fisica quantistica Alberi, circuiti e la ricerca di una...

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www.lescienze.it Le Scienze 49 48 Le Scienze 527 luglio 2012 Illustrazione di Kenn Brown e Chris Wren, Mondolithic Studios FISICA QUANTISTICA Alberi, circuiti e la ricerca di una nuova fisica Forse unificare le forze della natura non è poi così dif ficile come pensavano i fisici di Zvi Bern, Lance J. Dixon e David A. Kosower Di recente una rivoluzione silenziosa ha attraversato la conoscenza che i fisici hanno delle collisioni tra particelle. I concetti introdotti da Richard Feynman hanno raggiunto i limiti della loro utilità per molte applicazioni, e gli autori di questo articolo e i loro colleghi hanno sviluppato un nuovo approccio. Grazie a questo approccio i fisici descrivono in modo più affidabile il comportamento delle particelle ordinarie nelle condizioni estreme dell’LHC del CERN, assistendo gli sperimentatori nella ricerca di particelle e forze esotiche. I nuovi metodi hanno anche conseguenze più profonde: riportano in vita una teoria unificata che i fisici avevano dato per morta negli anni ottanta. La forza di gravità ha l’aspetto di due copie delle interazioni nucleari forti che agiscono all’unisono. IN BREVE

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Alberi, circuiti e la ricerca di una nuova fisicaForse unificare le forze della natura non è poi così difficile come pensavano i fisici

di Zvi Bern, Lance J. Dixon e David A. Kosower

Di recente una rivoluzione silenziosa ha attraversato la conoscenza che i fisici hanno delle collisioni tra particelle. I concetti introdotti da Richard Feynman hanno raggiunto i limiti della loro utilità per molte applicazioni, e gli autori di questo articolo e i loro colleghi hanno sviluppato un nuovo approccio.Grazie a questo approccio i fisici descrivono in modo più affidabile il comportamento delle

particelle ordinarie nelle condizioni estreme dell’LHC del CERN, assistendo gli sperimentatori nella ricerca di particelle e forze esotiche.I nuovi metodi hanno anche conseguenze più profonde: riportano in vita una teoria unificata che i fisici avevano dato per morta negli anni ottanta. La forza di gravità ha l’aspetto di due copie delle interazioni nucleari forti che agiscono all’unisono.

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Il Large Hadron Collider (LHC) del CERN, vicino a Ginevra, la principale macchina della nostra epoca per compiere scoperte, fa scontrare protoni che si muovono a velocità prossime a quella del­la luce per studiare i frammenti che rimangono dopo le collisio­ni. Costruire il collisore e i suoi rivelatori ci ha portati ai limiti del­la tecnologia. Interpretare poi quello che vedono i rivelatori è una sfida altrettanto grande, anche se meno visibile. A prima vista può sembrare strano. Il modello standard delle particelle elementari è consolidato, e i fisici teorici lo applicano quotidianamente per pre­vedere gli esiti degli esperimenti. Per farlo ci si basa su una tecni­ca di calcolo messa a punto più di sessant’anni fa dal celebre fisi­co Richard Feynman. Qualsiasi fisico delle particelle ha studiato la tecnica di Feynman all’università; qualsiasi libro o articolo sulla fisica delle particelle è basato sui concetti di Feynman.

Eppure la sua tecnica è diventata obsoleta per i problemi più recenti. Offre un modo intuitivo e approssimato per cogliere i fe­nomeni più semplici, ma è difficile fino all’impossibile per casi più complessi o per calcoli che richiedono un’alta precisione. Prevede­re che cosa emergerà da una collisione tra particelle è ancora più scoraggiante che prevedere dove andrà un passeggero della me­tropolitana. Tutti i computer del mondo, lavorando insieme, non riuscirebbero a determinare neppure il risultato di una collisione piuttosto comune nell’LHC. Se i teorici non sono in grado di for­mulare previsioni precise per le leggi della fisica note e per forme della materia note, che speranza abbiamo di capire quando il col­lisore ha osservato qualcosa di nuovo? Per quel che ne sappiamo, LHC potrebbe aver già trovato la risposta ad alcuni dei più gran­di misteri della natura e ne siamo ignari soltanto perché non sap­piamo risolvere con sufficiente precisione le equazioni del model­lo standard.

Negli ultimi anni noi tre e i nostri colleghi abbiamo sviluppato un nuovo metodo per analizzare i fenomeni relativi alle particel­le che aggira la complessità della tecnica di Feynman. È chiama­

to metodo dell’unitarietà, e consiste in un modo molto economi­co per prevedere che cosa farà un passeggero della metropolitana considerando che, in ogni punto in cui deve prendere una deci­sione, le opzioni del passeggero sono in realtà piuttosto limitate, e possono essere decomposte in probabilità relative a sequenze di azioni. Grazie a questa nuova idea sono stati risolti molti problemi teorici della fisica delle particelle in precedenza impossibili da trat­tare. La loro soluzione ci permette di capire con una chiarezza sen­za precedenti che cosa prevedono le teorie fisiche attuali, in mo­do da essere in grado di riconoscere una nuova scoperta quando la osserviamo. Questo metodo ha anche prodotto un gran numero di risultati relativi a un cugino idealizzato del modello standard, a cui i fisici sono particolarmente interessati considerandolo un primo passo verso la teoria definitiva della natura.

L’approccio dell’unitarietà non è solo un utile trucco di calcolo. Suggerisce una visione radicalmente nuova delle teorie sulle inte­razioni tra particelle governate da simmetrie inattese, mostrando così un’eleganza sottovalutata nel modello standard. La cosa più notevole è che ha portato a uno sviluppo imprevisto nei tentati­vi ormai pluridecennali di unificare meccanica quantistica e teo­ria della relatività generale per trovare una teoria quantistica del­la gravità. Fino agli anni settanta i fisici davano per scontato che la gravità si comportasse come le altre forze fisiche e cercavano di estendere le teorie esistenti affinché la comprendessero. Quando applicavano la tecnica di Feynman, però, ottenevano risultati in­sensati, oppure si impantanavano nei calcoli. Sembrava che, in fin dei conti, la gravità non fosse come le altre forze. Scoraggiati, i fi­sici si rivolsero a idee più rivoluzionarie, come la supersimmetria e, più tardi, la teoria delle stringhe.

Il metodo dell’unitarietà, però, ci ha permesso di portare a ter­mine calcoli che negli anni ottanta erano stati presi in considera­zioni ma che si era persa la speranza di risolvere. Abbiamo scoper­to che alcune delle presunte incoerenze sono in realtà inesistenti.

La gravità ha un aspetto simile alle altre forze, anche se in modo inatteso: si comporta come una «doppia copia» della forza nuclea­re forte, che tiene legati tra loro i componenti dei nuclei atomici. La forza forte è mediata da particelle dette gluoni; la gravità do­vrebbe essere mediata da particelle dette gravitoni. Nella nuova vi­sione delle cose ogni gravitone si comporta come due gluoni cu­citi insieme. Il concetto è piuttosto strano, e addirittura gli esperti non hanno ancora un’immagine mentale chiara di che cosa signi­fichi. In ogni caso, la proprietà della doppia copia fornisce una nuova prospettiva su come la gravità possa essere unificata con le altre tre forze note.

Dagli alberi ai boschiLa tecnica di Feynman è attraente e utile perché dà una ricet­

ta grafica ben precisa per svolgere conti estremamente comples­si. Si basa su diagrammi che offrono un’immagine visiva di due o più particelle che collidono o si diffondono. Ovunque si faccia ri­cerca sulla fisica delle particelle elementari troverete lavagne co­perte di questi diagrammi. Per formulare previsioni quantitative, un teo rico traccia una serie di diagrammi, ognuno dei quali rap­presenta uno dei modi possibili in cui può avvenire una collisione: è l’analogo dei possibili tragitti che può seguire un passeggero in metropolitana. Seguendo una serie di istruzioni dettagliate redat­te da Feynman e dai suoi colleghi, in particolare Freeman Dyson, il teo rico assegna un numero a ogni diagramma, che corrisponde al­la probabilità che l’evento si svolga in quel modo.

Il problema è che il numero di diagrammi che si possono dise­gnare è enorme; anzi, a priori è infinito. Nelle applicazioni per cui Feynman sviluppò originariamente le sue regole, questo svantag­gio non importava. Stava studiando l’elettrodinamica quantistica (QED, dall’inglese quantum electrodynamics), che descrive il modo in cui gli elettroni interagiscono con i fotoni. L’interazione è go­vernata da una quantità, la costante di accoppiamento, uguale ap­prossimativamente a 1/137. Un valore così piccolo della costan­te fa sì che i diagrammi più complicati abbiano uno scarso peso nei calcoli e spesso possano addirittura essere ignorati. È come dire che spesso un passeggero della metropolitana finirà col seguire un tragitto piuttosto semplice.

Una ventina d’anni dopo i fisici estesero la tecnica di Feynman alla forza nucleare forte. Per analogia con la QED, la teoria della forza forte è nota come cromodinamica quantistica (QCD, dall’in­glese quantum chromodynamics). Anche la QCD è governata da una costante di accoppiamento ma, come suggerisce la parola «forte», il suo valore è maggiore di quello dell’accoppiamento elet­tromagnetico. La conseguenza è che un accoppiamento più ele­vato aumenta il numero di complicati diagrammi che i teorici de­vono includere nei loro calcoli, come un viaggiatore disposto a percorrere in metropolitana tragitti molto tortuosi, rendendo dif­ficile prevedere che cosa farà. Fortunatamente su distanze mol­to brevi, come quelle coinvolte nelle collisioni di LHC, il valore dell’accoppiamento diminuisce, così per le collisioni più sempli­ci i teorici possono nuovamente cavarsela considerando solo dia­grammi di Feynman privi di complicazioni.

Per le collisioni più articolate, però, irrompe la piena complessi­tà della tecnica di Feynman. I diagrammi di Feynman sono classi­ficati in base al numero di linee esterne e di circuiti chiusi che com­prendono (si veda il box a p. 53). I circuiti rappresentano una delle caratteristiche fondamentali della meccanica quantistica: le parti­celle virtuali. Anche se non sono osservabili direttamente, le par­ticelle virtuali hanno un effetto misurabile sull’entità delle forze.

Zvi Bern è professore di fisica all’Università della California a Los Angeles. Di recente è stato tra gli organizzatori di un workshop di tre mesi al Kavli Institute for Theoretical Physics dell’Università della California a Santa Barbara, per discutere la diffusione di particelle ad alta energia.

Lance J. Dixon è professore allo SLAC National Accelerator Laboratory. Ha trascorso lo scorso anno accademico al CERN, vicino a Ginevra, parlando con gli sperimentatori di come usare al meglio le nuove previsioni teoriche descritte in questo articolo.

David A. Kosower è senior scientist presso l’Institut de Physique Théorique del Commissariat à l’énergie atomique et aux énergies alternatives a Saclay. Attualmente è titolare di una borsa dell’European Research Council.

A n At o m I A d I u n d I Ag r A m m A d I F e y n m A n

Particelle che collidonoIntorno a noi, in continuazione, le particelle elementari si attraggono, re-spingono, colpiscono, trasformano e annichiliscono tra loro. Per visua-lizzare questo trambusto quantistico, il premio Nobel Richard Feynman creò un sistema di diagrammi. Quelli che seguono rappresentano due quark che interagiscono generando un gluone e un bosone W.

La prima particella in arrivo è un quark down, uno dei costituenti del protone. Per convenzione è rappresentato (come le altre particelle di materia) da un segmento rettilineo.

1 Il quark down emette un gluone e si trasforma in un quark down «virtuale». Le particelle virtuali sono stadi intermedi che non si possono osservare direttamente.

2 Il gluone vola via per prendere parte a un’altra reazione. I gluoni mediano la forza nucleare forte e sono rappresentati da linee arricciate.

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L’altra particella in arrivo è un antiquark up. La freccia che indica la direzione del suo moto punta all’indietro, per motivi che hanno a che fare con la relatività.

3 Il bosone W vola via e decade rapidamente in quark e altre particelle. I bosoni W mediano la cosiddetta forza nucleare debole e sono rappresentati da linee ondulate.

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Un circuito chiuso indica un ulteriore stadio intermedio che coinvolge particelle virtuali e che può emergere spontaneamente. Qui il quark down virtuale emette un gluone virtuale e poi lo riassorbe.

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L’antiquark up e il quark virtuale down si annichiliscono a vicenda, lasciandosi dietro un bosone W.

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U n assolato giorno di primavera uno di noi, Lance Dixon, prese la metropolitana di Londra alla stazione Mile End per andare all’aeroporto di Heathrow. Fissan­do uno sconosciuto, uno qualsiasi dei tre milioni di passeggeri che ogni giorno prendono la metro londinese, si chiese: qual è la probabilità che lo sconosciuto debba andare, diciamo, a Wimbledon? Come si fa a calcolarla, considerando che

la persona potrebbe percorrere vari tragitti diversi? Mentre rifletteva si rese conto che la domanda era simile agli intricati problemi affrontati dai fisici delle particelle che cercano di formulare pre­visioni sulle collisioni di particelle negli esperimenti.

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za. In casi speciali possiamo formulare previsio­ni teoriche con precisione perfetta, cosa che, con la tecnica di Feynman, richiederebbe un numero infinito di diagrammi e un tempo infinito.

I vantaggi non finiscono qui. Avendo svilup­pato il metodo dell’unitarietà per i circuiti cor­rispondenti a particelle virtuali, un altro grup­po, composto da Ruth Britto, Freddy Cachazo, Bo Feng ed Edward Witten, all’epoca all’Institute for Advanced Study di Princeton, nel New Jer­sey ha aggiunto un ulteriore sviluppo imprevi­sto. Hanno preso di nuovo in considerazione i diagrammi ad albero e hanno calcolato la pro­babilità di una collisione che coinvolge, ponia­mo, cinque particelle, in termini di una collisio­ne di quattro particelle, seguita dalla scissione di una particella in due. È un’idea stupefacente, perché di solito una collisione fra cinque parti­celle ha un aspetto molto diverso rispetto a que­ste due collisioni in sequenza. È possibile sud­dividere i problemi scoraggianti in parti più semplici in più di un modo.

Collisioni tra orologiLe collisioni tra protoni all’LHC sono eccezio­

nalmente complesse. Un tempo Feynman le pa­ragonò a capire come funzionano gli orologi svizzeri scagliandone uno contro un altro: la sua tecnica si affanna a tenere traccia di ciò che ac­cade durante questi urti. I protoni non sono par­ticelle elementari, ma palline di quark e gluoni tenute insieme dalla forza nucleare forte. Quando collidono ci sono quark che rimbalzano contro quark, quark contro gluoni, gluoni contro gluo­ni. Quark e gluoni possono scindersi in ulterio­ri quark e gluoni. Alla fine si raccolgono in parti­celle composite che schizzano fuori dal collisore in «spruzzi» stretti che i fisici chiamano getti.

Sepolte da qualche parte lì in mezzo possono esserci cose che gli esseri umani non hanno mai visto: nuove particelle, nuove simmetrie, magari addirittura nuove dimensioni dello spazio­tem­po. Ma vagliarle sarà arduo. Ai nostri strumenti le particelle esotiche sembrano particelle norma­li. Le differenze sono piccole, e sfuggono facil­mente. Con il metodo dell’unitarietà possiamo descrivere la fisica ordinaria con tanta precisio­ne da far risaltare la fisica straordinaria.

Per esempio Joe Incandela dell’Università del­la California a Santa Barbara, attualmente por­tavoce dell’esperimento CMS presso LHC, forte

di più di 2000 fisici, ci ha posto una domanda sulla ricerca – con­dotta dal suo gruppo – di particelle esotiche che formerebbero la materia oscura, la sostanza misteriosa che gli astronomi pensa­no si trovi nel cosmo ma che i fisici devono ancora identificare. Se LHC producesse una di queste particelle, sfuggirebbe al rivelato­re CMS, lasciando l’impressione che si sia persa dell’energia. Pur­troppo, un’apparente perdita di energia non significa di per sé che LHC abbia sintetizzato la materia oscura. Per esempio LHC produ­ce spesso una particella ordinaria, il bosone Z, che una volta su

croscopica. Non solo è faticoso, ma anche poco illuminante. Il flui­do potrebbe scorrere giù per una collina, ma non lo scopriremmo dalla descrizione molecolare. Ci è più utile considerare le proprietà ad altro livello come velocità, densità e pressione del fluido.

Analogamente, anziché pensare a una collisione tra particelle come costituita da innumerevoli singoli diagrammi di Feynman, i fisici possono considerarla olisticamente. Ci si concentra sulle pro­prietà che governano l’evento nel complesso: l’unitarietà, insieme alle speciali simmetrie che il metodo dell’unitarietà mette in eviden­

all’inizio degli anni novanta, quando due di noi (Bern e Kosower) hanno mostrato che la teoria delle stringhe può semplificare i cal­coli della QCD riassumendo tutti i diagrammi di Feynman perti­nenti in un’unica formula. Con questa formula abbiamo analizzato una reazione tra particelle che prima non era mai stata compresa in dettaglio: la diffusione di due gluoni in tre gluoni, con un circu­ito corrispondente a una particella virtuale. Secondo gli standard dell’epoca questo processo era molto complesso, ma poteva esse­re descritto con una formula incredibilmente semplice, che entra in una sola pagina.

La formula era così semplice che, insieme a David Dunbar, all’e­poca all’Università della California a Los Angeles, abbiamo sco­perto che era possibile capire quasi completamente la diffusione in termini di un principio detto unitarietà. L’unitarietà consiste nel chiedere che le probabilità di tutti i possibili esiti abbiano come somma 100 per cento. (Tecnicamente le grandezze non sono pro­babilità, ma radici quadrate di probabilità, ma qui questa distin­zione non è molto importante.) L’unitarietà è implicita nella tec­nica di Feynman, ma tende a rimanere nascosta dalla complessità dei calcoli. Così abbiamo messo a punto una tecnica alternativa

che la pone in primo piano. L’idea di basare i cal­coli sull’unitarietà era apparsa per la prima volta negli anni sessanta, ma poi perse popolarità. Co­me avviene spesso nella scienza, le idee scartate possono tornare a destare entusiasmo sotto nuo­ve sembianze.

La chiave del successo del metodo dell’unitarie­tà è che evita l’uso diretto di particelle virtuali, che sono la ragione principale della complicazione dei diagrammi di Feynman. Queste particelle hanno effetti sia reali sia spuri. Per definizione, questi ul­timi devono cancellarsi a vicenda nel risultato fi­nale, e quindi sono una zavorra matematica inuti­

le che i fisici sono ben lieti di lasciarsi alle spalle.Possiamo capire il metodo per analogia con un sistema artico­

lato come la metropolitana di Londra, con vari possibili percorsi tra due medesime stazioni. Supponiamo di voler calcolare la pro­babilità che una persona che prende la metropolitana a Mile End concluda il viaggio a Wimbledon. La tecnica di Feynman somma le probabilità di tutti i possibili tragitti. «Tutti» significa veramen­te «tutti»: oltre ai tragitti che passano per corridoi e gallerie, i dia­grammi di Feynman comprendono i tragitti attraverso la roccia, dove non ci sono né binari né passaggi pedonali. Questi percor­si inverosimili sono l’analogo dei contributi spuri dati dai circuiti delle particelle virtuali. Alla fine si cancellano, ma nei passaggi in­termedi del calcolo dobbiamo tenerne conto. Nell’approccio dell’u­nitarietà consideriamo solo i percorsi sensati. Calcoliamo la proba­bilità che una persona segua uno specifico tragitto suddividendo il problema: qual è la probabilità che la persona attraversi un certo tornello, un corridoio o un altro, in ogni fase del viaggio? Questa procedura riduce di molto l’entità dei calcoli.

La scelta tra il metodo di Feynman e quello dell’unitarietà non è una questione di giusto o sbagliato. Entrambi esprimono gli stes­si principi fisici fondamentali. Entrambi portano prima o poi al­le stesse probabilità numeriche. Ma rappresentano livelli diversi di descrizione. Un solo diagramma di Feynman, fra le decine di mi­gliaia relative a una collisione complessa, è come una sola mo­lecola all’interno di una goccia di fluido. In teoria è possibile de­terminare il comportamento del fluido tenendo conto di tutte le singole molecole, ma avrebbe senso farlo solo per una goccia mi­

Obbediscono a tutte le leggi fisiche, come la conservazione dell’e­nergia e della quantità di moto, con un’avvertenza: la loro massa può differire da quella delle corrispondenti particelle «reali» (cioè direttamente osservabili). I circuiti rappresentano la loro vita effi­mera: appaiono dal nulla, percorrono una breve distanza e spari­scono di nuovo. La loro massa ne determina la speranza di vita: più sono pesanti e meno a lungo vivono.

I diagrammi di Feynman più semplici ignorano le particelle vir­tuali; non contengono circuiti chiusi e sono chiamati diagrammi ad albero. Nell’elettrodinamica quantistica, il diagramma più sem­plice in assoluto raffigura due elettroni che si respingono scam­biandosi un fotone. Via via che i diagrammi diventano più compli­cati si aggiungono circuiti chiusi. I fisici chiamano «perturbativa» questa procedura di aggiunta, intendendo che si parte da un’op­portuna stima (rappresentata dai diagrammi ad albero) e gradual­mente la si perturba aggiungendo miglioramenti (i circuiti). Per esempio, mentre il fotone passa da un elettrone all’altro può scin­dersi spontaneamente in un elettrone virtuale e un antielettrone virtuale, che hanno una vita breve prima di annichilirsi a vicenda, producendo un fotone. Il fotone riprende il viaggio del fotone ori­ginario. Al livello successivo di complessità, elet­trone e antielettrone possono a loro volta scinder­si temporaneamente. Con un numero crescente di particelle virtuali i diagrammi descrivono gli ef­fetti quantistici con precisione crescente.

Addirittura i diagrammi ad albero possono es­sere impegnativi. Nel caso della QCD, se fossimo abbastanza coraggiosi da considerare una collisio­ne che coinvolge due gluoni in entrata e otto in uscita dovremmo scrivere 10 milioni di diagram­mi ad albero e calcolare la probabilità di ciascu­no. Un approccio detto ricorsione, introdotto ne­gli anni ottanta da Frits Berends dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi, e da Walter Giele, adesso al Fermi National Accelerator Laboratory, ha sistemato la questione per i diagram­mi ad albero, ma senza un’ovvia estensione per i circuiti. Anzi, i circuiti chiusi rendono il carico di lavoro insostenibile. Persino un singolo circuito provoca un’esplosione sia nel numero di diagram­mi che nella complessità di ognuno. Le formule potrebbero riem­pire un’enciclopedia. Sfruttando la potenza di un numero sempre maggiore di computer, la forza bruta può tenere a bada per un po’ la complessità ma presto soccombe al numero crescente di parti­celle esterne o di circuiti.

C’è di peggio: quello che iniziò come un modo concreto di vi­sualizzare il mondo microscopico può invece celarlo. I singoli dia­grammi di Feynman sono spesso impenetrabilmente barocchi, e quando dobbiamo gestirne così tanti perdiamo di vista la fisica che c’è sotto. La cosa stupefacente è che il risultato finale, trovato sommando tutti i diagrammi, può essere piuttosto semplice. Dia­grammi diversi si cancellano in parte l’un l’altro, e qualche volta formule con milioni di termini collassano fino a un unico termi­ne. Queste cancellazioni fanno pensare che i diagrammi non siano lo strumento più adatto per il nostro lavoro: un po’ come piantare chiodi con una piuma. Ci deve essere un modo migliore.

Oltre i diagrammi di FeynmanNel corso degli anni i fisici hanno provato molte tecniche nuo­

ve per svolgere i calcoli, ognuna leggermente migliore della pre­cedente, e gradualmente hanno preso forma i tratti di un’alterna­tiva ai diagrammi di Feynman. Il nostro contributo è cominciato

P e r c h é FA n n o I m PA z z I r e

Troppi per poterli seguire tuttiOgni diagramma di Feynman dà un metodo intuitivo per visualizzare uno dei modi in cui le particelle possono interagire. Il problema è che ci sono anche innumerevoli altri modi. Un’in-terazione quark-quark può produrre più di un gluone o coinvolgere più di un circuito con una particella virtuale, o entrambe le cose. I calcoli diventano presto ingestibili.

Zero circuiti Un circuito

Un gluone

Due gluoni

Tre gluoni

Spesso i singoli diagrammi di

Feynman diventano così

barocchi da nascondere la

fisica dell’evento che descrivono

www.lescienze.it Le Scienze 5554 Le Scienze 527 luglio 2012

svolgere i calcoli non abbiamo incontrato alcu­na difficoltà: abbiamo così posto fine alla que­stione (e stappato un barolo).

La teoria della supergravità è libera dagli in­finiti? Oppure il suo alto grado di simmetria si limita a tenerne a freno alcuni eccessi nel ca­so di pochi circuiti? In quest’ultimo caso i pri­mi problemi comparirebbero con cinque circuiti e, arrivati a sette, gli effetti quantistici cresce­rebbero abbastanza da produrre infiniti. David Gross, dell’Università della California a San­ta Barbara, ha messo in palio una bottiglia di Zinfandel californiano se non appaiono infi­niti per sette circuiti. Per dirimere quest’ultima scommessa alcuni di noi si sono lanciati in nuo­vi calcoli. L’assenza di infiniti per sette circui­ti lascerebbe senza parole gli scettici e potrebbe finalmente convincerli che la supergravità pos­sa funzionare. Tuttavia, anche in questo caso la teo ria non cattura altri tipi di fenomeni, det­ti non perturbativi, che sono troppo minuscoli per essere visibili nell’approccio circuito per cir­cuito che abbiamo seguito. Per trattare questi ef­fetti potremmo avere bisogno di una teoria an­cora più profonda, forse la teoria delle stringhe.

Spesso ai fisici piace pensare che le nuove teorie emergano direttamente dai grandi colpi di pennello dei nuovi principi: relatività, mec­canica quantistica, simmetria. Ma qualche volta queste teorie emergono da un attento riesame dei principi che già conosciamo. La rivoluzione silenziosa della nostra comprensione delle colli­sioni tra particelle ci ha permesso di dedurre in modo estremamente dettagliato le conseguen­ze del modello standard, arrivando a migliorare significativamente la possibilità di nuove sco­perte. Cosa ancora più sorprendente, ora siamo

in grado di seguire le conseguenze inesplorate della fisica preesi­stente, compreso un cammino trascurato verso l’unificazione della gravità con le altre forze note.

Da molti punti di vista il viaggio verso la comprensione dei se­greti della diffusione delle particelle elementari non somiglia per niente alla prevedibile metropolitana londinese. Ricorda invece un viaggio sul Nottetempo, l’autobus a tre piani delle storie di Harry Potter, in cui non si sa mai che cosa sta per succedere. n

gli anni ottanta erano sbagliati. Le grandezze che sembravano de­stinate a essere infinite erano in realtà finite. La supergravità non è priva di senso come pensavano i fisici. In termini concreti, signi­fica che le fluttuazioni quantistiche dello spazio e del tempo nel­la supergravità sono molto più innocue di quanto si fosse ipotizza­to. Se ci corrompete con del buon vino, potremmo lasciarci andare e dire che sarà proprio qualche versione della supergravità la tanto attesa teoria quantistica della gravità.

Cosa ancora più notevole, tre gravitoni interagiscono proprio come due copie di tre gluoni interagenti tra loro. Questa proprie­tà della doppia copia sembra continuare a valere indipendentemen­te da quante particelle si stiano diffondendo o da quanti circuiti di particelle virtuali siano presenti. Significa che, parlando in modo fi­gurato, la gravità è il quadrato dell’interazione nucleare forte. Ci vorrà un po’ per tradurre la matematica in concetti fisici e per veri­ficare se è vera in ogni condizione. Per ora il fatto cruciale è che la gravità può non essere tanto diversa dalle altre forze fisiche.

Come succede comunemente nella scienza, dopo che un dibat­tito giunge a conclusione ne esplode un altro. Subito dopo i nostri calcoli per i tre circuiti, gli scettici si chiesero quali problemi potes­sero apparire per quattro circuiti. Come accade di frequente, sull’e­sito del calcolo ci fu una scommessa a base di bottiglie di vino: un barolo italiano contro uno chardonnay della Napa Valley. Nello

ro e si diffonderebbero proprio come le altre particelle, e potremmo tracciare i relativi diagrammi di Feynman.

Ma i tentativi compiuti a metà degli anni ottanta di descrivere la diffusione dei gravitoni quantizzando la teoria di Einstein nel modo più semplice possibile hanno portato a previsioni senza senso, co­me l’attribuzione di un valore infinito a grandezze che devono es­sere finite. Le grandezze infinite, di per sé, non sarebbero un pro­blema. Possono apparire nelle fasi intermedie di un calcolo anche all’interno di una teoria che funziona bene, come il modello stan­dard, ma devono elidersi a vicenda nel calcolo di qualsiasi gran­dezza potenzialmente misurabile. Per la gravità sembrava che que­ste elisioni non si verificassero. In termini concreti, significa che schizzerebbero via fuori controllo le fluttuazioni quantistiche del­lo spazio e del tempo, chiamate «schiuma dello spazio­tempo» dallo scomparso pioniere della gravità quantistica John Wheeler.

Una spiegazione possibile è che la natura contenga particelle ancora non scoperte che frenano questi effetti quantistici. Questa idea, concretizzata nelle cosiddette teorie della supergravità, è sta­ta studiata intensamente negli anni settanta e nei primi anni ottan­ta (si veda La supergravità e l’unificazione delle leggi della fisica, di

Daniel Z. Freedman e Peter van Nieuwenhuizen, in «Le Scienze» n. 116, aprile 1978). Ma l’entusiasmo è scemato quando argomentazioni indirette han­no suggerito che gli infiniti privi di senso conti­nuerebbero ad apparire anche con tre o più circuiti di particelle virtuali. Sembrava che la supergravità fosse destinata al fallimento.

Questa delusione portò molti ricercatori a de­dicarsi alla teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe è un allontanamento radicale dal model­lo standard. Secondo questa teoria le particelle co­me quark, gluoni e gravitoni non sono più punti minuscoli ma oscillazioni di stringhe unidimen­

sionali. Le interazioni tra particelle sono sparse lungo le stringhe invece di essere concentrate in un unico punto, il che previene au­tomaticamente gli infiniti. D’altro canto la teoria delle stringhe si è imbattuta in problemi tutti suoi; per esempio non formula previ­sioni precise su fenomeni osservabili.

Problema doppioA metà degli anni novanta Stephen Hawking esortò a dare

un’altra chance alla supergravità. Fece notare che negli studi de­gli anni ottanta si erano prese scorciatoie che rendevano discutibi­li le conclusioni. Ma Hawking non convinse nessuno, perché c’era un buon motivo se si erano prese queste scorciatoie: non c’era spe­ranza di riuscire a svolgere i calcoli completi, neppure per un ma­go dei conti. Per sapere con certezza se un diagramma di Feynman con tre circuiti relativi a gravitoni virtuali produce quantità infi­nite, dovremmo valutare 1020 termini. Con cinque circuiti un dia­gramma genera 1030 termini, circa uno per ogni atomo in un rive­latore di LHC. La questione sembrava destinata alla pattumiera dei problemi insolubili.

Il metodo dell’unitarietà ha cambiato le carte in tavola. Usando­lo abbiamo riaperto il caso relativo alla teoria della supergravità, come quando si trovano nuove prove per scagionare un innocente condannato. Quello che avrebbe richiesto 1020 termini con la tec­nica di Feynman, ora se la cava con qualche decina. Insieme a Ra­du Roiban della Pennsylvania State University e John Joseph Car­rasco e Henrik Johansson, all’epoca dottorandi all’Università della California a Los Angeles, abbiamo scoperto che i ragionamenti de­

cinque decade in due neutrini, che a loro volta interagiscono mol­to debolmente e sfuggono all’occhio del rivelatore. Come si fa a prevedere il numero di particelle del modello standard i cui effetti imitano le particelle oscure?

Il gruppo di Incandela ha proposto una soluzione: consideriamo il numero di fotoni registrati dal rivelatore CMS, deduciamone il numero di eventi che coinvolgono neutrini e vediamo se spiegano completamente l’apparente perdita di energia. In caso di risposta negativa, è possibile che LHC stia creando materia oscura. Questa idea esemplifica le stime indirette che i fisici sperimentali devo­no sempre formulare, vista l’impossibilità di osservare direttamen­te certi tipi di particelle. Ma per metterla in pratica il gruppo di In­candela aveva bisogno di conoscere con precisione la relazione tra numero di fotoni e numero di neutrini. Se la precisione non fosse stata sufficientemente elevata, questa strategia non avrebbe fun­zionato. Insieme a diversi colleghi abbiamo studiato il problema usando i nuovi strumenti teorici e abbiamo potuto assicurare a In­candela che la precisione era sufficientemente alta. Rassicurato, il gruppo di CMS ha applicato la propria tecnica e ha posto vinco­li stringenti per le particelle di materia oscura. La nostra tecnica ha mostrato il proprio valore.

Questo successo ci ha incoraggiato ad anda­re avanti con calcoli più ambiziosi. Come succe­de di frequente nella moderna fisica della parti­celle, collaboriamo con colleghi di tutto il mondo, tra i quali Fernando Febres Cordero dell’Universi­dad Simón Bolívar di Caracas, Harald Ita dell’U­niversità di Tel Aviv e dell’Università della Cali­fornia a Los Angeles, Daniel Maître dell’Università di Durham, Stefan Höche dello Stanford Linear Accelerator Center e Kemal Ozeren dell’Universi­tà della California a Los Angeles. Insieme, abbia­mo formulato previsioni precise per la probabilità che le collisioni di LHC producano una coppia di neutrini insieme a quattro getti. Usando i diagrammi di Feynman, questi calcoli sa­rebbero stati troppo complicati addirittura per una grande squadra di fisici che avesse lavorato per dieci anni assistita dai computer più avanzati. Il metodo dell’unitarietà ci ha permesso di svolger­li in meno di un anno. Possiamo riferire con soddisfazione che un altro dei gruppi di ricerca di LHC, quello della collaborazione ATLAS, ha già confrontato le nostre previsioni con i propri dati, e finora i risultati concordano in modo eccellente. Andando avan­ti, gli sperimentatori useranno questi risultati per cercare nuovi fe­nomeni fisici.

Il metodo dell’unitarietà contribuisce anche alla ricerca del fan­tomatico bosone di Higgs. Un segno dell’Higgs sarebbe la pro­duzione di un singolo elettrone, una coppia di getti e un neutri­no, dove il neutrino di nuovo darebbe l’impressione di un’energia mancante. Lo stesso esito può anche venire da reazioni di particel­le che non coinvolgono il bosone di Higgs. Una delle nostre prime applicazioni del metodo dell’unitarietà è stata il calcolo dell’esatta probabilità di queste reazioni ambigue.

Torniamo alla gravitàUn’applicazione ancora più stupefacente del metodo dell’uni­

tarietà riguarda lo studio della gravità quantistica. Per sviluppare una teoria completa e coerente della natura, i fisici devono trova­re un modo per far rientrare la gravità in un quadro quanto­mec­canico. Se la gravità si comporta come le altre forze fisiche, deve essere trasmessa da particelle, i gravitoni. I gravitoni colliderebbe­

Lovely as a Tree Amplitude: Hidden Structures Underlie Feynman Diagrams. Blau S.K., in «Physics Today», Vol. 57, n. 7, p. 19, luglio 2004.

Physics and Feynman’s Diagrams. Kaiser D., in «American Scientist», Vol. 93, n. 2, pp. 156-165, marzo-aprile 2005.

Cancellations Beyond Finiteness in N=8 Supergravity at Three Loops. Bern Z., Carrasco J.J., Dixon L.J., Johansson H., Kosower D.A. e Roiban R., in «Physical Review Letters», Vol. 98, n. 16, 20 aprile 2007.

Supergravity: Finite after All? Stelle K., in «Nature Physics», Vol. 3, pp. 448-450, luglio 2007.

Pulling QCD Predictions Out of a (Black) Hat. Maître D., in «SLAC Today», 7 agosto 2008.

Precise Predictions for W+4 Jet Production at the Large Hadron Collider. Berger C.F., Bern Z., Dixon L.J., Febres Cordero F., Forde D., Gleisberg T., Ita H., Kosower D.A. e Maître D., in «Physical Review Letters», Vol. 106, n. 9, 1° marzo 2011.

P e r A P P r o F o n d I r e

u n m o d o m I g l I o r e

Semplificarsi la vitaGli autori hanno sviluppato il metodo dell’unitarietà, un’alternativa ai diagrammi di Feynman. Questa tecnica sfrutta principi fondamentali della meccanica quantistica per riunire numerosi diagrammi di Feynman, rendendo possibili calcoli che un tempo erano intrattabili.

Questo metodo ha rivelato proprietà del mondo fisico che erano implicite nelle attuali teorie ma si perdevano negli sciami di diagrammi di Feynman. L’aspetto più promettente è la possibilità di incorporare la forza di gravità, che ha resistito ai precedenti tentativi di spiegarla. La gravità può essere mediata da particelle note come gravitoni, che mostrano una notevole somiglianza con i gluoni; anzi, matematicamente ogni gravitone è come due copie di un gluone unite come in quelle corse a coppie in cui la gamba destra di un corridore è legata alla gamba sinistra dell’altro.

=Gravitone

Gluone

Gluone

Le fluttuazioni quantistiche dello spazio e del tempo sono molto più innocue

di quanto si ritenesse