno(ovvero, sulle due facce della parete). La
condizione inizialespecifica invece i valori di temperatura in ogni punto del sistema
all’istante iniziale.
Esistono tre tipi di condizione al contorno, che verranno di seguito esemplificate per
casi monodimensionali stazionari:
– 1 tipo - condizione di temperatura (o diDirichlet)
– 2 tipo - condizione di flusso (o diNeumann)
– 3 tipo - condizione di temperatura e flusso (o diconvezione)
Una condizione al contorno in cui il termine noto sia nullo viene dettaomogenea.
Le condizioni al contorno del 1 tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema
in esame è imposto e noto il valore della temperatura. Ad esempio, per un caso
monodimensionale:
T |x=x1= T1 1.7
75
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Le condizioni al contorno del 2 tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema
in esame è noto il valore assunto dal flusso termico. Ad esempio, per un caso
monodimensionale:
Q∣∣∣x =x1
= −λ · A · dT
dx
∣∣∣∣x =x 1
= Q 1 1.8
Su un piano di simmetria del sistema si avrà una condizione al contorno omogenea
perché sarà nullo il gradiente di temperatura e dunque Q 1 = 0 .
Le condizioni al contorno del 3 tipo sono le più comuni nella pratica. Esse prevedono
che sul contorno del sistema siano fornite equazioni supplementari in cui compaiono
sia la temperatura che il flusso termico:
Q∣∣∣x =x1
= − λ · A · dT
dx
∣∣∣∣x =x 1
= h · A · (T |x =x1− Ta
)1.9
in cui Ta è la temperatura dell’ambiente (fluido e superfici) con cui viene scambiato
calore per convezione e irraggiamento e h è il coefficiente di scambio termico liminare
o adduttanza superficiale.
Per comprendere meglio il significato di h è necessario analizzare più nel dettaglio
cioè che avviene all’interfaccia fra la superficie del corpo e l’ambiente. Il calore che
proviene dall’interno del corpo per conduzione ( Qk ) è uguale alla somma di quello
scambiato dalla superficie per convezione con il fluido ( Qc ) e per irraggiamento con
le superfici r ), come indicato in figura 1.2. circostanti ( Q
Qk = Qc + Qr 1.10
È necessario dunque fornire alcune indicazioni preliminari sulle due forme con cui
avviene lo scambio termico per irraggiamento e convezione. Una trattazione più
dettagliata verrà fornita neiCAPITOLI 2 e 3.
I rraggiamento
L’ irraggiamento è il trasferimento di calore per propagazione di onde elettromagne-
tiche. Questa avviene alla velocità della luce, sotto forma diquantidi energia che si
propagano con leggi desumibili dalla teoria ondulatoria. Non vi è bisogno di un mezzo
76
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Qc
Qr
Qk
Fig. 1.2 – Equilibrio dei flussi alla parete.
per consentire la propagazione delle onde elettromagnetiche: esse si propagano anche
nel vuoto.
Nello scambio termico fra due corpi neri la potenza termica scambiata vale
Q = A1F12σ(T 41 − T 4
2 ) 1.11
in cui σ è la costante di Stefan-Boltzmanne F12 rappresenta ilfattore di vistafra la
superficie 1 (di areaA1) e la superficie 2. La 1.11 mostra come la potenza termica
emessa da un corpo sia funzione della quarta potenza della sua temperatura assoluta.
Una espressione analoga si può ricavare per la potenza termica scambiata fra due
superfici grigie, cioè due superfici che emettono una frazioneε della potenza emessa
a parità di altre condizioni dal corpo nero:
Q = A1Fεσ(T 41 − T 4
2 ) 1.12
in cui Fε è un fattore che tiene conto sia del fattore di vista che delle emissività delle
due superfici. Se le temperatureT1 e T2 non differiscono troppo, si può linearizzare
l’espressione precedente ponendo
hr = 4FεσT 3m 1.13
77
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
in cui Tm è la mediaaritmetica fra le due temperature ehr è detto coefficiente di
scambio termico liminare per irraggiamento. Si ottiene immediatamente
Qr = hrA1(T1 − T2) 1.14
Convezione
È il meccanismo che regola la trasmissione del calore tra una superficie solida e un
fluido. Si tratta di un meccanismo complessoin cui sono presenti diversi fenomeni
(conduzione, irraggiamento, accumulo termico, trasporto di massa): le particelle
di fluido adiacenti alla parete scambiano calore con quest’ultima per conduzione,
poiché la velocità delle particelle stesse è nulla sulla superficie. Quando poi le
particelle vengono trasportate verso regioni a temperatura diversa, esse si mescolano
e trasferiscono la loro energia e quantità di moto alle particelle di queste regioni.
Si usa distinguere tra convezionenaturalee forzata. Nel primocaso la causa del moto
delle particelle fluide sono i gradienti di densità indotti nel fluido dalle differenze di
temperatura, mentre nel secondo caso tale moto è provocato da una azione esterna. In
entrambi i casi si è soliti calcolare il flusso scambiato fra parete e fluido per mezzo
della seguente relazione (Legge di Newton):
Q = hcA (T1 − Tf ) 1.15
in cui hc è detto coefficiente di scambio termico liminare per convezione, e Tf la
temperatura del fluido adiacente alla parete. Nel caso di convezione forzatahc dipende
essenzialmente dalla velocità relativa fra fluido e parete, mentre in convezione naturale
esso dipende da molti fattori, fra cui, come si vedrà, la differenza di temperatura stessa.
Scambio termico liminare
Una volta ricavate le equazioni 1.14 e 1.15, nel caso in cui la temperatura del fluido
coincida praticamente con quella delle superficivistedalla parete considerata (T2 ≈Tf ) e divenga perciò genericamente latemperatura dell’ambienteTa, si può tornare
all’equazione 1.9, chediviene:
78
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Qk
A= − λ
dT
dx
∣∣∣∣x=x1
= (hc + hr) · (T1 − Ta) = h · (T1 − Ta) 1.16
dove h, detto coefficiente di scambio termico liminareo adduttanza superficiale,è
dato da:
h = hc + hr 1.17
L’inverso delcoefficienteh viene dettoresistenza termica liminare.
1.4. PARETE PIANA
In questo paragrafo si analizza l’andamento della temperatura attraverso una parete
piana di spessore piccolo rispetto alle altre due dimensioni e si calcola il flusso
termico che la attraversa nella direzione dellospessore. Le ipotesi ricorrenti in questa
trattazione sono:
– regime stazionario
– geometria rettangolare
– flusso monodimensionale
– generazione interna nulla (qi = 0 )
Parete piana monostrato con condizioni al contorno del 1 tipo
Si abbia una parete piana (fig. 1.3) composta da un solo strato omogeneo di spessore
s econducibilità termicaλ; sono inoltre imposte sulle due facce della paretevalori
prefissati di temperatura. Occorre integrare l’equazione differenziale 1.4 con le
seguenti condizioni al contorno:
T (0) = T1 T (s) = T2
Si ottiene l’andamento lineare:
T = T1 − T1 − T2
s· x 1.18
79
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
T2
T1
0 s x
T
Fig. 1.3 – Parete piana monostrato.
Derivando la 1.18 e applicando la legge di Fourier si ottiene immediatamente il flusso
trasmesso:
Q = λAT1 − T2
s1.19
Si osservi che la 1.19 poteva essere ottenuta direttamente dalla 1.1, che è in questo caso
unaequazione differenziale a variabili separabili, facilmente integrabile poichéQ non
è funzione di x1. La 1.19 viene spesso scritta come:
Q
A=
T1 − T2
R1.19 a
o anche:
Q
A= C · (T1 − T2) 1.19 b
o infine:
Q =T1 − T2
R′ 1.19 c
1Infatti, se il flusso entrante in uno strato fosse diverso da quello uscente, per il Primo Principio
della Termodinamica l’energia interna e dunque la temperatura dello strato varierebbe nel
tempo.
80
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dove:
R = resistenza termica dello strato =s/λ
C = conduttanza dello strato =λ/s = 1/R
R′
= resistenza termica specifica dello strato =s/(λA) = R/A
La 1.19.c mostra la perfetta analogia fra le leggi della conduzione (legge di Fourier) e
quelle dell’elettromagnetismo (legge di Ohm):
I =∆V
R⇔ Q =
∆T
R
con le seguenti corrispondenze:
corrente elettrica (I) ⇔ flusso termicoQ
differenza di potenziale (∆V ) ⇔ differenza di temperatura (∆T )
resistenza elettrica (R) ⇔ resistenza termica specifica (R’)
Parete piana multistrato con condizioni al contorno del 1 tipo
Sono note, come prima, le temperature sulle due facce estreme T1 e Tn+1. Si scrive
la 1.19 per ognuno degli n strati che costituiscono la parete (fig. 1.4).
Q
A= λ1 · T1 − T2
s1
Q
A= λ2 · T2 − T3
s2
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Q
A= λn · Tn − Tn+1
sn
Il flusso che attraversa i vari strati è sempre lostesso, per l’ipotesi di stazionarietà. Per
cui, mettendo in evidenza le n differenze di temperatura e sommando, si ottiene:
Q
A=
T1 − Tn+1n∑
j=1
sj
λj
=T1 − Tn+1
n∑j=1
Rj
= C · (T1 − Tn+1) =T1 − Tn+1
R1.20
81
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
1 2 3 n n+1
s1 s2 sn
1 2 n
T1
T2
T3
Tn
Tn+1
T
Fig. 1.4 – Parete multistrato.
essendo C la conduttanza, ed R la resistenza termica della parete multistrato:
R =1C
=n∑
j=1
sj
λj=
n∑j=1
Rj
Pareti piane che separano ambienti a temperatura prefissata
In questo caso, assai frequente nella realtà, si considerano pareti che separano ambienti
mantenuti a temperature diverse, ad esempio l’ambiente interno di un edificio e
l’ambiente esterno.Sono note le temperature dei due ambienti, ma non le temperature
superficiali né i flussi. Le condizioni al contorno che si impongono sono dunque del
3 tipo, ovvero:
Q
A
∣∣∣∣∣x=0
= −λ · dT
dx
∣∣∣∣x=0
= hi · (Ti − T (0))
Q
A
∣∣∣∣∣x=s
= −λ · dT
dx
∣∣∣∣x=s
= he · (T (s) − Te)
82
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dovehi e he sono i coefficienti di scambio termico liminare interno ed esterno eTi e
Te le temperature (note)dei due ambienti interno ed esterno separati dalla parete. Si
ha dunque, essendo il flusso costante in ogni strato e ricordando la 1.20:
Q
A= hi · (Ti − T1)
Q
A=
T1 − Tn+1n∑
j=1
sj
λj
Q
A= he · (Tn+1 − Te)
Sommando, come prima, le differenze di temperatura e semplificando si ottiene:
Q
A
1
hi+
n∑j=1
sj
λj+
1he
= Ti − Te
da cui:
Q
A= U · (Ti − Te) 1.21
dove U , detta trasmittanza termicao coefficiente di scambio termico globale, è
data da:
U =
1
hi+
n∑j=1
sj
λj+
1he
−1
1.22
1.5. PARETE CILINDRICA
Parete monostrato con condizioni al contorno del 1 tipo
Si abbia una parete cilindrica composta da unsolo strato omogeneo di conducibilità
termica λ (fig. 1.5). Valgono le seguenti ipotesi:
– regime stazionario
– assenza di generazione interna
– flusso monodimensionale (radiale).
83
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
r2r1
r
T2
T1
Fig. 1.5 – Parete cilindrica monostrato (sezione trasversale).
Anche in questo caso è possibile ricavare direttamente il flusso ponendo nella 1.1,
x = r eA = 2πrL
Q
2πrL= −λ · dT
dr1.23
e integrando con le seguenti condizioni al contorno:
T (r1) = T1
T (r2) = T2
Si ottiene la potenza per unità di lunghezza:
Q
L= 2πλ
T1 − T2
ln (r2/r1)1.24
Alla stessa espressione si poteva giungere ricavando dalla 1.6 il profilo di temperatura
e successivamente applicando la legge di Fourier.
In mododel tutto analogo a quanto visto per la parete piana multistrato, per una parete
cilindrica formata dan strati concentrici si ottiene:
Q
L= 2π · T1 − Tn+1
n∑j=1
1λj
ln rj+1rj
1.25
84
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
Pareti cilindriche che separano fluidi a temperatura prefissata
Procedendo in modo analogo a quanto fatto per la parete piana multistrato si ottiene il
flussodisperso per unità di lunghezza:
Q
L= 2π · Ti − Te
1rihi
+n∑
j=1
1λj
ln rj+1rj
+ 1rehe
= UL (Ti − Te) 1.26
Volendo esprimere il flusso disperso per unità di superficie, occorre distinguere il caso
in cui ci si riferisce alla superficie interna:
Q
Ai=
Ti − Te
1hi
+ ri
n∑j=1
1λj
ln rj+1rj
+ ri
rehe
= Ui · (Ti − Te) 1.27
da quello in cui ci si riferisce alla superficie esterna:
Q
Ae=
Ti − Te
re
rihi+ re
n∑j=1
1λj
ln rj+1rj
+ 1he
= Ue · (Ti − Te) 1.28
Dalle 1.26 - 1.28 si ricavano le espressioni delle trasmittanze UL, Ui, Ue.
1.6. TRANSITORI TERMICI IN SISTEMI A CAPACITÀ TERMICA
CONCENTRATA
Vengono detti sistemia capacità termica concentrataquei corpi la cui temperatura
può variare nel tempo, mantenendosi peròuguale in ogni punto(uniforme). Si
osservi peraltro che se il corpo scambia calore attraverso il suo contorno deve esistere
un gradiente termico al suo interno, come si vede da un semplice bilancio su una
superficie infinitesima del contornodA :
h dA (T − Ta) = −λdA∂T
∂n
dove
h = coefficiente di scambio termico liminare
85
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
T = temperatura del corpo
Ta= temperatura dell’ambiente
λ = conducibilità termica del corpo
n = normale alla superficie
Tuttavia il gradiente∂T/∂n diviene molto piccolo seλ è grande rispetto adh. In
pratica esso può essere trascurato se vale la condizione:
Bi =h (V /A)
λ=
h · Lλ
=L/λ
1/h=
Rint
Rest< 0.1
dove
Bi è il numero di BioteV è il volume del corpo.
Sesi introduce un corpo aventeBi < 0.1 e temperatura iniziale T0 in un fluido a
temperaturaTa < T0 e capacità termica infinita (fig. 1.6) nel tempodt si ha dunque,
supponendo che il sistema sia nel complesso adiabatico:
dQ = −ρcV · dT = −C · dT 1.29
con
dQ = h A (T − Ta) · dt 1.30
dove:
ρ = densità
c = calore specifico
C = capacità termica
h = coefficiente di scambio termico liminare
A = area della superficie di scambio
Le 1.29 - 1.30, risolte imponendo la condizione iniziale:
T (0) = T0
86
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
QT
T a
Fig. 1.6 – Corpo a capacità termica concentrata inserito in un sistema a capacità
termica infinita.
forniscono:
T − Ta = (T0 − Ta) · e−·h·A·t/C 1.31
L’ andamento della differenza di temperatura è dunque esponenziale. La temperatura
raggiunta dal corpo al tempot = ∞ varrà ovviamenteTa. Il termine
τ =C
hA=
ρcV
hA
è detto costante di tempo del sistemae rappresenta il tempo necessario perché la
differenza di temperatura tra corpo e fluido si riduca del fattore1/e (36.8 %). È
possibile dimostrare che esso coincide inoltre con il tempo in cui la temperatura del
corpo raggiungerebbe quella dell’ambienteseessa decadesse con legge lineare e con
pendenza pari a quella assunta all’istante iniziale. Inoltre, tenendo presente che:
hA
Ct =
hL2
ρcL3tλ
λ=
hL
λ· αt
L2= Bi · Fo
dove L è la lunghezza caratteristica del corpo (ad esempio,L = Volume/Area
Laterale), α è la diffusività termica eFo = αt/L2 è il numero di Fourier(o tempo
adimensionato), si può scrivere:
ϑ = e−Bi·Fo 1.32
87
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0 5 10 15 20
Numero di Fourier, Fo
Tem
pera
tura
adi
men
sion
ata
Bi = 0.02
Bi = 0.04
Bi = 0.06
Bi = 0.08
Bi = 0.10
Fig. 1.7 – Transitorio termico in un sistema a capacità concentrata.
in cui
ϑ =T − T∞T0 − T∞
è la temperatura adimensionata del corpo. L’equazione 1.32 è illustrata in figura 1.7.
1.7. ALCUNI PROBLEMI PARTICOLARI
Pareti piane composite
Si consideri la parete di figura 1.8, composta di sezini a e b (con Ua < Ub) separati
da un piano parallelo alla direzione del flusso. Si supponga che gli ambienti che essa
separa siano mantenuti rispettivamente alla temperaturaTi eTe, conTi > Te. Il flusso
termico attraverso le areeAa eAb vale rispettivamente:
Qa = UaAa (Ti − Te) =∆T
Ra′
Qb = UbAb(T i − T e) =∆T
Rb′
88
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
a
b
Aa
Ab
Fig. 1.8 – Parete piana composita.
Il flusso complessivamente uscente vale:
Q = Qa + Qb = ∆T
(1
R′a
+1R′
b
)
Pertanto si ha:
Q =∆T
R′eq
= Ueq · ∆T
essendo:
R′eq =
(1
R′a
+1R′
b
)−1
1.33
la resistenza equivalente(R′eq < R′
b < R′a ) e:
Ueq =AaUa + AbUb
Aa + Ab1.34
la trasmittanza equivalente(Ua < Ueq < Ub) della parete. In figura 1.9 viene presentato
il caso di sezioni costituite ciascuna da un solo strato omogeneo (conλa < λb). Si
osserva che l’andamento di temperatura lungolaparete a (linea spessa) diviene diverso
da quello lungo la pareteb (linea sottile) e nascono differenze di temperatura anche in
direzione y ortogonale allo spessore della parete.
89
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
a
bT2b
T1b
T1a
T2a
Ti
Te
Ta
Tb
Fig. 1.9 – Andamento delle temperature in parete composita.
Alette di raffreddamento
Le alette di raffreddamento sono dispositivi che consentono di incrementare il flusso
termico disperso verso l’ambiente circostante attraverso l’aumento della superficie
disperdente. Le alette possono essere piane, anulari o a spina. In questo paragrafo
si analizzerà il comportamento di alette piane a sezione rettangolare (fig. 1.10) con le
seguenti ipotesi:
– regime stazionario
– caratteristiche di scambio termico(conducibilità, coefficiente di scambio
termico liminare) indipendenti dalla temperatura
– assenza di gradienti termici in direzione trasversale all’aletta
L’ ultima ipotesi implica che lo spessore dell’aletta sia molto piccolo rispetto alla sua
lunghezza.
Sesi considerano inoltre costanti per l’intera lunghezzaL il perimetrop e l’areaA
della sezione trasversale, e trascurabile il flusso disperso dall’estremità dell’aletta, si
90
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
A
L
T
T0
a
Fig. 1.10 – Aletta piana rettangolare.
ottiene (vedi DIMOSTRAZIONE a pag. 92 anche per il significato degli altri simboli) il
flusso disperso dall’aletta:
Q = λAm (T0 − T∞) · tanh (mL) 1.35
doveT0 e T∞ rappresentano rispettivamente la temperatura alla radice dell’aletta e
dell’ambiente circostante.
Si può poi introdurre il concetto diefficienza dell’aletta, intesa come il rapporto fra il
flusso effettivamente disperso e quello massimo disperdibile. Quest’ultimo è il flusso
che verrebbe dispersose tutta l’aletta avesse una temperatura uniforme e pari aT0:
Qmax = p · L · h · (T0 − T∞)
per cui:
ε =Q
Qmax
=tanh(mL)
mL< 1 1.36
In figura 1.11 è riportato l’andamento dell’efficienza ε al variare del prodotto (mL).
Si può inoltre valutare un’altra forma di efficienzaε′, definita come il rapporto fra il
flusso effettivamente disperso e quello che sarebbe disperso se non vi fosse l’aletta:
Q0 = h · A · θ0
Tale valore dovrebbe evidentemente essere superiore ad 1. Infatti:
91
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
0 0.5 1 1.5 2 2.5 3
mL
effic
ienz
a,
Fig. 1.11 – Efficienza di un’aletta.
ε =λ · m · tanh(mL)
h=
p · LA
ε =2 (a + δ) L
a · δ ε ≈ 2 a L
aδε =
2L
δε
In genere,ε′
èdunque tanto maggiore diε quanto più l’aletta è lunga e sottile.
DIMOSTRAZIONE
Con le ipotesi sopra indicate il bilancio termico di un elementino di lunghezza dx
(fig. 1.12 ) dà:
Qx = Qx+dx + dQc D.1
Essendo:
Qx = −λA · dT
dxD.2
e
dQc = hp · (T − T∞) dx D.3
in cui:
λ = conducibilità termica del materiale costituente l’aletta
A = area della sezione trasversale dell’aletta
92
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
dx
dQc
Qx Qx+dx
Fig. 1.12 – Aletta piana rettangolare.
h = coefficiente di scambio termico liminare
p = perimetro della sezione trasversale
T = temperatura dell’aletta (funzione di x)
T∞= temperatura dell’ambiente
si ottiene:
λAd2T
dx2= hp (T − T∞) D.4
Ponendo:
m2 =hp
λAD.5
e
θ = T − T∞ D.6
si ottiene:
d2θ
dx2− m2θ = 0 D.7
La D. 7 ammette la soluzione generale:
θ = M · e−mx + N · emx D.8
I valori delle costanti M ed N possono essere ricavati imponendo le oppportune condi-
zioni al contorno. In tal modo si ricava il profilo di temperatura lungo l’aletta. Da questo,
integrando la D. 3 su tutta l’aletta o r icavando il flusso disperso alla radice dell’aletta per
93
1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE
mezzo della D. 2 si ottiene il flusso disperso. Ad esempio, supponendo trascurabile il
flusso disperso dall’estremità dell’aletta, il flusso disperso risulta:
Q = λAmθ0 · tanh (mL) D.9
94
2. IRRAGGIAMENTO
L’irraggiamento termico è il fenomeno del trasporto di energia per pro-pagazione di onde elettromagnetiche; nei problemi termici la radiazioneelettromagnetica è caratterizzata da lunghezze d’onda comprese, in genere,tra 0.1 e 100 µm (radiazione termica).
Quando la radiazione incide su un mezzo materiale essa viene riflessa,assorbita o trasmessa.
Se si indicano con α, ρ, τ le frazioni di energia assorbita, riflessa e trasmessa(fig. 2.1), note rispettivamente come fattore o coefficiente di assorbimento, diriflessione e di trasmissione, si deve avere:
I coefficienti α, ρ, τ sono funzione sia della lunghezza d’onda λ dellaradiazione (in tal caso sono detti spettrali o monocromatici), sia del suoangolo d’incidenza θ (direzionali). Quando essi sono riferiti alla radiazioneproveniente da tutto lo spettro essi sono detti integrali, quando sono riferiti
ϑ
1
ρ
τ
α
Fig. 2.1 – Interazione della radiazione con un mezzo materiale.
α + ρ + τ = 1 2.1
95
2. IRRAGGIAMENTO
alla radiazione proveniente da tutto l’angolo solido visto dalla parete sonodetti emisferici. In ogni caso vale la 2.1.
Per mezzi opachi τ = 0. Se, inoltre, ρ = 0 a tutte le lunghezze d’onda, siha α = 1 e il mezzo viene detto corpo nero, o radiatore integrale, o ancoraradiatore di Planck.
2.1. LEGGI DEL CORPO NERO
La potenza emessa per unità di superficie nell’intervallo di lunghezza d’onda [λ, λ +
dλ] dal corpo nero ad una temperatura T è detta potere emissivo monocromatico o
densità di flusso monocromatica, definita come:
Enλ =
∂2Qn
∂A · ∂λ, W/(m2·µm)
Il potere emissivo monocromatico è dato dall’espressione, nota come legge di Planck,
ricavabile in base a considerazioni di termodinamica statistica applicata al gas di
fotoni:
Enλ =
C1 · λ−5
eC2/λT − 12.2
dove le costanti valgono C1 = 3.74 · 108 Wµm4/m2 e C2 = 1, 44 · 104 µm·K.
Esso risulta funzione di λ e T , come indicato in figura 2.2.
Da tale figura si osserva che il valore massimo del potere emissivo monocromatico
aumenta e si sposta verso sinistra al crescere di T . Differenziando la 2.2 rispetto
alla lunghezza d’onda si vede che il luogo dei punti di massimo è caratterizzato
dall’equazione (nota come legge di Wien o dello spostamento):
λmax · T = C3 2.3
con C3 = 2898 µm · K.
E’ di particolare interesse pratico determinare il potere emissivo integrale En:
En =
∞∫0
Enλ · dλ, W/m2
96
2. IRRAGGIAMENTO
0.0E+00
2.0E+07
4.0E+07
6.0E+07
8.0E+07
1.0E+08
1.2E+08
0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50
Lunghezza d'onda,
Pot
ere
emis
sivo
mon
ocro
mat
ico,
W/m
2T = 6000 KT = 5000 KT = 4000 KT = 3000 K
mµ
m µ
Fig. 2.2 – Potere emissivo monocromatico del corpo nero.
Il suo valore fu ricavato per via sperimentale da Stefan, e da Boltzmann, che vi
pervenne successivamente sulla base di considerazioni termodinamiche; per questo
motivo l’equazione che la esprime è nota come Legge di Stefan-Boltzmann1:
En = σ · T 4 2.4
con σ (costante di Stefan-Boltzmann), pari a 5.67 · 10−8 W/(m2K4).
In alcuni problemi può essere utile disporre di un metodo rapido per conoscere
la frazione di radiazione emessa dal corpo nero che si trova contenuta in una
determinata porzione dello spettro. Ciò è possibile introducendo il concetto di fattore
di radiazione fλ:
fλ =
λ∫0
Enλ · dλ
σ · T 42.5
Si dimostra che il valore di fλ è in realtà funzione soltanto del prodotto λT , come
illustrato in fig. 2.3. Da tale diagramma si vede che oltre il 99 % della radiazione è
1Da un punto di vista cronologico la legge di Stefan-Boltzmann precede la legge di Planck.
97
2. IRRAGGIAMENTO
0.00
0.10
0.20
0.30
0.40
0.50
0.60
0.70
0.80
0.90
1.00
1000 10000 100000
Prodotto T ( m K)
f
µ
λ
λ
Fig. 2.3 – Fattore di radiazione.
emessa nell’intervallo 1000 µm·K < λT < 30000 µm·K e oltre il 90 % nell’intervallo
2000 µm·K < λT < 20000 µm·K. A titolo di esempio, per un corpo nero a 3000 K il
90 % della radiazione è emessa fra 0.67 µm e 6,7 µm, mentre per un corpo nero a 300
K il 90 % della radiazione è emessa fra 6,7 µm e 67 µm.
Se si vuole calcolare la frazione di radiazione visibile (0.4µm < λ < 0.8µm) emessa
dal Sole, che può essere assimilato ad un corpo nero a circa 6000 K, è sufficiente
svolgere il seguente calcolo:
fvis = f0.8·6000 − f0.4·6000 ≈ 0.61 − 0.14 = 0.47
Il 14 % sarà pertanto radiazione ultravioletta (λ < 0.4µm) e il 39 % infrarossa
(λ > 0.8µm).
2.2. CARATTERISTICHE RADIATIVE DELLE SUPERFICI REALI
In un corpo opaco reale il fattore di riflessione è sempre diverso da zero, quindi il
fattore di assorbimento è minore di uno. Anche il potere emissivo monocromatico, in
un corpo reale, è una frazione, variabile con la lunghezza d’onda, del potere emissivo
98
2. IRRAGGIAMENTO
monocromatico del corpo nero Enλ , alla stessa temperatura T. Questa frazione è detta
fattore di emissione monocromatico emisferico:
ελ =Eλ(T )En
λ (T )
dove Eλ(T ) è il potere emissivo monocromatico del corpo.
La legge di Kirchhoff stabilisce che, quando un corpo è in equilibrio termico, si deve
avere:
ελ = αλ 2.6
Il fattore di emissione emisferico integrale è dato da:
ε =E(T )En(T )
=E(T )σ · T 4
in cui:
E(T ) =
∞∫0
ελ · Enλ · dλ
Si definiscono grigie le superfici in cui il fattore di emissione non dipende dalla
lunghezza d’onda. In questo caso si ha:
ε = α
2.3. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA CORPI NERI
Irraggiamento fra due superfici nere
Per ricavare il flusso termico scambiato per irraggiamento fra due superfici nere è
necessario definire il fattore di vista (o di forma, o ancora di configurazione). Il fattore
di vista dalla superficie 1 alla superficie 2 (F12) rappresenta la frazione di radiazione
uscente dalla superficie 1 che raggiunge la superficie 2. Ovvero:
F12 =Q12
Q1
2.7
99
2. IRRAGGIAMENTO
E dunque:
Q12 = E1nA1F12 è il flusso che da A1 raggiunge A2
Q21 = E2nA2F21 è il flusso che da A2 raggiunge A1
Il flusso netto scambiato vale:
Q = En1 A1F12 − En
2 A2F21 2.8
Un caso particolare della 2.8 è quello in cui T1 = T2. In questo caso En1 = En
2 , ma
deve anche essere Q = 0 . Perciò:
A1F12 = A2F21 2.9
La 2.9 è una relazione puramente geometrica e pertanto deve valere sempre, indipen-
dentemente dai valori assunti dalle temperature. Essa è nota come teorema o relazione
di reciprocità. Lo scambio netto vale pertanto:
Q = A1F12(En1 − En
2 ) = σA1F12
(T 4
1 − T 42
)2.10
in cui il fattore di vista è dato da:
F12 =1
A1·∫A1
∫A2
cosβ1 · cosβ2 · dA1dA2
π · r22.11
ed è riportato nella figura 2.4, a titolo d’esempio, per due superfici rettangolari
affacciate.
Irraggiamento fra n superfici nere
Nel caso in cui si debba valutare il flusso termico scambiato per irraggiamento fra n
superfici nere il flusso netto uscente dalla superficie i-esima varrà:
Qi = Eni Ai −
n∑j=1
AjFjiEnj
che, utilizzando il teorema di reciprocità (AjFji = AiFij ) si riscrive come:
Qi = Ai · (Eni −
n∑j=1
FijEnj ) 2.12
100
2. IRRAGGIAMENTO
Rapporto Y
/L
0.01
0.1
1
0.1 10Rapporto X/L
F 12
5
0.1
1
2
0.5
101000
L
Y
X
1
Fig. 2.4 – Fattore di vista fra due rettangoli uguali (XxY), allineati e paralleli a
distanza L.
Inoltre, se le n superfici nere costituiscono una cavità chiusa, vale la seguente
proprietà:
n∑j=1
Fij = 1
per cui la 2.12 può essere riscritta così:
Qi = Ai ·n∑
j=1
Fij · (Eni − En
j ) 2.13
Essendo note le temperature di tutte le n superfici, le n equazioni come la 2.13
permettono di calcolare immediatamente il flusso netto uscente dalle n superfici.
2.4. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA SUPERFICI GRIGIE
Lo scambio termico fra superfici grigie presenta qualche ulteriore complessità rispetto
a quello fra superfici nere. Infatti, poichè non tutto il flusso incidente su una superficie
viene assorbito, una parte di quello riflesso tornerà sulla superficie da cui proviene il
flusso incidente, verrà solo in parte assorbito, e così via.
101
2. IRRAGGIAMENTO
Si dimostra che il flusso termico scambiato fra due superfici grigie vale:
Q =σ · (T 4
1 − T 42
)1−ε1ε1·A1
+ 1A1·F12
+ 1−ε2ε2·A2
= FεσA1 ·(T 4
1 − T 42
)2.14
avendo posto:
Fε =(
1 − ε1
ε1+
1F12
+A1
A2
1 − ε2
ε2
)−1
2.15
È facile dimostrare che per i corpi neri Fε = F12 e la 2.14 si riduce alla 2.10.
Valori di Fε per alcune geometrie particolari
Per due superfici piane, parallele e infinite si avrà A1 = A2 e F12 = F21 = 1, e
la 2.15 diverrà:
Fε =(
1ε1
+1ε2
− 1)−1
2.16
Per una superficie di area A1 contenuta in una cavità di area A2 >> A1, essendo
F12 = 1, la 2.15 diviene semplicemente:
Fε = ε1 2.17
Linearizzazione del flusso di irraggiamento
Come già visto nel CAPITOLO 1.3, nella soluzione analitica di problemi di irraggia-
mento è spesso conveniente esprimere i flussi termici scambiati come funzione lineare
della differenza di temperatura:
Q = hr · A1 · (T1 − T2)
Questa relazione può essere agevolmente desunta dalla 2.14, attraverso le proprietà dei
prodotti notevoli:
Q = FεσA1
(T 4
1 − T 42
)= FεσA1
(T 2
1 + T 22
)(T1 − T2) (T1 + T2)
e ponendo:
hr = Fεσ(T 2
1 + T 22
)(T1 + T2) ≈ 4FεσT 3
m 2.18
con Tm = (T1 + T2)/2.
102
2. IRRAGGIAMENTO
È possibile dimostrare che l’approssimazione insita nella 2.18
T 21 + T 2
2 ≈ 2T 2m
è tanto più accettabile quanto più prossime fra loro sono le temperature T1 e T2.
103
3. CONVEZIONE
La convezione è lo scambio di calore fra una superficie ed un fluido, atemperatura diversa, che la lambisce. I fenomeni di scambio termico sonoconcentrati in un sottile strato adiacente alla parete (strato limite termico) econsistono nell’interazione fra conduzione (e in minor misura irraggiamento)e trasporto di energia associata al fluido in moto (in direzione anche diversa daquella principale del moto).
A seconda che il moto relativo fra parete e fluido sia determinato da forzeesterne o sia provocato da variazioni di densità del fluido (dovute a loro voltaa differenze di temperatura) in presenza di un campo di forze di massa, laconvezione si dice rispettivamenteforzatao naturale.
Nel caso della convezione forzata, se le proprietà del fluido possono essereconsiderate costanti (il che implica che esse siano indipendenti dalla tempe-ratura e che, nelcaso di un gas, siano trascurabili le variazioni di pressione),il problema fluidodinamico e quello termico non si influenzano a vicenda epossono essere dunque affrontati separatamente.
Al contrario, nella convezione naturale questa separazione della trattazionenon è mai possibile perché il moto del fluido è proprio determinato daigradienti di temperatura all’interno della massa fluida.
In entrambi i casi, di convezione forzata o naturale, è consuetudine esprimere ilflusso termico convettivo attraverso l’espressione nota comelegge diNewton:
Q = hcA (Ts − Tf ) 3.1
dove:
A = area di scambio, m2
hc = coefficiente di scambio termico liminare convettivo o adduttanzasuperficiale, W/(m2K)
105
3. CONVEZIONE
Ts = temperatura della superficie lambita dal fluido,C
Tf = temperatura del fluido C
La 3.1 è solo apparentemente una relazione lineare, perché il coefficiente discambio termico liminarehc dipende, per la natura stessa del fenomeno fisico,da un grande numero di variabili, tra cui compare, insieme alle proprietàtermofisiche del fluido (calore specifico, densità, viscosità, conducibilitàtermica, etc.), e ad altre grandezze fisiche e geometriche che caratterizzano ilproblema (velocità relativa, forma della superficie, etc.), anche la temperatura.
L’ obbiettivo degli studi sulla convezione è appunto quello di determinarehc.È possibile affrontare il problema dal punto di vista sperimentale o teorico.
Nel primo caso è opportuno far precedere la fase sperimentale da una analisidimensionale delle grandezze da cui dipende il problema (teorema di Buc-kinghamo teoremaΠ), che consenta di ridurre il numero di variabili. Questoprocedimento, che richiede l’identificazione a priori di tutte le variabili,consente di giungere a relazioni (nel caso più semplice monomie) fra unristretto numero di parametri adimensionali. Gli esponenti e i coefficienti diqueste relazioni vengono poi determinati per via sperimentale.
Nel caso in cui il problema venga affrontato dal punto di vista puramenteteorico, il fluido viene in genere considerato come un mezzo continuo al qualeè possibile applicare le equazioni di conservazione della massa (continuità),della quantità di moto (equazioni di Navier-Stokes) e dell’energia. La soluzio-ne esatta di queste equazioni presenta difficoltà matematiche insormontabili.Attraverso l’introduzione del concetto distrato limite (PARAGRAFO 3.2) èpossibile semplificare notevolmente sia le equazioni di Navier-Stokes chedell’energia, giungendo a soluzioni esatte per configurazioni particolarmentesemplici e per strato limite laminare.
Lo strato limite può anche essere esaminato su scala macroscopica applicandole stesse equazioni di conservazione a una porzione finita di fluido (metodiintegrali) e ottenendo in tal modo soluzioni approssimate, ma spesso ancoraaccettabili nei problemi di ingegneria. In questo caso il problema può essererisolto anche per strato limite turbolento.
In quest’ultimo caso un procedimento matematico spesso adottato per risolve-re questo tipo di problemi consiste nello stabilire delle analogie fra trasportodi calore e di quantità di moto (analogia di Reynolds).
Nel seguito sono riportati alcuni richiami, necessariamente sintetici, di motodei fluidi.
106
3. CONVEZIONE
3.1. REGIME DI MOTO E VISCOSITÀ
Si deve a Reynolds (1883) la prima osservazione dell’esistenza di due tipi fon-
damentali di moto dei fluidi, ilmoto laminaree quello turbolento. Il ben noto
esperimento da lui realizzato gli consentìdi visualizzare (attraverso l’iniezione di
un liquido colorante) il flusso d’acqua in un condotto, al variare della velocità. Per
piccole velocità la traccia di colorante rimane continua e ben definita; l’assenza di
miscelamento di particelle di fluido evidenzia un campo di moto puramente assiale, e
il moto viene dettolaminare.
All’aumentare della velocità la traccia del colorante tende a sfilacciarsi fino a
diffondersi su tutta la sezione del condotto; il rimescolamento delle particelle di
fluido evidenzia la presenza di fluttuazioni di velocità sia in direzione parallela che
perpendicolare alla direzione del moto, e il moto viene dettoturbolento.
Per flusso turbolento, anche se il regime di moto è stazionario le proprietà del fluido in
un punto (velocità, pressione, temperatura, etc.) variano dunque nel tempo. Si tratta,
tuttavia, di variazioni a valor medio temporale nullo. Perciò è sufficiente sostituire ai
valori istantanei delle proprietà i loro valori medi, esprimendo le componenti fluttuanti
attraverso il loro valore quadratico medio.
Quando gli strati di fluido scorrono uno sopra l’altro sono sottoposti a sforzi
tangenziali che sono bilanciati dagli effettidissipativi interni al fluido, provocati dalla
suaviscosità. Come conseguenza di ciò si osserva sperimentalmente la presenza di
un gradiente di velocità in direzione trasversale al moto. In unfluido newtonianogli
sforzi tangenziali sono proporzionali in modo lineare al gradiente di velocità, e la
costante di proporzionalità è dettaviscosità dinamicaµ:
τ = µ · du
dy3.2
dove u è la velocità nella direzione principale del moto ey è la direzione
perpendicolare alla superficie su cui scorre il fluido.
107
3. CONVEZIONE
Ripetendo l’esperimento di Reynolds con fluidi aventi proprietà fisiche (viscosità,
densità) e velocità diverse e in condotti aventi diametro diverso si osserva che la
transizione dal moto laminare a quello turbolento si verifica sempre in corrispondenza
di uno stesso valore (2000-2500) di un insieme adimensionato di variabili, detto
numero di Reynolds, definito da:
Re =ρ · u · D
µ=
u · Dν
3.3
doveν è laviscosità cinematica. PerRe < 2000 il moto sarà dunque laminare e per
Re > 2500 sarà turbolento, qualunque siano i valori assunti singolarmente dalle varie
grandezze.
Un altro parametro particolarmente importante nello studio della convezione è il
numero di Prandtl, definito come:
Pr =µ · cp
λ=
ν
α3.4
in cui α = ρ · cp/λ è la diffusività termica, definita nelCAPITOLO 1.
Esiste una analogia fra trasporto di massa e di calore in un campo di pressioni
uniforme, evidenziata formalmente dal fatto che perPr ≈ 1 (ν = α) la distribuzione
adimensionale della temperatura è identica a quella delle velocità. In effetti per la
maggior parte dei gasPr è compreso fra 0.6 ed 1, mentre per i liquidi le variazioni
sono assai più sensibili.
3.2. CONCETTO DI STRATO LIMITE
Una notevole semplificazionedel problema la si ottiene introducendo il concetto di
strato limite. Tale concetto fu introdotto da Prandtl nel 1904 per studiare il moto di
un fluido adiacente ad una parete. Egli osservò che, ad una adeguata distanza dalla
parete, il moto del fluidonon è più influenzato dalla presenza della parete e definì
perciòstrato limite della velocitàquella regione di fluido, adiacente alla parete, in cui,
acausa degli sforzi viscosi, esistono degli apprezzabili gradienti di velocità. Dettax la
108
3. CONVEZIONE
x
y
T T TTs
t (x)
T T T Ts
Fig. 3.1 – Strato limite termico su una lastra piana.
direzione principale del moto edu la componente di velocità lungox, lo spessoreδ(x)
dello strato limite dinamico viene determinato imponendo cheu(x, δ) non differisca
dalla velocità nella regione indisturbatau∞ per più dell’1%.
Analogamente, esiste unostrato limite termicoin cui la temperatura varia da Ts
(temperatura della parete) aT∞ (temperatura del fluido nella regione indisturbata).
La regione di fluido non compresa nello strato limite termico si comporta dunque
come unpozzotermico, in grado di assorbire il calore proveniente dallo strato limite
senza modificare la propria temperatura.
Anche in questo caso, lo spessoreδt dello strato limite termico viene determinato
imponendo che la differenza di temperatura|T (x, δt) − Ts| sia pari al 99% della
differenza di temperatura fra fluido nella zona indisturbata e parete|T∞ − Ts|(fig. 3.1).
Sesi rapporta il flusso termico scambiato per convezione attraverso lo strato limite:
Qc = hcA (Ts − Tf )
con quello che sarebbe scambiato per pura conduzione attraverso lo strato limite:
Qk =λ
δt(Ts − Tf)
in cui λ è la conducibilità termica del fluido, si ottiene:
109
3. CONVEZIONE
Qc/Qk =hδt
λ
Se al posto dello spessore dello strato limitesi riporta nell’espressione precedente la
generica lunghezza caratteristicaL, si ottiene l’espressione delnumero di Nusselt:
Nu =hL
λ3.5
3.3. ANALISI DIMENSIONALE PER LA CONVEZIONE FORZATA
L’esperienza insegna che il coefficiente di scambio termico per convezione forzata
dipende dalle seguenti variabili indipendenti:
hc = f(u, µ, λ, L, ρ, cp) 3.6
dove:
u = velocità
µ = viscosità dinamica
λ = conducibilità termica
L = lunghezza caratteristica del problema (es.: diametro)
ρ = massa volumica
cp = calore specifico
Si hanno dunque 7 variabili (6 indipendenti) che dimensionalmente possono essere
espresse attraverso le 4 dimensioni fondamentaliM, L, T, Θ (massa, lunghezza,
tempo e temperatura). Il teorema di Buckingham afferma che:
una relazione fra n variabili dipendenti ed indipendenti funzione
di m dimensioni fondamentali può essere espressa attraverso una
funzione fra (n − m) gruppi adimensionati.
La 3.6 darà dunque luogo ad una funzione di 7 – 4 = 3 gruppi adimensionati:
110
3. CONVEZIONE
f1(π1, π2, π3) = 0
Si ipotizza una funzione monomia del tipo:
hc = A · ua · µb · λc · Ld · ρm · cnp 3.7
Essendo note le equazioni dimensionali delle 7 grandezze (tabella 3.1), si scrivono poi
le equazioni di congruenza dimensionaleper le 4 dimensioni fondamentali.
Massa M : 1 = b + c + m
Lunghezza L : 0 = a − b + c + d − 3m + 2n
Tempo t : −3 = a − b − 3c − 2n
Temperatura Θ : −1 = −c − n
3.8
Tab. 3.1 – Equazione dimensionale per le variabili del problema.
grandezza unità dimisura s.i.
unitàfond. s.i.
equazionedimensionale
M L T Θ
hc W/(m2K) kg/(s3K) 1 0 -3 -1u m/s m/s 0 1 -1 0µ N s/m2 kg/(s m) 1 -1 -1 0λ W/(m K) kgm/(s3K) 1 1 -3 -1D m m 0 1 0 0ρ kg/m3 kg/m3 1 -3 0 0cp J/(kg K) m2/(s2K) 0 2 -2 -1
Il sistema 3.7 è di 4 equazioni in 6 incognite. Esprimendoa, b, c, d in funzione di m, n
si ottiene:
a = m
b = n − m
c = 1 − n
d = m − 1
111
3. CONVEZIONE
Sostituendo nella 3.9 e raccogliendo i termini con uguale esponente si ottiene:
hc = Aum µn−m λ1−n Lm−1 ρm cnp = A
(ρ u D
µ
)m (µ cp
λ
)n λ
L
da cui:
Nu = ARem Pr n 3.9
È opportuno sottolineare come nella 3.9 si sia giunti a due sole variabili indipendenti
(Re e Pr), dalle sei che comparivano nella 3.6.
Per ricavare il valore del coefficienteA e degli esponentim ed n che compaiono
nella 3.9 è necessario ricorrere a tecniche sperimentali. In Tab. 3.2 si possono trovare
tali valori per alcune configurazioni ricorrenti.
1Le proprietà del fluido vanno calcolate alla temperatura media del fluido.
2In questo caso la 3.9 fornisce il valore medio di Nu nel tratto L.
Tab. 3.2 – Valori delle costanti dell’equazione 3.9 per alcune configura-
zioni geometriche semplici.
Caso A m n
Moto turbolento completamente sviluppato all’interno diun condotto per fluido che si raffredda (equazione diDittus e Boelter)1
0.023 0.8 0.3
Moto turbolento completamente sviluppato all’internodi un condotto per fluido che si riscalda (equazione diDittus e Boelter)1
0.023 0.8 0.4
Fluido che scorre su una lastra piana indefinita perstrato limite laminare
0.664 0.5 0.33
Fluido che scorre su una lastra piana indefinita perstrato limite turbolento(ReL > 105) 2
0.036 0.8 0.33
112
3. CONVEZIONE
Per alcuni fluidi di uso comune (aria, acqua) esistono delle correlazioni semplificate
in cui si fornisce direttamentehc in funzione delle principali variabili indipendenti (la
velocitàu e, a volte, una caratteristica dimensionale). Ad esempio, per aria che scorre
suuna parete si ha:
hc = 3 + 2 u
3.4. CONVEZIONE NATURALE
Applicando l’analisi dimensionale alla convezione naturale, è possibile ottenere:
Nu = f(Gr, Pr)
conGr, numero di Grashof, definito da:
Gr =g · β · ∆T · l3
ν23.10
dove
∆T = differenza di temperatura fra fluido(T∞) e parete(T0)
L = lunghezza caratteristica
β = coefficiente di dilatazione termica, pari a1V
(∂V
∂T
)p
, ovvero1/T per i
gas ideali,come l’aria
Le relazioni sono del tipo:
Nu = C · (Pr · Gr)m = C · Ram 3.11
con
Ra = Gr · Pr (numero di Rayleigh) 3.12
I numeri di Grashof e Prandtl vanno valutati alla cosiddettatemperatura di film Tf ,
definita come:
Tf = (Ts + T∞)/2
113
3. CONVEZIONE
Calcolo dello scambio termico per convezione naturale per alcuni casi particolari
I valori dei coefficientiC edm dipendono dalla geometria del problema e dal valore
del numero di Rayleigh, come indicato nella tabella 3.3.
Tab. 3.3 – Costanti C ed m da usare nella 3.11.
Geometria Ra C m
Piano o cilindro verticale 104 ÷ 109 0.59 1/4
109 ÷ 1013 0.10 1/3
Piano orizzontale (flusso ascendente) 2 · 104 ÷ 8 · 106 0.54 1/4
8 · 106 ÷ 1011 0.15 1/3
Piano orizzontale (flussodiscendente)
105 ÷ 1011 0.58 1/5
Quando il fluido è aria possono essere utilizzate le equazioni semplificate riportate in
tabella 3.4.
Tab. 3.4 – Espressioni semplificate di hc per l’ aria.
Configurazione Regime
laminare (104 < Ra < 109) turbolento (Ra > 109)
Piano o cilindro verticale hc = 1.42 · (∆T/L)1/4 hc = 0.95 · (∆T )1/3
Piano orizzontale (flussoascendente)
hc = 1.32 · (∆T/L)1/4 hc = 1.43 · (∆T )1/3
Piano orizzontale (flussodiscendente)
hc = 0.61 · `∆T/L2
´1/5
114
3. CONVEZIONE
u
0
Ts1
Ts2
Ta
T
Fig. 3.2 – Campo termico e di velocità in una intercapedine.
Intercapedini d’aria
Il caso di intercapedini d’aria limitate da pareti è molto frequente in edilizia. Nelle
intercapedini si ha un doppio scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-
parete fredda che produce il tipico campo di moto e di temperatura riportato in
figura 3.2.
Per le intercapedini si ricorre talvolta al concetto di conducibilità termica equivalente
λe. Essarappresenta il valore di conducibilità termica di un immaginario materiale
omogeneo inserito nell’intercapedine tale per cui, a parità di temperatura delle due
facce, il flusso per conduzione risulterebbe pari a quello effettivamente trasmesso
attraverso l’intercapedine perconvezione naturale.
Si ha allora:
Q/A = hc · (T1 − T2) =λe
δ(T1 − T2) 3.13
doveδ = spessore dell’intercapedine.
115
3. CONVEZIONE
I valori di λe si ricavano attraverso il rapporto adimensionato:
Nuδ =hcδ
λ=
λe
λ
in cuiNuδ, numero di Nusselt calcolato perL = δ, rappresenta il rapporto fra il flusso
convettivo e quello che si avrebbe nel caso di pura conduzione. Esso è dato da:
Nuδ = C · (Grδ · Pr)n · (L/δ)m3.14
con:
Grδ = numero di Grashof calcolato perL = δ
L = altezza o lunghezza dell’intercapedine
C, m, n = coefficienti riportati nella tabella 3.5
Per numeri di Grashof inferiori a 2000 si assumeλe ≡ λ, ovveroNuδ = 1. Ciò
significa che non si innescano moti convettivi e il trasporto di calore avviene per pura
conduzione.
Tab. 3.5 – Valori delle costanti dell’equazione 3.14 per alcune geometrie
semplici
Geometria Grδ · Pr L/δ C m n
Verticale 6 · 103 ÷ 2 · 105 11 ÷ 42 0.197 -1/9 1/42 · 105 ÷ 1.1 · 107 11 ÷ 42 0.073 -1/9 1/3
Orizzontale 1700 ÷ 7000 .......... 0.059 0 0.4(flusso ascendente) 7000 ÷ 3.2 · 105 .......... 0.212 0 1/4
> 3.2 · 105 .......... 0.061 0 1/3
116
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETIEDILIZIE
4.1. SCAMBIO TERMICO MISTO IN INTERCAPEDINI
Si è visto nel CAPITOLO 1 (eq. 1.21) come il flusso di calore trasmesso attraverso una
parete piana multistrato in regime stazionario sia dato dall’espressione
Q
A= U · (Ti − Te) 4.1
dove U, detta trasmittanza termica o coefficiente di scambio termico globale, è data
da (CAPITOLO 1, eq. 1.22):
U =
1
hi+
n∑j=1
sj
λj+
1he
−1
Tutti i termini fra parentesi rappresentano delle resistenze termiche. Esistono alcuni
componenti di parete la cui resistenza termica non può essere determinata attraverso
il rapporto s/λ. Si tratta di intercapedini d’aria, blocchi di laterizio o cemento
alleggerito, etc. In questi casi si preferisce introdurre nella 1.22 direttamente la loro
resistenza termica, ovvero:
U =
1
hi+
n∑j=1
sj
λj+∑
Rj+1he
−1
4.2
Si esaminerà ora in particolare il calcolo della resistenza termica delle in intercapedini
d’aria, comunemente impiegate in edilizia, sia nelle pareti opache che in quelle
117
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
aria
T1 T2
irraggiamento
convezione
Ta
Fig. 4.1 – Flussi termici in intercapedini.
vetrate. Nelle intercapedini si ha uno scambio termico per irraggiamento diretto fra
le due facce delle pareti, e uno scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-
parete fredda (vedi fig. 4.1). Il flusso complessivamente scambiato nell’intercapedine
vale dunque:
Q
A=
(Q
A
)conv
+
(Q
A
)rad
= hc (T1 − T2) + hr (T1 − T2) =
(hc + hr) (T1 − T2) =T1 − T2
Rint4.3
Lo studio dell’irraggiamento fra le due facce di un’intercapedine si può ricondurre a
quello fra due superfici piane, parallele e infinite, analizzato nel CAPITOLO 2. Il flusso
scambiato per unità di superficie vale in questo caso
(Q
A
)rad
= σ Fε
(T 4
1 − T 42
)= hr (T1 − T2)
con
hr = 4σ FεT3m =
4σT 3m
1ε1
+ 1ε2
− 1
Dalla fig. 4.2 si vede che il valore di hr dipende debolmente dalla temperatura media
delle due facce (in K), ma è fortemente influenzato dalla loro emissività.
118
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
0.000
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
0.000 0.200 0.400 0.600 0.800 1.000
coef
ficie
nte
radi
ativ
o h
r (W
/m2
K)
Tm = 275 K
Tm = 290 K
F
Fig. 4.2 – Coefficiente radiativo hr in intercapedini per vari valori di F ε e Tm.
Per quanto riguarda la convezione in intercapedini, essa è stata analizzata nel
CAPITOLO 3. Si ha1.
Q/A = hc · (T1 − T2)
con
hc =λe
δ
dove
δ = spessore dell’intercapedine
λe = conducibilità termica effettiva (o equivalente) dell’intercapedine
La conducibilità termica effettiva dipende a sua volta in modo complesso dallo
spessore dell’intercapedine, dalla differenza di temperatura e dalla lunghezza (altezza)
1Si noti che, contrariamente alla consuetudine, il flusso convettivo non viene assunto propor-
zionale alla differenza fra la temperatura di una faccia e dell’aria, ma alla differenza fra le
temperature delle due facce.
119
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
0.000
0.200
0.400
0.600
0.800
1.000
1.200
1.400
1.600
2 3 4 5 6 7 8 9 10
Differenza di temperatura fra le facce (°C)
d = 2 cmd = 5 cm d = 8 cm
h c(W
/m2K
)
Fig. 4.3 – Coefficiente convettivo hc in intercapedini al variare di differenza di
temperatura e spessore dell’intercapedine (L = 3m).
dell’intercapedine. In fig. 4.3 è illustrata la dipendenza dalla differenza di temperatura
e dallo spessore dell’intercapedine.
In definitiva le variabili da cui dipende la resistenza dell’intercapedine sono:
• l’emissività delle facce
• la differenza di temperatura fra le due facce
• lo spessore dell’intercapedine
• l’altezza dell’intercapedine
In generale si può dire che la resistenza dell’intercapedine aumenta fortemente al
diminuire dell’emissività delle due facce e diminuisce debolmente all’aumentare della
differenza di temperatura e al diminuire dell’altezza dell’intercapedine. Ha invece un
andamento variabile al variare dello spessore: cresce fino a circa 6 cm, poi diminuisce
lentamente.
Per intercapedini in pareti opache o vetrate non trattate l’emissività delle due facce è
circa uguale a 0.93-0.95, da cui risulta Fε = 0.87-0.90. Si può assumere in tal caso
Rint = 0.18-0.19 m2K/W.
120
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
TT
RRtotR0-x
Tx
Te
Ti
Fig. 4.4 – Diagramma (T, R).
Viceversa, quando si impiegano vetri speciali, denominati basso-emissivi, che con-
sentono di raggiungere valori di Fε = 0.10-0.20, si può avere Rint = 0.4-0.5 m2K/W.
4.2. DIAGRAMMA (T,R)
La 4.1 può essere riscritta, ricordando la 1.19a
Q
A=
Ti − Te
Rtot
La formula mostra che in regime stazionario le differenze di temperatura sono
proporzionali alle resistenze termiche. La costante di proporzionalità è proprio la
densità di flusso termico:
Ti − Te =(Q/A
)· Rtot 4.4
Riportando le temperature su un diagramma (T, R), come indicato in fig. 4.4 si ottiene
una retta che consente di determinare la temperatura in una sezione qualsiasi (x)
della struttura in funzione della generica resistenza termica Ro−x dall’aria interna
alla sezione considerata.
121
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
4.3. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI OPACHE IN PRESENZA DI
RADIAZIONE SOLARE
Si vuole calcolare il flusso trasmesso attraverso una parete multistrato di spessore s
e costituita da n strati, sulla cui faccia esterna incide un flusso termico radiativo di
origine solare. Siano Ti e Te le temperature dei due ambienti che essa separa. Si
tratta di un problema con condizioni al contorno del 3 tipo su entrambe le facce della
parete. In particolare, sulla faccia esterna si avrà:
Q
A
∣∣∣∣∣x=s
= he (Tn+1 − Te) − α I
dove α è il fattore di assorbimento della parete e I l’irradianza solare, espressa in
W/m2. Seguendo la procedura indicata nel PARAGRAFO 1.4 si ricava la differenza di
temperatura fra l’aria interna e la superficie esterna:
Q
A
n∑
j=1
sj
λj+
1hi
= Ti − Tn+1
Aggiungendo a questa equazione la condizione al contorno sulla faccia esterna si
ottiene:
Q
A= U (Ti − Te) − U α I
he= U (Ti − Ts,a)
avendo chiamato temperatura sole-aria la quantità
Ts,a = Te +αI
he4.5
4.4. IL PROBLEMA DELLA CONDENSA SUPERFICIALE
Quando la temperatura superficiale di una parete a contatto con l’aria interna scende
al di sotto della temperatura di rugiada si ha formazione di condensa. Se il fenomeno
è ricorrente si creano condizioni favorevoli allo sviluppo di colonie fungine e muffe
122
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
che deturpano l’aspetto della parete e creano un ambiente malsano per le persone che
vi risiedono2.
Il problema si sintetizza nel confronto fra la temperatura superficiale
Tsi = Ti − U
hi(Ti − Te)
e la temperatura di rugiada Tr dell’aria interna, che a sua volta dipende, oltre che dalla
temperatura dell’aria, dalla sua umidità relativa (vedi il CAPITOLO 4 della PARTE
PRIMA). Per evitare la condensa superficiale occorre che sia:
Tsi > Tr
Tuttavia, poiché la temperatura superficiale interna risente delle variazioni della
temperatura esterna, è più conveniente effettuare il confronto utilizzando il concetto
di fattore di temperatura della parete:
f =Tsi − Te
Ti − Te4.6
in quanto si dimostra facilmente che questo è solo funzione delle caratteristiche di
resistenza termica della parete (Rtot) e dello strato liminare interno (Ri):
f =Tsi − Te
Ti − Te=
Tsi − Te + Ti − Ti
Ti − Te= 1 − Ti − Tsi
Ti − Te= 1 − Ri
Rtot
Occorre allora imporre che f sia superiore al valore massimo ammissibile fmax, dato
a sua volta da:
fmax =Tr − Te
Ti − Te
2Alcune muffe riescono a proliferare anche quando l’umidità relativa locale è inferiore al 100 %,
fino a valori prossimi all’80%.
123
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
4.5. DIFFUSIONE DEL VAPORE E CONDENSA INTERSTIZIALE
La diffusione è quel particolare fenomeno di trasporto di massa provocato su scala
microscopica da gradienti di concentrazione presenti all’interno di una miscela di
gas. Per concentrazione si intende il rapporto fra la quantità di sostanza di uno dei
componenti la miscela e il volume totale della miscela. La condensa interstiziale è
un fenomeno che si verifica quando il vapore d’acqua, nella sua diffusione attraverso
una parete, incontra zone a temperatura più bassa della temperatura di saturazione del
vapore.
Legge di Fick
Si abbia un volume contenente una miscela di gas a concentrazione non uniforme.
Attraverso una superficie immaginaria tracciata in modo da dividere il volume
occupato dalla miscela in due parti, passeranno, per mera agitazione molecolare, più
molecole dal lato a concentrazione più elevata a quello a concentrazione più bassa che
non viceversa. Ne risulta un trasporto netto di massa nella direzione in cui il gradiente
di concentrazione è minore di zero.
L’esperienza dimostra che la portata di diffusione è proporzionale al gradiente della
concentrazione, secondo la legge, detta Legge di Fick, valida in regime stazionario:
n
A= −D · ∂C
∂x4.7
in cui
n = flusso di quantità di sostanza, kmoli/s
D = diffusività, m2/s
C = concentrazione molare, in kmoli/m3, data da:
C =n
V
Si osservi la perfetta analogia fra la 4.7 e la legge di Fourier, scritta in funzione della
diffusività termica α = λ/ρcp , che ha le stesse dimensioni di D :
Q
A= −λ
∂T
∂x= −α
∂ (ρ cp T )∂x
124
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
Diffusione del vapore acqueo attraverso una parete
Esaminiamo adesso il caso della diffusione del vapore acqueo attraverso un materiale
permeabile. Poiché il vapore d’acqua è allo stato gassoso si può, con qualche
approssimazione, applicare l’equazione di stato dei gas ideali:
p V = n R T
in cui p è la pressione parziale del vapore nell’aria. Dalla definizione di concentrazione
molare si ricava
C =p
R T4.8
Sostituendo la 4.8 nella 4.7 si ha:
n
A= − D
R T· ∂p
∂x
o anche, moltiplicando per la massa molecolare µ:
m
A= −D
µ
R T
∂p
∂x= −δ
∂p
∂x4.9
avendo definito permeabilità al vapore la quantità
δ =D
R∗ T
Applicando la 4.9 ad una parete piana multistrato in regime stazionario per flusso
di vapore monodimensionale, si ottiene, con procedimento del tutto analogo a
quello descritto per ricavare il flusso di calore per conduzione attraverso una parete
multistrato (CAPITOLO 1.4):
m
A= M · (pi − pe) 4.10
dove
M =(
1βi
+∑ s
δ+
1βe
)−1
4.11
è la permeanza al vapore della parete, che ha il suo analogo termico nella trasmittanza
termica U del CAPITOLO 1.4.
I termini riportati nella parentesi hanno le dimensioni di una resistenza alla diffusione
del vapore (Rv); in particolare i coefficienti dimensionati βi e βe forniscono l’entità
125
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
della diffusione del vapore dall’aria alla parete e viceversa. Il loro valore è molto
elevato rispetto ai valori di δ/s dei principali materiali, per cui spesso si può assumere
1/βi = 1/βe = 0
Pertanto la 4.5 può essere riscritta come:
M =(∑ s
δ
)−1
4.11 a
I valori di permeabilità di alcuni fra i materiali più comunemente impiegati in edilizia
sono forniti in Tabella 4.1.
Tab. 4.1 – Valori di permeabilità al vapor d’acqua (δ).
Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)
Aria 17.8 · 10−11 Legno di pino 0.10 · 10−11
Calcestruzzo da 2300kg/m3
0.5 · 10−11 Muratura di mattonipieni e forati
2.0 · 10−11
Calcestruzzo di pomi-ce da 280 kg/m3
5.9 · 10−11 Fibra minerale(lastre)
3 ÷ 15 · 10−11
Calcestruzzo leggero 1.8 ÷ 4.8 · 10−11 Foglio di alluminio,vetro cellulare
0
Cartonfeltro bitumato 1.8 · 10−14 Foglio di polietilene 0.2 ÷ 0.5 · 10−14
Eternit 0.27 · 10−11 Polistirolo espanso 0.4 ÷ 0.8 · 10−11
Intonaco di gesso 2.9 · 10−11 Polistirolo estruso 0.21 · 10−11
Intonaco di malta dicemento
0.9 · 10−11 PVC 0.8 ÷ 1.7 · 10−12
»
126
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
Tab. 4.1 – Valori di permeabilità al vapor d’acqua (δ).
Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)
Intonaco di malta ecalce
1.8 · 10−11 Resina epossidica inlastre rinforzate confibra di vetro
0.83 · 10−15
Legno di faggio 0.05 · 10−11 Vermiculite, perlite eargilla espansasciolta
17.8 · 10−11
Diagramma di Glaser
Il diagramma di Glaser costituisce un utile strumento non soltanto per la verifica dei
rischi di condensa in una parete, ma anche per la correzione di tale inconveniente.
Essa ha la resistenza alla diffusione del vapore in ascisse e la pressione parziale di
vapore in ordinate. E’ dunque un diagramma (p, Rv) e gode delle stesse proprietà di
cui gode il diagramma (T, R) descritto al PARAGRAFO 4.2.
Il procedimento di costruzione del diagramma consiste nei seguenti passi:
a. Si riportano in ascisse, in successione, i valori delle resistenze s/δ alla
diffusione del vapore degli strati costituenti la parete, dall’interno all’esterno,
fino a raggiungere l’aria esterna (Rv,tot).
b. Si riportano i valori delle pressioni parziali del vapore interna (pi) ed esterna
(pe), rispettivamente in corrispondenza di Rv = 0 e Rv = Rv,tot.
c. Si traccia la retta che unisce i due punti così ottenuti. Essa rappresenta
l’andamento delle pressioni parziali su ogni superficie attraversata dal flusso
di vapore. Infatti, analogamente alla 4.4, si ha
pe = pi − m
A· Rv,tot
d. Conoscendo le temperature in corrispondenza dei vari strati si ricavano le cor-
rispondenti pressioni di saturazione ps (vedi tab. 4.2 e fig. 4.1 della PARTE I) e
le si riportano sul diagramma di Glaser.
127
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
pe
pi
psi
pse
RvRv,tot
p
Fig. 4.5 – Diagramma di Glaser per una parete in cui non si manifestano fenomeni di
condensa.
Tab. 4.2 – Valori della pressione di saturazione dell’acqua fra –20 C e
39C.
T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa)
-20 103 -5 402 10 1228 25 3169-19 114 -4 437 11 1312 26 3363-18 125 -3 476 12 1403 27 3567-17 137 -2 518 13 1498 28 3782-16 151 -1 563 14 1598 29 4008-15 165 0 611 15 1706 30 4246-14 181 1 657 16 1819 31 4496-13 199 2 706 17 1938 32 4759-12 217 3 758 18 2064 33 5035-11 238 4 814 19 2198 34 5324-10 260 5 873 20 2339 35 5628
-9 284 6 935 21 2488 36 5947-8 310 7 1002 22 2645 37 6281-7 338 8 1073 23 2811 38 6632-6 369 9 1148 24 2985 39 7000
128
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
pe
pi
psi
pse
RvRv,2 Rv,1 Rv,tot
p1
p2
p
Fig. 4.6 – Profilo delle pressioni reali in presenza di condensazione.
Se in nessun punto la pressione reale supera quella di saturazione si ha la situazione
di fig. 4.5.
In caso contrario si ha formazione di condensa all’interno della parete, evidenziata
dall’area tratteggiata (fig. 4.6). Tuttavia, in questo caso il profilo delle pressioni reali
cambia rispetto a quello ricavato con le considerazioni precedenti, poiché la pressione
reale non può mai superare la pressione di saturazione. Per ricavare il profilo di
pressione reale si deve tener conto del fatto che, poiché parte della portata di vapore
condensa, la portata uscente sarà minore di quella entrante.
Pertanto, devono essere rispettate le due condizioni:
– portata costante quando p < ps (∂p
∂Rv= costante)
– p ≤ ps in ogni sezione della parete
L’andamento delle pressioni reali che soddisfa le precedenti condizioni è quello in cui
la retta delle pressioni reali è tangente alla curva di saturazione (tratti pi−p1 e p2−pe)
o coincide con essa (tratto p1 − p2).
129
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
pi
psi
Rv v
Rv,add pse
pe
p
Fig. 4.7 – Correzione del problema della condensa interstiziale mediante resistenza
aggiuntiva (barriera al vapore).
La portata di vapore, ovvero la pendenza dp/dRv, sarà costante nel tratto i − 1,
decrescente nel tratto 1 − 2 e di nuovo costante, ma inferiore a quella del tratto i − 1,
nel tratto 2 − e.
La portata condensata varrà dunque:(m
A
)cond
=(
m
A
)in
−(
m
A
)out
=(
∂p
∂Rv
)i−1
−(
∂p
∂Rv
)2−e
=pi − p1
Rv,1−p2 − pe
Rv,2
Nel caso in cui si voglia correggere la stratigrafia della parete in modo da evitare la
formazione di condensa al suo interno, si può ancora utilizzare il diagramma di Glaser.
Si traccia la retta partente da pe e tangente alla curva di saturazione fino a raggiungere
il valore pi, sulla sinistra dell’asse (fig. 4.7). La distanza di tale punto dall’asse p
rappresenta la resistenza Rv,add aggiuntiva che deve essere introdotta, attraverso una
opportuna barriera al vapore, per evitare rischi di condensa.
4.6. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI VETRATE
Nel caso di pareti vetrate, in presenza di radiazione solare, si ha un duplice fenomeno
di scambio termico, di cui si tiene conto separatamente. Vi è un flusso termico per
130
4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE
differenza di temperatura (trasmissione per conduzione, con condizioni al contorno
radiativo-convettive) e un flusso termico entrante per effetto della radiazione solare.
Il flusso termico per differenza di temperatura sarà dato, come in precedenza, dalla 4.1
(Q
A
)cond
= U · (Ti − Te)
Quello legato alla radiazione solare è somma di due componenti, una di trasmissione
diretta verso l’interno, l’altra dovuta all’assorbimento e riemissione verso l’interno
della radiazione (Q
A
)sol
= (τsol + n αsol) I 4.12
in cui
n = frazione riemessa verso l’interno della quota assorbita
αsol = fattore di assorbimento alla radiazione solare
τsol = fattore di trasmissione alla radiazione solare
Spesso la quantità fra parentesi nella 4.12 viene detta fattore solare (g ) :
g = τ + n αsol
131
progettodidattica in rete
prog
etto
dida
ttica
in re
tePolitecnico di Torino, giugno 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica AmbientaleParte III: acustica applicata
G.V. Fracastoro
otto editore
PARTE IIIacustica applicata
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientaleparte III - acustica applicata
Prima edizione giugno 2003
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
1. Aspetti fisici generali 137
1.1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
1.2. Equazioni delle onde acustiche e grandezze caratteristiche 138
2. Acustica fisiologica 143
2.1. Sensazioni acustiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
2.2. Audiogramma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145
3. Campi sonori e acustica degli ambienti chiusi 147
3.1. Interazione suono-parete . . . . . . . . . . . . . . . . . 147
3.2. Campo libero o diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150
3.3. Campo diffuso o perfettamente riverberato . . . . . . . . 150
3.4. Campo semiriverberante . . . . . . . . . . . . . . . . . 154
4. Fonoassorbimento e fonoisolamento 157
4.1. Fonoassorbimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157
4.2. Fonoisolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158
5. Criteri di valutazione del rumore 165
5.1. Sorgenti di rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
5.2. Criteri di valutazione del disturbo da rumore . . . . . . . 168
135
1. ASPETTI FISICI GENERALI
1.1. INTRODUZIONE
Il suono è un’oscillazione di pressioneche si propaga in un mezzo elastico. A
differenza delle onde elettromagnetiche, le onde acustiche sono ondeelastiche, che
necessitano cioè di un mezzo di supporto, che può essere un gas, un liquido o
un solido.
I fenomeni acustici sono provocati dalla vibrazione di un corpo, dettosorgente
acustica. Le oscillazioni della sorgente acustica creano negli strati del mezzo ad essa
adiacente delle onde di pressione (pressione acustica), ovvero dellefluttuazioni della
pressione intorno ad un valor medio, con un succedersi di onde di compressione e
di rarefazione:
∆p(t) = p(t) − pa 1.1
dove p(t) è la pressionedell’aria nell’istante t e pa la pressione media (pressione
atmosferica)1.
uello
o di
1Si noti che il valore della pressione acustica è di parecchi ordini di grandezza inferiore a q
della pressione atmosferica: esso varia infatti, normalmente, da qualche centomillesim
pascal a qualche pascal.
137
1. ASPETTI FISICI GENERALI
In modo del tutto analogo le vibrazioni della sorgente acustica provocano lo sposta-
mento periodico (oscillazione), con unavelocità u(t) detta velocità di oscillazione,
delle particelle del mezzo adiacente.
Le onde di pressione e quelle di velocità di oscillazione si propagano agli strati
contigui con una velocità, dettavelocità di propagazione del suono(c). Poiché
la velocità di oscillazione delle particelle ha la stessa direzione della velocità di
propagazione dell’onda le onde acustiche sono ondelongitudinali.
La velocità di propagazione del suono
Attraverso la teoria della propagazione delle piccole perturbazioni si dimostra che la
velocità del suono in un mezzo elastico è data da:
c =
√K
ρ1.2
doveK è il modulo di compressione eρ la densità del mezzo.
Ad esempio, per l’acciaio (K = 2.1·1011 Pa,ρ = 7800 kg/m3), si ottienec = 5176 m/s,
mentre per l’acqua (K = 2·109 Pa,ρ = 1000 kg/m3) si ottienec = 1414 m/s.
Per ungas idealesi ottiene:
c =
√p
k
ρ=
√k R∗ T 1.3
in cui k rappresenta l’esponente dell’isentropica (pari al rapporto fra i calori specifici
a pressione costante e a volume costante),R∗ la costante elastica del gas eT la sua
temperatura assoluta. Per l’aria (k = 1.4, R* = 287 J/kg K) a 20C si ottienec =
343 m/s.
1.2. EQUAZIONI DELLE ONDE ACUSTICHE E GRANDEZZE CARATTERI-
STICHE
Partendo da considerazioni termofluidodinamiche e considerando il mezzo continuo,
omogeneo e perfettamente elastico è possibile ricavare leequazioni differenziali delle
onde acustiche:
138
ere
1. ASPETTI FISICI GENERALI
∇2 (∆p) =1c2
∂2 (∆p)∂t2
1.4a
∇2u =1c2
∂2u
∂t21.4b
Quando la sorgente acustica è lontana dal punto considerato l’onda può ess
considerata piana e supponendo che la sorgenteacustica sia caratterizzata da una sola
frequenza di vibrazione f e che non vi sia componente riflessa, integrando le 1.4a- 1.4b
si ha:
∆p(t) = ∆pmax cos[ω
(t − x
c
)]1.5a
u(t) =∆pmax
ρccos
[ω
(t − x
c
)]1.5b
essendo
x = direzione di propagazione
ρ = densità dell’aria
c = velocità di propagazione
ω = 2πf = pulsazione dell’onda sonora
Pertanto, in assenza della componente riflessa l’onda di pressione e l’onda di
oscillazione sono in fase e si ha:
∆p (t) = ρc · u (t) 1.6
in cui la quantità(ρ c) viene dettaimpedenza acustica. Per l’aria a temperatura
ambiente (20C) essa vale 413 kg/(m2s) e diminuisce di circa 0.7 kg/(m2s) per ogni
grado di aumento di temperatura.
Si definisceintensità sonora(in W/m2) laquantità:
I =1T
T∫0
∆p(t)u(t)dt 1.7a
In assenza di componente riflessa si ha pertanto:
139
1. ASPETTI FISICI GENERALI
I =1T
T∫0
[∆p(t)]2
ρ cdt =
p2
ρ c1.7b
avendo introdotto lapressione efficacep (in Pa):
p =
√√√√√ 1T
T∫0
[∆p(t)]2 dt 1.8
Si definiscepoi potenza sonora(in W) laquantità:
W =∫S
IdS 1.9
in cui S rappresenta l’area della superficie del fronte d’onda.
Si definisce infinedensità sonora(in J/m3) la quantità di energia sonora contenuta
nell’unità di volume:
U =dE
dV=
Wdt
dV
Nel caso di onda piana e qualora sia presente la sola componente diretta, lo spazio
percorso dall’onda nel tempo infinitesimodt varrà c dt e pertanto, supponendo piano
il fronte d’onda, il volumedV occupato dall’onda nel tempodt varrà:
dV = S c dt
l’energia infinitesimadE contenuta dal volumedV sarà pari a:
dE = I S dt
e dunque, tenendo anche conto della 1.7b:
U =dE
dV=
I
c=
p2
ρ c21.10
Un suono puroè caratterizzato da unafrequenzaben precisa. Le caratteristiche
dell’onda di un suono puro sono:
140
1. ASPETTI FISICI GENERALI
ω = 2πf (pulsazione) 1.11
f = 1/T (frequenza) 1.12
λ = c T (lunghezza d′onda) 1.13
Naturalmente si ha anche:
c = λ f 1.14
Nel caso in cui il suono sia distribuito con continuità su tutte le frequenze, si suddivide
lo spettro in bande d’ottava, ovvero in intervalli di frequenza delimitati da due
frequenzef1 ef2 tali che:
f2 = 2f1
e caratterizzati da una frequenza, dettafrequenza centraleo nominale(fc), pari a:
fc =√
f1 f2
Le frequenze centrali delle bande d’ottava adottate nella pratica sono riportate in
Tab. 1.1.
Tab. 1.1 – Frequenze centrali normalizzate delle bande d’ottava.
Frequenzanominale
[Hz]
Frequenza limite[Hz]
Frequenzanominale
[Hz]
Frequenza limite[Hz]
Inferiore Superiore Inferiore Superiore16.0 11.2 22.4 1000 710 140031.5 22.4 45.0 2000 1400 280063.0 45.0 90.0 4000 2800 5600
125.0 90.0 180.0 8000 5600 11200250.0 180.0 355.0 16000 11200 22400500.0 355.0 710.0
Talvolta si impiegano bande diennesimi di ottava, per lequali le frequenze estreme di
ogni banda sono legate dalla relazione:
f2 = 21/n f1
141
1. ASPETTI FISICI GENERALI
Fra queste le più impiegate sono le bande di un terzo d’ottava (Tab. 1.2).
Tab. 1.2 – Frequenze centrali e limite delle bande normalizzate di un terzo
d’ottava.
Frequenzanominale
[Hz]
Frequenza limite[Hz]
Frequenzanominale
[Hz]
Frequenza limite[Hz]
Inferiore Superiore Inferiore Superiore16.0 14.3 18.0 630 560 71020.0 18.0 22.4 800 710 90025.0 22.4 28.0 1000 900 112031.5 28.0 35.5 1250 1120 140040.0 35.5 45.0 1600 1400 180050.0 45.0 56.0 2000 1800 224063.0 56.0 71.0 2500 2240 280080.0 71.0 90.0 3150 2800 3550
100.0 90.0 112.0 4000 3550 4500125.0 112.0 140.0 5000 4500 5600160.0 140.0 180.0 6300 5600 7100
200.0 180.0 224.0 8000 7100 9000250.0 224.0 280.0 10000 9000 11200315.0 280.0 355.0 12500 11200 14000400.0 355.0 450.0 16000 14000 18000500.0 450.0 560.0 20000 18000 22400142
2. ACUSTICA FISIOLOGICA
2.1. SENSAZIONI ACUSTICHE
Dal punto di vista delle sensazioni provocate dalle onde sonore è possibile osservare
che:
1. l’orecchio umano è sensibile ai suoni aventi una frequenza compresa fra circa
20 Hz e 20.000 Hz, con un massimo dellasensibilità intorno ai 3-4000 Hz.
2. a 1000 Hz la minima pressione efficace capace di produrre una sensazione
acustica èp0 = 2 · 10−5 Pa = 20µ Pa (soglia di udibilità). Alla stessa
frequenza la massima pressione efficace sopportabile dall’orecchio umano è
di 20 Pa, a cui corrisponde la cosiddettasoglia del dolore.
3. la variazione dell’intensità di sensazione acustica (S) è proporzionale
all’incremento relativo dell’intensità acusticaI (Legge di Weber-Fechner):
dS = kdI
I2.1
da cui si desume che la differenza di sensazione è proporzionale al logaritmo
d i:
4. P sate
su
el rapporto delle intensità acustiche, ovvero alla differenza dei loro logaritm
S − S0 = k lnI
I02.2
er i motivi esposti al punto 3) si sono definite delle nuove grandezze, ba
lla scala logaritmica, dettelivelli, misurati in decibel (dB). Si introducono
143
2. ACUSTICAFISIOLOGICA
così illivello di pressione Lp, il livello di intensità LI e il livello di potenza LW
Lp = 20 logp
p0= 10 log
p2
p20
2.3
LI = 10 logI
I02.4
LW = 10 logW
W02.5
dove po è la pressione corrispondente allasoglia uditiva a 1000 Hz, pari a
2·10−5 Pa (20µPa),Io è l’intensità sonora di riferimento, pari a 10−12 W/m2
eWo è lapotenza di riferimento, pari a 10−12 W.
5. La sensazione acustica dipende dallafrequenza, perciò un apparecchio che
misuri l’intensità di un suono così come esso viene percepito dall’orecchio
umano deve simulare la rispostain frequenza dell’orecchio umano (curve di
ponderazione, si veda alCAPITOLO 5).
Livello di pressione e livello di intensità assumonoin campo diretto quasi esattamente
lo stesso valore. Infatti, introducendo la 1.7b nella definizione 2.3:
Lp = 10 logp2
p20
= 10 logρ c I
p20
≈ 10 logI
10−12= LI
dato che, come si è visto in precedenza, l’impedenza acustica (ρc) vale poco più di
400 kg/(m2s).
Con le definizioni sopra riportate si vede che, al variare della pressione sonora dal
valore di soglia (20 µPa) a quello corrispondente alla soglia del dolore (20 Pa), i
corrispondenti livelli di pressione sonora variano fra 0 e 120 dB.
Alcuni livelli di pressione sonora tipici sono riportati di seguito:
Lp (dB) Esempi Tipici30 ÷ 40 biblioteca50 ÷ 60 ufficio60 ÷ 70 conversazione70 ÷ 80 incrocio stradale80 ÷ 90 interno d’autobus90 ÷ 100 treno, metrò110 ÷ 120 clacson a 1 m> 120 martello pneumatico
144
2. ACUSTICAFISIOLOGICA
Fig. 2.1 – Audiogramma normale secondo la ISO-R226 (S = soglia di udibilità); ascolto
binaurale in campo libero, sorgente sonora disposta in fronte all’ascoltatore.
2.2. AUDIOGRAMMA NORMALE
L’ insieme delle considerazioni precedentemente esposte ha consentito di costruire un
diagramma (dettodiagramma di Fletcher e Munson) in cui è riportato l’andamento
delle curve di uguale sensazione uditiva. Nel 1961 è stata approvata una versione
normalizzata di tale diagramma (vedi Fig. 2.1), che ha preso ilnome di audiogramma
normale. Esso è stato costruito come segue:
– si adotta un suono di riferimento a 1000 Hz, di intensità variabile
– si esamina un suono di prova di intensità e frequenza qualunque
– si varia l’intensità del suono di riferimento fino a che l’ascoltatore non lo
giudica diintensità equivalente aquello di prova
– si assume come valutazione numerica (soggettiva) dell’intensità del suono di
prova il valore in decibel dell’intensità (oggettiva) del suono di riferimento.
Tale valutazione è espressa inphon.
145
2. ACUSTICAFISIOLOGICA
Si ottengono in tal modo delle curve di ugual sensazione uditiva dettelinee isophon.
Dove esse presentano un minimo si ha il massimo della sensibilità uditiva, poiché è
necessario il livello di pressione sonora più basso per produrre la stessa sensazione.
Si può osservare come la massima sensibilità uditiva si verifichi in corrispondenza di
circa3 ÷ 4 kHz per tutte le curve isophon. Tuttavia, la differente sensibilità alle varie
frequenze è molto più pronunciata ai bassi livelli che non agli alti livelli (le curve
isophon siappiattiscono al crescere del livello sonoro).
146
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI
CHIUSI
3.1. INTERAZIONE SUONO-PARETE
La descrizione dei fenomeni acustici richiede la conoscenza delcampo sonoro, ovvero
della porzione di spazio nella quale si propagano le onde sonore.
In presenza di un ostacolo alla sua propagazione l’energia sonora viene in parte
riflessa, in parteassorbita (e trasformata in calore) e in partetrasmessa attraverso
l’ostacolo.
Detta Wi la potenza acustica incidente e Wa, Wr , Wt (vedi Fig. 3.1) le potenze
rispettivamente assorbita, riflessa e trasmessa, vengono definiti rispettivamentefattore
di assorbimento (a′), di riflessione (r) edi trasmissione (t) le quantità:
a′ =Wa
Wir =
Wr
Wit =
Wt
Wi
ovviamente, si ha:
r + a′ + t = 1 3.1
Spesso si introduce unfattore di assorbimento apparente a:
a = 1 − r = a′ + t 3.2
i cui valori, per alcuni materiali, sono forniti nella Tab. 3.1.
147
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Fig. 3.1 – Potenza incidente, trasmessa, assorbita e riflessa.
Tab. 3.1 – Valori del coefficiente di assorbimento. (da I. Sharland
L’attenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)
Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz(mm) 125 250 500 1000 2000 4000
Superfici internenormaliMuratura in mattoni —- 0.05 0.04 0.02 0.04 0.05 0.05Calcestruzzo —- 0.01 0.01 0.02 0.02 0.02 0.03Lastra di vetro dispessore fino a4 mm
4 0.35 0.25 0.20 0.10 0.05 0.05
Lastra di vetrospessore 6 mm
6 0.15 0.06 0.04 0.03 0.02 0.02
Marmo o piastrellevetrificate
—- 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05
Intonaco su muropieno
12 0.04 0.05 0.06 0.08 0.04 0.06
Rivestimenti dipareti e soffittiIntonaco acustico 12 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35Materassini di lanadi vetro o di roccia
25 0.10 0.35 0.60 0.70 0.75 0.80
(valori tipici permateriali di
50 0.20 0.45 0.65 0.75 0.80 0.80
media densità) 100 0.45 0.75 0.80 0.85 0.85 0.90150 0.55 0.90 0.90 0.85 0.90 0.95
Schiuma dipoliuretano esp.
25 0.15 0.30 0.60 0.75 0.85 0.90
(a cellule aperte) 50 0.25 0.50 0.85 0.95 0.90 0.90100 0.50 0.70 0.95 1.00 1.00 1.00
»
148
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Tab. 3.1 – Valori del coefficiente di assorbimento. (da I. Sharland
L’attenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)
Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz(mm) 125 250 500 1000 2000 4000
Lastra di gesso di9 mm fissata sulistelli di legno;intercapedine d’ariadi 18 mm riempitacon lana di vetro
27 0.30 0.20 0.15 0.05 0.05 0.05
Legno compensatodi 5 mm, fissato sulistelli di legno,intercapedine d’ariadi 50 mm riempitacon lana di vetro
55 0.40 0.35 0.20 0.15 0.05 0.05
Legno compensatodi 12 mm fissato sulistelli;intercapedine d’ariadi 59 mm riempitacon lana di vetro
71 0.30 0.20 0.15 0.10 0.15 0.10
Pannelli di gessoper rivestimentimurali e controsoffittature congrandi intercapedinid’aria
—- 0.20 0.15 0.10 0.05 0.05 0.05
Cartone di fibra susupporto rigido
12 0.05 0.10 0.15 0.25 0.30 0.30
PavimentazioniBattuto di cemento —- 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05Moquette a peloraso, su substratodi feltro
6 0.05 0.05 0.10 0.20 0.45 0.65
Moquette a pelomedio, su substratodi gommapiuma
10 0.05 0.10 0.30 0.50 0.65 0.70
Piastrelle di gomma 6 0.05 0.05 0.10 0.10 0.05 0.05Pannelli perrivestimenti acusticiFissati direttamentea parete o a soffitto,con intercapedined’aria
12-75 0.10 0.25 0.50 0.60 0.60 0.45
Montati comesoffitti sospesi
—- 0.30 0.40 0.50 0.65 0.75 0.70
•
149
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
3.2. CAMPO LIBERO O DIRETTO
Quando in un campo sonoro esistono solo le onde sonore direttamente irradiate dalla
sorgente il campo sonoro si dicelibero o diretto. Se il campo è libero, e la sorgente
puntiforme, l’intensità si riduce di circa 6 dB raddoppiando la distanza dalla sorgente.
Infatti, detti L1 eL2 i livelli di intensità alle distanzed1 ed2 = 2d1, si ha:
L1 = 10 logW/S1
I0
L2 = 10 logW/S2
I0
conS1 = 4 π d21 eS2 = 4 π (2 d1)
2 = 4 S1 . Pertanto:
L1 − L2 = 10 logS2
S1= 10 log 4 = 6.02 dB
Normalmente il campo sonoro diretto si manifesta in ambienti esterni, lontano
da superfici che possano riflettere il suono. Tuttavia, esistono ambienti interni
speciali, detticamere anecoiche, le cui pareti sono rivestite con materiali quasi
perfettamente assorbenti (a≈ 1), nelle quali si genera un campo sonoro che può essere
definito diretto.
3.3. CAMPO DIFFUSO O PERFETTAMENTE RIVERBERATO
Se invece in ogni punto del campo sonoro l’intensità sonora associata alle onde
riflesse supera l’intensità delle onde dirette, essendo praticamentecostante in ogni
direzione, l’intensità netta è uguale a zero, la densità di energia è uniforme ed il campo
viene dettodiffuso o perfettamente riverberante. In questo caso allontanandosi dalla
sorgente il decremento di livello è nullo.
150
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Quando il campo è diffuso non è possibile impiegare la relazione fra intensità e densità
di energia ricavata con la1.15, in condizioni di campo diretto, ma deve essere adottata
la seguente (in cui il pedice "d" denota il campo diffuso):
Ud =4 Id
c3.3
DIMOSTRAZIONE
Infatti, l’intensità acustica risultante su un piano deriva dal seguente integrale:
Id =
Z
2π
I cosα dω = 2π I
π/2Z
0
cos α sinα dα = π I D.1
dove Ω è l’angolo solido, mentre la densità di energia, Ud, vale:
Ud =
Z
4π
U dω = 2π U
πZ
0
sinα dα = 4π U D.2
da cui, tenendo presente la 1.15, deriva immediatamente la 3.3.
Una delle conseguenze della riverberazione è che, al cessare della emissione sonora, la
densità di energia sonora non si riduce a zero istantaneamente, ma decresce tanto più
lentamente quanto più l’ambienteè riverberante (fenomeno dellacoda sonora). Per
definire le caratteristiche di riverberazione di un ambiente si usa allora il cosiddetto
tempo di riverberazione τ60, ovvero il tempo necessario perché il livello sonoro
decresca di 60 dB, o anche, per la 3.3, perché la densità di energia sonora si riduca
di un milione di volte.
Il tempo di riverberazione può essere misurato, oppure calcolato conoscendo le
caratteristiche geometriche e di assorbimento dell’ambiente in esame.
La formula comunemente impiegata per il suo calcolo si chiamaformula di Sabine
(vedi DIMOSTRAZIONE a pagina153). Essa dà:
τ60 = 0.163V
Atot3.4
151
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
in cui V è il volume dell’ambiente eAtot rappresenta leunità fonoassorbenti, in m2,
in cui
aj = fattore di assorbimento apparente della j-esima superficie interna del
locale (vedi Tab. 3.1)
Aj = unità assorbenti (in m 2) di elementi fonoassorbenti (vedi Tab. 3.2)
Tab. 3.2 – Unità assorbenti da aggiungere all’equazione 3.5 per ogni unità
considerata (in m2).
Frequenze [Hz] 125 250 500 1000 2000 4000
Sedie in legno 0.01 0.015 0.02 0.035 0.05 0.06
Poltrone imbottite 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35
Persone in piedi 0.20 0.35 0.47 0.45 0.50 0.40
Persone in poltrona 0.42 0.41 0.40 0.48 0.51 0.55
a loro volta definite dall’espressione:
Atot =∑
(aj Sj) +∑
Aj 3.5
A causa delle ipotesi semplificative adottate la formula di Sabine non è una relazione
esatta. Ad esempio, al tendere dia ad uno, essa non tende a zero come dovrebbe
avvenire.
In base a considerazioni teoriche alle unità assorbentiAtot si dovrebbe sostituire la
cosiddettacostante della sala R, definita come:
R =Atot
1 − am3.6
in cui
R =Atot
1 − am3.7
152
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
DIMOSTRAZIONE
Per calcolare τ 60 si ipotizza un ambiente chiuso perfettamente riverberante in cui sia
inizialmente in funzione una sorgente, di potenza W .
Si definisce cammino libero medio Lm dell’energia sonora quello che separa due suc-
cessive riflessioni. In base a considerazioni statistiche si ricava che esso è funzione
del volume V e della superficie S:
Lm =4 V
SD.1
Il tempo libero medio sarà dunque dato da:
τm =4 V
c SD.2
Si scrive ora l’equazione di conservazione dell’energia sonora in forma di potenza,
ovvero:
potenza emessa − potenza assorbita = variazione energia sonora D.3
La potenza assorbita è pari alla potenza incidente sulle pareti dell’ambiente moltiplicata
per il fattore di assorbimento apparente, a. A sua volta la potenza incidente può essere
calcolata supponendo che l’energia sonora presente in ambiente (pari a V U , avendo
omesso il pedice "d" per brevità) si distribuisca equamente sulle pareti nel tempo τm
(ipotesi di continuità):
potenza incidente =V U
τm=
cUS
4
per cui la potenza assorbita vale:
potenza assorbita =cUAtot
4
dove si è introdotto il numero di unità fonoassorbenti (Atot) del locale, definito dalla 3.5.
In definitiva, la D.3 diviene:
W − c
4UA = V
dU
dτ D.4
in regime stazionario (dU
dτ= 0 ) si ha W =
c
4UA e dunque:
U =4W
cAD.5
153
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
durante la coda sonora (W = 0) si ha:
che, integrata
o anche
Imponendo ne
volte, passand
riverberazione
3.4. CAMP
Negli ambien
coesiste con
semiriverbera
Anche in un a
trovarsi in ca
divenire sem
Livello di inten
Da quanto d
forniscono il
tre ipotesi di
del livello di p
Questo è defi
e l’intensità m
154
dτ = −4 V
cA
dU
U
fra l’istante iniziale (τ = 0) in cui U = U0 e l’istante generico τ , dà:
τ = −4V
cAln U
U
D0D.6
U = U0 e(−cAτ4V ) D.7
lla D.6 la condizione che la densità di energia si riduca di un milione di
o ai logaritmi decimali e sostituendo c = 340 m/s si ottiene il tempo di
con l’espressione detta formula di Sabine:
τ60 = 0.163V
AD.8
O SEMIRIVERBERANTE
ti chiusi, o comunque delimitati da pareti riflettenti, l’onda diretta
quelle riflesse (una o più volte) creando un campo sonoro detto
nte.
mbiente chiuso è possibile, avvicinandosi sufficientemente alla sorgente,
mpo diretto, ma, a mano a mano che ci si allontana il campo tende a
iriverberato e poi diffuso.
sità sonora in ambienti confinati
etto nei precedenti paragrafi èpossibile ricavare le espressioni che
livello di pressione sonora all’interno di un ambiente confinato, nelle
campo libero, perfettamente riverberato e semiriverberato, in funzione
otenza della sorgente sonora e del suo fattore di direttivitàQθ.
nito come il rapporto fra l’intensità nella direzione sorgente-ascoltatore
edia nell’intero angolo solido, a una distanzad dalla sorgente:
3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI
Qθ =I
Im=
4πd2I
W
da cui:
I =QθW
4πd2
naturalmenteQθ vale 1 per una sorgente che irradia secondo onde sferiche, vale 2
per sorgenti emisferiche, 4 per sorgenti che formano fronti d’onda equiparabili ad un
quarto di superficie sferica, etc.
campo relazione fra Lp e LW
diretto Lp = LW − 10 log (4π/Qθ) − 20 log d
perfettamenteriverberato
Lp = LW − 10 log Atot + 6
semiriverberato Lp = LW + 10 log“
Qθ4πd2 + 4
R
”
-30.0
-24.0
-18.0
-12.0
-6.0
0.0
0.1 1 1 0 100Distanza (m )
L -
LW
(dB
)
R=15 m2
R=30 m2
R=50 m2
R=100 m2
R=200 m2
R=300 m2
R=500 m2
R=1000 m2
R=2000 m2
Fig. 3.2 – Campo semiriverberato.
155
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Nelle applicazioni dell’acustica in campo edilizio i problemi che piùfrequentemente si riscontrano sono due:
– la cattiva ricezione del suono (musica o voce) in ambienti destinatiad ospitare eventi sonori (sale da concerto, aule scolastiche, saleconferenze, cinema, teatri, ...)
– la trasmissione di rumori dall’esterno o da altri ambienti adiacenti
Il primo è un problema che si risolve sia con una opportuna scelta delledimensioni e della forma della sala che adottando materiali di rivestimentoidonei (fonoassorbimento). Il secondo è invece un problema che si risolvesoprattutto con la corretta progettazione acustica dei divisori, in modo darealizzare un adeguatofonoisolamento.
4.1. FONOASSORBIMENTO
I valori di τ60 alle varie frequenze vanno confrontati con quelli ottimali (τott),
funzione del tipo di audizione che si svolge nell’ambiente e del suo volume, riportati
per le frequenze da 250 Hz a 2 kHz, come indicato in Fig. 4.1. Il progetto acustico
di una sala per audizioni richiede dunque l’adozione di materiali di rivestimento delle
pareti (vedi Ta b . 3.1) tali da garantire un fonoassorbimento il più vicino possibile a
quello ottimale, almeno alle frequenze centrali (1-2 kHz).
157
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
musica sinfonica
musica da camera
teatro
parola
cinema
opera
chiese
Volume (m )3
100 1000 1000 100000
Fig. 4.1 – Tempo ottimale di riverberazione alle varie frequenze.
4.2. FONOISOLAMENTO
Per proteggere un ambiente da un rumore prodotto al di fuori di esso occorre ostacolare
la propagazione del rumore dalle sorgenti verso l’ambiente, ovvero incrementare il
potere fonoisolante delle pareti che separano la sorgente dall’ambiente disturbato.
Si definisce potere fonoisolante (R) di una parete la quantità (Fig. 4.2):
R = 10 logWi
Wt= 10 log
1t
4.1
in cui Wi eWt rappresentano rispettivamente la potenza sonora incidente e trasmessa.
Come si vedrà, buoni risultati si possono però ottenere anche limitando la
riverberazione nell’ambiente disturbato.
Le onde acustiche possono propagarsi sia per via diretta (Fig. 4.2), ovvero attraverso
l’aria, sia per viasolida, o indiretta, attraverso le strutture dell’edificio. Qualora questo
contributo possaessere trascurato si hasoltanto trasmissionediretta e il problema può
essere analizzato come segue, supponendo ilcampo perfettamente riverberante ed il
regime stazionario.
158
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
W1
via diretta
1 2
via indiretta
Fig. 4.2 – Trasmissione del rumore da un ambiente ad un altro.
È possibile dimostrare che la differenza di livello sonoro fra un ambiente disturbante
(1)
Sd
DIM
Ess
di energia che vi si stabilisce vale, per la (D.5, della dimostrazione di pag. 153):
U1 =4W1
c A1
e dunque l’intensità acustica su una parete vale, per la 3.3:
Pertanto
dall’amb
La pote
I1 = U1c
4D.1
la potenza Wi incidente sul divisorio di area Sd che separa l’ambiente 1
iente 2 vale:
Wi = I1 Sd D.2
e uno disturbato (2) separati da un divisorio avente potere fonoisolanteR ed area
è data da:
∆L = 10 log1t
+ 10 logA2
Sd= R + 10 log
A2
Sd4.2
OSTRAZIONE
endo presente nell’ambiente 1 una sorgente stazionaria di rumore W 1, la densità
nza trasmessa attraverso il divisor io varrà, tenendo presenti le D. 1 e D. 2 :
Wt = tWi = t I1 Sd = t U1 cSd
4D.3
159
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Il divisorio agisce nell’ambiente 2 come se esso stesso fosse una sorgente acustica di
potenza Wt. Poiché siamo in regime stazionario la densità di energia nell’ambiente 2
varrà, per la D5, pag. 153:
U2 =4 Wt
c A2=
t U1 Sd
A2D.4
con A2 =P
ai Si . E dunque
U1
U2=
A2
t Sd
da cui, ricordando che ∆L = 10 logp21
p22
= 10 logU1
U2si ottiene la 4.2.
La 4.2 mostra come la differenza di livello acustico fra un locale disturbante ed
un locale disturbato cresca non soltanto al crescere del potere fonoisolanteR del
divisorio, ma anche al crescere del potere fonoassorbente del locale disturbato.
Valutazione del potere fonoisolante delle pareti edilizie
Per una parete costituita da un solo strato dimateriale omogeneo,il potere fonoisolante
è, in prima approssimazione, funzione della frequenzaf del suono e della massa
frontaleM della
parete, in esso
può esse
La 4.3, no
6 dB per
In realtà
frequenz
La legge
frequenz
di vibraz
costante
cosiddett
160
s della parete, a sua volta definita come la massa per unità di superficie
kg/m2. Per onde sonore diffuse, ovvero provenienti da tutte le direzioni,
re calcolato come:
R = 20 log(f Ms) − 48 4.3
ta come legge della massa, mostra come il potere fonoisolante cresca di circa
ogni raddoppio della frequenza o della massa frontale.
l’andamento tipico del potere fonoisolante di una parete in funzione della
a è quello indicato in Fig. 4.3.
della massa vale soltanto in una banda limitata di frequenze (regione II). Per
e più basse (regione I) si risentono gli effetti dirisonanza dei modi propri
ione flessionale del tramezzo. Per frequenze più elevate (regione III)R è
mente inferiore a quanto previsto dalla legge della massa. Ciò è dovuto al
oeffetto di coincidenza, che si manifesta quando fra la lunghezza d’onda
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
Regione I:risonanza
Regione II:legge della massa
Regione III:coincidenza
Frequenza fc
Fig. 4.3 – Potere fonoisolante di una parete.
λa delle onde sonore incidenti secondo un angoloα e la lunghezza d’ondaλd delle
vibrazioni flessionali nel divisorio (vedi Fig. 4.4) si verifica la relazione:
λa = λd sin(α)
La massima lunghezza d’ondaλa,max per cui si verifica l’effetto di coincidenza è
dunque quella che corrisponde all’incidenza radente (α = 90). Ad essa corrisponde
la minima frequenza di coincidenzafc = c/λa,max, detta frequenza critica della
parete, alla quale si manifesta un minimo relativo del potere fonoisolante.
Negli impieghi pratici si utilizza una curva di valutazione (vedi Fig. 4.5) proposta
dall’ISO che consente di esprimere con un solo numero la capacità di isolamento
acustico di una parete. Questo numero, dettoindice di valutazione (I), è dato dal
valore che assume la curva di valutazione ISO a 500 Hz quando la si trasla in
verticale fino ad ottenere la migliore approssimazionecon la curva reale. Questa
approssimazione è definita dalle condizioni:
∑(Ii − Ri) < 12 e (Ii − Ri)max < 5
In Tab. 4.1 sono riportati i valori del potere fonoisolante alle varie frequenze e
dell’indice di valutazione per alcuni tipi comuni di parete edilizia.
161
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
d
Fig. 4.4 – Effetto di coincidenza.
Fig. 4.5 – Curva di valutazione.
162
4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO
In presenza di trasmissione indiretta il potere fonoisolante si riduce di3÷5 dB e viene
detto potere fonoisolante apparente.
Tab. 4.1 – Potere fonoisolante e indice di valutazione (in dB) di alcune
pareti.
Tipo di divisorio Frequenze (Hz) Indice I125 250 500 1000 2000 4000 (ISO)
Parete di mattonipieni intonacata(spessore 12 cm,peso 220 kg/m3)
34 35 40 50 55 57 45
Idem (spessore 24 cm,peso 440 kg/m3)
40 44 50 56 57 57 54
Parete di mattoni forati(spessore 28 cm)
37 43 52 60 64 65 57
Parete in calcestruzzointonacata (spessore18 cm, peso 440 kg/m3)
40 42 50 58 66 68 54
Parete in calcestruzzo(2 strati di 5 cm separatida intercapedine di2.5 cm)
37 40 44 50 56 62 49
Idem (2 strati di 7.5 cmseparati daintercapedine di 7.5 cm)
37 40 50 54 56 63 52
Divisorio in gesso perlite(spessore 5 cm, peso 49kg/m3)
26 28 30 31 42 47 33
Idem (spessore 6.3 cm,peso 107 kg/m3)
31 30 29 35 45 52 34
Tramezzo mobile 15 22 26 27 33 35 29Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati(cristallo 7÷9 mm dispessore)
17 20 25 24 28 28 26
Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati condoppio cristallo (2 lastreuguali, distanti 1 cm)
17 20 23 33 33 33 25
Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati condoppio cristallo (2 lastredi diverso spessore,distanti 4 cm)
22 27 30 30 36 38 32
Idem con porta 20 22 27 30 30 35 30Doppia finestra 16 24 36 50 54 58 36
163
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Per affrontare il problema della riduzione del rumore, un problema semprepiù grave sia nei luoghi di lavoro sia nelle abitazioni e nell’ambiente esterno,occorre prendere in esame i seguenti punti:
– Caratteristiche delle sorgenti di rumore
– Modalità di propagazione dei rumori
– Rilevamento sperimentale dei dati fonometrici
– Criteri di valutazionedei rischi di danno
– Progetto di interventi per la riduzione della rumorosità
Nei paragrafi che seguono si forniranno alcune delucidazioni sulle sorgenti dirumore e sui criteri di valutazione del disturbo da esse provocato.
5.1. SORGENTI DI RUMORE
Le sorgenti di rumore sono caratterizzate da:
– potenza emessa (W )
– distribuzione dellapotenza emessa nelle varie bande di frequenza
– distribuzionedirezionale della potenza
– ubicazione della sorgente
La potenza emessa può essere determinata a partire dai livelli di intensità, misurati
ad una distanza nota dalla sorgente. Occorre innanzitutto separare la componente
165
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
del livello dovuta al rumore di fondo da quella dovuta effettivamente alla sorgente
considerata. Conoscendo i due livelli di intensità con (Lr) e senza (Lf ) sorgente
l’intensitàI della sola sorgente varrà:
I = I0
(10
Lr10 − 10
Lf10
)
e dunque il livello di intensitàL della sola sorgente vale:
L = 10 log
(10
Lr10 − 10
Lf10
)
QuandoLr superaLf di più di 10 dB,L coincide praticamente conLr.
Ricordando la 1.9, nelcaso di campo libero si ha:
W =∫s
IdS
doveS è la superficie su cui si distribuisce la potenzaW .
Il sistema di ponderazione
Poiché, come si è visto in 2.2, la sensibilità dell’orecchio umano varia in funzione della
frequenza, per ottenere dal fonometro unaindicazione proporzionale alla sensazione
acustica è necessariofiltrare opportunamente le pressioni (e dunque le intensità) in
ingresso alle varie frequenze, riducendo l’intensità dei suoni a bassa frequenza, così
come indicato dall’audiogramma normale. Questa operazione viene eseguita per
mezzo di filtri ocurve di ponderazione.
Si è ormai consolidato l’uso della curva di ponderazione A, e dei corrispondenti livelli
misurati, indicati in dBA, o dB(A).
166
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Fig. 5.1 – Curva di ponderazione A.
Tab. 5.1 – Curva di ponderazione A.
Frequenza centrale Correzione (dB) Frequenza centrale Correzione (dB)
31.5 -39.4 1000 040 -34.6 1250 0.650 -30.2 1600 1.063 -26.2 2000 1.280 -22.5 2500 1.3
100 -19.1 3150 1.2125 -16.1 4000 1.0160 -13.4 5000 0.5200 -10.9 6300 -0.1250 -8.6 8000 -1.1315 -6.6 10000 -2.5400 -4.8 12500 -4.3500 -3.2 16000 -6.6630 -1.9 20000 -9.3800 -0.8
167
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
5.2. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DISTURBO DA RUMORE
La maggior parte dei criteri di valutazione del disturbo da rumore si basa sullivello
equivalente Leq, definito come il valore di livello, costante nel tempo, che corrisponde
alla stes
esposto
doveIA i
pondera
Nel caso
ovvero,
Il livello
in rappo
di lavoro
del 26/1
14/11/97
funzione
La ISO 1
fra la pe
del livell
attività la
168
sa quantità di energia sonora (equal energy rule) a cui è stato effettivamente
il soggetto considerato, ovvero:
Leq = 10 logIA
I0= 10 log
1
T
T∫0
IA(t)I0
dt
5.1
rappresenta il valor medio dell’intensità sonora,filtrato attraverso la curva d
zione A.
di campionamenti discreti dei livelli la 5.1 diviene:
Leq = 10 log
1
T
n∑j=1
tj 10Lj/10
5.2
nelcaso di campionamenti regolari:
Leq = 10 log
1
n
n∑j=1
10Lj/10
equivalente è la base del criterio di valutazione ISO 1996 (Stima del rumore
rto alle reazioni della collettività) e ISO 1999 (Disturbi uditivi in ambiente
). In accordo con la ISO 1996 è stata promulgata in Italia la Legge 447
0/1995 (Legge Quadro sull’inquinamento acustico) chedemanda al DPCM
la definizione dei livelli equivalenti massimi di immissione, in dBA, in
della classe del territorio e del periodo del giorno (Tab. 5.2).
999 stabilisce una relazione empirica, espressa tramite il livello equivalente,
rcentuale probabile di persone affette da perdita di udito (ovvero innalzamento
o di soglia di almeno 25 dB) e l’esposizione al rumore nel corso della loro
vorativa (Tab. 5.3).
5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE
Tab. 5.2 – Livelli massimi di immissione secondo il DPCM 14/11/97.
Classe di territorioPeriodo del giorno
Diurno(6-22)
Notturno(22-6)
I - Aree particolarmente protette 50 40II - Aree prevalentemente residenziali 55 45III - Aree di tipo misto 60 50IV - Aree di intensa attività umana 65 55V - Aree prevalentemente industriali 70 60VI - Aree esclusivamente industriali 70 70
Tab. 5.3 – Percentuali di rischio di perdita di udito secondo la norma ISO
1999.
Leq Anni di esposizionedBA 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45<80 a 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0
b 1 2 3 5 7 10 14 21 33 5085 a 0 1 3 5 6 7 8 9 10 7
b 1 3 6 10 13 17 22 30 43 5790 a 0 4 10 14 16 16 18 20 21 15
b 1 6 13 19 23 26 32 41 54 6595 a 0 7 17 24 28 29 31 32 29 23
b 1 9 20 29 35 39 45 53 62 73100 a 0 12 29 37 42 43 44 44 41 33
b 1 14 33 42 49 53 58 65 74 83105 a 0 18 42 53 58 60 62 61 54 41
b 1 20 45 58 65 70 76 82 87 91110 a 0 26 55 71 78 78 77 72 62 45
b 1 28 58 76 85 88 91 93 95 95115 a 0 36 71 83 87 84 81 75 64 47
b 1 38 74 88 94 94 95 96 97 97
169
progettodidattica in rete
prog
etto
dida
ttica
in re
tePolitecnico di Torino, giugno 2003
Dipartimento di Energetica
Fisica Tecnica AmbientaleParte IV: illuminotecnica
G.V. Fracastoro
otto editore
Giovanni Vincenzo Fracastoro
Fisica Tecnica Ambientaleparte IV - illuminotecnica
Prima edizione giugno 2003
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la
fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
PARTE IV
illuminotecnica
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INDICE
1. Fotometria 175
1.1. Luce e fattore di visibili tà . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
1.2. Grandezze fotometriche . . . .. . . . . . . . . . . . . . 178
1.3. Cenni di colorimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
2. Sorgenti luminose 187
2.1. Efficienza di unasorgente luminosa . . . . . . . . . . . 187
2.2. Sorgenti luminose naturali . . . . . . . . . . . . . . . . 188
2.3. Sorgenti luminose artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . 190
2.4. Apparecchi illuminanti e indicatrice di emissione . . . . 195
3. Illuminazione artificiale di esterni 197
3.1. Calcolo dell’illuminamento prodotto in un punto . . . . . 197
3.2. Calcolo pratico dell’ illuminamento . . . . . . . . . . . 198
4. Illuminazione di interni 203
4.1. Requisiti essenziali per l’illuminazione artificiale . . . . 203
4.2. Determinazionedel flussoluminoso . . . . . . . . . . . 206
4.3. Il luminazionenaturale di interni . . . . . . . . . . . . . 209
Bibliografia 215
173
1. FOTOMETRIA
1.1. LUCE E FATTORE DI VISIBILITÀ
La luce è convenzionalmente definita come l’insieme delle radiazioni elettromagneti-
che, di lunghezza d’onda compresa tra 0.38µm e 0.78 µm, che l’occhio umano è in
grado di percepire.
Il fattore di proporzionalità fra la quantitàdi energia posseduta da una radiazione
monocromatica che raggiunge l’occhio umano e l’intensità della sensazione visiva non
è costante, ma dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione. La visibilità di una
radiazione integrale risulta pertanto dalla somma dei contributi delle varie radiazioni
monocromatiche, ognuno dei quali viene pesato in modo diverso a seconda della sua
lunghezza d’onda.
Detto pertanto:
Φe(λ) =dΦe
dλ
il flussoenergetico monocromatico, ovvero la potenza associata ad una radiazione
monocromatica (in W/µm), il flusso energetico integrale varrà:
Φe =
∞∫
0
Φe(λ)dλ
175
1. FOTOMETRIA
e Φ(λ), flusso luminoso monocromatico, misurato in lumen1 al micron (lm/µm), sarà
dato da:
Φ (λ) = K (λ) Φe (λ) 1.1
doveK(λ) è
sono [lm/W].
A seconda d in
funzione due tipi di fotorecettori. Per bassi valori di luminosità (visione notturna o
scotopica) operano ibastoncelli, chenon consentono la visione dei colori. Per valori
più alti (visione diurna ofotopica) operano iconi, che a loro volta presentano tre tipi
di fotorecettori, sensibili al rosso, al verde e al blu, consentendo all’occhio umano
la visione cosiddettatricromatica. Ai due meccanismi di visione corrispondono due
diversi andamenti del fattore di visibilità.
In entram nale,
introduce
doveKm
In visione diurna si haKmax = 683 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.555µm.
In visione notturna si haKmax = 1700 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.505 µm.
La CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) ha definito nel 1924 due curve
normalizzate che rappresentano il fattore di visibilità relativo (vedi Fig. 1.1 e Tab.1.1)
in funzione della lunghezza d’onda per visionefotopica e scotopica. La curva fotopica
di visibilità relativa presenta pertanto il massimo(V (λ) = 1) alla lunghezza d’onda
di 0.555µm, mentre la curva scotopica ha il massimo perλ = 0.505µm.
ito.
1Il lumen è l’unità di misura del flusso luminoso, il cui valore sarà precisato nel segu176
il fattore di visibilità, o semplicemente lavisibilità, le cui dimensioni
Il flusso luminoso sarà dunque dato da:
Φ =∫ ∞
0
K (λ) Φe (λ) dλ 1.2
ella luminosità della sorgente luminosa nell’occhio umano entrano
bi i casi il fattore di visibilità può essere espresso in forma adimensio
ndo ilfattore di visibilità relativo V (λ), variabile fra 0 ed 1:
V (λ) =K (λ)Kmax
1.3
ax rappresenta il valore massimo del fattore di visibilità.
1. FOTOMETRIA
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
0.8
0.9
1
350 450 550 650 750
lunghezza d'onda (nm)
Fat
t
Fig. 1.1 – Fattori di visibilità relativi normalizzati CIE (fotopica: linea continua;
scotopica: tratteggiata).
Tab. 1.1 – Valori del coefficiente di visibilità in visione fotopica.
λ(µm) V (λ) λ(µm) V (λ) λ(µm) V (λ)
0,38 0,00004 0,52 0,710 0,65 0,1070,39 0,00012 0,53 0,862 0,66 0,0610,40 0,0004 0,54 0,954 0,67 0,0320,41 0,0012 0,55 0,995 0,68 0,0170,42 0,004 0,555 1,000 0,69 0,00820,43 0,0116 0,56 0,995 0,70 0,00410,44 0,023 0,57 0,952 0,71 0,00210,45 0,038 0,58 0,870 0,72 0,001050,46 0,060 0,59 0,757 0,73 0,000530,47 0,091 0,60 0,631 0,74 0,000250,48 0,139 0,61 0,503 0,75 0,000130,49 0,208 0,62 0,381 0,76 0,000070,50 0,323 0,63 0,265 0,77 0,000030,51 0,503 0,64 0,175
177
1. FOTOMETRIA
1.2. GRANDEZZE FOTOMETRICHE
La grandezza fondamentale in fotometria è l’intensità luminosa (I), la cui unità di
misura è lacandela (cd), definita come il flusso luminoso emesso in una data direzione
nell’unità di angolo solido da una sorgente monocromatica di frequenza 540·1012 Hz
(equivalente ad una lunghezza d’ondaλ = 0.555µm), la cuiintensità energetica in tale
direzione vale 1/683 W/sr.2
Il flusso lu
e dunque:
Φ =∫
4π
I dω 1.5
L’unità di misuradel flusso luminoso è, come si è già detto, illumen (lm), pari pertanto
a 1 candela per steradiante.
Si definisce poi la radianza oemettenza M :
M =dΦ
dSem1.6
dove Sem è la superficie emittente. L’unità di misura della emettenza è il lm/m2
(talvolta detto "lux sul bianco" o "lux s.b.").
Un’ultima importante caratteristica delle sorgenti luminose è laluminanza L:
L =d2Φ
dω dSem cos ε=
dI
dSem cos ε=
dM
dω cos ε1.7
dove ε è l’angolo di emissione, cioè l’angolo formato dal raggio emesso con la
normale alla superficie emittente.
L’unità di misura della luminanza è la cd/m2 (detta anchenit).
2Si osservi che in tal modo, poiché il fattore di visibilitàper la lunghezza d’ondaλ = 0.555µm è
massimo e vale 683 lm/W, l’intensità luminosa di questa sorgente vale proprio 1 lm/sr, ovvero
1 cd.
178
minoso è legato all’intensità luminosa attraverso la relazione:
I =dΦdω
1.4
1. FOTOMETRIA
È possibile dimostrare che, nel caso in cui una superficie luminosa emetta con
luminanza costante al variare della direzione (si parla in tal caso di una sorgente
lambertiana, ovvero che segue la legge di Lambert), sussiste fra luminanza ed
emettenza la relazione:
M = π L 1.8
Vi è infine un’altra importante grandezza fotometrica, caratteristica non della sorgente
luminosa
in cui Sric è
il lux (lx), p
Nell’intera
tempo de
α, ρ). Allo
una super
detti fatto
luminosa
Se, pertan
illuminam
emettenza
1.3. CE
La colorim
l’occhio u
(colore) ch
sensazioni
ma della superficie illuminata, dettailluminamento (E), definita come:
E =dΦ
dSric1.9
rappresenta la superficie ricevente. L’unità di misura dell’illuminamento
2
ari a 1 lm/m .zione fra la radiazione elettromagnetica e una superficie si erano a suo
finiti i fattori di trasmissione, assorbimento e riflessione (rispettivamenteτ ,
stesso modo quando la luce, ovvero la radiazione visibile, interagisce con
ficie, può essere trasmessa, assorbita o riflessa, e i rispettivi fattori vengono
re di trasmissione luminosa, di assorbimento luminoso e di riflessione
(τ l, αl, ρl).
to, su una superficie lambertiana avente fattore di riflessioneρl è presente un
entoE, questa superficie diverrà essa stessa una sorgente luminosa avente
M = ρ E e luminanza:
lL =ρlE
π1.10
NNI DI COLORIMETRIA
etria rappresenta il legame fra gli stimoli, di natura fisica, che raggiungono
mano (radiazioni elettromagnetiche) e la sensazione, di natura fisiologica
e essi producono. Le radiazioni dilunghezza d’onda diversa producono
cromatiche (colori) diverse (Tab. 1.2).
179
1. FOTOMETRIA
0
1
2
3
4
5
6
430 480 530 580 630
lunghezza d'onda (nm)
Sog
lia c
rom
atic
a di
ffere
nzia
le (
nm)
Fig. 1.2 – Soglia cromatica differenziale.
Tab. 1.2 – Corrispondenza fra colore e lunghezza d’onda.
Colore Campo di lunghezza d’onda (nm)violetto < 430blu 430-500verde 500-570giallo 570-590arancio 590-610rosso > 610
La sensibilità dell’occhioumano alle variazioni di lunghezza d’onda della radiazione
elettromagnetica è ben descritta dal concetto di soglia differenziale (Fig. 1.2). Questa
rappresenta la variazione di lunghezzad’onda fra due radiazioni monocromatiche
necessaria affinché venga percepita una variazione cromatica (o di tinta) fra di esse.
La soglia cromatica differenziale è a sua volta funzione della lunghezza d’onda, ed ha
due minimi relativi (pari a circa 1 nm) intorno a 500 e 600 nm. Ne risulta che l’occhio
umano è in grado di percepire almeno 150 colori puri diversi. Se a livello di radiazioni
monocromatiche esiste una relazione di biunivocità fra lunghezza d’onda e sensazione
180
1. FOTOMETRIA
cromatica, ciò non è più vero per radiazionicaratterizzate da spettri complessi; ovvero,
a diverse distribuzioni spettrali possono corrispondere uguali sensazioni cromatiche.
Inoltre, se due colori puri vengono sovrapposti, l’occhio non è più in grado di
distinguerne le componenti, diversamenteda quanto accade, ad esempio, per due suoni
puri sovrapposti.
Le leggi di Grassman
A queste considerazioni Grassmann, già alla fine del secolo scorso, diede un carattere
di sistematicità attraverso una serie di leggi, che possono essere così riassunte:
1. in un colore l’occhio distingue tre caratteristiche
– splendore, legato alla luminanza della sorgente
– tinta, legata alla lunghezza d’onda
– saturazione, legata alla purezza, ovvero alla quantità di bianco
presente nel colore
2. miscelando due colori le caratteristiche della miscela cromatica variano con
continuità al variare delle proporzioni dei due colori
3. l’aggiunta di uno stesso colore a due colori uguali produce nuovamente due
colori uguali, indipendentemente dalla loro distribuzione spettrale originaria
4. la luminanza di una miscela di colori è la somma delle luminanze dei colori
componenti
L’ apparecchio che consente di verificare sperimentalmente l’uguaglianza fra due
colori si chiamacolorimetro. Esso è costituito da uno schermo bianco (avente cioè
ρ = 1 per tutte le lunghezze d’onda) illuminato per metà dal colore incognitoC e
per metà da tre sorgenti monocromatiche primarie,rossa R (λ = 0.700µm), verde G
(λ = 0.546 µm) e blu B (λ = 0.436µm).
Regolando opportunamente l’intensità delle tre luciR, G, B (e dunque la loro
luminanza) si può ottenere un colore equivalente aC. Quando non è possibile ottenere
il coloreC per via additiva, è sempre possibile ottenere una equivalenza fra due delle
181
1. FOTOMETRIA
tre sorgenti primarie e la terza sommata al coloreC, in tal modo "sottraendo" la terza
sorgente primaria.
Si può pertanto scrivere:
L (C) = LR + LG + LB 1.11
ovvero il coloreC, di luminanzaL(C), vieneottenuto come miscela dei coloriR,
G, B, di luminanzeLR, LG, LB (dette luminanze dei colori primari in condizioni di
equilibrio, ounità tricromatiche della luminanza del colore).
Il triangolo dei colori
Per motivi di opportunità, ad esempio per evitare che vi siano dei colori che in uno
spazioLR, LG, LB assumono coordinate negative, si è operato un cambiamento di
coordinate definendo un nuovo spazio tricromaticoX , Y , Z in cui:
X = 2.7689LR + 0.38159LG + 18.801LB
Y = LR + LG + LB 1.12
Z = 0.012307LG + 93.066LB
Si osservi chela coordinataY coincide con la luminanza del colore considerato.
Si
Val
e d
pia
(1,
no
infa
18
definiscono poi le coordinate ridotte:
x =X
X + Y + Zy =
Y
X + Y + Zz =
Z
X + Y + Z1.13
e naturalmente:
x + y + z = 1 1.14
unque bastano due coordinate ridotte per rappresentare un colore. Si è scelto il
no (x,y). Su questo piano la (1.14) individua un triangolo di vertici (0,0), (0,1),
0) detto triangolo dei colori o diagramma cromatico CIE (Fig. 1.3). In realtà,
n tutti i punti all’interno di tale triangolo corrispondono a dei colori. Questi sono
tti contenuti all’interno di una linea (V GR) che rappresenta i colori puri o saturi,
2
1. FOTOMETRIA
W
(V)≈(B)
BIANCO
6000
40002000
Fig. 1.3 – Diagramma cromatico CIE.
ovvero i colori rappresentabili con radiazioni monocromatiche. Il punto V (violetto)
corrisponde alla lunghezza d’onda di 0.400 µm, il G (verde) a λ= 0.546 µm, il punto
R (rosso) a λ = 0.780 µm.
Il punto W , di coordinate xW = yW = zW = 1/3, è detto bianco di uguale energia.
Tale punto è assai prossimo a quello che si otterrebbe da una radiazione caratterizzata
da Φe(λ) costante su tutto lo spettro visibile.
Il segmento (V R) non corrisponde ad alcun colore puro spettrale, ma a colori costituiti
da una miscela di violetto e rosso che prendono il nome di porpore o magente. Due
colori si dicono complementari se il segmento che li unisce nel triangolo dei colori
passa per W .
Ogni colore C situato all’interno della linea (V GR), eccettuati quelli contenuti nel
triangolo V RW , è una miscela di un colore puro D (detto dominante di C) e di
bianco (W ). La sua purezza colorimetrica o saturazione (pc) è data dal rapporto
fra i segmenti WC e CD:
183
1. FOTOMETRIA
pc =WC
WD1.15
Ovviamente:
pc(W ) = 0 e pc(D) = 1
Se si utilizza come sorgente luminosa un corpo nero a temperature diverse, si osserva
che a ciascuna temperatura corrisponde un diverso effetto cromatico. Riportando
tale effetto cromatico sul triangolo deicolori si ottiene una linea curva, dettaluogo
planckiano, chepermette di stabilire una correlazione fra la dominante del colore e la
temperatura del corpo nero (temperatura di colore).
Note le luminanzeY1 e Y2 e le coordinate colorimetriche ridotte (x1, y1), (x2, y2) di
due coloriC1 eC2 si può ricavare sul triangolo dei colori il coloreC3 miscela dei due.
Infatti, per la quarta legge di Grassmann:
X3 = X1 + X2
Y3 = Y1 + Y2
Z3 = Z1 + Z2
ovvero:
Ponendo:
si avrà, da
184
x3 =X3
X3 + Y3 + Z3=
X1 + X2
X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z21.16a
y3 =Y3
X3 + Y3 + Z3=
Y1 + Y2
X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z21.16b
T1 =Y1
y1=
X1 + Y1 + Z1
Y1Y1 = X1 + Y1 + Z1 1.17a
T2 =Y2
y2=
X2 + Y2 + Z2
Y2Y2 = X2 + Y2 + Z2 1.17b
lle 1.16:
x3 =X1 + X2
T1 + T2e y3 =
Y1 + Y2
T1 + T2
1. FOTOMETRIA
ma:
X1 = x1 T1 e X2 = x2 T2
Y1 = y1 T1 e Y2 = y2 T2
e pertanto:
x3 =x1 T1 + x2 T2
T1 + T2y3 =
y1 T1 + y2 T2
T1 + T21.18
185
2. SORGENTI LUMINOSE
2.1. EFFICIENZA DI UNA SORGENTE LUMINOSA
Le sorgenti luminose vengono distinte in:
– naturali (il Sole, la volta celeste) e
– artificiali (lampade)
La caratteristica fondamentale di una sorgente luminosa è la sua efficienza luminosa.
Nel caso di sorgenti naturali essa è pari al rapporto fra il flusso luminoso emesso e il
flusso di energia radiante emessa (flusso energetico):
η =ΦΦe
2.1a
Poiché il flusso energetico è emesso soltanto per irraggiamento, si può scrivere,
ricordando la (1.2) e la (1.3):
η =ΦΦe
= Kmax
∞∫
0
V (λ) Φe (λ) dλ
∞∫
0
Φe (λ) dλ
Nelle sorgenti artificiali, invece, l’espressione dell’efficienza luminosa è la seguente:
η =Φ
Wel2.1b
187
2. SORGENTI LUMINOSE
in cui Wel rappresenta la potenza elettrica assorbita dalla rete. Questa è pari alla
potenza termica dissipata dalla lampada per irraggiamento e, in parte minore, per
convezione. Pertanto Wel > Φe.
2.2. SORGENTI LUMINOSE NATURALI
Le due principali sorgenti luminose naturali sono il Sole e la volta celeste.
Dal punto di vista energetico l’entità della potenza inviata direttamente dal Sole
sull’unità di superficie viene detta irradianza solare diretta. La radiazione solare
presenta, fuori dell’atmosfera, uno spettro continuo, assai simile a quello di un corpo
nero a 5800 K, compreso dunque, per il 90% circa, nella regione dello spettro che
va da 0.3 µm a 2.5 µm (si veda il concetto di fattore di radiazione di pag. 97).
L’entità dell’irradianza solare diretta extra-atmosferica su una superficie normale ai
raggi solari alla distanza media Sole-Terra viene detta costante solare ed ha un valore
di circa 1360 W/m2. Fuori dell’atmosfera il cielo appare invece nero.
Nell’attraversare gli strati atmosferici, la radiazione solare viene in parte riflessa (in
particolare dalle nuvole), in parte diffusa (scattering) dalle molecole di azoto ed
ossigeno, in parte assorbita da alcuni gas atmosferici (ozono, anidride carbonica e
vapor d’acqua). Ne risultano due fenomeni:
– l’attenuazione della irradianza solare diretta, soprattutto in corrispondenza
delle bande di lunghezza d’onda dove si manifesta l’assorbimento dei gas
atmosferici (vedi Fig. 2.1);
– la nascita di una componente di irradianza solare diffusa dal cielo.
A terra, col Sole allo Zenit e il cielo sereno, l’irradianza solare diretta orizzontale
(Ibh) raggiunge i 700-800 W/m2, mentre la diffusa (Idh) vale circa 150-200 W/m2. Al
diminuire dell’altezza del Sole sull’orizzonte la quota orizzontale diretta si riduce per
due motivi:
188
2. SORGENTI LUMINOSE
campo del visibile
Fig. 2.1 – Potere emissivo monocromatico del Sole.
– la diminuzione, secondo la legge del coseno, della componente verticale
dell’irradianza
– l’aumento della massa d’aria attraversata
La massa d’aria (m) rappresenta il rapporto fra il percorso dei raggi solari negli strati
atmosferici e lo spessore dell’atmosfera. Essa è calcolabile come:
m = 1/sinβ
dove β è l’altezza del Sole sull’orizzonte.
L’efficienza luminosa del Sole è di circa 100-120 lm/W, valore assai lontano dal
massimo teorico (680 lm/W). Tuttavia, è interessante notare che la temperatura di
5800 K è assai vicina a quella a cui corrisponde la massima efficienza luminosa di un
corpo nero (vedi Fig. 2.2).
189
2. SORGENTI LUMINOSE
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000
Temperatura (K)
Effi
cien
za lu
min
osa
(lm/W
)
Fig. 2.2 – Efficienza luminosa di un corpo nero in funzione della sua temperatura.
2.3. SORGENTI LUMINOSE ARTIFICIALI
Le sorgenti luminose artificiali, dette comunemente lampade, si dividono in due grandi
categorie:
– a incandescenza
– a scarica nei gas (o a luminescenza)
Lampade ad incandescenza
Il funzionamento delle lampade ad incandescenza è basato sulla dissipazione di
potenza per effetto Joule da parte di una resistenza (filamento) percorsa da corrente
elettrica. A causa di ciò il filamento raggiunge alte temperature (intorno ai 2300 -
3000 C) e parte del flusso termico irraggiato risulta visibile.
Le lampade ad incandescenza sono costituite da quattro componenti principali:
– il bulbo o ampolla
– l’attacco
– il filamento
– il gas di riempimento
190
2. SORGENTI LUMINOSE
che può esser così descritta: lo iodio, dissociatosi in corrispondenza del filamento
a causa delle elevate temperature là esistenti, reagisce con il tungsteno che tende a
migrare verso la faccia interna del bulbo, formando, alla temperatura di 600-700 C,
ioduro di tungsteno:
W + 2I → W I2
Lo ioduro di tungsteno precipita sul filamento dove, a causa dell’elevata temperatura,
si dissocia:
W I2 ↔ W + 2I
Viene così liberato tungsteno, che si rideposita sul filamento, e iodio atomico, che
migra nuovamente verso la periferia della lampada per ricominciare la sua funzione di
rigenerazione.
Questo processo ha consentito di innalzare notevolmente la temperatura del filamento
(fino a 3000 C) e dunque l’efficienza della lampada.
Le lampade ad alogeni trovano impiego nei proiettori e nei fari degli autoveicoli.
Lampade a luminescenza
Il principio su cui si basa questo tipo di lampade può essere descritto come segue.
Si introduce in un bulbo di vetro di forma allungata un gas o un vapore metallico. Agli
estremi del bulbo (o tubo) sono posizionati due elettrodi, che vengono sottoposti ad
una differenza di potenziale. Il catodo emette elettroni i quali, accelerati dal campo
elettrico, attraversano il tubo urtando gli elettroni periferici degli atomi del gas che vi
è stato introdotto. Se l’energia cinetica degli elettroni è bassa l’urto è di tipo elastico,
cioè l’elettrone urtato non si sposta dalla propria orbita. Superato un certo valore della
differenza di potenziale fra gli elettrodi (potenziale di risonanza) l’energia cinetica
degli elettroni diviene tale da rendere anelastico l’urto; gli elettroni atomici si spostano
in conseguenza di ciò su un’orbita caratterizzata da un livello energetico più alto. Nel
riportarsi allo stato normale essi emettono sotto forma di fotoni una quantità di energia
pari alla differenza di livello energetico delle due orbite. La lunghezza d’onda a cui
viene emessa la radiazione è data da:
192
2. SORGENTI LUMINOSE
corrente di scarica
normale anormale
arco
tensione diaccensione
transitorioV
O
A
B
C
Fig. 2.3 – Diagramma tensione-corrente nelle lampade a scarica nei gas.
λ =1234V
[nm] 2.2
dove V è il potenziale di risonanza, funzione del tipo di atomo del gas introdotto nella
lampada. La radiazione emessa è dunque di tipo monocromatico. Al crescere della
differenza di potenziale gli urti fra gli elettroni si moltiplicano, e nuove righe appaiono
nello spettro della radiazione emessa.
Dal diagramma tensione-corrente caratteristico della scarica nei gas, illustrato in
Fig. 2.3, si vede che, al crescere della tensione V la corrente I cresce (tratto OA)
fino a raggiungere la saturazione (tratto AB), su un valore peraltro molto debole.
A partire da B la tensione diviene sufficiente a conferire agli elettroni una energia
cinetica tale da ionizzare gli atomi. Gli elettroni così liberati ionizzeranno a loro
volta altri atomi, con un effetto detto valanga elettronica. In queste condizioni è
sufficiente un piccolo aumento di tensione per far crescere rapidamente la corrente
(tratto BC). Il valore di tensione così raggiunto viene detto tensione di accensione. Il
suo valore dipende dal prodotto fra pressione del gas e distanza fra gli elettrodi (legge
di Paschen). Una volta innescata la scarica luminescente, la tensione può essere ridotta
al valore di funzionamento normale, stabilizzando la corrente mediante una bobina di
autoinduzione.
Dalla Fig. 2.3 si vede che per l’innesco occorre una sovratensione momentanea
rispetto alla tensione di funzionamento. In altri casi l’innesco viene facilitato
adottando un elettrodo ausiliario, più vicino, che viene poi escluso nel funzionamento
193
2. SORGENTI LUMINOSE
normale, oppure preriscaldando gli elettrodi, in modo da ridurre il potenziale di
estrazione, per mezzo di uno starter che, chiudendosi, li mette in corto circuito, per
poi riaprirsi dopo uno o due secondi.
I principali gas impiegati nelle lampade a luminescenza sono i vapori di sodio e di
mercurio. Neon e argon vengono spesso aggiunti per innescare la scarica (luce violetta
iniziale).
Appartengono a questa categoria anche le lampade fluorescenti, nelle quali un sottile
strato di una sostanza, detta per l’appunto fluorescente, viene spalmato sulla faccia
interna del tubo entro il quale avviene la scarica. Queste sostanze (tungstato di calcio
e di magnesio, silicato di calcio, zinco e cadmio, fosfato di calcio, etc.) hanno la
proprietà di assorbire la radiazione ultravioletta emettendo a loro volta radiazione
di lunghezza d’onda maggiore (e quindi almeno in parte luminosa). Esse vengono
impiegate soprattutto nelle lampade a vapori di mercurio, nelle quali la potenza emessa
nell’UV (circa un quarto del totale) viene spostata per fluorescenza nel visibile e
nell’IR.
Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio difunzionamento
Tipo dilampada
Potenza(W)
Efficienza(lm/W)
Duratautile(ore)
Campidi impiego
Incandescenza
Normale abulbo
25-100 8-12 1000 abitazioni,negozi
100-1500 12-20 1000 negozi, locali diservizio
ad alogeni 10-100 25-30 150 autoveicoli100-2000 14-25 2000 atri, impianti
sportivi, esternoedifici
Luminescenza
a vaporidi Hg
50-2000 35-65 6000-10000
capannoniindustriali
a lucemiscelata
100-500 11-30 6000 fabbriche, ma-gazzini, strade
a vapori diNa (a bassapressione)
18-210 72-145 10000 incroci, svincoli,gallerie stradali,aree all’aperto
»
194
2. SORGENTI LUMINOSE
Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.
Principio difunzionamento
Tipo dilampada
Potenza(W)
Efficienza(lm/W)
Duratautile(ore)
Campidi impiego
a vapori diNa (ad altapressione)
70-1000 75-120 9000 capannoni in-dustriali, strade,aeroporti, porti
Fluorescenti
normali 18-58 40-75 6000-8000
officine
ad altaemissione
115-215 55-62 6000-8000
officine
ad alta resacromatica
18-58 51-76 6000-8000
impieghi civili eindustriali
•
2.4. APPARECCHI ILLUMINANTI E INDICATRICE DI EMISSIONE
In genere la lampada è contenuta in un apparecchio illuminante, che ha la funzione di:
– orientare il fascio luminoso
– evitare l’abbagliamento diretto
– proteggere la lampada contro choc meccanici e penetrazione di umidità
– proteggere l’utente da choc elettrici
Il controllo del flusso luminoso si ottiene sfruttando le proprietà di riflessione,
rifrazione e diffusione di alcuni materiali e conferendo particolari forme alla parte
ottica (riflettore o rifrattore) degli apparecchi illuminanti. In conseguenza di ciò
l’intensità luminosa dell’insieme lampada+apparecchio varia in funzione dell’angolo
solido di emissione. Si ha cioè:
I = I (ω) 2.3
Introducendo un sistema di coordinate polari (ε, ϕ), con:
dω = sin ε dε dϕ 2.4
195
2. SORGENTI LUMINOSE
la funzione I = I (ε, ϕ) rappresenta una superficie, luogo dei punti estremi dei vettori
intensità luminosa, detta superficie fotometrica. Il volume da essa delimitato viene
detto solido fotometrico. Il solido fotometrico si rappresenta di solito tracciandone una
o più sezioni che prendono il nome di curve fotometriche o indicatrici di emissione.
Se la superficie fotometrica è una superficie di rotazione ed ε è l’angolo formato dalla
direzione di emissione con l’asse di rotazione, si ha I = I (ε), ed è sufficiente la
conoscenza, sotto forma grafica, tabulare o (più raramente) analitica, di una indicatrice
di emissione per descrivere compiutamente la superficie fotometrica. In caso contrario
tale superficie viene in genere espressa per mezzo di due indicatrici di emissione,
determinate dall’intersezione di due piani, in genere ortogonali fra loro e passanti per
l’asse principale della lampada, con la superficie fotometrica.
Un caso particolare è quella delle lampade a superficie fotometrica sferica, in cui
l’intensità è costante in tutte le direzioni (I = I0). In questo caso la relazione fra
flusso e intensità è particolarmente semplice:
Φ = 4πI = 4πI0 2.5
Geometria delle sorgenti luminose
Nel calcolo dell’illuminazione artificiale è opportuno distinguere, in base alla
geometria del problema, fra sorgenti:
– puntiformi, quando le dimensioni della sorgente luminosa sono trascurabili
rispetto alla distanza fra la sorgente stessa e il punto illuminato
– lineari, quando due delle tre dimensioni della sorgente sono trascurabili
– superficiali, quando una delle tre dimensioni è trascurabile
– estese in volume, quando nessuna delle tre dimensioni della sorgente luminosa
è trascurabile rispetto alla distanza.
Nel seguente capitolo verrà trattato a titolo esemplificativo il caso di illuminazione
prodotta da sorgenti puntiformi.
196
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
3.1. CALCOLO DELL’ ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO
In ambienti esterni la sorgente può essere considerata, con buona approssimazione,
puntiforme. L’illuminamento prodotto da una sorgente puntiforme in un punto P
appartenente ad una superficie riceventeSr, perle 1.4 e 1.9 è dato da:
E = Idω
dSr
e, dettoj l’ angolo di incidenza (angolo formato dalla direzione del raggio con
la normale alla superficieSr nel punto P), si ha immediatamente, ricordando che
dw = dSr cos j/d2 (vedi Fig. 3.1):
Si osservi che tutti e tre i term
relativa del punto illuminato
illuminato dalla sorgente c
sensibilmente il terminecos j
una lampada caratterizzata
A tal proposito occorre ricor
sono in genere uguali, a me
superficie illuminata.
E = Icos j
d23.1
ini che compaiono nella (3.1) dipendono dalla posizione
rispetto alla sorgente. Al crescere della distanza del punto
resce in genere anche l’angoloj, e dunque diminuisce/d2. Percompensare tale fenomeno occorre adottare
da unaidonea indicatrice di emissioneI = I (ε, ϕ).
dare che l’angolo di emissione e l’angolo di incidenza non
no che l’asse principale della lampada non sia normale alla
197
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
Sr
S
dS
n
r
d
j
d
P
asse lampada
Fig. 3.1 – Illuminamento prodotto da sorgente puntiforme.
3.2. CALCOLO PRATICO DELL’ ILLUMINAMENTO
Per calcolare l’illuminamento medio su unasuperficie occorre suddividerla in areole
elementari e calcolare l’illuminamento nelbaricentro di ogni areola, assumendo che il
suo valore in tale punto sia pari a quello medio nell’areola considerata.
Noto l’illuminamento e l’area per ogni superficie elementare, l’illuminamento medio
si calcola dalla relazione:
E =1S
∫S
E dS =1S
(n∑
i=1
Ei Si
)3.2
doven è il numero di areole.Se tutte le areoleSi sono uguali (n = S/Si) si ottiene:
E =1n
n∑i=1
Ei
La distribuzione dell’illuminamento su una superficie può essere rappresentata gra-
ficamente attraverso lelinee isolux (linee di uguale illuminamento), oppure più
sinteticamente attraverso ilrapporto di uniformità, definito come il rapporto fra
illuminamento minimo e medio, oppure fra minimo e massimo. Nel caso in cui, come
per le superfici stradali, quello che conta è la luminosità della superficie illuminata, a
prescindere dal flusso luminoso che vi incide sopra, il parametro che occorre rispettare
198
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
è in realtà la luminanza, che si calcola, se la superficie è lambertiana ed ha un
coefficiente di riflessioneρl, come indicato dalla (1.10):
L =ρlE
π
Requisiti per l’illuminazione di esterni
Per le strade il rapporto di uniformità viene calcolato come rapporto fra le luminanze
(anche se, in realtà, ciò equivale a operare un rapporto fra gli illuminamenti). Si
definisce un rapporto diuniformità generaleU0:
U0 =Lmin
L=
ρ Emin/π
ρ E/π=
Emin
E3.3a
dove i valori minimo e medio sono valutati sull’intera superficie stradale, e un rapporto
di uniformità longitudinaleUl:
Ul =Lmin
Lmax=
Emin
Emax3.3b
Tab. 3.1 – Valori minimi raccomandati di luminanza e del fattore di
uniformità per le strade (norma UNI 10439).
Classe Tipo di strada Livello mediodi luminanza
Rapporto diuniformità
(cd/m2) U0 (%) Ul (%)
A Autostrade 2.0 40 70B Strade extraurbane principali 2.0 40 70C Strade extraurbane secondarie 1.5 40 70D Strade urbane di scorrimento
veloce2.0 40 70
D Strade urbane di scorrimento 1.0 40 50E Strade urbane interquartiere 1.5 40 70E Strade urbane di quartiere 1.0 40 50F Strade extraurbane locali 1.0 40 50F Strade urbane locali interzonali 0.75 40 50F Strade urbane locali 0.50 35 40
199
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
A titolo di esempio, in Tab. 3.1 sono riportati i valori minimi della luminanza e
del fattore di uniformità da adottare per il progetto di un impianto diilluminazione
stradale. Si osservi che l’indicazione diuna luminanza minima può essere facilmente
convertita in una prescrizione di illuminamento minimo ricordando ancora la 1.10: i
coefficienti di riflessione delle strade variano da 0.13 - 0.21 per rivestimenti chiari e
levigati a 0.26 - 0.45 per rivestimenti scuri e scabri.
Un altro importante parametro per definire la qualità di un sistema di illuminazione è
il coefficiente di utilizzazione del flusso(Cu), dato dal rapporto fra il flusso incidente
sul piano utileΦu e il flusso globalmente emessoΦ:
e.
o,
Metodo grafico per la soluzione della 3.6.
Tale integrale può essere risolto graficamente impiegando un meto-
do (vedi Fig. 3.2) basato sulla seguente proprietà geometrica: una
superficie sferica sezionata da n piani paralleli ed equidistanti dà
luogo a n superfici di area uguale e pari a 4π r2‹n. I corrispondenti
i
1Per gli apparecchi illuminanti vengono in genere forniti diagrammi fotometrici in cui le intensità
sono riferite a 1 klm (1000 lm) di flusso emesso. Per cui, una volta scelta la lampada con
relativi datidi potenza e flusso luminosoΦ, i valori di intensità letti sull’indicatrice di emissione
vannomoltiplicati perΦ/1000.
Cu =Φu
Φ3.4
Il valore diΦu puòessere calcolato attraverso l’illuminamento medio sul piano util
Infatti:
Φu =∫S
E dS =n∑
i=1
Ei Si = E S 3.5
Il valore del flusso emesso Φ è in genere un dato fornito dal costruttore assieme
all’indicatrice di emissione1, dalla quale può essere ricavato, nel caso non sia not
ricordando la relazione (1.5):
Φ =∫4π
I dω =n∑
i=1
Ii ωi 3.6
200
3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI
ε
Ι
Fig. 3.2 – Metodo grafico per la determinazione del flusso emesso.
angoli solidi saranno anch’essi uguali e varranno ωi = 4π/n. Perciò
la (3.6) diviene:
Φ = ωi
nX
i=1
Ii =4π
n
nX
i=1
Ii
in cui Ii è il valore dell’intensità in corrispondenza dell’angolo
solido ωi.
Occorre tener presente che il flusso emessoΦ tende a ridursi col tempo, a causa del
degrado luminoso delle lampade e dell’apparecchio illuminante. Del primo fatto si
tiene conto attraverso uncoefficiente di deprezzamentoD, variabile fra 0.85 e 0.90, e
del secondo attraverso uncoefficiente di manutenzioneM , variabile fra 0.55 e 0.80.
Ten
endo conto delle (3.4) e (3.5) il flusso effettivo Φ è dato pertanto da:Φeff =E S
DM Cu3.7
201
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
4.1. REQUISITI ESSENZIALI PER L’ ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE
I requisiti essenziali di un impianto destinato all’illuminazione artificiale di interni
sono indicati dalla norma UNI 10380. Esso deve:
a. assicurare un adeguato livello e uniformità di illuminamento
b. evitareforti contrasti
c. evitare l’abbagliamento diretto o riflesso
d. restituire adeguatamente i colori.
a. I valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti sono riportati
in Tab. 4.1. I tre valori riportati (minimo-medio-massimo) si riferiscono
rispettivamente a compiti visivi:
· svolti occasionalmente e in cui velocità e accuratezza non sono importanti
· normali
· particolarmente importanti per velocità e accuratezza
L’ uniformità di illuminamento viene definita attraverso il rapporto fra il
valore minimo ed il valor medio spaziale dell’illuminamento. La UNI 10380
prescrive un valore minimo di 0.8.
203
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
b. Il contrasto luminoso viene espresso attraverso un coefficiente, dettofattore di
contrasto, definito come:
C =|L2 − L1|
L14.1
in cui L1 eL2 sono le luminanze di due punti vicini del campo visivo. Si deve
avere:
C < 3 traoggetto e piano di lavoro
C < 10 traoggetto e ambiente circostante
C < 20 tra sorgente e fondo
C < 40 tradue punti qualunque nel campo normale della vista
c. Per evitare l’abbagliamento è necessario che la luminanza degli oggetti nel
campo visivo non superi 1400 - 3000 cd/m2.
d. Da un punto di vista del colore della luce possono essere utilizzati diversi
indicatori:
· temperatura di colore
· tonalità di colore (Tab. 4.2)
· indice di resa cromatica
· resa del colore
Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente Illuminamento(lx)
Tonalità dicolore
Resa delcolore
ResidenzeLocali di passaggio 50-100-150 W 1ACamere, illuminazionegenerale
50-100-150 W 1A
Camere (zona letti) 200-300-500 W 1ABagni, illuminazionegenerale
50-100-150 W 1A
»
204
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da
UNI 10380).
Tipo di ambiente Illuminamento(lx)
Tonalità dicolore
Resa delcolore
Bagni (zona specchio) 200-300-500 W 1ACucine 200-300-500 W 1AEdifici per ufficiUffici generici 300-500-750 W,I 1BUffici disegno 500-750-1000 W,I 1BSale riunioni 300-500-750 W,I 1BScuoleAule, illuminazionegenerale
300-500-750 W,I 1B
Palestre 300-500OspedaliCorsie, illuminazionegenerale
50-100-150 W 1A
Locali per esami 300-500-750 W 1ALaboratori,illuminazione generale
300-500-750 W 1A
Chirurgia, illuminazionegenerale
500-750-1000 I 1A
Chirurgia, illuminazionelocalizzata
10000-30000-100000
I,C 1A
NegoziAree di circolazione 150-200-300 I 1BEsposizione merci 300-500-750 I 1BVetrine 500-750-1000 W,I,C 1B
•
Tab. 4.2 – Tonalità di colore in funzione della temperatura di colore.
Tonalità di colore Range di tem peratura di colore (K)bianco-calda (W) < 3300bianco-neutra (I) 3300 - 5300bianco-fredda (C) > 5300
L’i ndice di resa cromatica (Colour Rendering Index) definisce lacapacità di una
sorgente luminosa di restituire fedelmente i colori rispetto ad una sorgente luminosa
di riferimento. La scala varia fra 100 (accordo perfetto fra luce campione e luce di
205
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
riferimento) e 0 (nessun accordo). In Tab. 4.3 sono indicate le corrispondenze fra
l’indice di resa cromatica e la cosiddettaresa del colore.
4
L
il
v
E
u
f
Q
il
d
2
Tab. 4.3 – Corrispondenza fra resa del colore e indice di resa cromatica.
Indice di r esa cromatica (CRI) Resa del col ore (Ra)> 90 1A
80 - 90 1B60 - 80 240 - 60 320 - 40 4
.2. DETERMINAZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO
a principale difficoltà del calcolo di illuminazione degli interni consiste nel fatto che
flusso luminoso non giunge sul piano utile solo direttamente dalle lampade, ma vi
iene anche riflesso dalle pareti e dal soffitto.
sistono numerosi metodi per calcolare ilflusso luminoso necessario per realizzare
n determinato illuminamento. Il più semplice è ilmetodo del flusso totale, la cui
ormula risolutiva è identica alla (3.7) per l’illumi nazione di esterni:
Φeff =E S
Cu D M4.2
uesta volta, però, il valore diE da introdurre è ricavato dalla norma UNI 10380 e
valore diCu deveessere calcolato con l’ausilio di diagrammi o tabelle, in funzione
ei seguenti fattori:
a. tipo di apparecchio illuminante
b. geometria del problema
c. fattore di riflessione delle pareti.
06
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
a. Gli apparecchi illuminanti si possonodistinguere in funzione del sistema di
illuminazione secondo cui operano, che può esserediretto, semidiretto, misto,
semindiretto e indiretto. A sua volta questa classificazione dipende dalla
percentuale di flusso luminoso inviata verso il basso, come di seguito indicato
(Tab. 4.4).
Tab. 4.4 – Sistema di illuminazione.
Sistema di illuminazione % di flu sso inviato verso il bassodiretta >90semidiretta 60-90mista 40-60semidiretta 10-40indiretta <10
b. La geometria del locale è riassunta in un indicei, detto indice del locale,
funzione delle dimensioni a, b, h e h′ (v. Fig. 4.1):
i =a b
h (a + b)per illuminazione diretta, semidiretta o mista 4.3a
i =a b
h′ (a + b)per illuminazione indiretta o semidiretta 4.3b
A sua volta l’indice del locale serve a definire la classe del locale, secondo la
Tab. 4.5.
c. I valori dei coefficienti di riflessione delle pareti per i più comuni colori sono
riportati in Tab. 4.6.
Una volta noti il tipo di illuminazione, l’indice del locale ed il fattore di
riflessione delle pareti e del soffitto, il coefficiente di utilizzazione del flusso
può essere ricavato dalla Tab. 4.7, o daaltre similari.
207
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
h
b
h'
piano utile
a
Fig. 4.1 – Parametri geometrici per la definizione dell’indice del locale.
Tab. 4.5 – Corrispondenza fra indice e classe del locale.
Indice i 0.5-0.7 0.7-0.9 0.9-1.2 1.2-1.4 1.4-1.7 1.7-2.7 2.7-4.0 4-6Classe A B C D E F G H
Tab. 4.6 – Coefficienti di riflessione per alcune tinte di impiego comune.
Tinta Coefficie nte diriflessione
Tinta Coefficie nte diriflessione
bianco 0.90-0.75 azzurro chiaro 0.45-0.40avorio 0.85-0.80 grigio chiaro 0.40-0.15crema 0.80-0.70 grigio scuro,
marrone0.15-0.05
giallo chiaro 0.70-0.60 blu, verde erosso scuro
0.10-0.05
rosa 0.60-0.45 nero 0.04-0.01verde chiaro 0.50-0.40
208
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
4.3. ILLUMINAZIONE NATURALE DI INTERNI
Per studiare l’illuminazione naturale in un interno il procedimento rigoroso consi-
sterebbe nel considerare le finestre come sorgenti luminose di luminanza nota e nel
calcolare poi punto per punto i valori di illuminamento tenendo conto delle riflessioni
interne. Tale procedimento è di difficile attuazione. Anche in questo caso si preferisce
adottarne uno semplificato, che fa riferimento ad un indice dettofattore di luce diurna
(FLD), definito come:
FLD =Ei
Eo4.4
dove:
Ei = illuminamento orizzontale in unpunto dell’ambiente interno
Eo = illuminamento orizzontale all’esterno, misurato su una superficienon
sottoposta a irraggiamento solare diretto e senza ostacoli che ostruiscono il
cielo.
Il fattore di luce diurna varia, in un locale, da punto a punto. Il suo valore medio può
essere calcolato con la seguente espressione approssimata, che non tiene conto, ad
esempio, della forma e della posizione della finestra:
FLDm =τl Av F
(1 − ρl,m) S4.5
con
Av = area parete vetrata
τ l = coefficiente di trasmissione del vetro
ρl.m = coefficiente medio di riflessione di tutte le pareti interne (inclusa la
finestra)
S = area delle pareti interne
F = fattorefinestra
209
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Tab. 4.7 – Valori del coefficiente di utilizzazione, in %.
Curv a fotometrica
Indicelocale
Coefficiente di utilizzazioneFattore di manutenzione
Illuminazione
semidiretta
d=1,1 h
J 0.28 0.22 0.18 0.26 0.21 0.18 0.20 0.17 Plaf oniera
nuda o con
coppa
diffondente
I 0.35 0.29 0.25 0.33 0.27 0.24 0.26 0.24
H 0.39 0.33 0.30 0.37 0.32 0.28 0.30 0.27
G 0.45 0.38 0.33 0.40 0.36 0.32 0.33 0.30
F 0.49 0.42 0.37 0.43 0.39 0.34 0.37 0.33
E 0.56 0.50 0.44 0.49 0.44 0.40 0.42 0.38
D 0.60 0.55 0.50 0.53 0.48 0.44 0.47 0.44
C 0.64 0.59 0.54 0.56 0.51 0.47 0.50 0.47
B 0.68 0.62 0.59 0.61 0.56 0.53 0.54 0.52
A 0.70 0.65 0.62 0.65 0.62 0.60 0.58 0.57 0.8 0.7 0.6
Illuminazione
mista
d = 1,1 h
J 0.26 0.23 0.21 0.23 0.21 0.19 0.19 0.17 Diffusore
I 0.32 0.29 0.27 0.28 0.26 0.24 0.23 0.21
H 0.37 0.33 0.31 0.31 0.29 0.27 0.26 0.24
G 0.40 0.36 0.34 0.34 0.31 0.30 0.28 0.26
F 0.42 0.39 0.36 0.36 0.33 0.32 0.30 0.28
E 0.46 0.43 0.40 0.41 0.38 0.35 0.32 0.30
D 0.50 0.46 0.43 0.44 0.40 0.39 0.34 0.33
C 0.52 0.48 0.45 0.46 0.44 0.41 0.37 0.36
B 0.55 0.52 0.49 0.48 0.46 0.45 0.39 0.38
A 0.57 0.54 0.51 0.49 0.47 0.46 0.42 0.41 0.75 0.7 0.65
>>
210
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Curv a fotometrica
Indicelocale
Coefficiente di utilizzazioneFattore di manutenzione
Illuminazione
diretta
d = h
J 0.38 0.32 0.28 0.37 0.32 0.28 0.31 0.28 Riflettore a
fascio largo
I 0.46 0.42 0.38 0.46 0.41 0.38 0.41 0.38
H 0.50 0.46 0.43 0.50 0.46 0.43 0.46 0.43
G 0.54 0.50 0.48 0.53 0.50 0.47 0.49 0.47
F 0.58 0.54 0.51 0.56 0.53 0.50 0.52 0.50
E 0.62 0.59 0.56 0.60 0.58 0.56 0.58 0.56
D 0.67 0.64 0.61 0.65 0.63 0.61 0.62 0.61
C 0.69 0.66 0.63 0.67 0.65 0.63 0.64 0.62
B 0.72 0.70 0.67 0.70 0.68 0.66 0.67 0.66
A 0.74 0.71 0.69 0.72 0.70 0.68 0.69 0.67 0.75 0.65 0.55
Illuminazione
diretta
d = 0.9 h
J 0.35 0.32 0.30 0.35 0.32 0.30 0.32 0.30 Riflettore a
fascio medi o
I 0.43 0.39 0.37 0.42 0.39 0.37 0.39 0.37
H 0.48 0.45 0.42 0.47 0.44 0.42 0.43 0.41
G 0.53 0.50 0.47 0.52 0.49 0.47 0.48 0.46
F 0.57 0.53 0.50 0.55 0.52 0.50 0.52 0.50
E 0.61 0.57 0.55 0.59 0.57 0.54 0.56 0.54
D 0.64 0.61 0.59 0.62 0.60 0.58 0.59 0.57
C 0.66 0.63 0.61 0.63 0.61 0.60 0.61 0.59
B 0.68 0.66 0.63 0.66 0.64 0.63 0.63 0.62
A 0.69 0.67 0.66 0.67 0.66 0.64 0.65 0.63 0.75 0.65 0.55
Fattore di
riflessione pareti
Fattore di
riflessione soffitto75% 50% 30%
211
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
Il fattore finestra rappresenta il rapporto fra il flusso luminoso che giunge sul piano
della finestra e quello sul piano orizzontale. Il flusso luminoso che raggiunge la
finestra proviene a sua volta sia dal cielo chedal terreno, mentre quello sul piano
orizzontale esterno provieneper definizione soltanto dalcielo. In assenza di radiazione
diretta e supponendo isotropi la volta celeste ed il terreno il fattore finestra può essere
calcolato con la formula seguente:
F =1 + cos (Σ + Γ)
2+ ρt
1 − cos (Σ + Γ)2
4.6
in cui Σ è l’inclinazione della parete sull’orizzontale,ρt il coefficiente di riflessione
(o albedo) del terreno eΓ l’elevazione media delle eventuali ostruzioni sull’orizzonte.
I valori limite di FLDm da rispettare sono riportati in Tab. 4.8.
Tab. 4.8 – Valori limite di FLD medio (*).
FLD>1% FLD>2% FLD>3% FLD>5%Ediliziaresidenziale
tutti i locali diabilitazione
Ediliziascolastica
uffici, spazi didistribuzione,scale, serviziigienici
palestre, refet-tori e aule co-muni
ambienti auso didattico,laboratori
aule giochi eaule nido
Ediliziaospedaliera
come ediliziascolastica
palestre erefettori
ambienti didegenza,diagnostica,laboratori
(*) Valori tratti da:
Decreto del Ministero della Sanità del 5/7/1975 indirizzato all’edilizia residenziale
Decreto Ministeriale del 18/12/1975 indirizzato all’edilizia scolastica
Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n 13011 del 22/12/1974 indirizzata all’edilizia ospedaliera
A partire dal livello di illuminamento medioEi desiderato in un ambiente è possibile,
conoscendo il fattore medio di luce diurna, determinare la frazione di tempo in cui la
luce diurna è in grado di garantire una illuminazione sufficiente dell’ambiente. Sono
212
4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI
0
2000
4000
6000
8000
10000
12000
14000
16000
30 35 40 45 50 55 60
latitudine (° )
illu
min
am
en
to e
ste
rno
(lx
)
60%70%80%85%
90%
95%
Fig. 4.2 – Percentuale di tempo fra le 9 e le 17 in cui si supera un determinato valore
di illuminamento esterno in funzione della latitudine del luogo (Diagramma di Dresler).
infatti disponibili dei diagrammi che forniscono la percentuale di tempo in cui viene
superato un certo livello di illuminamento all’esternoEo in un determinato periodo
del giorno (9 - 17 per la Fig. 4.2), in funzione della latitudine del luogo. Noti il valore
di illuminamento richiesto e il fattore medio di luce diurna del locale si ha:
Eo = Ei/FLDm
In corrispondenza del valore diEo così determinato e della latitudine del luogo si
determina la frazione di tempo in cui non è richiesto l’ausilio dell’illuminazione
artificiale.
Ad esempio,per una località a 45 di latitudine, l’illuminamento esterno è superiore a
10.000 lx per l’80% del tempo compreso fra le 9 e le 17. Ciò significa che in un locale
aventeFLDm = 0.02 per l’80% del tempo l’illuminamento sarà superiore a 200 lx.
213
BIBLIOGRAFIA
I testi di riferimento da consultare per l’approfondimento dei temi trattati nellevarie parti di questo volume sono:
Barducci I.,Collana di Fisica Tecnica, Edizioni Scientifiche Associate, Roma,1982.
Boffa C., Gregorio P.,Elementi di Fisica Tecnica, Levrotto e Bella, Torino,1977.
Çengel Y.A.,Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill LibriItalia, Milano, 1998.
Per ulteriori più specifici approfondimenti si indicano di seguito i seguentitesti:
Parte I
– Abbott M.M., Van Ness H.C.,Thermodynamics, McGraw-Hill BookCompany, New York, 1972.
– Calì M., Gregorio P., Termodinamica, Progetto Leonardo, Bologna,1996.
– Cavallini A., Mattarolo L., Termodinamica Applicata, CLEUP, Padova,1992.
– Zemansky M.W,Termodinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna,1970.
Parte II
– Bonacina C., Cavallini A., Mattarolo L., Trasmissione del calore,CLEUP, Padova, 1989.
215
– Guglielmini G., Pisoni C.,Elementi di trasmissione del calore, Veschi,Mi lano, 1990.
– Holman J.P., Heat Transfer, McGraw-Hill Book Company, New York,1977.
– Mastrullo R., Mazzei P., Naso V., Vanoli R.,Fondamenti ditrasmissione del calore, Vol. I, Liguori Editore, Napoli, 1982.
Parte III
– Cirillo E., Acustica applicata, McGraw-Hill Book Company Inc., 1997.
– Spagnolo R.,Manuale di acustica applicata, UTET, Torino, 2001.
Parte IV
– Moncada Lo Giudice, G., de Lieto Vollaro, A.,Illuminotecnica,Masson Editoriale ESA, Milano 1996.
216