Fiori - Scopi e Metodi

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SOCIETÀ ITALIANA DI STORIA DEL DIRITTO 1 SCOPI E METODI DELLA STORIA DEL DIRITTO E FORMAZIONE DEL GIURISTA EUROPEO Incontro di studio Padova 25-26 novembre 2005 a cura di Luigi Garofalo estratto JOVENE EDITORE NAPOLI 2007

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A study on the role of good faith in the tradition of civil law

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  • SOCIET ITALIANA DI STORIA DEL DIRITTO

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    SCOPI E METODI DELLA STORIA DEL DIRITTO

    E FORMAZIONE DEL GIURISTA EUROPEO

    Incontro di studio Padova 25-26 novembre 2005

    a cura di

    Luigi Garofalo

    estratto

    JOVENE EDITORE NAPOLI 2007

  • ROBERTO FIORI

    STORICIT DEL DIRITTO E PROBLEMI DI METODOLESEMPIO DELLA BUONA FEDE OGGETTIVA

    SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La communis opinio sullorigine dei iudicia bo-nae fidei. 3. Gli argomenti della teoria della recezione. 4. Criticadella teoria della recezione. 5. Le basi ideologiche della teoria dellabona fides etica. a) La cultura giuridica pre-positivistica. 6. Le basiideologiche della teoria della bona fides etica. b) Il positivismo. 7. Linfluenza del positivismo sulla romanistica. 8. La reciproca in-fluenza di romanistica e civilistica. 9. Conclusioni. Lutilit di un ap-proccio interdisciplinare.

    1. Premessa.

    Nel ringraziare gli organizzatori per linvito rivoltomi di par-tecipare a questo incontro, sento il dovere di chiarire preliminar-mente il senso e lobiettivo del mio contributo.

    Il tema del convegno tocca un problema pressante, checoinvolge tutti gli storici del diritto, in un momento nel qualesembrerebbe che da pi parti si intenda indirizzare lo studio elinsegnamento delle materie giuridiche sempre pi verso unaloro immediata applicabilit, sacrificando, o almeno compri-mendo, gli spazi tradizionalmente riservati a quel bagaglio di co-noscenze teoriche che ha sempre caratterizzato talora costi-tuendone la potissima pars la formazione del giurista.

    Io credo che la riflessione sul nostro ruolo e sui nostri obiet-tivi debba passare preliminarmente attraverso una verifica deimetodi tradizionali di ricerca. In particolare, riterrei che parlonaturalmente da romanista dopo lesegesi interpolazionistica, ilrecupero umanistico del ruolo delle personalit dei giuristi, la

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    ricostruzione del dialogo tra le forme giuridiche e le struttureeconomiche, sociali e culturali, si debba compiere un passoavanti verso un approccio ancora pi storicistico dellanalisi, checollochi allinterno della ricerca storica le stesse categorie dog-matiche dellinterprete.

    Credo in altri termini che, partendo dalla consapevolezzadella storicit del fenomeno giuridico, lo storico del dirittodebba interrogarsi in primo luogo sul rapporto tra loggetto delproprio studio e lo strumentario utilizzato, che nella maggio-ranza dei casi il bagaglio del giurista moderno, e che spesso vieneinconsapevolmente e anacronisticamente impiegato per rico-struire lesperienza del passato. Si tratta, ovvio, di unimposta-zione non nuova, basti pensare agli studi di Riccardo Orestano.Ma un approccio che noi storici del diritto tendiamo pi a con-dividere in teoria che a impiegare nel concreto della ricerca. Ri-terrei invece che una sua applicazione su scala pi ampia permet-terebbe una migliore comprensione sia delle esperienze giuridi-che del passato, sia del loro rapporto con la dogmatica attuale.

    Il mio intervento si muove in questa direzione. Eviter undiscorso espressamente metodologico, perch credo che gli stessiproblemi di metodo siano meglio evidenziati dal concreto dellaricerca, per quanto sommariamente esposta. Tratter dunque diun tema specifico, scelto a titolo di exemplum, sul quale sto la-vorando ormai da anni nellmbito di una ricerca non ancoraconclusa. bene chiarire che non intendo fornire, al riguardo,alcuna trattazione esauriente della materia, che in questa sede sa-rebbe fuori luogo; n analizzare alcun testo, come pure sarebbenecessario qualora si volesse discutere ex professo della que-stione. Mi limiter ad esporre alcune considerazioni nate dalsemplice coordinamento di posizioni che sono gi emerse maisolatamente in dottrina.

    2. La communis opinio sullorigine dei iudicia bonae fidei.

    Il tema prescelto quello della buona fede cd. oggettiva edel suo rapporto con le sfere delletica e del diritto. questa una

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    materia che pu risultare ai nostri fini di un certo interesse per-ch, leggendo i contributi della dottrina romanistica e civilistica,si nota una completa e per certi versi, direi, sospetta sintonianel qualificare la nozione come una sorta di clausola in bianco,una valvola entro la quale lordinamento d ingresso, al suo in-terno, a valori etici extra-giuridici.

    Questa caratteristica, peraltro, non avrebbe soltanto una va-lenza dogmatica, ma anche storica, nel senso che affermano iromanisti, e ripetono alcuni civilisti, almeno quelli pi attenti aldato storico la stessa genesi della bona fides sarebbe extra-giu-ridica. La nozione avrebbe infatti trovato spazio, nellesperienzaromana, attraverso lopera del pretore, il quale assumendocome criterio-guida il principio dellaequitas avrebbe gradual-mente attribuito rilievo giuridico a un principio sostanzialmenteetico, garantendo ad alcuni rapporti una tutela basata sullabuona fede, inizialmente sul piano del ius honorarium. Successi-vamente e su come ci sia avvenuto le opinioni si dividono labona fides sarebbe entrata nel ius civile.

    Questa la communis opinio, diffusa non solo nei manuali,ma anche nella maggior parte della letteratura monografica, conqualche tutto sommato rara, bench autorevole eccezione (inpassato soprattutto Giuseppe Grosso, pi di recente Javier Pari-cio, e da ultimo Filippo Gallo1).

    1 G. GROSSO, Recensione a Festschrift P. Koschaker, in SDHI, VIII, 1942, ora inScritti storico-giuridici, IV, Recensioni e ricordi, Torino, 2001, 175; ID., Recensione a Ae-quitas und Bona Fides. Festgabe zum 70. Geburtstag von A. Simonius, in Rivista di fi-lologia classica, 1956, ora in Scritti, cit., IV, 419 ss.; ID., Recensione a L. LOMBARDI, Dallafides alla bona fides, in BIDR, LXV, 1962, ora in Scritti, cit., IV, 507 ss.; ID., Problemigenerali del diritto attraverso il diritto romano2, Torino, 1967, 64 ss.; ID., Riflessioni suius civile, ius gentium, ius honorarium nella dialettica fra tecnicismo-tradizionalismo giu-ridico e adeguazione allo sviluppo economico e sociale in Roma, in Studi in memoria di G.Donatuti, I, Milano, 1973, ora in Scritti storico-giuridici, I, Storia diritto societ, Torino,2000, 935 ss.; J. PARICIO, Sobre el origen y naturaleza civil de los bonae fidei iudicia, inEstudios B.M.R. Yanes, II, Burgos, 2000, 187 ss.; F. GALLO, Bona fides e ius gentium, inL. GAROFALO (ed.), Il ruolo della buona fede oggettiva nellesperienza giuridica storica econtemporanea. Atti del Convegno internazionale di studi in onore di A. Burdese (Padova- Venezia - Treviso, 14-15-16 giugno 2001), II, Padova, 2003, 115 ss. Altre indicazionibibliografiche in R. FIORI, Ius civile, ius gentium, ius honorarium. Il problema dellarecezione dei iudicia bonae fidei, in BIDR, CI-CII, 1998-1999, 165 ss., spec. nt. 1.

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    Chi intenda approfondire il problema, tuttavia, si trova di-nanzi a una serie di dati piuttosto divergenti, e cio che non esi-ste una sola fonte per cos dire definitoria che metta diret-tamente in connessione la bona fides con il ius honorarium, men-tre tutti i testi a noi pervenuti sono concordi nel ricondurre iiudicia bonae fidei al ius civile; che le formule delle azioni nonsono precedute dalla clausola edittale che caratterizza le azionipretorie e hanno nellintentio un oportere (ex fide bona); che li-potesi di una derivazione onoraria fondata su testi di interpre-tazione non univoca, dai quali si tenta di desumere indiretta-mente una originaria valenza pretoria della bona fides.

    Naturalmente questo stato di cose non di per s un suffi-ciente motivo di critica della dottrina dominante, ma certo in-duce almeno a interrogarsi sia sulle ragioni di una teoria total-mente sprovvista di prove testuali affidabili, sia e, verrebbe dadire, soprattutto sul perch di una sua tanto ampia diffusione.

    3. Gli argomenti della teoria della recezione.

    La teoria in questione stata sviluppata da diversi autori soprattutto Moriz Wlassak, Max Kaser, Wolfgang Kunkel, An-dr Magdelain e Franz Wieacker2 con sfumature differenti chequi non possiamo analizzare in dettaglio3.

    Limitiamoci a rilevare sinteticamente che le posizioni sonoessenzialmente due.

    2 M. WLASSAK, Zur Geschichte der negotiorum gestio, Jena, 1879, 153 ss.; M. KA-SER, Mores maiorum und Gewohnheitsrecht, in ZSS, LIX, 1939, 52 ss., spec. 67 ss.; ID.,Die Anfnge der manumissio und das fiduziarisch gebundene Eigentum, in ZSS, LXI,1941, 153 ss., spec. 181 ss.; ID., Das altrmische Ius. Studien zur Rechtsvorstellung undRechtsgeschichte der Rmer, Gttingen, 1949, 289 ss.; ID., Recensione ad A. MAGDE-LAIN, Les actions civiles, in ZSS, LXXI, 1954, 430 ss., spec. 436 ss.; ID., Das rmische Zi-vilprozessrecht, Mnchen, 1966, 109 ss.; ID., Das rmische Privatrecht2, I, Mnchen,1971, 202 s., 207, 485 s.; ID., Ius honorarium und ius civile, in ZSS, CI, 1984, 30 ss., 83ss.; M. KASER - K. HACKL, Das rmische Zivilprozessrecht2, Mnchen, 1996, 153 ss.; W.KUNKEL, Fides als schpferisches Element im rmischen Schuldrecht, in Festschrift P. Ko-schaker, II, Weimar, 1939, 1 ss.; A. MAGDELAIN, Les actions civiles, Paris, 1954, 42 ss.;F. WIEACKER, Zur Ursprung der bonae fidei iudicia, in ZSS, LXXX, 1963, 1 ss.

    3 Rinvio pertanto a R. FIORI, Ius civile, ius gentium, ius honorarium, cit., 165 ss.

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    Il Wlassak parte dal rilievo della presenza, in et classica,per determinati rapporti, di formulae in factum accanto alle for-mulae in ius dei iudicia bonae fidei, e conseguentemente pensa aduna successione storica delle seconde alle prime, motivandola so-prattutto con la supposta esigenza di trasformare i rapporti inius in senso proprio.

    Gli altri autori hanno invece ipotizzato una trasformazionedella stessa formula con oportere ex fide bona da pretoria a civile.Punto di partenza di questa ipotesi laffermazione secondo laquale tutte le actiones civiles deriverebbero dalla lex. Perci, po-sto che Cicerone avrebbe definito i iudicia bonae fidei come iudi-cia sine lege (off. 3, 61), loportere ex fide bona potrebbe essereinterpretato solo come (originariamente) onorario: il pretore pe-regrino avrebbe trasformato il vincolo della fides impegnativonon solo per i romani, ma anche per i peregrini da dovere eticoin obbligo giuridico, determinando una contrapposizione tra ilsemplice oportere civilistico, detto ex lege, e loportere pretorio,detto ex fide bona. La civilizzazione dei iudicia bonae fidei sa-rebbe invece frutto dellopera dei prudentes, indirizzati o, ad-dirittura, tratti in inganno dallassenza di una clausola edittalee dalla presenza, invece, di un oportere: lorigine onoraria di que-stultimo, denunciata dalla clausola ex fide bona, sarebbe stata in-fatti dimenticata dai giuristi perch risalente alla sfera pi anticadellattivit del pretore, al punto che la bona fides si sarebbe po-tuta trasformare, da fondamento della pretesa, in mero criteriodi quantificazione. E, da un punto di vista formulare, si imma-ginata lesistenza, alle origini, di formulae in fidem conceptae che per alcuni sarebbero sfuggite allalternativa civile-pretoria4, eper altri sarebbero state senzaltro formulae in factum5 che poisi sarebbero evolute in formulae in ius.

    4 M. KASER, Das altrmische Ius, cit., 293; ID., Das rmische Privatrecht, cit., 462e nt. 22; ID., Studien zum rmischen Pfandrecht, II, Actio pigneraticia und actio fiduciae,in TR, XLVII, 1979, 320 s.; ID., Ius honorarium und ius civile, cit., 29, secondo il qualeesse apparterrebbero ad un periodo in cui non era ancora nata la contrapposizione traius civile e ius honorarium.

    5 F. WIEACKER, Rmische Rechtsgeschichte, I, Mnchen, 1988, 3 e 458.

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    4. Critica della teoria della recezione.

    Non questa la sede per entrare in una discussione criticapuntuale delle posizioni di questa dottrina6. Basti qui evidenziarealcune difficolt.

    Rispetto alla posizione del Wlassak, le motivazioni intravisteper la recezione sono troppo generiche per essere probanti: ci sidovrebbe chiedere perch unanaloga esigenza di creare ius insenso proprio non sia stata avvertita rispetto ad istituti altret-tanto importanti del diritto pretorio (si pensi allin bonis habereo alla bonorum possessio). Il fatto poi che in epoca storica convi-vano, a tutela dei medesimi rapporti civilistici, formule in ius eformule in factum non un argomento per immaginare una ori-ginaria natura pretoria dei rapporti. Al contrario, ci dimostrache, mentre non possibile creare una tutela civilistica per rap-porti onorari, sempre possibile tutelare rapporti civilistici in viapretoria, mediante formule in factum: sufficiente che nella for-mula si faccia riferimento non al ius civile, ma al solo evento sto-rico. Perci, anche ammettendo una originaria tutela dei rap-porti attraverso strumenti pretori il che, si noti, tutto da di-mostrare ci non sarebbe comunque sufficiente per affermareun fondamento onorario dei rapporti sostanziali.

    Rispetto alla teoria pi recente, appare assai discutibile in-nanzi tutto lipotesi di una formula pretoria in fidem concepta.Da un lato, difficile immaginare una formula in fidem conceptache non sia n in ius n in factum concepta, che sia cio un me-dio termine tra il diritto e il non-diritto. Dallaltro, non si vedecome si possa inserire un parametro di ampliamento del giudiziocome la fides in una formula in factum che per sua stessa natura vincolando il giudice al tenore letterale della formula uniudicium strictum. In secondo luogo, lipotesi di un errore dellagiurisprudenza nel ricondurre i iudicia bonae fidei al ius civile poco credibile, poste tutte le differenze formali tra azioni civili e

    6 Per maggiori approfondimenti cfr. R. FIORI, Ius civile, ius gentium, ius honora-rium, cit., 170 ss.

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    onorarie, prima fra tutte la presenza, nelleditto, della clausolaedittale. Lunica possibilit sarebbe quella di ammettere una co-sciente creazione, da parte dei prudentes, di nuovi istituti di iuscivile; il che, a mio avviso, incompatibile con la rappresenta-zione che i giuristi romani avevano del proprio ruolo.

    5. Le basi ideologiche della teoria della bona fides etica. a) Lacultura giuridica pre-positivistica.

    Lipotesi dellorigine pretoria dei iudicia bonae fidei presentadunque, anche ad una prima ricognizione, una serie di problemidifficilmente superabili. Poste simili premesse, mi appare impos-sibile non interrogarsi sul perch una simile teoria si sia affer-mata e abbia trovato una cos ampia diffusione. Io credo che perrispondere a questo interrogativo sia necessario andare oltre lasoglia storica del diritto romano e tentare di verificare se, sullaformazione di questa dottrina, non abbiano influito categorie in-terpretative estranee alla realt antica.

    Se ci si rivolge allesperienza intermedia e qui dovremo es-sere ancora pi rapidi di quanto siamo stati sinora, limitandoci abrevi accenni: ma si tratta di cose note ci si accorge che lideadi una buona fede etica in realt assai recente.

    Nel diritto medievale, la buona fede contrattuale assume es-senzialmente due forme. In un primo senso, opposta al dolo, ein ci inerisce a tutti i contratti; in un secondo senso, consiste inquellinsieme di regole che attiene al contratto anche se le partinon si siano al riguardo pronunciate, e questa valenza limitataai iudicia bonae fidei7. Soprattutto in questo secondo senso, per,i giuristi medievali tendono a ricondurre la nozione di bona fidesallinterno del pi ampio concetto di aequitas, dilatando i legamigi individuati dai giuristi romani tra bona fides e bonum et ae-

    7 J. GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, in R. ZIM-MERMANN - S. WHITTAKER (ed.), Good Faith in European Contract Law, Cambridge,2000, 95 ss.

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    quum8. La nozione medievale di aequitas mi riferisco al con-cetto cos come disegnato dai civilisti non per un concettoetico, n un elemento residuale che vive ai margini della legge,bens la stessa linfa dellordinamento, che permea di s la legge,lopera degli interpreti e lattivit dei giudici, e che coincide conlordine stesso della realt cos come creata da Dio9: aequitas inrebus ipsis percipitur10. Nellopposizione tra ius strictum ed aequi-tas non bisogna vedere lantitesi tra giuridico e non-giuridico (otra legale ed extra-legale), quanto piuttosto tra lettera e spiritodella norma11.

    Daltronde, per i giuristi medievali, davvero cogente senon addirittura solo laequitas espressamente accolta dal legisla-tore nellordinamento (aequitas scripta)12 solo laequitas che,bench non codificata (rudis), sia almeno desumibile per analo-gia (anche contra legem) da altre leges13; e, in ogni caso, quandonon vi sia alcuna corrispondenza tra ratio e verba, la prima con-siderata giuridicamente irrilevante14.

    Perci la buona fede, in quanto espressione di aequitas, tutta interna al giuridico. Anzi, interessante notare che la mag-gioranza delle sue regole sono avvertite come cos strutturali ri-

    8 Cfr. per tutti A. BECK, Zu den Grundprinzipien der bona fides im rmischenVertragsrecht, in Aequitas und Bona Fides. Festgabe zum 70. Geburtstag von A.Simonius, Basel, 1955, 9 ss.; N. HORN, Aequitas in den Lehren des Baldus, Kln - Graz,1968, 171; J. GORDLEY, Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 95e nt. 8.

    9 Cfr., con particolare attenzione al dato antropologico, P. GROSSI, Lordine giuri-dico medievale, Roma - Bari, 1995, 175 ss. (che vi vede influenze neoplatoniche; con-trario E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale, II, Il basso Medioevo, Roma, 1995,93); E. CORTESE, Tra glossa, commento e umanesimo, in Scritti, II, Spoleto, 1999, 1066 ss.

    10 Cfr. E. CORTESE, La norma giuridica. Spunti teorici nel diritto comune classico,II, Milano, 1964, 30 nt. 71.

    11 E. CORTESE, La norma giuridica, II, cit., 297.12 E. CORTESE, La norma giuridica, II, cit., 331 ss. (Bulgaro e la sua scuola). C.

    3.1.8 veniva cos spiegato riferendo ad esso laequitas scripta, e C. 1.14.1 pensando al-laequitas rudis (cfr. Rogerio, in E. CORTESE, La norma giuridica, II, cit., 338 e nt. 78)

    13 la posizione di Martino e della sua scuola, rispetto alla quale seguo linter-pretazione di E. CORTESE, La norma giuridica, II, cit., 323 ss. (con riferimenti alle tesidiverse).

    14 E. CORTESE, La norma giuridica, II, cit., 303, 317 s.

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    spetto a taluni tipi contrattuali, da essere sostanzialmente versatein una nozione gi impiegata dai giuristi romani, ma che assumeora una pregnanza nuova e pi profonda, quella di natura con-tractus15.

    Diversa, naturalmente, la concezione canonistica dellae-quitas, secondo la quale lequit, non potendo prescindere dallacoscienza del cristiano, potr portare ad una disapplicazione deldiritto vigente ogni volta che la regola giuridica sia in contrastocon la misericordia16. Coincidendo, in definitiva, con gli stessiprincpi del diritto canonico17, essa d vita ad una sorta di ordi-namento parallelo che svolge un ruolo correttivo analogo aquello proprio del ius honorarium nellesperienza romana, e chenella storia ha fondato sistemi separati dal diritto civile18 che co-stituiscono altrettanti ordinamenti, come lequity inglese, natacome diritto di grazia regio per sopperire alle (e disapplicare le)rigidit del common law19, ed amministrata da cancellieri chesino al XVI secolo sono ecclesiastici.

    15 Sul rapporto tra buona fede e natura contractus cfr. soprattutto J. GORDLEY,Good faith in contract law in the medieval ius commune, cit., 103 ss., che tuttavia tendea confonderla con la vicina, ma distinta, categoria dei naturalia contractus. Sulla for-mazione della nozione di natura contractus cfr. per tutti P. GROSSI, Sulla natura delcontratto, in Quaderni Fiorentini, XV, 1986, 593 ss.; R. VOLANTE, Il sistema contrattualedel diritto comune classico, Milano, 2001, 332 ss.; R. FIORI, Il problema delloggetto delcontratto nella tradizione civilistica, in AA.VV., Modelli teorici e metodologici nella sto-ria del diritto privato, Napoli, 2003, 188 ss.

    16 Mi limito a richiamare P.G. CARON, Aequitas romana, misericordia patristica edepieicheia aristotelica nella dottrina dellaequitas canonica (dalle origini al Rinasci-mento), Milano, 1971.

    17 Cfr. per tutti P. FEDELE, voce Equit canonica, in Enc. dir., XV, Milano, 1966,147 ss.

    18 Cfr. per tutti H. COING, English Equity and the Denunciatio Evangelica of theCanon Law, in LQR, LXXI, 1955, ora in Gesammelte Aufstze zu Rechtsgeschichte,Rechtsphilosophie und Zivilrecht, I, Frankfurt am Main, 1982, 158.

    19 Cfr. per tutti H. COING, English Equity, cit., 158 ss.; R.A. NEWMAN, Equity andLaw: a Comparative Study, New York, 1961, 26 ss.; J.L. BARTON, Equity in the MedievalCommon Law, in R.A. NEWMAN (ed.), Equity in the Worlds Legal Systems. A Compara-tive Study dedicated to Ren Cassin, Brussels, 1973, 143 ss.; P. GROSSI, Lordine giuridicomedievale, cit., 217 e nt. 32 (con bibl.); G. CRISCUOLI, Introduzione allo studio del dirittoinglese. Le fonti3, Milano, 2000, 162 ss. (che per lega la misericordia alla concezionecostantiniana dellaequitas, e che non condivisibile nellanalisi della nozione romana).

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    Al di l del ridimensionamento dei fondamenti teologici del-laequitas, il quadro non muta molto almeno ai nostri fini nelpensiero degli scrittori del Cinquecento, francesi e italiani20. Ri-spetto al nostro tema, nella dottrina giuridica francese sembre-rebbe potersi solo sottolineare una maggiore attenzione sottola spinta del modello aristotelico al profilo di una tendenziale21proporzionalit tra le prestazioni, cos da trasformare laequitasin aequalitas22.

    Al contrario, con il giusnaturalismo di area tedesca laequa-litas assume un rilievo di gran lunga maggiore23. Ci determineruna serie di conseguenze significative.

    Innanzi tutto la tendenza dellaequalitas a coincidere, al-meno idealmente, con la natura contractus, cos da enfatizzare ilrapporto gi esistente, ma meno essenziale tra le regoledella buona fede e la proporzionalit contrattuale24. Su questo

    20 Cfr., in generale, V. PIANO MORTARI, Aequitas e ius nellumanesimo giuridicofrancese, in Atti Accademia Lincei, CCCXCIV (Memorie, s. IX, vol. IX, fasc. 2), Roma,1997, 141 ss.; per la scienza tedesca cfr. lampio quadro di G. WESENER, Aequitas na-turalis, natrliche Billigkeit, in der privatrechtlichen Dogmen- und Kodifikationsgeschi-chte, in M. BECK-MANNAGETTA - H. BHM - G. GRAF (ed.), Der Gerechtigkeitsanspruchdes Rechts. Festschrift Th. Mayer-Maly, Wien - New York, 1996, 81 ss.

    21 Nel senso che la proporzionalit tra le prestazioni non si raggiunge di regolain termini reali, dato che i contratti bilaterali o plurilaterali non avrebbero senso seconfigurassero lidentit assoluta delle prestazioni (E. CORTESE, Tra glossa, commentoe umanesimo, cit., 1087).

    22 E. CORTESE, Tra glossa, commento e umanesimo, cit., 1086 ss. Il rapporto tra ledue nozioni era comunque gi stato impostato nella dottrina medievale: cfr. P. GROSSI,Ricerche sulle obbligazioni pecuniarie nel diritto comune, Milano, 1960, 157 ss.

    23 Nonostante una certa comunanza di fonti e di problemi, anche rispetto allae-qualitas: cfr. U. PETRONIO, Sinallagma e analisi strutturale dei contratti allorigine del si-stema contrattuale moderno, in J. BARTON (ed.), Towards a General Law of Contract,Berlin, 1990, 241 ss.

    24 Sulla nozione di natura contractus nei giusnaturalisti cfr. per tutti H. DEGROOT, De iure belli ac pacis libri tres, II, 12, 8 ss. (ed. cur. B.J.A. DE KANTER-VAN HET-TINGA TROMP, Lugduni Batavorum, 1939, 344 ss.); S. PUFENDORF, De jure naturae acgentium, cit., V, 3, 1 ss. (ed. Francofurti et Lipsiae, 1759, 702 ss.). In Grozio e Pufen-dorf la distinzione actus bonae fidei - stricti iuris tende ad essere relegata nella storia:cfr. H. DE GROOT, De iure belli ac pacis, cit., II, 16, 11 (ed. cit., 412); S. PUFENDORF, Dejure naturae ac gentium, cit., V, 2, 9 (ed. cit., 697) (che propone di tradurla nella di-versa distinzione tra contratti onerosi e gratuiti). Alcune regole della bona fides ten-

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    rapporto, peraltro, si innesta una propensione, determinata an-cora una volta da un recupero umanistico delle proposizioni diAristotele e della sua nozione di epiecheia25, a sottolineare le ca-ratteristiche dellequit come giustizia del caso concreto. Unacontaminazione che a differenza di quanto avverr in seguito in questa fase ancora corretta nel restituire il pensiero del filo-sofo greco, che non contrapponeva lequit alla legge, ma la con-cepiva piuttosto come precisazione e adattamento migliorativo26della generalit della regola legislativa alle peculiarit della sin-gola fattispecie.

    In secondo luogo, la bona fides (come nozione) non solomanterr la tradizionale opposizione con il dolo, che viene riletta per la verit in una direzione non del tutto nuova, se si pensaalla nozione gi medievale del dolus re ipsa27 nella prospettivadellaequalitas28, ma si legher invece assai pi di prima al man-tenimento della parola data29. Ci probabilmente sia per la rece-zione giusnaturalistica naturalmente, con le modificazioni deri-vanti da un approccio maggiormente laico dellimpostazione

    dono invece ad essere trattate in relazione alla tematica del consenso: cos, Pufendorftratta autonomamente sia la materia dei termini impliciti del contratto che discuterispetto al consenso richiesto nei patti: occorre tener conto anche di ci che risultaoggettivamente dal rapporto, ex negotii natura, come da un consenso tacito, pur se neilimiti delle consuetudini commerciali, per evitare lincertezza nei traffici (ID., De iurenaturae ac gentium, cit., III, 6, 2 [ed. cit., 379 ss.]) sia quella del dolus malus (ID., Deiure naturae ac gentium, cit., III, 6, 8-9 [ed. cit., 388 ss.]).

    25 S. PUFENDORF, De jure naturae ac gentium, cit., V, 12, 21 (ed. cit., 835 s.), checita Arist. eth. Nic. 5.10.6.

    26 questo il valore di epanrthma in Arist. eth. Nic. 5.10.3, non certo quellodi correzione (oppositiva).

    27 Su cui cfr. per tutti M. BELLOMO, voce Dolo (diritto intermedio), in Enc. dir.,XIII, Milano, 1964, 729 ss. e nt. 46.

    28 H. DE GROOT, De iure belli ac pacis, cit., II, 12, 9 (ed. cit., 344 s.), ove si ri-conducono allaequalitas gli esempi di Cicerone (off. 3, 50 ss.) in relazione alla bonafides e al dolus in contrahendo. Sul rapporto dolo-aequalitas in Grozio cfr. M. BRUTTI,La problematica del dolo processuale nellesperienza romana, I, Milano, 1973, 78.

    29 La fides connessa essenzialmente al rispetto dei pacta: cfr. H. DE GROOT, Deiure belli ac pacis, cit., II, 11, 1 e 18 (ed. cit., 326 ss. e 337 s.); in connessione con il giu-ramento, ID., De iure belli ac pacis, cit., II, 13, 1 e 13; II, 16, 1 (ed. cit., 359 ss., 408);S. PUFENDORF, De jure naturae ac gentium, cit., III, 4, 1-2 (ed. cit., 357 ss.).

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    canonistica del consenso come meccanismo di per s obbli-gante30; sia per la contestuale rivalutazione determinata da ra-gioni umanistiche e nazionalistiche insieme dellantica fidesgermanica, contrapposta alla subtilitas romana, come impegno amantenere i pacta31.

    6. Le basi ideologiche della teoria della bona fides etica. b) Ilpositivismo.

    Tra il XVII e il XVIII secolo iniziano tuttavia a profilarsi lepremesse per quella visione del giuridico che nel secolo succes-sivo prender il nome di positivismo. Si tratta di vicende notis-sime, e dunque baster accennarvi.

    In particolare in Francia, soprattutto a seguito dellemergeredellassolutismo monarchico, si affermano il principio della divi-sione dei poteri, della subordinazione dellinterpretazione e

    30 Per ovvie ragioni di sintesi, non entro nel merito del problema canonistico, ri-spetto al quale certo bisogna evitare semplificazioni e tener conto anche del rilievo dinozioni oggettive come quella di causa (come avvertiva gi G. ASTUTI, voce Contratto[diritto intermedio], in Enc. dir., IX, Milano, 1961, ora in Tradizione romanistica e ci-vilt giuridica europea, III, Napoli, 1984, 1918, 1937 s.) oltre che della peculiare pro-spettiva del diritto canonico, preoccupato non di affermare il dominio della volontma di tutelare la salute delle anime, e dunque di scongiurare il mendacium (P. FEDELE,Considerazioni sulla natura dei patti nudi nel diritto canonico, in Annali Macerata, XI,1937, 5 ss.): sar piuttosto la Seconda scolastica a rileggere questo approccio in chiavesoggettivistica (mi sia permesso di rinviare a R. FIORI, Il problema delloggetto del con-tratto, cit., 208 ss.), influenzando il giusnaturalismo. Su questo ultimo passaggio, cfr.per tutti G. ASTUTI, voce Contratto, cit., 1945 ss.; F. CALASSO, Il negozio giuridico2, Mi-lano, 1967, 334 ss.; F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno con particolare ri-guardo alla Germania, I, Milano, 1980 (ed. or. Privatrechtsgeschichte der Neuzeit unterbesonderer Bercksichtigung der deutschen Entwicklung2, Gttingen, 1967), 445 s.; ID.,Contractus und obligatio im Naturrecht zwischen Sptscholastik und Aufklrung, inAA.VV., La Seconda Scolastica nella formazione del diritto privato moderno. Atti Firenze1972, Milano, 1973, 223 ss.; P. CAPPELLINI, Negozio giuridico, cit., 104 ss., nonch, perun maggior approfondimento, M. DIESSELHORST, Die Lehre des Grotius vom Verspre-chen, Kln - Graz, 1959, spec. 4 ss. sui precedenti di Grozio.

    31 I. BIROCCHI, La questione dei patti nella dottrina tedesca dellUsus modernus, inJ. BARTON (ed.), Towards a General Law of Contract, cit., 147 ss. (Paesi Bassi) e 158 ss.(Germania).

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    dunque del giudice alla legge, di questultima come criterioprimario dello Stato di diritto. E in mbito germanico, nono-stante il maggiore ritardo dellaccentramento assolutistico, nonsolo prende forma lidea del diritto come sistema potenzialmentecompleto, perch capace di colmare per via logico-dimostrativale proprie lacune, ma si afferma anche quella separazione del di-ritto (positivo e naturale) dalla teologia morale che sar svilup-pata nella distinzione kantiana tra etica e diritto32.

    Ora, il giusnaturalismo aveva letto laequalitas, e dunque leregole della buona fede, come un principio di diritto naturale, os-sia secondo la tradizione come una nozione giuridica. Il po-sitivismo, invece, sposta il diritto naturale nella sfera della morale;il che determina una serie di conseguenze assai rilevanti. Innanzitutto il superamento della concezione tradizionale dellaequitascome linfa dellordinamento a favore di una diversa nozione sedeterminata da influenza canonistica, non saprei dire dellequitcome correttivo dellordinamento. In secondo luogo, la nascita diuna buona fede pienamente etica, in quanto principio di dirittonaturale. Infine, il riconoscimento della lex come fonte primariadi produzione normativa e la conseguente identificazione del di-ritto con il diritto positivo riconducibile al legislatore.

    Questa ideologia ha avuto riflessi sia sulla teoria che sullapratica.

    In Germania si assiste, nellOttocento, ad un sostanziale si-lenzio della pandettistica tedesca sul problema della buona fedecd. oggettiva33, mentre le concrete esigenze della vita economica

    32 Per una visione sintetica di questi problemi, cfr. per tutti H. WELZEL, Di-ritto naturale e giustizia materiale, Milano, 1965 (ed. or. Naturrecht und materialeGerechtichkeit. Prolegomena zu einer Rechtsphilosophie2, Gttingen, 1962), 161 ss.;F. WIEACKER, Storia del diritto privato moderno, II, cit., 1 ss.; e soprattutto G. TARELLO,Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna,1976, passim.

    33 sufficiente rinviare, sul punto, a quanto scritto da D. CORRADINI, Il criteriodella buona fede e la scienza del diritto privato dal codice Napoleonico al codice civile ita-liano del 1942, Milano, 1970, 111 ss., 132 ss., 177 ss.: al di l della nota controversiatra Bruns e Wchter, che porter ad una precisa distinzione tra buona fede cd. sog-gettiva e oggettiva, lattenzione dei pandettisti indirizzata essenzialmente alla buona

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    parrebbero essere risolte dalla giurisprudenza passando nonespressamente per il criterio della buona fede, ma per limpiegodello strumento parzialmente coincidente dellexceptio doli34.Uno stato di cose che non muta nei primi anni successivi allen-trata in vigore del BGB, dove pure il legislatore inserisce alcuniparagrafi sulla Treu und Glauben35, non immediatamente valoriz-zati dalla dottrina e dalla giurisprudenza fino al momento in cuila crisi economica successiva alla prima guerra mondiale spin-ger luna e laltra ad utilizzare il principio come clausola gene-rale (anche) equitativa36.

    In Francia, nellOttocento, la situazione teoricamente mi-gliore, perch le regole di buona fede sono principi codificati,cosicch gli interpreti possono considerarle quale diritto posi-tivo37. Ma a partire dalla fine del secolo le conseguenze dellim-

    fede possessoria, mentre la buona fede nei contratti viene vista come un valore etico,come tale estraneo al sistema giuridico.

    34 Cfr. F. RANIERI, Dolo petit qui contra pactum petat. Bona Fides und stillschwei-gende Willenserklrung in der Judikatur des 19. Jahrhunderts, in Ius Commune, IV,1972, 177 ss.; ID., Alienatio convalescit. Contributo alla storia ed alla dottrina della con-valida nel diritto dellEuropa continentale, Milano, 1974, 39 ss.; ID., voce Eccezione didolo generale, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., VII, Torino, 1991, 315 ss.; R. ZIMMERMANN,Roman Law, Contemporary Law, European Law. The Civilian Tradition Today, Oxford2001, 86 ss.

    35 Sulla formazione di questi paragrafi cfr. per tutti J. SCHMIDT, 242, in J. vonStaudingers Kommentar zum Brgerlichen Gesetzbuch12, Berlin, 1983, 26 ss. (Rn. 15 ss.).

    36 Si tratta di vicende note: cfr. per tutti la sintesi di R. ZIMMERMANN - S. WHIT-TAKER, Good Faith in European Contract Law: Surveying the Legal Landscape, in R.ZIMMERMANN - S. WHITTAKER (ed.), Good Faith in European Contract Law, cit., 20 ss.

    37 Una netta opposizione della Scuola dellesegesi ai principi di buona fede edequit, almeno in una seconda fase, ipotizzata da D. CORRADINI, Il criterio della buonafede, cit., 54 ss. (seguto, fra gli storici, da E. STOLFI, Bonae fidei interpretatio. Ricerchesullinterpretazione di buona fede fra esperienza romana e tradizione romanistica, Na-poli, 2004, 225 ss.; e, fra i civilisti, da A. DANGELO, Contratto e operazione economica,Torino, 1992, 245 ss.; ID., La buona fede, in Trattato di diritto privato diretto da M.Bessone, IV.2, Il contratto in generale, Torino, 2004, 24 ss.; M. FRANZONI, Degli effettidel contratto, II, Integrazione del contratto. Suoi effetti reali e obbligatori (artt. 1374-1381), in Il Codice Civile. Commentario a cura di Schlesinger, Milano, 1999, 177 ss.Cfr. anche F. RANIERI, voce Eccezione di dolo generale, cit., 313 ss.; D. TALLON, Le con-cept de bonne foi en droit francais du contrat, Roma, 1994, 3 s.). Ma la lettura dei trat-tati dellepoca smentisce questa impostazione: al riguardo, mi appare maggiormenteconsapevole lanalisi di G. ALPA, La buona fede integrativa: note sullandamento para-

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    postazione positivistica appaiono maggiormente marcate, e lenorme sulla buona fede e lequit vengono sostanzialmente neu-tralizzate, portando alle estreme conseguenze la divaricazionegiusnaturalistica tra la nozione di buona fede e le sue regole la prima legata al rispetto della parola data e le seconde allae-qualitas. Si giunge infatti a sostenere in completa rottura con latradizione precedente che interpretare ed eseguire un contrattosecondo buona fede significa interpretarlo ed eseguirlo in strettaaderenza allaccordo espresso dalle parti, senza tenere in alcunconto le regole dellintegrazione contrattuale. Il mutamento siavverte soprattutto in Italia, dapprima nellinterpretazione e nel-lapplicazione del codice del 1865, e poi addirittura in una primafase successiva allentrata in vigore del codice del 1942, sostan-zialmente fino agli anni sessanta del Novecento38.

    7. Linfluenza del positivismo sulla romanistica.

    in questo contesto che deve essere valutata, a mio avviso,la dottrina romanistica che, tra la fine dellOttocento e la prima

    bolico delle clausole generali, in L. GAROFALO (ed.), Il ruolo della buona fede oggettiva,cit., I, 155 ss. In generale, per una revisione di categorie storiografiche nette sul ruolodella Scuola dellesegesi cfr. di recente M. FERRANTE, Dans lordre tabli par le Code ci-vil. La scienza del diritto al tramonto dellilluminismo giuridico, Milano, 2002, spec. 255ss. Cfr. anche la giurisprudenza raccolta in E. FUZIER-HERMAN, Code civil annot, II,Paris 1891-1898, 1045 ss., 1064 s.

    38 La prima sentenza di una certa importanza viene fatta risalire al 1963: Cass.16 febbraio 1963 n. 357, in Foro it., I.1, 1963, 1768 ss.; Foro pad., 1964, I, 1283 ss., connota di S. RODOT, Appunti sul principio di buona fede. In precedenza, come avverte S.RODOT, Il principio di correttezza e la vigenza dellart. 1175 cod. civ., in Studi in onoredi E. Volterra, IV, Milano, 1971, 423 nt. 15, non devono trarre in inganno i riferimenticontenuti in alcune sentenze: sia perch, in molti casi, essi avevano un valore soltantonegativo ; sia perch, in quasi tutti gli altri casi, il richiamo alla correttezza (o allabuona fede, o alla equit) era poco pi di una espressione retorica, dal momento chela decisione era comunque possibile sulla base dello stretto diritto. questo anche ilperiodo in cui nella dottrina civilistica appaiono una serie di studi attraverso i quali sicerca di dare adeguata importanza al principio di buona fede: basti ricordare A. DIMAJO GIAQUINTO, Lesecuzione del contratto, Milano, 1967; M. BESSONE, Adempimentoe rischio contrattuale, Milano, 1969; S. RODOT, Le fonti di integrazione del contratto,Milano, 1969.

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    met del Novecento, ha immaginato una origine etica, extragiu-ridica, della bona fides romana, giuridicizzata dal pretore nelsuo editto e solo successivamente ammessa nel ius civile.

    A partire dagli studi del Kunkel, e con particolare forza inquelli del Magdelain, si affermato che tutte le actiones civilesantiche trarrebbero origine da una lex. Da questo dato statadesunta una rigida distinzione tra oportere semplice spesso de-finito oportere ex lege: ma espressione non romana39 e opor-tere ex fide bona; contrapposizione che viene usata a sua voltacome argomento per sostenere lorigine non civilistica del se-condo.

    Ora, a me sembra che lideologia positivistica sottesa a que-sta impostazione sia abbastanza evidente.

    Sappiamo infatti che anche prima delle XII tavole cerano(legis) actiones che tutelavano rapporti di ius civile: sia le pretese,sia il modus agendi rinviano ad un periodo storico in cui la lexcome strumento normativo non era ancora nata.

    In realt, i romani non contrappongono un oportere legisla-tivo ad un oportere consuetudinario coincidente con loportereex fide bona, perch essi non percepiscono un diritto legislativoa s stante: la lex solo una fonte di produzione del ius, non lafonte del diritto come il nostro bagaglio ideologico ci induce apensare40.

    abbastanza sintomatica, in questo senso, linterpretazione,che abbiamo gi richiamata41, di un famoso passo ciceroniano(Cic. off. 3.61)42. Loratore sta dicendo che il dolus malus pu-

    39 Essa compare solo in due passi di Cicerone, nei quali indica una generica ne-cessit derivante dalla legge e del tutto scollegata dalla materia delle obbligazioni (Cic.inv. 2.118; Verr. 2.1.117). Cos anche le testimonianze epigrafiche indicate da F. STURM,Oportere, in ZSS, LXXXII, 1965, 213 nt. 9 (cfr. anche M. KASER, Oportere und ius ci-vile, in ZSS, LXXXIII, 1966, 3 nt. 15).

    40 Per maggiori dettagli e argomenti, mi permetto di rinviare a R. FIORI, Iuscivile, ius gentium, ius honorarium, cit., 188 ss.

    41 Cfr. supra, 3.42 Cic. off. 3.61: atque iste dolus malus et legibus erat vindicatus, ut tutela duode-

    cim tabulis, circumscriptio adulescentium lege Plaetoria et sine lege iudiciis, in quibus ad-ditur ex fide bona.

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    nito lege, come nella tutela delle XII tavole e nella circumscriptiodella lex Plaetoria, e sine lege, nei iudicia bonae fidei43. Ebbene,linterpretazione usuale del testo da parte dei sostenitori dellori-gine pretoria dei iudicia bonae fidei che questi costituiscanosine lege iudicia44.

    Con ci, accanto alla creazione della categoria lo ripeto:assente nelle fonti delloportere ex lege, il cerchio si chiude.

    8. La reciproca influenza di romanistica e civilistica.

    Ma le interferenze tra diverse esperienze giuridiche e cultu-rali non si fermano qui.

    Allorch la giurisprudenza del XX secolo, in particolare inGermania, ha iniziato a valorizzare la clausola di buona fede, equando la dottrina ha tentato di sistematizzare la massa di deci-sioni che nel frattempo si era accumulata, lo schema dogmaticoche pi si affermato stato proposto da un romanista, FranzWieacker.

    Pochi anni prima di pubblicare il lavoro sopra discusso sul-lorigine dei iudicia bonae fidei, Wieacker aveva infatti scritto unbreve ma denso articolo sul 242 BGB, nel quale aveva fattocoincidere le funzioni della buona fede con quelle del ius hono-rarium: aiutare, supplire, correggere il diritto45. Su questa base si sviluppata la discussione successiva della dottrina civilistica te-desca, e a questo medesimo schema hanno fatto direttamente oindirettamente riferimento la dottrina e la giurisprudenza ita-liane recenti allorch hanno iniziato ad attribuire nuovamente unruolo importante alla buona fede, distinguendo tra una funzione

    43 Linterpretazione a mio avviso corretta in L. ARNDTS, Ipse dolus und quasi do-lus? (1861), ora in Gesammelte civilistische Schriften, I, Stuttgart, 1873, 403 s.; A. UB-BELOHDE, Zur Geschichte der benannten Realcontracte auf Rckgabe derselben Species,Marburg - Leipzig 1870, 81; P. DE FRANCISCI, Iudicia bonae fidei. Editti e formulae infactum, in Studi senesi, XXIV, 1906, 348 nt. 1.

    44 A. MAGDELAIN, Les actions civiles, cit., 42 ss.45 F. WIEACKER, Zur rechtstheoretischen Przisierung des 242 BGB (Recht und

    Staat 193/194), Tbingen, 1956.

  • 42 RELAZIONI

    integrativa, una funzione limitativa e una funzione correttiva delprincipio46.

    Si cos affermata limmagine alimentata dai processi sto-rici sopra sommariamente descritti di una buona fede ancorapretoria, opposta al diritto civile ed espressione di un principioequitativo di adeguamento delle regole giuridiche alle necessitdel caso concreto, in una prospettiva antitetica rispetto alla leggeche non rispetta pi la concezione aristotelica cui pure spessorinvia.

    La dottrina italiana, in particolare, ha interpretato il riferi-mento allequit come fonte di integrazione del contratto conte-nuto nellart. 1374 cod. civ. (il contratto obbliga le parti nonsolo a quanto nel medesimo espresso, ma anche a tutte le con-seguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, se-condo gli usi e lequit) nel senso di un rinvio a un parametrosoggettivo di giudizio che assegna al giudice un ruolo sostanzial-mente normativo47; ed ha attribuito un compito analogo allabuona fede richiamata nel successivo art. 1375 cod. civ.48. Senon-ch il conferimento di un ruolo normativo al giudice ha provo-cato le reazioni della civilistica pi conservatrice, che ha oppostoad una simile impostazione la necessit di preservare la certezzadel diritto49, e di conseguenza ha causato resistenze e perplessitsu alcune potenzialit della buona fede, particolarmente rispettoad mbiti controversi come, ad esempio, quello delle sopravve-nienze contrattuali.

    In realt lart. 1374 cod. civ., attraverso lart. 1135 cod. civ.fr., deriva da una quasi identica formulazione di Domat50, che a

    46 Cfr. per tutti A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale (artt. 1173-1176), inCommentario del codice civile a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna - Roma, 1988,305 ss.

    47 S. RODOT, Le fonti di integrazione del contratto, cit., 216, 222, 225; F. GAZ-ZONI, Equit e autonomia privata, Milano, 1970, spec. 70 s.; M. FRANZONI, Degli effettidel contratto, cit., 109, 130. Cfr. anche M. BESSONE, Adempimento e rischio contrat-tuale, cit., 319 s.

    48 Cfr. per tutti S. RODOT, Le fonti di integrazione del contratto, cit., 112 ss.49 Cfr. ad es., da ultimo, A. DANGELO, La buona fede, cit., 176 ss.50 J. DOMAT, Les loix civiles dans leur ordre naturel, I, 1.1.3, n. 1 (ed. Paris, 1771,

    I, 19): les conventions obligent non seulement ce qui y est exprim, mais encore

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    sua volta costituisce il precipitato di tutta la tradizione culta emedievale. Questultima, rielaborando testi romani51, ravvisavaun principio di integrazione contrattuale nella naturalis aequitas,intesa per come la razionalit intrinseca (natura, ratio), innanzi-tutto economica, del rapporto52, e non certo come le convinzioniequitative, in senso soggettivo, del giudice. Di questa razionalit

    toute ce que demande la nature de la convention; et toutes les suites que lquit, lesloix et lusage donnent lobligation o lon est entr. Cfr. anche ID., Le loix civiles,cit., I, 1.2.1, nn. 6-8 (ed. cit., 27), le fonti del regolamento contrattuale nella vendita:ci che espresso (n. 6), ci che risulta dalla natura del contratto (n. 7; citazione diGai. 3 inst. D. 44.7.2 in nt. h) e ci che deriva dalla legge, dalle consuetudini e dagliusi (n. 8; citazione di Tryph. 9 disp. D. 19.2.8 in nt. i).

    51 J. DOMAT, Les loix civiles, cit., I, 19 ntt. a-b (I, 1.1.3, n. 1) richiama Gai. 3 inst.D. 44.7.2; Ulp. 1 ad ed. aed. cur. D. 21.1.31.20; e soprattutto Ulp. 32 ad ed. D.19.1.11.1: et in primis sciendum est in hoc iudicio id demum deduci, quod praestariconvenit: cum enim sit bonae fidei iudicium, nihil magis bonae fidei congruit quam idpraestari, quod inter contrahentes actum est. quod si nihil convenit, tunc ea praestabun-tur, quae naturaliter insunt huius iudicii potestate.

    52 Cfr. soprattutto Baldo, il quale scrive che per il giudice la bona fides in adim-plendo consiste nella ricostruzione di ci che le parti hanno realizzato tra loro secondola iuris ordinatio, ossia secondo le regole che sono espresse in iure, e la naturalis ae-quitas, che va utilizzata quando sorga un dubbio su quelle regole che non sonoespresse in iure (BALDI DE UBALDIS, In quartum et quintum Cod. lib. Commentaria, adC. 4.10.4 n. 2 [ed. Parisiis, 1585, 24r-v]: in secundo autem actu [sc. in adimplendo]intelligitur bona fides et observatio eius, quod actum est inter contrahentes secundumnaturalem aequitatem, et iuris ordinationem. naturalis enim aequitas est attendenda,cum dubitatio oritur circa ea quae non sunt in iure expressa, et per hoc intelligitur iu-dici committi []. aut ordinatio attenditur in his quae in iure sunt expressa). La iu-ris ordinatio, coincidente essenzialmente con lex e consuetudo, d vita alla natura con-tractus, ossia alla struttura ordinamentale tipica (ID., In quartum et quintum Cod. lib.Commentaria, cit., ad C. 4.37.1, nn. 17-18 [ed. cit., 124r]: natura tanquam quoddamintrinsecum omnibus contractibus inest, quae natura nihil aliud est, nisi quaedam di-spositio, quam lex, vel consuetudo disposuit super contractum; ID., In VII, VIII, IX, X etXI Codicis libros commentaria, ad C. 7.51.1, n. 13 [ed. Venetiis, 1599, 66r]: in con-tractibus quatuor considerantur. Natura attributa ex simplici legis providentia. Con-suetudo quae est similis naturae (). Duo () prima vocantur natura. Cfr. anche ID.,In primam Digesti veteris partem commentaria, ad D. 2.14.27.2 pr. [ed. Venetiis, 1599,140r]: legis () artificio contractibus propriae naturae assignantur ut hic patet). Mala natura actus, la ratio intrinseca al singolo concreto contratto, data dal concorso trale fonti positive e laequitas del giudice (ID., Consilia sive responsa, I, cons. 1, 352 pr.[ed. Venetiis, 1575, 114v]: est autem natura quaedam ratio, quae inhaeret ipsi actuiper dispositionem legis, vel consuetudinis, vel aequitate iusdicentis, sive principali, siveaccessoria).

  • 44 RELAZIONI

    oggettiva, per Domat come per i medievali, parametro labuona fede53 che pure, appena il caso di ricordarlo, nonperde neanche le tradizionali connotazioni soggettive di contra-riet al dolo54.

    Il positivismo e la scarsa attenzione alla ricerca storica dellacivilistica hanno impedito di cogliere il senso della regola codici-stica, e cio il valore fortemente giuridico delle nozioni di equite buona fede. Tuttavia, bench oscurati dalla retorica positivi-stica, questi valori sono comunque presenti nella logica del si-stema, che deriva dalla tradizione, cosicch la dottrina privati-stica pi attenta sta inconsapevolmente tornando ad attribuire ri-lievo per vie per dogmaticamente non sempre coerenti con ildato codicistico, che resta incompreso alla connessione pre-po-sitivistica tra buona fede e struttura del rapporto.

    Si determina cos una sorta di circolo vizioso: la romanistica,influenzata dal positivismo, immagina unorigine e, con unoslittamento tra Urbedeutung e Grundbedeutung, una sostanza difondo pretoria ed etica della buona fede; la civilistica, da

    53 J. DOMAT, Les loix civiles, cit., I, 1.1.3, n. 12 (ed. cit., 20): il ny a aucuneespece de convention, o il ne soit sous-entendu que lun doit lautre la bonne foi,avec tous les effets que lquit peut y demander, tant en la maniere de sexprimerdans la convention, que pour lexcution de ce qui est convenu, et de toutes les suites.Et quoiquen quelques conventions cette bonne foi ait plus dtendue, et en dautresmoins, elle doit tre entiere en toutes, et chacun est oblig tout ce quelle demande,selon la nature de la convention et les suites quelle peut avoir. bene chiarire purnella sintesi necessaria in questo breve contributo che a mio avviso queste deriva-zioni testuali non implicano identit tra le diverse nozioni: laequitas medievale non lquit di Domat (come invece intende ad es. J. GORDLEY, Good faith, cit., 115, se-condo il quale for Domat, as for Baldus, equity meant equality in exchange), n lalex del giurista medievale coincide con le loix del giurista francese, o la consuetudo conle coutumes: ad es., le regole del diritto romano nel primo giurista parrebbero coinci-dere con la lex, mentre nel secondo devono essere piuttosto ricondotte allquit (cfr.G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, cit., 168 s.). Tuttavia, pur nella va-riet, la comune prospettiva pre-positivistica contrappone in blocco queste lettureallinterpretazione delle norme codicistiche vigenti, che pure da questa tradizione trag-gono origine: la discrasia tra la struttura del dettato codicistico, che conserva nozionitradizionali, e lautonomo e singolo sviluppo di ciascuna di queste ultime, ha determi-nato a mio avviso una notevole confusione nellinterpretazione dei testi.

    54 Cfr. J. DOMAT, Les loix civiles, cit., I, 1.1.3 n. 14 (ed. cit., 21).

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    parte sua, perpetua questa impostazione nel presente, fornendoalla romanistica anche contemporanea gli schemi dogmatici percontinuare a giustificare una simile impostazione.

    Al contrario, una volta identificata la matrice positivistica diquesta ricostruzione, occorre tentare di comprendere la specifi-cit delle concezioni romane.

    Questa specificit si ottiene solo ricollocando le singole espe-rienze storiche nel loro contesto economico, sociale e culturale. Eci possibile, a mio avviso, in due modi. Da un lato, sottraendotutte quelle concezioni che lanalisi diacronica mostra estranee alsegmento studiato e frutto di autoproiezioni dellinterprete. Dal-laltro, accompagnando allanalisi diacronica, per ciascuna epocastorica, unanalisi altrettanto interdisciplinare ma sincronica, dellerelazioni tra il dato giuridico e i dati offerti da altre scienze: an-tropologia, filosofia, linguistica, archeologia, teologia.

    Rispetto al nostro problema specifico, questa contestualizza-zione permette a mio avviso55 di comprendere che il ius gentium,cui si connettono i iudicia bonae fidei, sin dalle origini ius civile,in quanto parte di quel sistema di regole comuni a romani e a pe-regrini, allinterno delle quali si individuano norme riservate aiQuirites (ius Quiritium). Le regole della bona fides sono a untempo romane e internazionali come interamente romana larappresentazione di quello che stato definito il sistema sovran-nazionale romano, a capo del quale Iuppiter56 e assumonocome parametro non letica, intesa come un sistema di princpiautonomi (ossia non eteronomi) il cui rispetto si riflette sulgruppo ma riguarda in fondo lindividuo, bens linsieme dei vin-coli che obbligano il bonus vir a non venir meno al suo ruolo, se-condo un dover essere che possiamo anche definire etico, matenendo ben presente che esso incarna un valore meta-indivi-duale, eteronomo e vincolante per il cittadino, perch sostanzial-mente coincidente con levoluzione dei mores, etici e giuridicia un tempo.

    55 Rinvio ancora una volta, per maggiori approfondimenti, a R. FIORI, Ius civile,ius gentium, ius honorarium, cit., 191 ss.

    56 P. CATALANO, Linee del sistema sovrannazionale romano, I, Torino, 1965.

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    Essendo un veicolo di valori di gruppo, la bona fides non come spesso ripete la romanistica57 una clausola in biancopi di quanto non avvenga per altre nozioni quali il dolo, lacolpa, ecc., perch non costituisce unapertura allequit intesacome tribunale di coscienza, ma un concetto sintetico che indicatutti quei doveri che linterpretatio dei prudentes riconduce alrapporto tipico. Doveri che naturalmente si sviluppano con ilmutare della societ, ma non in maniera necessariamente pietica (in senso soggettivo) che negli altri casi.

    N, se non secondariamente, la bona fides coincide con lim-pegno a mantenere la parola data58, come pure il rapporto conla fides arcaica potrebbe far ipotizzare. La fides e la bona fidesimpegnano il singolo non in quanto ha manifestato il suo con-senso in una certa direzione: questo lapproccio canonisticodellinadempimento della promessa come mendacium, poi tra-smesso al giusnaturalismo e infine al positivismo. Piuttosto come la civilistica medievale e culta avevano colto assai bene av-vicinando la bona fides esecutiva alla nozione di natura contractus il vincolo deriva dal fatto che loggettiva adozione di un certoassetto di interessi determina automaticamente il sorgere di ob-blighi nascenti dalla struttura del rapporto, anche (anzi, soprat-tutto) se tali vincoli non sono stati espressi. E ci perch la fidesdel bonus vir la sua affidabilit sul piano sociale e giuridico-religioso: la teologia romana non si preoccupa della salvezzadellanima di chi mente, ma del rispetto delle regole che sovrin-tendono alla conservazione del giusto equilibrio e della giusta ri-partizione tra i membri del gruppo (e dunque del cosmo)59. questa, a mio avviso, la radice ideologica ultima del valore og-

    57 Cfr. da ultimo, e con particolare determinazione, M. TALAMANCA, La bona fi-des nei giuristi romani: Leerformeln e valori dellordinamento, in L. GAROFALO (ed.), Ilruolo della buona fede oggettiva, cit., IV, 1 ss.

    58 Cfr. ancora, da ultimo, M. TALAMANCA, La bona fides nei giuristi romani, cit.,1 ss.

    59 Sul rapporto tra fides e pax deorum mi permetto di rinviare a quanto scritto inR. FIORI, Homo sacer. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-reli-giosa, Napoli, 1996, 148 ss.

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    gettivo e non soggettivo della bona fides cos come sviluppatadai giuristi romani; e a questa medesima affidabilit del sog-getto deve essere ricondotta anche lopposizione, mai venutameno, tra buona fede e dolo.

    La strana sintonia tra romanisti e civilisti sul problemadella buona fede nasce dunque dal comune approccio positivi-stico, che condiziona le interpretazioni degli uni e degli altri. Deiromanisti, perch non permette loro di cogliere le peculiarit in-nanzi tutto ideologiche di una cultura giuridica complessa e di-versa, bench tanto legata allattuale dai fili della tradizione. Deicivilisti, perch la confusione determinatasi nei secoli su questenozioni talora oscura linterpretazione di strutture concettuali,spesso trasfuse in formule normative, che sono nate in contestipre-positivistici e che per secoli hanno svolto una funzione cheper oggi, incompreso il loro ruolo, si fatica a giustificare informe dogmaticamente corrette.

    9. Conclusioni. Lutilit di un approccio interdisciplinare.

    opportuno ribadire ulteriormente che le riflessioni sin quisvolte non intendono essere un contributo alla soluzione di unproblema storico-giuridico tanto complesso, che richiederebbeben altro spazio e dimostrazione. Il tema della buona fede statoscelto solo a titolo di esempio, per poter affrontare con qualchedato concreto la questione degli scopi e dei metodi della storiadel diritto e della formazione del giurista europeo, oggetto diquesto incontro.

    Innanzi tutto, rispetto agli scopi e ai metodi della storia deldiritto, il problema che vorrei porre allattenzione del colleghi il seguente. Possiamo continuare a coltivare i nostri mbiti distudio tradizionali in modo settoriale, fingendo che lanalisi delsegmento da noi prescelto non sia condizionata n dalla storiaprecedente n sul piano della nostra interpretazione daquella successiva? O non dobbiamo piuttosto porre in crisi in-nanzi tutto le nostre categorie interpretative, la cui inadeguatezzaappare direttamente proporzionale alla distanza che ci separa dai

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    testi? A ben vedere, il tema della bona fides romana, se corretta-mente impostato, sconfina nel diritto arcaico: esso costituisce,cio, un tema settoriale addirittura allinterno degli usuali inte-ressi del romanista. Ma per affrontarlo adeguatamente, per resti-tuirlo alla sua propria dimensione culturale, occorre che esso sialiberato da tutte le sovrapposizioni concettuali successive: e perfar ci sono non solo utili, ma addirittura necessari, gli scritti deigiuristi medievali come le sentenze recenti dei tribunali, il dirittocanonico come i progetti di codici, la Seconda scolastica come laScuola dellesegesi. Perch per fare correttamente storia occorreinnanzi tutto ricostruire la distanza che separa largomentodallinterprete.

    chiaro che un simile percorso pieno di insidie. gi dif-ficile sviluppare una competenza settoriale, ed impensabile, perun singolo individuo, aspirare a una preparazione adeguata inogni mbito della storia del diritto. Analisi come quella qui som-mariamente tratteggiata non possono che essere approcci provvi-sori, il cui valore essenzialmente problematico. Occorrono in-vece sforzi comuni e congiunti, che per non si limitino a giu-stapporre frammenti tra loro non comunicanti, ma coinvolganolo specialista in tentativi interdisciplinari. Solo cos possibile,almeno a mio avviso, alzare lo sguardo e ricostruire prospettivedi lunga durata che illuminino anche i singoli segmenti, resti-tuendoli alla propria dimensione storica.

    Questo tipo di lavoro, per, porta indirettamente a chiariremeglio la formazione storica e dunque la giustificazione teorica degli istituti vigenti nei diversi ordinamenti nati dalla tradi-zione civilistica. In questo senso, temi attuali che potrebbero noncostituire loggetto immediato del lavoro dello storico, possonoessere illuminati dallanalisi da questi intrapresa. E cos come laricerca nei diversi settori del diritto attuale non pu essere artifi-ciosamente circoscritta ai ristretti limiti dei settori scientifico-di-sciplinari, ma il diritto costituzionale condiziona il diritto civile,questo interferisce con lamministrativo, ecc., allo stesso modo lostorico del diritto pu dare il proprio contributo dogmatico alla

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    discussione comune dei giuristi, sugli ordinamenti esistenti e suiprogetti di armonizzazione del diritto. In questo senso lo storicodel diritto pienamente legittimato, e in certa misura chiamato,a contribuire alla formazione del giurista europeo, ossia di ungiurista consapevole della complessit storica e dogmatica dellatradizione civilistica europea da cui traggono origine i singoli si-stemi positivi come mi sembra di poter interpretare la sinteticaespressione utilizzata dagli organizzatori del convegno. Noncerto per abbandonare i propri scopi e i propri metodi, ma pertestimoniare e dimostrare, in piena coerenza con questi, che il di-ritto, in quanto fatto umano, esiste e pu essere compreso solonella storia.