Fisica Tecnica Ambientale

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FISICA TECNICA AMBIENTALE G. V. Fracastoro

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FISICA TECNICA AMBIENTALE

G. V. Fracastoro

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progettodidattica in rete

prog

etto

dida

ttica

in re

tePolitecnico di Torino, maggio 2003

Dipartimento di Energetica

Fisica Tecnica AmbientaleParte I: termodinamica applicata

G.V. Fracastoro

otto editore

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PARTE Itermodinamica applicata

WWW.POLITO.IT

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Giovanni Vincenzo Fracastoro

Fisica Tecnica Ambientaleparte I - termodinamica applicata

Prima edizione maggio 2003

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la

fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

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INDICE

1. Introduzione alla termodinamica e proprietà delle sostanze 5

1.1. Definizioni fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1.2. Equilibrio, stato e trasformazione . . . . . . . . . . . . . 6

1.3. Reversibilità ed irreversibilità . . . . . . . . . . . . . . . 8

1.4. Lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

1.5. Calore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

1.6. Sostanze pure e loro fasi . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

1.7. Transizione liquido-vapore . . . . . . . . . . . . . . . . 18

1.8. I gas ideali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21

2. I Principi della Termodinamica 23

2.1. Primo principio della termodinamica . . . . . . . . . . . 23

2.2. Primo principio della termodinamica per i sistemi aperti . 27

2.3. Secondo principio della termodinamica . . . . . . . . . . 31

2.4. Secondo principio per i sistemi aperti ed exergia . . . . . 37

2.5. Equazioni di Gibbs e conservazione dell’energia meccanica 39

2.6. Trasformazioni termodinamiche . . . . . . . . . . . . . 41

2.7. Riepilogo equazioni fondamentali . . . . . . . . . . . . 42

3

Page 7: Fisica Tecnica Ambientale

3. Applicazioni: Macchine termiche 43

3.1. Le macchine termiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3.2. Macchine a ciclo diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

3.3. Macchine a ciclo inverso . . . . . . . . . . . . . . . . . 46

3.4. Cogenerazione e trigenerazione . . . . . . . . . . . . . . 49

4. Applicazioni: aria umida 53

4.1. Proprietà dell’aria umida . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

4.2. Il diagramma di Mollier per l’aria umida . . . . . . . . . 56

4.3. Trasformazioni dell’aria umida . . . . . . . . . . . . . . 59

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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA EPROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

1.1. DEFINIZIONI FONDAMENTALI

La Termodinamica studia l’energia posseduta e scambiata dai corpi nelle sue varie

forme e le trasformazioni di energia da una forma all’altra che hanno luogo durante i

processi a cui i corpi sono sottoposti. Le leggi della Termodinamica costituiscono le

restrizioni di carattere generalealle quali tali trasformazioni devono soggiacere.

La prima di tali leggi, come vedremo, riflette l’osservazione di un fatto sperimen-

talmente accertato, e cioè che l’energia si conserva. L’energia gode dunque della

proprietà di conservazione ed è possibile pertanto dire che essa esiste in quanto

si conserva.

Occorre a questo punto definire l’oggetto la cui energia si conserva. Tale oggetto,

a cui daremo il nome di sistema termodinamico, è una porzione finita di spazio,

caratterizzata da un volume e da una massa costanti o variabili, ma identificabili in

ogni istante. Il sistema è separato dall’ambiente esternoda un contorno, il quale può

consentire o no il passaggio da o verso il sistema di energia e di massa. L’insieme di

sistema + ambiente esterno costituisce l’universo. Se il contorno non lascia passare né

energia né massa il sistema è detto isolato; se lascia passare solo energia, chiuso; se

lascia passare energia e massa è detto aperto.

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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

È opportuno distinguere fra due tipi di energia:

– quella possedutadal sistema

– quella in transitoattraverso il suo contorno.

Per quel che riguarda l’energia posseduta da un sistema si possono citare, ad esempio,

l’energia che risulta dalla posizione (energia potenziale) e dalla velocità (energia

cinetica) del sistema, e l’energia interna, associata alle proprietà interne del sistema,

di cui si riparlerà in seguito.

L’energia che attraversa il contorno può essere di due tipi: lavoro (L) e calore (Q).

Quando vi è scambio di lavoro, esiste una forza applicata sul contorno del sistema, il

cui punto di applicazione subisce uno spostamento. Quando attraverso il contorno del

sistema vi è scambio di calore, a livello macroscopico si osserva che vi è sempre una

differenza di temperatura fra il sistema e l’ambiente circostante e che il calore, come

si vedrà, ha un verso preferenziale non invertibile.

È interessante osservare che, una volta trasferiti al sistema, calore e lavoro risultano

del tutto indistinguibili.

1.2. EQUILIBRIO, STATO E TRASFORMAZIONE

Per definire lo stato termodinamico di un sistema è necessario introdurre il

concetto di equilibrio: un sistema si dice in equilibrio quando è incapace di

cambiamenti spontanei.

L’equilibrio può essere meccanico, termico o chimico. Un sistema isolato raggiunge

dopo un certo periodo di tempo una condizione di equilibrio interno ed esterno con

l’ambiente circostante.

In condizione di equilibrio il sistema può essere descritto attraverso il suo stato

termodinamico, ovvero la totalità delle proprietà macroscopiche associate al sistema

in quelle condizioni.

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Page 10: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Si definiscono intensive le proprietà che non dipendono dalla massa, come, ad

esempio, temperaturae pressione. Viceversa, le proprietà che dipendono dalla massa,

come il volume, sono dette estensive. Se riferite all’unità di massa, le proprietà

estensive vengono dette specifichee come tali divengono intensive.

Lo stato di un sistema termodinamico semplice, ovvero una sostanza fluida omogenea

formata da una sola specie chimica e nella quale possono essere trascurati fenomeni

elettrici, magnetici, gravitazionali, etc., viene spesso definito attraverso le tre proprietà

(dette anche coordinate termodinamiche) pressione (p), volume (V ) e temperatura

(T ). Si parla in questo caso di sistemi pVT.La relazione che lega le coordinate

termodinamiche di un sistema in equilibrio si chiama equazione di stato. Per un

sistema pV T essa è espressa analiticamente da un’equazione del tipo:

f (p, V, T ) = 01.

Quando un sistema si allontana dalle condizioni di equilibrio si dice che esso subisce

una trasformazionetermodinamica, durante la quale le sue proprietà termodinamiche

cambiano finché non si raggiungono nuove condizioni di equilibrio. Una trasfor-

mazione si dice ciclica (o semplicemente ciclo) quando gli stati iniziale e finale

coincidono.

Pressione

La pressione, come si ricorderà, è la forza esercitata sull’unità di superficie. La sua

unità di misura nel Sistema Internazionale (S.I.) è dunque N/m2, ovvero pascal (Pa).

Trattandosi di una grandezza impiegata in molte discipline diverse, sono presenti

e ancora spesso usate molte altre unità di misura non S.I.: l’atmosfera (atm), il

millimetro di colonna di mercurio (mm Hg), il millimetro di colonna d’acqua (mm

H2O), il bar, etc. I fattori di conversione da una unità all’altra sono riportati di seguito:

1 atm = 760 mmHg = 10332 mmH2O = 1.01325 bar = 101325 Pa

1Un esempio è l’equazione di stato dei gas ideali: pV = nRT , di cui si parlerà nel paragrafo 1.8.

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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Temperatura

Il Principio zero della Termodinamicaafferma che due corpi, ognuno in equilibrio

termico con un terzo, sono in equilibrio termico fra di loro. Tale principio può essere

riformulato affermando che due corpi sono in equilibrio termico se hanno la stessa

temperatura, e permette di introdurre dunque la seguente definizione assiomatica della

temperatura:

esiste una grandezza di stato detta temperatura che assume

lo stesso valore in due corpi in equilibrio termico fra di loro.

La scala termometrica di uso più comune è la scala Celsius, definita inizialmente

attraverso due punti fissi (la temperatura di fusione del ghiaccio e quella di ebollizione

dell’acqua) a cui attribuisce i valori rispettivamente di 0 C e 100 C. Ne risulta

che 1C (grado celsius) corrisponde alla centesima parte dell’intervallo fra i due

punti fissi sopra citati. Per rendere indipendente dalla sostanza la definizione della

scala termometrica è stata introdotta la scala della temperatura termodinamica, che

nel sistema S.I. è la scala Kelvin. Attraverso considerazioni basate sul Secondo

Principio della Termodinamica e il funzionamento di un motore termico essa permette

di definire i rapporti fra le temperature assolute dei corpi. Per definire in modo

completo l’unità di misura della temperatura, detta kelvin (K), se ne è definito lo zero,

che coincide con la temperatura più bassa raggiungibile in asssoluto, e si è attribuito

il valore di 273.16 K (corrispondenti a 0.01 C) alla temperatura assoluta del punto

triplo dell’acqua. Si ha dunque la relazione: T (K) = T (C) + 273.15.

1.3. REVERSIBILITÀ ED IRREVERSIBILITÀ

Se una trasformazione è caratterizzata da una successione infinita di stati che tendono

all’equilibrio (il che richiede che la trasformazione sia infinitamente lenta), ad ognuno

dei quali corrisponde un ben preciso insieme di coordinate termodinamiche, essa viene

detta reversibile.

Perché dunque una trasformazione possa essere detta reversibile è necessario che

la differenza fra forze motrici e resistenti, come anche la differenza di temperatura

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Page 12: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

fra il sistema e l’esterno, siano infinitamente piccole, e dunque siano piccole le

accelerazioni (variazioni di energia cinetica) e infinitamente lenti gli scambi di calore.

Per illustrare la differenza fra reversibilità ed irreversibilità si può esaminare il

seguente problema (Problema di Zemansky).

Problema di Zemansky

Si abbia un cilindro che racchiude un gas in equilibrio termico, meccanico e chimico

interno e con l’ambiente esterno (Fig. 1.1 - Caso a). Il pistone che lo sovrasta esercita

una forza F1 equilibrata dalla pressione del gas ed è dunque fermo nella posizione z1;

inoltre il sistema è in equilibrio termico con l’ambiente esterno, considerato come un

termostato, ovvero un corpo capace di cedere o ricevere calore senza che vari la

sua temperatura.

Caso a

Alla stessa altezza z1 del pistone si abbia un peso (F2 – F1) > 0. Posando il peso

(F2 – F1) sul pistone ci si allontana dalle condizioni di equilibrio. Il pistone accelera

verso il basso e si ferma oscillando nella posizione z2. Durante il moto il gas tende a

scaldarsi, non soltanto perché viene compresso, ma anche a causa degli attriti interni e

della viscosità del gas; per riportarsi in equilibrio termico cede una quantità di calore Q′

all’ambiente esterno. In questa fase inoltre l’ambiente esterno ha compiuto un lavoro

positivo:

L = F2 · (z1 − z2)

z1z2 z2

F2-F1

F1

F2-F1

F1F2

z

F

F2

F1

z1z2

L"

L'

Fig. 1.1 – Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso a.

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Page 13: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Rimovendo il peso il pistone si risolleva fino al livello z 1 assorbendo una quantità di

calore Q ” dall’ambiente, pari a quella necessaria per compensare il raffreddamento

dovuto all’espansione meno quello che vi viene introdotto a causa degli attriti. Si ha

pertanto:

˛˛˛Q

′ ˛˛˛ >

˛˛˛ Q

′′ ˛˛˛

Inoltre l’ambiente esterno ha compiuto un lavoro:

L” = − F1 · ( z 1 − z 2 )

Al termine delle due trasformazioni si osserva che il sistema si ritrova nelle condizioni

iniziali (ha cioè subito una trasformazione ciclica), e che l’ambiente esterno:

– ha ricevuto una quantità netta di calore˛˛˛ Q

′ ˛˛˛ −

˛˛˛ Q

′′ ˛˛˛ > 0

– ha compiuto un lavoro netto: L′ + L′′ = (F2 − F1 ) · ( z 1 − z 2 )

Si osservi che il lavoro netto è proprio pari alla perdita di energia potenziale del peso,

e dunque dell’ambiente esterno, che non è più nelle condizioni iniziali.

Caso b

Si può ora ripetere l’operazione prelevando gradualmente da n livelli diversi n pesi

uguali, pari ciascuno a ( F2 − F1 ) /n (si veda figura 1.2, in cui si è posto, a titolo di

esempio, n = 3). Il livello di posizionamento di ogni pesino sarà scelto in modo da

farlo coincidere con l’altezza raggiunta dal pistone all’equilibrio dopo l’aggiunta del

pesino precedente.

Si osserva innanzitutto che la somma delle quantità di calore assorbite dall’ambiente

tende a uguagliare la somma di quelle cedute (perché si riducono le dissipazioni).

Inoltre è facile dimostrare che il lavoro netto effettuato dall’ambiente (pari al lavoro

globale di compressione meno il lavoro globale di espansione) vale:

F2 − F1

n· (z1 − z2) ,

pari alla variazione di energia potenziale di uno dei pesini dal livello z1 al livello z2, e

tendente a zero quando n →∞.

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Page 14: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

z1 z2

F1

z2

F2-F1F1F2F2-F1

F

F2

F1

z1z2

L"

L'

z

Fig. 1.2 – Problema di Zemansky e relativo diagramma (F, z) - Caso b.

È immediato concludere che per n →∞ la forza esterna tende ad essere in ogni istante

eguagliata dalla pressione interna e le accelerazioni del pistone tendono a zero. Le

trasformazioni divengono così reversibili.

Conclusioni di carattere generale

Le conclusioni di carattere generale che si possono trarre dall’esperienza sopra

descritta sono molteplici:

– se il processo è reversibile lo stato del sistema è noto in ogni fase del processo

e le energie scambiate possono essere determinate attraverso le sole variabili

di stato del sistema;

– la successione di due trasformazioni reversibili invertite ripristina sia le

condizioni del sistema che quelle dell’ambiente esterno;

– le irreversibilità riducono sempre l’efficienza di un processo. Pertanto un

processo reversibile rappresenta una astrazione che pone un limite superiore

al lavoro che può essere ottenuto da un processo e pone un limite inferiore al

lavoro richiesto per compiere un processo.

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Page 15: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Una trasformazione reversibile può dunque essere definita come una successione

di stati di equilibrio, in cui le variabili intensive interne uguagliano quelle esterne.

Ad ognuno di questi stati corrisponde un certo numero di proprietà macroscopiche

(coordinate termodinamiche) che dà luogo ad un punto su un diagramma di stato.

L’insieme dei punti che descrive l’evolversi degli stati di equilibrio dà luogo a sua

volta ad una curva che descrive in forma grafica la trasformazione.

Se invece la trasformazione è irreversibile gli stati intermedi non sono stati di

equilibrio e non possono essere caratterizzati da valori definiti delle coordinate

termodinamiche, e dunque soltanto gli estremi della trasformazione possono essere

rappresentati su un diagramma di stato.

1.4. LAVORO

Come si è detto, il lavoro è scambio di energia dovuto all’azione di una forza

(generalizzata), il cui punto di applicazione subisce uno spostamento (generalizzato).

Ne sono esempi lo spostamento di un pistone, la rotazione di un’elica collegata

ad un albero, una corrente elettrica che percorre un conduttore che attraversa il

contorno del sistema. I sistemi termodinamici chiusi scambiano lavoro con l’esterno

prevalentemente attraverso variazioni di volume. Un esempio classico è un fluido

contenuto in un cilindro a pareti rigide, ma chiuso da un pistone scorrevole, il cui

moto denota lo scambio di lavoro. In questo caso si parla di lavoro termodinamico

o lavoro di variazione di volume(L). I sistemi aperti hanno invece, in genere, il

contorno rigido e scambiano lavoro con l’esterno attraverso sistemi collegati ad un

albero ruotante (turbine, compressori, ventilatori). In questo caso si parla di lavoro

all’asse o lavoro interno(Li). Di quest’ultimo si parlerà più approfonditamente nel

CAPITOLO 2.

Il lavoro termodinamico compiuto da un sistema sotto l’azione di una forza

esterna F vale:

L = −∫

F × ds 1.1

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Page 16: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

in cui il segno meno è imposto dalla convenzione che in Termodinamica si considera

positivo il lavoro compiuto dal sistema.

Se la trasformazione è reversibile la pressione interna uguaglia continuamente la forza

F e dunque:

Lrev =∫

p · A · ds =∫

p · dV 1.2

Se invece la trasformazione è irreversibile il lavoro sarà sempre minore di Lrev se

L > 0 e maggiore in valore assoluto di Lrev se L <0. Ovvero:

L = Lrev − L w =∫

p · dV − Lw 1.3

in cui Lw rappresenta il lavoro perso per irreversibilità.

Riportando la trasformazione su un diagramma (p, V ), noto come diagramma di

Clapeyron, il lavoro è pari all’area sottostante la trasformazione stessa. Poiché la

pressione è sempre positiva, il lavoro ha lo stesso segno di dV.

Si osservi che nel caso di uno spostamento infinitesimo della forza esterna il lavoro

infinitesimo compiuto non rappresenta il differenziale esatto di una funzione L, ma

una quantità infinitesima di lavoro e dunque va indicato con un simbolo diverso da

quello di differenziale (δL anziché dL).

Una ovvia conseguenza di ciò è che il lavoro compiuto fra due stati estremi dipende

dalla trasformazione compiuta e non soltanto dagli stati estremi, come si desume dalla

figura 1.3.

a. Lif =∫

i1f

p · dV = p1 · (Vf − Vi)

b. Lif =∫

i2f

p · dV = p2 · (Vf − Vi)

Nel caso di trasformazione ciclica (c) il lavoro complessivo è uguale all’area del ciclo;

maggiore di zero se percorso in senso orario (macchina termica); minore di zero se

percorso in senso antiorario (macchina frigorifera o pompa di calore).

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Page 17: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

p

V

p

V

p

V

i i

ff

L>01

2

(a) (b) (c)

Fig. 1.3 – Valutazione grafica del lavoro sul diagramma (p,V).

1.5. CALORE

Come detto in precedenza, a livello macroscopico il calore è energia in transito per

effetto di una differenza di temperatura.

Il calore, come il lavoro, non è una proprietà del sistema, ma è funzione della

trasformazione seguita. Il simbolo δQ non indica pertanto il differenziale esatto di

una funzione Q dello stato termodinamico di un sistema, funzione che non esiste, ma

una quantità infinitesima che, integrata, dà una quantità finita.

Convenzionalmente viene considerato positivo il calore fornito al sistema.

Si definisce capacità termicala quantità di calore necessaria per elevare di un grado la

temperatura di un determinato corpo. Poiché la capacità termica è in genere funzione

della temperatura, conviene esprimerla come:

C =δQ

dT1.4

Poiché δQ dipende dal tipo di trasformazione, la capacità termica sarà in genere

diversa per ogni tipo di trasformazione. Ad esempio:

Cp =(

δQ

dT

)p

per una trasformazione a pressione costante (isobara)

Cv =(

δQ

dT

)v

per una trasformazione a volume costante (isocora)

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Page 18: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Per esprimere le caratteristiche di una sostanza conviene riferire la capacità termica

all’unità di massa. Si indicherà questa quantità, detta capacità termica massica o

calore specifico, con la lettera c minuscola.

1.6. SOSTANZE PURE E LORO FASI

Per sostanza pura si intende una sostanza la cui composizione chimica è la stessa in

tutta la massa. L’aria e l’acqua sono, ad esempio, sostanze pure, mentre non lo è

una miscela di olio e acqua. Una miscela di due o più fasi di una stessa sostanza (ad

esempio, acqua e ghiaccio) è ancora una sostanza pura.

Come è noto, una sostanza può trovarsi in natura in fase solida, liquida o gassosa

(detta anche aeriforme). Nel primo caso le molecole sono molto vicine fra loro

e si dispongono secondo un reticolo tridimensionale che, per l’equilibrio esistente

fra forze repulsive e attrattive, può essere considerato rigido. Nella fase liquida le

molecole non assumono più una posizione fissa, ma restano vicine le une alle altre,

pur allontanandosi un po’ rispetto alla fase solida (tranne l’acqua). Nella fase gassosa

o aeriforme le molecole si muovono liberamente e in modo disordinato l’una rispetto

all’altra: le distanze sono grandi ed elevato è il livello energetico delle molecole.

Regola delle fasi

La regola delle fasi di Gibbs consente di determinare il numero di variabili intensive

indipendenti (o gradi di libertà) che consentono di descrivere lo stato termodinamico

di una sostanza qualunque. Essa può essere formulata come segue:

f = n − r + 2 1.5

dove:

f = numero di gradi di libertà

n = numero di componenti nel sistema

r= numero di fasi presenti

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Page 19: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Dunque, per una sostanza pura (n = 1) si ha: f = 3 − r. Ciò significa che

se è presente una sola fase sono sufficienti due variabili intensive indipendenti per

descrivere compiutamente lo stato termodinamico di un sistema, se sono presenti

due fasi (ad esempio, liquido e vapore) ne è sufficiente una, mentre, quando sono

presenti tutte e tre le fasi contemporaneamente, non vi sono gradi di libertà. Pertanto

quest’ultima situazione identifica uno stato termodinamico, caratterizzato da una ben

precisa temperatura e pressione, detto punto triplo.

Un utile modo di rappresentazione delle relazioni esistenti nelle varie fasi fra pres-

sione, volume massico e temperatura è dato dal diagramma tridimensionale riportato

in figura 1.4. Da esso si vede come esistano regioni dove la sostanza è presente in

fase solida (S), liquida (L) e gassosa (G), ed altre regioni in cui due di queste fasi

coesistono: solido-gas (S-G), solido-liquido (S-L) e liquido-gas (L-G). Vi è inoltre

una linea AB in cui sono presenti contemporaneamente tutte e tre le fasi (S-L-G).

Proiettando il diagramma tridimensionale di figura 1.4 sul piano (p, T ) la linea AB

si riduce al punto triplo e le regioni di compresenza di due fasi si riducono a delle

curve (fig. 1.5).

Per l’acqua il punto triplo corrisponde ad una temperatura di 273.16 K e una pressione

di 610.8 Pa.

Transizioni di fase

Particolare interesse hanno nella tecnica le transizioni di fase, perché esse mettono in

gioco grandi quantità di energia2.

Il passaggio solido – liquido viene detto fusione o liquefazione e quello inverso

solidificazione.

Il passaggio liquido – vapore viene detto vaporizzazione(a volte si parla

impropriamente di evaporazione e di ebollizione) e quello inverso condensazione.

2Si pensi che l’energia necessaria per vaporizzare (far bollire) un litro d’acqua è 6 volte maggiore

di quella necessaria per scaldarlo da 0C a 100C.

16

Page 20: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

Fig. 1.4 – Diagramma (p,v,T) per una sostanza pura.

T

p

Punto triplo

Punto critico

liquefazione conaumento di volume

vaporizzazione

sublimazione

liquefazione condiminuzione di volume

SOLIDO

LIQUIDO

AERIFORME

Fig. 1.5 – Diagramma (p,T) per una sostanza pura.

17

Page 21: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

0

50

100

150

200

250

300

1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01Volume massico, m3/kg

Pre

ssio

ne, b

arC

L"

L'

L

V"

V'

V 21

pressione critica

Fig. 1.6 – Transizione isobara liquido-vapore sul diagramma di Clapeyron (acqua).

Al di sotto del punto triplo la fase liquida non esiste più; il passaggio diretto solido –

vapore viene detto sublimazionee quello vapore-solido sublimazione inversa.

1.7. TRANSIZIONE LIQUIDO-VAPORE

Vediamo adesso in maggior dettaglio ciò che avviene nel passaggio da liquido a

vapore (e viceversa), descrivendo con l’ausilio del diagramma (p, v) i risultati di un

esperimento consistente nel riscaldare a pressione costante l’unità di massa di una

sostanza, inizialmente in fase liquida (fig. 1.6).

In un primo tempo si osserverà un regolare aumento della temperatura (1 − L) ed un

aumento quasi trascurabile del volume massico. Poi la temperatura resterà costante e

si osserverà un repentino aumento del volume massico (L−V ). Infine, la temperatura

riprenderà a salire e con essa il volume massico (V − 2). Nel processo (L − V ) il

calore fornito serve a modificare lo stato di aggregazione della sostanza (cambiamento

di stato). I punti intermedi fra L e V non rappresentano un sistema omogeneo in una

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Page 22: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

unica fase, ma una miscela (fluido bifase) composta da liquido saturo in condizioni L,

e da vapore saturo secco in condizioni V. Questa miscela viene detta vapore umido.

La temperatura a cui inizia il cambiamento di fase si chiama temperatura di

saturazione (o evaporazione o condensazione) alla pressione considerata.

Riassumendo:

1 − L liquido sottoraffreddato (o semplicemente liquido)

L liquido saturo

L − V vapore umido

V vapore saturo secco

V − 2 vapore surriscaldato (⇒gas)

Ripetendo l’esperimento a pressioni diverse si possono costruire due curve:

– la curva dei punti L = curva limite inferiore

– la curva dei punti V = curva limite superiore

Continuando ad aumentare la pressione si raggiunge un valore pC (pressione critica)

per cui i punti L e V coincidono. La temperatura TC corrispondente si chiama

temperatura critica. Al di sopra di questi valori di temperatura e pressione, vapore

e liquido non possono più coesistere in condizioni di equilibrio, né è possibile

distinguere fra le due fasi: la sostanza è detta genericamente fluido.

Il calore necessario per far passare l’unità di massa di una sostanza da una fase all’altra

è detto calore di transizione di fase, o calore latente.3

Nel caso del passaggio dallo stato di liquido saturo a quello di vapore saturo secco è

detto calore di vaporizzazione(r). Nel passaggio inverso viene rilasciata una quantità

uguale di calore (calore di condensazione).

3Latente (=nascosto), in quanto non associato ad una variazione di temperatura, e quindi non

sensibile.

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1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

0

50

100

150

200

250

300

1.E-03 1.E-02 1.E-01 1.E+00 1.E+01Volume massico, m3/kg

Pre

ssio

ne, b

arC

Fig. 1.7 – Andamento delle isoterme in coordinate (p,v) per l’acqua.

Per l’acqua a 100C si ha: r100 = 2257 kJ/kg. A 0 C si ha: r0 = 2501 kJ/kg.

Analogamente, per il passaggio solido-liquido, si parla di calore di fusione (i) e di

solidificazione nel passaggio inverso.

Per l’acqua a 0 C si ha: i0 = 334 kJ/kg.

Nella zona del vapore umido sono presenti due fasi diverse (liquido e aeriforme);

esiste dunque, per la regola delle fasi 1.5, una sola variabile intensiva indipendente.

Pertanto p e T non sono fra loro indipendenti. Fissata la pressione, si avrà un solo

valore di temperatura in corrispondenza del quale si verifica la transizione di fase.

L’andamento tipico delle isoterme in coordinate (p, v) è rappresentato, a titolo di

esempio per l’acqua, in figura 1.7.

In figura 1.8 le isoterme sono invece riportate in un diagramma (p, pv ), detto anche

diagramma di Amagat. Si osserva che, per temperature sufficientemente alte, il

prodotto pressione per volume rimane costante (legge di Boyle). Ciò induce a ritenere

che sia possibile descrivere in modo semplice la relazione che lega le variabili di stato

p, v, T per un gas sufficientemente lontano dal suo punto critico. A questo tipo di gas

si darà il nome di gas idealeo perfetto.

20

Page 24: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

1000

0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000

Pressione (bar)

T

pv (

kJ/k

g)

Fig. 1.8 – Andamento delle isoterme in coordinate (p, pv) per l’acqua.

1.8. I GAS IDEALI

L’esperienza mostra che tutti i gas possiedono, a temperatura sufficientemente alta e

pressione sufficientemente bassa, un comportamento simile fra loro che obbedisce ad

una legge semplice, denominata equazione di stato dei gas ideali:

pV = nRT 1.6

dove:

p = pressione, Pa

V = volume occupato dal gas, m3

n = numero di kilomoli di gas, kmol

R = costante universale dei gas, pari a 8314 J/(kmol·K)

T = temperatura assoluta, K

La 1.6 può essere più comodamente espressa nella seguente forma, ottenuta dividendo

primo e secondo membro per la massa m :

21

Page 25: Fisica Tecnica Ambientale

1. INTRODUZIONE ALLA TERMODINAMICA E PROPRIETÀ DELLE SOSTANZE

pv = R∗ T 1.7

dove:

v = volume massico (ovvero, riferito all’unità di massa), m3/kg

R∗ = costante di elasticità del gas considerato, J/(kg·K)

È facile verificare che:

R∗ = R · n

m=

R

µ,

in cui µ = m/n, rapporto fra massa e numero di kilomoli, rappresenta la massa

molecolaredel gas (kg/kmol).

22

Page 26: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

2.1. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

L’esperienza di Joule

Si abbia un recipiente contenente un fluido (fig. 2.1). In una prima fase si dissipa nel

fluido, per mezzo di un mulinello, un lavoroL senza che questo scambi calore con

l’esterno (fase adiabatica).

Nella seconda fase, senza compiere altro lavoro, si lascia che il fluido torni nelle con-

dizioni iniziali di pressione e temperatura disperdendo una certa quantità di caloreQ.

Poiché le condizioni iniziali e finali del fluido sono le stesse, la somma delle due

trasformazioni dà una trasformazione ciclica; Joule osservò che, pur variando il tipo

di fluido e la quantità di lavoro dissipatovi, in una trasformazione ciclica il rapporto

Fig. 2.1 – Esperienza di Joule.

23

Page 27: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

fra il lavoro assorbito dal fluido ed il calore da esso dissipato era costante, ovvero:∮δL∮δQ

= J

Se si esprime il lavoro in Joule (J) e il calore in kcal (Sistema Tecnico), la costante

J vale 4186 J/kcal, ed è dettaequivalente meccanico della caloria.In unità coerenti

(Sistema Internazionale)J = 1 e si ha la classicaespressione del I Principio:

L’equazione2.1 rappresenta l’espressione analitica del I Principio della Termodina-

mica. Essa vale per qualsiasi sostanza e per qualunque tipo di trasformazione,

irreversibile o no, e può essere formulata nel seguente modo:in una trasformazione

ciclica il lavoro compiuto (o subito) dal sistema è uguale al calore ricevuto (o ceduto).

Dalla 2.1 discende immediatamente una importante conseguenza. La si applichi (con

J = 1) alla trasformazione ciclica 1-A-2-B-1 (fig. 2.2). Si ha:

2∫1A

δQ +

1∫2B

δQ =

2∫1A

δL +

1∫2B

δL

mentre, applicando la 2.1 alla 1-A-2-C-1 si ha:

2∫1A

δQ +

1∫2C

δQ =

2∫1A

δL +

1∫2C

δL

A

B C

1

2

Fig. 2.2 – δQ − δL è un differenziale esatto.

∮δQ =

∮δL 2.1

24

Page 28: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Sottraendo le due espressioni si ottiene:

1∫2B

(δQ − δL) =

1∫2C

(δQ − δL)

da cui si dimostra che la quantitàδQ − δL è un differenziale esatto, poiché il suo

integralenon dipende dal percorso, ma soltanto dagli estremi di integrazione. La

funzione integrale di questo differenziale esatto rappresenta l’energia totaleE del

sistema. Ovvero:

δQ − δL = dE

e, in forma integrale:

Q − L = ∆E 2.2

L’energia totale del sistema è data dalla somma delle varie forme di energia possedute

dal sistema: magnetica, elettrostatica, elastica, superficiale, cinetica (Ec), potenziale

(Ep) ed interna(U) :

Nel caso, frequente in termodinamica, in cui le variazioni di tutte le forme di

energia del sistema, eccettuata l’energia interna, siano trascurabili, si ha la classica

espressione:

Q − L = ∆U 2.2a

o, in forma differenziale,

δQ − δL = dU 2.2b

E = Ec + Ep + ... + U 2.3

L’energia internaU può essere considerata come la somma delle energie cinetiche e

potenziali possedute dalle particelle che costituiscono il sistema.

È facile dimostrare che l’espressione 2.2 contiene l’ enunciato di Joule 2.1. Infatti

l’integrale circuitale di una variabile di stato, qual è l’energia di un sistema, è per

25

Page 29: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

definizione nullo, e dunque in una trasformazione ciclica il calore netto ricevuto

uguaglia il lavoro netto prodotto.

L’approccio assiomatico al I Principio

Nei primi paragrafi di queste dispense si è sottolineato che il concetto di energia è un

concetto primitivo, come quello di punto, o di forza. L’esistenza di tale concetto può

essere giustificata da un assioma, ovvero da una affermazione indimostrabile, ma mai

contraddetta dall’esperienza, che sancisce la conservazione dell’energia in un sistema

isolato. Il Primo Assioma dellaTermodinamica afferma che:

esiste una grandezza, detta energia interna, legata a grandezze mi-

surabili di un sistema e dunque funzione del suo stato termodinami-

co, la cui variazione, in un sistema chiuso in assenza di variazioni

delle altre forme di energia posseduta dal sistema (energia cinetica,

potenziale, etc.), è data da:

dU = δQ − δL

Nel caso più generale, pertanto, la variazione totale di energia di un sistema chiuso è

data da:

dE = δQ − δL

Analizziamo adesso le conseguenze di una trasformazione qualunque fra un sistema S

e l’ambiente circostante A. La variazione di energia del sistema sarà data da:

∆Es = Q − L

e, per l’ambiente circostante:

∆EA = −Q + L

Perciò la variazione di energia complessiva dell’universo è data da:

∆Etot = ∆Es + ∆EA = Q − L − Q + L = 0

che è un altro modo di esprimere il Primo Assioma:

in ogni processo l’energia totale dell’universo si conserva.

26

Page 30: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

In particolare in un processo ciclico, poiché non varia l’energia del sistema non deve

variare neppure quella dell’ambiente circostante.

2.2. PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA PER I SISTEMI APERTI

Il principio di conservazione della massa (noto anche come equazione dicontinuità)

per un sistema aperto delimitato da un volume di controllo (VC) si esprime come:

massa entrante nel VC – massa uscente dal VC = variazione della massacontenuta nel VC

Riferendo all’unità di tempo tutte le grandezze espresse nell’equazione di

conservazione della massa si ottiene:

portata entrante nel VC – portata uscente dal VC = variazione della massacontenuta nel VC nell’unitàdi tempo

La portata è espressa in kg/s ed è a sua volta data dall’equazione:

m = ρ · A · w

dove:

ρ = densità o massa volumica, kg/m3

A = sezione del condotto, m2

w = velocità, m/s

In condizioni di regime stazionariole grandezze che caratterizzano il sistema non

variano nel tempo. Se ne deduce che la somma delle portate in ingresso uguaglia

quella delle portate in uscita. Nel caso particolare di un ingresso e una uscita

l’equazione di continuità si riduce a:

min = mout 2.4

Si introduce ora una nuova, importante funzione di stato, dettaentalpia, definita come:

27

Page 31: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Applicando (vedi DIMOSTRAZIONE) ad un sistema termodinamico aperto il Primo

Principio della Termodinamica si perviene ad una espressione particolarmente comoda

in cui la differenza fra la potenza termica e meccanica può essere espressa attraverso

il flusso netto di entalpia. Trascurando le variazioni di energia cinetica e potenziale, si

ottiene il Primo Principio per i sistemi aperti:

in cui Li rappresenta il lavoro interno svolto nell’unità di tempo.

Nel caso di sistemi aperti in regime permanente con un solo ingresso ed una sola

uscita, dividendo per la portata la 2.6 si ottiene l’espressione valida per l’unità di

massa:

Dalle precedenti relazioni si vede che la variazione di entalpia misura il lavoro interno

in una trasformazione adiabatica e il calore scambiato in una trasformazione in cui

non si compie lavoro.

DIMOSTRAZIONE

Si abbia un sistema termodinamico aperto nel quale si suppone, per semplicità di

dimostrazione, sia presente un solo ingresso e una sola uscita (fig. 2.3).

Scriviamo il Primo Principio1 nel periodo di tempo [t, t + dt] :

1Si è adottata la forma differenziale perché nel tempo infinitesimo dt sihanno variazioni in-

finitesime (nel caso delle funzioni di stato) o quantità infinitesime scambiate (nel caso di

lavoro ecalore).

H = U + p · V 2.5

Q − L i =∑out

mjh j −∑in

mjh j 2.6

q − i = ∆h 2.6a

o, in forma differenziale,

δq − δi = dh 2.6b

28

Page 32: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

dLi

dQ

regione III

dV1

dV2

p1

p2

1' 1

2'2

I

II

1m

2m

Fig. 2.3 – Primo Principio della Termodinamica per un sistema termodinamico aperto

in regime permanente

δQ − δL = dU + dEp + dEc D.1

Al tempo t il sistema è contenuto nei volumi I e III ; al tempo t+dt il sistema è contenuto

nei volumi III e II.

Esaminiamo le grandezze (tutte estensive) che compaiono a secondo membro

della D.1. La variazione di ognuna di esse fra l’istante t e l’istante t + dt è dovuta al

contributo portato dalla massa entrante dm1 (contenuta nel volume I), a quello della

massa uscente dm2 (contenuta nel volume II) ed alla variazione avvenuta nel volume

III nel tempo dt. Pertanto:

dU = UIII (t + dt) + UII (t + dt) − UIII (t) − UI (t)

ovvero:

dU = u2 · m2 · dt − u1 · m1 · dt +d (u · m)

dt· dt

Un caso particolare, ma di frequente occorrenza nei problemi di termodinamica, è

quello in cui il moto attraverso il sistema aperto sia permanente, ovvero quando le

proprietà termodinamiche possono variare da punto a punto, ma sono costanti nel

tempo. In questo caso si ha anche che la portata in ingresso è uguale alla portata

29

Page 33: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

in uscita:

m1 = m2 = m

e inoltre:

d (u · m)

dt= 0

e dunque:

dU = m · (u2 − u1) · dt

Analogamente, sempre nel caso di moto permanente, si avrà:

dEp = mg (z2 − z1) · dt

dEc =1

2m

`w2

2 − w21

´ · dt

A primo membro della D.2 il lavoro δL è costituito da due componenti: il lavoro interno

δLi (detto anche lavoro tecnico o lavoro all’asse) e il lavoro effettuato dalle forze di

pressione:

δL = δLi + p2 · dVII − p1 · dVI = δLi + p2v2 · mdt − p1v1 · mdt

Riscrivendo dunque i termini così ottenuti nella D.1 e dividendo per dt (si ricordi che

δLi = Li · dt e δQ = Q · dt ) si ottiene:

Q − Li = m

»„p2v2 + u2 + gz2 +

1

2· w2

2

«−

„p1v1 + u1 + gz1 +

1

2w2

1

«–

Essendo h = u + pv si ha:

Q − Li = m · ∆„

h +1

2w2 + gz

«D.2

ed infine, estendendo a più ingressi ed uscite la trattazione si ha:

Q − Li =Xout

mj

„h +

w2

2+ gz

«j

−Xin

mj ·„

h +w2

2+ gz

«j

D.3

30

Page 34: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

che è l’espressione del Primo Principio per sistemi aperti in regime permanente, scritta

in forma di potenza. Nel caso più generale di sistema termodinamico aperto in regime

2.3. SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA

Come per il I Principio, anche del II Principio della Termodinamica è possibile fornire

una descrizione fenomenologica, oppure assiomatica. Seguiremo quest’ultima via,

mostrando come i vari enunciati fenomenologici possano essere agevolmente derivati

da un solo assioma (Secondo Assioma fondamentale). Esso afferma che:

esiste una proprietà intrinseca dei corpi, detta entropia, la cui

variazione, per processi reversibili, è data da:

dS =δQrev

T

Per processi irreversibili si riscontra invece:

dS >δQ

T

e dunque in generale si può porre:

dovedSi è detta produzione di entropia per irreversibilità (dS i ≥ 0)2.

2La temperatura da introdurre nella 2.7 dovrebbe essere quella del sistema che sta evolvendo. Ma

se la trasformazione è irreversibile questa temperatura non è nota. Alcuni autori propongono

di adottare comeriferimento la temperatura del termostato; in questo caso nel terminedSi

si tiene conto di tutte le irreversibilità: interne (cioè dovute ad attriti) ed esterne (salti finiti

di temperatura). Questo approccio ha il vantaggio che la temperatura del termostato è sempre

definibile, ma lo svantaggio di fare riferimento, per il calcolo di una funzione che caratterizza lo

stato del sistema, a qualcosa di esterno al sistema stesso (il termostato). Qui si adotterà invece

non permanente la D.3 diviene:

Q − Li =X

± mj ·„

h +w2

2+ gz

«j

+d (u · m)

dtD.4

dS =δQ

T+ dSi 2.7

31

Page 35: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Una prima conseguenza di questo assioma è che in un sistema isolato(Q = 0) come

l’ universol’entropia cresce sempre.

Postulato di Clausius

Consideriamo due termostati A e B a temperatureTA e TB, con TA > TB, che

si scambiano una quantità arbitraria di caloreQ, si supponga da A a B. Durante

tale scambio di calore non si manifestano irreversibilità interne ai termostati stessi.

Pertanto l’unica causa di variazione dell’entropia dei due termostati è rappresentata

dallo scambio di caloreQ :

∆SA =∫

δQ

T= − Q

TA

∆SB =∫

δQ

T=

Q

TB

Qualunque sistema comprendente sia A che B è, rispetto a questo processo, adiabatico,

poiché lo scambio di caloreQ è interno al sistema stesso. Ciò implica, per il

II Assioma, che∆S(A+B) ≥ 0 , ovvero:

∆SB =∫

δQ

T=

Q

TB

Se nededuce cheQ > 0, e ciò conferma l’ipotesi inizialmente fatta sul suo verso.

Questo risultato riflette una osservazione sperimentale a tutti ben nota e talmente evi-

dente e importante da suggerirla come enunciato del II Principio della termodinamica

(postulato di Clausius):

se due corpi a temperatura diversa sono messi a contatto il calore

fluisce spontaneamente dal corpo a temperatura più alta a quello a

temperatura più bassa.

la convenzione per cui, quando si è in presenza di irreversibilità solo esterne e la temperatura

del sistema è dunque definibile, si introduce nella 2.7 la temperatura del sistema e il termine

dSi tiene conto solo delle irreversibilità interne.

32

Page 36: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Enunciato di Kelvin-Planck

Consideriamo adesso un processo ciclico in cui si compie lavoro, ovvero in cui il

lavoro netto, inteso come somma algebrica di tutti i lavori scambiati nel corso del

ciclo, risulta maggiore di zero. Per il Primo Principio, applicato a questo ciclo, si ha

Q = L > 0.

Supponiamo che il sistema sia in contatto con un solo termostato A. La variazione di

entropia dell’universo ad ogni ciclo3 varrebbe:

∆Stot = ∆Ssist + ∆SA = 0 +(−

∮δQ

T

)= − Q

TA< 0

Il risultato sarebbe pertanto in contrasto con il II Assioma. Anche in questo caso se ne

può concludere (enunciato di Kelvin-Planck) che:

non è possibile operare un processo ciclico il cui solo risultato sia

l’assorbimento di calore da un termostato e la conversione di questo

in lavoro.

Macchine che producono lavoro

Si abbia ora un sistema S in contatto con due termostati A e B a temperatureTA eTB

(conTA > TB). Si vuole determinare un’espressione generale del lavoro e ilsegno

delle quantità di calore scambiate nel caso che il sistema operi ciclicamente.

Si suppone che durante il processo il sistema riceva dal termostato A una quantità di

caloreQA e ceda al secondo la quantità di caloreQB.

La variazione totale di entropia dell’universo (∆Stot) varrà:

∆Stot = ∆SA + ∆SB + ∆SS = −|QA|TA

+|QB|TB

+ 0 ≥ 0

3Si ricorda che la variazione di entropia del sistema in un processo ciclico è nulla perché

l’entropia èuna funzione di stato.

33

Page 37: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Dalla precedente si ottengono:

|QA| = TA

(−∆Stot +

QB

TB

)

|QB| = TB

(∆Stot +

QA

TA

)

Inoltre, per il I Principio applicato al ciclo percorso dal sistema:

Lnetto = |QA| − |QB| − ∆US = |QA| − |QB|

in quanto∆US = 0. Sostituendo nell’espressione del I Principio prima il valore di

QA epoi quello diQB si ottiene rispettivamente:

Lnetto = −TA∆Stot + |QB|(

TA

TB− 1

)2.8

Lnetto = −TB · ∆Stot + |QA|(

1 − TB

TA

)2.9

PoichéLnetto > 0 è confermato il verso diQB eQA, il chedimostra che:

in un processo ciclico che produce lavoro è sempre indispensabile

che del calore sia sottratto ad un termostato a temperatura più alta

e dell’altro venga ceduto ad un termostato a temperatura più bassa.

Una macchina che operi secondo tale processo viene definitamacchina termica

motriceed il suo rendimento è definito come:

η =Lnetto

QA2.10

Sia dalle 2.8 che dalle 2.9 si può osservare che il lavoro che si estrae da una macchina

termica motrice è massimo per∆Stot = 0 (processo reversibile) e vale, per una

trasformazione ciclica:

Lnetto,max = |QB| ·(

TA

TB− 1

)= QA

(1 − TB

TA

)2.11

34

Page 38: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

PoichéLnetto,max = |QA| – |QB| si ha:

|QA||QB| =

TA

TB2.12

Il rendimento chesi ottiene è massimo:

ηmax =Lnetto,max

QA= 1 − TB

TA2.13

ed è funzione soltanto delle temperature estreme dei due termostatiTA eTB.

Si può dimostrare che l’unico ciclo che può raggiungere il rendimento massimo è

costituito da due trasformazioni isoterme, che si svolgono alla stessa temperatura dei

termostati con cui il sistema scambia calore, e due adiabatiche reversibili. Esso viene

detto ciclo di Carnot.

Macchine che assorbono lavoro e II enunciato di Clausius

Supponiamo ora di ideare una macchina S che,operando ciclicamente, trasferisca

calore da un termostato a temperaturaTB ad uno a temperatura più altaTA. Dimo-

streremo che tali sistemi per operare devonoassorbire lavoro netto. La variazione di

entropia dell’universo per questa macchina ciclica vale:

∆Stot = ∆SS + ∆SA + ∆SB

essendo∆SA =|QA|TA

, ∆SB = −|QB|TB

si ottiene

∆Stot =|QA|TA

− |QB|TB

≥ 0

per cui

|QA|TA

≥ |QB|TB

PoichéTA > TB deve essere|QA| > |QB| . Dunque, per il I Principio:

Lnetto = |QB| − |QA| < 0

35

Page 39: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Pertrasferirecalore da un termostato a temperatura minore ad uno a temperatura mag-

giore è dunque necessario spendere del lavoro. Da questo risultato nasce un ulteriore

enunciato (II enunciato di Clausius):

è impossibile costruire una macchina che operando ciclicamente

non produca altro effetto che trasferire calore da un termostato a

temperatura minore ad uno a temperatura maggiore.

Una macchina che assorbe lavoro trasferendo calore da una temperatura più bassa

ad una più alta opera secondo un ciclo inverso, in quanto lavoro netto e calore netto

scambiati sono entrambi negativi. Essa ha nomi diversi, a seconda che il suo obiettivo

sia sottrarrecalore ad un ambiente freddo (macchina frigorifera) oppure fornire calore

ad un ambiente più caldo (pompa di calore). Nel primo caso il parametro che ne

descrive le prestazioni è dettoeffetto frigorifero specificoε, dato da:

ε =|QB||L| 2.14

Nel secondo caso si introduce invece il cosiddetto effetto di moltiplicazione termica

ε* (più spessodefinito COP -Coefficient of Performance), definito come:

ε∗ = COP =|QA||L| 2.15

Utilizzando ancora il Primo e Secondo Principio ricaviamo adesso una espressione

generale del lavoro speso per azionare una macchina a ciclo inverso:

|Lnetto| = TA∆Stot + |QB|(

TA

TB− 1

)

o anche

|Lnetto| = TB∆Stot + |QA|(

1 − TB

TA

)

In entrambi i casi il lavoro assorbito sarà minimo per∆Stot = 0, ovvero:

|Lnetto,min| = |QA|(

1 − TB

TA

)= |QB|

(TA

TB− 1

)

Pertanto l’effetto frigorifero specifico massimo di una macchina frigorifera varrà:

36

Page 40: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

εmax =|QB||Lmin| =

TB

TA − TB2.16

e l’effetto di moltiplicazione termica massimo di una pompa di calore varrà:

COPmax =|QA||Lmin| =

TA

TA − TB2.17

Anche in questo caso l’efficienza massimadipende soltanto dalle temperature dei due

termostati con cui viene scambiato calore.

2.4. SECONDO PRINCIPIO PER I SISTEMI APERTI ED EXERGIA

Per un sistema aperto con un ingresso ed unauscita in regime permanente che compie

unaserie di trasformazioni 1 - 2 ricevendo una quantità di caloreQ0 dall’ambiente

esterno a temperaturaT0 e unaquantità di caloreQ con un termostato a temperatura

T > T0, compiendo un lavoro L i si ha, per la 2.6:

|Q| − |Q0| = Li + (H2 − H1)

e, per il Secondo Principio:

∆Stot = −|Q|T

+|Q0|T0

+ (S2 − S1) ≥ 0

da cui, ricavandoQ0 e sostituendo nell’espressione del I Principio:

Q

(1 − T0

T

)− Li = T0∆Stot + ∆(H − T0 · S) 2.18

In modo del tutto analogo si può procedere per un sistema aperto (un ingresso ed una

uscita) in regime permanente che riceve caloreQ0 dall’ambiente e cede caloreQ ad

un termostato a temperaturaT < T0, compiendo un lavoro L i. In questo caso, con

passaggi analoghi ai precedenti si ottiene

Q

(T0

T− 1

)− Li = T0 · ∆Stot + ∆ (H − T0 · S) 2.18a

37

Page 41: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Si osservi come l’unica differenza fra la 2.18 e la2.18a è la parentesia fattore delle

quantità di calore, oltre al fatto che nel primo caso l’ambiente funge da pozzo termico,

mentre nel secondo esso funge da sorgente termica. Nelle espressioni 2.18 e 2.18a

sopra riportate:

– (1− T0/T )·Q = f C ·Q è laquota di calore assorbito a T > T 0 e trasformabile

in lavoro

– (T0/T − 1)·Q = f C ·Q è la quota di calore ceduto a T < T 0 e trasformabile

in lavoro

– T0 ·∆S to t = I è laperdita di lavoro per irreversibilità

– H − T0 ·S = B è l’entalpia disponibile come lavoro o exergia

e fc, detto fattore di Carnot, è riportato in figura 2.4 per T 0 = 293 K.

Le quantità sopra riportate sonoomogeneenon soltanto dal punto di vista dimen-

sionale (tutti i termini hanno infatti le dimensioni di unaenergia), ma anche come

valore termodinamico: ognuna di esse rappresenta unlavoro meccanico equivalente

o energia disponibile. In particolare, si dimostra che l’exergia (che èuna funzione

di stato) rappresenta il lavoro massimo ottenibile da un flusso di massa nel passaggio

dallo stato in cui si trova a quello neutro (T = T0). Si può allora introdurre un nuovo

tipo di rendimento, dettorendimento di secondo principio, definito come:

ηII =energia disponibile utile

energia disponibile spesa

La corrispondenza fra energia e energia disponibile è indicata di seguito:

Tipo di energia Valore Energia disponibile Valore

Calore assorbito a T > T0 Q Energia termica disponibile (1 − T0/T )Q =fc·Q

Calore ceduto a T < T0 −Q Energia termica disponibile (T0/T − 1)Q = fc·Q

Entalpia H Exergia H − T0·S = B

Lavoro Li Lavoro Li

38

Page 42: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

0 200 400 600 800 1000 1200 1400

0

0.5

1

1.5

2

2.5

Temperatura (K)

Fig. 2.4 – Andamento del fattore di Carnot in funzione della temperatura del termostato

(T0 = 293K).

2.5. EQUAZIONI DI GIBBS E CONSERVAZIONE DELL’ ENERGIA

MECCANICA

Si è visto (1.3) che per una trasformazione qualunque si ha:

δL = p·dV – δLw

e, per il II Principio 2.7,

δQ = TdS − TdSi

.Pertanto, per una trasformazione reversibile si avràδL = pdV eδQ = TdS. In questo

caso il Primo Principio diviene:

dU = T · dS − p · dV 2.19

Nonostante sia stata ricavata per una trasformazione reversibile la 2.19, nota anche

comeprima equazione di Gibbs, è valida per tutte le trasformazioni, perchéU è una

39

Page 43: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

funzione di stato e non dipende perciò dal tipo di trasformazione, ma soltanto dai

suoi estremi.

Inoltre, scrivendo in forma differenziale la definizione2.5 della funzioneentalpia,

dH = dU + p · dV + V · dp

e sostituendovi la 2.19 si ha:

dH = T · dS + V · dp 2.20

Anche la 2.20, nota come seconda equazione di Gibbs, ha validità generale, pur essen-

dostata ricavata per trasformazioni reversibili, perché ancheH èuna funzione di stato.

Dall’equazione di conservazione della massa e della quantità di moto (ricavata in

Idraulica) si ottiene l’equazione di conservazione dell’energia in forma meccanica:

− δLi = δLw + V dp + dEc + dEp 2.21

che rappresenta l’espressione generalizzata delteorema di Bernoulli scritta in forma

di energia.

Confrontando la 2.21 con il Primo Principio per i sistemi aperti e introducendo la

seconda equazione di Gibbs e l’espressione del calore ricavata dal Secondo Principio

si ottiene:

δLw = TdSi

che mostra come il lavoro perso per vincere gli attriti (δLw) sia proprio pari altermine

TdSi, che rappresenta ilcaloregenerato internamente a causa delle irreversibilità.

40

Page 44: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

2.6. TRASFORMAZIONI TERMODINAMICHE

Trasformazioni politropiche

Le principali trasformazioni termodinamichereversibili sono denominate in base alla

grandezza che durante la trasformazione rimane costante:

Tipo di trasformazione Grandezza che rimane costante Equazione

isocora o isovolumica volume dV = 0

isobara pressione dp = 0

isoterma temperatura dT = 0

adiabatica entropia dS = 0

Questi tipi di trasformazioni possono essereconsiderati come facenti parte di un’unica

famiglia, detta delle trasformazionipolitropiche, caratterizzate dal fatto di mantenere

capacità termica massica costante:

c =δq

dT= cost

con:

c = cv per la trasformazione isocora

c = cp per la trasformazione isobara

c =∞ per la trasformazione isoterma

c = 0 per la trasformazione adiabatica

Trasformazioni isentalpiche

Alle trasformazioni sopra citate occorre aggiungere un’altra trasformazione, tipica dei

cicli inversi dei sistemi termodinamici aperti, che si realizza facendo trafilare un fluido

attraverso un setto poroso o una strozzatura.

41

Page 45: Fisica Tecnica Ambientale

2. I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Lo scopo di questa trasformazione, eminentemente irreversibile, dettatrafilazioneo

laminazione, è quello di ridurre la pressione di un fluido che scorre. In essa non si

compie lavoro né si scambia calore.

Applicando ad un volume di controllo compreso fra due sezioni, una a monte e l’altra

a valle del setto, a distanza tale da poter trascurare le variazioni di energia cinetica e

potenziale, il Primo Principio per i sistemi aperti, si ha dunque:∆h = 0

Ovvero, nel passaggio attraverso il setto l’entalpia non cambia. Applicando invece

il principio di conservazione dell’energia in forma meccanica con le stesse ipotesi si

ottiene:

w = −2∫

1

v · dp

che mostra come l’energia di pressione sia stata dissipata in attrito.

2.7. RIEPILOGO EQUAZIONI FONDAMENTALI

Principi della Termodinamica (in forma differenziale e riferita all’unità di massa)

I Principio della Termodinamica δq − δ = du

I Principio per sistemi aperti (in regimestazionario, un ingresso, una uscita)

δq − δi = dh

II Principio della Termodinamica ds =δq

T+ dsi

Conservazione energia in forma meccanica −δi = v · dp + c · dc + g · dz + δw

Funzioni termodinamiche (in forma differenziale)

Energia interna (I equazione di Gibbs) du = T · ds − p · dv

Entalpia (II equazione di Gibbs) dh = T · ds + v · dp

42

Page 46: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

3.1. LE MACCHINE TERMICHE

In senso generale unamacchina termica è un dispositivo o una serie di dispositivi che

producono lavoro (macchina termicamotrice o motore) o che trasferiscono calore da

un ambiente più freddo ad uno più caldo (macchinafrigorifera o pompa di calore).

Inoltre, le macchine termiche possono essere raggruppate in due tipologie:

– macchine alternative

– macchine a flusso continuo

Nelle prime il dispositivo in cui avvengono le trasformazioni è unico (cilin-

dro) e dunque il fluido che vi è contenuto si configura come un sistema

termodinamico chiuso.

Nelle seconde, invece, in ogni dispositivo avviene una particolare trasformazione;

poiché in questo caso il fluido percorrendo la macchina si sposta da un dispositivo

all’altro, esso viene considerato un sistema termodinamico aperto.

3.2. MACCHINE A CICLO DIRETTO

Nelle macchine motrici il fluido operante percorre un ciclo termodinamicodiretto,

ovvero percorso in senso orario sui diagrammi termodinamici. Il loro rendimento è

43

Page 47: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

dato dalla 2.10:

η =∮

δL

Q1per le macchine alternative

η =∮

δLi

Q1per le macchine a flusso continuo

In entrambi i casi il numeratore rappresenta il lavoro netto prodotto ed il denominatore

la somma di tutte le quantità di calore ricevute dall’esterno.

Per il primo principio (sistemi chiusi e aperti) si ha:

∮δQ =

∮δL =

∮δLi

e dunque:

η =∮

δQ

Q1

Si ha pertanto:

η =|Q1 | − |Q 2 |

Q1= 1 − |Q2 |

|Q1 | 3.1

Le macchine termiche a ciclo diretto hanno come fluido operante un gas (solitamente

aria o fumi della combustione), oppure una sostanza presente sia allo stato gassoso

che liquido (solitamente vapor d’acqua).

Lo schema comune di funzionamento di queste macchine è riportato in figura 3.1. Con

il simbolo L si intende qui il lavoro nettoL =∮

δL =∮

δLi.

In alcune di queste macchine il fluido operante è contenuto in un sistema cilindro-

pistone, nel quale si alternano le varie trasformazioni (compressione, riscaldamento,

espansione, cessione di calore). L’apportodi calore è in genere fornito da una reazione

di combustione fra aria comburente e combustibile che avviene all’interno del cilindro.

Esse sono dunque dette macchinealternative a combustione interna, o semplicemente

motori. Esse trovano impiego soprattutto nella trazione autoveicolare.

44

Page 48: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

T1

T2

Q2

Q1

L

Fig. 3.1 – Schema di macchina a ciclo diretto

Nelle macchinea flusso continuo il fluido scorre attraverso i diversi dispositivi in

ciascuno dei quali avviene una determinata trasformazione termodinamica. Anche in

questo caso l’apporto termico è in genere fornito da una reazione di combustione.

Quando il fluido operante è aria la combustione avviene all’interno di uno dei

dispositivi, detto camera di combustione, quando invece esso è costituito da vapor

d’acqua la combustione è ovviamente esterna.

Le loro caratteristiche sono riassunte in Tabella3.1.

Tab. 3.1 – Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto(ST=Sistema Termodinamico).

macchina fluido combustione ciclo applicazioniprevalenti

rendimentoη = L/Q1

alternativa(STchiuso)

aria/fumi interna Otto trazione < 30 %

Diesel trazione < 35 %

esterna Stirling sperimentale ηmax

»

45

Page 49: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

Tab. 3.1 – Caratteristiche delle macchine termiche a ciclo diretto(ST=Sistema Termodinamico).

macchina fluido combustione ciclo applicazioniprevalenti

rendimentoη = L/Q1

a flussocontinuo(STaperto)

aria/fumi interna Joule-Brayton

produzioneelettrica,propulsioneaerea

30 %

acqua/fluidiorganici

esterna Rankine-Hirn

produzioneelettrica

< 40 %

aria+acqua interna+esterna

Combinato produzioneelettrica

50 %

3.3. MACCHINE A CICLO INVERSO

Nelle macchinefrigorifere e nelle pompe di calore il fluido operante percorre un

ciclo termodinamicoinverso, ovvero percorso in senso antiorario sui diagrammi

termodinamici. Le prestazioni delle macchine frigorifere sono descritte dall’effetto

frigorifero specifico (ε), mentre il parametro che definisce le prestazioni di una

pompa di calore è dettofattore di moltiplicazione termica (ε∗) o COP (Coefficient

of Performance). Nei due casi si ha, come indicato dalle 2.14 e 2.15

ε =|Q2|∣∣∮ δLi

∣∣ =|Q2|

|Q1| − Q2macchina frigorifera 3.2

COP = ε∗ =|Q1|∣∣∮ δLi

∣∣ =|Q1|

|Q1| − Q2pompa di calore 3.3

Esse possono operare secondo due diverse modalità:

– a compressionedi vapore

– ad assorbimento

46

Page 50: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

Condensatore

Evaporatore

Valvola dilaminazione Compressore

A

BC

D

Fig. 3.2 – Schema funzionale di una macchina fr igor ifera.

Macchine frigorifere a compressione di vapore

Le macchine frigorifere a compressione di vapore impiegano come fluidi termodina-

mici sostanze chimiche particolari detti refrigeranti o fluidi frigorigeni, quali NH3,

CH3Cl, SO 2, e vari idrocarburi alogenati detti genericamente freon (R11, R12, R22,

R114, R134a, etc.), in genere fortemente riducenti. Esse hanno in comune la proprietà

di evaporare a temperature basse (dell’ordine di qualche decina di gradi sotto zero,

nella maggior parte delle macchine frigorifere) a pressioni superiori o di poco inferiori

alla pressione atmosferica e di condensare a temperature dell’ordine di 50 -100 C in

corrispondenza di pressioni non troppo elevate.

Lo schema funzionale di una macchinaoperante secondo un ciclo inverso a

compressione di vapore è riportato in figura 3.2.

Il fluido frigorigeno sotto forma di vapore saturo secco o leggermente surriscaldato

(A) viene prima compresso (A-B), poi desurriscaldato e condensato (B-C), poi viene

fatto trafilare in una valvola di laminazione con un processo isentalpico C-D e infine

fatto evaporare (D-A).

Poiché all’evaporatore il fluido è sottoposto ad una pressione bassa, vicina alla

pressione atmosferica, anche la sua temperatura di evaporazione sarà bassa, e sarà

dunque in grado di sottrarre calore ad ambienti anche molto freddi.

47

Page 51: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

Ad esempio, alla pressione atmosferica il freon R134a evapora a una temperatura

di circa –26C. Messo a contatto con un ambiente a – 20C, esso assorbe calore

evaporando. Una volta portato a una pressione opportuna, dell’ordine di 10 bar, alla

quale corrisponde una temperatura di transizione di fase pari a 40C, se messo in

contatto con un ambiente a 20C essocondensa cedendogli calore.

Per ottenere l’effetto utile da una macchina frigorifera (sottrazione di calore ad un

ambiente freddo), o da una pompa di calore (cessione di calore ad un ambiente

caldo) è necessario impiegare energia meccanica, ovvero elettrica, per la compressione

del vapore.

Macchine frigorifere ad assorbimento

Il ciclo termodinamico percorso dalle macchine ad assorbimento differisce dal ciclo

inverso a vapore soltanto per le modalità di compressione del vapore. Pur presentando

dei rendimenti inferiori a quelli dei ciclia compressione tradizionali, le macchine ad

assorbimento si stanno sempre più diffondendo sia nelle macchine di grande potenza

(per il fatto di non avere quasi, nei loro circuiti, organi in movimento soggetti ad avarie

meccaniche) che in alcune applicazioni domestiche (per la loro silenziosità ed il basso

consumo di energia elettrica, soprattutto quando è disponibile una fonte termica a

costo basso o addirittura nullo, come l’energia solare o energia termica di recupero).

Alcuni fluidi comunemente impiegati in questo tipo di cicli sono l’ammoniaca (NH3)

e il bromuro di litio (LiBr), in soluzioni acquose.

Il principio di funzionamento si basa sulla proprietà di una soluzione di due liquidi

di assorbire, ovvero far condensare, il vapore della soluzione stessa anche quando la

temperatura della soluzione liquida è superiore a quella del vapore.

In tal modo il vapore all’uscita dall’evaporatore viene assorbito nella soluzione liquida

e conpiccolo dispendio energetico (dato che è allo stato liquido) viene pompato alla

pressione superiore del ciclo. In seguito alla somministrazione di calore esso viene

poi rilasciato dalla soluzione sotto forma di vapore per essere inviato al condensatore.

Da ciò nasce l’interesse particolare verso le macchine ad assorbimento, cheproducono

freddo utilizzando calore, invece che energia pregiata, come l’energia elettrica.

48

Page 52: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

3.4. COGENERAZIONE E TRIGENERAZIONE

Una tecnica sempre più diffusa per migliorarel’efficienza complessiva degli impianti

per la produzione termoelettrica è quella dellacogenerazione, ovvero della produzione

combinata di calore ed energia elettrica. Essa consiste nel rendere utilizzabile ad una

utenza termica il caloreQ2 ceduto alla temperatura più bassa da una macchina termica

a ciclo diretto, che, nel caso di un ciclo a vapore, è quello di condensazione. In questo

caso la condensazione viene operata ad una temperatura che sia sufficientemente alta

da rendere «interessante» il calore ceduto, tipicamente dell’ordine di 100C. In tal

modo diminuisce il rendimento termodinamico dato dalla 3.1, e dunque il lavoro

prodotto, ma si rende utilizzabile anche il calore che normalmente viene scaricato

in ambiente.

Una macchina simile consente di utilizzare al meglio l’energia termica pregiata (in

quanto a temperatura molto alta) prodotta nella combustione, a differenza di un

comunegeneratore di calore (caldaia), che si limita a trasformare tale energia in

calore a temperatura medio-bassa (dell’ordine dei 100C).

Normalmente il calore prodotto da un impianto di cogenerazione non ha una utenza

nelle immediate vicinanze. Pertanto è necessario predisporre una rete per il trasporto

del calore, per mezzo di un opportuno fluido termovettore (normalmente, acqua

surriscaldata o vapore). Tale sistema di distribuzione del calore viene dettoteleri-

scaldamento.Molte città italiane, fra cui Brescia, Modena, Torino hanno da tempo

adottato questo sistema per riscaldare ampie zone urbane.

Poiché al di fuori del periodo di riscaldamento è difficile reperire una utenza

interessata ad acquistare calore, una ulteriore possibilità, peraltro ancora poco diffusa,

è rappresentata dalla trigenerazione, che consiste nell’impiegare il calore prodotto

d’estate per alimentare una macchina frigorifera ad assorbimento, in grado, come si è

visto, di produrre freddo a partire da calore a temperatura medio-alta.

Uno schema che riassume il funzionamento delle varie macchine sopra descritte è

riportato nelle Figure 3.3 e 3.4.

49

Page 53: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

Q1

L

Q2

T0

T2

macchina frigorifera acompressione

Q1

L

Q2

T1

T0

pompa di calore

Q1

Q0

Q2

T1

T2

T0

macchina frigorifera adassorbimento

Q1

Q2

Q0

T1

T0

T2

generatore di calore

LQ2=

LQ

COP 1=

Fig. 3.3 – Schemi di macchine frigorifere, pompa di calore e generatore di calore (la

freccia tratteggiata indica l’energia spesa, la freccia grigia l’energia utile).

50

Page 54: Fisica Tecnica Ambientale

3. APPLICAZIONI: MACCHINE TERMICHE

macchina cogenerativa(calore ed elettricità)

macchina trigenerativa(calore, freddo ed elettricità)

Fig. 3.4 – Schemi di macchine per la cogenerazione e la trigenerazione.

51

Page 55: Fisica Tecnica Ambientale
Page 56: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

Questo capitolo esamina le trasformazioni termodinamiche della miscela aria-vapor d’acqua (aria umida).

L’ aria secca e il vapor d’acqua compresenti nella miscela che chiamiamoaria umida non reagiscono chimicamente fra loro e, essendo normalmente ilvapor d’acqua in condizioni di vapore surriscaldato, possono entrambi essereconsiderati gas ideali; esse costituiscono dunque una miscela di gas ideali, percui vale lalegge di Dalton, ovvero:

ogni gas in una miscela si comporta come se occupasse da solo

tutto il volume alla temperatura della miscela.

La pressione esercitata da ogni gas è dunque pari a quella che eserciterebbe sefosse solo nel volume occupato dalla miscela e viene dettapressione parziale

del gas. Conqueste ipotesi si ha:

pava = R∗aT = RT/µa 4.1

pvvv = R∗vT = RT/µv 4.2

e la pressione totale (pressione barometrica) è data da:

p = pa + pv 4.3

4.1. PROPRIETÀ DELL’ ARIA UMIDA

Si definiscono le seguenti grandezze

ϕ =ρv

ρvs≈ pv

pvsumidità relativa 4.4

x =mv/V

ma/V=

ρv

ρagrado igrometrico o titolo dell’aria umida 4.5

53

Page 57: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

Fig. 4.1 – Pressione di saturazione del vapor d’acqua in funzione della temperatura.

dovepvs rappresenta la pressione di saturazione (pressione alla quale il vapore inizia

a condensare) alla stessa temperatura a cui si trova la miscela aria-vapore. Essa è

funzione della temperatura come indicato in figura 4.1.

Date le 4.1 - 4.3, dalla 4.5 si ricava:

x =va

vv=

R∗a · Tpa

· pv

R∗v · T =

µv

µa· pv

p − pv= 0.622

ϕ · pvs

p − ϕpvs4.6

Entalpia dell’aria umida

Lo studio delle trasformazioni termodinamiche dell’aria umida interessa molti settori,

dagli impianti di condizionamento degli edifici, agli impianti di essiccazione di derrate

alimentari, agli impianti tessili, etc...

In tali impianti l’aria, prima di essere immessa in ambiente, vienetrattata in modo

da modificarne la temperatura e il grado igrometrico. Il costo energetico di questi

trattamenti è calcolabile attraverso le variazioni di entalpia dell’aria, che assume

quindi fondamentale importanza. Essendo questa una grandezza estensiva, può essere

54

Page 58: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

calcolata, per un sistema formato da una massama di aria secca e una massa

d’acquamv allo stato di vapore surriscaldato, da:

Ha+v = maha + mvhv

dove:

ha = entalpia specifica dell’aria secca

hv = entalpia specifica del vapore

Poiché la portata d’aria secca resta costante nel corso del trattamento, mentre quella di

vapore può variare (se l’aria viene deumidificata o umidificata), vige la consuetudine

di riferire l’entalpia della miscelaall’unità di massa di aria secca, anziché all’unità di

massa della miscela. Per cui, dividendo per la massa dell’aria seccama, si ha:

h1+x = ha + xhv

dove h1+x rappresenta l’entalpia di 1 kg di aria secca e dix kg di vapore ad essa

associati. Poiché le entalpie sono riferite a 0C, si ha:

ha = cpa (T − 0) = cpaT

in cui cpa è il calore specifico medio dell’aria eT è espressa in C. Per ciò che riguarda

l’entalpia del vapore surriscaldato, essa può essere calcolata come:

hv = r0 + cpvT

,in cui cpv è il calore specifico medio del vapor d’acqua surriscaldato edr0 il calore

di evaporazione dell’acqua a 0C. Pertanto l’entalpia dell’aria umida sarà espressa

dalla formula:

h1+x = cpa · T + x ·(r0 + cpv ·T

)4.7

,In unità S.I. si ha:

cpa = 1.0kJ/(kg · K)

cpv = 1.9kJ/(kg · K)

r0 = 2500kJ/kg

55

Page 59: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

4.2. IL DIAGRA MMA DI MOLLIER PER L’ ARIA UMIDA

L’equazione 4.8 viene riportata in forma grafica in un diagramma (h,x) che tiene anche

conto della relazione 4.6 ricavata in precedenza. Tale diagramma assume il nome di

diagramma di Mollier per l’aria umida (fig. 4.2).1

Nel diagramma di Mollier si riporta in ascisse il grado igrometrico e in ordinate

l’entalpia. Tuttavia, quest’ultima viene conteggiata a partire da un asse inclinato verso

il basso di un angolo la cui tangente vale 2500. Pertanto le isentalpiche saranno rette

parallele a tale asse: il termine (2500 · x) starà al di sotto dell’asse delle ascisse e nel

primo quadrante verrà riportato soltanto il termine:

(1 + 1.9x)T

Le curve ad ugual umidità relativa si ricavano ponendo ϕ = cost nell’equazione 4.6 e

trovando poi le coppie di valori(pvs(T ), x) che la soddisfano.

Particolare interesse riveste in questo diagramma la curvaϕ = 100% (curva di

saturazione). Al di sopra di tale curva l’aria è insatura e il vapore in essa presente è

in condizioni di vapore surriscaldato. In corrispondenza della curva il vapore è saturo

secco e l’aria viene dettasatura di vapor d’acqua.

Il diagramma così tracciato vale per una particolare pressione barometrica (totale),

ma le curve ad ugual umidità relativa rimangono tali (sia pure riferite ad un diverso

1Ne esistono anche versioni diverse, come il diagramma psicrometrico Carrier (T-x), o quello

ASHRAE (h-x come il diagramma di Mollier, ma ad assi invertiti), più comunemente usate nei

Paesi anglosassoni.

Sostituendo i valori numerici e riordinando si ottiene:

h1+ x = 2500x + (1 + 1.9x)T 4.8

56

Page 60: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

valore di umidità relativa) anche per pressioni barometriche diverse. Infatti, dalla 4.6

si ottiene:

ϕ = p · x

pvs · (0.622 + x)4.9

che dimostra come il valore dell’umidità relativa sia direttamente proporzionale alla

pressione barometrica. Pertanto, ad esempio, la curva che perp = 1 bar rappresenta

la curva ad umidità relativa costante pari aϕ = 50 %, corrisponderà aϕ = 40 % se la

pressione è pari a 0.8 bar.

Inoltre, dalla 4.9 si osserva come, a parità di grado igrometrico x, al crescere della

temperatura crescepvs, edunque diminuisce l’umidità relativa.

Andamento delle isoterme

Nel campo di massimo interessetecnologico (aria insatura:x < xvs) le isoterme sono

rette di equazione:

h1+x = 2500x + (1 + 1.9x) T

ma, data la particolaritàdella scelta dell’asseh = 0 divengono:

h1+x = (1 + 1.9x) T

che intercettano sull’asse delle ordinate(x = 0) un segmento pari aT ed hanno tutte

origine in un punto avente:

h1+x = 0; x = −1/1.9

Per una temperatura superiore a quella del punto triplo dell’acqua(T > 0C) e x >

xvs ci si trova a destra della curva di saturazione, nella cosiddettaregione delle nebbie,

in cui le isoterme avranno equazione:

h1+x = 2500 xvs + (1 + 1.9 xvs)T + 4.2 T xl

L’ entalpia crescerà dunque, al crescere dix, solo a causa dell’aumento del contributo

della frazione liquida4.2 Txl , relativamente modesto e proporzionale aT . Pertanto

nella regione delle nebbie le isoterme risulteranno quasi isentalpiche.

57

Page 61: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

Diagramma di Mollier per l'aria umida (p = 1 atm)

-10.0

-5.0

0.0

5.0

10.0

15.0

20.0

25.0

30.0

35.0

40.0

0 0.005 0.01 0.015 0.02 0.025 0.03 0.035 0.04titolo (kg/kg)

T (

°C),

h (

kJ/k

g)

Fig. 4.2 – Diagramma di Mollier per l’aria umida (p = 1 atm).

Calcolo della portata d’aria umida

La legge di Dalton sancisce il fatto che in una miscela di gas ideali ciascuno dei singoli

gascoesiste con gli altri nello stesso volume senza interferenze. Nel caso dell’aria

umida, ciò significa che in un metro cubo di aria umida è contenuto un metro cubo

d’aria secca e un metro cubo di vapore. Lo stesso vale per la portata in volume.

Ovvero:

Va = Vv = V

Diverso è il discorso per la massa (e la portata in massa) dell’aria secca. La portata in

massa d’aria secca sarà data da:

ma = ρaVa =pa

R∗aT

V

in cui pa rappresenta lapressione parziale dell’aria secca. Questa può essere ricavata

dalle 4.3 e 4.4:

pa = p − ϕpvs

58

Page 62: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

e infine la portata in massa di vapore è data da:

mv = x · ma

4.3. TRASFORMAZIONI DELL’ ARIA UMIDA

Le principali trasformazioni subite dall’aria umida negli apparecchi di trattamento

dell’aria sono:

– Miscelazione

– Riscaldamento

– Raffreddamento senza condensazione

– Deumidificazione (raffreddamento con condensazione)

– Umidificazione

Miscelazione

La miscelazione è un processo nel quale due correnti di aria umida a temperatura e

umidità relativa diverse vengono mescolate. Indicando con i pedici 1 e 2 le grandezze

relative alle due correnti in ingresso e con il pediceu le caratteristiche della corrente

in uscita e considerando anche in questo caso il processo adiabatico, le equazioni di

conservazione dell’energia per i sistemi aperti e della massa (di acqua) forniscono:

ma · hu − ma1 · h1 − ma2 · h2 = 0

ma · xu − ma1 · x1 − ma2 · x2 = 04.10

in cui tutte le portate sono di aria secca e si è omesso per semplicità il pedice(1 + x)

dal simboloh dell’entalpia. Sapendo inoltre che:

m = m1 + m2

si desumono, note portata, grado igrometrico ed entalpia dei flussi d’aria in ingresso,

portata, gradoigrometrico ed entalpia dell’aria in uscita.

59

Page 63: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

=100%

h2

hu

1

2u

x1 x2xu

φ

h1

x

h

Fig. 4.3 – Miscelazione

Tali valori sono facilmente determinabili anche per via grafica. Le condizioni hu

ed xu dell’aria in uscita si ricavano infatti tracciando la congiungente i punti 1 e 2

rappresentativi dei due flussi d’aria in ingresso ed individuando su tale segmento

il punto tale da dividere il segmento stesso in parti inversamente proporzionali alle

portate (fig. 4.3).

Riscaldamento

Il riscaldamento dell’aria umida viene operato in una batteria di scambio termico nella

quale un fluido scaldante, in genere acqua o vapore, cede all’aria umida una potenza

termicaQ . Scrivendo le equazioni di conservazione per l’aria umida si ottiene:

Q = ma · hu − ma · hi

ma · xu = ma · xi

4.11

Dalle relazioni precedenti si ricava che il riscaldamento è sempreisotitolo (ovvero,

60

Page 64: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

φφ =100%

hui

u

x i = x u

hi

x

h

Ti

Tu

Fig. 4.4 – Riscaldamento dell’ar ia umida.

a grado igrometrico costante) ed è accompagnato da un aumento di entalpia e di

temperatura pari a:

∆h = Q/m a = ∆T · (1 + 1.9x) ≈ ∆T

È facile verificare dalla 4.9 che riscaldando a titolo costante l’aria umida l’umidità

relativa diminuisce (vedi Fig. 4.4), poiché aumenta pvs.

Raffreddamento

Il raffreddamento viene operato in una batteria di scambio termico alimentata da

acqua refrigerata. Da un punto di vista termodinamico esso ha modalità analoghe

al riscaldamento, finché non si raggiungono le condizioni di saturazione (ϕ = 100 %):

si tratta di una trasformazione isotitolo caratterizzata da una diminuzione di entalpia

e di temperatura calcolabile come indicato per il riscaldamento, e da un aumento di

umidità relativa.

Diverso è il caso in cui, nel corso del raffreddamento isotitolo, l’aria raggiunga

le condizioni di saturazione (fig. 4.5). La temperatura a cui l’aria diviene satura

61

Page 65: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

=100%

hi

i

u

xi

hu

x

h

Ti

Tu

Tr

xu

Fig. 4.5 – Raffreddamento con deumidificazione dell’aria umida.

viene dettatemperatura di rugiada (Tr ); continuando a sottrarre calore il vapore

inizia a condensare, mentre l’umidità relativa si mantiene pari al 100 %. Se l’acqua

condensata viene rimossa (non rimane in sospensione) le equazioni di conservazione

danno dunque:

Q = ma · (hu − hi) + mw · hw

ma(xu − xi) + mw = 04.12

dove:

Q = calore sottratto (negativo) nella batteria di raffreddamento

mw = portata di acqua condensata

hw = entalpia dell’acqua condensata

Le due equazioni 4.12 non consentono di risolvere il problema perché sono incogniti

xu, hu e mw . In realtà, entalpia e grado igrometrico dell’aria in uscita sono fra loro

legate, poiché l’aria è satura. Va pertanto aggiunta la condizione supplementare:

xu = 0.622pvs

p − pvs

62

Page 66: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

dedotta dalla 4.6 (con ϕ =1) che consente di legare il grado igrometrico alla pressione

di saturazione, e dunque alla temperatura ed all’entalpia.

La soluzione analitica del problema è, come si vede, piuttosto involuta; al contrario,

il problema può essere agevolmente risolto con l’ausilio del diagramma di Mollier: si

calcola in primo luogo l’entalpia dell’aria in uscita con la prima delle 4.12 trascurando

il termine mwh w ; si determina poi il punto finale sul diagramma di Mollier quale

intersezione fra la retta h = hu e la curvadi saturazione; dal valore del grado

igrometrico xu, infine, si ricava per mezzo della seconda delle 4.12 la portata m w .

Si potrà a questo punto verificare che l’errore compiuto trascurando il termine mwh w

è dell’or dine dell’1%, edunque accettabile.

Umidificazione

L’ umidificazione può essere effettuata in due modi diversi:

– con acqua nebulizzata

– a vapore

Nel primo caso si impiega una apposita batteria in cui dell’acqua nebulizzata viene

spruzzata nell’aria che la attraversa. L’acqua evapora sottraendo calore all’aria ed

aumentandone il grado igrometrico. Considerando il processo adiabatico, le equazioni

di conservazione danno:

ma(h u − h i) − m w · h w = 0

ma(xu − xi) − m w = 04.13

Questa volta, essendo nota la portata mw , entalpia e grado igrometrico dell’aria in

uscita sono facilmente determinabili. Dalla prima delle 4.13 si deduce, inoltre, che la

trasformazione è pressoché isentalpica, poiché, come in precedenza, il termine mwh w

è trascurabile rispetto ai termini mah i e m ah u (fig. 4.6).

Poichéxu è maggiore di xi, a parità di entalpia si deve avere, per la 4.7, T u < T i.

63

Page 67: Fisica Tecnica Ambientale

4. APPLICAZIONI: ARIA UMIDA

hi

i

u

x i

φ =100%

hi = hu

x

h

= Tbs

Tu = T bu

x u

Ti

Fig. 4.6 – Rappresentazione sul diagramma di Mollier di una umidificazione isentalpica.

Quando la portatamw introdotta è tale da portare l’aria in condizioni di saturazione

Tu coinciderà con la cosiddetta temperatura di bulbo umido T bu.2

2Questa è la temperatura che verrebbe misurata da un termometro il cui bulbo sensibile sia stata

avvolto da una pezzuola imbevuta di acqua distillata. Tale strumento è detto termometro a bulbo

umido opsicrometro di Assman.

64

Page 68: Fisica Tecnica Ambientale

progettodidattica in rete

prog

etto

dida

ttica

in re

tePolitecnico di Torino, maggio 2003

Dipartimento di Energetica

Fisica Tecnica AmbientaleParte II: trasporto di calore e di massa

G.V. Fracastoro

otto editore

Page 69: Fisica Tecnica Ambientale
Page 70: Fisica Tecnica Ambientale

PARTE IItrasporto di calore e di massa

WWW.POLITO.IT

Page 71: Fisica Tecnica Ambientale

Giovanni Vincenzo Fracastoro

Fisica Tecnica Ambientaleparte II - trasporto di calore e di massa

Prima edizione maggio 2003

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la

fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Page 72: Fisica Tecnica Ambientale

INDICE

1. Generalità sulla trasmissione del calore e conduzione 69

1.1. Conduzione e legge di Fourier. . . . . . . . . . . . . . 69

1.2. Equazione generale della conduzione . . . .. . . . . . . 72

1.3. Condizioni al contorno e scambio termico misto . . . . 75

1.4. Paretepiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79

1.5. Paretecilindrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83

1.6. Transitori termici in sistemi a capacità termica concentrata 85

1.7. Alcuni problemi particolari . . . . . . . . . . . . . . . . 88

2. Irraggiamento 95

2.1. Leggi del corponero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96

2.2. Caratteristicheradiative delle superfici reali . . . . . . . 98

2.3. Scambio termico per irraggiamento fra corpi neri . . . . 99

2.4. Scambio termico per irraggiamento fra superfici grigie . 101

3. Convezione 105

3.1. Regimedi moto e viscosità . . . . . . . . . . . . . . . . 107

3.2. Concetto di strato limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

3.3. Analisi dimensionale per la convezione forzata . . . . . . 110

3.4. Convezionenaturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113

67

Page 73: Fisica Tecnica Ambientale

4. Problemi termoigrometrici nelle pareti edilizie 117

4.1. Scambio termico misto in intercapedini . . . . . . . . . 117

4.2. Diagramma(T,R) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

4.3. Trasmissione del calore in pareti opache in presenza di .

radiazionesolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122

4.4. Il problema della condensa superficiale . . .. . . . . . . 122

4.5. Diffusione del vapore e condensa interstiziale . . . . . . 124

4.6. Trasmissionedel calore in pareti vetrate . . . . . . . . . 130

68

Page 74: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DELCALORE E CONDUZIONE

La Parte della Fisica Tecnica che studia il trasferimento di calore all’interno diun corpo o fra corpi diversi è detta Termocinetica o Trasmissione del Calore.

Per meglio comprendere l’ambito di studio della Termocinetica si può dire cheessainizia là dove finisce la Termodinamica. Quest’ultima, infatti, ci consentedi calcolare lo stato termico che si raggiunge in condizioni di equilibrio, manon le leggi con cui si perviene a queste condizioni. Ad esempio, ci consentedi stimare la temperatura finale di due corpi messi a contatto, ma non lavelocità di evoluzione delle loro temperature. Questo è appunto il compitodella Trasmissione del Calore.

Si è già detto che il calore è energia in transito per differenza di temperatura;sebbene nei problemi reali sia abbastanza raro che si verifichino isolatamente,si distinguono tre modi fondamentali di trasmissione del calore:conduzione,irraggiamentoe convezione. Inizieremo con la trattazione della conduzione,ma poiché la distribuzione di temperatura all’interno di un corpo dipende daquello che avviene sul suo contorno, sarà necessario fornire anche qualcheinformazionepreliminare sulle altre modalità di scambio termico.

1.1. CONDUZIONE E LEGGE DI FOURIER

Nella conduzione lo scambio di energia termica avviene per scambio di energia

cinetica molecolare (fluidi e dielettrici) o per diffusione elettronica (metalli) senza

scambio di materia, all’interno di un corpo. Si ricorda che, secondo la teoria cinetica,

la temperatura è proporzionale all’energia cinetica molecolare media e l’energia

69

Page 75: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

interna di un corpo non è altro che la somma delle energie cinetiche e potenziali delle

molecole che lo costituiscono.

L’esperienza insegna che il flusso di calore all’interno di un corpo non isotermo

avviene sempre dalle regioni a temperatura più alta a quelle a temperatura più bassa

(II Principio della Termodinamica), e che esso è tanto più intenso quanto più è grande

il gradiente di temperatura. Ciò può essere espresso in forma analitica attraverso la

legge di Fourier:

Q = −λ · A∂T

∂x1.1

dove:

Q = potenza o flusso termico,W

A = area della superficie di passaggio del flusso termico,m2

λ = conducibilità termica,W/(mK)

T = temperatura,K

x = lunghezza generica,m

Il segno meno è imposto dal Secondo Principio della Termodinamica, poiché il flusso

termico è diretto nel verso delle temperature decrescenti, e quindi ha segno opposto al

gradiente termico. Laconducibilitàtermicaλ risulta definita anche dimensionalmente

attraverso la 1.1. Essa varia a seconda del tipo di sostanza, e in genere cresce con la

densità. I valori per alcuni materiali e sostanze di comune impiego in edilizia sono

riportati in tabella 1.1.

La conducibilità termica varia in funzionedella temperatura. Essa cresce con

l’aumentare della temperatura per i gas e per i materiali isolanti: ad esempio, per

l’aria il gradiente è di circa 0.5 % alC. Per i metalli molto puri essa diminuisce,

invece, al crescere della temperatura.

70

Page 76: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Tab. 1.1 – Valori di conducibilità termica per alcune sostanze e materiali

di comune impiego nell’edilizia.

Sostanza o materiale Conducibilità termica[W/(m · K)]

FLUDI aria 0.024

acqua 0.554

ISOLANTI lana minerale, granuli 0.046

poliuretano 0.026

fibra di vetro 0.027

polistirene espanso 0.03-0.17

MATERIALI laterizi ordinari 0.72

DA laterizi faccia-vista 1.3

COSTRUZIONE calcestruzzo normale 1.2-2.0

calcestruzzo alleggerito 0.2-0.8

legno duro (quercia, acero) 0.16

legno tenero (abete, pino) 0.12

vetro 1.4

pietra (calcare, granito, marmo) 2.15-2.80

intonaco di cemento 0.72

intonaco di gesso 0.22-0.25

METALLI acciaio inox 13-15

acciaio 45-60

ferro 80

alluminio, lega di alluminio 170-237

rame 385

71

Page 77: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

1.2. EQUAZIONE GENERALE DELLA CONDUZIONE

Coordinate rettangolari

Applicando il I Principio della Termodinamica a un cubetto elementare attraversato

da flussi termici conduttivi si ottiene, nell’ipotesi di conducibilità termica costante

nelle tre direzioni, l’equazione generale della conduzione(vd. DIMOSTRAZIONE a

pag. 73):

∂2T ∂2T ∂2T q ρc ∂T

∂x2+

∂y2+

∂z2+

i

λ=

λ·

∂t1.2

o anche

∇2T +qi

λ=

1

α·∂T

∂t1.2a

2

dove∇ è l’operatore di Laplace eα è ladiffusività termica,

α =λ

ρ · c

La 1.1 è un’equazione differenziale alle derivate parziali integrabile soltanto in alcuni

casi particolari, ai quali si tenta di ricondurre i problemireali. Ad esempio,

quando il corpo è costituito da una parete piana di grandi dimensioni rispetto allo

spessore che separa due ambienti a temperatura diversa, il flusso termico può essere

ragionevolmente considerato monodimensionale e ortogonale alla parete. In questo

caso la1.2 si riduce a:

∂2T

∂x2+

qi

λ=

1

α

∂T

∂t

In assenza di generazione interna si ottiene:

∂2T

∂x2=

1

α

∂T

∂t1.3

Nel caso di flusso stazionario (∂T/∂t = 0) e in assenza di generazione interna si ottiene:

d2T

dx2= 0 1.4

72

Page 78: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

DIMOSTRAZIONE

Applicando il Primo Principio della Termodinamica in forma di potenza:

XQ =

∂U

∂t

ad un solido elementare di materia avente lati dx, dy e dz e conducibilità λ x, λy,

λ z (fig. 1.1) attraversato da un flusso ter mico conduttivo tr idimensionale e sede di un

flusso termico generato internamente, Qi si avrà:

Qx + Qy + Qz + Qi = Qx+dx + Qy+dy + Qz+dz +∂U

∂t

Applicando la 1.1 si ottiene:

Qx = −λx · dy · dz · ∂T

∂x

Qy = −λy · dx · dz · ∂T

∂y

Qz = −λz · dx · dy · ∂T

∂z

Il flusso uscente lungo x sarà:

Qx+dx = Qx +∂Q

∂xdx

e analogamente lungo y e z. La differenza fra i flussi termici sullo stesso asse dà:

Qx+dx − Qx =∂

∂x

„λx

∂T

∂x

«dx · dy · dz

Qy+dy − Qy =∂

∂y

„λy

∂T

∂y

«dx · dy · dz

Qz+dz − Qz =∂

∂z

„λz

∂T

∂z

«dx · dy · dz

A sua volta la variazione di energia interna ed il flusso generato internamente possono

essere espressi come:

∂U

∂t= ρ · c · dx · dy · dz · ∂T

∂t

Qi = qi · dx · dy · dz

dove:

73

Page 79: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

x

Qx+dx

Qz+dz

Qy+dy

Qz

Qy

Qx

y

z

dy

dz

dx

Fig. 1.1 – Flussi di conduzione attraverso un solido elementare.

ρ = massa volumica (kg/m3)

c = capacità termica massica (J/kg·K)

qi = flusso generato per unità di volume (W/m3)

Si ottiene in questo modo l’equazione generale della conduzione:

∂x

„λx

∂T

∂x

«+

∂y

„λy

∂T

∂y

«+

∂z

„λz

∂T

∂z

«+ qi = ρc · ∂T

∂tD.1

Se la conducibilità termica è costante nelle tre direzioni si ottiene:

∂2T

∂x2+

∂2T

∂y2+

∂2T

∂z2+

qi

λ=

ρc

λ· ∂T

∂tD.2

Coordinate cilindriche

Adottando un sistema di coordinate cilindriche (r,θ, z), con un procedimento

simile a quello illustrato nella DIMOSTRAZIONE a pag.73 l’equazione generale della

conduzione diviene:

1r2

∂2T

∂θ2+

∂2T

∂z2+

∂2T

∂r2+

1r

∂T

∂r+

qi

λ=

1α· ∂T

∂t1.5

che si riduce, nel caso di flusso monodimensionale radiale, stazionario e senza

generazione interna, a:

74

Page 80: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

d2T

dr2+

1r· dT

dr= 0 1.6

1.3. CONDIZIONI AL CONTORNO E SCAMBIO TERMICO MISTO

La soluzione delle equazioni differenziali alle derivate parziali come le 1.2- 1.6

permette di descrivere il campo termico all’interno di un corpo. Questo dipende

tuttavia dalle condizioni termicheal contornoe, per i problemi che dipendono dal

tempo, iniziali.

Per esempio, la 1.4 ha come soluzione generale

T = a · x + b

che indica come in una parete piana in regime stazionario il profilo di temperatura sia

lineare. Tuttavia, il valore delle due costantia e b può essere determinato soltanto

sesono definite due condizionial contorno(ovvero, sulle due facce della parete). La

condizione inizialespecifica invece i valori di temperatura in ogni punto del sistema

all’istante iniziale.

Esistono tre tipi di condizione al contorno, che verranno di seguito esemplificate per

casi monodimensionali stazionari:

– 1 tipo - condizione di temperatura (o diDirichlet)

– 2 tipo - condizione di flusso (o diNeumann)

– 3 tipo - condizione di temperatura e flusso (o diconvezione)

Una condizione al contorno in cui il termine noto sia nullo viene dettaomogenea.

Le condizioni al contorno del 1 tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema

in esame è imposto e noto il valore della temperatura. Ad esempio, per un caso

monodimensionale:

T |x=x1= T1 1.7

75

Page 81: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Le condizioni al contorno del 2 tipo sono quelle in cui sul contorno del sistema

in esame è noto il valore assunto dal flusso termico. Ad esempio, per un caso

monodimensionale:

Q∣∣∣x =x1

= −λ · A · dT

dx

∣∣∣∣x =x 1

= Q 1 1.8

Su un piano di simmetria del sistema si avrà una condizione al contorno omogenea

perché sarà nullo il gradiente di temperatura e dunque Q 1 = 0 .

Le condizioni al contorno del 3 tipo sono le più comuni nella pratica. Esse prevedono

che sul contorno del sistema siano fornite equazioni supplementari in cui compaiono

sia la temperatura che il flusso termico:

Q∣∣∣x =x1

= − λ · A · dT

dx

∣∣∣∣x =x 1

= h · A · (T |x =x1− Ta

)1.9

in cui Ta è la temperatura dell’ambiente (fluido e superfici) con cui viene scambiato

calore per convezione e irraggiamento e h è il coefficiente di scambio termico liminare

o adduttanza superficiale.

Per comprendere meglio il significato di h è necessario analizzare più nel dettaglio

cioè che avviene all’interfaccia fra la superficie del corpo e l’ambiente. Il calore che

proviene dall’interno del corpo per conduzione ( Qk ) è uguale alla somma di quello

scambiato dalla superficie per convezione con il fluido ( Qc ) e per irraggiamento con

le superfici r ), come indicato in figura 1.2. circostanti ( Q

Qk = Qc + Qr 1.10

È necessario dunque fornire alcune indicazioni preliminari sulle due forme con cui

avviene lo scambio termico per irraggiamento e convezione. Una trattazione più

dettagliata verrà fornita neiCAPITOLI 2 e 3.

I rraggiamento

L’ irraggiamento è il trasferimento di calore per propagazione di onde elettromagne-

tiche. Questa avviene alla velocità della luce, sotto forma diquantidi energia che si

propagano con leggi desumibili dalla teoria ondulatoria. Non vi è bisogno di un mezzo

76

Page 82: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Qc

Qr

Qk

Fig. 1.2 – Equilibrio dei flussi alla parete.

per consentire la propagazione delle onde elettromagnetiche: esse si propagano anche

nel vuoto.

Nello scambio termico fra due corpi neri la potenza termica scambiata vale

Q = A1F12σ(T 41 − T 4

2 ) 1.11

in cui σ è la costante di Stefan-Boltzmanne F12 rappresenta ilfattore di vistafra la

superficie 1 (di areaA1) e la superficie 2. La 1.11 mostra come la potenza termica

emessa da un corpo sia funzione della quarta potenza della sua temperatura assoluta.

Una espressione analoga si può ricavare per la potenza termica scambiata fra due

superfici grigie, cioè due superfici che emettono una frazioneε della potenza emessa

a parità di altre condizioni dal corpo nero:

Q = A1Fεσ(T 41 − T 4

2 ) 1.12

in cui Fε è un fattore che tiene conto sia del fattore di vista che delle emissività delle

due superfici. Se le temperatureT1 e T2 non differiscono troppo, si può linearizzare

l’espressione precedente ponendo

hr = 4FεσT 3m 1.13

77

Page 83: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

in cui Tm è la mediaaritmetica fra le due temperature ehr è detto coefficiente di

scambio termico liminare per irraggiamento. Si ottiene immediatamente

Qr = hrA1(T1 − T2) 1.14

Convezione

È il meccanismo che regola la trasmissione del calore tra una superficie solida e un

fluido. Si tratta di un meccanismo complessoin cui sono presenti diversi fenomeni

(conduzione, irraggiamento, accumulo termico, trasporto di massa): le particelle

di fluido adiacenti alla parete scambiano calore con quest’ultima per conduzione,

poiché la velocità delle particelle stesse è nulla sulla superficie. Quando poi le

particelle vengono trasportate verso regioni a temperatura diversa, esse si mescolano

e trasferiscono la loro energia e quantità di moto alle particelle di queste regioni.

Si usa distinguere tra convezionenaturalee forzata. Nel primocaso la causa del moto

delle particelle fluide sono i gradienti di densità indotti nel fluido dalle differenze di

temperatura, mentre nel secondo caso tale moto è provocato da una azione esterna. In

entrambi i casi si è soliti calcolare il flusso scambiato fra parete e fluido per mezzo

della seguente relazione (Legge di Newton):

Q = hcA (T1 − Tf ) 1.15

in cui hc è detto coefficiente di scambio termico liminare per convezione, e Tf la

temperatura del fluido adiacente alla parete. Nel caso di convezione forzatahc dipende

essenzialmente dalla velocità relativa fra fluido e parete, mentre in convezione naturale

esso dipende da molti fattori, fra cui, come si vedrà, la differenza di temperatura stessa.

Scambio termico liminare

Una volta ricavate le equazioni 1.14 e 1.15, nel caso in cui la temperatura del fluido

coincida praticamente con quella delle superficivistedalla parete considerata (T2 ≈Tf ) e divenga perciò genericamente latemperatura dell’ambienteTa, si può tornare

all’equazione 1.9, chediviene:

78

Page 84: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Qk

A= − λ

dT

dx

∣∣∣∣x=x1

= (hc + hr) · (T1 − Ta) = h · (T1 − Ta) 1.16

dove h, detto coefficiente di scambio termico liminareo adduttanza superficiale,è

dato da:

h = hc + hr 1.17

L’inverso delcoefficienteh viene dettoresistenza termica liminare.

1.4. PARETE PIANA

In questo paragrafo si analizza l’andamento della temperatura attraverso una parete

piana di spessore piccolo rispetto alle altre due dimensioni e si calcola il flusso

termico che la attraversa nella direzione dellospessore. Le ipotesi ricorrenti in questa

trattazione sono:

– regime stazionario

– geometria rettangolare

– flusso monodimensionale

– generazione interna nulla (qi = 0 )

Parete piana monostrato con condizioni al contorno del 1 tipo

Si abbia una parete piana (fig. 1.3) composta da un solo strato omogeneo di spessore

s econducibilità termicaλ; sono inoltre imposte sulle due facce della paretevalori

prefissati di temperatura. Occorre integrare l’equazione differenziale 1.4 con le

seguenti condizioni al contorno:

T (0) = T1 T (s) = T2

Si ottiene l’andamento lineare:

T = T1 − T1 − T2

s· x 1.18

79

Page 85: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

T2

T1

0 s x

T

Fig. 1.3 – Parete piana monostrato.

Derivando la 1.18 e applicando la legge di Fourier si ottiene immediatamente il flusso

trasmesso:

Q = λAT1 − T2

s1.19

Si osservi che la 1.19 poteva essere ottenuta direttamente dalla 1.1, che è in questo caso

unaequazione differenziale a variabili separabili, facilmente integrabile poichéQ non

è funzione di x1. La 1.19 viene spesso scritta come:

Q

A=

T1 − T2

R1.19 a

o anche:

Q

A= C · (T1 − T2) 1.19 b

o infine:

Q =T1 − T2

R′ 1.19 c

1Infatti, se il flusso entrante in uno strato fosse diverso da quello uscente, per il Primo Principio

della Termodinamica l’energia interna e dunque la temperatura dello strato varierebbe nel

tempo.

80

Page 86: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

dove:

R = resistenza termica dello strato =s/λ

C = conduttanza dello strato =λ/s = 1/R

R′

= resistenza termica specifica dello strato =s/(λA) = R/A

La 1.19.c mostra la perfetta analogia fra le leggi della conduzione (legge di Fourier) e

quelle dell’elettromagnetismo (legge di Ohm):

I =∆V

R⇔ Q =

∆T

R

con le seguenti corrispondenze:

corrente elettrica (I) ⇔ flusso termicoQ

differenza di potenziale (∆V ) ⇔ differenza di temperatura (∆T )

resistenza elettrica (R) ⇔ resistenza termica specifica (R’)

Parete piana multistrato con condizioni al contorno del 1 tipo

Sono note, come prima, le temperature sulle due facce estreme T1 e Tn+1. Si scrive

la 1.19 per ognuno degli n strati che costituiscono la parete (fig. 1.4).

Q

A= λ1 · T1 − T2

s1

Q

A= λ2 · T2 − T3

s2

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Q

A= λn · Tn − Tn+1

sn

Il flusso che attraversa i vari strati è sempre lostesso, per l’ipotesi di stazionarietà. Per

cui, mettendo in evidenza le n differenze di temperatura e sommando, si ottiene:

Q

A=

T1 − Tn+1n∑

j=1

sj

λj

=T1 − Tn+1

n∑j=1

Rj

= C · (T1 − Tn+1) =T1 − Tn+1

R1.20

81

Page 87: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

1 2 3 n n+1

s1 s2 sn

1 2 n

T1

T2

T3

Tn

Tn+1

T

Fig. 1.4 – Parete multistrato.

essendo C la conduttanza, ed R la resistenza termica della parete multistrato:

R =1C

=n∑

j=1

sj

λj=

n∑j=1

Rj

Pareti piane che separano ambienti a temperatura prefissata

In questo caso, assai frequente nella realtà, si considerano pareti che separano ambienti

mantenuti a temperature diverse, ad esempio l’ambiente interno di un edificio e

l’ambiente esterno.Sono note le temperature dei due ambienti, ma non le temperature

superficiali né i flussi. Le condizioni al contorno che si impongono sono dunque del

3 tipo, ovvero:

Q

A

∣∣∣∣∣x=0

= −λ · dT

dx

∣∣∣∣x=0

= hi · (Ti − T (0))

Q

A

∣∣∣∣∣x=s

= −λ · dT

dx

∣∣∣∣x=s

= he · (T (s) − Te)

82

Page 88: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

dovehi e he sono i coefficienti di scambio termico liminare interno ed esterno eTi e

Te le temperature (note)dei due ambienti interno ed esterno separati dalla parete. Si

ha dunque, essendo il flusso costante in ogni strato e ricordando la 1.20:

Q

A= hi · (Ti − T1)

Q

A=

T1 − Tn+1n∑

j=1

sj

λj

Q

A= he · (Tn+1 − Te)

Sommando, come prima, le differenze di temperatura e semplificando si ottiene:

Q

A

1

hi+

n∑j=1

sj

λj+

1he

= Ti − Te

da cui:

Q

A= U · (Ti − Te) 1.21

dove U , detta trasmittanza termicao coefficiente di scambio termico globale, è

data da:

U =

1

hi+

n∑j=1

sj

λj+

1he

−1

1.22

1.5. PARETE CILINDRICA

Parete monostrato con condizioni al contorno del 1 tipo

Si abbia una parete cilindrica composta da unsolo strato omogeneo di conducibilità

termica λ (fig. 1.5). Valgono le seguenti ipotesi:

– regime stazionario

– assenza di generazione interna

– flusso monodimensionale (radiale).

83

Page 89: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

r2r1

r

T2

T1

Fig. 1.5 – Parete cilindrica monostrato (sezione trasversale).

Anche in questo caso è possibile ricavare direttamente il flusso ponendo nella 1.1,

x = r eA = 2πrL

Q

2πrL= −λ · dT

dr1.23

e integrando con le seguenti condizioni al contorno:

T (r1) = T1

T (r2) = T2

Si ottiene la potenza per unità di lunghezza:

Q

L= 2πλ

T1 − T2

ln (r2/r1)1.24

Alla stessa espressione si poteva giungere ricavando dalla 1.6 il profilo di temperatura

e successivamente applicando la legge di Fourier.

In mododel tutto analogo a quanto visto per la parete piana multistrato, per una parete

cilindrica formata dan strati concentrici si ottiene:

Q

L= 2π · T1 − Tn+1

n∑j=1

1λj

ln rj+1rj

1.25

84

Page 90: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

Pareti cilindriche che separano fluidi a temperatura prefissata

Procedendo in modo analogo a quanto fatto per la parete piana multistrato si ottiene il

flussodisperso per unità di lunghezza:

Q

L= 2π · Ti − Te

1rihi

+n∑

j=1

1λj

ln rj+1rj

+ 1rehe

= UL (Ti − Te) 1.26

Volendo esprimere il flusso disperso per unità di superficie, occorre distinguere il caso

in cui ci si riferisce alla superficie interna:

Q

Ai=

Ti − Te

1hi

+ ri

n∑j=1

1λj

ln rj+1rj

+ ri

rehe

= Ui · (Ti − Te) 1.27

da quello in cui ci si riferisce alla superficie esterna:

Q

Ae=

Ti − Te

re

rihi+ re

n∑j=1

1λj

ln rj+1rj

+ 1he

= Ue · (Ti − Te) 1.28

Dalle 1.26 - 1.28 si ricavano le espressioni delle trasmittanze UL, Ui, Ue.

1.6. TRANSITORI TERMICI IN SISTEMI A CAPACITÀ TERMICA

CONCENTRATA

Vengono detti sistemia capacità termica concentrataquei corpi la cui temperatura

può variare nel tempo, mantenendosi peròuguale in ogni punto(uniforme). Si

osservi peraltro che se il corpo scambia calore attraverso il suo contorno deve esistere

un gradiente termico al suo interno, come si vede da un semplice bilancio su una

superficie infinitesima del contornodA :

h dA (T − Ta) = −λdA∂T

∂n

dove

h = coefficiente di scambio termico liminare

85

Page 91: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

T = temperatura del corpo

Ta= temperatura dell’ambiente

λ = conducibilità termica del corpo

n = normale alla superficie

Tuttavia il gradiente∂T/∂n diviene molto piccolo seλ è grande rispetto adh. In

pratica esso può essere trascurato se vale la condizione:

Bi =h (V /A)

λ=

h · Lλ

=L/λ

1/h=

Rint

Rest< 0.1

dove

Bi è il numero di BioteV è il volume del corpo.

Sesi introduce un corpo aventeBi < 0.1 e temperatura iniziale T0 in un fluido a

temperaturaTa < T0 e capacità termica infinita (fig. 1.6) nel tempodt si ha dunque,

supponendo che il sistema sia nel complesso adiabatico:

dQ = −ρcV · dT = −C · dT 1.29

con

dQ = h A (T − Ta) · dt 1.30

dove:

ρ = densità

c = calore specifico

C = capacità termica

h = coefficiente di scambio termico liminare

A = area della superficie di scambio

Le 1.29 - 1.30, risolte imponendo la condizione iniziale:

T (0) = T0

86

Page 92: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

QT

T a

Fig. 1.6 – Corpo a capacità termica concentrata inserito in un sistema a capacità

termica infinita.

forniscono:

T − Ta = (T0 − Ta) · e−·h·A·t/C 1.31

L’ andamento della differenza di temperatura è dunque esponenziale. La temperatura

raggiunta dal corpo al tempot = ∞ varrà ovviamenteTa. Il termine

τ =C

hA=

ρcV

hA

è detto costante di tempo del sistemae rappresenta il tempo necessario perché la

differenza di temperatura tra corpo e fluido si riduca del fattore1/e (36.8 %). È

possibile dimostrare che esso coincide inoltre con il tempo in cui la temperatura del

corpo raggiungerebbe quella dell’ambienteseessa decadesse con legge lineare e con

pendenza pari a quella assunta all’istante iniziale. Inoltre, tenendo presente che:

hA

Ct =

hL2

ρcL3tλ

λ=

hL

λ· αt

L2= Bi · Fo

dove L è la lunghezza caratteristica del corpo (ad esempio,L = Volume/Area

Laterale), α è la diffusività termica eFo = αt/L2 è il numero di Fourier(o tempo

adimensionato), si può scrivere:

ϑ = e−Bi·Fo 1.32

87

Page 93: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0 5 10 15 20

Numero di Fourier, Fo

Tem

pera

tura

adi

men

sion

ata

Bi = 0.02

Bi = 0.04

Bi = 0.06

Bi = 0.08

Bi = 0.10

Fig. 1.7 – Transitorio termico in un sistema a capacità concentrata.

in cui

ϑ =T − T∞T0 − T∞

è la temperatura adimensionata del corpo. L’equazione 1.32 è illustrata in figura 1.7.

1.7. ALCUNI PROBLEMI PARTICOLARI

Pareti piane composite

Si consideri la parete di figura 1.8, composta di sezini a e b (con Ua < Ub) separati

da un piano parallelo alla direzione del flusso. Si supponga che gli ambienti che essa

separa siano mantenuti rispettivamente alla temperaturaTi eTe, conTi > Te. Il flusso

termico attraverso le areeAa eAb vale rispettivamente:

Qa = UaAa (Ti − Te) =∆T

Ra′

Qb = UbAb(T i − T e) =∆T

Rb′

88

Page 94: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

a

b

Aa

Ab

Fig. 1.8 – Parete piana composita.

Il flusso complessivamente uscente vale:

Q = Qa + Qb = ∆T

(1

R′a

+1R′

b

)

Pertanto si ha:

Q =∆T

R′eq

= Ueq · ∆T

essendo:

R′eq =

(1

R′a

+1R′

b

)−1

1.33

la resistenza equivalente(R′eq < R′

b < R′a ) e:

Ueq =AaUa + AbUb

Aa + Ab1.34

la trasmittanza equivalente(Ua < Ueq < Ub) della parete. In figura 1.9 viene presentato

il caso di sezioni costituite ciascuna da un solo strato omogeneo (conλa < λb). Si

osserva che l’andamento di temperatura lungolaparete a (linea spessa) diviene diverso

da quello lungo la pareteb (linea sottile) e nascono differenze di temperatura anche in

direzione y ortogonale allo spessore della parete.

89

Page 95: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

a

bT2b

T1b

T1a

T2a

Ti

Te

Ta

Tb

Fig. 1.9 – Andamento delle temperature in parete composita.

Alette di raffreddamento

Le alette di raffreddamento sono dispositivi che consentono di incrementare il flusso

termico disperso verso l’ambiente circostante attraverso l’aumento della superficie

disperdente. Le alette possono essere piane, anulari o a spina. In questo paragrafo

si analizzerà il comportamento di alette piane a sezione rettangolare (fig. 1.10) con le

seguenti ipotesi:

– regime stazionario

– caratteristiche di scambio termico(conducibilità, coefficiente di scambio

termico liminare) indipendenti dalla temperatura

– assenza di gradienti termici in direzione trasversale all’aletta

L’ ultima ipotesi implica che lo spessore dell’aletta sia molto piccolo rispetto alla sua

lunghezza.

Sesi considerano inoltre costanti per l’intera lunghezzaL il perimetrop e l’areaA

della sezione trasversale, e trascurabile il flusso disperso dall’estremità dell’aletta, si

90

Page 96: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

A

L

T

T0

a

Fig. 1.10 – Aletta piana rettangolare.

ottiene (vedi DIMOSTRAZIONE a pag. 92 anche per il significato degli altri simboli) il

flusso disperso dall’aletta:

Q = λAm (T0 − T∞) · tanh (mL) 1.35

doveT0 e T∞ rappresentano rispettivamente la temperatura alla radice dell’aletta e

dell’ambiente circostante.

Si può poi introdurre il concetto diefficienza dell’aletta, intesa come il rapporto fra il

flusso effettivamente disperso e quello massimo disperdibile. Quest’ultimo è il flusso

che verrebbe dispersose tutta l’aletta avesse una temperatura uniforme e pari aT0:

Qmax = p · L · h · (T0 − T∞)

per cui:

ε =Q

Qmax

=tanh(mL)

mL< 1 1.36

In figura 1.11 è riportato l’andamento dell’efficienza ε al variare del prodotto (mL).

Si può inoltre valutare un’altra forma di efficienzaε′, definita come il rapporto fra il

flusso effettivamente disperso e quello che sarebbe disperso se non vi fosse l’aletta:

Q0 = h · A · θ0

Tale valore dovrebbe evidentemente essere superiore ad 1. Infatti:

91

Page 97: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3

mL

effic

ienz

a,

Fig. 1.11 – Efficienza di un’aletta.

ε =λ · m · tanh(mL)

h=

p · LA

ε =2 (a + δ) L

a · δ ε ≈ 2 a L

aδε =

2L

δε

In genere,ε′

èdunque tanto maggiore diε quanto più l’aletta è lunga e sottile.

DIMOSTRAZIONE

Con le ipotesi sopra indicate il bilancio termico di un elementino di lunghezza dx

(fig. 1.12 ) dà:

Qx = Qx+dx + dQc D.1

Essendo:

Qx = −λA · dT

dxD.2

e

dQc = hp · (T − T∞) dx D.3

in cui:

λ = conducibilità termica del materiale costituente l’aletta

A = area della sezione trasversale dell’aletta

92

Page 98: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

dx

dQc

Qx Qx+dx

Fig. 1.12 – Aletta piana rettangolare.

h = coefficiente di scambio termico liminare

p = perimetro della sezione trasversale

T = temperatura dell’aletta (funzione di x)

T∞= temperatura dell’ambiente

si ottiene:

λAd2T

dx2= hp (T − T∞) D.4

Ponendo:

m2 =hp

λAD.5

e

θ = T − T∞ D.6

si ottiene:

d2θ

dx2− m2θ = 0 D.7

La D. 7 ammette la soluzione generale:

θ = M · e−mx + N · emx D.8

I valori delle costanti M ed N possono essere ricavati imponendo le oppportune condi-

zioni al contorno. In tal modo si ricava il profilo di temperatura lungo l’aletta. Da questo,

integrando la D. 3 su tutta l’aletta o r icavando il flusso disperso alla radice dell’aletta per

93

Page 99: Fisica Tecnica Ambientale

1. GENERALITÀ SULLA TRASMISSIONE DEL CALORE E CONDUZIONE

mezzo della D. 2 si ottiene il flusso disperso. Ad esempio, supponendo trascurabile il

flusso disperso dall’estremità dell’aletta, il flusso disperso risulta:

Q = λAmθ0 · tanh (mL) D.9

94

Page 100: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

L’irraggiamento termico è il fenomeno del trasporto di energia per pro-pagazione di onde elettromagnetiche; nei problemi termici la radiazioneelettromagnetica è caratterizzata da lunghezze d’onda comprese, in genere,tra 0.1 e 100 µm (radiazione termica).

Quando la radiazione incide su un mezzo materiale essa viene riflessa,assorbita o trasmessa.

Se si indicano con α, ρ, τ le frazioni di energia assorbita, riflessa e trasmessa(fig. 2.1), note rispettivamente come fattore o coefficiente di assorbimento, diriflessione e di trasmissione, si deve avere:

I coefficienti α, ρ, τ sono funzione sia della lunghezza d’onda λ dellaradiazione (in tal caso sono detti spettrali o monocromatici), sia del suoangolo d’incidenza θ (direzionali). Quando essi sono riferiti alla radiazioneproveniente da tutto lo spettro essi sono detti integrali, quando sono riferiti

ϑ

1

ρ

τ

α

Fig. 2.1 – Interazione della radiazione con un mezzo materiale.

α + ρ + τ = 1 2.1

95

Page 101: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

alla radiazione proveniente da tutto l’angolo solido visto dalla parete sonodetti emisferici. In ogni caso vale la 2.1.

Per mezzi opachi τ = 0. Se, inoltre, ρ = 0 a tutte le lunghezze d’onda, siha α = 1 e il mezzo viene detto corpo nero, o radiatore integrale, o ancoraradiatore di Planck.

2.1. LEGGI DEL CORPO NERO

La potenza emessa per unità di superficie nell’intervallo di lunghezza d’onda [λ, λ +

dλ] dal corpo nero ad una temperatura T è detta potere emissivo monocromatico o

densità di flusso monocromatica, definita come:

Enλ =

∂2Qn

∂A · ∂λ, W/(m2·µm)

Il potere emissivo monocromatico è dato dall’espressione, nota come legge di Planck,

ricavabile in base a considerazioni di termodinamica statistica applicata al gas di

fotoni:

Enλ =

C1 · λ−5

eC2/λT − 12.2

dove le costanti valgono C1 = 3.74 · 108 Wµm4/m2 e C2 = 1, 44 · 104 µm·K.

Esso risulta funzione di λ e T , come indicato in figura 2.2.

Da tale figura si osserva che il valore massimo del potere emissivo monocromatico

aumenta e si sposta verso sinistra al crescere di T . Differenziando la 2.2 rispetto

alla lunghezza d’onda si vede che il luogo dei punti di massimo è caratterizzato

dall’equazione (nota come legge di Wien o dello spostamento):

λmax · T = C3 2.3

con C3 = 2898 µm · K.

E’ di particolare interesse pratico determinare il potere emissivo integrale En:

En =

∞∫0

Enλ · dλ, W/m2

96

Page 102: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

0.0E+00

2.0E+07

4.0E+07

6.0E+07

8.0E+07

1.0E+08

1.2E+08

0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50

Lunghezza d'onda,

Pot

ere

emis

sivo

mon

ocro

mat

ico,

W/m

2T = 6000 KT = 5000 KT = 4000 KT = 3000 K

m µ

Fig. 2.2 – Potere emissivo monocromatico del corpo nero.

Il suo valore fu ricavato per via sperimentale da Stefan, e da Boltzmann, che vi

pervenne successivamente sulla base di considerazioni termodinamiche; per questo

motivo l’equazione che la esprime è nota come Legge di Stefan-Boltzmann1:

En = σ · T 4 2.4

con σ (costante di Stefan-Boltzmann), pari a 5.67 · 10−8 W/(m2K4).

In alcuni problemi può essere utile disporre di un metodo rapido per conoscere

la frazione di radiazione emessa dal corpo nero che si trova contenuta in una

determinata porzione dello spettro. Ciò è possibile introducendo il concetto di fattore

di radiazione fλ:

fλ =

λ∫0

Enλ · dλ

σ · T 42.5

Si dimostra che il valore di fλ è in realtà funzione soltanto del prodotto λT , come

illustrato in fig. 2.3. Da tale diagramma si vede che oltre il 99 % della radiazione è

1Da un punto di vista cronologico la legge di Stefan-Boltzmann precede la legge di Planck.

97

Page 103: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

0.00

0.10

0.20

0.30

0.40

0.50

0.60

0.70

0.80

0.90

1.00

1000 10000 100000

Prodotto T ( m K)

f

µ

λ

λ

Fig. 2.3 – Fattore di radiazione.

emessa nell’intervallo 1000 µm·K < λT < 30000 µm·K e oltre il 90 % nell’intervallo

2000 µm·K < λT < 20000 µm·K. A titolo di esempio, per un corpo nero a 3000 K il

90 % della radiazione è emessa fra 0.67 µm e 6,7 µm, mentre per un corpo nero a 300

K il 90 % della radiazione è emessa fra 6,7 µm e 67 µm.

Se si vuole calcolare la frazione di radiazione visibile (0.4µm < λ < 0.8µm) emessa

dal Sole, che può essere assimilato ad un corpo nero a circa 6000 K, è sufficiente

svolgere il seguente calcolo:

fvis = f0.8·6000 − f0.4·6000 ≈ 0.61 − 0.14 = 0.47

Il 14 % sarà pertanto radiazione ultravioletta (λ < 0.4µm) e il 39 % infrarossa

(λ > 0.8µm).

2.2. CARATTERISTICHE RADIATIVE DELLE SUPERFICI REALI

In un corpo opaco reale il fattore di riflessione è sempre diverso da zero, quindi il

fattore di assorbimento è minore di uno. Anche il potere emissivo monocromatico, in

un corpo reale, è una frazione, variabile con la lunghezza d’onda, del potere emissivo

98

Page 104: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

monocromatico del corpo nero Enλ , alla stessa temperatura T. Questa frazione è detta

fattore di emissione monocromatico emisferico:

ελ =Eλ(T )En

λ (T )

dove Eλ(T ) è il potere emissivo monocromatico del corpo.

La legge di Kirchhoff stabilisce che, quando un corpo è in equilibrio termico, si deve

avere:

ελ = αλ 2.6

Il fattore di emissione emisferico integrale è dato da:

ε =E(T )En(T )

=E(T )σ · T 4

in cui:

E(T ) =

∞∫0

ελ · Enλ · dλ

Si definiscono grigie le superfici in cui il fattore di emissione non dipende dalla

lunghezza d’onda. In questo caso si ha:

ε = α

2.3. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA CORPI NERI

Irraggiamento fra due superfici nere

Per ricavare il flusso termico scambiato per irraggiamento fra due superfici nere è

necessario definire il fattore di vista (o di forma, o ancora di configurazione). Il fattore

di vista dalla superficie 1 alla superficie 2 (F12) rappresenta la frazione di radiazione

uscente dalla superficie 1 che raggiunge la superficie 2. Ovvero:

F12 =Q12

Q1

2.7

99

Page 105: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

E dunque:

Q12 = E1nA1F12 è il flusso che da A1 raggiunge A2

Q21 = E2nA2F21 è il flusso che da A2 raggiunge A1

Il flusso netto scambiato vale:

Q = En1 A1F12 − En

2 A2F21 2.8

Un caso particolare della 2.8 è quello in cui T1 = T2. In questo caso En1 = En

2 , ma

deve anche essere Q = 0 . Perciò:

A1F12 = A2F21 2.9

La 2.9 è una relazione puramente geometrica e pertanto deve valere sempre, indipen-

dentemente dai valori assunti dalle temperature. Essa è nota come teorema o relazione

di reciprocità. Lo scambio netto vale pertanto:

Q = A1F12(En1 − En

2 ) = σA1F12

(T 4

1 − T 42

)2.10

in cui il fattore di vista è dato da:

F12 =1

A1·∫A1

∫A2

cosβ1 · cosβ2 · dA1dA2

π · r22.11

ed è riportato nella figura 2.4, a titolo d’esempio, per due superfici rettangolari

affacciate.

Irraggiamento fra n superfici nere

Nel caso in cui si debba valutare il flusso termico scambiato per irraggiamento fra n

superfici nere il flusso netto uscente dalla superficie i-esima varrà:

Qi = Eni Ai −

n∑j=1

AjFjiEnj

che, utilizzando il teorema di reciprocità (AjFji = AiFij ) si riscrive come:

Qi = Ai · (Eni −

n∑j=1

FijEnj ) 2.12

100

Page 106: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

Rapporto Y

/L

0.01

0.1

1

0.1 10Rapporto X/L

F 12

5

0.1

1

2

0.5

101000

L

Y

X

1

Fig. 2.4 – Fattore di vista fra due rettangoli uguali (XxY), allineati e paralleli a

distanza L.

Inoltre, se le n superfici nere costituiscono una cavità chiusa, vale la seguente

proprietà:

n∑j=1

Fij = 1

per cui la 2.12 può essere riscritta così:

Qi = Ai ·n∑

j=1

Fij · (Eni − En

j ) 2.13

Essendo note le temperature di tutte le n superfici, le n equazioni come la 2.13

permettono di calcolare immediatamente il flusso netto uscente dalle n superfici.

2.4. SCAMBIO TERMICO PER IRRAGGIAMENTO FRA SUPERFICI GRIGIE

Lo scambio termico fra superfici grigie presenta qualche ulteriore complessità rispetto

a quello fra superfici nere. Infatti, poichè non tutto il flusso incidente su una superficie

viene assorbito, una parte di quello riflesso tornerà sulla superficie da cui proviene il

flusso incidente, verrà solo in parte assorbito, e così via.

101

Page 107: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

Si dimostra che il flusso termico scambiato fra due superfici grigie vale:

Q =σ · (T 4

1 − T 42

)1−ε1ε1·A1

+ 1A1·F12

+ 1−ε2ε2·A2

= FεσA1 ·(T 4

1 − T 42

)2.14

avendo posto:

Fε =(

1 − ε1

ε1+

1F12

+A1

A2

1 − ε2

ε2

)−1

2.15

È facile dimostrare che per i corpi neri Fε = F12 e la 2.14 si riduce alla 2.10.

Valori di Fε per alcune geometrie particolari

Per due superfici piane, parallele e infinite si avrà A1 = A2 e F12 = F21 = 1, e

la 2.15 diverrà:

Fε =(

1ε1

+1ε2

− 1)−1

2.16

Per una superficie di area A1 contenuta in una cavità di area A2 >> A1, essendo

F12 = 1, la 2.15 diviene semplicemente:

Fε = ε1 2.17

Linearizzazione del flusso di irraggiamento

Come già visto nel CAPITOLO 1.3, nella soluzione analitica di problemi di irraggia-

mento è spesso conveniente esprimere i flussi termici scambiati come funzione lineare

della differenza di temperatura:

Q = hr · A1 · (T1 − T2)

Questa relazione può essere agevolmente desunta dalla 2.14, attraverso le proprietà dei

prodotti notevoli:

Q = FεσA1

(T 4

1 − T 42

)= FεσA1

(T 2

1 + T 22

)(T1 − T2) (T1 + T2)

e ponendo:

hr = Fεσ(T 2

1 + T 22

)(T1 + T2) ≈ 4FεσT 3

m 2.18

con Tm = (T1 + T2)/2.

102

Page 108: Fisica Tecnica Ambientale

2. IRRAGGIAMENTO

È possibile dimostrare che l’approssimazione insita nella 2.18

T 21 + T 2

2 ≈ 2T 2m

è tanto più accettabile quanto più prossime fra loro sono le temperature T1 e T2.

103

Page 109: Fisica Tecnica Ambientale
Page 110: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

La convezione è lo scambio di calore fra una superficie ed un fluido, atemperatura diversa, che la lambisce. I fenomeni di scambio termico sonoconcentrati in un sottile strato adiacente alla parete (strato limite termico) econsistono nell’interazione fra conduzione (e in minor misura irraggiamento)e trasporto di energia associata al fluido in moto (in direzione anche diversa daquella principale del moto).

A seconda che il moto relativo fra parete e fluido sia determinato da forzeesterne o sia provocato da variazioni di densità del fluido (dovute a loro voltaa differenze di temperatura) in presenza di un campo di forze di massa, laconvezione si dice rispettivamenteforzatao naturale.

Nel caso della convezione forzata, se le proprietà del fluido possono essereconsiderate costanti (il che implica che esse siano indipendenti dalla tempe-ratura e che, nelcaso di un gas, siano trascurabili le variazioni di pressione),il problema fluidodinamico e quello termico non si influenzano a vicenda epossono essere dunque affrontati separatamente.

Al contrario, nella convezione naturale questa separazione della trattazionenon è mai possibile perché il moto del fluido è proprio determinato daigradienti di temperatura all’interno della massa fluida.

In entrambi i casi, di convezione forzata o naturale, è consuetudine esprimere ilflusso termico convettivo attraverso l’espressione nota comelegge diNewton:

Q = hcA (Ts − Tf ) 3.1

dove:

A = area di scambio, m2

hc = coefficiente di scambio termico liminare convettivo o adduttanzasuperficiale, W/(m2K)

105

Page 111: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Ts = temperatura della superficie lambita dal fluido,C

Tf = temperatura del fluido C

La 3.1 è solo apparentemente una relazione lineare, perché il coefficiente discambio termico liminarehc dipende, per la natura stessa del fenomeno fisico,da un grande numero di variabili, tra cui compare, insieme alle proprietàtermofisiche del fluido (calore specifico, densità, viscosità, conducibilitàtermica, etc.), e ad altre grandezze fisiche e geometriche che caratterizzano ilproblema (velocità relativa, forma della superficie, etc.), anche la temperatura.

L’ obbiettivo degli studi sulla convezione è appunto quello di determinarehc.È possibile affrontare il problema dal punto di vista sperimentale o teorico.

Nel primo caso è opportuno far precedere la fase sperimentale da una analisidimensionale delle grandezze da cui dipende il problema (teorema di Buc-kinghamo teoremaΠ), che consenta di ridurre il numero di variabili. Questoprocedimento, che richiede l’identificazione a priori di tutte le variabili,consente di giungere a relazioni (nel caso più semplice monomie) fra unristretto numero di parametri adimensionali. Gli esponenti e i coefficienti diqueste relazioni vengono poi determinati per via sperimentale.

Nel caso in cui il problema venga affrontato dal punto di vista puramenteteorico, il fluido viene in genere considerato come un mezzo continuo al qualeè possibile applicare le equazioni di conservazione della massa (continuità),della quantità di moto (equazioni di Navier-Stokes) e dell’energia. La soluzio-ne esatta di queste equazioni presenta difficoltà matematiche insormontabili.Attraverso l’introduzione del concetto distrato limite (PARAGRAFO 3.2) èpossibile semplificare notevolmente sia le equazioni di Navier-Stokes chedell’energia, giungendo a soluzioni esatte per configurazioni particolarmentesemplici e per strato limite laminare.

Lo strato limite può anche essere esaminato su scala macroscopica applicandole stesse equazioni di conservazione a una porzione finita di fluido (metodiintegrali) e ottenendo in tal modo soluzioni approssimate, ma spesso ancoraaccettabili nei problemi di ingegneria. In questo caso il problema può essererisolto anche per strato limite turbolento.

In quest’ultimo caso un procedimento matematico spesso adottato per risolve-re questo tipo di problemi consiste nello stabilire delle analogie fra trasportodi calore e di quantità di moto (analogia di Reynolds).

Nel seguito sono riportati alcuni richiami, necessariamente sintetici, di motodei fluidi.

106

Page 112: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

3.1. REGIME DI MOTO E VISCOSITÀ

Si deve a Reynolds (1883) la prima osservazione dell’esistenza di due tipi fon-

damentali di moto dei fluidi, ilmoto laminaree quello turbolento. Il ben noto

esperimento da lui realizzato gli consentìdi visualizzare (attraverso l’iniezione di

un liquido colorante) il flusso d’acqua in un condotto, al variare della velocità. Per

piccole velocità la traccia di colorante rimane continua e ben definita; l’assenza di

miscelamento di particelle di fluido evidenzia un campo di moto puramente assiale, e

il moto viene dettolaminare.

All’aumentare della velocità la traccia del colorante tende a sfilacciarsi fino a

diffondersi su tutta la sezione del condotto; il rimescolamento delle particelle di

fluido evidenzia la presenza di fluttuazioni di velocità sia in direzione parallela che

perpendicolare alla direzione del moto, e il moto viene dettoturbolento.

Per flusso turbolento, anche se il regime di moto è stazionario le proprietà del fluido in

un punto (velocità, pressione, temperatura, etc.) variano dunque nel tempo. Si tratta,

tuttavia, di variazioni a valor medio temporale nullo. Perciò è sufficiente sostituire ai

valori istantanei delle proprietà i loro valori medi, esprimendo le componenti fluttuanti

attraverso il loro valore quadratico medio.

Quando gli strati di fluido scorrono uno sopra l’altro sono sottoposti a sforzi

tangenziali che sono bilanciati dagli effettidissipativi interni al fluido, provocati dalla

suaviscosità. Come conseguenza di ciò si osserva sperimentalmente la presenza di

un gradiente di velocità in direzione trasversale al moto. In unfluido newtonianogli

sforzi tangenziali sono proporzionali in modo lineare al gradiente di velocità, e la

costante di proporzionalità è dettaviscosità dinamicaµ:

τ = µ · du

dy3.2

dove u è la velocità nella direzione principale del moto ey è la direzione

perpendicolare alla superficie su cui scorre il fluido.

107

Page 113: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Ripetendo l’esperimento di Reynolds con fluidi aventi proprietà fisiche (viscosità,

densità) e velocità diverse e in condotti aventi diametro diverso si osserva che la

transizione dal moto laminare a quello turbolento si verifica sempre in corrispondenza

di uno stesso valore (2000-2500) di un insieme adimensionato di variabili, detto

numero di Reynolds, definito da:

Re =ρ · u · D

µ=

u · Dν

3.3

doveν è laviscosità cinematica. PerRe < 2000 il moto sarà dunque laminare e per

Re > 2500 sarà turbolento, qualunque siano i valori assunti singolarmente dalle varie

grandezze.

Un altro parametro particolarmente importante nello studio della convezione è il

numero di Prandtl, definito come:

Pr =µ · cp

λ=

ν

α3.4

in cui α = ρ · cp/λ è la diffusività termica, definita nelCAPITOLO 1.

Esiste una analogia fra trasporto di massa e di calore in un campo di pressioni

uniforme, evidenziata formalmente dal fatto che perPr ≈ 1 (ν = α) la distribuzione

adimensionale della temperatura è identica a quella delle velocità. In effetti per la

maggior parte dei gasPr è compreso fra 0.6 ed 1, mentre per i liquidi le variazioni

sono assai più sensibili.

3.2. CONCETTO DI STRATO LIMITE

Una notevole semplificazionedel problema la si ottiene introducendo il concetto di

strato limite. Tale concetto fu introdotto da Prandtl nel 1904 per studiare il moto di

un fluido adiacente ad una parete. Egli osservò che, ad una adeguata distanza dalla

parete, il moto del fluidonon è più influenzato dalla presenza della parete e definì

perciòstrato limite della velocitàquella regione di fluido, adiacente alla parete, in cui,

acausa degli sforzi viscosi, esistono degli apprezzabili gradienti di velocità. Dettax la

108

Page 114: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

x

y

T T TTs

t (x)

T T T Ts

Fig. 3.1 – Strato limite termico su una lastra piana.

direzione principale del moto edu la componente di velocità lungox, lo spessoreδ(x)

dello strato limite dinamico viene determinato imponendo cheu(x, δ) non differisca

dalla velocità nella regione indisturbatau∞ per più dell’1%.

Analogamente, esiste unostrato limite termicoin cui la temperatura varia da Ts

(temperatura della parete) aT∞ (temperatura del fluido nella regione indisturbata).

La regione di fluido non compresa nello strato limite termico si comporta dunque

come unpozzotermico, in grado di assorbire il calore proveniente dallo strato limite

senza modificare la propria temperatura.

Anche in questo caso, lo spessoreδt dello strato limite termico viene determinato

imponendo che la differenza di temperatura|T (x, δt) − Ts| sia pari al 99% della

differenza di temperatura fra fluido nella zona indisturbata e parete|T∞ − Ts|(fig. 3.1).

Sesi rapporta il flusso termico scambiato per convezione attraverso lo strato limite:

Qc = hcA (Ts − Tf )

con quello che sarebbe scambiato per pura conduzione attraverso lo strato limite:

Qk =λ

δt(Ts − Tf)

in cui λ è la conducibilità termica del fluido, si ottiene:

109

Page 115: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Qc/Qk =hδt

λ

Se al posto dello spessore dello strato limitesi riporta nell’espressione precedente la

generica lunghezza caratteristicaL, si ottiene l’espressione delnumero di Nusselt:

Nu =hL

λ3.5

3.3. ANALISI DIMENSIONALE PER LA CONVEZIONE FORZATA

L’esperienza insegna che il coefficiente di scambio termico per convezione forzata

dipende dalle seguenti variabili indipendenti:

hc = f(u, µ, λ, L, ρ, cp) 3.6

dove:

u = velocità

µ = viscosità dinamica

λ = conducibilità termica

L = lunghezza caratteristica del problema (es.: diametro)

ρ = massa volumica

cp = calore specifico

Si hanno dunque 7 variabili (6 indipendenti) che dimensionalmente possono essere

espresse attraverso le 4 dimensioni fondamentaliM, L, T, Θ (massa, lunghezza,

tempo e temperatura). Il teorema di Buckingham afferma che:

una relazione fra n variabili dipendenti ed indipendenti funzione

di m dimensioni fondamentali può essere espressa attraverso una

funzione fra (n − m) gruppi adimensionati.

La 3.6 darà dunque luogo ad una funzione di 7 – 4 = 3 gruppi adimensionati:

110

Page 116: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

f1(π1, π2, π3) = 0

Si ipotizza una funzione monomia del tipo:

hc = A · ua · µb · λc · Ld · ρm · cnp 3.7

Essendo note le equazioni dimensionali delle 7 grandezze (tabella 3.1), si scrivono poi

le equazioni di congruenza dimensionaleper le 4 dimensioni fondamentali.

Massa M : 1 = b + c + m

Lunghezza L : 0 = a − b + c + d − 3m + 2n

Tempo t : −3 = a − b − 3c − 2n

Temperatura Θ : −1 = −c − n

3.8

Tab. 3.1 – Equazione dimensionale per le variabili del problema.

grandezza unità dimisura s.i.

unitàfond. s.i.

equazionedimensionale

M L T Θ

hc W/(m2K) kg/(s3K) 1 0 -3 -1u m/s m/s 0 1 -1 0µ N s/m2 kg/(s m) 1 -1 -1 0λ W/(m K) kgm/(s3K) 1 1 -3 -1D m m 0 1 0 0ρ kg/m3 kg/m3 1 -3 0 0cp J/(kg K) m2/(s2K) 0 2 -2 -1

Il sistema 3.7 è di 4 equazioni in 6 incognite. Esprimendoa, b, c, d in funzione di m, n

si ottiene:

a = m

b = n − m

c = 1 − n

d = m − 1

111

Page 117: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Sostituendo nella 3.9 e raccogliendo i termini con uguale esponente si ottiene:

hc = Aum µn−m λ1−n Lm−1 ρm cnp = A

(ρ u D

µ

)m (µ cp

λ

)n λ

L

da cui:

Nu = ARem Pr n 3.9

È opportuno sottolineare come nella 3.9 si sia giunti a due sole variabili indipendenti

(Re e Pr), dalle sei che comparivano nella 3.6.

Per ricavare il valore del coefficienteA e degli esponentim ed n che compaiono

nella 3.9 è necessario ricorrere a tecniche sperimentali. In Tab. 3.2 si possono trovare

tali valori per alcune configurazioni ricorrenti.

1Le proprietà del fluido vanno calcolate alla temperatura media del fluido.

2In questo caso la 3.9 fornisce il valore medio di Nu nel tratto L.

Tab. 3.2 – Valori delle costanti dell’equazione 3.9 per alcune configura-

zioni geometriche semplici.

Caso A m n

Moto turbolento completamente sviluppato all’interno diun condotto per fluido che si raffredda (equazione diDittus e Boelter)1

0.023 0.8 0.3

Moto turbolento completamente sviluppato all’internodi un condotto per fluido che si riscalda (equazione diDittus e Boelter)1

0.023 0.8 0.4

Fluido che scorre su una lastra piana indefinita perstrato limite laminare

0.664 0.5 0.33

Fluido che scorre su una lastra piana indefinita perstrato limite turbolento(ReL > 105) 2

0.036 0.8 0.33

112

Page 118: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Per alcuni fluidi di uso comune (aria, acqua) esistono delle correlazioni semplificate

in cui si fornisce direttamentehc in funzione delle principali variabili indipendenti (la

velocitàu e, a volte, una caratteristica dimensionale). Ad esempio, per aria che scorre

suuna parete si ha:

hc = 3 + 2 u

3.4. CONVEZIONE NATURALE

Applicando l’analisi dimensionale alla convezione naturale, è possibile ottenere:

Nu = f(Gr, Pr)

conGr, numero di Grashof, definito da:

Gr =g · β · ∆T · l3

ν23.10

dove

∆T = differenza di temperatura fra fluido(T∞) e parete(T0)

L = lunghezza caratteristica

β = coefficiente di dilatazione termica, pari a1V

(∂V

∂T

)p

, ovvero1/T per i

gas ideali,come l’aria

Le relazioni sono del tipo:

Nu = C · (Pr · Gr)m = C · Ram 3.11

con

Ra = Gr · Pr (numero di Rayleigh) 3.12

I numeri di Grashof e Prandtl vanno valutati alla cosiddettatemperatura di film Tf ,

definita come:

Tf = (Ts + T∞)/2

113

Page 119: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

Calcolo dello scambio termico per convezione naturale per alcuni casi particolari

I valori dei coefficientiC edm dipendono dalla geometria del problema e dal valore

del numero di Rayleigh, come indicato nella tabella 3.3.

Tab. 3.3 – Costanti C ed m da usare nella 3.11.

Geometria Ra C m

Piano o cilindro verticale 104 ÷ 109 0.59 1/4

109 ÷ 1013 0.10 1/3

Piano orizzontale (flusso ascendente) 2 · 104 ÷ 8 · 106 0.54 1/4

8 · 106 ÷ 1011 0.15 1/3

Piano orizzontale (flussodiscendente)

105 ÷ 1011 0.58 1/5

Quando il fluido è aria possono essere utilizzate le equazioni semplificate riportate in

tabella 3.4.

Tab. 3.4 – Espressioni semplificate di hc per l’ aria.

Configurazione Regime

laminare (104 < Ra < 109) turbolento (Ra > 109)

Piano o cilindro verticale hc = 1.42 · (∆T/L)1/4 hc = 0.95 · (∆T )1/3

Piano orizzontale (flussoascendente)

hc = 1.32 · (∆T/L)1/4 hc = 1.43 · (∆T )1/3

Piano orizzontale (flussodiscendente)

hc = 0.61 · `∆T/L2

´1/5

114

Page 120: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

u

0

Ts1

Ts2

Ta

T

Fig. 3.2 – Campo termico e di velocità in una intercapedine.

Intercapedini d’aria

Il caso di intercapedini d’aria limitate da pareti è molto frequente in edilizia. Nelle

intercapedini si ha un doppio scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-

parete fredda che produce il tipico campo di moto e di temperatura riportato in

figura 3.2.

Per le intercapedini si ricorre talvolta al concetto di conducibilità termica equivalente

λe. Essarappresenta il valore di conducibilità termica di un immaginario materiale

omogeneo inserito nell’intercapedine tale per cui, a parità di temperatura delle due

facce, il flusso per conduzione risulterebbe pari a quello effettivamente trasmesso

attraverso l’intercapedine perconvezione naturale.

Si ha allora:

Q/A = hc · (T1 − T2) =λe

δ(T1 − T2) 3.13

doveδ = spessore dell’intercapedine.

115

Page 121: Fisica Tecnica Ambientale

3. CONVEZIONE

I valori di λe si ricavano attraverso il rapporto adimensionato:

Nuδ =hcδ

λ=

λe

λ

in cuiNuδ, numero di Nusselt calcolato perL = δ, rappresenta il rapporto fra il flusso

convettivo e quello che si avrebbe nel caso di pura conduzione. Esso è dato da:

Nuδ = C · (Grδ · Pr)n · (L/δ)m3.14

con:

Grδ = numero di Grashof calcolato perL = δ

L = altezza o lunghezza dell’intercapedine

C, m, n = coefficienti riportati nella tabella 3.5

Per numeri di Grashof inferiori a 2000 si assumeλe ≡ λ, ovveroNuδ = 1. Ciò

significa che non si innescano moti convettivi e il trasporto di calore avviene per pura

conduzione.

Tab. 3.5 – Valori delle costanti dell’equazione 3.14 per alcune geometrie

semplici

Geometria Grδ · Pr L/δ C m n

Verticale 6 · 103 ÷ 2 · 105 11 ÷ 42 0.197 -1/9 1/42 · 105 ÷ 1.1 · 107 11 ÷ 42 0.073 -1/9 1/3

Orizzontale 1700 ÷ 7000 .......... 0.059 0 0.4(flusso ascendente) 7000 ÷ 3.2 · 105 .......... 0.212 0 1/4

> 3.2 · 105 .......... 0.061 0 1/3

116

Page 122: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETIEDILIZIE

4.1. SCAMBIO TERMICO MISTO IN INTERCAPEDINI

Si è visto nel CAPITOLO 1 (eq. 1.21) come il flusso di calore trasmesso attraverso una

parete piana multistrato in regime stazionario sia dato dall’espressione

Q

A= U · (Ti − Te) 4.1

dove U, detta trasmittanza termica o coefficiente di scambio termico globale, è data

da (CAPITOLO 1, eq. 1.22):

U =

1

hi+

n∑j=1

sj

λj+

1he

−1

Tutti i termini fra parentesi rappresentano delle resistenze termiche. Esistono alcuni

componenti di parete la cui resistenza termica non può essere determinata attraverso

il rapporto s/λ. Si tratta di intercapedini d’aria, blocchi di laterizio o cemento

alleggerito, etc. In questi casi si preferisce introdurre nella 1.22 direttamente la loro

resistenza termica, ovvero:

U =

1

hi+

n∑j=1

sj

λj+∑

Rj+1he

−1

4.2

Si esaminerà ora in particolare il calcolo della resistenza termica delle in intercapedini

d’aria, comunemente impiegate in edilizia, sia nelle pareti opache che in quelle

117

Page 123: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

aria

T1 T2

irraggiamento

convezione

Ta

Fig. 4.1 – Flussi termici in intercapedini.

vetrate. Nelle intercapedini si ha uno scambio termico per irraggiamento diretto fra

le due facce delle pareti, e uno scambio termico convettivo parete calda-aria e aria-

parete fredda (vedi fig. 4.1). Il flusso complessivamente scambiato nell’intercapedine

vale dunque:

Q

A=

(Q

A

)conv

+

(Q

A

)rad

= hc (T1 − T2) + hr (T1 − T2) =

(hc + hr) (T1 − T2) =T1 − T2

Rint4.3

Lo studio dell’irraggiamento fra le due facce di un’intercapedine si può ricondurre a

quello fra due superfici piane, parallele e infinite, analizzato nel CAPITOLO 2. Il flusso

scambiato per unità di superficie vale in questo caso

(Q

A

)rad

= σ Fε

(T 4

1 − T 42

)= hr (T1 − T2)

con

hr = 4σ FεT3m =

4σT 3m

1ε1

+ 1ε2

− 1

Dalla fig. 4.2 si vede che il valore di hr dipende debolmente dalla temperatura media

delle due facce (in K), ma è fortemente influenzato dalla loro emissività.

118

Page 124: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

0.000

1.000

2.000

3.000

4.000

5.000

6.000

0.000 0.200 0.400 0.600 0.800 1.000

coef

ficie

nte

radi

ativ

o h

r (W

/m2

K)

Tm = 275 K

Tm = 290 K

F

Fig. 4.2 – Coefficiente radiativo hr in intercapedini per vari valori di F ε e Tm.

Per quanto riguarda la convezione in intercapedini, essa è stata analizzata nel

CAPITOLO 3. Si ha1.

Q/A = hc · (T1 − T2)

con

hc =λe

δ

dove

δ = spessore dell’intercapedine

λe = conducibilità termica effettiva (o equivalente) dell’intercapedine

La conducibilità termica effettiva dipende a sua volta in modo complesso dallo

spessore dell’intercapedine, dalla differenza di temperatura e dalla lunghezza (altezza)

1Si noti che, contrariamente alla consuetudine, il flusso convettivo non viene assunto propor-

zionale alla differenza fra la temperatura di una faccia e dell’aria, ma alla differenza fra le

temperature delle due facce.

119

Page 125: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

0.000

0.200

0.400

0.600

0.800

1.000

1.200

1.400

1.600

2 3 4 5 6 7 8 9 10

Differenza di temperatura fra le facce (°C)

d = 2 cmd = 5 cm d = 8 cm

h c(W

/m2K

)

Fig. 4.3 – Coefficiente convettivo hc in intercapedini al variare di differenza di

temperatura e spessore dell’intercapedine (L = 3m).

dell’intercapedine. In fig. 4.3 è illustrata la dipendenza dalla differenza di temperatura

e dallo spessore dell’intercapedine.

In definitiva le variabili da cui dipende la resistenza dell’intercapedine sono:

• l’emissività delle facce

• la differenza di temperatura fra le due facce

• lo spessore dell’intercapedine

• l’altezza dell’intercapedine

In generale si può dire che la resistenza dell’intercapedine aumenta fortemente al

diminuire dell’emissività delle due facce e diminuisce debolmente all’aumentare della

differenza di temperatura e al diminuire dell’altezza dell’intercapedine. Ha invece un

andamento variabile al variare dello spessore: cresce fino a circa 6 cm, poi diminuisce

lentamente.

Per intercapedini in pareti opache o vetrate non trattate l’emissività delle due facce è

circa uguale a 0.93-0.95, da cui risulta Fε = 0.87-0.90. Si può assumere in tal caso

Rint = 0.18-0.19 m2K/W.

120

Page 126: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

TT

RRtotR0-x

Tx

Te

Ti

Fig. 4.4 – Diagramma (T, R).

Viceversa, quando si impiegano vetri speciali, denominati basso-emissivi, che con-

sentono di raggiungere valori di Fε = 0.10-0.20, si può avere Rint = 0.4-0.5 m2K/W.

4.2. DIAGRAMMA (T,R)

La 4.1 può essere riscritta, ricordando la 1.19a

Q

A=

Ti − Te

Rtot

La formula mostra che in regime stazionario le differenze di temperatura sono

proporzionali alle resistenze termiche. La costante di proporzionalità è proprio la

densità di flusso termico:

Ti − Te =(Q/A

)· Rtot 4.4

Riportando le temperature su un diagramma (T, R), come indicato in fig. 4.4 si ottiene

una retta che consente di determinare la temperatura in una sezione qualsiasi (x)

della struttura in funzione della generica resistenza termica Ro−x dall’aria interna

alla sezione considerata.

121

Page 127: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

4.3. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI OPACHE IN PRESENZA DI

RADIAZIONE SOLARE

Si vuole calcolare il flusso trasmesso attraverso una parete multistrato di spessore s

e costituita da n strati, sulla cui faccia esterna incide un flusso termico radiativo di

origine solare. Siano Ti e Te le temperature dei due ambienti che essa separa. Si

tratta di un problema con condizioni al contorno del 3 tipo su entrambe le facce della

parete. In particolare, sulla faccia esterna si avrà:

Q

A

∣∣∣∣∣x=s

= he (Tn+1 − Te) − α I

dove α è il fattore di assorbimento della parete e I l’irradianza solare, espressa in

W/m2. Seguendo la procedura indicata nel PARAGRAFO 1.4 si ricava la differenza di

temperatura fra l’aria interna e la superficie esterna:

Q

A

n∑

j=1

sj

λj+

1hi

= Ti − Tn+1

Aggiungendo a questa equazione la condizione al contorno sulla faccia esterna si

ottiene:

Q

A= U (Ti − Te) − U α I

he= U (Ti − Ts,a)

avendo chiamato temperatura sole-aria la quantità

Ts,a = Te +αI

he4.5

4.4. IL PROBLEMA DELLA CONDENSA SUPERFICIALE

Quando la temperatura superficiale di una parete a contatto con l’aria interna scende

al di sotto della temperatura di rugiada si ha formazione di condensa. Se il fenomeno

è ricorrente si creano condizioni favorevoli allo sviluppo di colonie fungine e muffe

122

Page 128: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

che deturpano l’aspetto della parete e creano un ambiente malsano per le persone che

vi risiedono2.

Il problema si sintetizza nel confronto fra la temperatura superficiale

Tsi = Ti − U

hi(Ti − Te)

e la temperatura di rugiada Tr dell’aria interna, che a sua volta dipende, oltre che dalla

temperatura dell’aria, dalla sua umidità relativa (vedi il CAPITOLO 4 della PARTE

PRIMA). Per evitare la condensa superficiale occorre che sia:

Tsi > Tr

Tuttavia, poiché la temperatura superficiale interna risente delle variazioni della

temperatura esterna, è più conveniente effettuare il confronto utilizzando il concetto

di fattore di temperatura della parete:

f =Tsi − Te

Ti − Te4.6

in quanto si dimostra facilmente che questo è solo funzione delle caratteristiche di

resistenza termica della parete (Rtot) e dello strato liminare interno (Ri):

f =Tsi − Te

Ti − Te=

Tsi − Te + Ti − Ti

Ti − Te= 1 − Ti − Tsi

Ti − Te= 1 − Ri

Rtot

Occorre allora imporre che f sia superiore al valore massimo ammissibile fmax, dato

a sua volta da:

fmax =Tr − Te

Ti − Te

2Alcune muffe riescono a proliferare anche quando l’umidità relativa locale è inferiore al 100 %,

fino a valori prossimi all’80%.

123

Page 129: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

4.5. DIFFUSIONE DEL VAPORE E CONDENSA INTERSTIZIALE

La diffusione è quel particolare fenomeno di trasporto di massa provocato su scala

microscopica da gradienti di concentrazione presenti all’interno di una miscela di

gas. Per concentrazione si intende il rapporto fra la quantità di sostanza di uno dei

componenti la miscela e il volume totale della miscela. La condensa interstiziale è

un fenomeno che si verifica quando il vapore d’acqua, nella sua diffusione attraverso

una parete, incontra zone a temperatura più bassa della temperatura di saturazione del

vapore.

Legge di Fick

Si abbia un volume contenente una miscela di gas a concentrazione non uniforme.

Attraverso una superficie immaginaria tracciata in modo da dividere il volume

occupato dalla miscela in due parti, passeranno, per mera agitazione molecolare, più

molecole dal lato a concentrazione più elevata a quello a concentrazione più bassa che

non viceversa. Ne risulta un trasporto netto di massa nella direzione in cui il gradiente

di concentrazione è minore di zero.

L’esperienza dimostra che la portata di diffusione è proporzionale al gradiente della

concentrazione, secondo la legge, detta Legge di Fick, valida in regime stazionario:

n

A= −D · ∂C

∂x4.7

in cui

n = flusso di quantità di sostanza, kmoli/s

D = diffusività, m2/s

C = concentrazione molare, in kmoli/m3, data da:

C =n

V

Si osservi la perfetta analogia fra la 4.7 e la legge di Fourier, scritta in funzione della

diffusività termica α = λ/ρcp , che ha le stesse dimensioni di D :

Q

A= −λ

∂T

∂x= −α

∂ (ρ cp T )∂x

124

Page 130: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

Diffusione del vapore acqueo attraverso una parete

Esaminiamo adesso il caso della diffusione del vapore acqueo attraverso un materiale

permeabile. Poiché il vapore d’acqua è allo stato gassoso si può, con qualche

approssimazione, applicare l’equazione di stato dei gas ideali:

p V = n R T

in cui p è la pressione parziale del vapore nell’aria. Dalla definizione di concentrazione

molare si ricava

C =p

R T4.8

Sostituendo la 4.8 nella 4.7 si ha:

n

A= − D

R T· ∂p

∂x

o anche, moltiplicando per la massa molecolare µ:

m

A= −D

µ

R T

∂p

∂x= −δ

∂p

∂x4.9

avendo definito permeabilità al vapore la quantità

δ =D

R∗ T

Applicando la 4.9 ad una parete piana multistrato in regime stazionario per flusso

di vapore monodimensionale, si ottiene, con procedimento del tutto analogo a

quello descritto per ricavare il flusso di calore per conduzione attraverso una parete

multistrato (CAPITOLO 1.4):

m

A= M · (pi − pe) 4.10

dove

M =(

1βi

+∑ s

δ+

1βe

)−1

4.11

è la permeanza al vapore della parete, che ha il suo analogo termico nella trasmittanza

termica U del CAPITOLO 1.4.

I termini riportati nella parentesi hanno le dimensioni di una resistenza alla diffusione

del vapore (Rv); in particolare i coefficienti dimensionati βi e βe forniscono l’entità

125

Page 131: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

della diffusione del vapore dall’aria alla parete e viceversa. Il loro valore è molto

elevato rispetto ai valori di δ/s dei principali materiali, per cui spesso si può assumere

1/βi = 1/βe = 0

Pertanto la 4.5 può essere riscritta come:

M =(∑ s

δ

)−1

4.11 a

I valori di permeabilità di alcuni fra i materiali più comunemente impiegati in edilizia

sono forniti in Tabella 4.1.

Tab. 4.1 – Valori di permeabilità al vapor d’acqua (δ).

Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)

Aria 17.8 · 10−11 Legno di pino 0.10 · 10−11

Calcestruzzo da 2300kg/m3

0.5 · 10−11 Muratura di mattonipieni e forati

2.0 · 10−11

Calcestruzzo di pomi-ce da 280 kg/m3

5.9 · 10−11 Fibra minerale(lastre)

3 ÷ 15 · 10−11

Calcestruzzo leggero 1.8 ÷ 4.8 · 10−11 Foglio di alluminio,vetro cellulare

0

Cartonfeltro bitumato 1.8 · 10−14 Foglio di polietilene 0.2 ÷ 0.5 · 10−14

Eternit 0.27 · 10−11 Polistirolo espanso 0.4 ÷ 0.8 · 10−11

Intonaco di gesso 2.9 · 10−11 Polistirolo estruso 0.21 · 10−11

Intonaco di malta dicemento

0.9 · 10−11 PVC 0.8 ÷ 1.7 · 10−12

»

126

Page 132: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

Tab. 4.1 – Valori di permeabilità al vapor d’acqua (δ).

Materiale (kg/s m Pa) Materiale (kg/s m Pa)

Intonaco di malta ecalce

1.8 · 10−11 Resina epossidica inlastre rinforzate confibra di vetro

0.83 · 10−15

Legno di faggio 0.05 · 10−11 Vermiculite, perlite eargilla espansasciolta

17.8 · 10−11

Diagramma di Glaser

Il diagramma di Glaser costituisce un utile strumento non soltanto per la verifica dei

rischi di condensa in una parete, ma anche per la correzione di tale inconveniente.

Essa ha la resistenza alla diffusione del vapore in ascisse e la pressione parziale di

vapore in ordinate. E’ dunque un diagramma (p, Rv) e gode delle stesse proprietà di

cui gode il diagramma (T, R) descritto al PARAGRAFO 4.2.

Il procedimento di costruzione del diagramma consiste nei seguenti passi:

a. Si riportano in ascisse, in successione, i valori delle resistenze s/δ alla

diffusione del vapore degli strati costituenti la parete, dall’interno all’esterno,

fino a raggiungere l’aria esterna (Rv,tot).

b. Si riportano i valori delle pressioni parziali del vapore interna (pi) ed esterna

(pe), rispettivamente in corrispondenza di Rv = 0 e Rv = Rv,tot.

c. Si traccia la retta che unisce i due punti così ottenuti. Essa rappresenta

l’andamento delle pressioni parziali su ogni superficie attraversata dal flusso

di vapore. Infatti, analogamente alla 4.4, si ha

pe = pi − m

A· Rv,tot

d. Conoscendo le temperature in corrispondenza dei vari strati si ricavano le cor-

rispondenti pressioni di saturazione ps (vedi tab. 4.2 e fig. 4.1 della PARTE I) e

le si riportano sul diagramma di Glaser.

127

Page 133: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

pe

pi

psi

pse

RvRv,tot

p

Fig. 4.5 – Diagramma di Glaser per una parete in cui non si manifestano fenomeni di

condensa.

Tab. 4.2 – Valori della pressione di saturazione dell’acqua fra –20 C e

39C.

T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa) T (C) pvs(Pa)

-20 103 -5 402 10 1228 25 3169-19 114 -4 437 11 1312 26 3363-18 125 -3 476 12 1403 27 3567-17 137 -2 518 13 1498 28 3782-16 151 -1 563 14 1598 29 4008-15 165 0 611 15 1706 30 4246-14 181 1 657 16 1819 31 4496-13 199 2 706 17 1938 32 4759-12 217 3 758 18 2064 33 5035-11 238 4 814 19 2198 34 5324-10 260 5 873 20 2339 35 5628

-9 284 6 935 21 2488 36 5947-8 310 7 1002 22 2645 37 6281-7 338 8 1073 23 2811 38 6632-6 369 9 1148 24 2985 39 7000

128

Page 134: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

pe

pi

psi

pse

RvRv,2 Rv,1 Rv,tot

p1

p2

p

Fig. 4.6 – Profilo delle pressioni reali in presenza di condensazione.

Se in nessun punto la pressione reale supera quella di saturazione si ha la situazione

di fig. 4.5.

In caso contrario si ha formazione di condensa all’interno della parete, evidenziata

dall’area tratteggiata (fig. 4.6). Tuttavia, in questo caso il profilo delle pressioni reali

cambia rispetto a quello ricavato con le considerazioni precedenti, poiché la pressione

reale non può mai superare la pressione di saturazione. Per ricavare il profilo di

pressione reale si deve tener conto del fatto che, poiché parte della portata di vapore

condensa, la portata uscente sarà minore di quella entrante.

Pertanto, devono essere rispettate le due condizioni:

– portata costante quando p < ps (∂p

∂Rv= costante)

– p ≤ ps in ogni sezione della parete

L’andamento delle pressioni reali che soddisfa le precedenti condizioni è quello in cui

la retta delle pressioni reali è tangente alla curva di saturazione (tratti pi−p1 e p2−pe)

o coincide con essa (tratto p1 − p2).

129

Page 135: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

pi

psi

Rv v

Rv,add pse

pe

p

Fig. 4.7 – Correzione del problema della condensa interstiziale mediante resistenza

aggiuntiva (barriera al vapore).

La portata di vapore, ovvero la pendenza dp/dRv, sarà costante nel tratto i − 1,

decrescente nel tratto 1 − 2 e di nuovo costante, ma inferiore a quella del tratto i − 1,

nel tratto 2 − e.

La portata condensata varrà dunque:(m

A

)cond

=(

m

A

)in

−(

m

A

)out

=(

∂p

∂Rv

)i−1

−(

∂p

∂Rv

)2−e

=pi − p1

Rv,1−p2 − pe

Rv,2

Nel caso in cui si voglia correggere la stratigrafia della parete in modo da evitare la

formazione di condensa al suo interno, si può ancora utilizzare il diagramma di Glaser.

Si traccia la retta partente da pe e tangente alla curva di saturazione fino a raggiungere

il valore pi, sulla sinistra dell’asse (fig. 4.7). La distanza di tale punto dall’asse p

rappresenta la resistenza Rv,add aggiuntiva che deve essere introdotta, attraverso una

opportuna barriera al vapore, per evitare rischi di condensa.

4.6. TRASMISSIONE DEL CALORE IN PARETI VETRATE

Nel caso di pareti vetrate, in presenza di radiazione solare, si ha un duplice fenomeno

di scambio termico, di cui si tiene conto separatamente. Vi è un flusso termico per

130

Page 136: Fisica Tecnica Ambientale

4. PROBLEMI TERMOIGROMETRICI NELLE PARETI EDILIZIE

differenza di temperatura (trasmissione per conduzione, con condizioni al contorno

radiativo-convettive) e un flusso termico entrante per effetto della radiazione solare.

Il flusso termico per differenza di temperatura sarà dato, come in precedenza, dalla 4.1

(Q

A

)cond

= U · (Ti − Te)

Quello legato alla radiazione solare è somma di due componenti, una di trasmissione

diretta verso l’interno, l’altra dovuta all’assorbimento e riemissione verso l’interno

della radiazione (Q

A

)sol

= (τsol + n αsol) I 4.12

in cui

n = frazione riemessa verso l’interno della quota assorbita

αsol = fattore di assorbimento alla radiazione solare

τsol = fattore di trasmissione alla radiazione solare

Spesso la quantità fra parentesi nella 4.12 viene detta fattore solare (g ) :

g = τ + n αsol

131

Page 137: Fisica Tecnica Ambientale

progettodidattica in rete

prog

etto

dida

ttica

in re

tePolitecnico di Torino, giugno 2003

Dipartimento di Energetica

Fisica Tecnica AmbientaleParte III: acustica applicata

G.V. Fracastoro

otto editore

Page 138: Fisica Tecnica Ambientale
Page 139: Fisica Tecnica Ambientale

PARTE IIIacustica applicata

Page 140: Fisica Tecnica Ambientale

Giovanni Vincenzo Fracastoro

Fisica Tecnica Ambientaleparte III - acustica applicata

Prima edizione giugno 2003

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la

fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Page 141: Fisica Tecnica Ambientale

INDICE

1. Aspetti fisici generali 137

1.1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137

1.2. Equazioni delle onde acustiche e grandezze caratteristiche 138

2. Acustica fisiologica 143

2.1. Sensazioni acustiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143

2.2. Audiogramma normale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 145

3. Campi sonori e acustica degli ambienti chiusi 147

3.1. Interazione suono-parete . . . . . . . . . . . . . . . . . 147

3.2. Campo libero o diretto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150

3.3. Campo diffuso o perfettamente riverberato . . . . . . . . 150

3.4. Campo semiriverberante . . . . . . . . . . . . . . . . . 154

4. Fonoassorbimento e fonoisolamento 157

4.1. Fonoassorbimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157

4.2. Fonoisolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 158

5. Criteri di valutazione del rumore 165

5.1. Sorgenti di rumore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165

5.2. Criteri di valutazione del disturbo da rumore . . . . . . . 168

135

Page 142: Fisica Tecnica Ambientale
Page 143: Fisica Tecnica Ambientale

1. ASPETTI FISICI GENERALI

1.1. INTRODUZIONE

Il suono è un’oscillazione di pressioneche si propaga in un mezzo elastico. A

differenza delle onde elettromagnetiche, le onde acustiche sono ondeelastiche, che

necessitano cioè di un mezzo di supporto, che può essere un gas, un liquido o

un solido.

I fenomeni acustici sono provocati dalla vibrazione di un corpo, dettosorgente

acustica. Le oscillazioni della sorgente acustica creano negli strati del mezzo ad essa

adiacente delle onde di pressione (pressione acustica), ovvero dellefluttuazioni della

pressione intorno ad un valor medio, con un succedersi di onde di compressione e

di rarefazione:

∆p(t) = p(t) − pa 1.1

dove p(t) è la pressionedell’aria nell’istante t e pa la pressione media (pressione

atmosferica)1.

uello

o di

1Si noti che il valore della pressione acustica è di parecchi ordini di grandezza inferiore a q

della pressione atmosferica: esso varia infatti, normalmente, da qualche centomillesim

pascal a qualche pascal.

137

Page 144: Fisica Tecnica Ambientale

1. ASPETTI FISICI GENERALI

In modo del tutto analogo le vibrazioni della sorgente acustica provocano lo sposta-

mento periodico (oscillazione), con unavelocità u(t) detta velocità di oscillazione,

delle particelle del mezzo adiacente.

Le onde di pressione e quelle di velocità di oscillazione si propagano agli strati

contigui con una velocità, dettavelocità di propagazione del suono(c). Poiché

la velocità di oscillazione delle particelle ha la stessa direzione della velocità di

propagazione dell’onda le onde acustiche sono ondelongitudinali.

La velocità di propagazione del suono

Attraverso la teoria della propagazione delle piccole perturbazioni si dimostra che la

velocità del suono in un mezzo elastico è data da:

c =

√K

ρ1.2

doveK è il modulo di compressione eρ la densità del mezzo.

Ad esempio, per l’acciaio (K = 2.1·1011 Pa,ρ = 7800 kg/m3), si ottienec = 5176 m/s,

mentre per l’acqua (K = 2·109 Pa,ρ = 1000 kg/m3) si ottienec = 1414 m/s.

Per ungas idealesi ottiene:

c =

√p

k

ρ=

√k R∗ T 1.3

in cui k rappresenta l’esponente dell’isentropica (pari al rapporto fra i calori specifici

a pressione costante e a volume costante),R∗ la costante elastica del gas eT la sua

temperatura assoluta. Per l’aria (k = 1.4, R* = 287 J/kg K) a 20C si ottienec =

343 m/s.

1.2. EQUAZIONI DELLE ONDE ACUSTICHE E GRANDEZZE CARATTERI-

STICHE

Partendo da considerazioni termofluidodinamiche e considerando il mezzo continuo,

omogeneo e perfettamente elastico è possibile ricavare leequazioni differenziali delle

onde acustiche:

138

Page 145: Fisica Tecnica Ambientale

ere

1. ASPETTI FISICI GENERALI

∇2 (∆p) =1c2

∂2 (∆p)∂t2

1.4a

∇2u =1c2

∂2u

∂t21.4b

Quando la sorgente acustica è lontana dal punto considerato l’onda può ess

considerata piana e supponendo che la sorgenteacustica sia caratterizzata da una sola

frequenza di vibrazione f e che non vi sia componente riflessa, integrando le 1.4a- 1.4b

si ha:

∆p(t) = ∆pmax cos[ω

(t − x

c

)]1.5a

u(t) =∆pmax

ρccos

(t − x

c

)]1.5b

essendo

x = direzione di propagazione

ρ = densità dell’aria

c = velocità di propagazione

ω = 2πf = pulsazione dell’onda sonora

Pertanto, in assenza della componente riflessa l’onda di pressione e l’onda di

oscillazione sono in fase e si ha:

∆p (t) = ρc · u (t) 1.6

in cui la quantità(ρ c) viene dettaimpedenza acustica. Per l’aria a temperatura

ambiente (20C) essa vale 413 kg/(m2s) e diminuisce di circa 0.7 kg/(m2s) per ogni

grado di aumento di temperatura.

Si definisceintensità sonora(in W/m2) laquantità:

I =1T

T∫0

∆p(t)u(t)dt 1.7a

In assenza di componente riflessa si ha pertanto:

139

Page 146: Fisica Tecnica Ambientale

1. ASPETTI FISICI GENERALI

I =1T

T∫0

[∆p(t)]2

ρ cdt =

p2

ρ c1.7b

avendo introdotto lapressione efficacep (in Pa):

p =

√√√√√ 1T

T∫0

[∆p(t)]2 dt 1.8

Si definiscepoi potenza sonora(in W) laquantità:

W =∫S

IdS 1.9

in cui S rappresenta l’area della superficie del fronte d’onda.

Si definisce infinedensità sonora(in J/m3) la quantità di energia sonora contenuta

nell’unità di volume:

U =dE

dV=

Wdt

dV

Nel caso di onda piana e qualora sia presente la sola componente diretta, lo spazio

percorso dall’onda nel tempo infinitesimodt varrà c dt e pertanto, supponendo piano

il fronte d’onda, il volumedV occupato dall’onda nel tempodt varrà:

dV = S c dt

l’energia infinitesimadE contenuta dal volumedV sarà pari a:

dE = I S dt

e dunque, tenendo anche conto della 1.7b:

U =dE

dV=

I

c=

p2

ρ c21.10

Un suono puroè caratterizzato da unafrequenzaben precisa. Le caratteristiche

dell’onda di un suono puro sono:

140

Page 147: Fisica Tecnica Ambientale

1. ASPETTI FISICI GENERALI

ω = 2πf (pulsazione) 1.11

f = 1/T (frequenza) 1.12

λ = c T (lunghezza d′onda) 1.13

Naturalmente si ha anche:

c = λ f 1.14

Nel caso in cui il suono sia distribuito con continuità su tutte le frequenze, si suddivide

lo spettro in bande d’ottava, ovvero in intervalli di frequenza delimitati da due

frequenzef1 ef2 tali che:

f2 = 2f1

e caratterizzati da una frequenza, dettafrequenza centraleo nominale(fc), pari a:

fc =√

f1 f2

Le frequenze centrali delle bande d’ottava adottate nella pratica sono riportate in

Tab. 1.1.

Tab. 1.1 – Frequenze centrali normalizzate delle bande d’ottava.

Frequenzanominale

[Hz]

Frequenza limite[Hz]

Frequenzanominale

[Hz]

Frequenza limite[Hz]

Inferiore Superiore Inferiore Superiore16.0 11.2 22.4 1000 710 140031.5 22.4 45.0 2000 1400 280063.0 45.0 90.0 4000 2800 5600

125.0 90.0 180.0 8000 5600 11200250.0 180.0 355.0 16000 11200 22400500.0 355.0 710.0

Talvolta si impiegano bande diennesimi di ottava, per lequali le frequenze estreme di

ogni banda sono legate dalla relazione:

f2 = 21/n f1

141

Page 148: Fisica Tecnica Ambientale

1. ASPETTI FISICI GENERALI

Fra queste le più impiegate sono le bande di un terzo d’ottava (Tab. 1.2).

Tab. 1.2 – Frequenze centrali e limite delle bande normalizzate di un terzo

d’ottava.

Frequenzanominale

[Hz]

Frequenza limite[Hz]

Frequenzanominale

[Hz]

Frequenza limite[Hz]

Inferiore Superiore Inferiore Superiore16.0 14.3 18.0 630 560 71020.0 18.0 22.4 800 710 90025.0 22.4 28.0 1000 900 112031.5 28.0 35.5 1250 1120 140040.0 35.5 45.0 1600 1400 180050.0 45.0 56.0 2000 1800 224063.0 56.0 71.0 2500 2240 280080.0 71.0 90.0 3150 2800 3550

100.0 90.0 112.0 4000 3550 4500125.0 112.0 140.0 5000 4500 5600160.0 140.0 180.0 6300 5600 7100

200.0 180.0 224.0 8000 7100 9000250.0 224.0 280.0 10000 9000 11200315.0 280.0 355.0 12500 11200 14000400.0 355.0 450.0 16000 14000 18000500.0 450.0 560.0 20000 18000 22400

142

Page 149: Fisica Tecnica Ambientale

2. ACUSTICA FISIOLOGICA

2.1. SENSAZIONI ACUSTICHE

Dal punto di vista delle sensazioni provocate dalle onde sonore è possibile osservare

che:

1. l’orecchio umano è sensibile ai suoni aventi una frequenza compresa fra circa

20 Hz e 20.000 Hz, con un massimo dellasensibilità intorno ai 3-4000 Hz.

2. a 1000 Hz la minima pressione efficace capace di produrre una sensazione

acustica èp0 = 2 · 10−5 Pa = 20µ Pa (soglia di udibilità). Alla stessa

frequenza la massima pressione efficace sopportabile dall’orecchio umano è

di 20 Pa, a cui corrisponde la cosiddettasoglia del dolore.

3. la variazione dell’intensità di sensazione acustica (S) è proporzionale

all’incremento relativo dell’intensità acusticaI (Legge di Weber-Fechner):

dS = kdI

I2.1

da cui si desume che la differenza di sensazione è proporzionale al logaritmo

d i:

4. P sate

su

el rapporto delle intensità acustiche, ovvero alla differenza dei loro logaritm

S − S0 = k lnI

I02.2

er i motivi esposti al punto 3) si sono definite delle nuove grandezze, ba

lla scala logaritmica, dettelivelli, misurati in decibel (dB). Si introducono

143

Page 150: Fisica Tecnica Ambientale

2. ACUSTICAFISIOLOGICA

così illivello di pressione Lp, il livello di intensità LI e il livello di potenza LW

Lp = 20 logp

p0= 10 log

p2

p20

2.3

LI = 10 logI

I02.4

LW = 10 logW

W02.5

dove po è la pressione corrispondente allasoglia uditiva a 1000 Hz, pari a

2·10−5 Pa (20µPa),Io è l’intensità sonora di riferimento, pari a 10−12 W/m2

eWo è lapotenza di riferimento, pari a 10−12 W.

5. La sensazione acustica dipende dallafrequenza, perciò un apparecchio che

misuri l’intensità di un suono così come esso viene percepito dall’orecchio

umano deve simulare la rispostain frequenza dell’orecchio umano (curve di

ponderazione, si veda alCAPITOLO 5).

Livello di pressione e livello di intensità assumonoin campo diretto quasi esattamente

lo stesso valore. Infatti, introducendo la 1.7b nella definizione 2.3:

Lp = 10 logp2

p20

= 10 logρ c I

p20

≈ 10 logI

10−12= LI

dato che, come si è visto in precedenza, l’impedenza acustica (ρc) vale poco più di

400 kg/(m2s).

Con le definizioni sopra riportate si vede che, al variare della pressione sonora dal

valore di soglia (20 µPa) a quello corrispondente alla soglia del dolore (20 Pa), i

corrispondenti livelli di pressione sonora variano fra 0 e 120 dB.

Alcuni livelli di pressione sonora tipici sono riportati di seguito:

Lp (dB) Esempi Tipici30 ÷ 40 biblioteca50 ÷ 60 ufficio60 ÷ 70 conversazione70 ÷ 80 incrocio stradale80 ÷ 90 interno d’autobus90 ÷ 100 treno, metrò110 ÷ 120 clacson a 1 m> 120 martello pneumatico

144

Page 151: Fisica Tecnica Ambientale

2. ACUSTICAFISIOLOGICA

Fig. 2.1 – Audiogramma normale secondo la ISO-R226 (S = soglia di udibilità); ascolto

binaurale in campo libero, sorgente sonora disposta in fronte all’ascoltatore.

2.2. AUDIOGRAMMA NORMALE

L’ insieme delle considerazioni precedentemente esposte ha consentito di costruire un

diagramma (dettodiagramma di Fletcher e Munson) in cui è riportato l’andamento

delle curve di uguale sensazione uditiva. Nel 1961 è stata approvata una versione

normalizzata di tale diagramma (vedi Fig. 2.1), che ha preso ilnome di audiogramma

normale. Esso è stato costruito come segue:

– si adotta un suono di riferimento a 1000 Hz, di intensità variabile

– si esamina un suono di prova di intensità e frequenza qualunque

– si varia l’intensità del suono di riferimento fino a che l’ascoltatore non lo

giudica diintensità equivalente aquello di prova

– si assume come valutazione numerica (soggettiva) dell’intensità del suono di

prova il valore in decibel dell’intensità (oggettiva) del suono di riferimento.

Tale valutazione è espressa inphon.

145

Page 152: Fisica Tecnica Ambientale

2. ACUSTICAFISIOLOGICA

Si ottengono in tal modo delle curve di ugual sensazione uditiva dettelinee isophon.

Dove esse presentano un minimo si ha il massimo della sensibilità uditiva, poiché è

necessario il livello di pressione sonora più basso per produrre la stessa sensazione.

Si può osservare come la massima sensibilità uditiva si verifichi in corrispondenza di

circa3 ÷ 4 kHz per tutte le curve isophon. Tuttavia, la differente sensibilità alle varie

frequenze è molto più pronunciata ai bassi livelli che non agli alti livelli (le curve

isophon siappiattiscono al crescere del livello sonoro).

146

Page 153: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI

CHIUSI

3.1. INTERAZIONE SUONO-PARETE

La descrizione dei fenomeni acustici richiede la conoscenza delcampo sonoro, ovvero

della porzione di spazio nella quale si propagano le onde sonore.

In presenza di un ostacolo alla sua propagazione l’energia sonora viene in parte

riflessa, in parteassorbita (e trasformata in calore) e in partetrasmessa attraverso

l’ostacolo.

Detta Wi la potenza acustica incidente e Wa, Wr , Wt (vedi Fig. 3.1) le potenze

rispettivamente assorbita, riflessa e trasmessa, vengono definiti rispettivamentefattore

di assorbimento (a′), di riflessione (r) edi trasmissione (t) le quantità:

a′ =Wa

Wir =

Wr

Wit =

Wt

Wi

ovviamente, si ha:

r + a′ + t = 1 3.1

Spesso si introduce unfattore di assorbimento apparente a:

a = 1 − r = a′ + t 3.2

i cui valori, per alcuni materiali, sono forniti nella Tab. 3.1.

147

Page 154: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

Fig. 3.1 – Potenza incidente, trasmessa, assorbita e riflessa.

Tab. 3.1 – Valori del coefficiente di assorbimento. (da I. Sharland

L’attenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)

Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz(mm) 125 250 500 1000 2000 4000

Superfici internenormaliMuratura in mattoni —- 0.05 0.04 0.02 0.04 0.05 0.05Calcestruzzo —- 0.01 0.01 0.02 0.02 0.02 0.03Lastra di vetro dispessore fino a4 mm

4 0.35 0.25 0.20 0.10 0.05 0.05

Lastra di vetrospessore 6 mm

6 0.15 0.06 0.04 0.03 0.02 0.02

Marmo o piastrellevetrificate

—- 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05

Intonaco su muropieno

12 0.04 0.05 0.06 0.08 0.04 0.06

Rivestimenti dipareti e soffittiIntonaco acustico 12 0.10 0.15 0.20 0.25 0.30 0.35Materassini di lanadi vetro o di roccia

25 0.10 0.35 0.60 0.70 0.75 0.80

(valori tipici permateriali di

50 0.20 0.45 0.65 0.75 0.80 0.80

media densità) 100 0.45 0.75 0.80 0.85 0.85 0.90150 0.55 0.90 0.90 0.85 0.90 0.95

Schiuma dipoliuretano esp.

25 0.15 0.30 0.60 0.75 0.85 0.90

(a cellule aperte) 50 0.25 0.50 0.85 0.95 0.90 0.90100 0.50 0.70 0.95 1.00 1.00 1.00

»

148

Page 155: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

Tab. 3.1 – Valori del coefficiente di assorbimento. (da I. Sharland

L’attenuazione del rumore, Woods Italiana, Milano, 1994)

Tipo di materiale Spess. Frequenza, Hz(mm) 125 250 500 1000 2000 4000

Lastra di gesso di9 mm fissata sulistelli di legno;intercapedine d’ariadi 18 mm riempitacon lana di vetro

27 0.30 0.20 0.15 0.05 0.05 0.05

Legno compensatodi 5 mm, fissato sulistelli di legno,intercapedine d’ariadi 50 mm riempitacon lana di vetro

55 0.40 0.35 0.20 0.15 0.05 0.05

Legno compensatodi 12 mm fissato sulistelli;intercapedine d’ariadi 59 mm riempitacon lana di vetro

71 0.30 0.20 0.15 0.10 0.15 0.10

Pannelli di gessoper rivestimentimurali e controsoffittature congrandi intercapedinid’aria

—- 0.20 0.15 0.10 0.05 0.05 0.05

Cartone di fibra susupporto rigido

12 0.05 0.10 0.15 0.25 0.30 0.30

PavimentazioniBattuto di cemento —- 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05 0.05Moquette a peloraso, su substratodi feltro

6 0.05 0.05 0.10 0.20 0.45 0.65

Moquette a pelomedio, su substratodi gommapiuma

10 0.05 0.10 0.30 0.50 0.65 0.70

Piastrelle di gomma 6 0.05 0.05 0.10 0.10 0.05 0.05Pannelli perrivestimenti acusticiFissati direttamentea parete o a soffitto,con intercapedined’aria

12-75 0.10 0.25 0.50 0.60 0.60 0.45

Montati comesoffitti sospesi

—- 0.30 0.40 0.50 0.65 0.75 0.70

149

Page 156: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

3.2. CAMPO LIBERO O DIRETTO

Quando in un campo sonoro esistono solo le onde sonore direttamente irradiate dalla

sorgente il campo sonoro si dicelibero o diretto. Se il campo è libero, e la sorgente

puntiforme, l’intensità si riduce di circa 6 dB raddoppiando la distanza dalla sorgente.

Infatti, detti L1 eL2 i livelli di intensità alle distanzed1 ed2 = 2d1, si ha:

L1 = 10 logW/S1

I0

L2 = 10 logW/S2

I0

conS1 = 4 π d21 eS2 = 4 π (2 d1)

2 = 4 S1 . Pertanto:

L1 − L2 = 10 logS2

S1= 10 log 4 = 6.02 dB

Normalmente il campo sonoro diretto si manifesta in ambienti esterni, lontano

da superfici che possano riflettere il suono. Tuttavia, esistono ambienti interni

speciali, detticamere anecoiche, le cui pareti sono rivestite con materiali quasi

perfettamente assorbenti (a≈ 1), nelle quali si genera un campo sonoro che può essere

definito diretto.

3.3. CAMPO DIFFUSO O PERFETTAMENTE RIVERBERATO

Se invece in ogni punto del campo sonoro l’intensità sonora associata alle onde

riflesse supera l’intensità delle onde dirette, essendo praticamentecostante in ogni

direzione, l’intensità netta è uguale a zero, la densità di energia è uniforme ed il campo

viene dettodiffuso o perfettamente riverberante. In questo caso allontanandosi dalla

sorgente il decremento di livello è nullo.

150

Page 157: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

Quando il campo è diffuso non è possibile impiegare la relazione fra intensità e densità

di energia ricavata con la1.15, in condizioni di campo diretto, ma deve essere adottata

la seguente (in cui il pedice "d" denota il campo diffuso):

Ud =4 Id

c3.3

DIMOSTRAZIONE

Infatti, l’intensità acustica risultante su un piano deriva dal seguente integrale:

Id =

Z

I cosα dω = 2π I

π/2Z

0

cos α sinα dα = π I D.1

dove Ω è l’angolo solido, mentre la densità di energia, Ud, vale:

Ud =

Z

U dω = 2π U

πZ

0

sinα dα = 4π U D.2

da cui, tenendo presente la 1.15, deriva immediatamente la 3.3.

Una delle conseguenze della riverberazione è che, al cessare della emissione sonora, la

densità di energia sonora non si riduce a zero istantaneamente, ma decresce tanto più

lentamente quanto più l’ambienteè riverberante (fenomeno dellacoda sonora). Per

definire le caratteristiche di riverberazione di un ambiente si usa allora il cosiddetto

tempo di riverberazione τ60, ovvero il tempo necessario perché il livello sonoro

decresca di 60 dB, o anche, per la 3.3, perché la densità di energia sonora si riduca

di un milione di volte.

Il tempo di riverberazione può essere misurato, oppure calcolato conoscendo le

caratteristiche geometriche e di assorbimento dell’ambiente in esame.

La formula comunemente impiegata per il suo calcolo si chiamaformula di Sabine

(vedi DIMOSTRAZIONE a pagina153). Essa dà:

τ60 = 0.163V

Atot3.4

151

Page 158: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

in cui V è il volume dell’ambiente eAtot rappresenta leunità fonoassorbenti, in m2,

in cui

aj = fattore di assorbimento apparente della j-esima superficie interna del

locale (vedi Tab. 3.1)

Aj = unità assorbenti (in m 2) di elementi fonoassorbenti (vedi Tab. 3.2)

Tab. 3.2 – Unità assorbenti da aggiungere all’equazione 3.5 per ogni unità

considerata (in m2).

Frequenze [Hz] 125 250 500 1000 2000 4000

Sedie in legno 0.01 0.015 0.02 0.035 0.05 0.06

Poltrone imbottite 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35 0.35

Persone in piedi 0.20 0.35 0.47 0.45 0.50 0.40

Persone in poltrona 0.42 0.41 0.40 0.48 0.51 0.55

a loro volta definite dall’espressione:

Atot =∑

(aj Sj) +∑

Aj 3.5

A causa delle ipotesi semplificative adottate la formula di Sabine non è una relazione

esatta. Ad esempio, al tendere dia ad uno, essa non tende a zero come dovrebbe

avvenire.

In base a considerazioni teoriche alle unità assorbentiAtot si dovrebbe sostituire la

cosiddettacostante della sala R, definita come:

R =Atot

1 − am3.6

in cui

R =Atot

1 − am3.7

152

Page 159: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

DIMOSTRAZIONE

Per calcolare τ 60 si ipotizza un ambiente chiuso perfettamente riverberante in cui sia

inizialmente in funzione una sorgente, di potenza W .

Si definisce cammino libero medio Lm dell’energia sonora quello che separa due suc-

cessive riflessioni. In base a considerazioni statistiche si ricava che esso è funzione

del volume V e della superficie S:

Lm =4 V

SD.1

Il tempo libero medio sarà dunque dato da:

τm =4 V

c SD.2

Si scrive ora l’equazione di conservazione dell’energia sonora in forma di potenza,

ovvero:

potenza emessa − potenza assorbita = variazione energia sonora D.3

La potenza assorbita è pari alla potenza incidente sulle pareti dell’ambiente moltiplicata

per il fattore di assorbimento apparente, a. A sua volta la potenza incidente può essere

calcolata supponendo che l’energia sonora presente in ambiente (pari a V U , avendo

omesso il pedice "d" per brevità) si distribuisca equamente sulle pareti nel tempo τm

(ipotesi di continuità):

potenza incidente =V U

τm=

cUS

4

per cui la potenza assorbita vale:

potenza assorbita =cUAtot

4

dove si è introdotto il numero di unità fonoassorbenti (Atot) del locale, definito dalla 3.5.

In definitiva, la D.3 diviene:

W − c

4UA = V

dU

dτ D.4

in regime stazionario (dU

dτ= 0 ) si ha W =

c

4UA e dunque:

U =4W

cAD.5

153

Page 160: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

durante la coda sonora (W = 0) si ha:

che, integrata

o anche

Imponendo ne

volte, passand

riverberazione

3.4. CAMP

Negli ambien

coesiste con

semiriverbera

Anche in un a

trovarsi in ca

divenire sem

Livello di inten

Da quanto d

forniscono il

tre ipotesi di

del livello di p

Questo è defi

e l’intensità m

154

dτ = −4 V

cA

dU

U

fra l’istante iniziale (τ = 0) in cui U = U0 e l’istante generico τ , dà:

τ = −4V

cAln U

U

D0D.6

U = U0 e(−cAτ4V ) D.7

lla D.6 la condizione che la densità di energia si riduca di un milione di

o ai logaritmi decimali e sostituendo c = 340 m/s si ottiene il tempo di

con l’espressione detta formula di Sabine:

τ60 = 0.163V

AD.8

O SEMIRIVERBERANTE

ti chiusi, o comunque delimitati da pareti riflettenti, l’onda diretta

quelle riflesse (una o più volte) creando un campo sonoro detto

nte.

mbiente chiuso è possibile, avvicinandosi sufficientemente alla sorgente,

mpo diretto, ma, a mano a mano che ci si allontana il campo tende a

iriverberato e poi diffuso.

sità sonora in ambienti confinati

etto nei precedenti paragrafi èpossibile ricavare le espressioni che

livello di pressione sonora all’interno di un ambiente confinato, nelle

campo libero, perfettamente riverberato e semiriverberato, in funzione

otenza della sorgente sonora e del suo fattore di direttivitàQθ.

nito come il rapporto fra l’intensità nella direzione sorgente-ascoltatore

edia nell’intero angolo solido, a una distanzad dalla sorgente:

Page 161: Fisica Tecnica Ambientale

3. CAMPI SONORI E ACUSTICA DEGLI AMBIENTI CHIUSI

Qθ =I

Im=

4πd2I

W

da cui:

I =QθW

4πd2

naturalmenteQθ vale 1 per una sorgente che irradia secondo onde sferiche, vale 2

per sorgenti emisferiche, 4 per sorgenti che formano fronti d’onda equiparabili ad un

quarto di superficie sferica, etc.

campo relazione fra Lp e LW

diretto Lp = LW − 10 log (4π/Qθ) − 20 log d

perfettamenteriverberato

Lp = LW − 10 log Atot + 6

semiriverberato Lp = LW + 10 log“

Qθ4πd2 + 4

R

-30.0

-24.0

-18.0

-12.0

-6.0

0.0

0.1 1 1 0 100Distanza (m )

L -

LW

(dB

)

R=15 m2

R=30 m2

R=50 m2

R=100 m2

R=200 m2

R=300 m2

R=500 m2

R=1000 m2

R=2000 m2

Fig. 3.2 – Campo semiriverberato.

155

Page 162: Fisica Tecnica Ambientale
Page 163: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

Nelle applicazioni dell’acustica in campo edilizio i problemi che piùfrequentemente si riscontrano sono due:

– la cattiva ricezione del suono (musica o voce) in ambienti destinatiad ospitare eventi sonori (sale da concerto, aule scolastiche, saleconferenze, cinema, teatri, ...)

– la trasmissione di rumori dall’esterno o da altri ambienti adiacenti

Il primo è un problema che si risolve sia con una opportuna scelta delledimensioni e della forma della sala che adottando materiali di rivestimentoidonei (fonoassorbimento). Il secondo è invece un problema che si risolvesoprattutto con la corretta progettazione acustica dei divisori, in modo darealizzare un adeguatofonoisolamento.

4.1. FONOASSORBIMENTO

I valori di τ60 alle varie frequenze vanno confrontati con quelli ottimali (τott),

funzione del tipo di audizione che si svolge nell’ambiente e del suo volume, riportati

per le frequenze da 250 Hz a 2 kHz, come indicato in Fig. 4.1. Il progetto acustico

di una sala per audizioni richiede dunque l’adozione di materiali di rivestimento delle

pareti (vedi Ta b . 3.1) tali da garantire un fonoassorbimento il più vicino possibile a

quello ottimale, almeno alle frequenze centrali (1-2 kHz).

157

Page 164: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

musica sinfonica

musica da camera

teatro

parola

cinema

opera

chiese

Volume (m )3

100 1000 1000 100000

Fig. 4.1 – Tempo ottimale di riverberazione alle varie frequenze.

4.2. FONOISOLAMENTO

Per proteggere un ambiente da un rumore prodotto al di fuori di esso occorre ostacolare

la propagazione del rumore dalle sorgenti verso l’ambiente, ovvero incrementare il

potere fonoisolante delle pareti che separano la sorgente dall’ambiente disturbato.

Si definisce potere fonoisolante (R) di una parete la quantità (Fig. 4.2):

R = 10 logWi

Wt= 10 log

1t

4.1

in cui Wi eWt rappresentano rispettivamente la potenza sonora incidente e trasmessa.

Come si vedrà, buoni risultati si possono però ottenere anche limitando la

riverberazione nell’ambiente disturbato.

Le onde acustiche possono propagarsi sia per via diretta (Fig. 4.2), ovvero attraverso

l’aria, sia per viasolida, o indiretta, attraverso le strutture dell’edificio. Qualora questo

contributo possaessere trascurato si hasoltanto trasmissionediretta e il problema può

essere analizzato come segue, supponendo ilcampo perfettamente riverberante ed il

regime stazionario.

158

Page 165: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

W1

via diretta

1 2

via indiretta

Fig. 4.2 – Trasmissione del rumore da un ambiente ad un altro.

È possibile dimostrare che la differenza di livello sonoro fra un ambiente disturbante

(1)

Sd

DIM

Ess

di energia che vi si stabilisce vale, per la (D.5, della dimostrazione di pag. 153):

U1 =4W1

c A1

e dunque l’intensità acustica su una parete vale, per la 3.3:

Pertanto

dall’amb

La pote

I1 = U1c

4D.1

la potenza Wi incidente sul divisorio di area Sd che separa l’ambiente 1

iente 2 vale:

Wi = I1 Sd D.2

e uno disturbato (2) separati da un divisorio avente potere fonoisolanteR ed area

è data da:

∆L = 10 log1t

+ 10 logA2

Sd= R + 10 log

A2

Sd4.2

OSTRAZIONE

endo presente nell’ambiente 1 una sorgente stazionaria di rumore W 1, la densità

nza trasmessa attraverso il divisor io varrà, tenendo presenti le D. 1 e D. 2 :

Wt = tWi = t I1 Sd = t U1 cSd

4D.3

159

Page 166: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

Il divisorio agisce nell’ambiente 2 come se esso stesso fosse una sorgente acustica di

potenza Wt. Poiché siamo in regime stazionario la densità di energia nell’ambiente 2

varrà, per la D5, pag. 153:

U2 =4 Wt

c A2=

t U1 Sd

A2D.4

con A2 =P

ai Si . E dunque

U1

U2=

A2

t Sd

da cui, ricordando che ∆L = 10 logp21

p22

= 10 logU1

U2si ottiene la 4.2.

La 4.2 mostra come la differenza di livello acustico fra un locale disturbante ed

un locale disturbato cresca non soltanto al crescere del potere fonoisolanteR del

divisorio, ma anche al crescere del potere fonoassorbente del locale disturbato.

Valutazione del potere fonoisolante delle pareti edilizie

Per una parete costituita da un solo strato dimateriale omogeneo,il potere fonoisolante

è, in prima approssimazione, funzione della frequenzaf del suono e della massa

frontaleM della

parete, in esso

può esse

La 4.3, no

6 dB per

In realtà

frequenz

La legge

frequenz

di vibraz

costante

cosiddett

160

s della parete, a sua volta definita come la massa per unità di superficie

kg/m2. Per onde sonore diffuse, ovvero provenienti da tutte le direzioni,

re calcolato come:

R = 20 log(f Ms) − 48 4.3

ta come legge della massa, mostra come il potere fonoisolante cresca di circa

ogni raddoppio della frequenza o della massa frontale.

l’andamento tipico del potere fonoisolante di una parete in funzione della

a è quello indicato in Fig. 4.3.

della massa vale soltanto in una banda limitata di frequenze (regione II). Per

e più basse (regione I) si risentono gli effetti dirisonanza dei modi propri

ione flessionale del tramezzo. Per frequenze più elevate (regione III)R è

mente inferiore a quanto previsto dalla legge della massa. Ciò è dovuto al

oeffetto di coincidenza, che si manifesta quando fra la lunghezza d’onda

Page 167: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

Regione I:risonanza

Regione II:legge della massa

Regione III:coincidenza

Frequenza fc

Fig. 4.3 – Potere fonoisolante di una parete.

λa delle onde sonore incidenti secondo un angoloα e la lunghezza d’ondaλd delle

vibrazioni flessionali nel divisorio (vedi Fig. 4.4) si verifica la relazione:

λa = λd sin(α)

La massima lunghezza d’ondaλa,max per cui si verifica l’effetto di coincidenza è

dunque quella che corrisponde all’incidenza radente (α = 90). Ad essa corrisponde

la minima frequenza di coincidenzafc = c/λa,max, detta frequenza critica della

parete, alla quale si manifesta un minimo relativo del potere fonoisolante.

Negli impieghi pratici si utilizza una curva di valutazione (vedi Fig. 4.5) proposta

dall’ISO che consente di esprimere con un solo numero la capacità di isolamento

acustico di una parete. Questo numero, dettoindice di valutazione (I), è dato dal

valore che assume la curva di valutazione ISO a 500 Hz quando la si trasla in

verticale fino ad ottenere la migliore approssimazionecon la curva reale. Questa

approssimazione è definita dalle condizioni:

∑(Ii − Ri) < 12 e (Ii − Ri)max < 5

In Tab. 4.1 sono riportati i valori del potere fonoisolante alle varie frequenze e

dell’indice di valutazione per alcuni tipi comuni di parete edilizia.

161

Page 168: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

d

Fig. 4.4 – Effetto di coincidenza.

Fig. 4.5 – Curva di valutazione.

162

Page 169: Fisica Tecnica Ambientale

4. FONOASSORBIMENTO E FONOISOLAMENTO

In presenza di trasmissione indiretta il potere fonoisolante si riduce di3÷5 dB e viene

detto potere fonoisolante apparente.

Tab. 4.1 – Potere fonoisolante e indice di valutazione (in dB) di alcune

pareti.

Tipo di divisorio Frequenze (Hz) Indice I125 250 500 1000 2000 4000 (ISO)

Parete di mattonipieni intonacata(spessore 12 cm,peso 220 kg/m3)

34 35 40 50 55 57 45

Idem (spessore 24 cm,peso 440 kg/m3)

40 44 50 56 57 57 54

Parete di mattoni forati(spessore 28 cm)

37 43 52 60 64 65 57

Parete in calcestruzzointonacata (spessore18 cm, peso 440 kg/m3)

40 42 50 58 66 68 54

Parete in calcestruzzo(2 strati di 5 cm separatida intercapedine di2.5 cm)

37 40 44 50 56 62 49

Idem (2 strati di 7.5 cmseparati daintercapedine di 7.5 cm)

37 40 50 54 56 63 52

Divisorio in gesso perlite(spessore 5 cm, peso 49kg/m3)

26 28 30 31 42 47 33

Idem (spessore 6.3 cm,peso 107 kg/m3)

31 30 29 35 45 52 34

Tramezzo mobile 15 22 26 27 33 35 29Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati(cristallo 7÷9 mm dispessore)

17 20 25 24 28 28 26

Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati condoppio cristallo (2 lastreuguali, distanti 1 cm)

17 20 23 33 33 33 25

Tramezzo mobile munitodi pannelli vetrati condoppio cristallo (2 lastredi diverso spessore,distanti 4 cm)

22 27 30 30 36 38 32

Idem con porta 20 22 27 30 30 35 30Doppia finestra 16 24 36 50 54 58 36

163

Page 170: Fisica Tecnica Ambientale
Page 171: Fisica Tecnica Ambientale

5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE

Per affrontare il problema della riduzione del rumore, un problema semprepiù grave sia nei luoghi di lavoro sia nelle abitazioni e nell’ambiente esterno,occorre prendere in esame i seguenti punti:

– Caratteristiche delle sorgenti di rumore

– Modalità di propagazione dei rumori

– Rilevamento sperimentale dei dati fonometrici

– Criteri di valutazionedei rischi di danno

– Progetto di interventi per la riduzione della rumorosità

Nei paragrafi che seguono si forniranno alcune delucidazioni sulle sorgenti dirumore e sui criteri di valutazione del disturbo da esse provocato.

5.1. SORGENTI DI RUMORE

Le sorgenti di rumore sono caratterizzate da:

– potenza emessa (W )

– distribuzione dellapotenza emessa nelle varie bande di frequenza

– distribuzionedirezionale della potenza

– ubicazione della sorgente

La potenza emessa può essere determinata a partire dai livelli di intensità, misurati

ad una distanza nota dalla sorgente. Occorre innanzitutto separare la componente

165

Page 172: Fisica Tecnica Ambientale

5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE

del livello dovuta al rumore di fondo da quella dovuta effettivamente alla sorgente

considerata. Conoscendo i due livelli di intensità con (Lr) e senza (Lf ) sorgente

l’intensitàI della sola sorgente varrà:

I = I0

(10

Lr10 − 10

Lf10

)

e dunque il livello di intensitàL della sola sorgente vale:

L = 10 log

(10

Lr10 − 10

Lf10

)

QuandoLr superaLf di più di 10 dB,L coincide praticamente conLr.

Ricordando la 1.9, nelcaso di campo libero si ha:

W =∫s

IdS

doveS è la superficie su cui si distribuisce la potenzaW .

Il sistema di ponderazione

Poiché, come si è visto in 2.2, la sensibilità dell’orecchio umano varia in funzione della

frequenza, per ottenere dal fonometro unaindicazione proporzionale alla sensazione

acustica è necessariofiltrare opportunamente le pressioni (e dunque le intensità) in

ingresso alle varie frequenze, riducendo l’intensità dei suoni a bassa frequenza, così

come indicato dall’audiogramma normale. Questa operazione viene eseguita per

mezzo di filtri ocurve di ponderazione.

Si è ormai consolidato l’uso della curva di ponderazione A, e dei corrispondenti livelli

misurati, indicati in dBA, o dB(A).

166

Page 173: Fisica Tecnica Ambientale

5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE

Fig. 5.1 – Curva di ponderazione A.

Tab. 5.1 – Curva di ponderazione A.

Frequenza centrale Correzione (dB) Frequenza centrale Correzione (dB)

31.5 -39.4 1000 040 -34.6 1250 0.650 -30.2 1600 1.063 -26.2 2000 1.280 -22.5 2500 1.3

100 -19.1 3150 1.2125 -16.1 4000 1.0160 -13.4 5000 0.5200 -10.9 6300 -0.1250 -8.6 8000 -1.1315 -6.6 10000 -2.5400 -4.8 12500 -4.3500 -3.2 16000 -6.6630 -1.9 20000 -9.3800 -0.8

167

Page 174: Fisica Tecnica Ambientale

5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE

5.2. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL DISTURBO DA RUMORE

La maggior parte dei criteri di valutazione del disturbo da rumore si basa sullivello

equivalente Leq, definito come il valore di livello, costante nel tempo, che corrisponde

alla stes

esposto

doveIA i

pondera

Nel caso

ovvero,

Il livello

in rappo

di lavoro

del 26/1

14/11/97

funzione

La ISO 1

fra la pe

del livell

attività la

168

sa quantità di energia sonora (equal energy rule) a cui è stato effettivamente

il soggetto considerato, ovvero:

Leq = 10 logIA

I0= 10 log

1

T

T∫0

IA(t)I0

dt

5.1

rappresenta il valor medio dell’intensità sonora,filtrato attraverso la curva d

zione A.

di campionamenti discreti dei livelli la 5.1 diviene:

Leq = 10 log

1

T

n∑j=1

tj 10Lj/10

5.2

nelcaso di campionamenti regolari:

Leq = 10 log

1

n

n∑j=1

10Lj/10

equivalente è la base del criterio di valutazione ISO 1996 (Stima del rumore

rto alle reazioni della collettività) e ISO 1999 (Disturbi uditivi in ambiente

). In accordo con la ISO 1996 è stata promulgata in Italia la Legge 447

0/1995 (Legge Quadro sull’inquinamento acustico) chedemanda al DPCM

la definizione dei livelli equivalenti massimi di immissione, in dBA, in

della classe del territorio e del periodo del giorno (Tab. 5.2).

999 stabilisce una relazione empirica, espressa tramite il livello equivalente,

rcentuale probabile di persone affette da perdita di udito (ovvero innalzamento

o di soglia di almeno 25 dB) e l’esposizione al rumore nel corso della loro

vorativa (Tab. 5.3).

Page 175: Fisica Tecnica Ambientale

5. CRITERI DI VALUTAZIONE DEL RUMORE

Tab. 5.2 – Livelli massimi di immissione secondo il DPCM 14/11/97.

Classe di territorioPeriodo del giorno

Diurno(6-22)

Notturno(22-6)

I - Aree particolarmente protette 50 40II - Aree prevalentemente residenziali 55 45III - Aree di tipo misto 60 50IV - Aree di intensa attività umana 65 55V - Aree prevalentemente industriali 70 60VI - Aree esclusivamente industriali 70 70

Tab. 5.3 – Percentuali di rischio di perdita di udito secondo la norma ISO

1999.

Leq Anni di esposizionedBA 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45<80 a 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

b 1 2 3 5 7 10 14 21 33 5085 a 0 1 3 5 6 7 8 9 10 7

b 1 3 6 10 13 17 22 30 43 5790 a 0 4 10 14 16 16 18 20 21 15

b 1 6 13 19 23 26 32 41 54 6595 a 0 7 17 24 28 29 31 32 29 23

b 1 9 20 29 35 39 45 53 62 73100 a 0 12 29 37 42 43 44 44 41 33

b 1 14 33 42 49 53 58 65 74 83105 a 0 18 42 53 58 60 62 61 54 41

b 1 20 45 58 65 70 76 82 87 91110 a 0 26 55 71 78 78 77 72 62 45

b 1 28 58 76 85 88 91 93 95 95115 a 0 36 71 83 87 84 81 75 64 47

b 1 38 74 88 94 94 95 96 97 97

169

Page 176: Fisica Tecnica Ambientale

progettodidattica in rete

prog

etto

dida

ttica

in re

tePolitecnico di Torino, giugno 2003

Dipartimento di Energetica

Fisica Tecnica AmbientaleParte IV: illuminotecnica

G.V. Fracastoro

otto editore

Page 177: Fisica Tecnica Ambientale

Giovanni Vincenzo Fracastoro

Fisica Tecnica Ambientaleparte IV - illuminotecnica

Prima edizione giugno 2003

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuato, compresa la

fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

Page 178: Fisica Tecnica Ambientale

PARTE IV

illuminotecnica

WWW.POLITO.IT

Page 179: Fisica Tecnica Ambientale
Page 180: Fisica Tecnica Ambientale

INDICE

1. Fotometria 175

1.1. Luce e fattore di visibili tà . . . . . . . . . . . . . . . . . 175

1.2. Grandezze fotometriche . . . .. . . . . . . . . . . . . . 178

1.3. Cenni di colorimetria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179

2. Sorgenti luminose 187

2.1. Efficienza di unasorgente luminosa . . . . . . . . . . . 187

2.2. Sorgenti luminose naturali . . . . . . . . . . . . . . . . 188

2.3. Sorgenti luminose artificiali . . . . . . . . . . . . . . . . 190

2.4. Apparecchi illuminanti e indicatrice di emissione . . . . 195

3. Illuminazione artificiale di esterni 197

3.1. Calcolo dell’illuminamento prodotto in un punto . . . . . 197

3.2. Calcolo pratico dell’ illuminamento . . . . . . . . . . . 198

4. Illuminazione di interni 203

4.1. Requisiti essenziali per l’illuminazione artificiale . . . . 203

4.2. Determinazionedel flussoluminoso . . . . . . . . . . . 206

4.3. Il luminazionenaturale di interni . . . . . . . . . . . . . 209

Bibliografia 215

173

Page 181: Fisica Tecnica Ambientale
Page 182: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

1.1. LUCE E FATTORE DI VISIBILITÀ

La luce è convenzionalmente definita come l’insieme delle radiazioni elettromagneti-

che, di lunghezza d’onda compresa tra 0.38µm e 0.78 µm, che l’occhio umano è in

grado di percepire.

Il fattore di proporzionalità fra la quantitàdi energia posseduta da una radiazione

monocromatica che raggiunge l’occhio umano e l’intensità della sensazione visiva non

è costante, ma dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione. La visibilità di una

radiazione integrale risulta pertanto dalla somma dei contributi delle varie radiazioni

monocromatiche, ognuno dei quali viene pesato in modo diverso a seconda della sua

lunghezza d’onda.

Detto pertanto:

Φe(λ) =dΦe

il flussoenergetico monocromatico, ovvero la potenza associata ad una radiazione

monocromatica (in W/µm), il flusso energetico integrale varrà:

Φe =

∞∫

0

Φe(λ)dλ

175

Page 183: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

e Φ(λ), flusso luminoso monocromatico, misurato in lumen1 al micron (lm/µm), sarà

dato da:

Φ (λ) = K (λ) Φe (λ) 1.1

doveK(λ) è

sono [lm/W].

A seconda d in

funzione due tipi di fotorecettori. Per bassi valori di luminosità (visione notturna o

scotopica) operano ibastoncelli, chenon consentono la visione dei colori. Per valori

più alti (visione diurna ofotopica) operano iconi, che a loro volta presentano tre tipi

di fotorecettori, sensibili al rosso, al verde e al blu, consentendo all’occhio umano

la visione cosiddettatricromatica. Ai due meccanismi di visione corrispondono due

diversi andamenti del fattore di visibilità.

In entram nale,

introduce

doveKm

In visione diurna si haKmax = 683 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.555µm.

In visione notturna si haKmax = 1700 lm/W alla lunghezza d’onda di 0.505 µm.

La CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) ha definito nel 1924 due curve

normalizzate che rappresentano il fattore di visibilità relativo (vedi Fig. 1.1 e Tab.1.1)

in funzione della lunghezza d’onda per visionefotopica e scotopica. La curva fotopica

di visibilità relativa presenta pertanto il massimo(V (λ) = 1) alla lunghezza d’onda

di 0.555µm, mentre la curva scotopica ha il massimo perλ = 0.505µm.

ito.

1Il lumen è l’unità di misura del flusso luminoso, il cui valore sarà precisato nel segu

176

il fattore di visibilità, o semplicemente lavisibilità, le cui dimensioni

Il flusso luminoso sarà dunque dato da:

Φ =∫ ∞

0

K (λ) Φe (λ) dλ 1.2

ella luminosità della sorgente luminosa nell’occhio umano entrano

bi i casi il fattore di visibilità può essere espresso in forma adimensio

ndo ilfattore di visibilità relativo V (λ), variabile fra 0 ed 1:

V (λ) =K (λ)Kmax

1.3

ax rappresenta il valore massimo del fattore di visibilità.

Page 184: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

350 450 550 650 750

lunghezza d'onda (nm)

Fat

t

Fig. 1.1 – Fattori di visibilità relativi normalizzati CIE (fotopica: linea continua;

scotopica: tratteggiata).

Tab. 1.1 – Valori del coefficiente di visibilità in visione fotopica.

λ(µm) V (λ) λ(µm) V (λ) λ(µm) V (λ)

0,38 0,00004 0,52 0,710 0,65 0,1070,39 0,00012 0,53 0,862 0,66 0,0610,40 0,0004 0,54 0,954 0,67 0,0320,41 0,0012 0,55 0,995 0,68 0,0170,42 0,004 0,555 1,000 0,69 0,00820,43 0,0116 0,56 0,995 0,70 0,00410,44 0,023 0,57 0,952 0,71 0,00210,45 0,038 0,58 0,870 0,72 0,001050,46 0,060 0,59 0,757 0,73 0,000530,47 0,091 0,60 0,631 0,74 0,000250,48 0,139 0,61 0,503 0,75 0,000130,49 0,208 0,62 0,381 0,76 0,000070,50 0,323 0,63 0,265 0,77 0,000030,51 0,503 0,64 0,175

177

Page 185: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

1.2. GRANDEZZE FOTOMETRICHE

La grandezza fondamentale in fotometria è l’intensità luminosa (I), la cui unità di

misura è lacandela (cd), definita come il flusso luminoso emesso in una data direzione

nell’unità di angolo solido da una sorgente monocromatica di frequenza 540·1012 Hz

(equivalente ad una lunghezza d’ondaλ = 0.555µm), la cuiintensità energetica in tale

direzione vale 1/683 W/sr.2

Il flusso lu

e dunque:

Φ =∫

I dω 1.5

L’unità di misuradel flusso luminoso è, come si è già detto, illumen (lm), pari pertanto

a 1 candela per steradiante.

Si definisce poi la radianza oemettenza M :

M =dΦ

dSem1.6

dove Sem è la superficie emittente. L’unità di misura della emettenza è il lm/m2

(talvolta detto "lux sul bianco" o "lux s.b.").

Un’ultima importante caratteristica delle sorgenti luminose è laluminanza L:

L =d2Φ

dω dSem cos ε=

dI

dSem cos ε=

dM

dω cos ε1.7

dove ε è l’angolo di emissione, cioè l’angolo formato dal raggio emesso con la

normale alla superficie emittente.

L’unità di misura della luminanza è la cd/m2 (detta anchenit).

2Si osservi che in tal modo, poiché il fattore di visibilitàper la lunghezza d’ondaλ = 0.555µm è

massimo e vale 683 lm/W, l’intensità luminosa di questa sorgente vale proprio 1 lm/sr, ovvero

1 cd.

178

minoso è legato all’intensità luminosa attraverso la relazione:

I =dΦdω

1.4

Page 186: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

È possibile dimostrare che, nel caso in cui una superficie luminosa emetta con

luminanza costante al variare della direzione (si parla in tal caso di una sorgente

lambertiana, ovvero che segue la legge di Lambert), sussiste fra luminanza ed

emettenza la relazione:

M = π L 1.8

Vi è infine un’altra importante grandezza fotometrica, caratteristica non della sorgente

luminosa

in cui Sric è

il lux (lx), p

Nell’intera

tempo de

α, ρ). Allo

una super

detti fatto

luminosa

Se, pertan

illuminam

emettenza

1.3. CE

La colorim

l’occhio u

(colore) ch

sensazioni

ma della superficie illuminata, dettailluminamento (E), definita come:

E =dΦ

dSric1.9

rappresenta la superficie ricevente. L’unità di misura dell’illuminamento

2

ari a 1 lm/m .

zione fra la radiazione elettromagnetica e una superficie si erano a suo

finiti i fattori di trasmissione, assorbimento e riflessione (rispettivamenteτ ,

stesso modo quando la luce, ovvero la radiazione visibile, interagisce con

ficie, può essere trasmessa, assorbita o riflessa, e i rispettivi fattori vengono

re di trasmissione luminosa, di assorbimento luminoso e di riflessione

(τ l, αl, ρl).

to, su una superficie lambertiana avente fattore di riflessioneρl è presente un

entoE, questa superficie diverrà essa stessa una sorgente luminosa avente

M = ρ E e luminanza:

l

L =ρlE

π1.10

NNI DI COLORIMETRIA

etria rappresenta il legame fra gli stimoli, di natura fisica, che raggiungono

mano (radiazioni elettromagnetiche) e la sensazione, di natura fisiologica

e essi producono. Le radiazioni dilunghezza d’onda diversa producono

cromatiche (colori) diverse (Tab. 1.2).

179

Page 187: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

0

1

2

3

4

5

6

430 480 530 580 630

lunghezza d'onda (nm)

Sog

lia c

rom

atic

a di

ffere

nzia

le (

nm)

Fig. 1.2 – Soglia cromatica differenziale.

Tab. 1.2 – Corrispondenza fra colore e lunghezza d’onda.

Colore Campo di lunghezza d’onda (nm)violetto < 430blu 430-500verde 500-570giallo 570-590arancio 590-610rosso > 610

La sensibilità dell’occhioumano alle variazioni di lunghezza d’onda della radiazione

elettromagnetica è ben descritta dal concetto di soglia differenziale (Fig. 1.2). Questa

rappresenta la variazione di lunghezzad’onda fra due radiazioni monocromatiche

necessaria affinché venga percepita una variazione cromatica (o di tinta) fra di esse.

La soglia cromatica differenziale è a sua volta funzione della lunghezza d’onda, ed ha

due minimi relativi (pari a circa 1 nm) intorno a 500 e 600 nm. Ne risulta che l’occhio

umano è in grado di percepire almeno 150 colori puri diversi. Se a livello di radiazioni

monocromatiche esiste una relazione di biunivocità fra lunghezza d’onda e sensazione

180

Page 188: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

cromatica, ciò non è più vero per radiazionicaratterizzate da spettri complessi; ovvero,

a diverse distribuzioni spettrali possono corrispondere uguali sensazioni cromatiche.

Inoltre, se due colori puri vengono sovrapposti, l’occhio non è più in grado di

distinguerne le componenti, diversamenteda quanto accade, ad esempio, per due suoni

puri sovrapposti.

Le leggi di Grassman

A queste considerazioni Grassmann, già alla fine del secolo scorso, diede un carattere

di sistematicità attraverso una serie di leggi, che possono essere così riassunte:

1. in un colore l’occhio distingue tre caratteristiche

– splendore, legato alla luminanza della sorgente

– tinta, legata alla lunghezza d’onda

– saturazione, legata alla purezza, ovvero alla quantità di bianco

presente nel colore

2. miscelando due colori le caratteristiche della miscela cromatica variano con

continuità al variare delle proporzioni dei due colori

3. l’aggiunta di uno stesso colore a due colori uguali produce nuovamente due

colori uguali, indipendentemente dalla loro distribuzione spettrale originaria

4. la luminanza di una miscela di colori è la somma delle luminanze dei colori

componenti

L’ apparecchio che consente di verificare sperimentalmente l’uguaglianza fra due

colori si chiamacolorimetro. Esso è costituito da uno schermo bianco (avente cioè

ρ = 1 per tutte le lunghezze d’onda) illuminato per metà dal colore incognitoC e

per metà da tre sorgenti monocromatiche primarie,rossa R (λ = 0.700µm), verde G

(λ = 0.546 µm) e blu B (λ = 0.436µm).

Regolando opportunamente l’intensità delle tre luciR, G, B (e dunque la loro

luminanza) si può ottenere un colore equivalente aC. Quando non è possibile ottenere

il coloreC per via additiva, è sempre possibile ottenere una equivalenza fra due delle

181

Page 189: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

tre sorgenti primarie e la terza sommata al coloreC, in tal modo "sottraendo" la terza

sorgente primaria.

Si può pertanto scrivere:

L (C) = LR + LG + LB 1.11

ovvero il coloreC, di luminanzaL(C), vieneottenuto come miscela dei coloriR,

G, B, di luminanzeLR, LG, LB (dette luminanze dei colori primari in condizioni di

equilibrio, ounità tricromatiche della luminanza del colore).

Il triangolo dei colori

Per motivi di opportunità, ad esempio per evitare che vi siano dei colori che in uno

spazioLR, LG, LB assumono coordinate negative, si è operato un cambiamento di

coordinate definendo un nuovo spazio tricromaticoX , Y , Z in cui:

X = 2.7689LR + 0.38159LG + 18.801LB

Y = LR + LG + LB 1.12

Z = 0.012307LG + 93.066LB

Si osservi chela coordinataY coincide con la luminanza del colore considerato.

Si

Val

e d

pia

(1,

no

infa

18

definiscono poi le coordinate ridotte:

x =X

X + Y + Zy =

Y

X + Y + Zz =

Z

X + Y + Z1.13

e naturalmente:

x + y + z = 1 1.14

unque bastano due coordinate ridotte per rappresentare un colore. Si è scelto il

no (x,y). Su questo piano la (1.14) individua un triangolo di vertici (0,0), (0,1),

0) detto triangolo dei colori o diagramma cromatico CIE (Fig. 1.3). In realtà,

n tutti i punti all’interno di tale triangolo corrispondono a dei colori. Questi sono

tti contenuti all’interno di una linea (V GR) che rappresenta i colori puri o saturi,

2

Page 190: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

W

(V)≈(B)

BIANCO

6000

40002000

Fig. 1.3 – Diagramma cromatico CIE.

ovvero i colori rappresentabili con radiazioni monocromatiche. Il punto V (violetto)

corrisponde alla lunghezza d’onda di 0.400 µm, il G (verde) a λ= 0.546 µm, il punto

R (rosso) a λ = 0.780 µm.

Il punto W , di coordinate xW = yW = zW = 1/3, è detto bianco di uguale energia.

Tale punto è assai prossimo a quello che si otterrebbe da una radiazione caratterizzata

da Φe(λ) costante su tutto lo spettro visibile.

Il segmento (V R) non corrisponde ad alcun colore puro spettrale, ma a colori costituiti

da una miscela di violetto e rosso che prendono il nome di porpore o magente. Due

colori si dicono complementari se il segmento che li unisce nel triangolo dei colori

passa per W .

Ogni colore C situato all’interno della linea (V GR), eccettuati quelli contenuti nel

triangolo V RW , è una miscela di un colore puro D (detto dominante di C) e di

bianco (W ). La sua purezza colorimetrica o saturazione (pc) è data dal rapporto

fra i segmenti WC e CD:

183

Page 191: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

pc =WC

WD1.15

Ovviamente:

pc(W ) = 0 e pc(D) = 1

Se si utilizza come sorgente luminosa un corpo nero a temperature diverse, si osserva

che a ciascuna temperatura corrisponde un diverso effetto cromatico. Riportando

tale effetto cromatico sul triangolo deicolori si ottiene una linea curva, dettaluogo

planckiano, chepermette di stabilire una correlazione fra la dominante del colore e la

temperatura del corpo nero (temperatura di colore).

Note le luminanzeY1 e Y2 e le coordinate colorimetriche ridotte (x1, y1), (x2, y2) di

due coloriC1 eC2 si può ricavare sul triangolo dei colori il coloreC3 miscela dei due.

Infatti, per la quarta legge di Grassmann:

X3 = X1 + X2

Y3 = Y1 + Y2

Z3 = Z1 + Z2

ovvero:

Ponendo:

si avrà, da

184

x3 =X3

X3 + Y3 + Z3=

X1 + X2

X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z21.16a

y3 =Y3

X3 + Y3 + Z3=

Y1 + Y2

X1 + Y1 + Z1 + X2 + Y2 + Z21.16b

T1 =Y1

y1=

X1 + Y1 + Z1

Y1Y1 = X1 + Y1 + Z1 1.17a

T2 =Y2

y2=

X2 + Y2 + Z2

Y2Y2 = X2 + Y2 + Z2 1.17b

lle 1.16:

x3 =X1 + X2

T1 + T2e y3 =

Y1 + Y2

T1 + T2

Page 192: Fisica Tecnica Ambientale

1. FOTOMETRIA

ma:

X1 = x1 T1 e X2 = x2 T2

Y1 = y1 T1 e Y2 = y2 T2

e pertanto:

x3 =x1 T1 + x2 T2

T1 + T2y3 =

y1 T1 + y2 T2

T1 + T21.18

185

Page 193: Fisica Tecnica Ambientale
Page 194: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

2.1. EFFICIENZA DI UNA SORGENTE LUMINOSA

Le sorgenti luminose vengono distinte in:

– naturali (il Sole, la volta celeste) e

– artificiali (lampade)

La caratteristica fondamentale di una sorgente luminosa è la sua efficienza luminosa.

Nel caso di sorgenti naturali essa è pari al rapporto fra il flusso luminoso emesso e il

flusso di energia radiante emessa (flusso energetico):

η =ΦΦe

2.1a

Poiché il flusso energetico è emesso soltanto per irraggiamento, si può scrivere,

ricordando la (1.2) e la (1.3):

η =ΦΦe

= Kmax

∞∫

0

V (λ) Φe (λ) dλ

∞∫

0

Φe (λ) dλ

Nelle sorgenti artificiali, invece, l’espressione dell’efficienza luminosa è la seguente:

η =Φ

Wel2.1b

187

Page 195: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

in cui Wel rappresenta la potenza elettrica assorbita dalla rete. Questa è pari alla

potenza termica dissipata dalla lampada per irraggiamento e, in parte minore, per

convezione. Pertanto Wel > Φe.

2.2. SORGENTI LUMINOSE NATURALI

Le due principali sorgenti luminose naturali sono il Sole e la volta celeste.

Dal punto di vista energetico l’entità della potenza inviata direttamente dal Sole

sull’unità di superficie viene detta irradianza solare diretta. La radiazione solare

presenta, fuori dell’atmosfera, uno spettro continuo, assai simile a quello di un corpo

nero a 5800 K, compreso dunque, per il 90% circa, nella regione dello spettro che

va da 0.3 µm a 2.5 µm (si veda il concetto di fattore di radiazione di pag. 97).

L’entità dell’irradianza solare diretta extra-atmosferica su una superficie normale ai

raggi solari alla distanza media Sole-Terra viene detta costante solare ed ha un valore

di circa 1360 W/m2. Fuori dell’atmosfera il cielo appare invece nero.

Nell’attraversare gli strati atmosferici, la radiazione solare viene in parte riflessa (in

particolare dalle nuvole), in parte diffusa (scattering) dalle molecole di azoto ed

ossigeno, in parte assorbita da alcuni gas atmosferici (ozono, anidride carbonica e

vapor d’acqua). Ne risultano due fenomeni:

– l’attenuazione della irradianza solare diretta, soprattutto in corrispondenza

delle bande di lunghezza d’onda dove si manifesta l’assorbimento dei gas

atmosferici (vedi Fig. 2.1);

– la nascita di una componente di irradianza solare diffusa dal cielo.

A terra, col Sole allo Zenit e il cielo sereno, l’irradianza solare diretta orizzontale

(Ibh) raggiunge i 700-800 W/m2, mentre la diffusa (Idh) vale circa 150-200 W/m2. Al

diminuire dell’altezza del Sole sull’orizzonte la quota orizzontale diretta si riduce per

due motivi:

188

Page 196: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

campo del visibile

Fig. 2.1 – Potere emissivo monocromatico del Sole.

– la diminuzione, secondo la legge del coseno, della componente verticale

dell’irradianza

– l’aumento della massa d’aria attraversata

La massa d’aria (m) rappresenta il rapporto fra il percorso dei raggi solari negli strati

atmosferici e lo spessore dell’atmosfera. Essa è calcolabile come:

m = 1/sinβ

dove β è l’altezza del Sole sull’orizzonte.

L’efficienza luminosa del Sole è di circa 100-120 lm/W, valore assai lontano dal

massimo teorico (680 lm/W). Tuttavia, è interessante notare che la temperatura di

5800 K è assai vicina a quella a cui corrisponde la massima efficienza luminosa di un

corpo nero (vedi Fig. 2.2).

189

Page 197: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

0

10

20

30

40

50

60

70

80

90

100

0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000

Temperatura (K)

Effi

cien

za lu

min

osa

(lm/W

)

Fig. 2.2 – Efficienza luminosa di un corpo nero in funzione della sua temperatura.

2.3. SORGENTI LUMINOSE ARTIFICIALI

Le sorgenti luminose artificiali, dette comunemente lampade, si dividono in due grandi

categorie:

– a incandescenza

– a scarica nei gas (o a luminescenza)

Lampade ad incandescenza

Il funzionamento delle lampade ad incandescenza è basato sulla dissipazione di

potenza per effetto Joule da parte di una resistenza (filamento) percorsa da corrente

elettrica. A causa di ciò il filamento raggiunge alte temperature (intorno ai 2300 -

3000 C) e parte del flusso termico irraggiato risulta visibile.

Le lampade ad incandescenza sono costituite da quattro componenti principali:

– il bulbo o ampolla

– l’attacco

– il filamento

– il gas di riempimento

190

Page 198: Fisica Tecnica Ambientale
Page 199: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

che può esser così descritta: lo iodio, dissociatosi in corrispondenza del filamento

a causa delle elevate temperature là esistenti, reagisce con il tungsteno che tende a

migrare verso la faccia interna del bulbo, formando, alla temperatura di 600-700 C,

ioduro di tungsteno:

W + 2I → W I2

Lo ioduro di tungsteno precipita sul filamento dove, a causa dell’elevata temperatura,

si dissocia:

W I2 ↔ W + 2I

Viene così liberato tungsteno, che si rideposita sul filamento, e iodio atomico, che

migra nuovamente verso la periferia della lampada per ricominciare la sua funzione di

rigenerazione.

Questo processo ha consentito di innalzare notevolmente la temperatura del filamento

(fino a 3000 C) e dunque l’efficienza della lampada.

Le lampade ad alogeni trovano impiego nei proiettori e nei fari degli autoveicoli.

Lampade a luminescenza

Il principio su cui si basa questo tipo di lampade può essere descritto come segue.

Si introduce in un bulbo di vetro di forma allungata un gas o un vapore metallico. Agli

estremi del bulbo (o tubo) sono posizionati due elettrodi, che vengono sottoposti ad

una differenza di potenziale. Il catodo emette elettroni i quali, accelerati dal campo

elettrico, attraversano il tubo urtando gli elettroni periferici degli atomi del gas che vi

è stato introdotto. Se l’energia cinetica degli elettroni è bassa l’urto è di tipo elastico,

cioè l’elettrone urtato non si sposta dalla propria orbita. Superato un certo valore della

differenza di potenziale fra gli elettrodi (potenziale di risonanza) l’energia cinetica

degli elettroni diviene tale da rendere anelastico l’urto; gli elettroni atomici si spostano

in conseguenza di ciò su un’orbita caratterizzata da un livello energetico più alto. Nel

riportarsi allo stato normale essi emettono sotto forma di fotoni una quantità di energia

pari alla differenza di livello energetico delle due orbite. La lunghezza d’onda a cui

viene emessa la radiazione è data da:

192

Page 200: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

corrente di scarica

normale anormale

arco

tensione diaccensione

transitorioV

O

A

B

C

Fig. 2.3 – Diagramma tensione-corrente nelle lampade a scarica nei gas.

λ =1234V

[nm] 2.2

dove V è il potenziale di risonanza, funzione del tipo di atomo del gas introdotto nella

lampada. La radiazione emessa è dunque di tipo monocromatico. Al crescere della

differenza di potenziale gli urti fra gli elettroni si moltiplicano, e nuove righe appaiono

nello spettro della radiazione emessa.

Dal diagramma tensione-corrente caratteristico della scarica nei gas, illustrato in

Fig. 2.3, si vede che, al crescere della tensione V la corrente I cresce (tratto OA)

fino a raggiungere la saturazione (tratto AB), su un valore peraltro molto debole.

A partire da B la tensione diviene sufficiente a conferire agli elettroni una energia

cinetica tale da ionizzare gli atomi. Gli elettroni così liberati ionizzeranno a loro

volta altri atomi, con un effetto detto valanga elettronica. In queste condizioni è

sufficiente un piccolo aumento di tensione per far crescere rapidamente la corrente

(tratto BC). Il valore di tensione così raggiunto viene detto tensione di accensione. Il

suo valore dipende dal prodotto fra pressione del gas e distanza fra gli elettrodi (legge

di Paschen). Una volta innescata la scarica luminescente, la tensione può essere ridotta

al valore di funzionamento normale, stabilizzando la corrente mediante una bobina di

autoinduzione.

Dalla Fig. 2.3 si vede che per l’innesco occorre una sovratensione momentanea

rispetto alla tensione di funzionamento. In altri casi l’innesco viene facilitato

adottando un elettrodo ausiliario, più vicino, che viene poi escluso nel funzionamento

193

Page 201: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

normale, oppure preriscaldando gli elettrodi, in modo da ridurre il potenziale di

estrazione, per mezzo di uno starter che, chiudendosi, li mette in corto circuito, per

poi riaprirsi dopo uno o due secondi.

I principali gas impiegati nelle lampade a luminescenza sono i vapori di sodio e di

mercurio. Neon e argon vengono spesso aggiunti per innescare la scarica (luce violetta

iniziale).

Appartengono a questa categoria anche le lampade fluorescenti, nelle quali un sottile

strato di una sostanza, detta per l’appunto fluorescente, viene spalmato sulla faccia

interna del tubo entro il quale avviene la scarica. Queste sostanze (tungstato di calcio

e di magnesio, silicato di calcio, zinco e cadmio, fosfato di calcio, etc.) hanno la

proprietà di assorbire la radiazione ultravioletta emettendo a loro volta radiazione

di lunghezza d’onda maggiore (e quindi almeno in parte luminosa). Esse vengono

impiegate soprattutto nelle lampade a vapori di mercurio, nelle quali la potenza emessa

nell’UV (circa un quarto del totale) viene spostata per fluorescenza nel visibile e

nell’IR.

Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.

Principio difunzionamento

Tipo dilampada

Potenza(W)

Efficienza(lm/W)

Duratautile(ore)

Campidi impiego

Incandescenza

Normale abulbo

25-100 8-12 1000 abitazioni,negozi

100-1500 12-20 1000 negozi, locali diservizio

ad alogeni 10-100 25-30 150 autoveicoli100-2000 14-25 2000 atri, impianti

sportivi, esternoedifici

Luminescenza

a vaporidi Hg

50-2000 35-65 6000-10000

capannoniindustriali

a lucemiscelata

100-500 11-30 6000 fabbriche, ma-gazzini, strade

a vapori diNa (a bassapressione)

18-210 72-145 10000 incroci, svincoli,gallerie stradali,aree all’aperto

»

194

Page 202: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

Tab. 2.1 – Riepilogo caratteristiche delle lampade.

Principio difunzionamento

Tipo dilampada

Potenza(W)

Efficienza(lm/W)

Duratautile(ore)

Campidi impiego

a vapori diNa (ad altapressione)

70-1000 75-120 9000 capannoni in-dustriali, strade,aeroporti, porti

Fluorescenti

normali 18-58 40-75 6000-8000

officine

ad altaemissione

115-215 55-62 6000-8000

officine

ad alta resacromatica

18-58 51-76 6000-8000

impieghi civili eindustriali

2.4. APPARECCHI ILLUMINANTI E INDICATRICE DI EMISSIONE

In genere la lampada è contenuta in un apparecchio illuminante, che ha la funzione di:

– orientare il fascio luminoso

– evitare l’abbagliamento diretto

– proteggere la lampada contro choc meccanici e penetrazione di umidità

– proteggere l’utente da choc elettrici

Il controllo del flusso luminoso si ottiene sfruttando le proprietà di riflessione,

rifrazione e diffusione di alcuni materiali e conferendo particolari forme alla parte

ottica (riflettore o rifrattore) degli apparecchi illuminanti. In conseguenza di ciò

l’intensità luminosa dell’insieme lampada+apparecchio varia in funzione dell’angolo

solido di emissione. Si ha cioè:

I = I (ω) 2.3

Introducendo un sistema di coordinate polari (ε, ϕ), con:

dω = sin ε dε dϕ 2.4

195

Page 203: Fisica Tecnica Ambientale

2. SORGENTI LUMINOSE

la funzione I = I (ε, ϕ) rappresenta una superficie, luogo dei punti estremi dei vettori

intensità luminosa, detta superficie fotometrica. Il volume da essa delimitato viene

detto solido fotometrico. Il solido fotometrico si rappresenta di solito tracciandone una

o più sezioni che prendono il nome di curve fotometriche o indicatrici di emissione.

Se la superficie fotometrica è una superficie di rotazione ed ε è l’angolo formato dalla

direzione di emissione con l’asse di rotazione, si ha I = I (ε), ed è sufficiente la

conoscenza, sotto forma grafica, tabulare o (più raramente) analitica, di una indicatrice

di emissione per descrivere compiutamente la superficie fotometrica. In caso contrario

tale superficie viene in genere espressa per mezzo di due indicatrici di emissione,

determinate dall’intersezione di due piani, in genere ortogonali fra loro e passanti per

l’asse principale della lampada, con la superficie fotometrica.

Un caso particolare è quella delle lampade a superficie fotometrica sferica, in cui

l’intensità è costante in tutte le direzioni (I = I0). In questo caso la relazione fra

flusso e intensità è particolarmente semplice:

Φ = 4πI = 4πI0 2.5

Geometria delle sorgenti luminose

Nel calcolo dell’illuminazione artificiale è opportuno distinguere, in base alla

geometria del problema, fra sorgenti:

– puntiformi, quando le dimensioni della sorgente luminosa sono trascurabili

rispetto alla distanza fra la sorgente stessa e il punto illuminato

– lineari, quando due delle tre dimensioni della sorgente sono trascurabili

– superficiali, quando una delle tre dimensioni è trascurabile

– estese in volume, quando nessuna delle tre dimensioni della sorgente luminosa

è trascurabile rispetto alla distanza.

Nel seguente capitolo verrà trattato a titolo esemplificativo il caso di illuminazione

prodotta da sorgenti puntiformi.

196

Page 204: Fisica Tecnica Ambientale

3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

3.1. CALCOLO DELL’ ILLUMINAMENTO IN UN PUNTO

In ambienti esterni la sorgente può essere considerata, con buona approssimazione,

puntiforme. L’illuminamento prodotto da una sorgente puntiforme in un punto P

appartenente ad una superficie riceventeSr, perle 1.4 e 1.9 è dato da:

E = Idω

dSr

e, dettoj l’ angolo di incidenza (angolo formato dalla direzione del raggio con

la normale alla superficieSr nel punto P), si ha immediatamente, ricordando che

dw = dSr cos j/d2 (vedi Fig. 3.1):

Si osservi che tutti e tre i term

relativa del punto illuminato

illuminato dalla sorgente c

sensibilmente il terminecos j

una lampada caratterizzata

A tal proposito occorre ricor

sono in genere uguali, a me

superficie illuminata.

E = Icos j

d23.1

ini che compaiono nella (3.1) dipendono dalla posizione

rispetto alla sorgente. Al crescere della distanza del punto

resce in genere anche l’angoloj, e dunque diminuisce/d2. Percompensare tale fenomeno occorre adottare

da unaidonea indicatrice di emissioneI = I (ε, ϕ).

dare che l’angolo di emissione e l’angolo di incidenza non

no che l’asse principale della lampada non sia normale alla

197

Page 205: Fisica Tecnica Ambientale

3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

Sr

S

dS

n

r

d

j

d

P

asse lampada

Fig. 3.1 – Illuminamento prodotto da sorgente puntiforme.

3.2. CALCOLO PRATICO DELL’ ILLUMINAMENTO

Per calcolare l’illuminamento medio su unasuperficie occorre suddividerla in areole

elementari e calcolare l’illuminamento nelbaricentro di ogni areola, assumendo che il

suo valore in tale punto sia pari a quello medio nell’areola considerata.

Noto l’illuminamento e l’area per ogni superficie elementare, l’illuminamento medio

si calcola dalla relazione:

E =1S

∫S

E dS =1S

(n∑

i=1

Ei Si

)3.2

doven è il numero di areole.Se tutte le areoleSi sono uguali (n = S/Si) si ottiene:

E =1n

n∑i=1

Ei

La distribuzione dell’illuminamento su una superficie può essere rappresentata gra-

ficamente attraverso lelinee isolux (linee di uguale illuminamento), oppure più

sinteticamente attraverso ilrapporto di uniformità, definito come il rapporto fra

illuminamento minimo e medio, oppure fra minimo e massimo. Nel caso in cui, come

per le superfici stradali, quello che conta è la luminosità della superficie illuminata, a

prescindere dal flusso luminoso che vi incide sopra, il parametro che occorre rispettare

198

Page 206: Fisica Tecnica Ambientale

3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

è in realtà la luminanza, che si calcola, se la superficie è lambertiana ed ha un

coefficiente di riflessioneρl, come indicato dalla (1.10):

L =ρlE

π

Requisiti per l’illuminazione di esterni

Per le strade il rapporto di uniformità viene calcolato come rapporto fra le luminanze

(anche se, in realtà, ciò equivale a operare un rapporto fra gli illuminamenti). Si

definisce un rapporto diuniformità generaleU0:

U0 =Lmin

L=

ρ Emin/π

ρ E/π=

Emin

E3.3a

dove i valori minimo e medio sono valutati sull’intera superficie stradale, e un rapporto

di uniformità longitudinaleUl:

Ul =Lmin

Lmax=

Emin

Emax3.3b

Tab. 3.1 – Valori minimi raccomandati di luminanza e del fattore di

uniformità per le strade (norma UNI 10439).

Classe Tipo di strada Livello mediodi luminanza

Rapporto diuniformità

(cd/m2) U0 (%) Ul (%)

A Autostrade 2.0 40 70B Strade extraurbane principali 2.0 40 70C Strade extraurbane secondarie 1.5 40 70D Strade urbane di scorrimento

veloce2.0 40 70

D Strade urbane di scorrimento 1.0 40 50E Strade urbane interquartiere 1.5 40 70E Strade urbane di quartiere 1.0 40 50F Strade extraurbane locali 1.0 40 50F Strade urbane locali interzonali 0.75 40 50F Strade urbane locali 0.50 35 40

199

Page 207: Fisica Tecnica Ambientale

3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

A titolo di esempio, in Tab. 3.1 sono riportati i valori minimi della luminanza e

del fattore di uniformità da adottare per il progetto di un impianto diilluminazione

stradale. Si osservi che l’indicazione diuna luminanza minima può essere facilmente

convertita in una prescrizione di illuminamento minimo ricordando ancora la 1.10: i

coefficienti di riflessione delle strade variano da 0.13 - 0.21 per rivestimenti chiari e

levigati a 0.26 - 0.45 per rivestimenti scuri e scabri.

Un altro importante parametro per definire la qualità di un sistema di illuminazione è

il coefficiente di utilizzazione del flusso(Cu), dato dal rapporto fra il flusso incidente

sul piano utileΦu e il flusso globalmente emessoΦ:

e.

o,

Metodo grafico per la soluzione della 3.6.

Tale integrale può essere risolto graficamente impiegando un meto-

do (vedi Fig. 3.2) basato sulla seguente proprietà geometrica: una

superficie sferica sezionata da n piani paralleli ed equidistanti dà

luogo a n superfici di area uguale e pari a 4π r2‹n. I corrispondenti

i

1Per gli apparecchi illuminanti vengono in genere forniti diagrammi fotometrici in cui le intensità

sono riferite a 1 klm (1000 lm) di flusso emesso. Per cui, una volta scelta la lampada con

relativi datidi potenza e flusso luminosoΦ, i valori di intensità letti sull’indicatrice di emissione

vannomoltiplicati perΦ/1000.

Cu =Φu

Φ3.4

Il valore diΦu puòessere calcolato attraverso l’illuminamento medio sul piano util

Infatti:

Φu =∫S

E dS =n∑

i=1

Ei Si = E S 3.5

Il valore del flusso emesso Φ è in genere un dato fornito dal costruttore assieme

all’indicatrice di emissione1, dalla quale può essere ricavato, nel caso non sia not

ricordando la relazione (1.5):

Φ =∫4π

I dω =n∑

i=1

Ii ωi 3.6

200

Page 208: Fisica Tecnica Ambientale

3. ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE DI ESTERNI

ε

Ι

Fig. 3.2 – Metodo grafico per la determinazione del flusso emesso.

angoli solidi saranno anch’essi uguali e varranno ωi = 4π/n. Perciò

la (3.6) diviene:

Φ = ωi

nX

i=1

Ii =4π

n

nX

i=1

Ii

in cui Ii è il valore dell’intensità in corrispondenza dell’angolo

solido ωi.

Occorre tener presente che il flusso emessoΦ tende a ridursi col tempo, a causa del

degrado luminoso delle lampade e dell’apparecchio illuminante. Del primo fatto si

tiene conto attraverso uncoefficiente di deprezzamentoD, variabile fra 0.85 e 0.90, e

del secondo attraverso uncoefficiente di manutenzioneM , variabile fra 0.55 e 0.80.

Ten

endo conto delle (3.4) e (3.5) il flusso effettivo Φ è dato pertanto da:

Φeff =E S

DM Cu3.7

201

Page 209: Fisica Tecnica Ambientale
Page 210: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

4.1. REQUISITI ESSENZIALI PER L’ ILLUMINAZIONE ARTIFICIALE

I requisiti essenziali di un impianto destinato all’illuminazione artificiale di interni

sono indicati dalla norma UNI 10380. Esso deve:

a. assicurare un adeguato livello e uniformità di illuminamento

b. evitareforti contrasti

c. evitare l’abbagliamento diretto o riflesso

d. restituire adeguatamente i colori.

a. I valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti sono riportati

in Tab. 4.1. I tre valori riportati (minimo-medio-massimo) si riferiscono

rispettivamente a compiti visivi:

· svolti occasionalmente e in cui velocità e accuratezza non sono importanti

· normali

· particolarmente importanti per velocità e accuratezza

L’ uniformità di illuminamento viene definita attraverso il rapporto fra il

valore minimo ed il valor medio spaziale dell’illuminamento. La UNI 10380

prescrive un valore minimo di 0.8.

203

Page 211: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

b. Il contrasto luminoso viene espresso attraverso un coefficiente, dettofattore di

contrasto, definito come:

C =|L2 − L1|

L14.1

in cui L1 eL2 sono le luminanze di due punti vicini del campo visivo. Si deve

avere:

C < 3 traoggetto e piano di lavoro

C < 10 traoggetto e ambiente circostante

C < 20 tra sorgente e fondo

C < 40 tradue punti qualunque nel campo normale della vista

c. Per evitare l’abbagliamento è necessario che la luminanza degli oggetti nel

campo visivo non superi 1400 - 3000 cd/m2.

d. Da un punto di vista del colore della luce possono essere utilizzati diversi

indicatori:

· temperatura di colore

· tonalità di colore (Tab. 4.2)

· indice di resa cromatica

· resa del colore

Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da

UNI 10380).

Tipo di ambiente Illuminamento(lx)

Tonalità dicolore

Resa delcolore

ResidenzeLocali di passaggio 50-100-150 W 1ACamere, illuminazionegenerale

50-100-150 W 1A

Camere (zona letti) 200-300-500 W 1ABagni, illuminazionegenerale

50-100-150 W 1A

»

204

Page 212: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

Tab. 4.1 – Valori di illuminamento raccomandati per alcuni ambienti (da

UNI 10380).

Tipo di ambiente Illuminamento(lx)

Tonalità dicolore

Resa delcolore

Bagni (zona specchio) 200-300-500 W 1ACucine 200-300-500 W 1AEdifici per ufficiUffici generici 300-500-750 W,I 1BUffici disegno 500-750-1000 W,I 1BSale riunioni 300-500-750 W,I 1BScuoleAule, illuminazionegenerale

300-500-750 W,I 1B

Palestre 300-500OspedaliCorsie, illuminazionegenerale

50-100-150 W 1A

Locali per esami 300-500-750 W 1ALaboratori,illuminazione generale

300-500-750 W 1A

Chirurgia, illuminazionegenerale

500-750-1000 I 1A

Chirurgia, illuminazionelocalizzata

10000-30000-100000

I,C 1A

NegoziAree di circolazione 150-200-300 I 1BEsposizione merci 300-500-750 I 1BVetrine 500-750-1000 W,I,C 1B

Tab. 4.2 – Tonalità di colore in funzione della temperatura di colore.

Tonalità di colore Range di tem peratura di colore (K)bianco-calda (W) < 3300bianco-neutra (I) 3300 - 5300bianco-fredda (C) > 5300

L’i ndice di resa cromatica (Colour Rendering Index) definisce lacapacità di una

sorgente luminosa di restituire fedelmente i colori rispetto ad una sorgente luminosa

di riferimento. La scala varia fra 100 (accordo perfetto fra luce campione e luce di

205

Page 213: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

riferimento) e 0 (nessun accordo). In Tab. 4.3 sono indicate le corrispondenze fra

l’indice di resa cromatica e la cosiddettaresa del colore.

4

L

il

v

E

u

f

Q

il

d

2

Tab. 4.3 – Corrispondenza fra resa del colore e indice di resa cromatica.

Indice di r esa cromatica (CRI) Resa del col ore (Ra)> 90 1A

80 - 90 1B60 - 80 240 - 60 320 - 40 4

.2. DETERMINAZIONE DEL FLUSSO LUMINOSO

a principale difficoltà del calcolo di illuminazione degli interni consiste nel fatto che

flusso luminoso non giunge sul piano utile solo direttamente dalle lampade, ma vi

iene anche riflesso dalle pareti e dal soffitto.

sistono numerosi metodi per calcolare ilflusso luminoso necessario per realizzare

n determinato illuminamento. Il più semplice è ilmetodo del flusso totale, la cui

ormula risolutiva è identica alla (3.7) per l’illumi nazione di esterni:

Φeff =E S

Cu D M4.2

uesta volta, però, il valore diE da introdurre è ricavato dalla norma UNI 10380 e

valore diCu deveessere calcolato con l’ausilio di diagrammi o tabelle, in funzione

ei seguenti fattori:

a. tipo di apparecchio illuminante

b. geometria del problema

c. fattore di riflessione delle pareti.

06

Page 214: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

a. Gli apparecchi illuminanti si possonodistinguere in funzione del sistema di

illuminazione secondo cui operano, che può esserediretto, semidiretto, misto,

semindiretto e indiretto. A sua volta questa classificazione dipende dalla

percentuale di flusso luminoso inviata verso il basso, come di seguito indicato

(Tab. 4.4).

Tab. 4.4 – Sistema di illuminazione.

Sistema di illuminazione % di flu sso inviato verso il bassodiretta >90semidiretta 60-90mista 40-60semidiretta 10-40indiretta <10

b. La geometria del locale è riassunta in un indicei, detto indice del locale,

funzione delle dimensioni a, b, h e h′ (v. Fig. 4.1):

i =a b

h (a + b)per illuminazione diretta, semidiretta o mista 4.3a

i =a b

h′ (a + b)per illuminazione indiretta o semidiretta 4.3b

A sua volta l’indice del locale serve a definire la classe del locale, secondo la

Tab. 4.5.

c. I valori dei coefficienti di riflessione delle pareti per i più comuni colori sono

riportati in Tab. 4.6.

Una volta noti il tipo di illuminazione, l’indice del locale ed il fattore di

riflessione delle pareti e del soffitto, il coefficiente di utilizzazione del flusso

può essere ricavato dalla Tab. 4.7, o daaltre similari.

207

Page 215: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

h

b

h'

piano utile

a

Fig. 4.1 – Parametri geometrici per la definizione dell’indice del locale.

Tab. 4.5 – Corrispondenza fra indice e classe del locale.

Indice i 0.5-0.7 0.7-0.9 0.9-1.2 1.2-1.4 1.4-1.7 1.7-2.7 2.7-4.0 4-6Classe A B C D E F G H

Tab. 4.6 – Coefficienti di riflessione per alcune tinte di impiego comune.

Tinta Coefficie nte diriflessione

Tinta Coefficie nte diriflessione

bianco 0.90-0.75 azzurro chiaro 0.45-0.40avorio 0.85-0.80 grigio chiaro 0.40-0.15crema 0.80-0.70 grigio scuro,

marrone0.15-0.05

giallo chiaro 0.70-0.60 blu, verde erosso scuro

0.10-0.05

rosa 0.60-0.45 nero 0.04-0.01verde chiaro 0.50-0.40

208

Page 216: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

4.3. ILLUMINAZIONE NATURALE DI INTERNI

Per studiare l’illuminazione naturale in un interno il procedimento rigoroso consi-

sterebbe nel considerare le finestre come sorgenti luminose di luminanza nota e nel

calcolare poi punto per punto i valori di illuminamento tenendo conto delle riflessioni

interne. Tale procedimento è di difficile attuazione. Anche in questo caso si preferisce

adottarne uno semplificato, che fa riferimento ad un indice dettofattore di luce diurna

(FLD), definito come:

FLD =Ei

Eo4.4

dove:

Ei = illuminamento orizzontale in unpunto dell’ambiente interno

Eo = illuminamento orizzontale all’esterno, misurato su una superficienon

sottoposta a irraggiamento solare diretto e senza ostacoli che ostruiscono il

cielo.

Il fattore di luce diurna varia, in un locale, da punto a punto. Il suo valore medio può

essere calcolato con la seguente espressione approssimata, che non tiene conto, ad

esempio, della forma e della posizione della finestra:

FLDm =τl Av F

(1 − ρl,m) S4.5

con

Av = area parete vetrata

τ l = coefficiente di trasmissione del vetro

ρl.m = coefficiente medio di riflessione di tutte le pareti interne (inclusa la

finestra)

S = area delle pareti interne

F = fattorefinestra

209

Page 217: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

Tab. 4.7 – Valori del coefficiente di utilizzazione, in %.

Curv a fotometrica

Indicelocale

Coefficiente di utilizzazioneFattore di manutenzione

Illuminazione

semidiretta

d=1,1 h

J 0.28 0.22 0.18 0.26 0.21 0.18 0.20 0.17 Plaf oniera

nuda o con

coppa

diffondente

I 0.35 0.29 0.25 0.33 0.27 0.24 0.26 0.24

H 0.39 0.33 0.30 0.37 0.32 0.28 0.30 0.27

G 0.45 0.38 0.33 0.40 0.36 0.32 0.33 0.30

F 0.49 0.42 0.37 0.43 0.39 0.34 0.37 0.33

E 0.56 0.50 0.44 0.49 0.44 0.40 0.42 0.38

D 0.60 0.55 0.50 0.53 0.48 0.44 0.47 0.44

C 0.64 0.59 0.54 0.56 0.51 0.47 0.50 0.47

B 0.68 0.62 0.59 0.61 0.56 0.53 0.54 0.52

A 0.70 0.65 0.62 0.65 0.62 0.60 0.58 0.57 0.8 0.7 0.6

Illuminazione

mista

d = 1,1 h

J 0.26 0.23 0.21 0.23 0.21 0.19 0.19 0.17 Diffusore

I 0.32 0.29 0.27 0.28 0.26 0.24 0.23 0.21

H 0.37 0.33 0.31 0.31 0.29 0.27 0.26 0.24

G 0.40 0.36 0.34 0.34 0.31 0.30 0.28 0.26

F 0.42 0.39 0.36 0.36 0.33 0.32 0.30 0.28

E 0.46 0.43 0.40 0.41 0.38 0.35 0.32 0.30

D 0.50 0.46 0.43 0.44 0.40 0.39 0.34 0.33

C 0.52 0.48 0.45 0.46 0.44 0.41 0.37 0.36

B 0.55 0.52 0.49 0.48 0.46 0.45 0.39 0.38

A 0.57 0.54 0.51 0.49 0.47 0.46 0.42 0.41 0.75 0.7 0.65

>>

210

Page 218: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

Curv a fotometrica

Indicelocale

Coefficiente di utilizzazioneFattore di manutenzione

Illuminazione

diretta

d = h

J 0.38 0.32 0.28 0.37 0.32 0.28 0.31 0.28 Riflettore a

fascio largo

I 0.46 0.42 0.38 0.46 0.41 0.38 0.41 0.38

H 0.50 0.46 0.43 0.50 0.46 0.43 0.46 0.43

G 0.54 0.50 0.48 0.53 0.50 0.47 0.49 0.47

F 0.58 0.54 0.51 0.56 0.53 0.50 0.52 0.50

E 0.62 0.59 0.56 0.60 0.58 0.56 0.58 0.56

D 0.67 0.64 0.61 0.65 0.63 0.61 0.62 0.61

C 0.69 0.66 0.63 0.67 0.65 0.63 0.64 0.62

B 0.72 0.70 0.67 0.70 0.68 0.66 0.67 0.66

A 0.74 0.71 0.69 0.72 0.70 0.68 0.69 0.67 0.75 0.65 0.55

Illuminazione

diretta

d = 0.9 h

J 0.35 0.32 0.30 0.35 0.32 0.30 0.32 0.30 Riflettore a

fascio medi o

I 0.43 0.39 0.37 0.42 0.39 0.37 0.39 0.37

H 0.48 0.45 0.42 0.47 0.44 0.42 0.43 0.41

G 0.53 0.50 0.47 0.52 0.49 0.47 0.48 0.46

F 0.57 0.53 0.50 0.55 0.52 0.50 0.52 0.50

E 0.61 0.57 0.55 0.59 0.57 0.54 0.56 0.54

D 0.64 0.61 0.59 0.62 0.60 0.58 0.59 0.57

C 0.66 0.63 0.61 0.63 0.61 0.60 0.61 0.59

B 0.68 0.66 0.63 0.66 0.64 0.63 0.63 0.62

A 0.69 0.67 0.66 0.67 0.66 0.64 0.65 0.63 0.75 0.65 0.55

Fattore di

riflessione pareti

Fattore di

riflessione soffitto75% 50% 30%

211

Page 219: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

Il fattore finestra rappresenta il rapporto fra il flusso luminoso che giunge sul piano

della finestra e quello sul piano orizzontale. Il flusso luminoso che raggiunge la

finestra proviene a sua volta sia dal cielo chedal terreno, mentre quello sul piano

orizzontale esterno provieneper definizione soltanto dalcielo. In assenza di radiazione

diretta e supponendo isotropi la volta celeste ed il terreno il fattore finestra può essere

calcolato con la formula seguente:

F =1 + cos (Σ + Γ)

2+ ρt

1 − cos (Σ + Γ)2

4.6

in cui Σ è l’inclinazione della parete sull’orizzontale,ρt il coefficiente di riflessione

(o albedo) del terreno eΓ l’elevazione media delle eventuali ostruzioni sull’orizzonte.

I valori limite di FLDm da rispettare sono riportati in Tab. 4.8.

Tab. 4.8 – Valori limite di FLD medio (*).

FLD>1% FLD>2% FLD>3% FLD>5%Ediliziaresidenziale

tutti i locali diabilitazione

Ediliziascolastica

uffici, spazi didistribuzione,scale, serviziigienici

palestre, refet-tori e aule co-muni

ambienti auso didattico,laboratori

aule giochi eaule nido

Ediliziaospedaliera

come ediliziascolastica

palestre erefettori

ambienti didegenza,diagnostica,laboratori

(*) Valori tratti da:

Decreto del Ministero della Sanità del 5/7/1975 indirizzato all’edilizia residenziale

Decreto Ministeriale del 18/12/1975 indirizzato all’edilizia scolastica

Circolare del Ministero dei Lavori pubblici n 13011 del 22/12/1974 indirizzata all’edilizia ospedaliera

A partire dal livello di illuminamento medioEi desiderato in un ambiente è possibile,

conoscendo il fattore medio di luce diurna, determinare la frazione di tempo in cui la

luce diurna è in grado di garantire una illuminazione sufficiente dell’ambiente. Sono

212

Page 220: Fisica Tecnica Ambientale

4. ILLUMINAZIONE DI INTERNI

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

30 35 40 45 50 55 60

latitudine (° )

illu

min

am

en

to e

ste

rno

(lx

)

60%70%80%85%

90%

95%

Fig. 4.2 – Percentuale di tempo fra le 9 e le 17 in cui si supera un determinato valore

di illuminamento esterno in funzione della latitudine del luogo (Diagramma di Dresler).

infatti disponibili dei diagrammi che forniscono la percentuale di tempo in cui viene

superato un certo livello di illuminamento all’esternoEo in un determinato periodo

del giorno (9 - 17 per la Fig. 4.2), in funzione della latitudine del luogo. Noti il valore

di illuminamento richiesto e il fattore medio di luce diurna del locale si ha:

Eo = Ei/FLDm

In corrispondenza del valore diEo così determinato e della latitudine del luogo si

determina la frazione di tempo in cui non è richiesto l’ausilio dell’illuminazione

artificiale.

Ad esempio,per una località a 45 di latitudine, l’illuminamento esterno è superiore a

10.000 lx per l’80% del tempo compreso fra le 9 e le 17. Ciò significa che in un locale

aventeFLDm = 0.02 per l’80% del tempo l’illuminamento sarà superiore a 200 lx.

213

Page 221: Fisica Tecnica Ambientale
Page 222: Fisica Tecnica Ambientale

BIBLIOGRAFIA

I testi di riferimento da consultare per l’approfondimento dei temi trattati nellevarie parti di questo volume sono:

Barducci I.,Collana di Fisica Tecnica, Edizioni Scientifiche Associate, Roma,1982.

Boffa C., Gregorio P.,Elementi di Fisica Tecnica, Levrotto e Bella, Torino,1977.

Çengel Y.A.,Termodinamica e trasmissione del calore, McGraw-Hill LibriItalia, Milano, 1998.

Per ulteriori più specifici approfondimenti si indicano di seguito i seguentitesti:

Parte I

– Abbott M.M., Van Ness H.C.,Thermodynamics, McGraw-Hill BookCompany, New York, 1972.

– Calì M., Gregorio P., Termodinamica, Progetto Leonardo, Bologna,1996.

– Cavallini A., Mattarolo L., Termodinamica Applicata, CLEUP, Padova,1992.

– Zemansky M.W,Termodinamica per ingegneri, Zanichelli, Bologna,1970.

Parte II

– Bonacina C., Cavallini A., Mattarolo L., Trasmissione del calore,CLEUP, Padova, 1989.

215

Page 223: Fisica Tecnica Ambientale

– Guglielmini G., Pisoni C.,Elementi di trasmissione del calore, Veschi,Mi lano, 1990.

– Holman J.P., Heat Transfer, McGraw-Hill Book Company, New York,1977.

– Mastrullo R., Mazzei P., Naso V., Vanoli R.,Fondamenti ditrasmissione del calore, Vol. I, Liguori Editore, Napoli, 1982.

Parte III

– Cirillo E., Acustica applicata, McGraw-Hill Book Company Inc., 1997.

– Spagnolo R.,Manuale di acustica applicata, UTET, Torino, 2001.

Parte IV

– Moncada Lo Giudice, G., de Lieto Vollaro, A.,Illuminotecnica,Masson Editoriale ESA, Milano 1996.

216