Financial Reporting

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Poste Italiane - Spedizione in abb. 45% Art 2 comma 20/B - Legge 662/96 Filiale P.T. di Varese. Reg. trib di Milano n. 3 del 14/01/1995 Periodico trimestrale - Euro 30,00 n. 1 Anno 2009 Sommario La comunicazione economico- finanziaria delle P.M.I. secondo i professionisti contabili. Un’indagine empirica di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo Dal fair value al fairy value: coerenza concettuale e condizioni di impiego del fair value negli IFRS di Alberto Quagli Interessenze di controllo. Recenti linee evolutive e profili di criticità delle regole internazionali di accounting e reporting finanziario di Marco Taliento AUDIT E PROFESSIONI CONTABILI BOOK REVIEW Prestazione di servizi «non di revisione»: informativa di bilancio e indipendenza del revisore di Giuseppe Ianniello Rubriche ISSN: 2036-6779

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In un periodo di forti cambiamenti per la ricerca scientifica in Italia di matrice economico-aziendale, nasce una nuova rivista, con contenuti orientati maggiormente sui temi della ricerca piuttosto che alla descrizione e alla mera interpretazione delle novità normative. La rivista tratterà anzitutto di informativa di bilancio - comprendendo i bilanci di ogni tipo (annuali ed infrannuali, separati e consolidati, di settori regolati e non) - e di comunicazione economico-finanziaria d’impresa, tema dalle grandi prospettive. Saranno benvenuti inoltre lavori riguardanti la rendicontazione socioambientale e del capitale intellettuale, le relazioni tra governance e sistemi di rendicontazione. Continueranno ad essere ospitati anche temi sulla revisione aziendale e sistemi di controllo interno, nella continuità con la precedente rivista. Infine la rivista potrà contenere lavori riguardanti i Sistemi informativi, per le loro implicazioni con i temi suddetti.

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Poste Italiane - Spedizione in abb. 45%Art 2 comma 20/B - Legge 662/96Filiale P.T. di Varese. Reg. trib di Milano n. 3 del 14/01/1995Periodico trimestrale - Euro 30,00

n. 1 Anno 2009

Sommario

La comunicazione economico-fi nanziaria delle P.M.I. secondo i professionisti contabili. Un’indagine empirica di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo

Dal fair value al fairy value: coerenza concettuale e condizioni di impiego del fair value negli IFRSdi Alberto Quagli

Interessenze di controllo. Recenti linee evolutive e profi li di criticità delle regole internazionali di accounting e reporting fi nanziariodi Marco Taliento

AUDIT EPROFESSIONI

CONTABILI

BOOK REVIEW

Prestazione di servizi «non di revisione»: informativa di bilancio e indipendenza del revisore di Giuseppe Ianniello

Rubriche

ISSN: 2036-6779

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ABIO, DA 30 ANNIVICINI AI BAMBINI

IN OSPEDALE

L’ospedale si è avvicinato molto ai piccoli. I bambini in ospedale possono ancheusare la fantasia, divertirsi, giocare e studiare: possono sentirsi proprio comea casa. I volontari di ABIO, Associazione per il Bambino in Ospedale, da 30 annisono negli ospedali italiani per renderli più caldi e accoglienti.Giocare aiuta a guarire, ABIO lo sa da sempre. Sostienici anche tu.Fondazione ABIO Italia Onlus • Via Don Gervasini, 33 – 20153 MilanoPer informazioni e donazioni • [email protected] – www.abio.org

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Numero 1 - I trimestre 2009

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Editorialedi Alberto Quagli

Prestazione di servizi «non di revisione»: informativa di bilancio e indipendenza del revisoredi Giuseppe Ianniello

La comunicazione economico-fi nanziaria delle P.M.I. secondo i professionisti contabili. Un’indagine empiricadi Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo

Rubriche

Audit e professioni contabilia cura di Alessandro Gaetano

La Commissione “per le norme contabili ed i principi contabili” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabilidi Gianfranco Capodaglio

Book Reviewdi Roberto Di Pietra

Dal fair value al fairy value: coerenza concettuale e condizioni di impiego del fair value negli IFRSdi Alberto Quagli

Interessenze di controllo. Recenti linee evolutive e profi li di criticità delle regole internazionali di accounting e reporting fi nanziariodi Marco Taliento

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Sommario5

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Page 4: Financial Reporting

Numero 1 - I trimestre 2009

4

coordinatore scientifi co

comitato scientifi coDavid AlexanderPaolo Andrei Roberto Di Pietra Alessandro Gaetano Francesco Giunta Christopher Nobes Tiziano Onesti Michele PizzoAlberto QuagliUgo SòsteroClaudio Teodori Alfredo Viganò Stefano Zambon

The Birmingham Business SchoolUniversità di ParmaUniversità di SienaUniversità di Roma Tor VergataUniversità di FirenzeRoyal Holloway University of London Università di Roma TreSeconda Università di NapoliUniversità di GenovaUniversità Cà Foscari di VeneziaUniversità di BresciaUniversità Bocconi di MilanoUniversità di Ferrara

Alberto Quagli Università di Genova

Direttore responsabile

Rita Palumbo

Responsabile editoriale IFAF

Fabio Lampugnani

Coordinamento redazionale

Rari Comunicazione

Tel. 02 89786108/09

[email protected]

Progetto grafi co

Rari Comunicazione

Stampa

Grafi ca Olona sas

Editore

IFAF BS srl

Largo Schuster, 1

20122 Milano

www.ifaf.it

Spedizione in abb. Postale 45% - art. 2 comma 20/B - Legge 662/96 Autorizzazione

fi liale p.t. di Varese - Reg. tribunale di Milano n.3 del 14/01/1995 Periodico Trimestrale

L’abbonamento decorre dal mese di gennaio di ciascun anno. L’abbonamento oltre il

mese di gennaio comporta l’invio degli arretrati. Abbonamento 2009 (4 fascicoli) Italia:

€ 115,00 Estero: € 195,00. Numeri arretrati: € 36,00 cad.

Le richieste vanno indirizzate a: IFAF BS srl Largo I. Schuster, 1 - 20122 Milano

Tel. 02/72002170 - 02/72001199 Fax 02/72002186 e-mail: [email protected], allegando

assegno bancario o circolare non trasferibile intestato a IFAF BS srl, oppure ricevuta

di versamento sul c/c postale n. 91684274 intestato a IFAF BS srl.

I numeri mancanti devono essere richiesti entro 6 mesi dalla data di pubblicazione

(fi ne trimestre solare).

Page 5: Financial Reporting

5

È un periodo di forti cambiamenti per la ricerca scientifi ca in Italia ed, in

particolare, per quella di matrice economico-aziendale. Dopo lenta ma-

turazione, si è fi nalmente giunti al varo di riviste scientifi che basate sulla

peer review, condizione indispensabile per accedere al riconoscimento

da parte dell’Accademia Italiana di Economia Aziendale (AIDEA, vedi su

www.accademiaaidea.it). Ma il meccanismo del referaggio sistematico

non risponde solo a logiche di funzionamento accademico, quanto al-

l’esigenza di migliorare la qualità degli articoli pubblicati.

Ed è in questa prospettiva che la rivista Revisione Contabile si trasfor-

ma in Financial Reporting con un Comitato scientifi co completamen-

te rinnovato, aperto anche a studiosi europei di chiara fama, con dei

contenuti orientati maggiormente su temi di ricerca piuttosto che alla

descrizione e mera interpretazione delle novità normative.

Il cambio di denominazione in Financial Reporting va ben al di là di un

restyling. Rispetto alla precedente rivista si amplia l’oggetto dei lavori

pubblicati e il metodo che li caratterizza.

Per quanto riguarda gli argomenti discussi la rivista tratterà anzitutto di

informativa di bilancio, comprendendo i bilanci di ogni tipo (annuali ed

infrannuali, separati e consolidati, di settori regolati e non) e di comunica-

zione economico-fi nanziaria d’impresa, tema dalle grandi prospettive.

Saranno benvenuti inoltre lavori riguardanti la rendicontazione socio-

ambientale e del capitale intellettuale, le relazioni tra governance e si-

stemi di rendicontazione. Continueranno ad essere ospitati anche temi

sulla revisione aziendale e sistemi di controllo interno, nella continuità

con la precedente rivista. Infi ne la rivista potrà contenere lavori riguar-

danti i Sistemi informativi, per le loro implicazioni con i temi suddetti.

Non saranno invece considerati ai fi ni della pubblicazione argomenti

concernenti i sistemi di controllo di gestione, la storia della ragioneria,

temi di natura squisitamente fi scale e di istituzioni di economia azien-

dale, come anche lavori concernenti problematiche esclusivamente di

strategia e politica aziendale.

Per quanto riguarda il metodo, i lavori presentati per la pubblicazione

potranno evidenziare sia i risultati raggiunti attraverso ricerche empi-

riche, sia le conclusioni derivanti da ricerche condotte con taglio pre-

valentemente deduttivo sulle tematiche che costituiscono l’oggetto

specifi co della rivista; in entrambi i casi, devono essere chiaramente

esplicitati gli elementi di novità o di avanzamento delle conoscenze cui

il lavoro consente di pervenire. Quanto sopra è la regola per le riviste

scientifi che e Financial Reporting vuole essere una di queste.

Da Revisione Contabile a Financial Reporting: un cambiamento sostanziale

Page 6: Financial Reporting

Editoriale

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Financial Reporting si articolerà su quattro numeri annuali di cui uno in

lingua inglese. Oltre agli articoli, la rivista conterrà anche una sezione de-

dicata agli aggiornamenti provenienti dagli organismi professionali (“Au-

diting e professioni contabili” curata dal Prof. Alessandro Gaetano) e una

sezione di rassegna bibliografi ca (curata dai Prof. Roberto Di Pietra, che

la inaugura con questo primo numero, e dal Prof. Stefano Zambon).

Con questo nuovo indirizzo, ci rivolgiamo a tutti i ricercatori di matrice econo-

mico-aziendale affi nché individuino in questa Rivista un luogo di discussione

scientifi ca con il quale confrontarsi inviando i risultati delle loro ricerche.

Le modalità di invio, le caratteristiche dei lavori e la descrizione del pro-

cesso di referaggio sono pubblicate in coda alla rivista e disponibili sul

sito www.ifaf.it/editoria/pubblicare_articolo.html.

Ringraziamenti ai referees

I referees sono le persone che lavorano dietro le quinte, ma che rappre-

sentano a pieno titolo l’asse portante di una rivista. Già da questo primo

numero hanno interpretato il loro ruolo nel modo migliore, svolgendo la

doppia review. Le schede di referaggio e tutto il materiale attinente al

processo di review sono a disposizione della Presidenza Aidea.

Per questo primo numero si ringraziano i seguenti referees:

Paolo Andrei – Università di Parma

Nunzio Angiola – Università di Foggia

Mara Cameran – Università Bocconi Milano

Paola Demartini – Università di Urbino

Marco Mainardi – Università di Firenze

Tiziano Onesti – Università di Roma Tre

Chiara Saccon – Università di Venezia

Riccardo Viganò – Università di Napoli – Federico II

Risposta dell’Editore

Il lavoro dell’Editore è offrire spazi alle idee innovative e ai progetti qua-

lifi cati, affi nché le idee circolino e i progetti cambino il mondo. Nel suo

piccolo, Financial Reporting va proprio in questa direzione. Siamo orgo-

gliosi di sostenere questa nuova avventura scientifi ca di un importante

gruppo di studiosi italiani. E ci auguriamo di essere in grado presto di

allargare la famiglia delle riviste professionali e scientifi che che dimostra-

no la vitalità della ricerca e la qualità della professionalità italiana.

Fabio Lampugnani

Page 7: Financial Reporting

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Abstract

In Italy, as in the international context, recently, new set of rules have

been adopted in order to protect auditor independence that is funda-

mental to add credibility to published annual reports. This paper, after

exploring recent regulatory reforms in Italy, analyzes the fi rst time appli-

cation of mandatory disclosure in annual reports of audit and non-audit

fees. This information can give to the readers of the fi nancial statements

an indication of the auditor independence (in appearance). An empirical

analysis is conducted on the year 2007 annual reports of 83 Italian listed

companies with higher capitalization. The main research objectives are:

(1) to provide a comprehensive description of the relative level of non-

audit fees; (2) to investigate the relation between non-audit services

and the opinion issued by the auditor. In addition, we illustrate some

communicational formats used by the companies to disclose audit and

non-audit fees. The evidence shows that the average ratio of non-audit

fees (further assurance services, tax advisory services, other non-audit

services) to total auditor remuneration is 0.274 (or 37.7% of audit fees).

In particular, there are 15 companies (18.1%) which paid their auditor

more for non-audit services than for audit services; excluding further

assurance services, still there are 7 cases (8.4%) with the ratio of non-

audit fees higher than 0.50. In our sample we observed one qualifi ed

opinion and eighty-two unqualifi ed opinions, as a consequence, we

could not test the second research objective. However the study’s re-

sults show that there is a positive association between the emphasis of

matter paragraph in the auditor’s report and non-audit service provision.

This fi nding cannot be interpreted as a clear indication of compromised

auditor independence, opening the space to further empirical studies

on the use of emphasis of matter paragraph in the auditor’s report.

L’indagine intende mostrare la recente evoluzione del quadro regolamentare

italiano in tema di prestazione di servizi non di revisione e indipendenza

del revisore. Di seguito, sono esposte prime evidenze empiriche in merito

all’obbligo di presentare nel bilancio informazioni sui corrispettivi per revisione

contabile e servizi diversi dalla revisione.

Prestazione di servizi «non di revisione»: informativa di bilancio e indipendenza del revisore

di Giuseppe Ianniello – Università della Tuscia di Viterbo

Page 8: Financial Reporting

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1. Introduzione

La questione riguardante la compatibilità dell’attività di revisione conta-

bile con la prestazione di consulenza nei confronti dello stesso soggetto

revisionato è sicuramente tra i temi che da qualche tempo interessano il

dibattito sull’effi cacia e il ruolo svolto dal controllo legale dei conti. In par-

ticolare, tale tema è legato anche all’analisi dell’indipendenza del revisore.

Su quest’ultimo aspetto, la dottrina e la prassi hanno offerto diverse inter-

pretazioni inevitabilmente legate allo scenario economico, sociale e cultu-

rale di riferimento. Una delle prime classifi cazioni proposte a livello interna-

zionale riguarda la distinzione tra l’indipendenza apparente e reale (Mautz

e Sharaf, 1961). La prima fa riferimento all’immagine che il pubblico ha dei

revisori considerati come gruppo professionale. La seconda fa riferimento

al singolo che, come in altre professioni, dovrebbe esprimere opinioni in

modo autonomo senza la pressione del cliente o di altri soggetti. Sul piano

generale della percezione del ruolo dei revisori contabili in un determinato

contesto socio-economico, assumono rilievo anche i mezzi di comunica-

zione di massa, le opinioni espresse su giornali o riviste. La questione di

fondo riguarda la funzione del controllo contabile percepita come “servizio

pubblico” oppure come “attività imprenditoriale”1.

Un’altra interpretazione del carattere dell’indipendenza, prevalente nei

principi di revisione internazionale e ripresa anche in Italia, sostiene,

con implicito riferimento al “singolo”, che “l’indipendenza” comporta

due diversi profi li:

a. “Indipendenza mentale”, da intendersi come l’atteggiamento intel-

lettuale del Revisore nel considerare solo gli elementi rilevanti per

l’esercizio del suo incarico escludendo ogni fattore estraneo.

b. “Indipendenza formale”, da intendersi come la condizione oggettiva

in base alla quale il Revisore sia riconosciuto indipendente, vale a

dire il fatto che il Revisore non debba essere associato a situazioni

o circostanze che siano di rilevanza tale da indurre un Terzo Ragio-

nevole e Informato a mettere in dubbio le capacità del Revisore di

svolgere l’incarico in modo obiettivo (Cspr 2005, §4.2.)2.

1 Ad esempio, Neu e Green (2006) mostrano l’evoluzione di tale duplice profi lo nella professione

contabile canadese, analizzando gli editoriali della rivista Canadian Chartered Accountant.2 Ifac (2006: § 290.8) stabilisce che «independence requires:

Independence of Mind

The state of mind that permits the expression of a conclusion without being affected by infl u-

ences that compromise professional judgment, allowing an individual to act with integrity, and

exercise objectivity and professional skepticism.

Independence in Appearance

The avoidance of facts and circumstances that are so signifi cant that a reasonable and in-

formed third party, having knowledge of all relevant information, including safeguards applied,

would reasonably conclude a fi rm’s, or a member of the assurance team’s, integrity, objectiv-

ity or professional skepticism had been compromised».

Servizi «non di revisione»

Page 9: Financial Reporting

9

Anche nella Raccomandazione europea del 2002 (Ce 2002) dedicata

al tema dell’indipendenza del revisore è scritto che «nello svolgere una

revisione legale dei conti, il revisore legale deve essere indipendente

dal cliente il cui bilancio è oggetto di revisione, tanto sotto il profi lo

intellettuale quanto sotto il profi lo formale. Un revisore legale non deve

accettare un incarico di revisione legale dei conti se tra il revisore stes-

so e il cliente esistono relazioni fi nanziarie, d’affari, di lavoro o di altro

genere (comprese quelle derivanti dalla prestazione al cliente di taluni

servizi diversi dalla revisione) tali che un terzo ragionevole ed informato

riterrebbe compromessa l’indipendenza del revisore legale».

In tale quadro, si dibatte se la prestazione di servizi non di revisione sia

potenzialmente aperta al confl itto di interesse tra la funzione di revisore

contabile teoricamente o fi losofi camente (Mautz e Sharaf 1961) desti-

nata alla tutela dell’interesse pubblico e l’attività di consulenza azien-

dale teoricamente svolta nell’interesse dell’azienda cliente. Si pone in

embrione il problema dell’indipendenza del revisore: controllore o con-

sulente? La diffi coltà di affrontare il tema dell’indipendenza del revisore

è provata anche dal percorso seguito in Europa per giungere all’appro-

vazione della VIII Direttiva nel 1984 (Evans e Nobes 1998).

La questione non è facilmente risolvibile, tuttavia, è quanto meno curio-

so ricordare sin da ora che già Aristotele (trad. 2007: 217) nel suo libro

dedicato alla Politica, nella parte riguardante le “magistrature” scrive che

«… ma poiché talune magistrature, seppur non tutte, maneggiano grosse

somme di denaro pubblico, ce ne deve essere un’altra che eserciti il con-

trollo, esiga il rendiconto, e non tratti, per parte sua, nessun altro affare.

Tali magistrati alcuni li chiamano “controllori”, altri “revisori dei conti”, altri

“ispettori”, altri, infi ne, “avvocati del fi sco”».

Il presente contributo intende mettere in evidenza il comportamento se-

guito dalle aziende italiane quotate in borsa in merito alle forme di pub-

blicità dei corrispettivi per la revisione contabile e per servizi diversi dalla

revisione, secondo quanto previsto dall’art. 149-duodecies (Pubblicità dei

corrispettivi) del Regolamento Emittenti n. 11971 della Consob. A tale pro-

posito, sono state oggetto di osservazione le informazioni disponibili per la

prima volta nei bilanci di esercizio e consolidati del 2007, in particolare, il

campione esaminato è costituito da 83 società italiane quotate in borsa a

maggiore capitalizzazione (segmento blue chip del mercato azionario ita-

liano). I prevalenti obiettivi conoscitivi perseguiti sono i seguenti:

1. Documentare la dimensione quantitativa dei servizi diversi dalla re-

visione.

Servizi «non di revisione»

Page 10: Financial Reporting

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2. Analizzare la relazione tra la prestazione di servizi diversi dalla revi-

sione e le tipologie di giudizio espresse dalle società di revisione3.

L’analisi ha permesso inoltre di evidenziare alcuni aspetti formali ineren-

ti la modalità di comunicazione delle informazioni oggetto d’indagine. Il

primo punto confi gura un contributo descrittivo, seppur relativo a una

nuova informativa di bilancio. Dal campione esaminato emerge che sul

totale dei compensi percepiti dalle società di revisione, mediamente,

il 27,4% proviene da servizi diversi dalla revisione. L’analisi in detta-

glio mostra delle situazioni meritevoli di attenzione sotto il profi lo del-

l’indipendenza del revisore (in apparenza) in cui i compensi per servizi

diversi dalla revisione superano quelli per la revisione contabile. Con

riferimento al secondo obiettivo, è opportuno chiarire che nell’ipotesi

d’infl uenza ci aspettiamo che i giudizi senza rilievi siano associati alla

presenza di un più ampio ricorso a servizi diversi dalla revisione. Le

evidenze raccolte (82 giudizi senza rilievi e un giudizio con rilievi) non

permettono di testare tale ipotesi. Tuttavia, è emersa un’associazione

positiva signifi cativa tra “richiami d’informativa” nella relazione della so-

cietà di revisione e la presenza di servizi diversi dalla revisione. Tale

evidenza non è interpretabile in modo univoco a supporto dell’ipotesi di

perdita d’indipendenza del revisore, aprendo lo spazio a future ricerche

tendenti a chiarire l’uso del richiamo d’informativa nell’ambito delle re-

lazioni emesse dalle società di revisione.

L’articolo prosegue con una sintesi del dibattito teorico sulla relazione tra in-

dipendenza del revisore e prestazione di servizi non di revisione e, successi-

vamente, con un quadro regolamentare della situazione italiana. Il paragrafo

4, dedicato alla pubblicità dei corrispettivi e alla classifi cazione dei servizi

non di revisione, è seguito dalla verifi ca empirica e dalle conclusioni.

3 Sulle tipologie di giudizio nel contesto italiano, cfr., oltre all’art. 156 del D.Lgs. n. 58/1998,

la Comunicazione Consob n. 99088450 del 1 dicembre 1999, mentre per l’espressione in

lingua inglese dei giudizi, cfr., ad esempio, International Standard on Auditing (ISA) 700 e

701. In sintesi, possiamo avere: giudizio senza rilievi (unqualifi ed opinion), giudizio con rilievi

(qualifi ed opinion), impossibilità di esprimere un giudizio (disclaimer of opinion), giudizio nega-

tivo (adverse opinion). Inoltre, senza impatto sul giudizio espresso, è possibile formulare un

richiamo di informativa o paragrafo d’enfasi (emphasis of matter paragraph).

Servizi «non di revisione»

Page 11: Financial Reporting

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2. Il dibattito sull’indipendenza del revisore

e la prestazione di servizi non di revisione

La prestazione di consulenze accanto alla revisione contabile è sempre

stato oggetto di diverse interpretazioni4. In particolare, le società di re-

visione pongono la questione che non vi sono suffi cienti evidenze em-

piriche per dimostrare il minor grado di indipendenza del revisore che

presta consulenza al medesimo cliente, rispetto al revisore contabile che

non presta quel servizio aggiuntivo5. Negli Stati Uniti, la forza di tale po-

sizione è stata fatta propria anche da una parte del «potere politico» in

occasione di proposte regolamentari della Sec (Securities and Exchange

Commission) tendenti a vietare alcuni servizi non di revisione6. Lo svol-

gimento di diverse attività da parte di un medesimo soggetto può deter-

minare il perseguimento di un interesse diverso da quello che avrebbe

perseguito se avesse svolto in via esclusiva una sola attività: confl itto

d’interessi (Rabitti Bedogni 2002, 38-41). Tali argomentazioni toccano

con diversa intensità la questione centrale riguardante la credibilità della

funzione di controllo contabile in un determinato contesto economico,

sociale e culturale7. Il profi lo d’indipendenza del revisore in quanto qua-

lità dell’essere umano non è direttamente osservabile e, pertanto, risulta

4 «… there has been growing concern on the part of the Commission and users of fi nancial

statements about the effects on independence when auditors provide both audit and non-audit

services to their audit clients. Dramatic changes in the accounting profession and the types of

services that auditors are providing to their audit clients, as well as increases in the absolute and

relative size of the fees charged for non-audit services, have exacerbated these concerns. As

the Panel on Audit Effectiveness (the “O’Malley Panel”) recently recognized, “The potential effect

of non-audit services on auditor objectivity has long been an area of concern. That concern has

been compounded in recent years by signifi cant increases in the amounts of non-audit services

provided by audit fi rms.” We considered a full range of alternatives to address these concerns.

Our proposed amendments identifi ed certain non-audit services that, when rendered to an audit

client, impair auditor independence. The proposed restrictions on non-audit services generated

more comments than any other aspect of the proposals», Sec (2000, Executive Summary).5 Ricordiamo, per la rilevanza sulla cultura contabile internazionale, una ricerca promossa

nel 1978 dall’American Institute of Certifi ed Public Accountants (AICPA) in cui si afferma che

«There is no evidence that provision of services other than auditing has actually impaired the

independence of auditors. However, the belief of a signifi cant minority of users that independ-

ence is impaired creates a major problem for the profession. Decisions on the other services

offered and used should be made by individual public accounting fi rms and boards of direc-

tors of the client», Olson (1982, 215).6 In una lettera inviata al presidente della Sec Arthur Levitt «… dated April 17, 2000, from the

House Commerce Committee, the signatories (Tauzin, Oxley, and Bliley) threatened hearings

on the SEC proposal if they didn’t get satisfactory answers to a list of 15 multipart, complex

questions such as this one, No. 2: “What empirical evidence, studies or economic analysis

does the SEC possess that demonstrates accounting fi rms providing tax advice to audit

clients are less independent than those fi rms that do not provide such advice? Are there any

specifi c administrative fi ndings that have concluded the provision of tax advice resulted in a

specifi c audit failure by the same fi rm?”», Toffl er e Reingold (2004, 177-178).7 In merito al controllo delle informazioni contabili nel contesto italiano, cfr., tra gli altri, Bruni (1996),

Campedelli (1996), Catturi (2000), Cavalieri (1999), Coda (1979), Dezzani, Pisoni, Puddu, Cantino

(1998), Di Pietra (2005), Paolone, D’Amico, Consorti (2000), Rossi, Gervasio (2009).

Servizi «non di revisione»

Page 12: Financial Reporting

12

diffi cilmente dimostrabile l’esistenza o meno di quel carattere. Si può

argomentare che l’indipendenza (come atteggiamento mentale) può esi-

stere anche se si prestano servizi di consulenza aggiuntivi8.

Senza rispondere direttamente a tale questione, si può condividere

l’idea che controllare la contabilità e il bilancio di un’azienda alla cui pre-

disposizione in qualche modo ha partecipato il medesimo controllore

lascia dei dubbi, almeno sotto il profi lo della percezione, sulla credibilità

del giudizio espresso dal revisore. In questo senso, nella migliore delle

ipotesi, il contributo del revisore è quello di aumentare il tasso tecnico

all’interno dell’azienda cliente per risolvere questioni contabili contro-

verse e giungere a un auspicabile bilancio attendibile.

Diversi studi, in gran parte anglosassoni, hanno affrontato il tema del-

l’impatto che la prestazione di servizi non di revisione ha sull’indipen-

denza del revisore. In particolare, possiamo individuare almeno tre di-

rettrici di studio che indagano la prestazione di servizi non di revisione

in relazione alla qualità delle informazioni contabili, ai giudizi espressi

dal revisore e, nel quadro di un’analisi economica, ricorrendo alla teoria

dei costi di transazione. Nel primo approccio, l’indipendenza è osser-

vata indirettamente mediante parametri legati alla qualità delle infor-

mazioni contabili (earnings quality, earnings management). I risultati di

tali indagini non sono concordanti, lasciando aperta la questione. Ad

esempio, alcune evidenze empiriche hanno mostrato che la qualità del-

le informazioni contabili nei bilanci aziendali si deteriora con l’incremen-

to dell’acquisto dal medesimo revisore di servizi diversi dalla revisione

(Ferguson, Seow e Young 2004; Frankel, Johnson e Nelson 2002; Iyen-

gar e Zampelli 2007; Larcker e Richardson 2004). Al contrario, Ashbau-

gh, LaFond e Mayhew (2003) non dimostrano una relazione positiva tra

compensi per servizi non di revisione ed earnings management. Sulla

stessa linea è il contributo di Kinney, Palmrose e Scholtz (2004) in cui si

sostiene che la prestazione di consulenze fi scali può migliorare la quali-

tà della revisione. Tale posizione è basata sull’idea che la prestazione di

alcuni servizi non di revisione permette al revisore di conoscere meglio

l’attività aziendale determinando anche un miglioramento dell’effi cacia

del controllo contabile (Simunic 1984). Quest’ultima ipotesi è supporta-

ta nel contesto italiano da una recente indagine basata su questionari

somministrati a società di revisione (Rizzotti e Greco 2008).

8 Ad esempio, si è sostenuto che «l’indipendenza è un atteggiamento morale e di onestà

intellettuale da mantenersi in ogni momento del procedimento della certifi cazione, atteggia-

mento che può evidentemente esserci o non esserci a prescindere dalle circostanze in cui

uno opera», auspicando un’attenuazione delle «incompatibilità di carattere generale tra re-

visione ed altre attività professionali», R. Caramel, L’indipendenza del certifi catore, Prisma,

luglio-sett., 1986, citato in Pauletto (1990, 122).

Servizi «non di revisione»

Page 13: Financial Reporting

13

Anche le ricerche tendenti a dimostrare una relazione tra servizi non di

revisione e giudizio espresso dal revisore non sono concordanti. Alcune

evidenze (Sharma e Sidhu 2001; Wines 1994) mostrano tale associa-

zione (unqualifi ed opinions relativamente più frequenti in presenza di

più elevato ricorso a servizi diversi dalla revisione), mentre altri studi

(Craswell 1999; Craswell, Stokes e Laughton 2002) non rilevano tale

propensione da parte del revisore. Lennox (1999), seppur debolmente,

sembra dimostrare che la prestazione di servizi diversi dalla revisione

non riduce la qualità del controllo dei conti.

Dal punto di vista dell’analisi economica, il revisore cerca di offrire anche

servizi non di revisione per le sottostanti “economie di scopo” (ottenen-

do riduzione dei costi quando entrambe le prestazioni sono fornite da

un unico soggetto)9. In tale contesto, un’altra interpretazione può es-

sere quella di considerare il servizio di revisione come attività ausiliaria

a quella dell’azienda, ipotizzando la possibilità di scelta tra transazioni

economiche interne all’organismo aziendale o mediante il ricorso al mer-

cato. I costi di transazione (Coase 1937) si sostengono per realizzare

scambi sul mercato. Tali costi si riducono se le transazioni sono spostate

all’interno dell’azienda, mediante il ricorso alla “relazione di comando”

che lega il lavoratore dipendente alla direzione aziendale. In tali rappor-

ti è possibile osservare diversi gradi di infl uenza tra “superiore” e “su-

bordinato” che nella sua azione all’interno dell’azienda trova delle linee

guida più o meno stringenti come punto di riferimento (Simon 1997). Per

tale motivo, si è storicamente ricorso a rapporti con soggetti esterni al-

l’azienda per lo svolgimento del controllo legale dei conti, non ritenendo

suffi cienti i controlli eventualmente svolti da organi societari interni10. Ciò

determina un aumento dei costi di transazione, a benefi cio del principio

di indipendenza del revisore. In tale approccio, la relazione tra azienda

da revisionare e società di revisione appare nominalmente come forma

organizzativa di ricorso al mercato. Tuttavia, merita individuare alcuni

elementi di tale rapporto che possono far pensare a caratteri comparabili

con quelli che si hanno nel rapporto di lavoro subordinato. Ad esempio,

9 «A distinction should be made within these economies of scope between those that origi-

nate in the transformation process directed toward the production of information and knowl-

edge, often known in accounting literature as knowledge spillovers, and those arising from

making better use of assets or advantages of a contractual nature», Arrunada (1999, 514).10 Ad esempio, con riferimento al collegio sindacale, è stato scritto che «nella realtà aziendale

i sindaci sono espressi, come è noto, dall’Assemblea dei soci. Hanno infatti la stessa matrice

degli amministratori, dai quali, in molti casi, fi niscono per dipendere. Sono quindi dei control-

lori dipendenti. Non hanno cioè quel “distacco” dai responsabili della gestione che il controllo

(amministrativo) richiede, né hanno quella “autonomia” di esercizio di funzione che solo un

diverso meccanismo di nomina può garantire» (Bertini 1996, 13). Lo stesso Autore propone

che il controllo legale dei conti «potrebbe essere affi dato a “controllori indipendenti” di nomina

pubblica, completamente svincolati dalla proprietà dell’azienda», (Bertini 1996, 16).

Servizi «non di revisione»

Page 14: Financial Reporting

14

incarichi che hanno una lunga durata, come può accadere per un lavoro

dipendente, possono trasformare un fornitore di servizi in un elemento

che è in qualche modo parte (integrante) dell’attività aziendale. Anche

l’assegnazione di incarichi aggiuntivi può determinare una forma di in-

tegrazione del revisore in qualche aspetto dell’attività aziendale. In tal

modo, la funzione di revisione si sposterebbe dal mercato verso l’azien-

da, perdendo in modo naturale il principio di indipendenza, ma riducen-

do i costi di transazione (Ianniello 2003: 166-168) e venendo ridefi nita

nel suo contenuto (Jeppesen 1998). È evidente che tale situazione non

è accettabile; tuttavia, la diffi coltà di misurazione dell’indipendenza e,

quindi, dell’effi cacia della funzione del controllo contabile fi niscono per

caratterizzare quella medesima funzione come essenzialmente oscura

(the essential obscurity) (Power 1997).

Nonostante l’assenza di concomitanti evidenze empiriche a supporto

dell’idea che la prestazione di servizi non di revisione determini la per-

dita d’indipendenza del revisore, il “senso comune” potrebbe suggerire

che quei servizi minino la “percezione” dell’indipendenza del revisore

da parte di terzi11. Su tale tema, un’altra prospettiva d’indagine tende a

dimostrare che gli utilizzatori del bilancio percepiscono la prestazione

di servizi non di revisione come infl uente negativamente sull’indipen-

denza del revisore (Beattie, Brandt e Fearnley 1999; Krishnan, Sami e

Zhang 2005). Un’evidenza simile è contenuta in Mishra, Raghunandan e

Rama (2005) con particolare riferimento alla prestazione di consulenza

fi scale e altri servizi non di revisione. Altri contributi evidenziano che

la pubblicazione dei corrispettivi per servizi non di revisione potrebbe

avere anche conseguenze negative, generando valutazioni inaccurate

da parte degli investitori sull’indipendenza del revisore (Dopuch, King e

Schwartz 2003). L’infl uenza della prestazione di servizi non di revisione

sulla percezione dell’indipendenza del revisore può avere effetti anche

sugli organi di controllo interni (audit committee) nel senso di determi-

nare pareri sfavorevoli in merito all’acquisto di servizi non di revisio-

ne quando queste informazioni devono essere comunicate nei bilanci

aziendali (Gaynor, McDaniel e Neal 2006).

Nell’ambito dell’articolato dibattito appena riportato, è opportuno sot-

tolineare l’idea che comunque il revisore non debba essere coinvolto

nel processo decisionale dell’azienda di cui controlla il bilancio. Per

raggiungere tale scopo, si sostiene che si deve dare all’organismo

11 Ad esempio, Bogle (2005:39) ricorda un episodio relativo ad un’audizione tenuta nel 1998

presso la Sec negli Stati Uniti sulla questione relativa alla prestazione di servizi di revisione e di

consulenza a favore della stessa azienda, scrivendo: «… I was challenged to fi nd a “smoking

gun” in the form of data that linked the provision of consulting services to audit failures. I could

only respond, “sometimes statistics cannot prove what common sense make obvious”».

Servizi «non di revisione»

Page 15: Financial Reporting

15

aziendale l’“opportunità di scegliere tra più alternative ragionevoli”,

potendo fornire in tale contesto delle “raccomandazioni motivate”12.

Traspare da tale approccio il tentativo di ridefi nire una categoria di

prestazione di servizi all’azienda non catalogabile come “consulenza”

ma come “raccomandazione motivata” nell’ambito di più alternative

ragionevoli (Jeppens 1998). L’ipotesi sottostante è che la raccoman-

dazione (advice) è un termine più debole della consulenza (consulting).

La raccomandazione può essere accettata o meno, mentre la consu-

lenza implica un’assunzione di ruolo chiave nella decisione azienda-

le. In effetti, nella tradizione delle società di revisione anglosassoni

si nota l’assenza del riferimento letterale alla consulenza aziendale

(management consulting). Ad esempio, alcune etichette utilizzate nel-

l’esperienza di alcune società di revisione anglosassoni sono: «man-

agement advisory services», «administrative services», «specialized

services» (Brewster 2003, 145). In pratica, tali posizioni hanno comin-

ciato a scricchiolare alla fi ne degli anni Novanta del secolo scorso, con

l’azione intrapresa dall’allora presidente della Securities and Exchange

Commission, Arthur Levit, intenzionato a vietare lo svolgimento di al-

cuni servizi “non di revisione” nei confronti della stessa azienda in

cui si è assunto l’incarico di revisionare il bilancio. Tale azione è stata

contrastata dalle “big fi ve” di quel periodo, considerato che gran parte

degli utili erano conseguiti mediante la prestazione di servizi “non di

revisione” (The Economist 2000). In particolare, alcune elaborazioni

statistiche evidenziano che i ricavi provenienti dalla revisione contabi-

le rappresentavano circa il 70% nel 1976 e solo il 31% nel 1998 (Brew-

ster 2003, 195)13. Il temporaneo compromesso negli Stati Uniti è stato

raggiunto con l’obbligo di informativa sui compensi per la revisione e

servizi diversi dalla revisione piuttosto che con rigorosi divieti di spe-

cifi che attività (Sec 2000). Dopo il caso Enron, il Sarbanes-Oxley Act

del 2002 ha introdotto espliciti divieti relativi allo svolgimento di alcuni

servizi diversi dalla revisione (cfr. successiva nota 18).

12 Cspr (2005, §5.7.) prevede che «… In occasione della prestazione di servizi di consulenza

o assistenza da parte del Revisore o di un soggetto appartenente alla sua Rete, questi ultimi

devono fornire all’Alta Direzione Aziendale del Soggetto Sottoposto a Revisione o di una sua

Consociata la possibilità di scegliere tra più alternative ragionevoli.

Tutto ciò al fi ne di evitare qualunque coinvolgimento del Revisore nel processo decisionale

dell’Alta Direzione Aziendale del Soggetto Sottoposto a Revisione o di una sua Consociata.

In tale ambito, il Revisore o il soggetto appartenente alla sua Rete possono formulare rac-

comandazioni al Soggetto Sottoposto a Revisione o alla sua Consociata. Queste racco-

mandazioni devono in ogni caso essere motivate con analisi obiettive e trasparenti affi nché

il Soggetto Sottoposto a Revisione o la sua Consociata possa valutare tali raccomandazioni

prima di assumere la propria decisione».13 Si ricorda che Enron nel 2000 ha acquisito servizi di revisione contabile per $ 25 milioni e servizi

“non di revisione” per $ 27 milioni dalla società di revisione Arthur Andersen (Hirsch 2002).

Servizi «non di revisione»

Page 16: Financial Reporting

16

3. Evoluzione recente del quadro regolamentare

italiano, con particolare riferimento

agli interventi della Consob

Lo scopo del presente paragrafo consiste nel fornire una visione d’insie-

me dei momenti regolamentari sul tema oggetto di indagine, in modo da

presentare la nuova richiesta di informativa di bilancio sui corrispettivi alle

società di revisione, inserendola in un processo di graduale evoluzione

normativa tendente a informare il pubblico sui diversi aspetti della vita

aziendale. Per tale motivo, un punto di partenza nell’analisi della situa-

zione italiana può essere individuato nella disposizione di legge che ha

introdotto in Italia, inizialmente per le società quotate, il controllo obbliga-

torio sulla contabilità e il bilancio da parte di società di revisione esterne

e indipendenti. Si tratta del D.P.R. n. 136/1975 che all’art. 8 prevede-

va tra i vari requisiti per l’iscrizione presso l’albo speciale delle società

di revisione tenuto dalla Consob quello dell’oggetto sociale limitato al-

l’“organizzazione e alla revisione contabile di aziende, con esclusione di

qualsiasi altra attività”14. Tale disposizione lascia o limita (a seconda dei

punti di vista) alle società di revisione la possibilità di fornire servizi su

due aree: l’organizzazione e la revisione contabile. È chiaro sin dall’inizio

della costruzione giuridica che accanto al controllo contabile convive la

prestazione di servizi (di organizzazione) alle aziende. Allo stesso tempo,

non è chiaro quali servizi possano essere riconducibili nella sfera d’azio-

ne della parola “organizzazione”. Inoltre, altra questione riguarda se e in

che misura tali servizi (non chiaramente defi niti) possano essere svolti nei

confronti delle aziende di cui si deve revisionare il bilancio. Proprio l’as-

senza di una defi nizione crea lo spazio per comportamenti diffi cilmente

classifi cabili nell’ottica dell’esclusività dell’oggetto sociale. Nel riferimen-

to all’organizzazione è possibile individuare elementi di “plasticità” (le di-

verse interpretazioni) ma anche di “robustezza” (la comune idea dell’esi-

stenza di un limite), confermando che dalle classifi cazioni derivano anche

conseguenze sul ruolo svolto dai diversi attori nel mondo economico,

come in altri ambiti della vita moderna (Bowker e Star 2000).

L’oggetto sociale esclusivo delle società di revisione è comunque in-

terpretabile come rigoroso tentativo di salvaguardare il carattere del-

l’indipendenza, in quanto si intende limitare giuridicamente il campo di

14 Si ricorda anche il requisito di «indipendenza, organizzazione e idoneità tecnica» della

società di revisione, in merito al quale la stessa Consob, nella Relazione del 1980 ha affer-

mato che è stata «particolarmente impegnativa … la valutazione globale di merito in ordine

all’indipendenza, organizzazione e idoneità tecnica delle società, una volta completato l’ac-

certamento dell’esistenza dei requisiti di legge. … In qualche caso si è ritenuto di chiedere

ad amministratori o soci la rinuncia a particolari incarichi che destavano perplessità sotto il

profi lo della valutazione dell’indipendenza; come pure la rimozione di inconciliabili situazioni di

collegamento tra società di revisione ed altre società», citato in Fortunato (1985, 39-40).

Servizi «non di revisione»

Page 17: Financial Reporting

17

attività del revisore. Tuttavia, paradossalmente, la defi nizione generica

(servizi di organizzazione) può rendere quella salvaguardia ineffi cace.

Per rispondere in parte a tale problema, l’oggetto sociale è stato limita-

to alla “revisione e all’organizzazione contabile di aziende” con il D. Lgs.

n. 88/1992. A tale proposito, Tezzon (2001) osserva che lo «spostamen-

to dell’aggettivo “contabile” nell’attuale formulazione sgombra il campo

da equivoci e chiarisce che l’attività di organizzazione non deve essere

intesa in senso lato ma deve attenere strettamente agli aspetti contabili

dell’organizzazione stessa.

Nonostante ciò permangono delle aree grigie. Se il termine revisione

contabile richiama inequivocabilmente una serie defi nita di funzioni,

quando si parla di organizzazione contabile c’è sempre il rischio che

la società di revisione svolga un’attività che la pone in una situazione

critica. L’esercizio della vigilanza mira ad evitare due rischi: ■ Il rischio che le attività svolte coinvolgano direttamente la società

di revisione in aspetti dell’operatività dell’impresa collocati a monte

delle manifestazioni contabili, vale a dire in processi e in fatti azien-

dali che, per loro natura, presentano maggiori profi li di delicatezza

per le responsabilità di tipo manageriale che essi comportano. ■ Il rischio di self review, inteso come il rischio che il revisore, nel corso

dell’audit sul bilancio, si trovi a rivedere, e quindi a giudicare senza

la necessaria obiettività, un lavoro di organizzazione contabile da

lui precedentemente svolto, la cui applicazione ha generato quegli

stessi dati contabili oggetto di revisione.

È evidente che mentre nel primo caso siamo in presenza di attività

sempre escluse, perché esorbitanti l’oggetto sociale, nel secondo la

disciplina dell’oggetto sociale è rispettata ma l’indipendenza resta co-

munque minacciata dallo svolgimento di quell’attività nei confronti dello

stesso cliente del quale viene revisionato il bilancio».

È opportuno inoltre osservare che nella riformulazione dell’esclusività

dell’oggetto sociale del 1992, tuttora in vigore, è stato eliminato l’inciso

di carattere rafforzativo (“con esclusione di qualsiasi altra attività”).

La normativa italiana si caratterizza dunque per aver stabilito che l’og-

getto sociale della società di revisione è limitato alla revisione e organiz-

zazione contabile. L’interpretazione operativa di tale espressione e l’en-

tità dei servizi non di revisione prestati alle medesime aziende conferenti

l’incarico di revisione del bilancio è divenuto negli ultimi anni argomento

sempre più dibattuto. Ad esempio, Comoli (1996, 40) in un report di ri-

cerca basato su interviste a dottori commercialisti segnala l’«opinione

di qualcuno degli intervistati che qualora una società di revisione presti

anche servizi di consulenza ad una stessa azienda, si attenui, di fatto, il

principio inderogabile dell’autonomia di giudizio del revisore, e, quindi, la

Servizi «non di revisione»

Page 18: Financial Reporting

18

propria indipendenza». Opinione diversa è espressa da parte di esponen-

ti delle società di revisione che, come riportato in una ricerca di Andrei

e Ferrari (1996, 126) basata su interviste, giudicano inadeguata la norma

sulla limitazione dell’oggetto sociale «sottolineando come lo svolgimento

di attività di consulenza non possa essere considerato in contrasto con il

raggiungimento degli obiettivi legati all’indipendenza dei revisori».

In un quadro interpretativo che può oscillare tra il rigoroso divieto e

l’accondiscendenza in merito all’ammissibilità di servizi diversi dalla re-

visione, si inserisce l’attività della Consob che nel tempo si è occupata

della questione in oggetto15.

Uno dei primi interventi della Consob dedicati al tema del confl itto di

interessi tra revisione contabile ed attività di consulenza è contenuto

nella Comunicazione n. 87/01002 del 23 gennaio 1987 con cui si invita-

no le società conferenti l’incarico di revisione contabile «a non avvalersi

della consulenza di organismi, società, studi associati o singoli profes-

sionisti che intrattengono un rapporto di fatto a carattere continuativo,

mediante le prestazioni di consulenze e collaborazioni con le società

di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico di certifi cazione». La

questione affrontata in tale prescrizione è quella relativa alla possibilità

che il revisore, non potendo svolgere direttamente attività di consu-

lenza, potesse far ricorso ad altre strutture organizzative ed operative

appartenenti alla medesima “rete”, per prestare servizi di consulenza

alle medesime aziende in cui si era assunto l’incarico di controllare il

bilancio. In tal modo, sarebbe riemerso indirettamente il confl itto di in-

teressi e il problema del self review16.

Tale riferimento ai soggetti legati alla società di revisione è ripreso in

un’altra Comunicazione Consob (n. Dac/Rm/96003558) del 18 aprile

1996 che ha per oggetto il conferimento dell’incarico ed i relativi adem-

pimenti da parte delle società conferenti e delle società di revisione. Per

quanto interessa in questa sede, si ricorda, tra gli obblighi previsti per le

società conferenti, i seguenti due punti:■ Le società conferenti dovranno fornire annualmente, nel corso del-

l’assemblea di approvazione del bilancio d’esercizio, l’indicazione

del numero di ore impiegate e del corrispettivo fatturato dalla socie-

15 Occorre notare che il tema dell’indipendenza del revisore non può essere compreso solo

con il riferimento a profi li regolamentari. Windsor e Ashkanasy (2005, 717) osservano nella

conclusione della loro ricerca che «auditor independence behaviour is complex, and involves

an interaction between personal values, cognitions and the situation. Hence, it would be dif-

fi cult to fi nd one simple solution, such as giving psychological tests when recruiting auditors.

Focusing on one dimension is not suffi cient to improve the ethical performance of auditors.

Even the autonomous auditors in the present research acquiesced to client power manage-

ment, especially when they believed in an unjust world. On the other hand, the pragmatic

auditors were not as acquiescent as the accommodating auditors with unjust world beliefs».16 Problemi analoghi sono stati rilevati in Francia da Mikol e Standish (1998).

Servizi «non di revisione»

Page 19: Financial Reporting

19

tà di revisione per la revisione del bilancio civilistico e del consolida-

to (p.to D.1.1).■ Nel corso dell’assemblea dovranno altresì essere comunicate le

eventuali modifi che o integrazioni della proposta della società di re-

visione incaricata, nel caso in cui intervengono fatti eccezionali e/o

imprevedibili (p.to D.1.2).

Con riferimento alle società conferenti e alle società di revisione, viene

prevista la seguente raccomandazione:■ Si invitano le società conferenti l’incarico di revisione contabile a non

avvalersi della consulenza di organismi, società, studi associati o

singoli professionisti che intrattengono un rapporto di fatto a carat-

tere continuativo, mediante le prestazioni di consulenze e collabora-

zioni con le società di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico

di certifi cazione (p.to D.3.2).

È importante sottolineare che la raccomandazione contenuta nel testé

menzionato punto D.3.2) è rimasta in vigore fi no alla sua abrogazione

avvenuta con la Comunicazione n. 15185 del 5 ottobre 2005 che rende

applicabile un più ampio principio di revisione dedicato all’indipenden-

za del revisore, facendo esplicito riferimento al concetto di “rete” (Cspr

2005). Quanto quella medesima raccomandazione sia stata seguita nel

tempo è questione di sicuro interesse. A tale proposito, Tezzon (2001)

osserva che «da un’indagine recentemente condotta sulle prime 55 so-

cietà quotate ed i rispettivi gruppi è emersa una diffusa disapplicazione

di tale raccomandazione. Non per questo si può affermare che sussi-

ste anche una mancanza di indipendenza o una violazione della norma

relativa all’oggetto sociale. Manca infatti la dimostrazione del rapporto

causa-effetto. Di certo si tratta di un fenomeno “opaco” sul quale non vi

è informazione e che ha dimensioni non trascurabili».

La questione dei servizi di consulenza svolti dalla società di revisione

o da soggetti a essa legati è stata affrontata dalla Consob anche me-

diante il coinvolgimento degli organi societari. È il caso di ricordare la

Comunicazione n. Dac/Rm/97001574 del 20 febbraio 1997 dedicata al

più ampio tema dei controlli societari. In tale documento, tra le altre

prescrizioni, si raccomanda che i collegi sindacali integrino rispetto a

quanto richiesto da previsioni legislative, il contenuto della relazione,

esprimendo in particolare valutazioni e commenti sugli ulteriori incarichi

attribuiti al revisore, in aggiunta alla revisione e certifi cazione del bilan-

cio, e relativi costi. Inoltre, si raccomanda che l’attribuzione al revisore

contabile di incarichi diversi dalla revisione e certifi cazione del bilancio,

purché compatibili con l’oggetto sociale della società di revisione, sia

deliberata dal consiglio d’amministrazione previo parere del collegio

sindacale. In linea generale, come riportato da Marasca (2000, 54), tale

Servizi «non di revisione»

Page 20: Financial Reporting

20

intervento della Consob ha «sollevato numerose critiche da parte sia del

mondo professionale, sia di studiosi ed esperti in relazione all’ingerenza

dell’organo di vigilanza in un ambito ritenuto estraneo ai suoi compiti».

Con l’approvazione del D. Lgs. n. 58/1998 o Testo Unico sulla Finanza

(Tuf) si avvia un processo di cambiamento nei meccanismi di funziona-

mento degli organi societari per le aziende quotate in borsa. Si segnala,

ad esempio, l’esplicito riferimento al “sistema di controllo interno” (Corte-

si, Tettamanzi e Corno 2009; Marchi 2004; Zanda 2002). I cambiamenti ri-

chiesti dal Tuf hanno generato anche una nuova domanda di consulenze

professionali cui le stesse società di revisione potevano essere interessa-

te, sempre naturalmente nei limiti dell’oggetto sociale17. Tra le questioni

che si sono poste, merita di essere ricordata quella relativa all’ipotesi di

affi dare proprio a una società di revisione, le funzioni di controllo inter-

no. Su questo problema una Comunicazione Consob (n. Dem/94875 del

2000) non ammette tale possibilità, in quanto, tra le altre motivazioni, la

funzione di controllo interno «…si spinge fi no allo svolgimento di attività

di supporto consultivo ai settori dell’organizzazione aziendale…».

Una successiva Comunicazione (n. Dem/3030464 del 2003) conferma

che la «contestuale prestazione nei confronti dello stesso soggetto di

servizi professionali di auditing e di altra natura da parte della società di

revisione incaricata e dei soggetti ad essa legati, costituisce un elemen-

to pregiudizievole dell’indipendenza della società di revisione stessa».

Il coinvolgimento del collegio sindacale di società quotate nelle questioni

relative all’attribuzione di “ulteriori incarichi” continua nel nuovo quadro

giuridico del Tuf, con la Comunicazione n. Dem/1025564 del 6 aprile 2001

riguardante proprio i contenuti della relazione del collegio sindacale. Di

interesse per la presente ricerca sono i seguenti due punti:■ Indicazione dell’eventuale conferimento di ulteriori incarichi alla so-

cietà di revisione e dei relativi costi.■ Indicazione dell’eventuale conferimento di incarichi a soggetti legati

alla società incaricata della revisione da rapporti continuativi e dei

relativi costi.

Tali informazioni dovrebbero essere inserite nella relazione anche se di

segno negativo. Ad esempio, se non sono stati conferiti ulteriori incari-

chi alla società di revisione, è opportuno indicare tale circostanza, piut-

tosto che non fare alcun riferimento a tale ipotesi operativa.

La richiesta di tali informazioni è stata confermata con la Comunicazio-

ne n. Dem/3021582 del 4 aprile 2003. In tale provvedimento la Consob

segnala che «gli esiti dell’esame delle schede di controllo hanno mo-

17 Si nota che anche successi provvedimenti legislativi sono stati potenziali generatori di «op-

portunità» per offrire ulteriori servizi da parte delle società di revisione, come, ad esempio, nel

caso del D.Lgs. n. 231/2001 e della Legge n. 262/2005.

Servizi «non di revisione»

Page 21: Financial Reporting

21

strato un buon grado di adesione, ancorché non completo, da parte

dei collegi sindacali nonché un conseguente notevole miglioramento

rispetto al passato della qualità dell’informazione resa agli azionisti».

A seguito della riforma del diritto societario nel 2003, con conseguente

adeguamento del Tuf, e dopo l’adozione del principio di revisione dedica-

to all’indipendenza del revisore (Cspr, 2005), anche le schede riepilogative

dell’attività di verifi ca svolta dagli organi di controllo delle società quotate

sono state modifi cate. Per quanto interessa in questa sede, la Comuni-

cazione n. Dem/6031329 del 7 aprile 2006 segnala che «i quesiti sugli

eventuali ulteriori incarichi conferiti alla società di revisione e/o a soggetti

legati alla società di revisione da “rapporti continuativi” sono stati rifor-

mulati e accorpati per tener conto del nuovo documento raccomandato

dalla Consob sui “Principi di indipendenza del Revisore” (delibera 15185

del 5 ottobre 2005) che, da un lato, ha ampliato e meglio defi nito il novero

dei soggetti che, in qualità di fornitori o di destinatari di servizi diversi dal-

la revisione, possono infl uire sull’indipendenza del revisore, dall’altro ha

individuato nell’organo interno di controllo l’interlocutore privilegiato del

revisore per tutte le problematiche in materia d’indipendenza».

Si segnala infi ne che il ruolo dell’organo di controllo (il collegio sindaca-

le, nel modello societario tradizionale) nella valutazione dell’indipenden-

za del revisore è previsto anche dal Codice di Autodisciplina di Borsa

Italiana (2006) che al punto 10.C.5. prescrive che: il collegio sindacale

vigila sull’indipendenza della società di revisione, verifi cando tanto il

rispetto delle disposizioni normative in materia, quanto la natura e l’en-

tità dei servizi diversi dal controllo contabile prestati all’emittente ed alle

sue controllate da parte della stessa società di revisione e delle entità

appartenenti alla rete della medesima. A tale proposito, si osserva an-

che l’opportunità di ampliare le prerogative del Comitato per il controllo

interno (punto 8.C.3. del Codice di Autodisciplina), al fi ne di individua-

re un ruolo nel processo di approvazione di eventuali ulteriori incarichi

conferiti alla società di revisione o a entità appartenenti alla sua rete.

Sul substrato interpretativo predisposto dalla Consob (sintetizzato nella

Tabella 1), si inserisce un fattore di cambiamento fornito dalla stessa

realtà aziendale. Gli scandali fi nanziari statunitensi (per esempio, En-

ron, Global Crossing) ed europei (per esempio, Ahold, Parmalat) suc-

cedutisi a partire dalla fi ne del 2001 hanno contribuito al cambiamento

del clima sociale ed economico, rendendolo generalmente più rigoroso

nella formulazione di regole e nelle sue interpretazioni. Su tale scia di

cambiamento, una svolta signifi cativa nel quadro giuridico italiano si

è avuta con la Legge n. 262 del 28 dicembre 2005 (cosiddetta legge

per la tutela del risparmio). Tale provvedimento, seguito dal D. Lgs. di

coordinamento n. 303 del 29 dicembre 2006 ha innovato il Tuf sui temi

Servizi «non di revisione»

Page 22: Financial Reporting

22

oggetto della presente indagine. In particolare, l’art. 160 (Incompatibi-

lità) del Tuf tratta della questione oggetto di analisi e in parte rinvia a

regolamenti della Consob, al fi ne di assicurare l’indipendenza della so-

cietà e del responsabile della revisione. Tra i punti di interesse in questa

sede, segnaliamo i seguenti:■ La defi nizione di criteri per la defi nizione di «rete» di una società di

revisione.■ Le forme di pubblicità dei compensi che la società di revisione e le

entità appartenenti alla sua rete hanno percepito, distintamente, per

incarichi di revisione e per la prestazione di altri servizi, indicati per

tipo o categoria.

Tabella 1: INTERVENTI DELLA CONSOB IN MERITO AGLI «INCARICHI AGGIUNTIVI» RISPETTO ALLA REVISIONE CONTABILE

Provvedimento della Consob Contenuto rilevante in merito agli «incarichi aggiuntivi» rispetto alla revisione contabile

Comunicazione

n. 87/01002

del 23 gennaio 1987

Si invitano le società conferenti l’incarico di revisione contabile a non avvalersi della consulenza

di organismi, società, studi associati o singoli professionisti che intrattengono un rapporto di

fatto a carattere continuativo, mediante le prestazioni di consulenze e collaborazioni con le

società di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico di certifi cazione.

Comunicazione

n. Dac/Rm/96003558

del 18 aprile 1996

Al punto D.3.2 si invitano le società conferenti l’incarico di revisione contabile a non avvalersi

della consulenza di organismi, società, studi associati o singoli professionisti che intrattengono

un rapporto di fatto a carattere continuativo, mediante le prestazioni di consulenze e

collaborazioni con le società di revisione alle quali sia stato conferito l’incarico di certifi cazione.

Comunicazione

n. Dac/Rm/97001574

del 20 febbraio 1997

Si raccomanda al collegio sindacale di esprimere valutazioni e commenti nella propria

relazione sugli ulteriori incarichi conferiti alla società di revisione e relativi costi.

Si raccomanda che gli ulteriori incarichi siano conferiti dal consiglio di amministrazione

previo parere del collegio sindacale.

Comunicazione

n. Dem/94875

del 27 dicembre 2000

L’esercizio della funzione di controllo interno nell’ambito di un’azienda non è riconducibile

all’attività di organizzazione contabile prevista nell’oggetto sociale delle società di revisione.

Comunicazione

n. Dem/1025564

del 6 aprile 2001

Comunicazione

n. Dem/3021582

del 4 aprile 2003

È previsto che la relazione del collegio sindacale fornisca informazioni in merito a:

- Ulteriori incarichi conferiti al revisore e relativi costi;

- Ulteriori incarichi conferiti a società legate al revisore da rapporti continuativi e relativi costi.

Comunicazione

n. Dem/3030464

del 12 maggio 2003

Si conferma che la contestuale prestazione nei confronti dello stesso soggetto di servizi

professionali di auditing e di altra natura da parte della società di revisione incaricata e dei

soggetti ad essa legati, costituisce un elemento pregiudizievole dell’indipendenza della

società di revisione stessa.

Comunicazione n. 15185

del 5 ottobre 2005

Abroga il punto D.3.2 della Comunicazione n. 96003558 del 18 aprile 1996 ed adotta il

documento “principi di indipendenza del revisore” (Cspr, 2005).

Comunicazione

n. Dem/6031329

del 7 aprile 2006

È previsto che nella relazione dell’organo di controllo si forniscano informazioni in merito a:

- Eventuali ulteriori incarichi conferiti al revisore e alla sua “rete”;

- Eventuali criticità ed iniziative intraprese per salvaguardare l’indipendenza del revisore.

Servizi «non di revisione»

Page 23: Financial Reporting

23

Il già menzionato art. 160 del Tuf stabilisce il divieto rivolto alla società

di revisione e alla sua rete di prestare alcuni servizi nei confronti delle

aziende in cui hanno assunto l’incarico di controllare il bilancio. Ripor-

tiamo di seguito l’elenco delle prestazioni che, nell’interpretazione del

legislatore, minano l’indipendenza del revisore:

a) Tenuta dei libri contabili e altri servizi relativi alle registrazioni conta-

bili o alle relazioni di bilancio

b) Progettazione e realizzazione dei sistemi informativi contabili

c) Servizi di valutazione e stima ed emissione di pareri pro veritate

d) Servizi attuariali

e) Gestione esterna dei servizi di controllo interno

f) Consulenza e servizi in materia di organizzazione aziendale diretti

alla selezione, formazione e gestione del personale

g) Intermediazione di titoli, consulenza per l’investimento o servizi ban-

cari d’investimento

h) Prestazione di difesa giudiziale

i) Altri servizi e attività, anche di consulenza, inclusa quella legale, non

collegati alla revisione, individuati dalla Consob con un regolamento.

Tale elenco segna un passo importante nell’incerto processo interpre-

tativo delineato precedentemente, riducendo, in tal modo, il grado di

«plasticità» nella defi nizione delle attività non erogabili accanto al servi-

zio del controllo legale dei conti.

È opportuno segnalare che l’elenco delle attività vietate è ispirato da

un’analoga disposizione statunitense contenuta nel Sarbanes-Oxley

Act del 200218. A tale proposito, si ricorda che negli Stati Uniti l’obbligo

di fornire informazioni sui compensi per prestazioni di servizi non di re-

visione è sostanzialmente riconducibile ad un intervento regolamentare

della Securities and Exchange Commission del 2000 (Sec 2000)19.

18 La section 201 (Services outside the scope of practice of auditors) del Sarbanes-Oxley Act

riporta il seguente elenco di attività vietate:

(1) Bookkeeping or other services related to the accounting records or fi nancial statements

of the audit client

(2) Financial information systems design and implementation

(3) Appraisal or valuation services, fairness opinions, or contribution-in-kind reports

(4) Actuarial services

(5) Internal audit outsourcing services

(6) Management functions or human resources

(7) Broker or dealer, investment adviser, or investment banking services

(8) Legal services and expert services unrelated to the audit, and

(9) Any other service that the Board determines, by regulation, is impermissible.19 Un primo obbligo informativo in tal senso è stato introdotto dalla Sec nel 1978 con l’Ac-

counting Series Release (ARS) 250 ed è rimasto in vigore fi no al 1982. Con l’ARS 250 viene

proposto anche il calcolo di un indice relativo al peso dei servizi diversi dalla revisione sul

totale dei corrispettivi. Si nota, inoltre, che l’obbligo informativo sui corrispettivi per servizi di

revisione e non di revisione è stato introdotto in Australia nel 1972 e in UK nel 1992.

Servizi «non di revisione»

Page 24: Financial Reporting

24

In attuazione della delega contenuta nel Tuf, la Consob ha introdotto

nella Parte III, Titolo VI, del Regolamento Emittenti n. 11971, il Capo

I-bis (Incompatibilità) che contiene gli articoli da 149-bis a 149-duo-

decies. Tra i servizi vietati da aggiungere a quelli già elencati nell’art. 160

del Tuf, vengono individuati i “servizi di consulenza legale” defi niti come

“servizi di consulenza che comportano un’attività di rappresentanza del

cliente nonché i servizi di assistenza legale connessi allo svolgimento di

procedimenti contenziosi” (art. 149-decies). La questione riguardante la

pubblicità dei corrispettivi è trattata nel successivo paragrafo.

4. Informazioni sui corrispettivi per revisione contabile

e servizi diversi dalla revisione

Il quadro regolamentare italiano discusso nel paragrafo 3 ha messo

in evidenza che gradualmente è cresciuta l’attenzione sull’informativa

relativa al costo della revisione - comunicata in assemblea in sede di

approvazione del bilancio - e alla natura e ai costi di ulteriori incarichi

anche con riferimento alla rete del revisore - comunicata nella relazione

del collegio sindacale - (per alcuni esempi, cfr. Ianniello 2008: 113-159).

Tale percorso giunge a maturazione dopo la Legge 262/2005 con il con-

seguente art. 149-duodecies (Pubblicità dei corrispettivi) del Regola-

mento Emittenti n. 11971 (decisione fi nale assunta dalla Consob con

Delibera n. 15915 del 3 maggio 2007) in cui si prevede che:

«1. In allegato al bilancio d’esercizio della società che ha conferito l’in-

carico di revisione viene presentato un prospetto contenente i cor-

rispettivi di competenza dell’esercizio, a fronte dei servizi forniti alla

società dai seguenti soggetti:

a) Dalla società di revisione, per la prestazione di servizi di revisione.

b) Dalla società di revisione, per la prestazione di servizi diversi dal-

la revisione, suddivisi tra servizi di verifi ca fi nalizzati all’emissione

di un’attestazione e altri servizi, distinti per tipologia.

c) Dalle entità appartenenti alla rete della società di revisione, per la

prestazione di servizi, suddivisi per tipologia.

2. Per le società tenute alla redazione del bilancio consolidato, il pro-

spetto di cui al comma 1 è elaborato anche con riferimento ai servizi

forniti dalla società di revisione della capogruppo e dalle entità ap-

partenenti alla sua rete alle società controllate».

Con tale disposizione si rende obbligatoria nel bilancio l’informazione

sui corrispettivi per servizi di revisione e non di revisione prestati nei

confronti dall’azienda capogruppo e dell’intero gruppo aziendale. Tale

nuova veste comunicativa enfatizza il ruolo che tale informazione può

Servizi «non di revisione»

Page 25: Financial Reporting

25

avere nel valutare il grado di indipendenza del revisore. Si tratta della

percezione dell’indipendenza (in apparenza) da parte di terzi. In par-

ticolare, un indice che pone in relazione i corrispettivi per servizi non

di revisione e quelli di revisione potrebbe essere interpretabile come

indicatore di indipendenza in apparenza e, dunque, potrebbe spingere

i comportamenti aziendali verso il contenimento di quel parametro, fi no

alla decisione di non assegnare incarichi aggiuntivi alla società di revi-

sione incaricata del controllo del bilancio (Goldwasser 2002)20.

Al fi ne di comprendere l’informativa di bilancio sui costi della revisione

contabile e di altri servizi non di revisione, è opportuno indicare quali

sono i pareri o altre prestazioni richiesti da leggi o regolamenti accanto

a quelli di revisione contabile. A tale proposito, Mainardi (2004, 9) se-

gnala una tendenza del nostro ordinamento ad assegnare alle società di

revisione compiti non sempre riconducibili alla pura e semplice revisio-

ne contabile. Tra i principali incarichi previsti da disposizioni legislative

o regolamenti si ricordano i seguenti:■ Revisione (in genere, limitata) della relazione semestrale delle socie-

tà quotate, in base alla raccomandazione della Consob contenuta

nella Comunicazione n. Dac/Rm/97001574 del 20 febbraio 2007.■ Parere di congruità del prezzo di emissione delle azioni in caso di au-

mento di capitale con esclusione o limitazione del diritto di opzione.■ Pareri sul prospetto contabile e sulla relazione sulla base dei quali gli

amministratori deliberano la distribuzione di acconti sui dividendi.■ Parere sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni in occasio-

ne di una fusione21.■ Relazioni sui bilanci pro-forma presentati nei prospetti informativi e/

o relazioni sulla bontà del sistema di controllo interno, in occasione

dell’ammissione in borsa (Regolamento della Borsa Italiana Spa).■ Revisioni o attestazioni relative a prospetti o altre informazioni per

la richiesta di contributi pubblici (in base alle norme di particolari

settori operativi).

20 Ad esempio, nella Relazione e Bilancio di Esercizio di Enel 2007 (p. 155) è scritto che:

«In aggiunta al divieto relativo alla prestazione di specifi che tipologie di servizi, imposto alle

società di revisione dal Testo Unico della Finanza (con previsioni introdotte alla fi ne del 2005),

già da tempo il codice etico del Gruppo sancisce l’incompatibilità della revisione contabile del

bilancio della Società e del bilancio consolidato con lo svolgimento di attività di consulenza

prestata in favore di qualsiasi società del Gruppo, estendendosi tale incompatibilità all’intero

network della società di revisione».21 Mainardi (2004: 148) osserva che «la possibilità di nominare, per la redazione della rela-

zione sulla congruità del rapporto di cambio, la stessa società di revisione incaricata della

revisione del bilancio prospetta un potenziale rischio di auto-revisione (c.d. self review). Infatti,

il revisore si potrebbe trovare, nello svolgimento delle procedure di revisione del bilancio, a

dover attuare verifi che sull’oggetto stesso del proprio lavoro, ingenerando così una situazione

in cui sarebbe diffi cile rimanere obiettivo».

Servizi «non di revisione»

Page 26: Financial Reporting

26

■ Procedure di verifi ca fi nalizzate alla sottoscrizione delle Dichiarazioni

fi scali prevista dalle autorità fi scali.■ Verifi ca della valutazione del sistema di controllo interno in base a

quanto previsto dal Sarbanes-Oxley Act, nel paragrafo 404, nei casi

di quotazione sul mercato statunitense.

Per quanto attiene alla classifi cazione, la Raccomandazione europea

(Ce, 2002: §5, p.ti 3 e 4) fornisce una suddivisione del totale dei corri-

spettivi in quattro categorie:■ Servizi di revisione legale■ Altri servizi di verifi ca■ Servizi di consulenza fi scale■ Altri servizi diversi dalla revisione

I corrispettivi per gli altri servizi diversi dalla revisione vanno ulteriormente

suddivisi per sottocategorie fi nché le voci comprese in una di esse diffe-

riscono sostanzialmente tra loro. Questa suddivisione in sottocategorie

deve almeno fornire informazioni sui corrispettivi per la fornitura di servizi

relativi ai sistemi informativi-contabili-amministrativi-fi nanziari, al servi-

zio di revisione interna, alla valutazione, all’assistenza nella risoluzione

di controversie e alla ricerca di personale. Per ogni voce nell’ambito di

una (sotto)categoria va indicato anche l’importo registrato alla voce corri-

spondente per il periodo di riferimento precedente. Inoltre, va presentata

una ripartizione in percentuale delle diverse (sotto)categorie.

Nel caso della revisione legale di un bilancio consolidato, vanno pub-

blicizzati i corrispettivi percepiti dal revisore legale e dagli appartenenti

alla stessa rete per i servizi prestati al cliente e alle sue entità comprese

nel consolidamento.

Nel documento elaborato dalla professione contabile italiana (Cspr

2005), naturalmente ispirato dalla Raccomandazione europea del 2002,

con il termine “Revisione” si intendono:

i) I Servizi di Revisione che comprendono:

a) L’attività di controllo dei conti annuali delle imprese, fi nalizzata

all’espressione di un giudizio professionale.

b) L’attività di controllo dei conti consolidati di un insieme di imprese,

anch’essa fi nalizzata all’espressione di un giudizio professionale.

c) L’attività di controllo dei conti infrannuali di un’impresa o di un

insieme di imprese.

ii) I Servizi di Attestazione richiesti dalla legge e da regolamenti o effet-

tuati su base volontaria, aventi ad oggetto informazioni diverse da

quelle di cui ai precedenti punti a), b) e c). Per Servizi di Attestazione

si intendono gli incarichi con cui il Revisore valuta uno specifi co ele-

Servizi «non di revisione»

Page 27: Financial Reporting

27

mento, la cui determinazione è effettuata da un altro soggetto che

ne è responsabile, attraverso opportuni criteri, al fi ne di esprimere

una conclusione che fornisca al destinatario un grado di affi dabilità

in relazione a tale specifi co elemento (Cspr 2005, § 2.1.).

Anche in questo documento è previsto che il totale dei corrispettivi per-

cepiti deve essere suddiviso secondo quattro categorie:■ Servizi di revisione■ Servizi di attestazione■ Servizi di consulenza fi scale■ Servizi diversi dalla revisione

Nell’ambito di ogni categoria per ogni voce deve essere indicato anche

l’importo registrato alla voce corrispondente per il periodo di riferimento

precedente. Inoltre, va presentata una ripartizione in percentuale dei

corrispettivi suddivisi tra le diverse categorie22.

Quanto previsto nei documenti citati in precedenza (Ce 2002; Cspr 2005)

non tiene conto dei cambiamenti apportati dalla legge 262/2005 e con-

seguenti regolamenti Consob. Tuttavia, la classifi cazione di tipo generale

risulta compatibile con il nuovo quadro giuridico. In effetti, anche l’As-

sociazione Italiana Revisori Contabili (Assirevi 2008), per adempiere alla

richiesta dell’art. 149-duodecies del Regolamento Emittenti, suggerisce

un prospetto che prevede la seguente classifi cazione dei servizi:■ Revisione contabile■ Servizi di attestazione■ Servizi di consulenza fi scale■ Altri (da dettagliare)

La verifi ca empirica contenuta nel paragrafo seguente ha seguito tale clas-

sifi cazione nella raccolta dei dati comunicati nel bilancio23. In particolare,

nella presentazione dei risultati, l’accezione dei “servizi non di revisione”

è stata considerata in una versione ampia (servizi di attestazione, consu-

lenza fi scale e altri servizi) e in una ridotta, escludendo i servizi di attesta-

zione. In tal modo, si cerca di tener conto di quei casi in cui le aziende,

22 A solo titolo esemplifi cativo, Cspr (2005, §5.7.2.) riporta una serie di servizi diversi dalla

revisione con considerazioni circa la valutazione della signifi catività della minaccia all’indipen-

denza del revisore:

- Predisposizione delle registrazioni contabili e predisposizione del bilancio

- Progettazione e realizzazione di sistemi informativi-contabili-amministrativi-fi nanziari

- Servizi di valutazione

- Partecipazione alla revisione interna del soggetto sottoposto a revisione

- Attività di patrocinatore legale e consulente tecnico di parte

- Prestazione di servizi di ricerca di personale dell’alta direzione aziendale.23 A titolo comparativo si ricorda che la Sec (2003) richiede alle società quotate di distinguere

quattro categorie di compensi: audit fees, audit-related fees, tax fees e other fees.

Servizi «non di revisione»

Page 28: Financial Reporting

28

pur seguendo una politica tendente a non assegnare ulteriori incarichi al

revisore o alla sua rete, si trovano a comunicare l’esistenza di compensi

per servizi di attestazione in conseguenza di disposizioni normative24.

5. Verifi ca empirica

Nei bilanci del 2007 si manifesta sostanzialmente il primo adempimen-

to all’obbligo di pubblicare informazioni sui compensi per incarichi di

revisione contabile e per servizi diversi dalla revisione affi dati alla me-

desima società di revisione, secondo quanto previsto dall’art. 149-duo-

decies del Regolamento Emittenti della Consob. Il campione esaminato

è costituito da tutte le società italiane quotate nel segmento blue chip

alla data del 31 dicembre 2007. Il numero degli organismi aziendali è

risultato pari a 8325. La scelta è stata motivata dalla considerazione che

le aziende di maggiori dimensioni quotate in borsa costituiscono un

punto di riferimento nell’evoluzione della comunicazione contabile, ma

anche per la loro rilevanza economica nella raccolta di prime evidenze

empiriche sul fenomeno oggetto di indagine.

Dal punto di vista delle modalità utilizzate per comunicare i corrispettivi

per la revisione contabile e per servizi diversi dalla revisione, la Tabella 2

evidenzia che la quasi totalità delle aziende (95,2%) utilizza un prospet-

to nell’ambito di uno specifi co paragrafo della nota integrativa o come

allegato (50,6% + 42,2%). Complessivamente le informazioni vengono

fornite sia nel Bilancio di esercizio che nel Bilancio consolidato (66,3%)

oppure, nel rispetto della lettera della norma, solo nel Bilancio di eser-

cizio (27,7%); in quest’ultimo caso vengono comunque elaborati i dati

relativi alla capogruppo ed all’integro gruppo aziendale. Il suggerimento

derivante da tale osservazione è di ampliare la prassi (già prevalente)

di presentare tali informazioni sia nel bilancio di esercizio che in quel-

lo consolidato. Si segnala la sostanziale assenza di una ripartizione in

termini percentuali tra i diversi tipi di servizi, contrariamente al sugge-

rimento espositivo contenuto in Ce (2002) e Cspr (2005). La presente

indagine non si è soffermata analiticamente sulla tipologia di prospetto

utilizzata, ma tranne poche eccezioni, la forma della tabella utilizzata è

sostanzialmente riconducibile a quella proposta da Assirevi (2008).

24 Si nota che le informazioni disponibili nei bilanci non hanno permesso di «depurare» in

modo analitico e sistematico dai “servizi non di revisione” quelli in qualche modo “obbligati”

da quelli derivanti da una scelta volontaria.25 Le aziende del campione operano nei seguenti settori: alimentari (2), assicurazioni (7),

auto (2), banche (16), chimici (3), costruzioni (4), elettronici, elettromeccanici (4), fi nanziarie

di partecipazione (5), immobiliari (4), impianti e macchine (1), media (6), minerali, metallurgici,

petroliferi (3), servizi di pubblica utilità (13), servizi diversi (1), servizi fi nanziari (1), tessile, abbi-

gliamento, accessori (6), trasporti, turismo (5).

Servizi «non di revisione»

Page 29: Financial Reporting

29

Tabella 2 – FORME DI COMUNICAZIONE DEI COMPENSI PER REVISIONE CONTABILE E SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE

N. %

Tabella / Prospetto 79 95,2

Senza Tabella / Prospetto 4 4,8

Totale 83 100,0

Paragrafo nella nota integrativa (note esplicative) 42 50,6

Allegato al bilancio o alla nota integrativa

(note esplicative)35 42,2

Commento ai costi per servizi nell’ambito

della nota integrativa (note esplicative)3 3,6

Paragrafo nella Relazione sulla gestione 3 3,6

Totale 83 100,0

Bilancio di esercizio e Bilancio consolidato 55 66,3

Solo Bilancio di esercizio 23 27,7

Solo nel Bilancio consolidato 5 6,0

Totale 83 100,0

In merito alla dimensione quantitativa del fenomeno oggetto di indagi-

ne, la statistica descrittiva è contenuta nella Tabella 3 dove la sezione A

evidenzia che il corrispettivo medio con riferimento all’intero campione

esaminato è pari a circa € 3,25 milioni (con un’alta variabilità: SD=5,42),

somma dei compensi medi per ciascuna delle 4 categorie di servizi, con

il 27,4% proveniente dai servizi diversi dalla revisione. In particolare, i

servizi classifi cati come “altri” (16%) e quelli fi nalizzati all’emanazione di

un’attestazione (10,1%) sono i più rilevanti, mentre un ruolo marginale

è assunto dalla consulenza fi scale (1,3%). Complessivamente si può

ritenere che il peso dei servizi diversi dalla revisione sia mediamente

contenuto, anche se superiore alla soglia del 20% (ovvero costi per ser-

vizi diversi dalla revisione non superiori al 25% del costo per incarichi di

revisione contabile), che in alcune prassi aziendali è ritenuta prudenzia-

le al fi ne di salvaguardare l’indipendenza del revisore26.

Poiché in alcune aziende il corrispettivo per servizi diversi dalla revisione

è pari a zero, la sezione B della Tabella 3 riporta i valori medi dei compen-

si e degli indici del peso delle prestazioni, considerando solo le aziende

interessate dai diversi servizi. Anche in questo caso si conferma il ruolo

rilevante degli altri servizi che raggiungono un peso medio del 28,1% nei

63 casi interessati pari a circa l’81% del campione esaminato.

26 Ad esempio, la procedura di gruppo per il conferimento di incarichi a società di revisione

seguita da Fiat S.p.A. – Allegato alla Relazione sulla corporate governance (febbraio 2008),

disponibile su www.fi atgroup.com

Servizi «non di revisione»

Page 30: Financial Reporting

30

Tabella 3 - CORRISPETTIVI PER LA REVISIONE CONTABILE E PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE (STATISTICA DESCRITTIVA)

Sezione A (N = 83)

Minimo Massimo MediaIndice medio

dei corrispettivi1° Quartile 2° Quartile 3° Quartile

Revisione contabile

103.700 25.816.000 2.443.828 0,726 514.000 1.013.000 2.079.000

Servizi di attestazione

0 4.000.000 324.466 0,101 3.142 55.000 251.600

Consulenza fi scale

0 822.000 42.850 0,013 0 0 17.073

Altri servizi 0 5.752.250 442.480 0,160 26.000 163.000 574.500

Sezione B (N = vari)

N. % sul totale N. Media Indice medio dei corrispettivi

Revisione contabile 83 100,0 2.443.828 0,726

Servizi di Attestazione 63 75,9 427.471 0,133

Consulenza fi scale 22 26,5 161.662 0,049

Altri servizi 67 80,7 548.147 0,281

Al fi ne di avere un’informazione più dettagliata sull’indice del peso delle

prestazioni diverse dalla revisione sul totale dei compensi, la Tabella 4

(lato sinistro), seguendo l’impostazione di Francis e Pollard (1979), ri-

porta in 10 intervalli la distribuzione di tale indicatore e progressivamen-

te la distribuzione cumulata. Si nota che in 2 casi (2,4%) gli altri servizi

risultano assenti. Nella situazione opposta si osservano 15 casi (18,1%)

in cui i compensi per servizi diversi dalla revisione superano quelli per

la revisione contabile, evidenziando una situazione critica dal punto di

vista dell’indipendenza in apparenza del revisore. Le altre interpreta-

zioni della Tabella 4 (lato sinistro) dipendono dal giudizio relativo alla

soglia che si ritiene rilevante. Ad esempio, se si assume un indice pari

a 0,20 come valore prudenziale, 37 aziende (44,6%) soddisfano questo

criterio. Se tale soglia viene spostata a 0,25 (cioè, compensi per servizi

diversi dalla revisione fi no a 1/3 dei corrispettivi per revisione contabile),

le aziende rientranti in tale limite sono 43 (51,8%). Nell’ipotesi opera-

tiva che alcuni dei servizi fi nalizzati al rilascio di un’attestazione siano

una scelta determinata da leggi, regolamenti o particolarità del settore

produttivo, la medesima Tabella 4 (lato destro) riporta i medesimi calcoli

considerando solo l’indice del peso dei compensi per consulenza fi sca-

le e altri servizi. In tale situazione, osserviamo che 15 aziende (18,1%)

non affi dano ulteriori incarichi al revisore e che in 7 casi (8,4%) permane

una situazione meritevole di attenzione con un indice superiore a 0,50.

Come era ragionevole attendersi, l’indipendenza in apparenza migliora

Servizi «non di revisione»

Page 31: Financial Reporting

31

se consideriamo il lato destro della Tabella 4. Ad esempio, adottando

una soglia prudenziale dell’indice pari a 0,25, il 71,1% del campione

esaminato si colloca in una situazione accettabile, contro il 51,8% pre-

cedentemente calcolato ed esposto sul lato sinistro della Tabella 4.

Tabella 4 - DISTRIBUZIONE DELL’INDICE DEI CORRISPETTIVI PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE

(Servizi di attestazione + consulenza fi scale + altri servizi) ÷ Totale compensi

N. %Distribuzione cumulata (%)

(Consulenza fi scale + altri servizi) ÷ Totale compensi

N. %Distribuzione cumulata (%)

0 2 2,4 2,4 0 15 18,1 18,1

0,00 – 0,05 9 10,8 13,3 0,00 – 0,05 11 13,3 31,3

0,05 – 0,10 7 8,4 21,7 0,05 – 0,10 13 15,7 47,0

0,10 – 0,15 9 10,8 32,5 0,10 – 0,15 10 12,0 59,0

0,15 – 0,20 10 12,0 44,6 0,15 – 0,20 8 9,6 68,7

0,20 – 0,25 6 7,2 51,8 0,20 – 0,25 2 2,4 71,1

0,25 – 0,30 8 9,6 61,4 0,25 – 0,30 5 6,0 77,1

0,30 – 0,40 11 13,3 74,7 0,30 – 0,40 9 10,8 88,0

0,40 – 0,50 6 7,2 81,9 0,40 – 0,50 3 3,6 91,6

0,50 – 1,00 15 18,1 100,0 0,50 – 1,00 7 8,4 100,0

La questione relativa all’infl uenza della prestazione di servizi diversi dalla

revisione sull’indipendenza del revisore è oggetto di attenzione in questa

sede osservando la propensione a emettere le diverse tipologie di giudi-

zio. Nell’ipotesi di infl uenza ci aspettiamo che i giudizi senza rilievi siano

associati alla presenza di un più ampio ricorso a servizi diversi dalla revi-

sione. La natura dei giudizi espressi non permette di testare tale ipotesi: 82

giudizi senza rilievi e un giudizio con rilievi. Nell’unico giudizio con rilievi,

l’indice del peso delle prestazioni non di revisione è pari a 0,345 (versione

ampia: servizi di attestazione, consulenza fi scale e altri servizi) e 0,318

(versione ridotta: consulenza fi scale e altri servizi). Tuttavia, la presenza di

21 giudizi senza rilievi ma con richiami di informativa ha giustifi cato l’ana-

lisi dell’eventuale associazione tra peso dei servizi diversi dalla revisione

e giudizi espressi dal revisore nella relazione al bilancio di esercizio e al

bilancio consolidato. La Tabella 5 riporta le aziende classifi cate in base al-

l’indice del peso delle prestazioni con le tipologie di giudizio osservate nel

campione esaminato27. Si evidenzia un’associazione positiva signifi cativa

tra la presenza di richiami di informativa (o paragrafo d’enfasi) e un alto

indice (maggiore di 0,50) delle prestazioni diverse dalla revisione nella ver-

27 Le società di revisione sono tutte appartenenti al gruppo delle cosiddette «big four»; si

riporta di seguito la distribuzione degli incarichi (numero e percentuale) nell’ambito del cam-

pione esaminato: Deloitte & Touche S.p.A. (21, 25%), Kpmg S.p.A. (13, 16%), Pricewate-

rhouseCoopers S.p.A. (24, 29%), Reconta Ernst & Young S.p.A. (25, 30%).

Servizi «non di revisione»

Page 32: Financial Reporting

32

sione ampia (servizi di attestazione, consulenza fi scale e altri servizi) e in

quella ridotta (consulenza fi scale e altri servizi). In particolare, nei 15 casi

con un indice delle prestazioni diverse della revisione maggiore di 0,50 si

osserva la presenza di 7 giudizi con richiami d’informativa (46,7%), men-

tre nei rimanenti 68 casi, tale presenza è pari a 14 (20,6%). La differenza

è signifi cativa applicando il Test esatto di Fisher a due code (p = 0,050)28.

Utilizzando l’indice delle prestazioni diverse dalla revisione nella versione

ridotta, si osserva che nei 7 casi caratterizzati da tale indicatore maggiore

di 0,50 i richiami di informativa sono pari a 4 (57,1%), mentre nei rimanenti

76 casi, tale presenza è pari a 17 (22,4%). La differenza risulta signifi ca-

tiva (p = 0,065; Test esatto di Fisher a due code) anche se ad un livello

lievemente inferiore rispetto al test precedente.

Come noto, i richiami d’informativa (o paragrafi d’enfasi) sottolineano

l’esistenza all’interno del bilancio di peculiarità legate a un evento o

una circostanza aziendale (ad esempio, diffi coltà fi nanziarie che posso-

no minare l’ipotesi della continuità aziendale) e richiamano l’attenzione

sull’informativa resa nel bilancio medesimo (Comunicazione Consob n.

99088450 del 1 dicembre 1999 e, con riferimento all’ipotesi di continui-

tà aziendale, Comunicazione Consob n. Dem/9012559 del 6 febbraio

2009; Cspr 2007). La diffi coltà interpretativa dell’evidenza emersa è

confermata anche da precedenti ricerche che assimilano i giudizi senza

rilievi con “added comments” ai giudizi senza rilievi tout court, in quan-

to non costituenti “serious qualifi cations” (Craswell, Stokes e Laughton

2002, 258). Pertanto, in linea teorica, si può trattare di “casi tipici” di pa-

ragrafo d’enfasi oppure di “situazioni problematiche” che non sfociano

in un giudizio più severo (ad esempio, giudizio con rilievi, o impossibilità

di esprimere un giudizio)29. Non è tra gli obiettivi della presente indagine

dimostrare che tali situazioni si siano verifi cate in alcuni dei casi esami-

nati. Inoltre, poiché si tratta della percezione di indipendenza che non

necessariamente si traduce in azione, si può argomentare che la più

alta presenza di servizi non di revisione, consente l’accesso ad ulteriori

informazioni rilevanti per conoscere l’azienda, permettendo di esprime-

re richiami di informativa nell’ambito di un giudizio sul bilancio senza

rilievi. L’attribuzione di cause specifi che all’evidenza raccolta apre lo

spazio per future ricerche tendenti a chiarire l’uso del richiamo d’infor-

mativa nell’ambito delle relazioni emesse dalle società di revisione.

28 È stato utilizzato il Test esatto di Fischer, in quanto nella tabella di contingenza ci sono

valori attesi inferiore a 5, situazione che non rende signifi cativamente applicabile il Test del

chi-quadrato.29 Si nota che nella versione dell’art. 156 del Tuf modifi cata dal D.Lgs. n. 32/2007 si è espli-

citato che, oltre al giudizio sul bilancio, la relazione del revisore comprende «eventuali richiami

di informativa che il revisore sottopone all’attenzione dei destinatari del bilancio, senza che

essi costituiscano rilievi».

Servizi «non di revisione»

Page 33: Financial Reporting

33

Tabella 5 – ASSOCIAZIONE TRA INDICE DEI CORRISPETTIVI PER SERVIZI DIVERSI DALLA REVISIONE E GIUDIZIO ESPRESSO DALLA SOCIETÀ DI REVISIONE

N. Giudizio espresso dalla società di revisione Pa

(Servizi di attestazione +

consulenza fi scale + altri

servizi) ÷ Totale compensi

Senza

rilievi

Con

rilievi

Impossibilità

di esprimere

un giudizio

Negativo

Senza rilievi

con richiami di

informativa

0,50 – 1,00 15 15 0 0 0 7

0,0500,00 – 0,50 68 67 1 0 0 14

Totale 83 82 1 0 0 21

(Consulenza fi scale + altri

servizi) ÷ Totale compensi

0,50 – 1,00 7 7 0 0 0 4

0,0650,00 – 0,50 76 75 1 0 0 17

Totale 83 82 1 0 0 21

a Valore di p determinato con il Test esatto di Fisher a due code

5. Conclusioni

La ricerca condotta ha mostrato che in Italia, nonostante l’esclusività del-

l’oggetto sociale delle società di revisione, si sono posti problemi inter-

pretativi e regolamentari in merito alla coesistenza di servizi di consulenza

accanto all’attività di revisione contabile. Gli scandali fi nanziari succedutisi

a partire dal 2001 negli Stati Uniti e in Europa, hanno stimolato interventi re-

golamentari sulla questione dei servizi aggiuntivi. In Italia, oltre al divieto di

alcune attività esplicitamente elencate, uno strumento di controllo è stato

individuato nella pubblicità dei corrispettivi dovuti al revisore per il controllo

dei conti e per servizi diversi dalla revisione. Le prime evidenze raccol-

te sui bilanci di esercizio e consolidati 2007 delle società italiane quotate

a maggiore capitalizzazione, mostrano che la quasi totalità delle aziende

utilizzano un prospetto nell’ambito di uno specifi co paragrafo della nota

integrativa o come allegato. Un miglioramento espositivo potrebbe otte-

nersi dalla ripartizione in termini percentuali tra i diversi tipi di servizi e dalla

presentazione di dati comparativi relativi all’anno precedente.

Dal punto di vista quantitativo, il dato medio relativo al campione esami-

nato mette in evidenza un indice dei compensi per servizi non di revisio-

ne (servizi di attestazione, consulenza fi scale, altri servizi) pari a 0,274

(ovvero 37,7% del compenso per attività di revisione contabile). Anche

se non esistono delle soglie di valore generalmente ritenute accettabili

al fi ne di salvaguardare la percezione di indipendenza, si può ritenere

che tale valore non presenti elementi di criticità, pur essendo superiore

a 0,20 (ovvero 25% dei corrispettivi per revisione contabile) assunto

come valore soglia di attenzione in alcune prassi aziendali. L’analisi in

Servizi «non di revisione»

Page 34: Financial Reporting

34

dettaglio mette comunque in evidenza l’esistenza di 15 casi (18,1%) in

cui i compensi per servizi diversi dalla revisione superano quelli per la

revisione contabile; escludendo i servizi di attestazione, permangono

comunque 7 casi (8,4%) in cui l’indice dei compensi per consulenza

fi scale e altri servizi è superiore 0,50. Questi casi sono meritevoli di

attenzione sotto il profi lo della percezione dell’indipendenza (in appa-

renza) del revisore da parte di terzi.

In merito alla questione dell’infl uenza dei servizi non di revisione sul-

l’espressione del giudizio da parte del revisore, le evidenze raccolte (82

giudizi senza rilievi e un giudizio con rilievi) non permettono di testare tale

eventuale infl uenza. Tuttavia, è emersa un’associazione positiva signifi -

cativa tra richiami di informativa nella relazione della società di revisione

e la presenza di servizi diversi dalla revisione. Tale risultato non è interpre-

tabile in modo univoco a supporto dell’ipotesi di perdita di indipenden-

za del revisore. L’interpretazione dipende dalla collocazione teorica del

richiamo di informativa nell’ambito dei “casi tipici” di paragrafo d’enfasi

oppure in “situazioni problematiche” che non sfociano in un giudizio più

severo. L’attribuzione di cause specifi che all’evidenza raccolta apre lo

spazio per future ricerche tendenti a chiarire l’uso del richiamo d’informa-

tiva nell’ambito delle relazioni emesse dalle società di revisione.

La dimensione del campione (limitato alle società con più alta capitaliz-

zazione appartenenti al segmento blue chip) e l’analisi condotta sul solo

anno 2007 (prima applicazione dell’obbligo informativo nel bilancio sui cor-

rispettivi alla società di revisione) possono considerarsi dei limiti del pre-

sente contributo esplorativo. Future ricerche potranno essere condotte su

campioni più ampi e fornendo analisi comparative in senso temporale.

Servizi «non di revisione»

Page 35: Financial Reporting

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Servizi «non di revisione»

Page 39: Financial Reporting

39

La comunicazione economico-fi nanziaria delle P.M.I. secondo i professionisti contabili. Un’indagine empirica

di Rosa Vinciguerra e Nadia Cipullo – Seconda Università degli Studi di Napoli

La comunicazione economico-fi nanziaria è fondamentale per tutte le aziende,

anche per quelle di piccola-media dimensione. Queste ultime, defi nite in base

a parametri quantitativi e qualitativi, presentano, tuttavia, delle peculiarità

che infl uenzano i fi nalismi della comunicazione di bilancio, le sue forme

ed i suoi contenuti. Attraverso la ricerca empirica svolta, avente carattere

deduttivo e descrittivo, si è tentato di individuare le caratteristiche del mercato

dell’informazione contabile proprio delle aziende minori, rivolgendo l’attenzione

alla sola categoria dei Dottori Commercialisti, in qualità di migliori depositari

delle informazioni oggetto di interesse. Queste ultime sono state individuate,

essenzialmente, nella percezione dei parametri che si ritiene possano valere

a giustifi care una classifi cazione delle aziende in classi dimensionali che sia

rilevante in termini contabili; nell’individuazione degli utilizzatori dei bilanci

redatti dalle aziende minori e dei loro fabbisogni informativi; infi ne, nel livello

di adeguatezza dei principi IAS/IFRS rispetto all’universo delle aziende minori.

A tal fi ne si è fatto ricorso alla tecnica del questionario, inviato al campione di

riferimento. I risultati ottenuti si sono dimostrati tendenzialmente in linea con

le conclusioni cui si è giunti dallo studio della letteratura in materia, ritenendo,

quindi, parzialmente inadeguata l’attuale disciplina contabile rivolta all’universo

delle aziende di minore dimensione. I commercialisti intervistati sono

prevalentemente contrari ad una possibile ipotesi di estensione dell’applicabilità

dei principi IAS/IFRS anche all’universo delle aziende minori, concordando,

invece, con l’idea di proporre l’adozione di un semplice prospetto dei fl ussi

di cassa. Dall’indagine, inoltre, emerge chiaramente la necessità di fornire

informazioni integrative, rispetto a quelle raccolte nel bilancio, in favore di

alcune categorie di user. In defi nitiva, l’indagine ha confermato l’opportunità

di ricorrere a forme di differential reporting in relazione alle aziende di piccola-

media dimensione.

Page 40: Financial Reporting

40

Abstract

Financial reporting is of primary importance for all companies, also for

small and medium-sized entities. The last ones, defi ned using qualitative

and quantitative criteria, present some peculiarities that infl uence the

purposes of fi nancial reporting, its forms and contents. The purpose of

the empirical research – deductive and descriptive - we carried out has

been to fi nd out the characteristics of accounting information markets

for small companies, addressing our attention to Dottori Commercialisti

category, considered as the best trustee of all the relevant information.

The last one has been divided in three broad categories: research of the

best criteria perceived as useful to class small companies for the pur-

pose of fi nancial reporting; research of small company report users and

their information needs; fi nally, research of the convenience of the ex-

tension of IAS/IFRS to small entities. Results are quite in line with con-

clusions reached by studies of all the relevant literature, concluding that

the present discipline for small company fi nancial reporting is partially

inadequate. Dottori Commercialisti are mainly against the application of

IAS/IFRS to small companies; they, on the contrary, would promote the

application of a simplifi ed cash fl ow statement. Moreover, the research

conducted at the knowledge of the importance of additional information

in the notes to fi nancial statements for the benefi t of particular users. To

sum up, the research has confi rmed the opportunity to use differential

reporting for small and medium-sized entities.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 41: Financial Reporting

41

1. Inquadramento e richiami alla precedente letteratura

La comunicazione economico-fi nanziaria è fondamentale per tutte le

aziende.

Essa dovrebbe rifl etterne, inoltre, le principali peculiarità: i fi nalismi del

bilancio, le sue forme, i suoi contenuti, le modalità di determinazione dei

valori che esso racchiude non possono prescindere da alcuni aspetti che

qualifi cano le aziende. Anche la “dimensione” è un carattere dell’azienda,

rispetto al quale occorre capire se sia “contabilmente rilevante”.

In proposito si tenga presente che, tendenzialmente, gli studi in ma-

teria di comunicazione economico-fi nanziaria sono stati predisposti

prendendo come modello di riferimento quello della public company

di origine anglosassone (Marasca 1995); marginale (se non per poche

eccezioni ed almeno fi no a tempi recentissimi) è stata invece l’attenzio-

ne che la letteratura accademica e gli organismi contabili hanno rivolto

alle aziende minori, nonostante il ruolo notevole che esse giocano nel

contesto economico-sociale, sia europeo che anglosassone.

Si tratta di una lacuna che diventa sempre più greve: il fi nancial report-

ing delle aziende minori acquisisce oggi nuova importanza a seguito

degli accordi di Basilea 2 e del processo di internazionalizzazione dei

mercati che, in maniera diretta o mediata, coinvolge inevitabilmente an-

che l’universo delle P.M.I. (Paoloni e Demartini 1999; Demartini 1999).

La carenza di studi condotti in tal senso e di una disciplina contabile or-

ganica rivolta alle aziende minori inducono a rifl ettere sulla mutuabilità

del modello formulato per le grandi aziende (quello dei principi IAS/IFRS

o, più in generale, dei G.A.A.P.), oltre che sull’opportunità di implemen-

tare processi di differenziazione della disciplina contabile.

Lo studio della comunicazione economico-fi nanziaria delle P.M.I.1,

tuttavia, richiede un’analisi propedeutica del concetto di dimensione:

l’eventuale implementazione di un processo di differenziazione della di-

sciplina contabile implica che si defi niscano preventivamente le diverse

classi di “reporting entity” (Cavalieri 1981).

La “dimensione” è un carattere complesso (Vinciguerra 2007) della

gestione, dinamico (Onida 1989), che ha natura intrinsecamente rela-

tiva (Cattaneo 1963; Silvestrelli 1985); si evolve secondo un percorso

continuo piuttosto che discreto e rispetto ad essa, dunque, è diffi cile

enucleare le determinanti che la defi niscono (Parolini 1983). I parametri

che interpretano la dimensione, quindi, non hanno valore assoluto, ma

1 Si parlerà indifferentemente di P.M.I. o di aziende minori, ad indicare comunque una catego-

ria dimensionale di aziende che non si riferisce a quella delle grandi (Marchini 1985).

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 42: Financial Reporting

42

acquisiscono signifi cato rispetto allo scopo che si persegue: nella fatti-

specie, quello di individuare profi li di aziende che, per le caratteristiche

presentate, possano a ragione proporsi ai propri stakeholder con mo-

delli di comunicazione economico-fi nanziaria affi ni.

Diversi sono i criteri generali cui gli organismi contabili si sono ispirati

per interpretare la dimensione d’azienda: parametri quantitativi, veste

giuridica, ricorso al mercato dei capitali pubblici, public accountability,

reporting entity (Vinciguerra 2007). Nessuno di essi, tuttavia, è in gra-

do, da solo, di leggere e rappresentare le molteplici sfaccettature della

dimensione d’azienda, legittimando, al contempo la preferenza per al-

cune soluzioni contabili piuttosto che per altre.

La ripartizione delle aziende in classi dimensionali, dunque, può avveni-

re mediante l’adozione congiunta di diversi parametri discriminanti, sia

di natura quantitativa (si presume possano descrivere una corrispon-

dente numerosità dei soggetti interessati alle vicende della gestione),

sia di natura qualitativa (in particolare, l’attenzione va rivolta ai caratteri

della separazione fra la proprietà ed il controllo ed alla condizione di

public utility, che valgono a denunciare diversità nelle attese informative

dei soggetti che interagiscono con l’azienda).

Individuate le principali chiavi di lettura della dimensione, occorre capi-

re se, ed in quale maniera e/o misura, questo carattere sia tale da giusti-

fi care il ricorso a profi li di comunicazione esterna differenziati, qualora

associati ad aziende grandi o minori.

Si riconoscono, infatti, differenze importanti fra le condizioni del merca-

to dell’informazione contabile2 proprio dell’universo delle aziende mino-

ri e di quello delle grandi. Almeno in termini di3:

A) Utilizzatori della comunicazione economico-fi nanziaria.

Da indagini empiriche condotte in Italia (Paoloni e Demartini 1997;

Paoloni e Demartini 1998a; Paoloni, Demartini e Moneva 2000), in

Europa (Barker e Noonan 1995; Page 1984; Pratten 1998) e nel

Nord-America (Maingot e Zeghal 2006; Chazen e Benson 1978; Nair

2 Quello delle informazioni contabili viene considerato alla stregua di un qualsiasi altro mercato

di beni economici, nel quale si riconoscono il lato della:

- Offerta, rappresentato dalle aziende che producono i documenti contabili di sintesi.

- Domanda, costituito dagli utilizzatori delle informazioni contabili.

Il ragionamento è tratto dalla conceptual Framework del F.A.S.B. In proposito si rimanda ai

seguenti documenti: F.A.S.B. 1978; F.A.S.B. 1980.3 In verità, differenze si riconoscono anche nel ruolo riconosciuto alla funzione contabile, che

risulta più svilito nelle aziende minori, sia perché essa non è desiderata (l’esperienza aziendale

è vissuta come fatto privato), sia perché non è compresa appieno (è evidente una minore co-

gnizione della materia oggetto d’attenzione nei soggetti coinvolti nell’universo delle P.M.I.).

Sul punto si rimanda a Vinciguerra 2007.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 43: Financial Reporting

43

e Rittenberg 1983; A.I.C.P.A. 1976; A.I.C.P.A. 1981; F.A.S.B. 1983) ri-

sulta che le categorie di interessi coinvolte dall’azienda minore sono

circoscritte a poche fattispecie, riconducibili, solitamente, a quelle di

seguito richiamate (prescindendo dall’ordine dell’elencazione): ■ Amministrazione fi nanziaria ■ Banche fi nanziatrici ■ Proprietari manager ■ Proprietari esterni alla gestione (trattasi, invero, di interlocutori

di rado presenti nelle aziende minori e che, per effettuare inve-

stimenti per tempi tendenzialmente più lunghi rispetto a quanto

non accada nella grande azienda, presentano interessi analoghi

a quelli dei proprietari manager).

L’azienda che simbolizza il modello della grande società ad azio-

nariato diffuso costituisce, invece, un centro nevralgico sul quale

converge l’attenzione di molteplici gruppi di user, eterogenei, con

interessi divergenti fra loro ed i cui obiettivi informativi sono talora

di diffi cile previsione (Gutberlet 1983). Inoltre, la polverizzazione del

capitale, tipica di questo modello aziendale, conduce quasi certa-

mente a situazioni di separazione fra la proprietà ed il controllo: tra

i fruitori della comunicazione economica si profi la, dunque, anche

la fi gura dei proprietari non manager. Infi ne, la base azionaria può

essere fortemente eterogenea, dagli investitori che compongono il

“nocciolo duro” agli azionisti di minoranza.

B) Fabbisogni informativi degli User.

Anche quando le categorie di soggetti interessati alle vicende di

un’azienda sono le medesime, non necessariamente esiste analogia

nella qualità delle informazioni di cui necessitano per effettuare le

loro valutazioni di convenienza economica. In particolare: ■ I “banchieri” affermano una sostanziale analogia dei loro fabbi-

sogni informativi presentati nelle fasi in cui decidono dell’affi da-

mento di un’azienda, prescindendo dalla dimensione di questa

(Stanga e Tiller 1983; Nair e Rittenberg 1983; Paoloni e Demartini

1997; Paoloni e Demartini 1998a; F.A.S.B. 1983; I.F.A.C. 2006);

opposta risulta essere la percezione dei businessman e dei con-

tabili, secondo cui le banche, nel relazionarsi alle imprese minori,

presentano un ridotto fabbisogno informativo, poiché godono di

un contatto più immediato con il gruppo manageriale e quindi

della possibilità di acquisire, per vie informali, tutte le informazio-

ni di cui hanno bisogno (Nair e Rittenberg 1983).

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 44: Financial Reporting

44

■ I “proprietari esterni alla gestione” delle aziende minori tendono

ad essere poco diversifi cati, con la maggior parte delle loro ri-

sorse impegnate in una singola azienda. Anche qualora essa sia

quotata (elemento che non necessariamente preclude la qualifi ca

di azienda minore), la proprietà rimane concentrata, sono meno

numerose le transazioni che riguardano i titoli rappresentativi del

capitale ed appare meno chiara la distinzione tra la fi gura dei

proprietari e quella dei manager.

Ne consegue che:

i. Necessitano di informazioni che consentano loro di valutare il ri-

schio specifi co dell’impresa, piuttosto che il rischio sistematico

del mercato4.

ii. La mancanza di una netta separazione fra la fi gura dei proprietari

e quella dei manager si ritiene valga a denunciare un più facile ac-

cesso, per vie informali, alle informazioni concernenti la gestione

ed un conseguente minor bisogno che queste vengano inserite

nella fi nancial reporting (Paoloni e Demartini 1998b).

iii. Il numero contenuto di transazioni che interessano i relativi titoli

implica che sia meno necessario fornire informazioni articolate

(Nair e Rittenberg 1983) in corrispondenza di intervalli di tempo

più ristretti; piuttosto, saranno necessarie informazioni più atten-

dibili, a fronteggiare un mercato dei capitali meno effi ciente poi-

ché meno attivo (Lippit e Oliver 1983; Bollen 1995).

Gli investitori nel capitale di rischio delle grandi public company, in-

vece, tendono a sviluppare un portafoglio diversifi cato: si serviranno

della fi nancial reporting per valutare l’operato del management (fun-

zione di stewardship), oltre che il rischio di mercato del mix di inve-

stimenti che posseggono (funzione di valuation) (Schmidt 1983).

■ I “proprietari interni alla gestione”, infi ne, categoria di interlocutori

che con minima probabilità si riscontra nella grande public com-

pany, forniscono all’azienda non solo risorse fi nanziarie, ma anche

il proprio lavoro manageriale. Queste persone svolgono contem-

poraneamente diverse mansioni, il che le rende esperte e per-

fettamente consapevoli circa i molteplici aspetti dell’azienda che

gestiscono. Ne consegue che, avendo accesso alle informazioni

interne, possono assumere le loro decisioni prescindendo dai con-

tenuti della fi nancial reporting (Lippit e Oliver 1983).

4 Interessante in proposito è il contributo di Gigli 2005.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 45: Financial Reporting

45

Alla luce delle richiamate diversità, posto inoltre che l’applicazione di

una disciplina contabile è giustifi cabile nella misura in cui contribuisce

a produrre, a condizioni economiche convenienti5, una comunicazione

che sia utile (relevance) ed attendibile (reliable) (A.I.C.P.A. 1970; I.A.S.B.

1989; F.A.S.B. 1980; A.A.R.F. 1890; C.I.C.A. 2005) per i soggetti interes-

sati alle risultanze della gestione, occorre valutare l’opportunità di sug-

gerire la stessa disciplina contabile indifferentemente a tutte le aziende,

prescindendo dalla loro dimensione.

In proposito, tuttavia, si sottolinea come il modello di comunicazione

economica disciplinato dai princìpi contabili internazionali sia essenzial-

mente rivolto alle grandi società quotate, il cui principale interlocutore

di riferimento è rappresentato dalla categoria degli investitori istituzio-

nali. I contenuti della fi nancial reporting redatta nel rispetto dei princìpi

IAS/IFRS si attestano, dunque, sui fabbisogni informativi di questi ultimi

(I.A.S.B. 1989; Lionzo 2005), intesi nella duplice accezione di steward-

ship function e di necessità di formulare giudizi di valutazione degli in-

vestimenti di borsa. I fruitori dei documenti contabili delle aziende mi-

nori, invece, mirano a conseguire delle informazioni che consentano

loro di valutare l’attività degli amministratori e la capacità della gestione

di produrre fl ussi fi nanziari adeguati a far fronte alle obbligazioni cui

l’azienda è tenuta verso l’esterno.

Inoltre, i costi connessi alla produzione dei documenti contabili, a parità

di disciplina implementata e, quindi, a parità di valore assoluto che essi

assumono, si presentano relativamente più alti per le aziende minori

piuttosto che per le grandi, a causa delle più contenute risorse di cui

dispongono le prime (Vinciguerra 2007).

Se tanto vale a peggiorare la relazione costi/benefi ci, condizione impre-

scindibile nei giudizi di valutazione che riguardano l’opportunità di imporre

l’adozione di una specifi ca regolamentazione, ad aggravare la situazione

connessa all’ipotesi di implementazione dei princìpi contabili internazio-

nali anche nelle aziende minori, interviene la circostanza per cui, in sinto-

nia con le specifi cità che contraddistinguono le condizioni di domanda di

questo tipo di azienda, le informazioni che vengono divulgate nel rispetto

degli IAS/IFRS producono un minor livello complessivo di benefi ci.

Per cui l’adozione degli IAS/IFRS anche da parte delle aziende minori

genera un effetto sinergico negativo: a fronte del minor benefi cio pro-

dotto dall’informativa contabile, risulta amplifi cato il “peso” delle risorse

5 Al pari di qualsiasi altro bene economico anche per le informazioni contabili vale la logica

essenziale, secondo cui, esse saranno auspicabili solo se i benefi ci che si presume se ne

possano derivare siano maggiori dei costi che si rende necessario sopportare per la loro pro-

duzione. In tal senso anche i principali organismi di statuizione dei princìpi contabili: I.A.S.B.,

1989; F.A.S.B., 1980; A.S.B., 1999; A.A.R.F., 1890; C.I.C.A., 2005.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 46: Financial Reporting

46

che a questa attività vengono dedicate; costo che, si ricorda, ha già un

valore relativo più alto per le aziende minori rispetto a quelle grandi.

Si sviluppa, dunque, il fenomeno dell’“accounting standards overload”

(A.I.C.P.A. 1976; A.I.C.P.A. 1981; A.I.C.P.A. 2005), vale a dire di eccessivo

carico connesso all’ipotesi di applicazione, anche da parte delle aziende

minori6, della disciplina sancita dai princìpi contabili formulati per le grandi

public company (A.I.C.P.A. 1981; Walther 1983; Belkaoui 2004; Thompson

e Hurdman 1983; A.I.C.P.A. 1996), fi no a concludere in favore dell’opportu-

nità di ricorrere ad un sistema di differential reporting (Keasy e Short 1990).

A completamento del lavoro di ricerca si è reputato opportuno procede-

re mediante la realizzazione di un’indagine di natura empirica, che vales-

se, ponendo l’accento soprattutto sul territorio nazionale, a confermare

i risultati già conseguiti sotto il profi lo teorico o a porre in discussione

aspetti ritenuti pacifi ci in dottrina ed, eventualmente, a stimolare nuovi

profi li di indagine.

2. Obiettivi e metodologia della ricerca

La ricerca è di natura quantitativa. Essa è stata strutturata seguendo

un’impostazione di carattere deduttivo (Corbetta 1999): tutte le ipotesi

teoriche poste alla base dell’analisi sono state tratte da uno studio si-

stematico della letteratura in materia (Vinciguerra 2007).

Si tratta, inoltre, di una ricerca di tipo descrittivo che, attraverso l’analisi

empirica, ha mirato semplicemente ad acquisire consapevolezza, con

riferimento al territorio nazionale, circa la percezione dei commercialisti

su alcune questioni attinenti il mercato delle informazioni contabili pro-

prio delle aziende minori: condizioni di domanda, condizioni di offerta

e contenuti auspicabili della comunicazione economico-fi nanziaria pro-

dotta da queste ultime.

In particolare, come sarà più dettagliatamente esposto nel seguito, gli

intervistati sono stati chiamati a esprimersi in merito ai seguenti aspetti:■ Parametri che ritengono possano valere a giustifi care una classifi ca-

zione delle aziende in classi dimensionali, che sia rilevante in termini

contabili.■ Utilizzatori dei bilanci redatti dalle aziende minori e dei loro fabbiso-

gni informativi.■ Livello di adeguatezza dei principi IAS/IFRS rispetto all’universo del-

le aziende minori.

6 In realtà, al problema dell’overload contabile non sono estranee le aziende di grandi dimen-

sioni, anche se quelle minori risultano essere ragionevolmente più esposte: A.I.C.P.A., 1981.

Inoltre, contribuiscono al fenomeno altri fattori: Walther 1983; Belkaoui 2004; Thompson e

Hurdman 1983; A.I.C.P.A. 1996.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 47: Financial Reporting

47

Si è ritenuto interessante, inoltre, operare un confronto fra la realtà na-

zionale e quella propria del mondo anglosassone: l’intento è stato quel-

lo di evidenziare eventuali punti di contatto o differenze, nelle caratte-

ristiche del mercato dell’informazione contabile proprio delle aziende

minori, tra le citate realtà economiche. A tal fi ne, diffi coltà operative,

connesse soprattutto alla defi nizione di una popolazione di riferimento

in un territorio che non fosse nazionale, hanno suggerito di seguire una

particolare tecnica di confronto: per realizzare la comparazione sono

stati presi a riferimento i risultati conseguiti da un’indagine condotta

in Irlanda, nel 1996 (Barker e Noonan 1995) (costruita, a sua volta, sul-

l’esempio di una precedente ricerca espletata in U.K., nel 1985 (Page,

Carsberg, et al. 1985)), sulla cui scorta è stata strutturata la ricerca at-

tuata in Italia, al fi ne di facilitare i confronti7.

Popolazione di Riferimento e Campione

La ricerca è incentrata sul mercato dell’informazione contabile proprio

delle aziende minori. Ne consegue che diverse sono le categorie di

soggetti potenzialmente coinvolte dal progetto. Nello scegliere la po-

polazione di riferimento dell’indagine, tuttavia, si è ritenuto convenien-

te rivolgere l’attenzione alla sola categoria dei Dottori Commercialisti,

in qualità di migliori depositari delle informazioni oggetto di interesse

di questa ricerca.

La maggioranza delle aziende minori ricorre a consulenti esterni per la

tenuta della contabilità e per la compilazione dei documenti di sintesi.

Si è ritenuto, quindi, che un sondaggio operato focalizzando l’atten-

zione sui professionisti contabili potesse consentire il conseguimento

di informazioni più signifi cative: i commercialisti fungono da interfaccia

fra le aziende ed i fruitori dei loro bilanci, acquisendo piena consapevo-

lezza delle problematicità che presentano le une e gli altri in materia di

comunicazione economico-fi nanziaria e mantenendo, in condizioni di

normalità, una posizione tendenzialmente neutra, poiché non presen-

tano interessi di parte.

Individuata la categoria di operatori oggetto di attenzione, nella delimi-

tazione della popolazione di riferimento, preferenza è stata accordata in

favore dei Dottori Commercialisti registrati presso specifi ci Ordini locali.

In particolare, la scelta è caduta su quelli di Palermo, Caserta, Firenze,

Brescia e Milano, i cui iscritti, come rappresentato nella Tabella 1, han-

no costituito la popolazione di riferimento dell’indagine.

7 Sostanzialmente analoga è la logica di comparazione adottata da Paoloni, Demartini, Mo-

neva, Cuellar 2000.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

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Tabella 1

Ordine Locale8 Numero di iscritti

Palermo 811

Caserta 928

Firenze 1066

Brescia 1075

Milano 2979

Totale 6859

8

I ricercatori irlandesi hanno adottato, invece, come popolazione di rife-

rimento, l’elenco dei contabili iscritti presso l’I.C.A.I. – Institute of Char-

tered Accountants in Ireland. In Italia, tuttavia, l’impossibilità di conse-

guire un elenco nazionale dei Dottori Commercialisti9 ha spinto verso

la selezione di Ordini locali, che potessero ritenersi suffi cientemente

rappresentativi dell’intero contesto geografi co nazionale.

Trattandosi di una popolazione ampia, analogamente a quanto effettua-

to dai ricercatori irlandesi, è stato estrapolato un campione di Dottori

Commercialisti da indagare, estratto secondo la tecnica del campiona-

mento casuale10. Per quanto concerne, infi ne, la numerosità del cam-

pione, questa è stata calcolata assumendo, come tipicamente accade

per questa tipologia di indagini, un livello di confi denza pari al 5% ed un

intervallo di confi denza pari al 95%. Per cui, il campione di riferimento si

presenterà composto secondo la numerosità indicata nella Tabella 2.

Tabella 2

Ordine Locale Numerosità del campione

Palermo 43

Caserta 49

Firenze 56

Brescia 57

Milano 158

Totale 363

8 Gli elenchi degli iscritti, con i relativi indirizzi, sono stati reperiti su internet o inviati diretta-

mente dagli Ordini locali, a seguito di formale richiesta avanzata dal gruppo di ricerca.9 In merito, si sottolinea come più volte sia stata inoltrata richiesta formale, al Presidente del

Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti, al fi ne di conseguire un elenco nazionale, ag-

giornato, degli iscritti all’Ordine. Tuttavia, motivi legati alla privacy hanno impedito la diffusione

di un simile documento, lasciando come alternativa quella adottata in questa sede.10 Secondo cui, ogni elemento della popolazione ha la medesima probabilità, nota e diversa da zero,

di essere estratto; i risultati delle estrazioni, inoltre, si stabilisce che siano fra loro indipendenti.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 49: Financial Reporting

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Composizione del Questionario

Al fi ne di intervistare il campione di riferimento si è preferito lo stru-

mento del questionario, in quanto ritenuto il più effi cace ed immediato.

Questo è stato articolato nelle seguenti tre sezioni:

I Informazioni di carattere generale.

La sezione si compone di otto domande, fi nalizzate a comprendere il

prototipo di azienda per la quale il commercialista intervistato offre la

propria opera professionale ed il tipo di consulenza che egli svolge.

II Utilizzatori e loro fabbisogni informativi.

La sezione si compone di quattro domande che mirano ad individua-

re quali sono le principali categorie di utilizzatori dei bilanci redatti

dalle P.M.I., quali sono i loro fabbisogni informativi e, infi ne, quali

sono, qualora esistano, le categorie di user che ricevono informazio-

ni integrative rispetto a quelle rese pubbliche attraverso i documenti

contabili.

III Aspetti contabili.

L’ultima sezione si compone di cinque domande, che puntano ad

indagare la percezione circa il costo connesso alla produzione dei

documenti di sintesi, circa il livello di conoscenza che gli intervi-

stati reputano di avere dei principi contabili internazionali IAS/IFRS

e, soprattutto, circa la loro opinione sull’opportunità di estendere

l’applicazione di tali principi (eventualmente semplifi cati) anche al-

l’universo delle aziende di minori dimensioni.

Pre-Test - Invio del questionario – Raccolta dei dati – Tasso di risposta

Prima di essere inviato ai soggetti del campione, il questionario è stato

testato sottoponendolo all’attenzione di alcuni Dottori Commercialisti

dell’Ordine di Caserta.

I punti di maggiore debolezza (riguardanti soprattutto alcune forme espo-

sitive e l’ordine secondo cui erano state strutturate le domande) sono stati

rivisti ed opportunamente corretti sulla base dei suggerimenti raccolti.

Successivamente, si è proceduto ad inviare il questionario ai compo-

nenti il campione selezionato.

Una lettera di presentazione è stata inviata a ciascuno degli intervistati,

indicando loro le fi nalità della ricerca e suggerendo le modalità di rispo-

sta al questionario.

Per velocizzare i tempi di raccolta dei dati, infi ne, si è deciso di informa-

tizzare l’intera procedura, ricorrendo ad un software C.A.W.I. (computer

assisted web interview): le risposte al questionario sono avvenute diret-

tamente sul web, con contestuale caricamento dei dati su un database

precedentemente predisposto.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 50: Financial Reporting

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Dopo 10 giorni dal primo invito ad aderire alla ricerca è stata inviata, a

coloro che non ancora avevano risposto, una lettera di sollecito. Tanto

ha consentito di raggiungere un elevato livello di adesione all’indagine:

250 pareri, corrispondenti ad un tasso del 68,8%.

Tuttavia, le risposte che sono state ritenute valide e che sono state

quindi effettivamente analizzate ammontano a 214 (secondo la numero-

sità esplicitata nella Tabella 3). A tale ammontare si è giunti depurando il

database da 36 risposte, che sono state invalidate, poiché considerate

non signifi cative11.

I dati sono stati quindi elaborati con il supporto di Excel.

Tabella 3

Ordine Locale Numero di risposte ritenute valide

Palermo 20

Caserta 22

Firenze 29

Brescia 52

Milano 91

Totale 214

3. Risultati dell’indagine

3.1 Sezione I – Informazioni di carattere generale

Come già accennato in precedenza, le prime cinque domande rivolte

ai Dottori Commercialisti sono fi nalizzate a delineare il profi lo della loro

“azienda cliente tipo”.

In particolare, agli intervistati, è stato chiesto di collocare la loro “azien-

da cliente tipo” in una delle “categorie dimensionali” suggerite per cia-

scuno dei seguenti parametri:■ Numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio■ Totale attivo dello stato patrimoniale■ Livello di fatturato■ Veste giuridica■ Struttura proprietaria

I primi quattro parametri suggeriti sono quelli presi a riferimento dal

11 Non sono state considerate valide le risposte fornite da quegli intervistati che, dopo aver

effettuato l’accesso al database hanno:

- Optato sempre per la risposta nulla

- Espresso la loro opinione solo in merito ad una/due delle domande proposte, annullando,

di fatto, la signifi catività della loro adesione.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 51: Financial Reporting

51

legislatore civilistico, per distinguere fra aziende di diversa dimensione,

al fi ne di riconoscere loro differenze in materia di disciplina della comu-

nicazione economico-fi nanziaria12.

L’ultimo parametro, invece, non può essere ignorato: esso esprime,

seppur parzialmente, le caratteristiche di governance di un’azienda e,

quindi, le diversità che ne derivano in termini di sinergie fra diverse ca-

tegorie di stakeholder e di connessi fabbisogni informativi13.

I risultati cui si è giunti nella prima parte della “Sezione I” possono sin-

tetizzarsi come di seguito:

a) L’“azienda cliente tipo” dei commercialisti intervistati vanta un “li-

vello di dipendenti occupati in media durante l’esercizio” di rado

superiore alle 50 unità; inoltre, si nota anche come la maggior parte

di queste aziende abbia un numero di impiegati compreso nell’inter-

vallo 0-10, piuttosto che in quello 11-50.

Si rimanda al Grafi co 1 per il dettaglio delle percentuali.

b) Si presentano, invece, con un livello di variabilità più elevato, le ri-

sposte relative al parametro “Totale attivo dello Stato Patrimoniale”.

In merito, si può immaginare di avere tre categorie dimensionali di

riferimento, quella delle aziende: ■ Piccole (intervallo compreso fra € 0-2.000.000 ed € 2.000.001-

3.650.000) ■ Medie (intervallo compreso fra € 3.650.001-43.000.000) e ■ Grandi (totale attivo maggiore di € 43.000.001)

fra le quali si distribuiscono, in maniera quasi uniforme, le “aziende

clienti tipo” degli intervistati.

Rientrerebbero nella categoria delle aziende minori, cui verrebbe-

ro riconosciute le semplifi cazioni del 2435-bis C.C., dunque, tenuto

conto dei nuovi limiti quantitativi suggeriti dall’O.I.C. (O.I.C. 2006),

solo il 35 % delle aziende assistite dagli intervistati.

Si rimanda al Grafi co 2 per il dettaglio delle percentuali.

12 Si veda, in proposito, l’art. 2435-bis del codice civile e la proposta di modifi ca avanzata

dall’O.I.C. – Organismo Italiano di Contabilità, nel documento: “Ipotesi di attuazione delle Di-

rettive UE 2001/65 e 2003/52, con modifi che al C.C.”, approvato in data 25 ottobre 2006.

In proposito si sappia che, con D.Lgs. 173/2008, la proposta in oggetto è stata adottata ed

ha modifi cato i limiti quantitativi contenuti nel Codice Civile.13 Trattasi di una variabile che incide sulla tipologia di user della comunicazione economico-

fi nanziaria prodotta dall’azienda ed anche sui fabbisogni informativi che essi presentano.

Sul punto si rimanda a Vinciguerra 2007.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 52: Financial Reporting

52

c) Si replica lo stesso livello di variabilità anche nelle risposte relative al

parametro del “Fatturato” raggiunto dalle aziende clienti.

In particolare, considerando i limiti quantitativi suggeriti dall’O.I.C.

(O.I.C., 2006), solo il 40% delle “aziende clienti tipo” rientrerebbe

nella categoria di quelle minori, cui vengono riconosciute specifi che

semplifi cazioni nella redazione del bilancio d’esercizio.

Si rimanda al Grafi co 3 per il dettaglio delle percentuali.

d) La maggior parte delle “aziende clienti tipo” (più del 60% dell’intero

campione), ricorre ad una delle “vesti giuridiche” che rientrano nella

categoria delle società di capitali.

Per tale motivo esse sono obbligate a rispettare, nella compilazione

dei documenti di sintesi, la disciplina civilistica, fermo restando il

diritto di avvalersi delle semplifi cazioni riconosciute dal 2435-bis,

qualora ne ricorrano le condizioni quantitative.

Si rimanda al Grafi co 4 per il dettaglio delle percentuali.

e) Le “aziende clienti tipo”, infi ne, presentano una struttura proprietaria

per lo più chiusa (69% dell’intero campione).

Si rimanda al Grafi co 5 per il dettaglio delle percentuali.

Grafi co 1 – NUMERO DI OCCUPATI

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Grafi co 2 – ATTIVO DELLO STATO PATRIMONIALE

Grafi co 3 – FATTURATO

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Grafi co 4 – VESTE GIURIDICA

Grafi co 5 – STRUTTURA PROPRIETARIA

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Page 55: Financial Reporting

55

Nella Sezione I sono state quindi proposte altre domande attraverso le quali

a ciascuno degli intervistati è stato richiesto di esprimersi in merito a:■ Il tipo di attività svolta in prevalenza per le aziende clienti.■ L’utilizzo delle semplifi cazioni riconosciute dal 2435-bis del C.C.

(che disciplina la redazione del Bilancio Abbreviato).■ I parametri che si reputano più idonei a delimitare i confi ni fra aziende di

diversa dimensione e, contemporaneamente, a giustifi care una diversi-

fi cazione della disciplina che guida la compilazione dei loro bilanci.

La prima e l’ultima di queste domande sono state corredate da una

serie di possibili risposte, in merito alle quali agli intervistati è stato

chiesto di indicare il livello di validità di ciascuna delle alternative pro-

poste, secondo una scala di valori che contemplava le seguenti opzioni

di scelta “Alta-Media-Bassa-Nulla”.

Con riferimento alla questione del Bilancio Abbreviato, invece, è stato

chiesto agli intervistati di esprimere la loro adesione (SI-NO) al 2435-bis

C.C., oltre che la percentuale secondo cui essi ritengono di avvalersi

delle semplifi cazioni ammesse dal legislatore civilistico.

In relazione al primo punto, si nota come un’altissima percentuale degli

intervistati provveda alla tenuta dei conti ed alla redazione del bilancio per

le aziende clienti (si rimanda al Grafi co 6 per il dettaglio delle percentuali).

Questo risultato conferma, quindi, la bontà della scelta dei professionisti

contabili quali interlocutori privilegiati al fi ne di questa indagine.

Grafi co 6 – TIPO DI ATTIVITÀ SVOLTA

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 56: Financial Reporting

56

L’80% degli intervistati dichiara, inoltre, di avvalersi delle semplifi cazio-

ni riconosciute dal 2435-bis del C.C. (si veda il Grafi co 7).

Grafi co 7 – ADESIONE AL 2435-BIS C.C.

In prima approssimazione questo risultato sembrerebbe contrastare le

risposte fornite alle prime domande, relative all’inquadramento del tar-

get di “azienda cliente” degli intervistati.

Dall’analisi di quelle, infatti, poteva desumersi che solo una percen-

tuale, pari circa al 40%, prestasse consulenza in favore di aziende che

rientrano nell’ambito di quelle ritenute minori dal legislatore civilistico e,

per questo, destinatarie del regime di “differential reporting” italiano14.

In questa sede, invece, risulta che ben l’80% degli intervistati adotta

le semplifi cazioni del 2435 bis C.C.. Questa circostanza se, da un lato,

sembra ridurre parzialmente la signifi catività delle risposte raccolte,

dall’altro non impedisce di ritenere che anche la percentuale di profes-

sionisti che non ha come azienda tipo quella minore possa comunque

confrontarsi con aziende diverse da quelle “tipo” e, in tali circostanze,

applicare il regime del bilancio in forma abbreviata.

La “Sezione I” si chiude invitando gli intervistati a pronunciarsi in merito

a quelli che ritengono essere i migliori parametri volti ad interpretare

la dimensione aziendale, tali da poter giustifi care una differenziazione

anche nella relativa disciplina contabile.

14 Trattasi, in particolare, di quelle società (di capitali) che nel primo esercizio o, successiva-

mente per due esercizi consecutivi, non abbiano superato i limiti fi ssati rispetto a due dei tre

parametri quantitativi suggeriti – totale attivo dello stato patrimoniale; numero di dipendenti

occupati in media durante l’esercizio; ricavi delle vendite e delle prestazioni.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 57: Financial Reporting

57

In assoluto, gli aspetti che vengono ritenuti più rilevanti in tal senso, in

quanto viene loro riconosciuta un’intensità alta/media nel giustifi care

una diversifi cazione del bilancio, sono:■ “Settore di attività dell’impresa”■ “Fatturato”■ “Totale delle attività”

A seguire, vengono considerati come rilevanti i seguenti aspetti dimen-

sionali:■ “Utilizzatori esterni del bilancio”■ “Responsabilità sociale dell’azienda”■ “Veste giuridica”

Marginale sembra essere, invece, il riconoscimento dei parametri rela-

tivi alla:■ “Struttura della proprietà”■ “Mancanza di autonomia”

Si rimanda al Grafi co 8 per il dettaglio delle percentuali.

Diversamente dai risultati conseguiti dai ricercatori irlandesi, più diffi cile

sembra sintetizzare i giudizi espressi da quelli italiani.

Mentre i contabili irlandesi qualifi cano i criteri quantitativi15 e la struttura

della proprietà come principali parametri interpretativi del concetto di

dimensione aziendale, rimanendo quindi essenzialmente ancorati agli

aspetti quantitativi della dimensione, i professionisti italiani forniscono

risposte che presentano un maggior livello di variabilità, contemplando

contemporaneamente sia i parametri di natura quantitativa che quelli di

natura qualitativa. Pare quindi ravvisabile, in questi ultimi, una maggiore

consapevolezza della problematica in esame.

15 Secondo il seguente ordine: turnover – total assets – no. employees. In proposito si con-

sulti Barker P., Noonan C., “Small Company Compliance with Accounting Standards - The

Irish Situation”, DCBUS Research Papers, op. cit., Table 6.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 58: Financial Reporting

58

Grafi co 8 – PARAMETRI INTERPRETATIVI DELLA DIMENSIONE

3.2 Sezione II – Utilizzatori e loro fabbisogni informativi

La “Sezione II” del questionario si allontana dagli argomenti di caratte-

re generale per affrontare alcune questioni relative alla comunicazione

economico-fi nanziaria.

Ai commercialisti vengono proposte quattro domande, fi nalizzate a

conseguire informazioni su: ■ Quali ritengono essere i principali utilizzatori dei bilanci delle P.M.I. ■ Quali ritengono essere gli scopi per cui i proprietari e le banche si av-

valgono delle informazioni contenute nei documenti contabili redatti

dalle P.M.I. ■ Quali sono le categorie di user esterni, qualora esistenti, per i quali di

fatto risultano insuffi cienti i dati di bilancio e che riescono a conse-

guire dall’impresa informazioni integrative sulla gestione aziendale.

In linea con lo stile adottato nella “Sezione I”, le prime tre domande (prin-

cipali utilizzatori del bilancio e quali usi ne fanno proprietari e banche)

sono state corredate da una serie di possibili risposte, rispetto alle quali

gli intervistati sono stati invitati ad esprimere un loro giudizio, secondo una

scala di valori che suggeriva le seguenti opzioni di scelta: “Alta-Media-

Bassa-Nulla”. Al termine di ciascuna domanda è stato quindi consentito

ai commercialisti di esprimere altre soluzioni che, seppur non segnalate,

essi ritenessero comunque rilevanti rispetto alla questione posta.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 59: Financial Reporting

59

L’ultimo quesito, infi ne, diversamente dai precedenti, si presenta sostan-

zialmente come una domanda di tipo “aperto”. Dopo aver chiesto ai com-

mercialisti se, a loro giudizio, esistono delle categorie di “user esterni” che

conseguono informazioni integrative rispetto a quelle acquisite attraverso

i documenti contabili compilati dalle P.M.I. (anche in questa circostanza è

stato fornito un elenco di possibili categorie di tali soggetti), è stato loro do-

mandato di indicare quali fossero questi dati che, seppur non inseriti nel bi-

lancio, vengono ritenuti utili dagli user per le loro valutazioni economiche.

Alla domanda “con quale frequenza tali soggetti utilizzano le informa-

zioni di bilancio delle P.M.I.”, ben il 57% degli intervistati ha risposto che

le “banche ed i fi nanziatori istituzionali” consultano con una frequenza

alta i documenti contabili compilati dalle aziende minori (mentre il 24%

dichiara che li esaminano con un’assiduità media), qualifi candoli, di

fatto, come la principale categoria di user delle informazioni divulgate,

attraverso i bilanci, dalle P.M.I.

A seguire, sono considerate come importanti categorie di utilizzatori

del bilancio delle aziende minori i “proprietari coinvolti nella gestione”

(frequenza delle consultazioni alta secondo il 46% degli intervistati e

media per il 29%) ed il “fi sco” (frequenza alta per il 39% e media per il

34% delle risposte esaminate).

Risultati che sembrano rispondere pienamente alle caratteristiche di un

sistema economico-produttivo che si rivolge quasi esclusivamente al

sistema bancario per il conseguimento delle risorse per fi nanziare gli

investimenti, piuttosto che ricorrere al mercato dei capitali.

Interessante, inoltre, il giudizio espresso in merito alle società di rating16:

queste vengono percepite solo dal 21% dei commercialisti intervistati qua-

li categorie di soggetti particolarmente interessati ai bilanci formulati dalle

aziende minori, a dispetto di un 25% che, invece, stima addirittura nullo il

loro impiego di questi documenti. Risultato che, tuttavia, sembra essere in

controtendenza rispetto all’attuale disciplina imposta dagli accordi di Basi-

lea II, cosicché si ritiene possa essere destinato a subire un’evoluzione in fu-

turo, allorquando sarà più forte, nei professionisti contabili, la percezione dei

cambiamenti intervenuti in materia di fi nanziamenti da parte delle banche.

Per quanto concerne, invece, il confronto con la realtà anglosassone, può

ritenersi che i risultati conseguiti siano sostanzialmente analoghi a quelli cui

sono giunti i ricercatori irlandesi (Barker e Noonan 1995) (oltre che con-

fermare i risultati delle ricerche teoriche17). Anche lì, i più importanti user

dei bilanci delle aziende minori sono rappresentati dalle stesse categorie

16 Sul punto si fa notare come questa categoria di utilizzatori non sia stata considerata nella

ricerca condotta in Irlanda. Tuttavia, nell’attuale scenario, caratterizzato dalla disciplina Basi-

lea II, non è possibile prescindere dalla loro considerazione.17 Si rimanda al primo paragrafo.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 60: Financial Reporting

60

di stakeholder suggerite dai commercialisti italiani, anche se classifi cati se-

condo un ordine diverso: al primo posto, infatti, si qualifi cano gli ammini-

stratori/proprietari, quindi le banche ed il fi sco. Anche rispetto alle categorie

di user che vengono considerati di rilevanza marginale, possono ritenersi

sostanzialmente analoghi i risultati raggiunti in Italia ed in Irlanda: la classe di

user che, secondo i professionisti intervistati, esamina con minor frequen-

za in assoluto il bilancio delle aziende minori è quella dei “dipendenti”; più

frequenti, ma comunque trascurabili, sono le consultazioni effettuate dai

“clienti”, dai “fornitori”, oltre che dai “proprietari non coinvolti nella gestione”

(quest’ultima categoria non è contemplata nell’indagine condotta in Irlanda,

laddove sembra sia stata inglobata in quella più ampia degli owner)18.

Solo due intervistati, infi ne, rispondendo alla domanda “altro”, hanno

suggerito l’esistenza di fruitori differenti da quelli proposti dal questio-

nario (secondo l’intensità riportata in parentesi):■ Finanziatori19 (media)■ Professionisti e revisori (alta)

Per il dettaglio delle risposte raccolte in merito ai principali utilizzatori

del bilancio delle P.M.I. si rimanda alla consultazione del Grafi co 9.

Grafi co 9 – USER DEL BILANCIO DELLE P.M.I.

18 Questi risultati sono sostanzialmente in linea con quelli conseguiti da una ricerca realizzata

in Italia, nel 1997. L’indagine fu condotta su 250 piccole imprese italiane, da Paoloni e De-

martini e, al pari di quanto effettuato in questo lavoro, i risultati furono confrontati con quelli di

ricerche similari condotte in U.K. Anche in quelle ricerche risultava che le principali categorie

di riferimento delle aziende minori fossero, seppur secondo un ordine diverso, l’amministra-

zione fi nanziaria, i proprietari coinvolti nella gestione, le banche. Sul punto si rimanda alla

consultazione di Paoloni M., Demartini P., 1998a.19 Tuttavia, si ritiene che questa categoria sia già compresa in quella delle banche e dei

fi nanziatori istituzionali.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 61: Financial Reporting

61

Prevedendo un simile risultato (ovvero che i proprietari e le banche ri-

sultassero quali principali categorie di fruitori dei bilanci compilati dalle

aziende minori), agli intervistati è stato chiesto di esprimersi anche in me-

rito a quelle che reputano essere le principali fi nalità per le quali questi

soggetti si avvalgono delle informazioni divulgate dalle P.M.I. Si è ritenu-

to, infatti, che queste risposte potessero essere utili a valutare la validità

dell’attuale disciplina contabile, o a far emergere la necessità di rivederla,

per incoraggiare l’attenzione in favore di alcune tipologie di informazioni,

più strumentali alle valutazioni degli stakeholder, piuttosto che di altre.

Secondo i commercialisti intervistati, i proprietari delle aziende minori

consultano i loro bilanci soprattutto per assumere “decisioni di fi nan-

ziamento”; a seguire vengono percepite come importanti le “decisioni

di investimento”.

Considerando congiuntamente le risposte che qualifi cano come “alto”

e “medio” il relativo impiego delle informazioni, si classifi cano, a segui-

re, come fi nalità importanti dell’utilizzo del bilancio dell’azienda minore, la

“gestione fi nanziaria” e la “valutazione dei profi tti conseguiti e distribuiti”.

I risultati dell’indagine, rispetto a questa domanda, non sono perfetta-

mente allineati con quanto conseguito dai ricercatori irlandesi. Eccetto

che per le “decisioni di fi nanziamento”, impiego percepito, in Irlanda,

come il più importante fra quelli cui le informazioni di bilancio delle

aziende minori sono strumentali, in quella sede si ritiene che i docu-

menti contabili vengano impiegati dai proprietari soprattutto per “sta-

bilire la remunerazione degli amministratori” e per “le decisioni relative

alla distribuzione dei dividendi”. A seguire, si classifi cano le “decisioni

di investimento” e la “gestione fi nanziaria”.

Come osservato anche dai ricercatori irlandesi, tuttavia, si reputa strano

un impiego del bilancio, che viene fra l’altro considerato signifi cativo, ai

fi ni delle decisioni in tema di gestione fi nanziaria: le relative informazio-

ni, infatti, non sono disponibili se non, generalmente, tre-sei mesi dopo

la chiusura del periodo amministrativo.

Fra le risposte raccolte alla voce “altro”, infi ne, uno degli intervistati os-

serva come “le decisioni e le valutazioni sono prese durante l’esercizio

o in funzione revisionale, direi mai al bilancio20”; altri due commercialisti,

invece, hanno ricordato come i proprietari utilizzino il bilancio anche per:■ Il controllo di gestione (impiego ad alta frequenza)■ La politica fi scale (impiego ad alta frequenza)

Il Grafi co 10 riporta il dettaglio delle risposte relative all’impiego dei

bilanci da parte dei proprietari.

20 È stata citata letteralmente l’opinione espressa dall’intervistato.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 62: Financial Reporting

62

Grafi co 10 – USI DEL BILANCIO DA PARTE DEI PROPRIETARI

Per quanto concerne le banche, invece, i commercialisti ritengono es-

sere quelli di seguito riportati (con le relative intensità) i principali impie-

ghi cui sono strumentali le informazioni della comunicazione economi-

co-fi nanziaria delle P.M.I.: ■ “Capacità di restituire il prestito – Liquidità - Profi ttabilità” si qualifi ca

come la principale fi nalità per cui le banche si avvalgono dei docu-

menti contabili redatti dalle aziende minori, secondo un’intensità alta

per il 69% degli intervistati esaminati e media per il 14%. ■ A seguire, il 31% dei commercialisti esaminati ritiene che sia alto

(ed il 43% che sia medio) l’impiego da parte delle banche dei bilan-

ci delle aziende minori per valutare la “Stabilità – Trend dei risultati

conseguiti - Sicurezza”. ■ Marginale, ma comunque apprezzabile, l’impiego dei bilanci al fi ne

della valutazione della “Assenza di rilievi nella relazione dei sindaci”,

(media la frequenza delle consultazioni a tal fi ne secondo il 36%

degli intervistati) e della “Attività svolta dal management”, (media la

frequenza delle consultazioni secondo il 37% degli intervistati).

Solo una delle risposte raccolte alla voce “altro”, infi ne, può ritenersi

signifi cativa ed interessante: il commercialista in questione dichiara che

le banche si avvalgono dei bilanci delle aziende minori, secondo un’in-

tensità alta, per il calcolo del rating.

I risultati sono sostanzialmente in linea con quelli irlandesi. Anche in

quella sede, infatti, la principale fi nalità per la consultazione del bilancio

da parte delle banche è rappresentata dalla necessità di valutare la

capacità di restituire il prestito, la profi ttabilità, la sicurezza e, quindi, la

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 63: Financial Reporting

63

liquidità dell’azienda affi dataria (o richiedente un fi nanziamento).

Per il dettaglio delle percentuali delle risposte si rimanda al Grafi co 11.

Grafi co 11 – USI DEL BILANCIO DA PARTE DELLE BANCHE

Agli intervistati è stato quindi chiesto quali fossero le categorie di sog-

getti che ottengono informazioni integrative rispetto a quelle fornite at-

traverso i bilanci e di che tipo di informazioni si trattasse21.

Dall’analisi delle risposte è emerso che le “banche” ed il “fi sco” rappre-

sentano le categorie di user che in maniera più signifi cativa conseguono

informazioni integrative rispetto ai dati di bilancio (sul punto si rimanda

alla consultazione del Grafi co 12).

In particolare, i commercialisti dichiarano che vengono fornite le infor-

mazioni integrative di seguito riportate, rispettivamente per ciascuna

delle citate categorie di user22:■ Alle banche - dati in merito alle capacità fi dejussorie, alla solvibilità

21 Questa domanda, non contemplata nel questionario condotto in Irlanda, riprende invece

una soluzione adottata dal. F.A.S.B. - Financial Accounting Standards Board, nel Financial

Reporting by Private and Small Public Companies - Invitation to Comment, op.cit.

Si è ritenuto comunque opportuno proporla ai commercialisti italiani poiché lascia spazio,

agli stessi, di esprimere un giudizio fondato sulla loro esperienza, apportando un contributo

utile ad un potenziale ed auspicabile processo di istituzione di una disciplina contabile volta

specifi camente all’universo delle aziende minori.22 Si ritiene poco signifi cativo un confronto fra le risposte raccolte dal F.A.S.B. e quelle fornite dai

commercialisti italiani: le prime sono essenzialmente legate alla disciplina cui erano assoggettate

le private e le small public negli USA all’epoca in cui fu condotta l’indagine. Tuttavia, per un appro-

fondimento si rimanda a F.A.S.B. - Financial Accounting Standards Board, Financial Reporting by

Privately Owned Companies: “Summary of Responses to FASB Invitation to Comment”, op.cit.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 64: Financial Reporting

64

ed al patrimonio dei soci; quindi un maggiore dettaglio dei dati di bi-

lancio; budget previsionali; informazioni di natura fi nanziaria; bilanci

infrannuali. ■ Al fi sco - invece, dati di natura reddituale, con particolare riguardo ai

costi; dati relativi agli studi di settore; di natura fi nanziaria.

Si ritiene interessante, inoltre, fornire anche il dettaglio delle informazio-

ni integrative che vengono fornite in favore: ■ Dei proprietari non coinvolti nella gestione, che conseguono budget

e dati relativi alle prospettive future. Ad essi viene concesso anche

di consultare i libri sociali. ■ Delle società di rating, cui vengono forniti dati relativi all’evoluzione

storica, alle prospettive future, alle previsioni di budget, alla struttura

patrimoniale, alla durata dei prestiti.

Grafi co 12 – CATEGORIE DI SOGGETTI CHE CONSEGUONO INFORMAZIONI INTEGRATIVE

3.3 Sezione III – Aspetti contabili

La “Sezione III”, infi ne, approfondisce ulteriormente le problematiche

proprie della contabilità delle aziende minori. In particolare, dopo aver

acquisito l’informazione circa le categorie di stakeholder che usano i bi-

lanci delle P.M.I. ed i loro fabbisogni informativi, il questionario mira a: ■ Indagare il “carico” sopportato dalle P.M.I. al fi ne della produzione

della comunicazione economico-fi nanziaria.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 65: Financial Reporting

65

■ Acquisire il livello di cognizione degli intervistati in merito alla realtà

dei principi contabili internazionali, oltre che la loro opinione sull’op-

portunità che venga estesa, anche alle aziende minori, l’applicazio-

ne di questi ultimi, eventualmente a seguito di un processo di sem-

plifi cazione degli stessi.

L’interesse in tale direzione è stato destato dal progetto promosso dal-

lo I.A.S.B., volto a formulare una disciplina contabile specifi ca per le

“small and medium entities”. In proposito, si sappia che l’organismo

contabile internazionale ha realizzato un’indagine fi nalizzata ad acquisi-

re suggerimenti in merito all’opportunità di applicare gli IAS/IFRS anche

alle S.M.E. ed alla tipologia di semplifi cazioni che, eventualmente, si

dovessero ritenere necessarie al tal fi ne (I.A.S.B., 2005).

Anche i ricercatori irlandesi hanno formulato una domanda analoga, chie-

dendo ai loro commercialisti quali ritenessero essere i principi contabili

che giudicavano dovessero essere applicati anche alle aziende minori.

Tuttavia la comparabilità delle risposte raccolte è parzialmente pregiudi-

cata dall’eterogeneità dei documenti che le due indagini hanno preso a

riferimento (quelli emanati dall’A.S.B. per gli irlandesi e gli IAS/IFRS per

l’indagine condotta dallo I.A.S.B.) e dalla circostanza per cui l’implemen-

tazione di un progetto in favore delle S.M.E. è di recente attuazione.

In defi nitiva, quindi, l’ultima parte del questionario propone ai commer-

cialisti altre cinque domande, invitandoli ad esprimersi in merito alle

seguenti questioni:■ Aspetti che ritengono essere più gravosi fra quelli necessari alla

compilazione dei documenti di sintesi.■ Carico connesso al rispetto della disciplina civilistica e dei principi

contabili.■ Livello di conoscenza dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.■ Opportunità di estendere gli IAS/IFRS e di suggerire l’adozione di un

prospetto per l’analisi dei fl ussi di cassa anche alle aziende minori.

Al fi ne di valutare i “costi” connessi alla produzione della comunica-

zione economico-fi nanziaria, agli intervistati è stato chiesto di indicare

“quale dei seguenti aspetti comportasse un impegno più gravoso” in tal

senso. Dalle risposte raccolte si desume che le attività più impegnative

sono, in ordine decrescente, quelle riportate nella Tabella 4.

Si rimanda, invece, alla consultazione del Grafi co 13 per il dettaglio

delle percentuali delle risposte.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 66: Financial Reporting

66

Tabella 4

Valutazione Italia Irlanda

1 Attività fi scale Tenuta della contabilità

2 Tenuta della contabilità Revisione dei conti

3Consulenze di carattere

generaleAttività fi scale

4 Revisione dei contiConsulenze di carattere

generale

5 Informazioni per le banche Dichiarazione IVA

6 Gestione paghe ai dipendenti Informazioni per le banche

7 Dichiarazione IVA Gestione paghe ai dipendenti

Come evidenziato nella tabella, i risultati di questa domanda non sono in

linea con quelli conseguiti dall’indagine condotta in Irlanda, evidenziando

un maggiore impegno dei commercialisti italiani nel gestire le relazioni

con l’amministrazione fi scale, rispetto a quanto non accada nella realtà

anglosassone. Si nota, inoltre, come in Italia l’attività fi scale sia addirittura

più impegnativa di quella connessa alla tenuta della contabilità in sé e per

sé, o alla consulenza di carattere generale fornita dai commercialisti.

Grafi co 13 – ASPETTI PIÙ GRAVOSI DELLA COMPILAZIONE DEI BILANCI

Ai professionisti è stato quindi chiesto di esprimere il loro giudizio in meri-

to alla percezione che hanno del “carico connesso al rispetto della disci-

plina contabile”. Essi giudicano non eccessivamente gravoso né il carico

derivante dal rispetto delle regole imposte dal codice civile, né quello

proveniente dal rispetto dei principi contabili (sebbene questi ultimi sem-

bra comportino un maggior impegno rispetto alla disciplina civilistica).

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 67: Financial Reporting

67

Per le percentuali si rimanda ai Grafi ci 14 e 1523.

Interessante, inoltre, il confronto con il responso fornito alla stessa do-

manda da parte dei professionisti irlandesi: essi ritengono invece ecces-

sivo il carico connesso al rispetto della disciplina contabile, sia quando si

abbiano a riguardo i principi contabili (83% delle risposte), sia quando si

consideri la disciplina civilistica (secondo il 70% degli intervistati).

Grafi co 14 – CARICO IMPOSTO DALLE DISPOSIZONI CIVILISTICHE

Grafi co 15 – CARICO IMPOSTO DALLE DISPOSIZONI DEI PRINCIPI

CONTABILI NAZIONALI

Ai commercialisti è stato chiesto se “giustifi cassero l’adozione di un

semplice prospetto dei fl ussi di cassa per le aziende minori”.

23 Sul punto si nota come appaiano fuori target le risposte fornite dai commercialisti iscritti

all’ordine di Palermo. Si tenga presente, tuttavia, la ridotta numerosità di queste ultime, che

induce a valutare criticamente la loro attendibilità allorquando si discostino in maniera signifi -

cativa dal resto del campione, come accade in questo caso.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 68: Financial Reporting

68

Come risulta dal Grafi co 16, è altissimo il livello di astensione alla doman-

da; tuttavia, la maggior parte di coloro che hanno risposto (34%) si dichia-

ra favorevole alla compilazione del rendiconto fi nanziario anche da parte

delle P.M.I.; più contenuta, invece, la percentuale di coloro che sono con-

trari (22% delle risposte esaminate). Il responso rimane sostanzialmente

analogo a quello conseguito dai ricercatori irlandesi, anche se, in quella

sede, il rendiconto fi nanziario ha guadagnato maggiori consensi che non

in Italia: sono favorevoli ben il 55% e contrari il 38% dei loro intervistati.

Grafi co 16 – PROSPETTO DEI FLUSSI DI CASSA PER LE P.M.I.

La maggior parte degli intervistati ha quindi dichiarato di avere una co-

noscenza media dei principi contabili internazionali IAS/IFRS (come ri-

sulta dalle percentuali sintetizzate nel Grafi co 17).

Grafi co 17 – CONOSCENZA DEI PRINCIPI CONTABILI IAS/IFRS

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 69: Financial Reporting

69

Quando è stato chiesto, infi ne, quali IAS/IFRS ritenessero opportuno

estendere anche alle aziende minori, i maggiori consensi in tal senso

sono stati guadagnati dai seguenti principi rispetto ai quali la percen-

tuale delle risposte favorevoli all’estensione è risultata maggiore rispet-

to a quella dei contrari24:

■ IAS 40 Investimenti immobiliari■ IAS 2 Valutazione delle rimanenze■ IAS 10 Eventi accaduti dopo la data di chiusura del bilancio■ IAS 38 b Capitalizzazione di attività di ricerca e sviluppo■ IAS 17 Leasing (vendita e retrolocazione)■ IAS 36 a Perdita di valore delle attività immateriali a vita utile in-

defi nita (in particolare dell’avviamento)■ IAS 38 a Attività Immateriali (revaluation model)■ IAS 11/18 Uso della percentuale di completamento per i contratti

di costruzione e per i ricavi provenienti dalla cessione

di servizi■ IAS 23 Oneri fi nanziari (capitalization model)■ IAS 37 Iscrizione e misurazione degli accantonamenti e delle

passività potenziali■ IFRS 3 Aggregazioni di imprese■ IAS 20 Contabilizzazione dei contributi pubblici■ IAS 16 Immobilizzazioni tecniche (revaluation model)■ IAS 21 Effetti di variazione dei tassi di cambio■ IAS 39 b Misurazioni al fair value■ IAS 11 Contratti di costruzione■ IAS 36 b Impairment per le immobilizzazioni tecniche

24 Per il dettaglio delle percentuali si rimanda al Grafi co 18.

Sul punto si tenga presente, inoltre, che sono state analizzate solo le risposte fornite da colo-

ro che avevano dichiarato di avere una conoscenza media o alta dei princìpi IAS/IFRS.

Ne deriva che, se l’intera indagine è stata condotta sulle risposte fornite da 214 Dottori

Commercialisti, al fi ne di indagare sull’opportunità dell’estensione dei principi contabili anche

all’universo delle P.M.I sono stati eliminati 95 pareri, quelli dei professionisti che:

- Si erano astenuti dal rispondere alla domanda relativa al livello di conoscenza dei principi

contabili internazionali.

- Avevano dichiarato di avere una conoscenza nulla o bassa degli IAS/IFRS.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 70: Financial Reporting

70

I principi rispetto ai quali, invece, si registrano i maggiori dissensi (rispet-

to all’ipotesi di estensibilità degli stessi in favore delle aziende minori),

sono quelli di seguito elencati, rispetto ai quali si riconosce, invece, un

livello di disaccordo superiore ai giudizi favorevoli25:

■ IAS 39 a Uso dell’effective interest method■ IAS 41 Valutazioni al fair value per attività agricole■ IAS 39 e Strumenti fi nanziari: derecognition■ IAS 39 d Derecognition e/o accantonamenti di hedge accounting■ IFRS 2 Pagamenti basati sulle azioni■ IAS 19 Criteri di misurazione delle pensioni e di altri benefi ci

successivi al rapporto di lavoro■ IAS 39 f Strumenti fi nanziari: hedge accounting■ IAS 26 Fondi di previdenza■ IFRS 4 Contratti di assicurazione■ IAS 32 Contabilizzazione separata per gli strumenti fi nanziari

strutturati■ IAS 24 Informazioni sulle entità correlate■ IAS 39 c Contabilizzazione di contratti a termine in valuta estera■ IAS 28/31 Adozione dell’equity method nella contabilizzazione del-

le partecipazioni in società collegate e in joint venture■ IAS 30 Informazioni richieste nel bilancio delle banche e degli

istituti fi nanziari■ IAS 27 Bilanci consolidati e bilanci separati■ IAS 12 Contabilizzazione delle imposte sul reddito (differenze

temporanee derivanti da investimenti in controllate, as-

sociate, joint venture).

25 Valgono le stesse osservazioni della precedente nota.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 71: Financial Reporting

71

26

È stato infi ne chiesto agli intervistati se, rispetto ad i principi che essi

ritengono estensibili anche alle aziende minori, giudicano conveniente,

a tal fi ne, un preventivo procedimento di semplifi cazione degli stessi27.

La percentuale di adesione alla domanda è stata più bassa rispetto alla

precedente (per il dettaglio si rimanda al Grafi co 19): si può immaginare,

infatti, che si siano astenuti dal rispondere coloro che abbiano conside-

rato non estensibili gli IAS/IFRS anche all’universo delle P.M.I. (in linea

generale, infatti, il tasso delle risposte è più basso proprio in corrispon-

denza di quegli standard rispetto ai quali era preponderante il giudizio

di non convenienza dell’estensione).

Tuttavia, prendendo in considerazione i soli principi rispetto ai quali si

26 La selezione dei principi rispetto ai quali valutare l’estensibilità anche alle P.M.I. è stata effet-

tuata considerando la struttura dello Staff Questionnaire emanato nel 2005 dallo I.A.S.B.

Con riferimento ad alcuni dei principi presi in esame, inoltre, le domande sono state formulate

in maniera da indagare specifi ci argomenti da essi disciplinati, cosicché le lettere che accom-

pagnano alcuni degli IAS/IFRS proposti si riferiscono ai seguenti accadimenti:

- IAS 36 a: Perdita di valore delle attività immateriali a vita utile indefi nita (in particolare l’avviamento);

- AS 36 b: Impairment per le immobilizzazioni tecniche;

- IAS 38 a: Revaluation model

- IAS 38 b: Capitalizzazione delle attività di ricerca e sviluppo

- IAS 39 a: Uso dell’effective interest method

- IAS 39 b: Misurazioni al fair value

- IAS 39 c: Contabilizzazione dei contratti a termine in valuta estera

- IAS 39 d: Derecognition e/o accantonamenti di hedge accounting

- IAS 39 e: Strumenti fi nanziari: derecognition

- IAS 39 f: Strumenti fi nanziari: hedge accounting.27 Valgono le medesime osservazioni formulate nella nota n. 26.

Grafi co 18 – ESTENSIONE DI ALCUNI IAS/IFRS ALLE P.M.I.26

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 72: Financial Reporting

72

era giudicata conveniente l’opportunità di una loro applicazione anche

da parte delle aziende minori (posti in evidenza nella Tabella 5), si può

desumere che i commercialisti ritengano ragionevole, a tal fi ne, una loro

preventiva semplifi cazione (eccetto che per gli IAS 20 ed 11): la percen-

tuale delle risposte “SI”, infatti è maggiore di quelle “NO”.

Tabella 5

Semplifi cazione

Non risponde Si No Non so

IAS 2 27% 45% 29% 0%

IFRS 3 42% 42% 14% 2%

IAS 17 34% 39% 26% 2%

IAS 40 39% 39% 21% 1%

IAS 23 44% 37% 17% 2%

IAS 11-18 39% 36% 17% 8%

IAS 10 35% 34% 28% 4%

IAS 38 b 39% 34% 28% 0%

IAS 12 44% 33% 21% 2%

IAS 36 a 41% 33% 24% 2%

IAS 38 a 41% 33% 24% 2%

IFRS 2 48% 32% 14% 6%

IAS 21 43% 32% 23% 2%

IAS 37 48% 32% 18% 2%

IAS 39 b 51% 32% 15% 2%

IFRS 4 48% 31% 17% 4%

IAS 16 46% 31% 20% 3%

IAS 27 52% 26% 19% 3%

IAS 20 46% 24% 26% 4%

IAS 36 b 49% 24% 21% 5%

IAS 11 46% 21% 22% 10%

IAS 26 56% 21% 17% 5%

IAS 28-31 54% 20% 18% 7%

IAS 39 c 49% 20% 26% 5%

IAS 30 55% 19% 19% 6%

IAS 24 52% 18% 23% 6%

IAS 32 56% 18% 20% 5%

IAS 19 54% 17% 23% 5%

IAS 39 a 61% 13% 16% 9%

IAS 39 d 59% 12% 17% 11%

IAS 39 f 58% 12% 19% 10%

IAS 41 60% 12% 16% 11%

IAS 39 e 60% 10% 19% 10%

Altro 97% 0% 2% 1%

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 73: Financial Reporting

73

4. Sintesi e considerazioni conclusive

La ricerca effettuata ha consentito di giungere alle seguenti principali conclu-

sioni (ordinate secondo le sezioni in cui è stato strutturato il questionario).

I. INFORMAZIONI DI CARATTERE GENERALE

In primo luogo, si ritiene opportuno sottolineare la signifi catività dei dati

raccolti: i commercialisti intervistati hanno dichiarato di esercitare in

maniera intensa, per le loro aziende, attività di “Redazione del bilancio”

e di “Tenuta dei conti e redazione del bilancio”. Questo aspetto pone in

evidenza la loro qualità di essere “tecnici” ed “esperti” delle problemati-

che proprie della comunicazione economico-fi nanziaria, avvalorando le

risposte da essi fornite alle domande del questionario.

Dall’analisi dei dati della prima sezione emerge, inoltre, che i commercialisti:■ Si avvalgono (ed anche in misura rilevante) delle semplifi cazioni pro-

poste dal 2435 bis C.C.■ Riconoscono nel “Settore di attività” il più importante parametro cui

legare eventuali processi di semplifi cazione della disciplina di bilancio.

Grafi co 19 – SEMPLIFICAZIONE DEGLI IAS/IFRS DA ESTENDERE ALLE P.M.I.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 74: Financial Reporting

74

II. UTILIZZATORI E LORO FABBISOGNI INFORMATIVI

Nell’opinione dei professionisti contabili le informazioni dei bilanci delle

aziende minori vengono impiegate soprattutto da:■ “Banche e Finanziatori Istituzionali”, che se ne avvalgono soprattut-

to per valutare la “Capacità di restituzione del prestito, Liquidabilità,

Profi ttabilità ” e la “Stabilità, Trend nei risultati conseguiti, Sicurezza”

delle aziende affi datarie o richiedenti denaro in prestito.■ “Proprietari coinvolti nella gestione” per l’assunzione di “Decisioni di

Finanziamento” e di “Decisioni di Investimento”.■ “Fisco”.

Dall’analisi delle risposte, tuttavia, emerge che le informazioni di bilan-

cio non risultano suffi cienti a soddisfare le attese conoscitive di diver-

se categorie di user della comunicazione economico-fi nanziaria delle

P.M.I., tanto da giustifi care la necessità di fornire loro informazioni inte-

grative. In particolare, la categoria che ne ottiene in misura maggiore è

quella delle “Banche e Finanziatori Istituzionali”.

I dati, comunque, valgono a confermare, di fatto, la necessità di rivede-

re la disciplina contabile rivolta all’universo delle aziende minori.

III. ASPETTI CONTABILI

Dall’analisi dei dati di questa sezione emerge, che:■ L’impegno più gravoso connesso alla produzione della comunica-

zione economico-fi nanziaria è legato alla “Attività Fiscale”, ancor più

di quanto non lo sia la vera e propria “Tenuta della contabilità”.■ La disciplina contabile italiana (sia essa proveniente dal codice, sia

quella emanata dall’O.I.C.) non è ritenuta eccessivamente onerosa.■ I commercialisti intervistati:

– Concordano con l’idea di proporre l’adozione di un semplice pro-

spetto dei fl ussi di cassa anche in favore delle aziende minori.

– Hanno una conoscenza tendenzialmente “Media” degli IAS/IFRS.■ I professionisti contabili (che dichiarano di avere una conoscenza

media o alta dei principi internazionali) sono favorevoli all’estensione

di alcuni di questi principi anche all’universo delle aziende minori, a

patto che però vengano precedentemente semplifi cati.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 75: Financial Reporting

75

Le informazioni raccolte inducono a ritenere parzialmente inadeguata

- e suscettibile di correzioni - l’attuale disciplina contabile rivolta all’uni-

verso delle aziende di minore dimensione.

Dall’indagine, infatti, emerge la necessità di fornire informazioni integra-

tive, rispetto a quelle raccolte nel bilancio, in favore di alcune categorie

di user; aspetto che, indirettamente, viene confermato anche dai con-

sensi che guadagnano le ipotesi di:■ Proporre, anche alle aziende minori, la redazione di un semplice pro-

spetto dei fl ussi di cassa.■ Estensione alle P.M.I. di alcuni principi IAS/IFRS.

D’altro canto, tuttavia, non convince la possibilità di risolvere la que-

stione semplicemente prevedendo un’estensione dell’applicabilità dei

principi contabili internazionali in favore delle P.M.I.: i giudizi favorevoli

verso l’ipotesi di una preventiva semplifi cazione di questi valgono a rite-

nere opportuna l’implementazione di processi di differential reporting.

Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

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Comunicazione economico-finanziaria nelle P.M.I.

Page 79: Financial Reporting

79

Scopo ed contenuti della rubrica

La rubrica Audit e professioni contabili vuole rappresentare, nel processo

di profonda rivisitazione che ha coinvolto la Rivista Financial Reporting,

un elemento di continuità rispetto al passato: infatti, questa costituisce

un punto di collegamento con la linea editoriale e l’oggetto specifi co

della rivista Revisione Contabile, soprattutto, intende mantenere uno

stretto legame con i soggetti a cui la Rivista si è rivolta da sempre.

Infatti è nostro profondo convincimento che vi sia un grande bisogno di

uno “spazio editoriale” in cui si fornisca, con approcci che non siano né

esclusivamente teorici, né eccessivamente empirici od operativi, una il-

lustrazione ed analisi dei risultati dell’attività degli organismi che concor-

rono a produrre, a livello nazionale ed internazionale, regolamentazione

contabile o a codifi care ed infl uenzare, anche attraverso le interpretazio-

ni proposte, le scelte ed i comportamenti di chi affronta problematiche

amministrativo contabili e contribuisce alla produzione e al controllo dei

fl ussi di informativa esterna di impresa.

In questa direzione, la rubrica Audit e professioni contabili vuole fornire,

allo studioso, al professionista, ma anche all’operatore, una panoramica

sulla produzione e sul contenuto dei principali documenti che condizio-

nano l’operato di coloro i quali si occupano, a vario titolo, di professioni

contabili, senza per questo privarsi, ove necessario, di fornire una lettura

critica dei documenti esaminati.

L’esperienza maturata negli ultimi anni da chi si è occupato di proble-

matiche di regolamentazione di controllo contabile dimostra che spesso

vi sia necessità di comprendere a fondo la ratio ed il contenuto dei do-

cumenti destinati a disciplinare i comportamenti tecnico amministrativi

delle imprese, sia per esaminarli criticamente dal punto di vista teorico e

concettuale, sia per applicarli correttamente dal punto di vista operativo

(salvo poi essere valutati dai soggetti che devono garantire l’enforcement

del sistema di regole e/o di essere oggetto di ricerche empiriche che

verifi cano ex post le modalità di applicazione di tale regolamentazione).

A tal fi ne occorre, inoltre, essere messi a conoscenza dell’iter e delle mo-

tivazioni che hanno portato alla redazione dei documenti di regolamen-

tazione contabile e delle varie versioni e modifi che che hanno condotto

alla loro formulazione fi nale, considerando anche le motivazioni dei re-

lativi cambiamenti che, spesso, sono frutto di un dibattito che precede

la emanazione di un principio, di un regolamento, di una circolare o di

una raccomandazione o a volte anche di un documento di studio o di un

Audit e Professioni Contabili

a cura del Prof. Alessandro Gaetano - Università di Roma Tor Vergata

Page 80: Financial Reporting

80

documento operativo. Il pensiero va, ad esempio, a livello nazionale, alle

guide operative dell’Organismo Italiano di Contabilità o gli OPI emanati da

Assirevi, piuttosto che ai documenti del Consiglio Nazionale dei Dottori

Commercialisti o alle Circolari emanate dal Ministero della Economia e

Finanze, dall’Agenzia delle Entrate o dalle Autorità di vigilanza.

Gli elementi sopra richiamati possono fornire, pertanto, fondamentali

indicazioni in merito alla corretta interpretazione di un documento di re-

golamentazione contabile, e sono destinati a condizionarne le modalità

di applicazione e implementazione dal punto di vista operativo, anche

se spesso non sono nella disponibilità e conoscenza dei più. Infatti, per

chi si è recentemente occupato di redazione, applicazione, ma anche

solo di studio e commento dei principi contabili internazionali, una del-

le esigenze più avvertite è quella di avere contezza di ciò che accade

nelle fasi preliminari di confronto che precedono la pubblicazione del

documento defi nitivo o anche di quello in bozza per la consultazione,

non solo per poterlo comprendere a fondo ed eventualmente criticare

dal punto di vista concettuale o operativo, ma anche, e soprattutto, per

condizionarne il processo di formazione e di eventuale revisione. Tali fasi

preliminari avvengono seguendo modalità che assicurano sempre di più

la trasparenza informativa, ma precedono spesso la fase di consultazio-

ne pubblica, che si avvia in un momento in cui chi emana il documento

è giunto ad un elevato grado di consapevolezza e maturità, mentre i

soggetti terzi che vengono coinvolti nel processo di consultazione e

che presentano le loro osservazioni si trovano spesso nella condizione

di avere visto per la prima volta un documento che, invece, è stato og-

getto di discussione e approfondito dibattito all’interno, spesso con un

confronto anche all’esterno, da parte dell’organismo che lo emana.

Inoltre, non si può non considerare che nella maggior parte dei casi il

vero dibattito e confronto, che può portare a modifi care in modo rile-

vante il documento, si sviluppa nella fase che precede la pubblicazione

dello stesso nella sua versione defi nitiva e, spesso, in quella ancora

antecedente che porta alla predisposizione della versione per la con-

sultazione. Dall’altro lato però, questo modus operandi contiene in sé

anche il rischio che i contributi al processo di formazione del documen-

to da parte dei soggetti che sono destinati ad applicarlo correntemente

scarseggino; in effetti, mentre gli operatori sono spesso pressati da

molteplici impegni e scadenze, anche gli studiosi - cui spetta il compito

di dedicarsi a questa attività speculativa - sono esposti al rischio di

produrre contributi scientifi ci che, in quanto riferiti ad un documento

non defi nitivo, possono divenire entro breve obsoleti. Questi soggetti,

pertanto, sono spesso costretti, per mancanza di tempo ad affrontare

la analisi di un documento, contenente una serie di regole spesso com-

Presentazione Auditing

Page 81: Financial Reporting

81

plesse, destinate a volte a modifi care in modo rilevante i loro compor-

tamenti, solo all’atto della sua emanazione defi nitiva, se non addirittura

all’approssimarsi della sua effettiva entrata in vigore.

Inoltre, vista la notevole mole di documentazione che viene prodotta, anche

a supporto della applicazione dei principi contabili, si corre il rischio di non

essere aggiornati, e chi è consapevole di ciò vive nel continuo timore di non

essere al corrente di cosa è stato emanato; visto il ridottissimo lasso tempo-

rale che, sempre più spesso, intercorre tra il rilascio di un documento e la sua

applicazione a volte, pur avendo contezza di cosa sia stato prodotto, ha la

sola certezza che nei tempi che si hanno a disposizione per dare soluzione

al problema non si sarà certamente in grado di leggere o studiare a fondo la

documentazione da applicare, con le ovvie conseguenze sulla bontà delle

soluzioni seguite ed i relativi impatti prodotti sulla attività e responsabilità di

chi opera e di chi è destinato ad espletare l’attività di controllo.

Ad avviso di chi scrive, inoltre, l’applicazione di un sistema di regole nuove

ed un differente modo di produrre regolamentazione contabile ha compor-

tato la necessità di modifi care gli approcci fi nora adottati da coloro i quali

si occupano dell’attività di controllo; infatti, i sindaci, revisori e addetti ai

controlli interni, devono aggiornare il loro modo di fare audit sui processi

contabili, le cui risultanze si avvicinano sempre più a quelle dei processi

gestionali, con conseguente avvicinamento di approcci e modelli tra audit

contabile ed a quelli adottati per espletare l’attività di audit gestionale.

Partendo da queste premesse ed esigenze, ampiamente diffuse e condivise

tra coloro con cui si è avuto modo di avere un confronto, e che sono stati, a

vario titolo, coinvolti nella progettazione e redazione della presente rubrica,

l’obiettivo che la stessa intende perseguire è quello di fornire, innanzitutto,

una panoramica, (possibilmente completa e suffi cientemente approfondita

nei limiti dello spazio ad essa concessi) sui principali documenti emanati in

tema di informativa economico-fi nanziaria di impresa da parte degli standard

setter nazionali ed internazionali, dalle autorità di controllo e da alcune delle

associazioni di categoria (certamente da parte di quelle che raccolgono i

professionisti contabili e le imprese di revisione del nostro paese), il tutto te-

nendo conto della periodicità di uscita della rivista che, non consente certa-

mente di fare di questa rubrica uno strumento di informazione istantanea.

Per tale motivo, i colleghi che sono stati coinvolti nella presente ini-

ziativa e che, a partire da questo numero inizieranno a fornire i loro

contributi sulle tematiche sopra richiamate, provengono dal mondo del-

l’accademia, delle istituzioni e degli organismi di produzione della rego-

lamentazione e delle professioni tecnico-contabili, spesso ricoprendo

contemporaneamente più di uno di questi ruoli.

Tra questi si citano, solo per il fatto che hanno aderito per primi (anche

perché la lista dei nomi che è già suffi cientemente estesa e, per fortuna

Presentazione Auditing

Page 82: Financial Reporting

82

- ciò sembra dimostrare la bontà e condivisione del progetto - con la

adesione di nuovi amici e la aggiunta dei loro nomi si sta allungando di

giorno in giorno di più) Gianfranco Capodaglio, Professore Ordinario di

Economia Aziendale dell’Università di Bologna e Presidente della Com-

missione per le Norme ed i Principi Contabili istituita presso il Consiglio

Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili, che “apre le

danze” con un suo contributo pubblicato, come primo della Rubrica Audit

e professioni contabili, all’interno del presente numero della Rivista; Mario

Boella, Presidente di ASSIREVI e membro del Comitato Tecnico Scienti-

fi co dell’OIC; Matteo Caratozzolo, Presidente della Commissione Principi

Contabili del’Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma, già Membro del

Comitato Tecnico, scientifi co dell’OIC e Presidente della Commissione

Principi Contabili del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti; Si-

mone Scettri, Vice Presidente ASSIREVI e membro del Comitato Tecnico

Scientifi co dell’OIC; Massimo Tezzon, che dopo essere stato per anni il

Direttore Generale della CONSOB ricopre attualmente il ruolo di Segre-

tario Generale dell’Organismo Italiano di Contabilità ed Enrico Macario,

capo Uffi ci controlli fi scali - DR Liguria - Agenzia delle Entrate.

A questi amici - a cui si aggiungono, ovviamente, i colleghi del Comitato

di Redazione - vanno i miei più sentiti ringraziamenti per i preziosi sug-

gerimenti e spunti ricevuti nelle varie occasioni di incontro e confronto

che, naturalmente, si estendono a coloro i quali hanno dimostrato il loro

interesse e disponibilità a partecipare e contribuire a questa iniziativa che

oggi vede la luce. Tramite i contributi di tutti questi soggetti, si spera di

riuscire a diffondere utili informazioni, sia per la comunità scientifi ca, sia

per i professionisti impegnati ai livelli più alti della professione contabile.

Quindi si auspica che questa Rubrica possa assumere, in piena coeren-

za e totale coordinamento con il contenuto e le linee di sviluppo della

Rivista, il ruolo di “terreno neutrale” in cui membri delle Istituzioni, pro-

fessionisti e operatori dell’area amministrativo contabile, Responsabili

delle attività di controllo e governo delle imprese ed esponenti dell’Ac-

cademia, anche se dotati di esperienze e approcci differenti, possano

confrontarsi in modo costruttivo su tematiche di comune interesse per i

professionisti contabili, portando contributi su aspetti e documenti che

li hanno visti direttamente coinvolti: ciò al fi ne di far crescere il grado

di consapevolezza e conoscenza delle tematiche relative ai controlli ed

all’informativa esterna di impresa nel nostro Paese.

Ovviamente i contributi e le opinioni in essi espresse verranno forniti

dagli autori a titolo personale senza che ciò impegni le istituzioni e/o

Organismi di appartenenza ma, vista la onestà intellettuale dei soggetti

coinvolti, ciò costituisce un grande vantaggio, piuttosto che un elemento

di limitazione del loro apporto.

Presentazione Auditing

Page 83: Financial Reporting

83

1. Cenni sul ruolo dei principi contabili in Italia

Come è noto, in Italia la legge regola la materia relativa agli obblighi

contabili delle imprese ed alla redazione del loro bilancio d’esercizio,

nonché del bilancio consolidato dei gruppi di imprese; la normativa

detta le regole inerenti il contenuto del bilancio, le sue caratteristiche

fondamentali, i principi di redazione ed i criteri di valutazione delle di-

verse poste, senza però scendere nel dettaglio delle possibili diverse

fattispecie. Inoltre, la “clausola generale” contenuta nell’art. 2423 del

codice civile prevede l’obbligo di fornire informazioni integrative se

le informazioni richieste da specifi che disposizioni di legge non sono

suffi cienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta e di non

applicare una disposizione se, in casi eccezionali, la sua applicazione

è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta.

Da quanto sopra si evince che il legislatore italiano ha formulato un im-

plicito rinvio alla tecnica contabile per l’integrazione e l’interpretazione

delle norme.

2. L’origine dei principi contabili nazionali

Negli studi di Ragioneria e nelle prassi degli operatori contabili si sono

sempre potuti individuare criteri e metodi di redazione dei bilanci, ispi-

rati ai sistemi in auge nei diversi periodi di riferimento: in particolare, si

è assistito ad una profonda trasformazione intorno alla metà del secolo

scorso, allorché si ebbe la massima diffusione su tutto il territorio nazio-

nale della contabilità in partita doppia svolta con il “metodo reddituale”

di Gino Zappa, in sostituzione del precedente “metodo patrimoniale”,

originato dagli studi di Fabio Besta.

Pur potendosi riscontrare i criteri ed i metodi di redazione del bilancio e di

valutazione dei suoi elementi più diffusi ed accettati, non si disponeva di

La Commissione “per le norme ed i principi contabili” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialistie degli Esperti Contabili

di Gianfranco Capodaglio – Università di Bologna

Page 84: Financial Reporting

84

un corpus di principi considerabili “sistema di riferimento”, sino a quando

le Associazioni professionali non hanno emanato una serie di documenti,

intitolati, appunto, “Principi contabili”. Ciò è avvenuto alla metà degli anni

settanta, ad opera del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti, che

ha nominato al suo interno una commissione denominata “Per la statui-

zione dei principi contabili”, presieduta da Giancarlo Tomasin.

L’allora Presidente del Consiglio Nazionale, Giuseppe Salvini, nella pre-

sentazione dell’iniziativa1, così scriveva: «la certifi cazione dei bilanci,

che sarà legislativamente obbligatoria per le società le cui azioni sono

quotate in Borsa, va diffondendosi presso di noi anche nei confronti di

società la cui “certifi cazione” non è prescritta dalla legge. Ciò presup-

pone che vengano stabiliti dei principi contabili e di revisione di gene-

rale accoglimento affi nché, in materia, si parli un unico linguaggio e

di conseguenza siano possibili le comparazioni dei dati e dei risultati,

nonché l’attendibilità degli stessi».

L’attività della Commissione si svolse sino al 1993 e produsse dieci fascico-

li, numerati progressivamente, il primo dei quali, intitolato “Bilancio d’eserci-

zio fi nalità e postulati”, aveva come obiettivo l’esposizione di alcuni concetti

fondamentali a cui doveva informarsi la preparazione del bilancio d’esercizio

per assolvere la sua funzione informativa. I documenti successivi trattarono

principalmente argomenti connessi a singole poste di bilancio.

Nel 1993 la Commissione venne rinnovata nella sua composizione2, ma

soprattutto venne formata sotto l’egida sia del Consiglio Nazionale dei

Dottori commercialisti, sia del Consiglio Nazionale dei Ragionieri. L’in-

sediamento della nuova Commissione avvenne in un momento partico-

larmente delicato: in quell’anno infatti entrò in vigore il decreto legisla-

tivo 9 aprile 1991, n. 127 di attuazione delle Direttive CEE n. 78/660 e

n. 83/349 in tema di bilancio d’esercizio e di bilancio consolidato.

La Commissione decise di riprendere dall’inizio tutto il lavoro svolto dal-

la precedente, e di riproporre i documenti, aggiornandoli in conformità

alla nuova disciplina. Il documento n. 11, che mantenne il titolo “Bilan-

cio d’esercizio fi nalità e postulati” fu emanato nel gennaio del 1994, in

sostituzione del n. 1.

I documenti successivi hanno rivisto il contenuto degli altri precedenti, dal

n. 2 al n. 10, ed hanno trattato nuovi argomenti, arrivando sino al n. 30.

1 Principi e raccomandazioni per la redazione, revisione e certifi cazione dei bilanci. Presenta-

zione ed introduzione. Giuffré, 1977.2 In quell’occasione io venni nominato componente della Commissione, fra gli iscritti agli albi

dei Dottori commercialisti.

Auditing

Page 85: Financial Reporting

85

3. La situazione attuale

Con l’avvento del nuovo millennio, si è aperto in Italia, così come nel

resto dell’Europa, un periodo di grandi mutamenti, connessi con la nor-

mativa europea in materia societaria e di bilancio.

L’Unione europea, infatti, con una serie di regolamenti3, ha obbligato gli

Stati membri ad adottare, a partire dal 1° gennaio 2005 i principi con-

tabili IAS/IFRS per la redazione dei bilanci consolidati delle società i cui

titoli sono trattati su mercati regolamentati4.

Lo Stato italiano, con la legge 31 ottobre 2003 n. 306 (Comunitaria 2003,

pubblicata sulla G.U. n. 266 del 15 novembre 2003) e con il decreto le-

gislativo 28 febbraio 2005, n. 38, ha inteso aderire all’armonizzazione

contabile promossa dall’Unione, andando oltre gli obblighi imposti dal

citato regolamento e prevedendo che, in aggiunta alle imprese indicate

dal regolamento comunitario, dovranno adottare gli IAS/IFRS anche:

1) Le società quotate per la redazione del bilancio d’esercizio

2) Le società emittenti strumenti fi nanziari diffusi tra il pubblico per il

bilancio d’esercizio e consolidato

3) Le banche e gli intermediari fi nanziari sottoposti alla vigilanza della

Banca d’Italia, per il bilancio d’esercizio e consolidato

4) Le imprese assicurative per il bilancio consolidato e, se sono quotate

ma non redigono il bilancio consolidato, anche per quello d’esercizio.

La normativa, inoltre, prevede la facoltà di redigere il bilancio con i prin-

cipi contabili internazionali per tutte le altre imprese che non sono au-

torizzate alla scelta del bilancio in forma abbreviata. Tale facoltà potrà

essere esercitata dopo l’emanazione di un apposito decreto, a tutt’oggi

non ancora avvenuta.

Contemporaneamente abbiamo assistito alla nascita di un nuovo orga-

nismo, deputato, tra l’altro, alla redazione dei principi contabili destinati

alle imprese che non adottano gli standard internazionali: l’Organismo

Italiano di Contabilità (OIC) si è costituito, nella veste giuridica di una

fondazione, il giorno 27 novembre 2001. Alla stipula dell’atto costitutivo

hanno partecipato, in qualità di fondatori, le organizzazioni rappresen-

tative delle principali categorie di soggetti privati interessate alla ma-

teria. Trattasi, in particolare: per la professione contabile, dell’Assire-

vi, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e del Consiglio

Nazionale dei Ragionieri; per i preparers, dell’Abi, dell’Andaf, dell’Ania,

dell’Assilea, dell’Assonime, della Confapi, della Confcommercio e della

3 1606/2002; 1725/2003; 707, 2086, 2236, 2237, 2238 del 2004; 211, 1073, 1751, 1864,

1910, 2106 del 2005; 108, 708, 1329 del 2006.4 È interessante notare che il Framework non è stato oggetto di omologazione da parte dell’U.

E., pur essendo frequentemente citato dai singoli standard.

Auditing

Page 86: Financial Reporting

86

Confi ndustria; per gli users, dell’Aiaf, dell’Assogestioni e della Centrale

Bilanci; per i mercati mobiliari, della Borsa Italiana.

Questo nuovo organismo ha, fra i propri compiti, quello di svolgere l’at-

tività che precedentemente era affi data alla Commissione per la statui-

zione dei principi contabili ed ha iniziato dalla revisione del documento

11 (Bilancio d’esercizio fi nalità e postulati). Contrariamente a quanto è

avvenuto in precedenza, però, non ha proseguito nella numerazione,

ma ha conservato quella esistente. Attualmente, quindi, l’OIC redige

i propri documenti secondo due serie numeriche: la prima riguarda la

revisione dei documenti preesistenti, anche alla luce dell’intervenuta ri-

forma del diritto societario5, mentre la seconda tratta argomenti nuovi, il

primo dei quali è costituito da “ I principali effetti della riforma del diritto

societario sulla redazione del bilancio d’esercizio”.

4. La nuova Commissione del Consiglio Nazionale

dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili

Dopo l’unifi cazione degli Albi delle professioni economico-giuridico-con-

tabili, il nuovo Consiglio Nazionale ed il suo Presidente, Claudio Siciliotti,

hanno ritenuto che non fosse venuta meno l’esigenza e l’utilità della sud-

detta Commissione, che ha assunto il nuovo nome di “Commissione per

le norme ed i principi contabili” e si è insediata il 5 giugno 2008.

L’opportunità di mantenere in attività la commissione è stata moti-

vata proprio dalla considerazione che le disposizioni contabili stan-

no subendo un rapido e crescente processo di convergenza verso

approcci, schemi e, in taluni casi, regole generalmente accettate a

livello mondiale. Le norme comunitarie e nazionali nonché i principi

contabili nazionali fanno sempre più riferimento agli IAS/IFRS quale

punto di partenza per la predisposizione e l’interpretazione delle nor-

me di legge nazionali in materia. La comprensione delle disposizioni

contenute nei principi contabili internazionali appare quindi fonda-

mentale anche per l’interpretazione applicativa delle norme di legge

nazionali in materia di contabilità.

L’ampio processo di revisione delle norme contabili rischia di rivedere

in modo assai signifi cativo il sistema dei principi contabili generalmente

accettati a livello internazionale.

Il rischio maggiore consta nella previsione di norme che siano estranee alla

cultura nazionale ed al sistema economico ed imprenditoriale sottostante

e che non risultino quindi in grado di fotografare in modo adeguato la po-

5 Decreto legislativo 17 gennaio 2003, 6, modifi cato dal decreto legislativo 28 dicembre

2004, n. 310.

Auditing

Page 87: Financial Reporting

87

sizione patrimoniale-fi nanziaria e l’andamento economico delle piccole e

medie imprese nazionali; per questo è importante far sentire la propria voce

per illustrare le osservazioni e proposte della professione, che da decenni

segue costantemente le imprese in tutte le fasi della loro vita economica.

Con queste motivazioni, alla Commissione è stato affi dato il compito di:■ Commentare le bozze ed analizzare specifi ci aspetti tecnico-appli-

cativi dei principi contabili internazionali■ Commentare gli schemi ed analizzare specifi ci aspetti tecnico-appli-

cativi delle norme comunitarie e nazionali■ Commentare le bozze e produrre strumenti per l’applicazione prati-

ca di specifi ci istituti o aspetti dei principi contabili nazionali.

In esecuzione dell’incarico ricevuto, la Commissione, subito dopo l’in-

sediamento, ha esaminato il “Documento di consultazione del Ministero

dell’Economia e delle Finanze concernente l’attuazione delle direttive

comunitarie 2001/65/CE e 2003/51/CE”. Le relative “Osservazioni”

sono state redatte e poi approvate dal Consiglio Nazionale in data 30

luglio 2008: da quel giorno sono consultabili sul sito del Consiglio.

Il secondo lavoro svolto dalla Commissione riguarda le novità normative

introdotte dal decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 32, in tema di rela-

zione sulla gestione6: il 14 gennaio 2009 è stato emanato un documento

intitolato “La relazione sulla gestione art. 2428 codice civile”, che con-

tiene interpretazioni e suggerimenti operativi, in modo tale da costituire

una sorta di vademecum per il professionista.

Il terzo lavoro è costituito dai commenti alla “Bozza per consultazioni

OIC Applicazioni IAS/IFRS impairment e avviamento”. Il relativo docu-

mento è stato approvato nell’aprile 2009.

L’ultimo lavoro concluso riguarda un documento per consultazione pro-

dotto dall’Unione europea ed intitolato “Working Document of the Com-

mission Services (DG Internal Market) Consultation Paper on Review of

the Accounting Directives”.

Esso si riferisce ad una proposta di “semplifi cazione” per quelle che

vengono defi nite le “micro imprese”, per le quali si propone, in pratica,

l’abolizione di qualsiasi incombenza relativa al bilancio. Il punto più de-

licato della questione consiste nella stessa defi nizione di micro imprese:

in molti contesti europei, infatti, la proposta defi nizione potrebbe com-

prendere una larga fascia di operatori economici.

Le osservazioni formulate dalla Commissione sono state approvate dal

Consiglio e rese pubbliche nell’aprile 2009.

Tutti i documenti prodotti sono consultabili sul sito del Consiglio Nazionale.

6 La norma si applica ai bilanci dell’esercizio 2008, per le società il cui esercizio coincide

con l’anno solare.

Auditing

Page 88: Financial Reporting

88

Quanto è stato scritto, affermato e discusso in tema di Fair Value (FV) e

di Financial Reporting nel corso degli ultimi 10-15 anni trova riscontro

solo nel caso di pochi altri argomenti e temi di ricerca. Forse solo nel

caso della “chimera” dell’Accountability è stato raggiunto il numero del-

le volte nelle quali scrivendo sul FV si è voluto contribuire ad alimentare

un dibattito sempre in evoluzione.

Sul FV si sono confrontati insigni accademici, schiere di professionisti

della contabilità, numerosi esperti di revisione, nonché eccellenti rappre-

sentanti degli standards setters nazionali o dei regulators internazionali.

A tale tema sono stati dedicati Convegni, Conferenze e Workshops. Nel

contempo, sono stati pubblicati a livello locale e mondiale numerosi

volumi ed articoli.

Al tema del FV si è guardato con speranza, scetticismo ed aperta ostilità.

Le discussioni hanno riguardato sia i profi li teorici sia le analisi empi-

riche (in alcuni casi condotte su profi li che hanno rasentato livelli di

esasperato tecnicismo).

In ogni caso, riteniamo di poter affermare che nessun tentativo è per-

venuto ad un momento di sintesi o di soluzione defi nitiva. In alcuna

circostanza siamo giunti alla costruzione di un “compendio” in grado di

comporre un dibattito che non può trovare, per sua stessa defi nizione,

una perfetta ed assoluta soluzione. L’attribuzione dei valori nella rap-

presentazione di Bilancio è questione sulla quale schiere di studiosi di

Accounting si sono confrontati e continuano a confrontarsi sia a livello

nazionale che internazionale.

Allora perché segnalare e portare all’attenzione dei lettori l’ennesimo

volume pubblicato in tema di FV? Perché questo ulteriore volume può

divenire il “Companion” cui ricorrere per orientare il dibattito sul FV e

sull’attività di Financial Reporting? Quale contributo complessivo pos-

siamo associare agli studi proposti nel volume curato da Peter Walton?

Un “quasi” compendio sul Fair Value

a cura di Roberto Di Pietra – Università degli Studi di Siena

Alcune rifl essioni tratte dalla lettura del “The Routledge Companion to Fair Value

and Financial Reporting”, curato da Peter Walton (Routledge, Taylor & Francis

Group 2007, pp. i-xviii, 1- 404).

Page 89: Financial Reporting

89

A quale “fi l rouge” sono legati i 26 saggi che si sviluppano nel volume

pubblicato da Routledge nel corso del 2007?

L’anno di pubblicazione potrebbe costituire un problema di non secon-

daria importanza nell’avvicinarsi al “Companion to Fair Value and Finan-

cial Reporting”. Agli occhi dei lettori e degli studiosi il 2007 può costi-

tuire un periodo già troppo distante dalla fase di recessione economica

mondiale avviatasi almeno tecnicamente nella seconda metà del 2008.

Il virulento manifestarsi di tale recessione (ancora da comprendere nella

sua effettiva estensione e profondità) può porre più di un dubbio sulla

validità delle rifl essioni proposte prima del 2008.

Nella stesura di questa book review ho, in più occasioni, avuto il dubbio

se non fosse il caso di procedere alla sua completa riscrittura proprio

per tenere conto delle reazioni convulse che alcuni regolatori sembrano

avere assunto nei confronti del FV.

La transizione alle valutazioni al FV nel contesto dell’Unione europea,

per quanto dibattuta, sembrava ormai avviata al superamento della

fase di sperimentazione. Il contesto europeo è stato, invece, scosso

dalle prime conseguenze della crisi fi nanziaria, ovvero dalla profonda

volatilità dei valori che assumono gli strumenti fi nanziari. Molti com-

mentatori hanno ripreso argomentazioni e posizioni critiche proposte

già da alcuni anni, assumendo toni quasi di soddisfazione per l’avere

visto avverarsi i timori ed i rischi paventati. In alcuni settori regolati le

autorità di vigilanza hanno di fatto richiesto il ritorno alle valutazioni al

costo e tutto questo è passato nella lettura popolare come un passo

verso l’abbandono del FV1.

Dunque, cosa può dire di interessante un volume sul FV e sul Financial

Reporting se è stato pensato e pubblicato prima del terremoto del 2008?

La lettura dei contributi che costituiscono il volume curato da Peter Wal-

ton e le rifl essioni che esse hanno suscitato consentono di apprezzare la

profondità di un lavoro che, in alcuni casi, è andato talmente in profondità

da riuscire a superare la portata stessa dall’attuale contingenza.

L’idea complessiva in tema di FV che il volume in esame contribuisce ad

avvalorare è che questo concetto risulta ben lontano dall’essere identi-

fi cato in modo esaustivo e defi nitivo. Nei cinque saggi della sezione in-

troduttiva (Section I: Introduction) e nel complesso dei saggi delle altre

due sezioni del volume (Section II: Theroetical analysis e Section III: Fair

value in practice) il FV è stato oggetto di un’indagine teorica ed operativa

1 In Italia nel corso del 2008 l’eccessiva volatilità che ha caratterizzato i valori degli strumenti

fi nanziari ha creato serissimi problemi sulla possibilità di pervenire alla redazione di Bilanci

contenenti informazioni attendibili. Questo soprattutto nel caso dei Bilanci bancari ha indotto

la Banca d’Italia a sospendere l’utilizzazione del FV per la redazione del Bilancio d’esercizio

relativo al 2008 disponendo in questa fase un ritorno alle valutazioni al costo.

Book Review

Page 90: Financial Reporting

90

nella quale sono state adottate differenti prospettive. Le diverse ottiche di

indagine hanno permesso di ricomporre una visione di insieme di indubbio

valore intellettuale e pratico. Sul FV gli Autori hanno singolarmente assunto

una prospettiva storica, di analisi critica, di carattere comparato (rispetto al

contesto statunitense, australiano, canadese o giapponese), di confronto

con le specifi cità settoriali (ad esempio, quello dell’industria bancaria) o di

riferimento a particolari attività (come nel caso della revisione).

La rassegna dei contributi proposti nel Companion curato da Peter Walton

è varia a suffi cienza per offrire al lettore una visione complessiva sul FV,

sulla molteplicità della sua nozione e sulla complessità delle conseguen-

ze legate alla sua utilizzazione.

Nel contempo, la somma di tali differenti prospettive sul FV non rie-

sce a completare l’intero spettro delle possibilità. Ad esempio, manca

il riferimento alle specifi cità del contesto europeo, ammesso che sia

possibile assumere come unitaria la molteplice espressione delle tradi-

zioni contabili dei Paesi che costituiscono il mosaico culturale europeo.

Nella composizione dei saggi del volume in esame certamente manca

un esplicito richiamo alla ricca tradizione di studi del mondo tedesco,

francese, italiano, spagnolo, olandese, etc.

Resta indubbio il punto di forza legato alla scelta di offrire al lettore una

molteplicità di prospettive sul FV, nonché la scelta di evitare qualsiasi

visione preconcetta su un tema ancora aperto sia dal punto di vista

teorico che pratico.

Fin dai saggi di apertura del volume lo sforzo compiuto dai diversi stu-

diosi coinvolti nella realizzazione dell'opera è stato quello di sgombrare

il campo da tutta una serie di confusioni ed erronee interpretazioni che

hanno circondato il tema del FV. In questo senso possiamo richiama-

re i richiami storici proposti da Peter Walton quando chiarisce come il

termine FV “has been in use for over a century in the U.S. meaning the

value for which an asset could be exchanged between a willing buyer

and willing seller, with knowledge of the market and without compul-

sion”. Nel contempo, lo stesso autore evidenzia come nel contesto del-

l’Europa continentale, il ricorso al valore di mercato è stato ampiamente

utilizzato e questo con particolare riferimento al caso francese (“market

value has a long history in French accounting and was widely used in

bilance sheets in the nineteenth century”, Walton p. 5).

Poteva a questo proposito essere interessante segnalare come il rife-

rimento ai valori di mercato alternativi al costo storico è ben presente

nella tradizione dottrinale di altri Paesi dell’Europa continentale e come

nella profondità di questi contributi teorici anche italiani erano stati

Book Review

Page 91: Financial Reporting

91

segnalati da tempo i vantaggi e le criticità che i valori di mercato poteva-

no determinare in condizioni di incertezza e di turbolenza economica.

Ancora più nette e chiare appaiono le conclusioni cui giunge David

Cairns, soprattutto quando chiarisce che: “it is not true to say that IFRS

require that all assets and liabilities should be measured at fair value. It

is also far from true to say that IFRS require all fi nancial assets and fi nan-

cial liabilities to be measured at fair value. The reality is that use of fair

value in IFRS for the subsequent measurement of assets and liabilities

is very limited – both in theory and in practice. It is true to say that IFRS

are placing much more emphasis on the use of fair values to record

transactions and to allocate the initial amount of transactions among

its constituent parts. This process, begun almost twenty-fi ve years ago,

refl ects the practice in many national standards” (Cairns p. 23).

Oltre all’esigenza di fare chiarezza dalle erronee affermazioni in tema di

FV, i saggi presenti nel volume in esame sembrano seguire un percorso

comune nel quale viene più volte affermato come il FV sia un concetto che

non è stato ancora defi nito in modo defi nitivo. A tal proposito, appaiono

illuminanti le rifl essioni di Michael Bromwich quando afferma che “the one

main impressions that no authoritative and detailed analytical case has

been provided for the use of fair values. …A second major impression is

that the fair value concept arrived relatively fully formed - … - as a defi nition

of fair value in an accounting standard without any attempt to defend this

defi nition. … This and later defi nitions are fairly bland and seem relatively

innocuous, but in fact revolutionize accounting, accounting measurement

and income determination when taken together with their necessary op-

erating assumptions” (Bromwich p. 64). Su analoghe rifl essioni è stato

sviluppato il saggio di Geoffrey Whittington quando, ad esempio, afferma

che: “This lack of uniformity and stability in the defi nition and application

of fair value makes it diffi cult to defi ne alternatives to fair value without fi rst

examining the concept itself” (Whittington p. 181).

Sugli elementi di debolezza della nozione di FV tornano in più occasioni

i diversi saggi del volume curato da Peter Walton. Proprio per le note

vicende che hanno caratterizzato l’andamento dei mercati dei capitali

nel corso del 2008 riteniamo opportuno segnalare le numerose carenze

nella defi nizione delle caratteristiche che dovrebbero assumere i mer-

cati sui quali si dovrebbe poi giungere all’identifi cazione di un valore

qualifi cato come fair. Al riguardo ancora Michael Bromwich chiarisce

che “… the character of markets, in terms of how well they operate,

is fundamental to what results may be expected from using fair values

in different situations. Standards-setters have not, as far as is known,

Book Review

Page 92: Financial Reporting

92

empirically investigated the characteristics of markets. Rather, they have

merely listed a number of assumptions that are tantamount to assuming

well-organized markets” (Bromwich p. 66). Ed ancora più avanti lo stes-

so Autore precisa con una certa enfasi che “One major problem is to

deal with fair value valuations in situations where markets do not exist.

The standards-setters’ approach is to impose an imaginary market”2.

Da queste rifl essioni derivano una serie di conseguenze che interessano

l’utilizzazione effettiva degli IFRS nella redazione dei Financial reports

e che creano non pochi problemi di interpretazione ai preparers ed agli

users degli standards. A tale tipo di incertezze applicative ed interpre-

tative sono esposte intere categorie di operatori, così come appare evi-

dente nel caso dei revisori “fair value is based on concepts for which

judgement is central and there is signifi cant volatility depending on the

assumptions made, especially when the assets are not quoted on an

active market. In such conditions the auditor, aware of the uncertainties

and the factor of volatility, must be able to put the company’s choises in

perspective” (Jacquemard p. 299).

Il Campanion sul FV e sull’attività di Financial Reporting ha dunque

il merito di inquadrare un tema così ampio assumendo una serie di

prospettive che nel loro insieme consentono di comprendere meglio la

complessità di tale argomento, le potenzialità e le criticità, nonché la

continua evoluzione che esso sta tuttora manifestando. In questo sen-

so, assume un particolare valore la scelta di non avere voluto proporre

ai lettori dei concluding remarks. L’idea di predisporre non un textbook

sul FV, ma una raccolta di saggi ha probabilmente reso naturale la

scelta di evitare la redazione di conclusioni. Tali conclusioni avrebbero

inevitabilmente costretto all’espressione di un giudizio sul FV che mal

si concilia con la varietà di prospettive assunte dal Curatore e dagli

Autori dei saggi, nonché nei confronti di un dibattito tuttora in corso e

lontano dalla conclusione.

Come abbiamo già accennato in precedenza la discussione sul FV è

sicuramente in evoluzione ed è oltretutto diffi cile da fermare in modo

2 Sulla determinazione di valori fair in presenza di mercati dei capitali molto instabili può essere di par-

ticolare interesse il saggio di George Benston che offre una lettura del caso Enron dal punto di vista

contabile. Nelle sue conclusioni l’autore afferma, infatti, che: “The Enron experience should give the

FASB, IASB, and others who would permit (indeed mandate) level 3 fair value accounting, wherein

the numbers are not well grounded in relevant market prices, reason to be cautious. One Enron was

permitted to use fair values for energy contracts it extended revaluations to a wide and increasing

range of assets, …. The result was overstatement of revenue and net income and structuring trans-

actions to present cash fl ows from operations rather than from fi nancing” (Benston p. 245).

Book Review

Page 93: Financial Reporting

93

defi nitivo. In questo senso, sarebbe lecito attendersi (e questo avrebbe

il valore di un auspicio) la pubblicazione di una nuova edizione del Com-

panion sul FV. Su tale tema mancano alcune prospettive sia teoriche

che pratiche e l’evoluzione del contesto sembra svelare, anche nel bre-

ve termine, sempre nuovi punti di vista. Ad esempio, sarebbe quanto

mai utile apprezzare le conseguenze delle turbolenze dei mercati dei

capitali sulle valutazioni al FV. Ed ancora, potrebbe essere interessante

comprendere se esiste una relazione tra le caratteristiche ed i modelli

della Corporate governance e l’utilizzazione delle valutazioni al FV. Me-

riterebbe specifi ca attenzione il progetto di convergenza dei conceptual

Framework dello IASB e del FASB. Potrebbe essere opportuno offrire

maggiore spazio alla discussione del progetto di estensione delle valu-

tazioni al FV al contesto delle SMEs. In defi nitiva, la visione basata sulle

diverse prospettive attorno al FV che costituisce il principale punto di

forza di questo Companion rappresenta la necessaria premessa per

proseguire su un tema aperto ed ancora lontano dal suo esaurimento.

Book Review

Page 94: Financial Reporting

94

Abstract

The recent fi nancial crisis has cast some doubts on the use of fair value

in fi nancial statements and refreshed a theoretical debate concerning the

pros and cons of this method, together with a sharper defi nition of its

capability to satisfy the objectives of fi nancial reports. Moving from this

stream of literature, this paper (1) analyses the implementation of fair value

method over the corpus of IAS/IFRS in order to evaluate the coherence of

its application and (2) tries to defi ne the stability of markets as a necessary

premise for fair value adoption. From a normative perspective, fi nally, the

paper proposes a more informative disclosure for the fi nancial statement

users, based on the uncertainties of fair value implementation.

1. La crisi dei mercati fi nanziari e il recente dibattito

sul fair value

In questo contributo si svolgono alcune rifl essioni sull’applicazione

della logica del fair value nei bilanci redatti secondo i principi contabili

internazionali, cercando di valutare nel concreto le problematiche appli-

cative di questa logica. Il concetto teorico di fair value discende da un

vasto dibattito protrattosi per decenni e descritto in un’ampia letteratura

e non è nostro interesse riesaminarlo; si cerca piuttosto di rifl ettere sul

modo con il quale gli standard dello IASB lo hanno implementato nelle

valutazioni di bilancio ed, in particolare, sui vincoli che ne defi niscono

la concreta applicabilità.

Dal fair value al fairy value: coerenza concettuale e condizioni di impiego del fair value negli IFRS

di Alberto Quagli – Università degli Studi di Genova

Prendendo spunto dalle critiche mosse a seguito della crisi fi nanziaria, in questo

contributo si valutano le problematiche applicative della logica del fair value nel corpus

dei principi IASB avendo riguardo al modo con il quale gli standard internazionali

lo hanno implementato nelle valutazioni di bilancio. In particolare, si cerca dapprima

di defi nire la coerenza applicativa di tale approccio valutativo e i vincoli che ne limitano

la concreta applicabilità per fornire in chiave normativa una proposta di miglioramento

dell’informativa di bilancio. Per l’Italia, tali rifl essioni sono molto importanti

se si considera il progetto di riforma del Codice Civile secondo la bozza OIC per la parte

che riguarda il bilancio di esercizio, con il quale il fair value estende la propria portata

anche al mondo, ben più popolato, delle società non quotate.

Page 95: Financial Reporting

95

Per l’Italia, tali rifl essioni sono ancora più importanti se si considera il pro-

getto di riforma del Codice Civile secondo la bozza OIC per la parte che

riguarda il bilancio di esercizio, con il quale il fair value estende la propria

portata anche al mondo, ben più popolato, delle società non quotate.

Queste rifl essioni muovono da un acceso dibattito recente sul ruolo del

fair value alla luce della recente crisi economica, che mettono in dubbio

l’utilità di questo criterio nelle valutazioni di bilancio. È a partire da que-

sta discussione che svolgeremo le nostre considerazioni.

Il dibattito nei confronti della logica valutativa al fair value recentemente

è uscito dallo stretto alveo degli specialisti della materia per coinvolgere

ampi settori della stampa economica (Forbes 2008; Fortune 2008; per

l’Italia: Il Sole 24 Ore 2008). La crisi fi nanziaria del 2008 ha determinato

un forte deprezzamento di molte attività fi nanziarie associato ad un’ele-

vata volatilità dei corsi, circostanze che hanno suscitato malumori nei

confronti del fair value per le ingenti svalutazioni indotte dall’applicazio-

ne di questo principio (un buon esempio è Whalen 2008).

Questa crisi ha reso inoltre illiquidi alcuni mercati specifi ci (es. obbligazioni

strutturate derivanti da cartolarizzazioni di mutui immobiliari), in modo da

rendere molto discrezionale la determinazione del fair value, con conse-

guenti timori da parte di valutatori e revisori di incappare in pesanti respon-

sabilità qualora le loro stime si rivelino eccessivamente ottimistiche.

E sul fair value grava anche la responsabilità di fungere da catalizzatore

prociclico, timori prospettati peraltro fi n dall’adozione degli IAS/IFRS in

Europa (ECB 2004; Plantin et al. 2004), secondo i quali l’adozione dei

valori correnti accresce automaticamente la volatilità dei mercati. Si ri-

teneva già da tempo infatti che se il mercato scende, le aziende per evi-

tare di svalutare venderanno prima gli strumenti fi nanziari valutati al fair

value, favorendo ancora di più la discesa dei corsi dei relativi titoli. Tale

fenomeno risulta poi aggravato dal forte ricorso alla leva fi nanziaria che

ha caratterizzato molte aziende fi no al 20071. In aggiunta a ciò, la svalu-

tazione andrebbe a diminuire il patrimonio netto delle banche, principali

attori dei mercati fi nanziari, e dal momento che il patrimonio netto rappre-

senta un vincolo per la concessione di crediti alla clientela alla luce delle

disposizioni esistenti, una svalutazione rilevante avrebbe fi nito quindi per

restringere gli affi damenti, trasformando così la crisi da fi nanziaria in crisi

reale per mancanza di liquidità (credit crunch), cosa che purtroppo sta

1 Se un’azienda pone un obiettivo di leva pari a 10 (rapporto tra debito e mezzi propri), e ipo-

tizzando che abbia 100 di debiti e 10 di mezzi propri, una svalutazione di 1 di una qualsiasi

attività, si rifl etterà in una riduzione del netto di 1. A quel punto per ristabilire il rapporto di leva

dovranno essere vendute attività per 10 estinguendo 10 di passivo e ripristinando il rapporto di

0 (9 vs. 90). Un obiettivo di leva minore avrebbe comportato vendite inferiori. Pertanto, per gradi

crescenti di leva fi nanziaria, maggiori saranno le svalutazioni, maggiori saranno le vendite.

Fair value-fairy value

Page 96: Financial Reporting

96

avvenendo proprio in questi giorni (OIC, 2008). Ovviamente il meccani-

smo avrebbe lavorato anche in direzione inversa con dinamiche opposte,

ma il problema, come si può intuire, avrebbe avuto risvolti meno dram-

matici, se non gli inviti, spesso trascurati, ad evitare la formazione di una

bolla speculativa per eccesso di leva fi nanziaria.

La prima mossa è stata compiuta negli Stati Uniti dove il 28 settembre

2008 il Congresso ha concesso alla SEC “il potere di sospendere, in casi

eccezionali, la valutazione al fair value e, al contempo, l’autorità è stata

incaricata di condurre degli studi sull’impatto prodotto da tale criterio sul-

la crisi e il fallimento di intermediari fi nanziari. Per effetto di tale norma, la

SEC può dunque prevedere la disapplicazione di un criterio di valutazione

(fair value) dettato dal FASB. La SEC non ha fi nora esercitato tale potere

preferendo realizzare una stretta collaborazione con il FASB per trovare

soluzioni tecnicamente condivise” (vedasi OIC 2008, pag. 3). Di conser-

va, il FASB il 10 ottobre 2008 ha approvato l’ASB Staff Position (FSP) FAS

157-3, “Determining the Fair Value of a Financial Asset When the Market

for That Asset Is Not Active”, con il quale chiarisce come misurare il fair

value degli strumenti fi nanziari in presenza di mercati non attivi.

Dopo tale mossa, su pressione dell’Ecofi n (insieme dei ministri dell’Eco-

nomia degli Stati membri dell’Unione europea), lo IASB ha prontamente

considerato il problema della recente crisi fi nanziaria fornendo strumen-

ti per fronteggiare il problema dei titoli illiquidi, area dove il fair value

non può essere misurato tramite prezzi scambiati su mercati liquidi ma

dovrebbe essere stimato ricorrendo ad altre tecniche, nel complesso

più intrise di valutazioni soggettive.

Le risposte concrete dello IASB fi no ad ora sono state due.

La prima è consistita in una correzione (recepita immediatamente con

procedura d’urgenza dall’Unione europea con Regolamento 1004/2008)

del testo dello IAS 39 (e, correlativamente, dell’IFRS 7) che ha permes-

so la riclassifi ca di alcuni elementi valutati al fair value ad altra catego-

ria (ad esempio loans and receivables, valutati al costo ammortizzato).

Questa modifi ca è stata giustifi cata dall’esigenza di allineare il testo de-

gli IASB agli statunitensi SFAS 65 e SFS 115. In particolare, è permesso

lo spostamento dall’originale classe degli strumenti valutati al fair value

through profi t and loss in quanto oggetto di trading, dove il fair value

è rilevato sistematicamente ad ogni reporting date inviando a conto

economico le relative variazioni, di un’attività fi nanziaria che “non è più

posseduta al fi ne di venderla o riacquistarla a breve (sebbene l’attivi-

tà fi nanziaria possa essere stata acquisita o sostenuta principalmente

Fair value-fairy value

Page 97: Financial Reporting

97

al fi ne di venderla o riacquistarla a breve)”, ad altra categoria. Questo

spostamento può avvenire in generale solo in rare circostanze, come

precisa l’Amendment dello IAS 39, oppure se l’attività fi nanziaria soddi-

sfa i requisiti della classe fi nanziamenti e crediti (Loans and receivables)

e “se l’entità ha l’intenzione e la capacità di possedere l’attività fi nan-

ziaria nel prevedibile futuro o fi no a scadenza”. Quest’ultima possibilità

di spostamento agisce anche se l’attività fi nanziaria era stata collocata

nella classe degli available for sale, classe anch’essa valutata al fair

value pur se le relative variazioni incidono solo sul patrimonio netto,

fi nché non sono realizzate (caso nel quale vanno a conto economico).

In sostanza, lo IASB ammette l’uscita dalla valutazione al fair value di

alcune attività fi nanziarie, sempre che soddisfi no i requisiti per la col-

locazione in altre classi di strumenti valutati al costo ammortizzato. La

motivazione per alcune riclassifi cazioni è specifi cata (un’attività al fair

value through profi t and loss è riclassifi cabile se non si ha più intenzione

di venderla o riacquistarla a breve), ma per altre no, come nel caso di

spostamenti dalla classe available for sale.

Queste modifi che non potranno quindi riguardare le partecipazioni, dal

momento che esse non sono collocabili né nella classe dei loans and

receivables, né in quella delle held-to-maturity.

La seconda risposta è fornita con l’interpretazione Measuring and dis-

closing the fair value of fi nancial instruments in markets that are no

longer active emanata dallo IASB Expert Advisory Panel a fi ne ottobre

2008, con la quale si danno indicazioni circa la valutazione di strumenti

fi nanziari quando il fair value non può più essere stimato usando i prezzi

correnti perché il mercato relativo non è più attivo.

Secondo questa interpretazione, le caratteristiche di un mercato inattivo

non consistono soltanto in forti riduzioni dei volumi degli scambi o in prez-

zi non correnti ma anche nella repentina variabilità dei prezzi nel tempo e

nello spazio (tra operatori diversi). E tutte queste condizioni possono non

essere suffi cienti a defi nire inattivo un mercato perché serve comunque il

giudizio dell’azienda a verifi care se in tale mercato possono esservi delle

orderly transaction, ossia transazioni che non sono forzate. In sostanza,

come afferma il documento nel paragrafo 17, il mercato è inattivo se i

prezzi che si formano a seguito degli scambi non sono “fair”.

Quando il mercato è da considerarsi “inattivo”, l’azienda deve adottare

delle tecniche di valutazione basate sulle circostanze correnti di mercato.

Queste tecniche di valutazione si fondano sull’impiego di modelli dis-

counted cash fl ows che considerino sia input osservabili che non osser-

vabili. Per quanto possibile, nel modello di valutazione dovranno prevale-

Fair value-fairy value

Page 98: Financial Reporting

98

re i primi, in modo da rendere più oggettivo e verifi cabile il modello. Resta

comunque salva la possibilità per l’azienda di introdurre elementi non

osservabili nel modello. E questa circostanza può condurre, come affer-

ma il documento, a determinare anche per lo stesso elemento differenti

fair value a seconda dell’azienda. Inoltre, al dato desumibile dal modello

l’azienda deve apportare gli aggiustamenti resi necessari dal rischio spe-

cifi co dello strumento (come rischio di credito e rischio di liquidità).

Per cui i prezzi correnti derivabili da transazioni effettuate possono non

consistere nel fair value ma questo deriverà da una valutazione più arti-

colata, frutto di elementi forniti dal mercato, di modelli rigorosi dal pun-

to di vista metodologico e corretti per incorporare ogni elemento valido

ai fi ni della migliore stima del rischio.

Basandoci su questi due interventi, non è possibile certo affermare che

lo IASB stia rivedendo il concetto di fair value e la sua applicazione,

come alcuni commentatori hanno inteso interpretare. Rimangono tutta-

via delle forti pressioni circa una restrizione nell’uso dei fair value.

La recente lettera inviata dalla Commissione Europea allo IASB (Euro-

pean Commission 2008) chiede che si rivedano le regole dello IAS 39

per permettere:■ Una riclassifi cazione degli strumenti già designed at fair value. ■ La possibilità di non esplicitare certi derivati incorporati dallo stru-

mento originario.■ L’eliminazione della differenza di trattamento nell’impairment di titoli

obbligazionari, test che se gli strumenti sono classifi cati nella classe

available for sale, è basato sul prezzo di mercato, mentre se gli stru-

menti sono inclusi nelle classi held-to maturity o loans and receiva-

bles è fatto in base ai fl ussi di cassa attesi.■ La possibilità di inviare a conto economico le riprese di valore suc-

cessive ad una svalutazione di partecipazioni e altri strumenti di ca-

pitale inclusi nella categoria degli available for sale, mentre adesso

tale rivalutazione è imputata direttamente a patrimonio netto.

L’OIC, inoltre, ricorda (OIC 2008) che sono sul tavolo di discussione pro-

poste volte a eliminare la tainting rule prevista dallo IAS 39 o a limitare la

svalutazione delle attività fi nanziarie solo nei casi di perdita durevole.

Per capire ancora meglio il clima di questo periodo, infi ne si ricorda che

il Governo italiano ha in via eccezionale permesso alle aziende che non

Fair value-fairy value

Page 99: Financial Reporting

99

applicano gli IAS/IFRS2 per il bilancio dell’esercizio 2008 (misura procra-

stinabile anche al 2009 in funzione della decisione del Ministero dell’Eco-

nomia e delle Finanze) di evitare di svalutare titoli (sia partecipazioni che

titoli obbligazionari) compresi nell’attivo circolante, salvo che le perdite

non debbano considerarsi durevoli. Tale disposizione rappresenta una

palese deroga dal criterio indicato nell’art. 2426 del codice civile.

In sintesi, sembra evidente che da parte prima americana, poi europea,

infi ne italiana, vi sia una forte richiesta, più o meno giustifi cata da que-

stioni strettamente tecniche, di ridurre lo spettro di applicazione del fair

value rispetto al campo attuale di azione. E non si può evitare di notare

il momento nel quale tali richieste sorgono, di piena crisi fi nanziaria3.

È anche vero, però, che le incertezze non diminuiranno se si restringe l’uso

del fair value. Il problema prima facie non sembra risiedere nel fair value

in sé, ma nella mancanza di mercati attivi con i quali stimarlo in modo ac-

cettabile. Basti pensare alla massa di attività fi nanziarie classifi cate come

livello 3 secondo lo SFAS 157. In massima sintesi, lo SFAS 157 (Fair value

measurements) defi nisce il fair value come un exit price (prezzo al quale

un’attività/passività può essere ceduta) e individua tre gradi di applicazione

di questo parametro in base agli input informativi utilizzati nella valutazione.

Il livello 1 è costituito da quegli elementi per i quali vi è un mercato liquido,

con prezzi signifi cativi formatisi in continuo a seguito di scambi regolari. In

questo caso il fair value coincide con il prezzo derivato da tale mercato,

che può essere defi nito a pieno titolo un mercato attivo. Il livello 2 è costi-

tuito da casi nei quali si possono simulare prezzi di mercato che, pur non

derivando direttamente da scambi di mercato, sono stimabili utilizzando

input osservabili (prezzi altri beni similari, tassi di interesse, volatilità, ecc.).

Sono i casi in cui operatori esterni (chiamati price providers) possono for-

nire al management parametri utili per le valutazioni di bilancio. Il livello 3

invece è il caso nel quale mancano input osservabili e il management deve

misurare il fair value usando propri modelli (mark to model).

2 L’art. 15, comma 13, del Decreto Legge 28 novembre 2008 cita: “Considerata l’eccezionale

situazione di turbolenza nei mercati fi nanziari, i soggetti che non adottano i principi contabili

internazionali, nell’esercizio in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, pos-

sono valutare i titoli non destinati a permanere durevolmente nel loro patrimonio in base al

loro valore di iscrizione così come risultante dall’ultimo bilancio o, ove disponibile, dall’ultima

relazione semestrale regolarmente approvati anziché al valore di realizzazione desumibile dal-

l’andamento del mercato, fatta eccezione per le perdite di carattere durevole. Tale misura, in

relazione all’evoluzione della situazione di turbolenza dei mercati fi nanziari, può essere estesa

all’esercizio successivo con decreto del Ministro dell’economia e delle fi nanze”.3 Così si conclude la lettera della Commissione Europea: “There may be a need to adjust the

timetable of ongoing project to refl ect the immediate needs of the current crisis.”

Fair value-fairy value

Page 100: Financial Reporting

100

Allo stato attuale (Forbes 2008), le principali banche statunitensi (Mor-

gan Stanley, Goldmann Sachs, Merrill Lynch, Lehman Brothers – poi

fallita -, JP Morgan Chase, Citigroup) avevano in portafoglio attività fi -

nanziarie classifi cate come livello 3 per 540 miliardi di dollari. Citicorp

aveva ad esempio classifi cato in tale livello il 7% dell’intero capitale in-

vestito. Anche per l’Italia il fenomeno degli strumenti fi nanziari nel livello

3 sembra rilevante (Il Sole - 24 Ore 2008)

Questa massa di impieghi rappresenta una forte incertezza per i mercati

fi nanziari, timorosi di dover sopportare un’ingente svalutazione. Il valore sti-

mato in bilancio non è un valore di mercato e questo accresce ancora di più

i dubbi circa una corretta svalutazione. In questo senso si chiede di fronteg-

giare tale incertezza con maggiore disclosure. Ad esempio, la SEC, prima

in marzo e poi nell’ottobre 2008, ha inviato ai CFO di alcune società quo-

tate una lettera nella quale si richiedeva di fornire in bilancio, per le attività

fi nanziarie di livello 3, anche informazioni circa l’eventuale divario tra valore

atteso a scadenza di titoli valutati al fair value e fair value (SEC 2008).

Insomma, se da un lato l’applicazione del fair value può indurre a forti

svalutazioni e porta a chiedere a livello politico un restringimento del

campo di applicazione di tale criterio, dall’altro la mancanza di un fair

value attendibile, rappresentato da prezzi quotati nei mercati attivi, av-

volge di incertezza i bilanci dei grandi istituti fi nanziari e contribuisce ad

una forte instabilità dei mercati fi nanziari. E non si può ritenere che valu-

tare questi titoli al costo rappresenti una via di uscita dalla situazione.

Il dibattito quindi rimane aperto. La SEC, in un pregevole studio (SEC,

2009), ha esaminato i pro e i contro del fair value. Dopo aver ritenuto

che non sia stata l’applicazione di tale criterio nei bilanci a causare i

fallimenti di numerosi istituti fi nanziari statunitensi e aver ricevuto dal-

le associazioni degli investitori forti conferme circa l’utilità informativa

del fair value, è arrivata a invocare il suo mantenimento, nonostante le

pressioni politiche. I criteri alternativi considerati sono stati ritenuti peg-

giori del fair value. Lo studio si conclude con alcune raccomandazioni

per migliorare e semplifi care le valutazioni al fair value, auspicando un

potenziamento della disclosure, delle guide di comportamento in caso

di mercati non attivi, dello sviluppo di competenze valutative da parte di

redattori e revisori dei bilanci.

Resta il fatto che, in sostanza, a pochi anni dalla sua prima applicazione

obbligatoria in Europa, la logica valutativa del fair value è stata subito

sottoposta ad un serio processo di rifl essione. Come profeticamente

ha sostenuto Ray Ball in tempi non sospetti: (Ball 2006): “Fair value

accounting has not yet been tested by a major fi nancial crisis, when

lenders in particular could discover that “fair value” means “fair weather

Fair value-fairy value

Page 101: Financial Reporting

101

value (dove “fair weather” si può tradurre in italiano con “inaffi dabile,

che si fa vivo solo quando le cose vanno bene”).

Se si prescinde però dalla cronaca attuale e dai toni drammatici con i

quali è dipinto il fair value, si può tentare una valutazione più equilibra-

ta cercando di defi nire quali sono le condizioni di applicazione del fair

value nei principi dello IASB.

2. Il presupposto del fair value: l’azienda come

investimento fi nanziario o combinazione produttiva?

2.1. Le fi nalità del bilancio

Per la dottrina economico-aziendale italiana (si vedano, tra i più infl uen-

ti, Amaduzzi, 1949; Onida, 1951) il tema che a fi nalità diverse assegnate

al bilancio corrispondano criteri di redazione differenti, è ampiamente

noto. Nella logica IASB invece la specifi ca questione del rapporto tra

fi nalità e criteri di redazione non è contemplata e il dibattito circa la fi -

nalità del bilancio è risolto stabilendo che (Framework par. 12) il bilancio

deve fornire informazioni utili anzitutto agli investitori attuali e potenziali

circa i fl ussi di cassa che potranno derivare dall’impiego in azienda.

Tuttavia, anche tra coloro che hanno contribuito alla stesura di quel

Framework, sono sorti di recente alcuni commenti (Whittington 2008)

che hanno evidenziato che la diversità di ruoli assegnati al bilancio do-

vrebbe per logica porre l’accento su differenti logiche di valutazione.

Se il fi ne principale del bilancio è l’informativeness nei confronti anzitutto

degli investitori attuali e ancor di più potenziali, il fair value, costituendo

un’espressione del valore corrente dell’“investimento - azienda”, è sicura-

mente un criterio più utile del metodo del costo. Se, al contrario, il fi ne prin-

cipale è la stewardship, ossia fare in modo che tramite il bilancio si possa

valutare l’operato dei manager, allora il modello del costo, ancorato alle

operazioni effettivamente realizzate, porterebbe più informazioni utili per

l’accountability di quanto non possa fare il fair value, che esprime valori

potenziali in stato patrimoniale e un reddito anch’esso intriso di elemen-

ti di potenzialità, peraltro parzialmente indipendenti dal comportamento

manageriale (un incremento di valore di un asset, può dipendere solo dal

mercato; i manager semmai saranno responsabili solo di aver scelto quel-

l’investimento e non di aver contribuito alla creazione di quel plusvalore)4.

4 Todd Johnson, membro dello staff del Fasb ha affermato (2005) che “The Board has re-

quired greater use of fair value measurements in fi nancial statements because it perceives that

information as more relevant to investors and creditors than historical cost information. Such

measures better refl ect the present fi nancial state of reporting entities and better facilitate as-

sessing their past performance and future prospects. In that regard, the Board does not accept

the view that reliability should outweigh relevance for fi nancial statement measures.”

Fair value-fairy value

Page 102: Financial Reporting

102

Sia ben chiaro che questa dicotomia nel legame fi ni del bilancio – logiche

di valutazione è fi n troppo marcata; entro certi limiti comunque il fair value

permette di valutare i manager circa la loro capacità di accrescere il valore

dell’azienda (Bradbury 2008), come è pure vero che il modello del costo

tramite analisi del conto economico permette di inferire il valore dell’azien-

da (si veda l’esempio Coca – Cola descritto da Penman 2006).

Rimane tuttavia vero che i due metodi si prestano meglio per uno dei

due scopi. E il sopravvento del fair value rifl ette una fi nanziarizzazione

dell’economia, conferendo ampio credito alla capacità valutativa dei

mercati fi nanziari. Il fair value sottende in sostanza una specifi ca pro-

spettiva di analisi dell’azienda, quella di un investimento fi nanziario.

Lo scenario ideale di applicazione del fair value è caratterizzato da

mercati effi cienti, ed in particolare mercati fi nanziari, che incorpora-

no nei prezzi le informazioni riferite all’evoluzione futura delle aziende

e dove investitori razionali cercano di massimizzare il valore dei loro

investimenti, spostandoli secondo convenienza da un impiego all’al-

tro. I diritti di proprietà sulle aziende sono un investimento come altri

strumenti fi nanziari per loro disponibili. La rapida circolazione di tali

diritti rende il mercato attivo e origina dei fair value signifi cativi. Tali

investitori non sono particolarmente affezionati a nessun impiego in

particolare. Se il valore di un certo impiego, date certe risorse, è in-

feriore a quello di un impiego alternativo, in teoria essi dovrebbero

secondo logica cedere il primo per passare al secondo. Solo con que-

sta prospettiva si può capire il senso profondo dello IAS 36 secondo

il quale il valore recuperabile di una cash generating unit (un negozio,

uno stabilimento produttivo) è pari al maggiore tra “fair value less cost

to sell” (valore di realizzo diretto) e “value in use” (valore di realizzo

indiretto). Questa defi nizione sposa la prospettiva di un imprenditore-

investitore razionale secondo il quale se il mercato offre un prezzo di

acquisto superiore al valore intrinseco del ramo di azienda quale de-

riva dall’attualizzazione dei fl ussi di cassa futuri, il valore dell’azienda

è quello derivante della cessione e riguardo ad esso si confrontano i

valori contabili per decidere se svalutare oppure no. In sostanza, la

decisione se continuare la gestione idealmente è successiva alla de-

cisione circa la miglior collocazione delle risorse da investire.

È una visione che, estremizzata, porterebbe a considerare gli “spez-

zatini” (break-up) come pratiche “normali” nella vita di un’azienda. Se

una certa area di business ha un valore di mercato maggiore di quello

che avrebbe mantenendolo entro i confi ni aziendali, il valore di realizzo

del business è quello di cessione diretta, non quello scaturente dalla

Fair value-fairy value

Page 103: Financial Reporting

103

gestione interna. Tale visione, per quanto circoscritta ad un riferimento

convenzionale, è tipica di mercati fi nanziari molto sviluppati, con tran-

sazioni frequenti e investitori molto razionali, improntati a massimizzare

il valore azionario, ben lontani dall’idea di nostalgici imprenditori attac-

cati al mantenimento della loro azienda.

Come sostiene Ball (2006), vi sono poi anche circostanze di contesto

che hanno contribuito ad accrescere fi ducia nell’attendibilità dei valori

correnti: anzitutto l’accresciuta disponibilità di informazioni, resa possi-

bile dallo sviluppo di ampi database elettronici contenenti prezzi e altri

dati di transazioni relative a molte categorie di beni, fi nanziari e non;

quindi l’affermazione anche nel contesto dei principi contabili di tec-

niche di stima di fair value basati su fl ussi di cassa (il primo esempio

è contenuto nello SFAS 13 sul leasing, dell’ormai lontano 1973) e di

metodi di valutazione di strumenti fi nanziari pur privi di un mercato rea-

le (grazie all’opera di Black e Scholes circa il valore delle opzioni), che

hanno portato linfa all’approccio del mark to model, tramite il quale si

stimano dei valori correnti anche in assenza di transazioni effettive.

Il problema dell’affi dabilità delle valutazioni implicato dall’adozione del

fair value è ovviamente avvertito tanto da parte dei teorici (Barth-Lan-

dsman 1995; Pizzo 2000; Schipper 2005) quanto degli operatori (EY

2005). Una “what-if accounting” esprime certo dati meno verifi cabili

rispetto al metodo tradizionale e le problematiche di controllo indotte

si auspica vengano superate tramite lo sviluppo di migliori compe-

tenze estimative da parte tanto delle aziende (Schipper 2005), che

dei revisori (Martin 2006). Lo sviluppo di modelli sempre più raffi nati

e, soprattutto, la loro diffusione in modo da far sorgere tecniche di

valutazione generalmente accettate anche in assenza di scambi reali,

permetterebbero in futuro che la verifi cabilità dei valori sia perseguita

tramite consenso di valutatori indipendenti, più che di “registrazione

oggettiva” della realtà. D’altronde, anche nel modello tradizionale, al

di là del momento iniziale, si devono stimare comunque dei valori (si

pensi all’ammortamento o alle svalutazioni di elementi delle immobi-

lizzazioni o del circolante) senza controprova oggettiva. Il problema

della scarsa affi dabilità del fair value in effetti ci sembra debba essere

inquadrato dentro il più generale atteggiamento prudenziale, nel sen-

so che la critica al fair value è più rivolta contro le possibili rivalutazioni

imprudenti a cui può condurre che non alle svalutazioni simmetrica-

mente richiedibili. Non sembra che analoghe critiche siano state sol-

levate sinora sull’esigenza di svalutare quando il valore di realizzo di

mercato è inferiore al costo. Eppure anche il valore di realizzo di mer-

cato è un concetto che suona molto simile al fair value.

Fair value-fairy value

Page 104: Financial Reporting

104

2.2. Il ruolo di Stato Patrimoniale e Conto Economico

Un’altra rifl essione porta nella direzione della visione “fi nanziaria” del-

l’azienda.

Se si utilizza il criterio informativo preferito dallo IASB secondo il quale il

bilancio deve agevolare nel lettore la capacità di stimare i futuri fl ussi di

cassa promanati dall’azienda (prospettiva cara alla preferenza degli in-

vestitori quali utenti “privilegiati”), diversi autori (Barth-Landsman 1995;

Penman 2006; Ronen 2008; Whittington 2008) hanno messo in evidenza

che la logica del fair value pura, ossia con variazione del fair value inviate

a conto economico (fair value through profi t and loss), tende a enfatizzare

il ruolo dello stato patrimoniale come prospetto con maggior contenuto

informativo per gli stakeholders in quanto gli elementi in esso contenuti

incorporano le prospettive future. Diversamente, il conto economico non

acquisisce utilità in chiave previsionale dal momento che risente delle

oscillazioni dei fair value registrate nell’esercizio, anche congiunturali e

non espressive della capacità futura aziendale di ripetere le stesse presta-

zioni. Semmai tale prospetto assume la funzione di dimostrare il grado di

esposizione al rischio di oscillazione dei fair value. In senso contrario, la

logica del costo svilirebbe la capacità informativa dello stato patrimoniale,

esaltando invece il ruolo del conto economico, in quanto permetterebbe

di rappresentare la performance aziendale attendibilmente ottenuta a pre-

scindere dalle evoluzioni dei mercati. Un tale ragionamento, seppur stimo-

lante, nella realtà è un po’ forzato. Non è detto che valutare il patrimonio al

fair value costituisca una base previsionale migliore perché le evoluzioni

dei prezzi dei mercati fi nanziari che vediamo anche recentemente stra-

volgono in tempi rapidissimi tale valore senza dipendere dalle specifi che

capacità o performance aziendali, come è vero anche che il conto eco-

nomico con la logica del costo tende a contrapporre al ricavo realizzato

(a prezzi recenti) un costo del venduto talvolta non espressivo, frutto di

ripartizioni di costi storici anche risalenti a molti anni precedenti5.

Comunque anche questa diversità di ruoli tra stato patrimoniale e conto

economico implica una diversità di punti di vista: fi nanziario il primo,

industriale il secondo, si potrebbe dire.

Se si pensa ad un fondo comune di investimento, che acquisisce ri-

sparmi e li investe in strumenti fi nanziari, a parità di risorse investite dai

risparmiatori, le sue prestazioni sono legate direttamente proprio al va-

lore dei suoi investimenti. Le variazioni del valore di una quota del fondo

5 In questo senso è stato di recente riproposto (Andrei, 2008) per salvaguardare contempo-

raneamente l’attendibilità e la signifi catività dei bilanci, di adottare un modello basato sui costi

storici, salvo poi procedere sporadicamente ad adeguamenti di valore sintetici, quando le

quote di costo inviate a conto economico, specialmente da parte dei beni pluriennali, perdo-

no signifi catività nel loro confronto con ricavi espressi a valori correnti.

Fair value-fairy value

Page 105: Financial Reporting

105

sono la tipica misura della sua performance e tale valore dipende dagli

investimenti operati sui mercati mobiliari, sistematicamente adeguati ai

corsi di borsa. In sostanza, per tale operatore, è il suo stato patrimo-

niale il documento principale di misurazione delle prospettive. Ma è un

gestore di patrimoni creati da altri.

Per un’azienda industriale che vive di prodotti da collocare a consuma-

tori, la capacità di creare ricchezza per i suoi azionisti (o valore, che dir

si voglia) e la conseguente informazione critica per gli investitori, dipen-

de non dal valore corrente dei suoi investimenti ma dalla capacità di

competere effi cacemente, che non si incorpora in nessun investimento

in particolare, a meno di voler esprimere a bilancio le idee imprendito-

riali o il bagaglio di conoscenze acquisite. La si può valutare bene solo

a consuntivo, guardando i risultati maturati a conto economico, quanto

ha venduto rispetto a quanto è costato produrre e vendere. Il proprio

stato patrimoniale, se potesse, sarebbe desolatamente vuoto e niente

minerebbe il giudizio circa la validità delle proprie prospettive reddituali.

Costringere tali aziende a valutare i loro investimenti a fair value secon-

do la logica “pura”, ammesso che sia facilmente determinabile tale im-

porto, con invio sistematico delle variazioni a conto economico, implica

“sporcare” il conto economico di elementi che hanno meno a che vede-

re con la capacità competitiva e che anzi, andrebbero in qualche modo

isolati per evitare che investitori poco accorti si basino su tali valori.

Un esempio emblematico ci è offerto dalle compagnie petrolifere. Stori-

camente le aziende italiane di questo settore hanno adottato il LIFO quale

criterio di valutazione delle rimanenze. In presenza di livelli stabili di scorte

il magazzino risultava valutato ad un valore parimenti stabile. Passando

agli IAS e dovendo lasciare il LIFO si sono orientate verso il criterio del

costo medio ponderato. Per cui anche a parità di quantitativi in scorta, il

solo mutare dei prezzi di mercato del petrolio e dei suoi derivati, particolar-

mente mutevole in questi ultimi anni, ha determinato una forte oscillazione

del valore del magazzino che risulta adesso valutato a prezzi più recenti ri-

spetto alla logica LIFO. In tempi di rapido incremento del prezzo del petro-

lio, tali aziende “facevano utili” semplicemente sul magazzino. Ma proprio

per segnalare agli investitori quanto del risultato economico complessivo

era da ascriversi alla loro gestione competitiva, esse, nelle presentazioni

alla comunità fi nanziaria, sono solite presentare (a puro titolo di esempio si

prenda la presentazione della terza trimestrale 2008 dell’ENI) un risultato

operativo al lordo e al netto dell’effetto variazione prezzi sul magazzino,

effetto in alcuni molto rilevante (anche un terzo del risultato economico

complessivo). E nessun principio contabile li obbligava a ciò.

In questo senso si vuol rilevare che dal punto di vista della capacità in-

formativa del bilancio non è il caso di nominare dei vinti o dei vincitori. Il

Fair value-fairy value

Page 106: Financial Reporting

106

fair value nella versione pura o il modello del costo offrono entrambi dei

dati signifi cativi ma se applicati a contesti diversi. Per un’azienda che

gestisce investimenti fi nanziari, i cui mercati sono tradizionali esempi di

effi cienza allocativa, il fair value ci sembra molto signifi cativo e funziona

bene come parametro di performance con mercati sviluppati ed effi cien-

ti. Per un’azienda che vende prodotti ad un mercato di consumatori, se

applicato sistematicamente agli elementi principali del patrimonio, que-

sto modello forse funziona meno bene e inquina il conto economico di

effetti congiunturali oscurando la performance competitiva dell’azienda.

Diverso, almeno in linea puramente teorica considerando le regole

attualmente esistenti, sarebbe, come sostengono Barth – Landsman

(1995), se fosse possibile rappresentare nello stato patrimoniale tutte le

risorse a disposizione dell’azienda comprese gli skills imprenditoriali, la

forza competitiva, il patrimonio conoscitivo e relazionale, le opzioni di

crescita. In quel caso il fair value dello stato patrimoniale esprimerebbe

una misura molto vicina al capitale economico e possiederebbe un’ele-

vata capacità informativa (a prescindere dalla sua affi dabilità) anche in

aziende industriali, dove gli assets sono impiegabili in modo strettamen-

te congiunto e privi di un autonomo mercato attivo dove sono venduti.

Ma a quel punto la questione si sposta su un altro piano, quello del fair

value delle risorse sviluppate internamente, di cui le aziende industriali

sono ben più ricche rispetto ad un’istituzione fi nanziaria.

2.3. Le discriminazioni tra sviluppo interno ed esterno: i fair value

sono solo “esterni”?

In effetti lo IASB ha una visione diversa delle risorse capitalizzabili nello

stato patrimoniale, che rappresenta un altro limite intrinseco della lo-

gica del fair value secondo il modello degli IFRS che si sostanzia nella

diversità di trattamento tra sviluppo interno o esterno di risorse. Questa

diversità rappresenta un ulteriore rifl esso della concezione “fi nanziaria”

dell’azienda, ben distante dalla tipica impresa “fordista”.

Lo IAS 38 limita fortemente il riconoscimento patrimoniale di risorse im-

materiali sviluppate internamente mentre l’IFRS 3, anche con riferimen-

to ad elementi aventi la stessa natura e la stessa funzione, ne permette

la contabilizzazione autonoma. Il caso dei marchi è un tipico esempio.

La motivazione di questa diversità di criterio risiede nell’incertezza re-

lativa non tanto sull’utilità del bene (va dimostrata sia nello sviluppo

interno che nelle aggregazioni aziendali), quanto all’oggettività dei valori

generati. Un’acquisizione dall’esterno si ritiene caratterizzata da valori

più oggettivi, mentre uno sviluppo interno è privo di una transazione di

mercato e implica la non contabilizzazione di assets. Ora, anche nelle

Fair value-fairy value

Page 107: Financial Reporting

107

acquisizioni dall’esterno di un business, tema affrontato dall’IFRS 3, si

tratta comunque di scindere un prezzo unitario pagato per il complesso

aziendale attribuendo valori agli intangibles specifi ci acquisiti, anche se

non sono stati oggetto di contrattazione autonoma. Al di là del fatto che

tale scissione, sebbene prescritta dallo IASB, non sembra avvenire così

frequentemente (Di Bella 2006), è evidente che l’attribuzione del valore

ai singoli elementi è frutto comunque di ipotesi, di stime relative alla

determinazione dei fair values di elementi spesso privi di mercati attivi.

D’altronde, se con un’acquisizione esterna è possibile attribuire un fair

value ad intangibles specifi ci, è vero anche, di rifl esso, che intangibles

sviluppati internamente possano avere un loro fair value. E in questo caso

per la determinazione del fair value non ci si riferisce necessariamente ad

un mercato attivo, quanto alla possibilità di stimare un valore attendibile

e recuperabile successivamente da parte dell’azienda acquirente. Per cui

la questione non risiede tanto nella possibilità di determinare il fair value,

quanto nella scelta prodromica di non attribuire valenza allo sviluppo in-

terno causa la (presunta) maggiore soggettività nella valutazione.

Nella sostanza, insomma, non vi sono molte differenze nelle incertezze

valutative tra lo sviluppo interno e quello esterno. Un buon revisore è

tranquillamente in grado di valutare se e come il fair value di certi ele-

menti risulta arbitrario o meno e annullare le differenze di valutazione.

Se è vero che lo IASB si propone in futuro di allargare le maglie per per-

mettere il riconoscimento di intangibles sviluppati internamente (si veda

al riguardo il progetto Intangibles assets sviluppato congiuntamente tra

IASB e FASB), allo stato attuale permane una forte differenza tra azien-

de che sviluppano internamente e altre che procedono per crescita

esterna. Le prime, a parità di condizioni, rappresenteranno in bilancio

un patrimonio più basso, e trascineranno con sé maggiori asimmetrie

informative nella comunicazione al mercato, a discapito della tanto pro-

clamata capacità informativa dei bilanci redatti secondo gli IAS/IFRS.

Insomma, i valori sono “fair” anche in funzione della loro fonte di prove-

nienza. E si conferma il vantaggio nella capacità informativa di bilancio

di un’azienda che si sviluppa prevalentemente per via esterna.

La recente modifi ca dell’IFRS 3, secondo la quale si può giungere anche

a contabilizzare un avviamento non derivante da costo pagato, quanto

dall’estensione agli interessi di minoranza della quota di avviamento pro-

porzionale a quella attribuibile alla maggioranza dietro pagamento di un

prezzo, rende la diversità di trattamento dei due modi di sviluppo (interno

e esterno) ancora più illogica, in quanto anche il processo di acquisizione

esterna perderebbe il riferimento ad un valore monetario derivante da

una transazione effettivamente avvenuta e potrebbe comportare l’iscri-

zione di elementi patrimoniali a valori “fair” derivanti soltanto da stime.

Fair value-fairy value

Page 108: Financial Reporting

108

2.4. Prospettiva esterna e interna di osservazione dell’azienda

negli IFRS

Le regole valutative dello IASB sono un compromesso tra signifi catività e

affi dabilità del dato contabile, postulati ben descritti nel Framework e po-

sti sullo stesso livello. La signifi catività, intesa come utilità per il processo

decisionale dell’utente – investitore, dovrebbe implicare una valutazione

degli elementi patrimoniali che rifl etta il loro contributo alla creazione di

benefi ci futuri. L’affi dabilità si concretizza invece nella possibilità di ren-

dere credibile il dato, tramite misurazione “oggettiva” dell’elemento pa-

trimoniale. Rendere signifi cativo il dato implica esprimere il contributo

fornito dall’elemento patrimoniale alla complessiva gestione d’azienda.

Per cui un impianto di un’azienda industriale, privo di un mercato secon-

dario, dovrebbe essere valutato secondo la logica del value in use6, con-

siderando quindi il suo contributo nella strategia futura aziendale, mentre

un’attività fi nanziaria disponibile dovrebbe essere valutata secondo il suo

valore corrente, perché si attende la sua vendita nel breve periodo.

Tuttavia valutare un impianto al suo value in use basandosi sui piani della

direzione aziendale non genera affi dabilità, perché il giudizio circa il suo

valore non esprime un consenso di molti altri valutatori e potrebbe quin-

di lasciare dubbi circa la buona fede o semplicemente la capacità del

management nell’effettuazione della stima. Per cui in un caso del genere,

la valutazione proposta dallo IASB ripiega sul costo ammortizzato e si

considera il value in use solo come limite superiore, tale da imporre una

svalutazione se il valore contabile si colloca al di sopra di esso. Un’attività

fi nanziaria disponibile invece, se trattata in un mercato liquido per il quale

sono disponibili prezzi recenti, può essere valutata al suo valore corrente

come prezzo di mercato, dal momento che questo esprime un dato su

cui convergono i consensi di molti operatori. In quanto tale è un dato

affi dabile. È anche vero che se questo prezzo di mercato non è affi dabile

perché frutto di situazioni di mercato anomale (come quelle esistenti nei

mercati illiquidi), le regole IASB ripiegano su criteri alternativi. Insomma le

regole IASB dovendo tutelare l’affi dabilità del dato, fi niscono per ridurre

per quanto possibile criteri di valutazione fi rm-specifi c, cioè che rifl ettano

la prospettiva “soggettiva” del management per dare spazio a valutazioni

fondate sul consenso di molti, valutazioni di mercato insomma.

La questione non riguarda invece la contabilizzazione di eventuali plus-

valori conseguente alla valutazione. Tale conseguenza sarebbe un ri-

6 Come ben affermato da Pizzo (Pizzo 2000; si veda anche Penman 2006), per gli elementi

destinati ad un utilizzo interno, come input di processi produttivi complessi richiedenti il con-

corso combinato di molti fattori, è il value in use il criterio che più approssima il valore fair, e

necessariamente tale value in use discende dalla attualizzazione dei fl ussi di cassa frutto di

elaborate stime aziendali.

Fair value-fairy value

Page 109: Financial Reporting

109

fl esso del criterio della prudenza ispirato alla logica della realizzazione

fi nanziaria dei ricavi, che forse suona familiare per gli aziendalisti italia-

ni, ma non al Framework dello IASB.

Insomma la prospettiva di valutazione privilegiata è quella di un osser-

vatore esterno. Siamo ovviamente ben distanti dalla logica tipica della

dottrina economico-aziendale italiana che dà ben più peso agli inten-

dimenti del soggetto economico. Ma forse diverso è anche il contesto

storico nel quale si formano i principi dello IASB, sia come sviluppo dei

mercati, ben più globalizzati e quindi generanti valori più signifi cativi,

sia come interessi gravitanti attorno all’azienda, sempre meno “fatto

privato” e quindi tale da rendere la prospettiva del management una

prospettiva possibile tra le molte.

Questi due riferimenti, signifi catività e affi dabilità, fi niscono però per

negare una portata generale al fair value e impedire quindi un sistema

deduttivo di criteri di valutazione incentrati su di esso. Il fair value nei

principi dello IASB è per defi nizione affi dabile, ma non signifi cativo per

i casi nei quali il contributo dell’elemento patrimoniale dipenderà es-

senzialmente dai piani futuri del management. E un’azienda industriale

normalmente possiede una struttura produttiva naturalmente orientata

al lungo termine, diffi cilmente riorientabile nel breve, e nella quale buo-

na parte degli investimenti possono essere valutati signifi cativamente

solo analizzando i piani soggettivi della direzione.

La consapevolezza da parte dello IASB che il modello del fair value non

può avere valenza universale per ogni classe di investimenti (e quindi per

ogni categoria di aziende), si ritrova nella varietà dei criteri di valutazione

applicabili alle diverse voci di bilancio. Tendenzialmente le valutazioni di

elementi concernenti la gestione caratteristica delle aziende industriali

sono più ancorate al criterio del costo, dove il fair value di un elemento

patrimoniale non è ottenibile tramite osservazioni di prezzi mercato ma

dipende dalle modalità di impiego future previste nei piani aziendali.

Consegue che il concetto di fair value come valore corrente derivabile dai

prezzi scambiati nei mercati può essere effi cace solo se riferito agli inve-

stimenti accessori per i quali siano ipotizzabili transazioni dirette di com-

pravendita su mercati attivi. Si fi nisce quindi per circoscrivere il fair value

ad alcune categorie di strumenti fi nanziari e ad alcune categorie di immo-

bili, quelli rientranti nella categoria investment property. Ovviamente per

le aziende “fi nanziarie” questi elementi rappresenteranno una parte ben

più cospicua del loro patrimonio e saranno quindi ben più condizionate

dagli andamenti del mercato nelle loro valutazioni di bilancio.

Quindi, nonostante il fair value rappresenti il principio ispiratore del-

la recente attività dello IASB, nel concreto coesistono molti criteri che

Fair value-fairy value

Page 110: Financial Reporting

110

spaziano dal costo ammortizzato ai valori correnti di mercato in fun-

zione delle caratteristiche dei beni circa il loro impiego futuro. Il valore

corrente a seconda dei casi è un fair value less cost to sell (IAS 36), un

prezzo di mercato “puro” (IAS 39, IAS 40), un net selling price (IAS 2),

un vero e proprio ricavo specifi co (IAS 11).

Lo IASB stesso avverte l’ampiezza della varietà di criteri di valutazione

di determinazione del fair value (vedasi il Discussion paper “Fair value

measurements”, vol. I) e sta cercando con il consenso degli interessa-

ti qualche sistematizzazione. Nella versione attuale il Framework dello

IASB non prende posizione circa uno specifi co criterio valutativo, pre-

vedendone diversi (vedi Framework par. 100-101) ed è in corso con-

giuntamente al FASB un’attività di ridefi nizione dei rispettivi Framework

per rendere più omogenee le valutazioni di bilancio.

Si rileva peraltro una certa incoerenza nella prospettiva di osserva-

zione dell’azienda. Se nelle valutazioni patrimoniali tende a prevalere

l’impiego della prospettiva esterna che porti a valori affi dabili e che si

traduce nell’uso del fair value laddove possibile, in altri ambiti dei prin-

cipi IAS sembra invece prevalere l’impiego di una prospettiva interna

di osservazione. In questo senso si può citare la prescrizione di sche-

mi di bilancio molto fl essibili (come previsto dallo IAS 1) e, soprattutto,

l’impiego della prospettiva interna nella predisposizione dell’informati-

va di segmento (nuovo IFRS 8). Con quest’ultimo documento lo IASB

ha ridotto i dati obbligatori di cui al precedente IAS 14 e richiesto

esplicitamente che l’informativa sia redatta in modo da presentare i

risultati per segmenti “through the eyes of management”, decidendo

quindi di privilegiare per questo ambito informativo la prospettiva di

osservazione tipica del management.

Non si vede perché in questo caso la prospettiva interna di analisi

debba considerarsi più attendibile. È evidente che la discrezionalità

affi data al management potrebbe portare a segment reporting meno

attendibili, rispetto ai rigidi schemi del precedente IAS 14. Forse per-

ché si ritiene che così facendo i benefi ci in termini di signifi catività

eccedano i sacrifi ci in termini di affi dabilità. Prima facie, sembra quindi

ravvisarsi una certa variabilità della prospettiva di osservazione pri-

vilegiata dalle regole dello IASB: tendenzialmente esterna per molte

valutazioni patrimoniali, tendenzialmente interna per molte scelte di

format, di presentazione del bilancio.

Fair value-fairy value

Page 111: Financial Reporting

111

3. La discrezionalità valutativa come limite applicativo

del fair value ed il requisito della stabilità dei mercati

In precedenza abbiamo discusso la coerenza interna al modello IAS/

IFRS del fair value e la sua funzionalità strumentale al soddisfacimento

dello scopo del bilancio, in relazione a due categorie di investimenti

che contraddistinguono altrettante tipologie stilizzate di azienda, quella

“fi nanziaria” e quella “industriale”.

Adesso discuteremo quello che, di recente, sembra essere il limite

principale per l’applicazione del fair value e che rappresenta un con-

creto freno all’estensione di tale criterio: la discrezionalità valutati-

va. Sembra quasi paradossale, dal momento che il fair value, come

esaminato nel paragrafo precedente, risponde anzitutto a esigenze

di affi dabilità, intesa come osservazione “neutrale”, convergente, del

patrimonio di azienda. Ma è vero che diverse ricerche, anche com-

piute nel contesto italiano, hanno specifi cato che il fair value lascia

spazio proprio a eccessiva discrezionalità7. Gli esempi potrebbero

essere molteplici ma limitiamoci agli strumenti fi nanziari da valutare

al fair value come elementi inseriti nella categoria Available for sale o

Fair value through profi t and loss, e che rappresentano un tema molto

discusso a seguito della recente crisi fi nanziaria.

Ricordiamo in proposito che lo IAS 39, al paragrafo 48A: afferma che

“La miglior prova del fair value è l’esistenza di quotazioni uffi ciali in

un mercato attivo. Se il mercato per uno strumento fi nanziario non è

attivo, l’entità determina il fair value utilizzando una tecnica di valuta-

zione” fi nalizzata a “stabilire quale prezzo avrebbe avuto l’operazione

alla data di valutazione in un libero scambio motivato da normali con-

siderazioni commerciali…”.

Appaiono evidenti i margini discrezionali presenti nei casi di inesisten-

za di mercati attivi, come testimoniato dalla ricerca di criteri corretti di

valutazione per gli attuali casi di illiquidità (cui abbiamo accennato nel

primo paragrafo). Il limite alla discrezionalità consiste nell’utilizzo di me-

todi di valutazione accettati, che abbiano dimostrato una certa capacità

predittiva in passato, come specifi cato dal sopra citato par. 48 dello

IAS 39. Purtroppo quando vi sono situazioni di grave discontinuità nei

mercati, come quelle attuali, anche i modelli di valutazione più diffusi

perdono di validità proprio perché si trovano di fronte scenari mai ipo-

tizzati. È peraltro tutto da defi nire che un utilizzo di un modello accettato

porti a valori attendibili. I modelli di valutazione delle “dot.com” ai tempi

del boom di Internet erano diffusi e, col senno di poi, la loro capacità

7 Teodori – Veneziani (2008) evidenziano nella loro ricerca che tra gli aspetti percepiti come

più negativi dalle società che non adottano gli IAS/IFRS appare proprio la maggiore soggetti-

vità nelle valutazioni. Altre ricerche (ICAEW 2007) confermano questa sensazione.

Fair value-fairy value

Page 112: Financial Reporting

112

predittiva ha lasciato molto a desiderare. Gli elementi discrezionali da

inserire nei modelli di valutazione personalizzati sono molto ampi.

Ma ci sembra più interessante esaminare i casi in cui i mercati sono li-

quidi, attivi, caso nel quale il fair value dovrebbe esplicare la sua massi-

ma forza. Se prendiamo oggi un’azione posseduta in una grande banca

europea, vediamo che essa dal 2007 al 2008 (Mediobanca 2008) ha

perso ben più della metà del suo valore, nonostante gli andamenti ope-

rativi non siano così negativi8. Il prezzo oscilla nel giro di una settimana

nella misura anche del +/- 10%9. I mercati sono molto liquidi. I volumi

scambiati sono molto alti. Ma è questo un valore “fair” con il quale

esprimere in bilancio il valore di una partecipazione in tale banca10?

Se i margini di oscillazione mutano repentinamente, sembra dura am-

mettere che il valore adeguato sia il dato istantaneo della chiusura del-

l’esercizio, pur in presenza di mercati attivi. Probabilmente il valore “fair”

sarebbe un altro, quello esistente tra parti “willing and knowledgeable”,

caratteristiche che in tempi di crisi sono diffi cili da ritrovare. Spesso si è

forzati a vendere (e quindi non si è “willing”) e, ancora più spesso, manca

la consapevolezza tra le parti della transazione, circa il valore del bene

scambiato e l’utilità della transazione stessa. Quando domina l’ansia, la

razionalità decade e la controparte non è “knowledgeable”. Molti pensa-

no che questa crisi oscuri i reali fondamentali delle aziende e trascini con

sé al ribasso interi comparti dell’economia. E i fair values divengono dei

fairy values, valori magici, esistenti in un mondo irreale, e la loro misura-

zione si trasforma in una continua ricerca del Santo Graal.

Se si va a vedere meglio, ricollegandoci a quanto discusso nel paragra-

fo 1, uno dei motivi di forte oscillazione di una partecipazione ipotetica

in tale banca, risiede nella presenza tra i suoi investimenti di strumenti

fi nanziari divenuti illiquidi (i famosi “level 3”, secondo la tassonomia del-

lo Sfas 157) e quindi caratterizzati da forti incertezze valutative. Per cui

si verifi ca la situazione che, se un’azienda possiede ingenti investimenti

con fair value poco attendibile, il suo fair value sarà poco attendibile e

8 Dalla citata indagine Mediobanca, il risultato economico aggregato del gruppo di venti ban-

che europee è passato dai 71 miliardi di Euro del 1° semestre 2007 ai 29 miliardi del 1° seme-

stre 2008. Scomponendolo, il livello di margine di interesse registra addirittura un incremento

(da 98 a 111 miliardi), compensato dai risultati del trading (da + 53 a – 16 miliardi di Euro) e

delle svalutazioni dei crediti (da -14 miliardi a – 25).9 Volatility lab (http://vlab.stern.nyu.edu), centro di ricerca della Stern School of Business

della New York University stima nel mese di marzo 2009 la volatilità dell’indice S&P500 del-

le azioni americane pari al 42,12% (che signifi ca una deviazione standard dell’andamento

dell’indice di circa il 3%) quando prima dello scoppio della crisi dei mutui subprime, era ben

più bassa, attorno al 10%.10 “The Chicago School of Economics has been telling us for a century that price and value

are identical, i.e. that they are the same number... If we do not recognize the fundamental

difference that exists between price and value, then we are doomed.” (Raines 2007).

Fair value-fairy value

Page 113: Financial Reporting

113

se l’azienda è grande e pesa signifi cativamente sul comparto industria-

le, anche i suoi competitor saranno condizionati dalla stessa incertezza,

per il triste gioco dei multipli e i loro fair value diverranno a loro volta

“fairy”, eterei, ineffabili. Ed in questo “effetto-domino”, aggiungiamoci

pure le pressioni della politica per salvare i bilanci delle grandi aziende,

gli echi della stampa economica che ingigantiscono le paure.

Oggi questa situazione è vissuta al ribasso, ma se gli IAS/IFRS fossero

stati obbligatori già nella fase ascendente del ciclo, sarebbe stata vissu-

ta al rialzo, quando solo isolate Cassandre paventavano timori di bolle

speculative (ci piace peraltro ricordare Plantin et al. 2004).

Proprio circa la determinazione del fair value basato sui prezzi, la recen-

te interpretazione fornita dall’Expert Panel dello IASB sulla determina-

zione del fair value nei mercati illiquidi induce ad una riconsiderazione

dell’oggettività del fair value e quindi della sua attendibilità11.

In particolare, ci interessa sottolineare alcuni punti di questa interpre-

tazione.

Anzitutto la circostanza che un indicatore dell’illiquidità del mercato consiste

non solo nella scarsità di scambi ma anche nell’ampia oscillazione dei prezzi.

Tale indicatore non è di per sé suffi ciente a giudicare un mercato illiquido,

rimanendo tale giudizio una valutazione complessiva, ma sicuramente intro-

duce un elemento importante nell’analisi che va nella direzione che abbiamo

in precedenza indicato. Oscillazioni violente e repentine denotano una forte

incertezza tra gli operatori del mercato riguardo al valore di un bene. In que-

sto modo la fairness viene a mancare, specie nel senso di attendibilità, di

verifi cabilità di tale valore in quanto riconosciuto anche in altri scambi.

In secondo luogo, l’affermazione che la defi nizione di mercato illiquido,

che, si ricorda, permette di svincolare la determinazione del fair value

dai prezzi scambiati nel mercato, dipende in ultima analisi non da carat-

teristiche del mercato (volumi) ma dalla possibilità che il prezzo sia rap-

presentativo del valore “fair”12. Tale circostanza, sembrerebbe attribuire

al ragionamento un profi lo circolare (nei mercati non liquidi si determina

11 È interessante notare, peraltro, che questa Interpretazione adotta la defi nizione di fair value

contenuta nello SFAS 157 (price at which an orderly transaction would take place between

market participants at the measurement date), nonostante questa nuova defi nizione di fair

value sia ancora uffi cialmente in discussione con il progetto “Fair value measurements” (pro-

getto non ancora concluso: dopo aver raccolto i commenti al Discussion Paper, si attende

infatti un nuovo documento per il 2009).12 Afferma così il paragrafo 17: “There is no bright line between active markets and inactive mar-

kets. However, the biggest distinction between prices observed in active markets and prices

observed in inactive markets is typically that, for inactive markets, an entity needs to put more

work into the valuation process to gain assurance that the transaction price provides evidence

of fair value or to determine the adjustments to transaction prices that are necessary to meas-

ure the fair value of the instrument. The issue to be addressed, therefore, is not about market

activity per se, but about whether the transaction price observed represents fair value”.

Fair value-fairy value

Page 114: Financial Reporting

114

il fair value usando dei modelli valutativi e non prendendo automatica-

mente il prezzo delle transazioni, ed i mercati sono non liquidi quando i

prezzi che esprimono non rappresentano il fair value).

Infi ne la rifl essione che adottando dei modelli valutativi almeno in parte

basati su input non osservabili, due aziende possano giungere a stime

diverse del fair value dello stesso elemento13.

Dall’esame di questi spunti, emerge un certo relativismo nel concetto di

fair value. Relativismo sia riguardo ai casi nei quali discostarsi dal prez-

zo di mercato quale parametro espressivo del fair value, sia, ancor più,

alla sua determinazione tramite modelli. L’interpretazione dello IASB af-

fi da pertanto alla disclosure di corredo il compito di esplicare i margini

di soggettività insiti nella valutazione.

Da un lato, è inevitabile che questa sia la posizione logica che lo IASB deve

assumere nei confronti di queste situazioni. Dall’altro, però, emerge con

evidenza che la pretesa di oggettività del fair value viene gradualmente a

diluirsi, intorbidita dalla varietà e numerosità dei modelli valutativi utilizzati.

Con ciò si vuole dire che la presenza e la misurazione del fair value è

una condizione che non può prescindere da condizioni di intero sistema

economico. Serve che i mercati siano stabili, con ridotte oscillazioni, i

cui attori possiedano per lo più investimenti prontamente liquidabili in

modo conveniente, con ridotto impiego dell’indebitamento come stru-

mento di crescita, e possibilmente molto differenziati tra loro, sia nel

senso di scarsi collegamenti reciproci (altrimenti l’incertezza valutativa

dell’uno condiziona gli asset dell’altro), sia come specifi cità dei modelli

di business, altrimenti gli operatori del mercato possono sempre pen-

sare che ciò che è accaduto al primo, accadrà anche al secondo. La

liquidità del mercato evidentemente non è l’unica condizione generale

per garantire il fair value; serve anche la stabilità.

È inevitabile peraltro che assumendo la prospettiva di osservazione

“esterna” dell’azienda, come discusso nel paragrafo precedente, per la

valutazione del patrimonio aziendale, le condizioni “esterne” assumano

un peso determinate nel garantire affi dabilità alle valutazioni.

Laddove si introducono forti elementi di incertezza circa le prospettive

future per un intero sistema economico, la capacità informativa del fair

13 Così recita il paragrafo 27: “Some seem to hold the view that two entities valuing the same

instrument should always arrive at the same answer when measuring fair value and, if they

arrive at different answers, then one or both entities are wrong. However, it is possible that

entities will arrive at different estimates of the fair value of the same instrument at the same

measurement date, and the valuation techniques and inputs used by both entities can still

meet the objective of fair value measurement and be in compliance with the accounting

guidance. The fact that different estimates of fair value exist refl ects the judgement and as-

sumptions applied and the inherent uncertainty of estimating the fair value of instruments that

do not have prices quoted in an active market. A single entity, however, applies judgement

consistently (across time and by type of instrument) when measuring fair value.”

Fair value-fairy value

Page 115: Financial Reporting

115

value si riduce signifi cativamente, dipendendo molto dall’attendibilità

della valutazione, che potrebbe a quel punto essere sganciata dai prezzi

di mercato e dipendere da modelli sviluppati in house. E l’esistenza di

eventuali differenze tra un fair value ottenuto dal modello estimativo e i

prezzi di mercato rappresenterebbe comunque un serio problema da af-

frontare per conferire credibilità alla valutazione, cosa che questa crisi ha

purtroppo messo in evidenza. In quei casi, il fair value si confi gura come

un ideale tanto nobile quanto irraggiungibile. Se si sceglie un modello

valutativo basato sul mercato, è ovvio che il suo signifi cato poggi sul-

l’effi cienza informativa dei mercati medesimi. E questa è una condizione

che in alcuni momenti può venire meno. Affermare ciò, non signifi ca in

senso inverso attribuire al metodo del costo il merito di fornire anche in

tali situazioni informazioni più utili. Anche con il criterio del costo sorge

il dubbio se, in tempi di repentine oscillazioni, vi saranno svalutazioni da

compiere e queste svalutazioni andranno operate avendo stimato un fair

value. Però tale metodo non ha la pretesa di fornire comunque informa-

zioni più signifi cative. Esso semmai tende a rovesciare sull’utente l’onere

di riconciliare il dato di bilancio con i valori di mercato, giovandosi peral-

tro della maggiore neutralità nelle fasi ascendenti del ciclo economico.

4. Una proposta operativa

Nel pregevole studio della SEC sui problemi indotti dal mark-to-market

(SEC 2009), sono tratteggiate alcune possibili alternative per alleviare

i problemi indotti dall’uso del fair value in periodi di crisi dei mercati

fi nanziari e reali. Accantonando subito come irrealistica la proposta di

ritornare a valutazioni basate sul costo o altre proposte che rimettano in

discussione l’intero impianto concettuale (p. es., Ronen 2008), le alter-

native più concrete consistono:

1) Nella defi nizione di un fair value ottenuto non come valore puntuale

ma come media dei prezzi scambiati nei mercati, con l’implicito li-

mite connesso all’incertezza sull’ampiezza del periodo da usare per

calcolare la media, e

2) Nel potenziamento della disclosure circa le incertezze nella determi-

nazione del fair value.

In merito a questo secondo fi lone, nonostante molti studi dimostrino

come l’informativa nelle note risulti meno rilevante del dato contabile

nelle decisioni dell’investitore (Aboody 1996; Ahmed et al. 2006), si ritie-

ne che su di essa possano esservi ancora margini di miglioramento.

In particolare, già diversi principi dello IASB prescrivono una disclosure

del fair value di singoli elementi anche quando in bilancio essi sono con-

Fair value-fairy value

Page 116: Financial Reporting

116

tabilizzati al costo (come nel caso degli immobili IAS 40 valutati al costo

o dei titoli che sono stati riclassifi cati dalla classe Fair Value Through

Profi t and Loss alle categorie Held-To-Maturity o Loans & Receivables

ai sensi della recente modifi ca dello IAS 39).

Ad avviso di chi scrive, il problema di una disclosure siffatta consiste

nella mancanza di sintesi. In questo senso ci pare utile la predisposi-

zione di un prospetto riepilogativo a tre colonne, che mostri sulle gran-

dezze complessive di bilancio, patrimonio netto e risultato economico,

l’effetto causato dalle problematiche di valutazione al valore corrente

riferibili alle diverse classi di elementi componenti il capitale.

Nella prima colonna si potrebbe esporre il patrimonio e il risultato eco-

nomico “contabili”, possibilmente distinti per macrocategorie, così

come presenti negli schemi di Stato Patrimoniale e di Conto Economico

del bilancio approvato.

Nella seconda colonna dovrebbero essere mostrati, per le categorie

di elementi non valutate in bilancio al valore corrente alla chiusura del-

l’esercizio, i corrispondenti dati desumibili da una valutazione a valori

di mercato correnti, che siano ritenuti “fair” o meno. Le due colonne

possono differire ad esempio:■ Nei casi in cui l’azienda non impieghi il valore corrente nelle valuta-

zioni di bilancio e le regole IASB richiedano comunque la disclosure

del fair value (come nel caso dello IAS 40, dove l’alternativa è il costo

o dei titoli spostati dalla classe FVTPL o AFS come permesso dal

recente amendment dello IAS 39).■ Nei casi in cui, come da paragrafo 48 dello IAS 39, l’azienda ritenga

il valore corrente di mercato non “fair”, in quanto il mercato non è

ritenuto liquido e le valutazioni siano quindi basate su modelli esti-

mativi (i “level 3” dello SFAS 157) o su prezzi di strumenti similari (i

“level 2” dello SFAS 157).

Nella terza colonna infi ne, specularmente, dovrebbero essere mostrati

per le categorie di elementi valutate in bilancio al valore corrente alla

chiusura dell’esercizio, i corrispondenti dati desumibili da una valuta-

zione a valori ritenuti “fair” dall’azienda, pur non coincidenti con il valore

corrente. Questa terza colonna può differire dalla prima quando l’azien-

da ad esempio ha partecipazioni incluse nella categoria AFS che sono

quindi valutate al valore di mercato di chiusura (e che non possono es-

sere riclassifi cate nella classe HTM o L&R in quanto partecipazioni) ma

il cui valore fondamentale è ritenuto ben diverso dal management.

Fair value-fairy value

Page 117: Financial Reporting

117

Un prospetto del genere fornirebbe al lettore un’immediata visione delle

deviazioni rispetto ai valori di bilancio delle principali grandezze dovute

all’utilizzo “pieno” dei valori correnti quando le regole contabili ne per-

mettevano l’esonero e, alternativamente, dei valori che l’azienda ritiene

“fair” ma che non ha potuto inserire in bilancio in quanto obbligata di-

versamente dai principi contabili. In altre parole fornirebbe la fascia di

oscillazione del patrimonio netto e del risultato economico consideran-

do le incertezze valutative connesse all’uso di valori correnti.

A pure titolo esemplifi cativo, quanto sopra è riepilogato nel seguente

prospetto (prescindiamo per semplicità dal rifl esso fi scale):

Elementi critici 1) Bilancio 20082) Bilancio 2008 a valori correnti,

anche se non usati3) Bilancio 2008 a valori ritenuti

fair, anche se non correnti

Investimenti immobiliari 800 910 (a 800

Attività Finanziarie 1.000 730 1.150

di cui partecipazioni 300 300 450 (b

di cui obbligazioni 500 230 (c 500

Tot. capitale investito 5.000 4.840 (d 5.150 (e

Tot. Patrimonio netto 2.500 2.340 2.650

Tot. Ricavi 3.000 3.110 (f 3.000

Tot. Costi 2.000 2.270 (g 1.850 (h

Tot. Risultato economico 1.000 840 1.150

a): Valore di mercato degli investimenti immobiliari, quando l’azienda applica il criterio del costo.

b): Valore ritenuto “fair” dall’azienda per la partecipazioni AFS, nonostante siano state svalutate di 150 per effetto di valore

corrente alla chiusura dell’esercizio (300) inferiore al costo (450).

c): Valore corrente di obbligazioni AFS dove il mercato è stato ritenuto illiquido e l’azienda ha quindi usato

un modello estimativo per determinare il valore a bilancio (500 anziché 230) evitando una svalutazione di 270.

d): Effetto complessivo sul patrimonio netto dei valori correnti non impiegati a bilancio (5.000 + 110 – 270).

e): Effetto netto complessivo sul netto dei valori fair ma non correnti, pur non impiegati a bilancio (5.000 + 150).

f): Ricavi ipotetici qualora si fossero rivalutati al valore corrente gli investimenti immobiliari.

g): Costi ipotetici qualora si fossero svalutati titoli illiquidi usando solo il prezzo di mercato.

h): Costi ipotetici qualora non si fossero svalutate partecipazioni disponibili per le quali il mercato è attivo.

Fair value-fairy value

Page 118: Financial Reporting

118

5. Conclusioni

In questo lavoro si è preso spunto dal dibattito sorto a seguito della recente

crisi fi nanziaria per esaminare la coerenza concettuale del modello del fair

value nei principi dello IASB, le premesse logiche dalle quali scaturisce e le

condizioni operative che permettono una sua effi cace applicazione.

In conclusione, il modello del fair value presuppone una certa prospettiva

di analisi delle aziende, quella di investimenti fi nanziari e si basa sull’esi-

stenza di mercati (fi nanziari e non) effi cienti dal punto di vista informativo

e allocativo. Ha quindi un campo di azione privilegiato per gli elementi

patrimoniali che sono scambiati in mercati attivi e, in quanto tale, mal

si presta, o comunque è meno signifi cativo nel valutare le performance

delle aziende industriali, sia come fl ussi trascorsi, sia come potenzialità di

fl ussi futuri, mutando i risultati a cui giunge anche in funzione del percor-

so di sviluppo aziendale (interno/esterno). La ricerca dell’affi dabilità porta

a privilegiare una prospettiva “esterna” di osservazione dell’azienda, cer-

cando di ridurre le valutazioni entity specifi c, pur con qualche sacrifi cio

in termini di signifi catività dei valori rappresentati e le condizioni esterne

divengono quindi ancora più importanti per le valutazioni di bilancio.

La concreta applicabilità del fair value richiede infatti non solo la “atti-

vità” dei mercati ma anche la loro stabilità, intesa non tanto come sta-

ticità ma come chiarezza della tendenza evolutiva (rialzista, ribassista).

Altrimenti il fair value sfuma nel fairy value. In questo senso è un metodo

contabile che dai primi esiti di questa crisi potenzia signifi cativamente

il collegamento bidirezionale tra risultati di bilancio e andamenti ma-

croeconomici, esaltandone la reciproca infl uenza.

E forse questa forza che si è mostrata adesso in tutta la sua irruenza

sta inducendo i regulators ad attenuare la portata di questo criterio. E

le alternative di valutazione al fair value lasciate dallo IASB, previste in

alcuni casi come momenti di passaggio come per abituare le aziende

con la pratica del fair value14, adesso come mai prima mostrano appie-

no la loro utilità.

Entro la cornice concettuale di tale modello, un miglioramento dell’infor-

mativa del bilancio non può che passare da una disclosure più ampia ma

soprattutto più capace di mostrare l’effetto complessivo delle incertezze

dovute all’impiego di valori correnti, che lasci quindi al lettore esterno del

bilancio il compito di apprezzare la fairness dei valori rappresentati.

14 Nelle Basis for conclusions dello IAS 40 è proprio questo il motivo addotto per lasciare

ancora in vita l’alternativa del costo.

Fair value-fairy value

Page 119: Financial Reporting

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Fair value-fairy value

Page 121: Financial Reporting

121

Abstract

The article points out the main accounting and fi nancial reporting

changes introduced through the (once more) revised Ias 27, trying to

fi nd the relating theorical and operational paradigma and criticisms.

Among the major aspects of the present analysis (whose approach is

both retrospective and perspective, in order to focus the dynamics in

recent evolution lines for consolidated and separate statements), there

are: criteria for exemption from preparing consolidated fi nancial state-

ments; exemptions based on temporary control (or scope exclusion);

existence of several accounting methods for separate statements and

L’articolo ripercorre i passaggi salienti relativi al trattamento contabile e al reporting

fi nanziario da riservare alle interessenze partecipative di controllo conformemente

ai principi internazionali emanati dall’International Accounting Standards Board (già

International Accounting Standards Committee) e recepiti nell’ordinamento europeo e

nazionale. In particolare, il contributo rivisita e analizza – in chiave sia retrospettiva che

prospettica – l’evoluzione e le innovazioni registrate negli ultimi anni dallo Ias

n. 27 (Bilancio consolidato e separato) in termini di modifi che/emendamenti, proposte

e improvement, alla luce dell’attuale contesto di riferimento (normativo e di mercato).

Lo scopo è quello di rintracciare il relativo (e per alcuni versi mutevole) paradigma

contabile-valutativo ed affrontare talune nuove criticità interpretative e operative. Il

lavoro si articola secondo la seguente struttura: dopo alcune premesse, si inquadra in

breve la nozione di controllo propedeutica alla qualifi cazione dei rapporti di gruppo e

del consolidamento. Successivamente, si investigano dapprima i profi li – più che altro

formali o di procedimento – afferenti a condizioni e modalità di rappresentazione delle

subsidiary nei bilanci consolidati e separati; si addiviene quindi alle problematiche

– questa volta di sostanza – inerenti alla valutazione economica delle partecipazioni di

controllo (determinazioni del fair value, full goodwill, deemed cost, ecc.), specialmente

in considerazione delle più recenti innovazioni da ultimo avanzate, tenuto anche

conto di standard aggiornati ricollegabili allo Ias n. 27 quali ad es. l’Ifrs n. 3 sulle

aggregazioni aziendali, l’Ifrs n. 5 sulle attività non correnti possedute per la vendita e le

attività operative cessate, e l’Ifrs n. 1 sulla prima adozione degli International Financial

Reporting Standard (senza trascurare che è in discussione l’Exposure Draft n. 10

polarizzato sulla costruzione dei soli consolidated fi nancial statement).

Interessenze di controllo.Recenti linee evolutive e profi li di criticità delle regole internazionali di accounting e reporting fi nanziario

di Marco Taliento – Università degli Studi di Foggia

Page 122: Financial Reporting

122

alternative valuation treatments; progressive adoptions of the interna-

tional principles endorsed in the European contest; comparisons with

Italian accounting standards, etc. In particular, the study emphasizes

fi rstly the revised (2003) version of Ias 27 and the amendments and

effects on application produced by Ifrs n. 5 (2005). Then, attention is

paid to the determination of consolidated goodwill accordingly to the

international rules, in particular, to the recent amendment to Ifrs 3 that

regards the optional ‘full goodwill’ method (with the consequence that a

part of goodwill would be attributable to non-controlling interests). The

article also refers to: a) the effects of the modifi ed Ifrs 1 on subsidiary

entities’ investments (i.e. on the possible deemed cost choice); b) how

the choice for entity theory could be de facto affected just by the new

version of Ias 27 (effective from July 2009, together with the very last

version of Ifrs 3); c) important environmental variables that should be

taken into account (as the recent turbulent markets scenarios and relat-

ing perils carried by the mark to market approach to shares’ fair valuing)

in the light of a growing modernisation and new more improvements

(see ED n. 10 issued in Dec. 2008).

1. Premesse

Il presente articolo esamina le principali problematiche legate alla con-

tabilizzazione nei bilanci annuali (di gruppo e separati) delle parteci-

pazioni detenute in società controllate (subsidiary), in considerazione

dello Ias n. 27 “Consolidated and Separate Financial Statements”.

Quest’ultimo è scrutato alla luce delle sue recenti (e tuttora vigenti, nei

limiti specifi cati) modifi che (revision 2003) e, incidentalmente, dell’Ifrs

n. 5 “Non-current Assets Held for Sale and Discontinued Operations” (in

forza dal 2005); alcuni importanti profi li di rilievo qui in commento sono

stati peraltro successivamente (ri)toccati a mezzo degli amendment del

gennaio 2008 e del maggio 2008 (in connessione alla fi rst time adop-

tion), effi caci rispettivamente dal luglio e gennaio 2009 (salvo libero, ma

limitato, impiego anticipato)1. Pure, come è facile appurare, assai note-

voli sono le interrelazioni con l’Ifrs n. 3 “Business Combinations” 2.

Scopo del presente scritto è, in breve, quello di percorrere in chiave sia

retrospettiva che prospettica l’insieme delle modifi che dianzi richiama-

te, ritraendone il relativo (e per alcuni versi mutevole) paradigma conta-

1 Lo Ias n. 27 è stato adottato in ambito europeo con il Reg. (CE) n. 2238/2004, poi modifi ca-

to con i Regolamenti n. 2236/2004 e 1358/2007; valga, da ultimo, il Reg. (CE) n. 1126/2008,

come modifi cato con Reg. (CE) n. 69/2009 e n. 70/2009.2 Acquisire una partecipazione di controllo signifi ca acquisire – in tutto o in parte – un’azienda

in funzionamento. In tale ottica, la partecipazione si confi gura come un bene di secondo

grado (Onesti 1990).

Interessenze di controllo

Page 123: Financial Reporting

123

bile-valutativo di riferimento ed affrontando talune criticità interpretative

e operative. Le anzidette modifi che non sono che il risultato dell’im-

plementazione di quell’improvements project intrapreso dall’Organismo

internazionale a partire dal 2001 nell’obiettivo generale – invero non

sempre realizzato – di ridurre o eliminare in modo sistematico alternati-

ve contabili, ridondanze e confl ittualità interne all’impianto Ias-Ifrs, con

ciò favorendo tanto gli elementi di innovazione e avanzamento sul piano

del reporting fi nanziario delle imprese (metodologie attendibili) quanto

i requisiti di trasparenza informativa e comparabilità a benefi cio degli

user (metodologie comprensibili).

Nondimeno, a dimostrazione del fatto che si tratta di un processo di

rinnovamento continuo, tutt’altro che ultimato, è utile precisare che lo

standard setter internazionale ha licenziato nel dicembre 2008 l’Expo-

sure Draft ED 10 (intitolato Consolidated Financial Statements). Il pro-

gramma, in defi nitiva, sembra quello di dedicare in futuro lo Ias 27 ai soli

bilanci separati, enucleando i principi – da inserire in un Ifrs ad hoc, in

uscita probabilmente entro il 2009 – relativi ai conti consolidati. Del re-

sto, nonostante i vecchi propositi, allo stato attuale non appaiono sem-

pre chiare le motivazioni dell’applicazione delle diverse metodiche (più

avanti riferite) riservate al bilancio separato e a quello consolidato, per

cui è senz’altro da accogliere con plauso ogni sforzo teso a un miglio-

ramento ulteriore dei criteri applicativi vigenti.

La metodologia del contributo si sviluppa lungo due direttrici ideali: da

un lato si indaga direttamente il sistema dei principi internazionali rela-

tivi alle interessenze di controllo (considerabili quali best practice) e gli

svariati regolamenti comunitari avvicendatisi nel tempo per l’omologa e

l’adozione a livello europeo, documenti interpretativi inclusi (viste le loro

successive modifi che foriere di non poche incertezze); dall’altro lato si

rivisita la letteratura nazionale ed internazionale in tema di controllo e

partecipazioni di controllo.

Il lavoro presenta la seguente struttura: dopo le premesse, si inquadra

in breve la nozione di controllo, che è, ad evidenza, fondamentale ai fi ni

della qualifi cazione dei rapporti di gruppo e del consolidamento (par. 2);

il corpo vero e proprio è nel terzo e quarto paragrafo: l’uno tratta i profi li

– più che altro formali o procedimentali – afferenti alla rappresentazione

delle subsidiary nei bilanci consolidati e separati, l’altro approfondisce

le problematiche – di sostanza – inerenti alla valutazione delle parteci-

pazioni di controllo (specialmente alla luce delle più recenti innovazioni

raccolte). Chiudono il lavoro alcune osservazioni fi nali di sintesi (par. 5).

Interessenze di controllo

Page 124: Financial Reporting

124

2. Note introduttive sul “controllo” negli aggruppamenti

aziendali

Come è noto, rispetto all’attuale disciplina interna (v., in generale, art.

2359 c.c. e, nell’ottica del bilancio consolidato, art. 26 del D.Lgs. 9 apri-

le 1991, n. 127), nel modello internazionale risultano in linea di massima

più ampi i casi di controllo partecipativo e di consolidamento3.

Il tema del controllo è invero ampiamente dibattuto in dottrina (tra gli

altri: Cairns 2005; Epstein e Jermakowicz 2008, 2009; Kivi et al. 2004;

Nobes e Parker 2008). Nell’ottica specifi ca degli standard internazio-

nali di generale accettazione, il “controllo” – che è accepito (al di là

di quelle situazioni recanti astratta titolarità formale) quale concreto

potere di determinare le politiche fi nanziarie e gestionali di un’entità,

per ritrarre i benefi ci derivanti dalle sue attività – è presumibile che

esista quando una società possegga, anche indirettamente, più del

50% dei voti esercitabili in assemblea. Tale presunzione potrebbe pur

essere rigettata ma solo in casi eccezionali, dimostrando chiaramente

che il possesso dei voti non costituisca controllo. Il controllo, in par-

ticolare, è supposto anche (Ias 27, par. 13) nel caso di possesso di

una quota di voto pari o inferiore al 50%, ove: vi sia un accordo con

un altro investitore tale da garantire più della metà dei diritti di voto;

una clausola statutaria o contrattuale affi di il potere di determinare le

scelte amministrative e gestionali dell’impresa; sia assicurato il potere

di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori (organo di

governo); si ottenga il potere di indirizzare la maggioranza dei voti alle

riunioni del CdA (organo di governo).

Il documento interpretativo Sic n. 12, Consolidation - Special Purpose

Entities, poi, chiarisce i vari casi di controllo in assenza di legami par-

tecipativi. Va notato, in proposito, che secondo una visuale nettamente

economica il modello internazionale enfatizza in special modo proprio

le situazioni annoverabili quali controllo di fatto4. In linea generale, in-

fatti, nell’architettura Ias/Ifrs gioca un ruolo di primo piano il principio

della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica (sub-

stance over form principle), nel convincimento che i legami economici

prevalgono sui parametri giuridici. Pertanto, appare legittimo credere

3 Si sottolinea che l’art. 26 del citato decreto legislativo contempla, accanto ai casi previsti dai

primi due commi dell’art. 2359 c.c., il controllo per contratto e clausola statutaria, ed ancora,

il controllo in base ad accordi tra soci.4 Il controllo, naturalmente, può essere esclusivo o congiunto; per determinare il controllo (ma

non per misurare le interessenze sul piano contabile) si computano anche diritti potenziali di

voto (riscontrabili in presenza di option di tipo call, warrant, strumenti convertibili in azioni et

similia, ecc.), i quali, si badi, siano però effettivamente esercitabili (dunque vanno fatti esclusi

quelli che ad es. potrebbero essere esercitati solo condizionatamente a dati eventi futuri). In

senso opposto valgono i diritti di veto. Situazioni di “controllo di fatto” emergono laddove si

presenti il fenomeno della dispersione dei voti.

Interessenze di controllo

Page 125: Financial Reporting

125

che la sussistenza di espliciti legami partecipativi non sia condizione né

necessaria né suffi ciente alla qualifi cazione del controllo inteso come

esercizio del governo economico.

Ciò detto, si analizzano a seguire gli aspetti salienti riconnessi al

trattamento delle subsidiary nell’ambito dei bilanci consolidati e se-

parati, rintracciando le sottostanti linee di sviluppo delle regole in-

ternazionali di riferimento susseguitesi nel tempo. Per quel che con-

cerne il bilancio del gruppo (costituito dalla capogruppo e da tutte le

sue controllate), è da constatare come mentre nella disciplina interna

esso rappresenti una sorta di corredo o estensione formale del bilan-

cio d’esercizio della controllante (Tartaglia Polcini 2008), nella pro-

spettiva internazionale sembra assurgere a vero e proprio bilancio di

quest’ultima entità (rappresentativa di una realtà allargata), dacché

maggiormente utile e signifi cativo agli occhi degli stakeholder e per

i loro processi decisionali.

3. Profi li di rappresentazione delle subsidiary

nei bilanci consolidati e separati

Tanto fi ssato, venendo al trattamento contabile delle partecipazioni di

controllo (in subsidiary), ha solo interesse storico la distinzione tra con-

trollate consolidabili e non consolidabili (visto che – come più avanti

chiarito – nel modello internazionale, dal 2005 tale ultima ipotesi non è

più percorribile)5.

Le partecipazioni di controllo (oggi sempre) consolidate, vengono trat-

tate nel bilancio di gruppo – beninteso, ove l’impresa partecipante sia

tenuta a redigerlo – secondo le regole di consolidamento racchiuse ap-

punto nello Ias 27.

In questa sede, va in breve notato che a differenza delle regole naziona-

li6, espresse nel citato D. Lgs. 127/91 e nell’interpretativo e integrativo

Documento n. 17 del Cndc – Cnr (come modifi cato dall’Oic nel settem-

bre 2005 in ragione della riforma del diritto societario del 2003):■ Vengono consolidate le imprese anche esercitanti attività dissimili (nel-

l’ordinamento interno, almeno fi no all’entrata in vigore del D. Lgs. 2 feb-

5 Il Sic-12 “Consolidamento - Società a Destinazione Specifi ca (società veicolo)” integra le regole

dello Ias 27, soffermandosi sul consolidamento delle special purpose entity, costituite per raggiun-

gere un obiettivo limitato e ben defi nito (per esempio, realizzare un contratto di leasing, attività di ri-

cerca e sviluppo o una cartolarizzazione di attività fi nanziarie). Va notato che una SDS deve essere

consolidata quando la sostanza della relazione tra un’impresa e una SDS indica che quest’ultima

è controllata dall’impresa. Si ricorda che l’Organismo internazionale ha sviluppato il progetto Con-

solidation – Including Special Purpose Entities (confl uito nella bozza di principio ED 10).6 Cfr. Prencipe e Tettamanzi (2005).

Interessenze di controllo

Page 126: Financial Reporting

126

braio 2007, n. 32, art. 3, esse dovevano essere escluse dal perimetro di

consolidamento in virtù dell’art. 28, comma 1, del decreto 1277).■ I casi di esclusione obbligatoria fanno in un primo momento richia-

mo a un controllo temporaneo o soggetto a restrizioni (così fi no al

31.12.2004). Si precisa che detta previsione rappresenta ipotesi di

esclusione facoltativa nel nostro Paese.■ È ammesso il consolidamento con data differente (purché la diffe-

renza non superi i tre mesi), mentre in Italia - più rigorosamente - ciò

non è consentito.■ Il PN di terzi è indicato distintamente sia dal PN del gruppo sia dalle

passività (dal luglio 2009 le interessenze non di controllo vanno però

esposte come parte, pur separata, dell’equity). In Italia, il PN di terzi

è incluso in una voce del PN.■ Si lascia in un certo senso più spazio alla possibilità di utilizzare cri-

teri di valutazione difformi anche da quelli della capogruppo (salve

poi le necessarie rettifi che di preconsolidamento per la redazione del

bilancio consolidato).

Nel bilancio consolidato, com’è noto, vanno integrati i bilanci delle control-

late “voce per voce” sommando i valori dell’attivo, del passivo, del patri-

monio netto, dei ricavi e dei costi, tra loro e con quelli della capogruppo o

parent (metodo del consolidamento integrale)8. In questo approccio sono

indispensabili operazioni rettifi cative del seguente tenore (par. 22 ss.):■ Il valore contabile delle partecipazioni della capogruppo in ciascuna

controllata e la corrispondente frazione del patrimonio netto pos-

seduta dalla holding devono essere cancellati, allo scopo di evitare

fenomeni di duplicazione o annacquamento (Azzali 2003)9.■ Occorre individuare la quota di pertinenza di terzi al valore dell’utile

(o perdita) d’esercizio delle controllate consolidate.■ La quota del capitale e delle riserve di pertinenza di terzi nelle control-

late va identifi cata separatamente dal patrimonio netto di tali imprese

afferenti al gruppo (si intende sia il valore di quelle interessenze di terzi

alla data dell’acquisto della partecipazione, sia la quota di pertinenza di

terzi delle variazioni nel patrimonio netto dalla data di acquisizione).

7 L’Oic (2005) auspica che vengano escluse le imprese quando esse operino per conto di un’im-

presa, diversa da quelle incluse nel consolidamento, la quale goda della maggior parte dei benefi ci

e sopporti la maggior parte degli oneri o dei rischi che derivano dalla loro attività. Dai casi di esclu-

sione si differenziano i casi di esenzione ai sensi dell’art. 27 del decreto 127 (limiti dimensionali).8 Le imprese a controllo congiunto sono invece oggetto di consolidamento proporzionale o,

in alternativa, sintetico (equity method); ma nel bilancio separato sono iscritte al costo o al fair

value. In merito alla teoria della proprietà sottostante alla tecnica del pro-rata consolidation, v.

Baker et al. (1993, 140-141). Si rinvia inoltre a D’Amico (2007).9 In particolare, p. 103. Cfr. anche Lai (2003, 178) e Zattoni (2000, 124).

Interessenze di controllo

Page 127: Financial Reporting

127

■ Saldi, operazioni, ricavi e costi “infragruppo” sono integralmente eli-

minati (par. 24)10.

È appena il caso di osservare che i bilanci consolidati sono preparati

avvalendosi – secondo una previsione formulata forse in modo troppo

elastico – di uniform accounting policies per operazioni e fatti analoghi

come riscontrabili in circostanze similari (Elliot e Elliot 2007). Vista la

complessità del processo di omogeneizzazione dei bilanci, sul piano

pragmatico, si crede assai profi cuo che la capogruppo possa diffonde-

re alle imprese facenti parte del gruppo preziose indicazioni in ordine

ai criteri da seguire (le cui rettifi che, ad evidenza, originano fenomeni di

differimento d’imposta ex Ias 12).

Da quanto sopra, possono emergere delle “differenze da consolida-

mento”, per il cui trattamento – anche alla luce di alcune importanti

novelle pronunciate in tema di avviamento ex Ifrs 3 (Onesti et al. 2006)

– si rinvia al paragrafo successivo.

Si rivisita ora la contabilizzazione delle partecipazioni di controllo rite-

nute ‘non consolidabili’ nell’ambito del bilancio Ias-Ifrs di gruppo (fi no

al 31.12.2004).

Invero, secondo lo Ias 27 previgente, le partecipazioni in controllate esclu-

se dal consolidamento dovevano essere iscritte, nel bilancio del gruppo,

così come indicato dallo Ias 39 quali attività fi nanziarie disponibili per la

vendita (in una sorta di default category). In generale, una partecipazione

in un’impresa, la si sarebbe contabilizzata secondo quanto previsto dallo

Ias 39 dacché avesse cessato di rientrare nella defi nizione di controllata e

non fosse divenuta una associate (Ias 28). Più precisamente, si escludeva

una controllata dal consolidamento – così nella vecchia versione dello

Ias, al par. 16 (Pierce e Brenman 2003) – soltanto quando:

a) Il controllo era da ritenere temporaneo perché la controllata era stata

acquistata e posseduta esclusivamente in vista della sua dismissio-

ne in un prossimo futuro; oppure,

b) Essa operava in presenza di gravi e durature restrizioni che ne pre-

giudicavano signifi cativamente la capacità di trasferire fondi alla

controllante.

10 I saldi e le operazioni infragruppo, compresi i ricavi, i costi e i dividendi, sono integralmente

elisi. Così, gli utili e le perdite derivanti da operazioni infragruppo compresi nel valore contabile

di attività, quali le rimanenze e le immobilizzazioni, sono integralmente eliminati. Ove le perdite

infragruppo però segnalassero una necessaria riduzione di valore, in tal caso la rettifi ca dei

margini negativi infragruppo non sarebbe opportuna. Infi ne, per quanto concerne le differenze

temporanee derivanti dall’eliminazione di utili e perdite originate da operazioni infragruppo,

valga lo Ias 12 (Ias 27, par. 25).

Interessenze di controllo

Page 128: Financial Reporting

128

Non va sottaciuto che lo Iasb, già con la revisione del dicembre 2003,

optava nello Ias 27 per l’eliminazione del requisito di cui sub b), eviden-

temente nel convincimento che le dette restrizioni fi nissero con il non

precludere l’effettiva capacità di controllo (invero, lo Iasb all’epoca pre-

vedeva ancora di escludere il consolidamento di entità dove la direzione

aziendale fosse attivamente alla ricerca di un acquirente); con riferimen-

to al requisito di cui sub a), invece, sostituiva l’espressione poco chiara

(quindi suscettibile di evitabili fraintendimenti di sorta) “in un prossimo

futuro” (in the near future) con “entro 12 mesi” (within 12 months)11.

Tra le regole previste nella versione successivamente emendata dal-

l’appendice c dell’Ifrs n. 5 (del marzo 2004), che è la versione vigente

dello Ias 2712, risulta invece prescritto al nuovo paragrafo 12 senza am-

biguità: “Consolidated fi nancial statements shall include all subsidiaries

of the parent”. Lo stesso par. 16 dello Ias 27, dinanzi citato, relativo

all’esclusione del consolidamento, è stato abrogato.

Ne deriva inequivocabilmente che fi nanche l’esclusione di scopo di cui

al revised punto a) – e cioè lo scopo di rivendita – è oramai venuta

meno: dunque, dal 2005, nel bilancio di gruppo Ias-Ifrs vanno consoli-

date tutte le partecipazioni di controllo senza esclusione alcuna (fatta

ovviamente salva l’ipotesi di sopravvenuta perdita di controllo – peraltro

possibile anche a prescindere da mutamenti negli assetti proprietari13

– con naturale fuoriuscita dal perimetro di consolidamento).

Va da sé che qualora una subsidiary fosse classifi cata “as held for sale”

ai sensi dell’Ifrs 5 (ove acquisita con l’intenzione di cederla entro l’anno,

ovvero se ne fosse pianifi cata la vendita e fossero iniziate le attività per

individuare a breve un acquirente), i suoi risultati economici e net as-

set andrebbero senz’altro consolidati, tuttavia, detta subsidiary sarebbe

trattata (anche nel profi lo della disclosure) ai sensi l’Ifrs 5.

È superfl uo dire che tutte le sopracitate problematiche di rappresentazio-

ne concernenti i bilanci consolidati non hanno ragion d’essere laddove

operino, a monte, i casi di esonero previsti (ove esercitati). E, nella pro-

spettiva internazionale, le ipotesi di esenzione del bilancio consolidato per

una controllante sono cristallizzate nel par. 10 dello Ias 27 (una controllante

non è tenuta alla presentazione del bilancio consolidato se e soltanto se):

i) La controllante stessa è a sua volta una società interamente control-

lata (dunque una sub-holding), o parzialmente controllata, da un’al-

11 Analogamente, l’Oic propone l’esclusione dal consolidamento di imprese le cui azioni o

quote siano possedute al solo scopo della successiva alienazione “entro dodici mesi dalla

fi ne dell’esercizio; se l’alienazione nel tempo indicato non è avvenuta, l’impresa deve essere

inclusa nel consolidamento”. Oic (2006a, 4).12 Salvo quanto si dirà in tema di Ifrs 1.13 Si pensi al subentro di un organo di controllo esterno di natura pubblica (organo di gover-

no, tribunale, ecc.).

Interessenze di controllo

Page 129: Financial Reporting

129

tra entità, e gli azionisti terzi, inclusi i non aventi diritto di voto, sono

stati informati del fatto che la controllante non redige un bilancio

consolidato e non oppongono alcuna obiezione.

ii) Gli strumenti rappresentativi di debito o di capitale non sono quotati

in un mercato regolamentato (in una borsa valori nazionale o estera

ovvero in un mercato ristretto, compresi i mercati locali o regionali).

iii) La controllante non ha depositato, né è in procinto di farlo, il proprio

bilancio presso una commissione per la borsa valori o altro organi-

smo di regolamentazione al fi ne di emettere una qualsiasi classe di

strumenti fi nanziari sui mercati regolamentati.

iv) La capogruppo o controllante principale o qualsiasi controllante in-

termedia redige un bilancio consolidato rivolto al pubblico che risulti

conforme (compliant) agli Ias o Ifrs.

Più esattamente, in presenza di tutte e quattro le condizioni assieme,

la capogruppo non è obbligata a redigere il bilancio consolidato. Ciò

implica, a ben vedere, che pure in tale evenienza la capogruppo può

comunque presentare facoltativamente il bilancio consolidato. Se opta

per l’esonero, potrà presentare unicamente il bilancio separato.

Infi ne, allo scopo di dare evidenza contabile del rapporto partecipativo

di controllo nei conti annuali non consolidati della controllante, va te-

nuto presente il cruciale paragrafo 37 dello Ias 27 revised 2003 (come

ora migliorato dallo Ias 27 revised 2008), appunto inerente ai separate

fi nancial statement.

Si badi che il bilancio separato è quello presentato da una controllante

(ma pure da una partecipante in una società collegata o da una parteci-

pante in un’entità a controllo congiunto o joint venture) in cui le parteci-

pazioni vengono contabilizzate con il metodo dell’investimento diretto

piuttosto che in base ai risultati conseguiti e al patrimonio netto delle

società partecipate14.

La sua funzione precipua è quella di informare in merito ai rendimenti

espressi dai dividendi sulle partecipazioni detenute dalla società che re-

dige il bilancio (giusta Reg. CE 69/2009, è stata recepita la nuova regola

(par. 38A) che prevede la rilevazione di un dividendo della controllata nel

prospetto dell’utile o perdita d’esercizio del bilancio separato una volta

accertato il diritto a percepirlo15).

14 Il bilancio individuale è invece il bilancio di una società che possiede solo partecipazioni in

imprese collegate (e quindi non redige il bilancio consolidato) e che, inoltre, non ha una con-

trollante (di primo o successivo livello) che pubblica un bilancio consolidato.15 Ma derivando da utili conseguiti ante combinazione esso andrebbe scomputato dall’in-

teressenza. È stato altresì cancellato, nelle defi nizioni dello Ias 27, il parallelo riferimento al

metodo del costo.

Interessenze di controllo

Page 130: Financial Reporting

130

Ebbene, le partecipazioni nelle società controllate trovano iscrizione nel

bilancio separato della partecipante al costo oppure secondo i dettàmi

dello Ias 39 “Strumenti fi nanziari: Rilevazione e valutazione” (ma di ciò si

dirà meglio a seguire).

È ovvio che qui non si procede ad alcuna operazione di preconsolida-

mento e di consolidamento, bensì all’opportuna valutazione della voce

accesa alle partecipazioni in oggetto come allocate nel prospetto del-

la situazione patrimoniale-fi nanziaria separata (i cui rifl essi sul risultato

d’esercizio sono riportati nel prospetto di conto economico complessi-

vo, c.d. comprehensive income statement).

Nel passare al piano economico-valutativo (con il paragrafo seguente

che si sofferma principalmente sulle nuove problematiche di stima che

interessano le partecipazioni di controllo ai fi ni dei bilanci Ias/Ifrs), si

crede qui doveroso un rinvio, in tema di modalità di rappresentazione

dei bilanci, al novellato Ias 1 (v. Reg. (CE) n. 1126/2008, come rettifi cato

con Reg. (CE) n. 1274/2008, n. 53/2009 e n. 70/2009).

4. Problematiche inerenti alla valutazione

delle partecipazioni di controllo. Nuove prospettive.

A partire dal 2005, lo Iasb ha implementato un progetto di riscrittura

dello Ias 27 (e del connesso Sic 12), affrontando diverse questioni di

grande interesse.

Tale progetto, in particolare, oltre a far luce sulla defi nizione di control-

lo, da verifi care nella “sostanza” e “caso per caso” (si pensi ad es. al

controllo via contract senza la necessità di detenere un livello minimo di

proprietà, o all’infl uenza dei potential voting agganciati al possesso di

opzioni o titoli convertibili), ha inteso:■ Armonizzare il più possibile i criteri valutativi internazionali di bilancio

a quelli statunitensi (UsGaap/Sfas) in relazione alle aggregazioni/ag-

gruppamenti aziendali.■ Innestare nel bilancio consolidato le nuove norme in tema di busi-

ness combination, come ad es. quelle riguardanti la contabilizzazio-

ne dell’avviamento di gruppo (goodwill) e dei minority interest (‘ribat-

tezzati’ più effi cacemente non-controlling interest).

In proposito, i più recenti cambiamenti dello Ias 27 vanno letti in com-

binazione proprio con le novità avanzate riguardo al trattamento delle

aggregazioni aziendali mediante il nuovo Ifrs n. 3 (versione del gennaio

2008, effi cacia luglio 2009): è qui palese il richiamo alla cosiddetta “fase

II” del progetto incentrato sulle business combination peraltro svolto al-

l’unisono proprio da Iasb (standard setter internazionale) e Fasb (stand-

ard setter statunitense) assieme (Watrin et al. 2006).

Interessenze di controllo

Page 131: Financial Reporting

131

In particolare, rebus sic stantibus, viene ammessa la possibilità di emersio-

ne nel bilancio di gruppo a far data dal luglio 2009 del c.d. full goodwill in al-

ternativa all’attuale confi gurazione nota in letteratura (Henning et al. 2000)

e nella prassi aziendale con la vecchia etichetta di purchased goodwill.

Più in generale, nel modello internazionale di bilancio il purchase method

cede esplicitamente il passo all’acquisition method (sua versione voluta),

il quale ora si snoda nelle seguenti fasi: a) identifi cazione dell’acquirente;

b) determinazione della data di acquisizione (in cui l’acquirente ottiene

il controllo dell’entità acquisita); c) riconoscimento e misurazione delle

attività identifi cabili, delle passività assunte e di ogni NCI (non-controlling

interest); d) riconoscimento e misurazione dell’avviamento o del guada-

gno per buon affare (quest’ultimo da imputare a conto economico dopo

necessario re-measurement tanto del costo dell’aggregazione quanto

del valore degli elementi patrimoniali attivi e passivi consolidati).

Da ciò, è di tutta evidenza come giovi sia sul piano cognitivo che su

quello pragmatico-operativo esaminare accuratamente e in ottica evo-

lutiva le varie problematiche - ricomponendole a sistema - afferenti alla

valutazione delle partecipazioni in società controllate, oggetto d’aggre-

gazione, alla luce dei mutevoli e in certo modo fl uidi standard internazio-

nali, soprattutto in considerazione delle revisioni e degli emendamenti

via via apportati, e che tuttora continuano a essere presentati.

In special modo, è possibile – come visto – individuare una prima re-

cente transizione dalla versione dello Ias 27 in vigore fi no al 31.12.2004,

a quella revised dec. 2003 effi cace dal 2005 (ancora vigente ma con

parziali modifi che ulteriormente intervenute), passando per gli amend-

ment introdotti con l’Ifrs n. 5 e, infi ne, approdando al perfezionamento

della phase II delle business combination avvenuta nel gennaio 2008 ed

effi cace dal luglio 2009.

È da dire che in relazione alle partecipazioni non consolidabili iscritte

anteriormente al 2005, se nel bilancio separato valeva alternativamen-

te il criterio del costo, il metodo del patrimonio netto, o il criterio del

fair value, nel bilancio consolidato occorreva adottare il solo criterio del

“valore equo”. Tuttavia, come anticipato, con l’applicazione delle regole

veicolate mediante l’Ifrs n. 5 non ha più senso oggi distinguere con-

trollate consolidabili da controllate non consolidabili (Nobes e Parker

2008), secondo un’impostazione che può ritenersi condivisibile fi ntan-

toché siano fornite adeguate informazioni con le note al bilancio, pena

la non realizzazione della true and fair view.

Venendo ora agli effetti economico-fi nanziari delle procedure di conso-

lidamento da seguire per la corretta presentazione del bilancio di grup-

Interessenze di controllo

Page 132: Financial Reporting

132

po, si ritiene utile mettere in evidenza alcune divergenze fondamentali

rispetto alla disciplina interna per quel che concerne la valutazione del

goodwill; ci si riferisce al:■ Riconoscimento iniziale dell’avviamento positivo scaturibile dalla

differenza da consolidamento: mentre le regole interne ammettono

solo l’avviamento derivativo attinente alle posizioni di controllo ac-

quisite, le regole internazionali accordano – come anticipato – la pos-

sibilità di iscrivere, piuttosto che il purchased goodwill, il full goodwill

comprensivo anche dell’avviamento spettante alle interessenze non

di controllo detenute da terzi (in pratica: minoranze azionarie posse-

dute da terze economie esposte in aderenza alla teoria detta entity

theory – invero dalle antiche radici (Moonitz 1942; Hendriksen 1970;

Kam 1990) – la quale vede il gruppo come insieme di risorse unita-

riamente e fi nalisticamente impiegate (Zambon 1996)).■ Trattamento successivo del goodwill: mentre le regole domestiche

lo ammortizzano (art. 2426 c.c., punti 6, 1 e 3), l’Ifrs n. 3 e lo Ias 36

vietano apertamente la tecnica dell’ammortamento in favore del test

di impairment16 da condurre a livello di unità generatrice di cassa

(Epstein e Jermakowicz 2008 413 ss.).■ Riconoscimento delle contingent liability, o passività potenziali, come

richiesto dall’Ifrs n. 3 (se ne deduce che ciò faccia aumentare – a

parità di costo d’aggregazione – il valore residuale d’avviamento).■ Obbligo di separata individuazione di intangible asset diversi dall’avvia-

mento ((Lev 2001; Bini 2008a), il che questa volta farà diminuire – sem-

pre a parità di costo d’aggregazione – il residuo valore d’avviamento17).■ Riconoscimento e trattamento contabile della differenza negativa

imputabile ad avviamento negativo: mentre le regole interne ne pre-

vedono, in ultima istanza, l’allocazione in un fondo rischi ed oneri o

in una riserva del netto, le regole internazionali lo considerano – qua-

lora resista dopo adeguate verifi che estimative – quale componente

positivo del reddito d’esercizio girandolo immediatamente a conto

economico (gain from a bargain purchase)18.

Altra discordanza di rilievo si ha nella valutazione delle interessenze di

terzi al fair value (piuttosto che a book value). A onor del vero, vista la

nuova opzione d’iscrizione del full goodwill, le interessenze di minoran-

za (rectius, non di controllo) fair valued potrebbero de facto inglobare

d’insieme pure la quota parte di avviamento teoricamente spettante alle

16 Si rinvia al recente contributo di Romano (2007).17 Esistono approcci diretti e indiretti di determinazione del goodwill. Peraltro, sotto talune

condivisibili condizioni valutative, la tecnica di stima autonoma e quella residuale possono

convergere (Haaker 2008; Taliento 2006).18 Cfr. sull’argomento Gelmini (2007), Romano e Taliento (2006).

Interessenze di controllo

Page 133: Financial Reporting

133

stesse, con tutte le diffi coltà e criticità sul piano conoscitivo, metrico e

del controllo agevolmente intuibili, dacché per esse non si è sostenuto

un costo di acquisizione (teoricamente valutato as a whole) esplicito

(Della Bella 2005; Mechelli 2006; Taliento 2007); senza contare i rischi di

una possibile inadeguata imputazione in capo alle quote di minoranza

di eventuali premi di controllo o di maggioranza.

Ancora sul piano valutativo sono stati apportati nel gennaio 2008 - que-

sta volta direttamente allo Ias 27 (improvement) - emendamenti di so-

stanza in ordine a: ■ I cambiamenti nelle proporzioni fra interessenze di controllo e non

di controllo: ogni successivo acquisto di quote addizionali non di

controllo (step-up) è da contabilizzare come equity transaction, sen-

za il bisogno di rimisurare – conformemente al nuovo acquisition

method of accounting – il fair value degli elementi patrimoniali attivi

e passivi sottostanti interessati, né di riconoscere conseguenti oneri

o proventi, o ricalcolare il goodwill; in quest’ottica, la rilevazione di

ulteriori quote marginali della subsidiary ad opera della controllante

implica, come se ne desume, la contabilizzazione di un acquisto (o

di una vendita per possibili rettifi che in minus, fi ntantoché lo step-

down non signifi chi loss of control quindi estromissione dal perime-

tro di consolidamento) di azioni proprie (treasury stock).■ L’attribuzione delle perdite (loss) afferenti ai non-controlling inter-

est: se nell’attuale versione dello Ias 27 le perdite che eccedono

le interessenze partecipative non di controllo vanno dedotte dalle

interessenze di controllo, e ogni utile prodotto dalle prime succes-

sivamente viene imputato alle seconde fi nché le perdite non siano

assorbite, la versione emendata richiede che ogni perdita relativa

alle interessenze non di controllo sia allocata esclusivamente sulle

stesse (quantunque ciò possa pure comportare defi cit per esse).■ La perdita del controllo di una subsidiary (conservando comunque

una quota partecipativa minoritaria): sul piano contabile, la relazione

parent-subsidiary cede il passo alla relazione investor-investee; più

in dettaglio, questa nuova relationship deve essere riconosciuta e

misurata al fair value alla data in cui è perso il controllo della parte-

cipata. Soprattutto, un’innovazione di spicco risiede nella derivante

rilevazione di una perdita o di un utile per l’adeguamento al fair value

del valore contabile risultante della partecipazione.

Passando ai profi li valutativi che riguardano i bilanci separati, le parte-

cipazioni nelle società controllate trovano iscrizione nei conti della par-

tecipante – si è accennato – al costo oppure secondo le regole dello Ias

39 “Strumenti fi nanziari: Rilevazione e valutazione”, e cioè al fair value

Interessenze di controllo

Page 134: Financial Reporting

134

(se attendibile). Tale regola, si sottolinea, riguarda non solo le controllate

(subsidiary), ma anche le collegate (associate) e le joint venture.

Nei suddetti casi colpisce soprattutto l’introdotto divieto – dal 2005 – di

utilizzo del metodo del patrimonio netto (equity method), peraltro previsto

nell’attuale punto 4 dell’art. 2426 c.c. (e sostanzialmente confermato nelle

ipotesi di attuazione delle direttive comunitarie n. 2001/65 e n. 2003/51 sti-

late dall’Oic19). In proposito, giova rammentare che lo Ias 27, nella versione

in vigore fi no al 31.12.2004, ammetteva che le partecipate potessero esse-

re contabilizzate con il metodo del patrimonio netto prescritto nello Ias 28,

“Contabilizzazione delle partecipazioni collegate”. L’Ifrs n. 5, in merito al-

l’eliminazione dell’equity method (che in effetti altro non è che una tecnica

di consolidamento sintetico (Alfredson et al. 2005), la quale mal si concilia

con i fi ni di un bilancio separato), ha corretto il tiro del citato par. 37, poi

migliorato nel 2008, prevedendo dunque che nel redigere un bilancio sepa-

rato l’entità controllante possa contabilizzare le partecipazioni di controllo:

a) Al costo, o

b) In conformità allo Ias 39.

Si badi che l’entità deve applicare lo stesso criterio per ciascuna categoria

di partecipazioni (incluse pure quelle in associate e joint venture). Nel caso

in cui le partecipazioni fossero contabilizzate in base allo Ias 39 (piuttosto

che al costo), tali investimenti continuerebbero a essere misurati applican-

do il citato standard – il che implica una valutazione economica di quegli

impieghi – anche ove fossero classifi cati “as held for sale” in accordo con

l’Ifrs n. 5 (in pratica, la valutazione degli investimenti contabilizzati confor-

memente allo Ias 39 non potrà essere modifi cata in tali circostanze). In

proposito, si segnala che, in virtù dello Ias 39, le partecipazioni in subsidi-

ary potrebbero essere trattate come attività fi nanziarie del tipo FVTPL (cioè

classifi cate al fair value through profi t and loss, quindi con effetto reddi-

tuale)20 o come attività disponibili alla vendita (questa volta imputando le

variazioni di fair value a patrimonio netto, non nel conto economico sepa-

rato – ma con successivo rigiro nella nuova sezione adibita ai componenti

di risultato non redditualizzati –, fi nché i titoli non siano dismessi).

Gli investimenti espressi al costo (ovvero iscritti inizialmente al fair value

del corrispettivo dato per acquisire i titoli de quibus), invece, saranno

contabilizzati conformemente all’Ifrs 5 allorché le partecipazioni siano

classifi cate come possedute per la vendita (o siano incluse in un grup-

po in dismissione classifi cato come posseduto per la vendita).

19 È previsto nell’ipotesi di nuovo articolato Oic che: “5) le partecipazioni in società controllate […],

possono essere iscritte […], secondo il metodo del patrimonio netto […].”. Oic (2006b, 12).20 L’Oic puntualizza, in generale, che la valutazione al FVTPL (Fair Value rilevato a conto eco-

nomico) è applicabile alle partecipazioni solo se le relative azioni sono quotate in un “mercato

attivo” o il relativo fair value è determinabile attendibilmente. Oic (2005, 82; 2008, 101 ss.).

Interessenze di controllo

Page 135: Financial Reporting

135

Pertanto – nell’evenienza in cui il valore della partecipazione sia recupe-

rabile principalmente attraverso una transazione economica anziché con

il suo uso continuativo (Ifrs 5, par. 6), trattandosi di non-current asset

disponibile ad una vendita immediata ed assai probabile –, l’investimento

de quo andrà contabilizzato al minore tra il valore contabile e il fair value

al netto dei costi di vendita (Ifrs 5, par. 15). Va da sé che ogni impairment

loss o svalutazione (write-down) della partecipata in questo senso effet-

tuato andrà a segnalare un componente negativo del reddito d’esercizio

da iscrivere nel conto economico separato della partecipante (tenendo

presente che poi son sì consentite riprese di valore ma non oltre i cumu-

lativi impairment loss operati ai sensi dell’Ifrs n. 5 o dello Ias n. 36).

5. Osservazioni fi nali

Da quanto riportato nei paragrafi precedenti, oltre a vari punti di differenzia-

zione rispetto all’attuale trattamento contabile italiano (peraltro destinati ad

essere presto assorbiti perlomeno parzialmente mediante attuazione – rec-

tius: recepimento – del processo di modernizzazione a valere sulle direttive

comunitarie, settima e quarta, in materia di bilanci societari), si evincono age-

volmente importanti elementi di novità nel trattamento contabile internazio-

nale delle subsidiary entity, di seguito riassunto in breve forma tabellare.

Rilevazione delle partecipazioni in subsidiary entity

• nel bilancio consolidato • nel bilancio separato

Regole di consolidamento integrale:

- Aggregazione dei valori

- Eliminazione delle partecipazioni

interessate

- Elisione delle partite infragruppo

reciproche (crediti/debiti, ricavi/costi

speculari)

- Rettifi ca redditi infragruppo (non

realizzati ma effetto di politiche di

gruppo, con differimento d’imposta;

salvo che si tratti di perdita espressiva

di un’effettiva riduzione di valore).

n.b. Sono regole pressoché analo-

ghe a quelle previste nel Principio

contabile nazionale n. 17, salvo

alcune fattispecie come ad es.

l’allocazione e il trattamento delle

differenze da consolidamento o

l’esposizione delle interessenze,

data l’opzione del full goodwill.

Costo o ex Ias 39

(valore equo o fair value).

L’Ifrs 1, come emendato nel maggio

2008 (effi cacia gennaio 2009), prevede

la facoltà di nuova iscrizione al deemed

cost; v. Reg. CE n. 69/2009.

n.b. Se una subsidiary è classifi cata

“as held for sale”, la sua rimisurazio-

ne – solo ove fosse valutata al costo

e non invece ex Ias 39 – avviene ai

sensi dell’Ifrs 5 (detta controllata è

comunque consolidata); v. Reg. CE

n. 70/2009.

Interessenze di controllo

Page 136: Financial Reporting

136

Giova rimarcare che, a monte, è ormai da tempo eliminata dallo Ias 27

ogni causa di esclusione di una partecipazione di controllo dal peri-

metro di consolidamento (i cui confi ni risultano perciò allargati). Peral-

tro, l’applicazione del nuovo Ifrs n. 8 “Settori operativi” sembra possa

riuscire mediante il c.d. full management approach (Angiola 2008) ad

assicurare le informazioni necessarie ad un adeguato reporting esterno

delle differenti attività svolte dalle imprese incluse in gruppi diversifi cati.

Tuttavia, benché non sia prevista neppure l’esclusione per irrilevanza ai

fi ni della rappresentazione veritiera e corretta (invece esplicita nell’art.

28 del decreto 127, sub a)), si potrebbe valutare se forse tale possibilità

non sia implicita nel principio di materiality riferito nel Framework (inve-

ro, non omologato neppure con il Reg. CE 1126/2008 ss.).

Un criterio non chiarito dal principio internazionale – nell’ambito delle

regole sulle procedure di consolidamento – si rinviene poi nel possibile,

o auspicabile, diverso trattamento da riservare ai redditi infragruppo, a

seconda che siano maturati dalla capogruppo oppure dalle subsidiary.

Nel silenzio dello Ias, si può pensare che nel caso in cui quei redditi af-

feriscano alla controllante essi debbano comportare rettifi che soltanto

a valere sul patrimonio netto e sull’utile di pertinenza della capogruppo;

mentre nell’ipotesi in cui si rapportino alle subsidiary, siano da rettifi care

anche le interessenze detenute dai terzi.

Nella contabilizzazione delle partecipazioni di controllo, poi, le interfe-

renze con l’Ifrs 3 appaiono cosa inevitabile se solo si considera che il

fenomeno del gruppo è essenzialmente un fenomeno aggregativo (fatte

salve le costituzioni per enucleazione, dove l’aggregazione è puramente

formale). Lo standard novellato sulle business combination, notoriamen-

te, non disciplina specifi camente le operazioni under common control

(cioè di mera natura riorganizzativa o, per così dire, d’interna gestione);

nondimeno, queste ultime operazioni non rilevano ai fi ni del bilancio di

gruppo essendo elise nella fase del consolidamento. Ed è da dire che è

ora regolamentata un’ipotesi in più nello Ias 27: quella di una capogruppo

che riorganizzi la struttura del gruppo mediante l’istituzione di una nuova

entità quale sua controllante, con scambio di strumenti rappresentativi

del capitale. Nella fattispecie, la nuova controllante dovrà contabilizzare

nel suo bilancio separato la partecipazione nella capogruppo originaria

in conformità al nuovo paragrafo 38(a); più esattamente, la nuova con-

trollante valuterà il costo in base al valore contabile della propria quota

di elementi di patrimonio netto come riportati nel bilancio separato della

capogruppo originaria alla data della riorganizzazione. Si reputa però che

tale ipotesi – assimilabile in certo modo a un pooling – probabilmente non

riscontrerà una casistica reale molto vasta.

Interessenze di controllo

Page 137: Financial Reporting

137

Ancora, in relazione alla phase II sulle combinazioni interaziendali (re-

stando al tema delle citate reciprocità tra standard diversi), non è da

sottacere che le riforme da ultimo innestate nel corpo dello Ias 27 sono

suscettibili di infl uenzare materialmente gli amministratori della holding

nella scelta opzionale in ordine al full goodwill method (che si pone qua-

le sorta di estrinsecazione d’un approccio contabile unitario o unifi cante

“di tipo entity”, per così dire, multi-shareholder).

Infatti, a ben vedere, da un lato l’iscrizione del full goodwill ex nuovo

Ifrs 3 avrebbe l’effetto di proteggere l’equity del gruppo, dal momento

che l’acquisto di interessenze di minoranza addizionali volte a rafforzare

una situazione di controllo già esistente andrebbe a signifi care acquisto

di azioni proprie. Proprio grazie al full goodwill method, peraltro, non si

registrerebbe il gap tra il costo della quota marginale acquisita e il carry-

ing amount delle interessenze terze espresse semplicemente a fair value

(come invece previsto nel vigente Ias 27). Dall’altro lato, non va trascurato

che il full goodwill – ove adottato con opzione esplicita – soffrirebbe del

fi siologico rischio di incorrere in potenziali considerevoli impairment loss

anche a cagione del deterioramento del valore (per giunta di non sempli-

ce determinazione) afferente agli interessi di terze economie (dunque in

capo al goodwill relativo alle posizioni non di controllo)21.

Circa le problematiche scaturenti dalla transizione ai principi interna-

zionali in tema di partecipazioni, occorre tenere presente invece che

nel maggio 2008 è stato emendato l’Ifrs n. 1 “First-time Adoption of

IFRSs”22 per la parte che concerne la valutazione del costo di una con-

trollata nel bilancio separato della parent. In particolare, è consentito al

neo-utilizzatore (e cioè all’entità che presenta il primo bilancio redatto

in conformità agli Ifrs) di adottare quale sostituto del costo (c.d. deemed

cost) o il fair value (determinato in conformità allo Ias 39 alla data della

transizione) o il valore contabile risultante in base alla legislazione lo-

cale/nazionale fi n là rispettata, al fi ne di misurare il valore iniziale del-

l’investimento in subsidiary da esporre nel nuovo bilancio separato (in

alternativa al costo ex Ias 27 se di non semplice determinazione).

In conclusione, tutte le regole dianzi sintetizzate vogliono trovare ricom-

posizione in seno al più ampio processo di modernisation dei principi

contabili internazionali, coniugando in modo il più possibile razionale

impostazioni già consolidate (ad es.: criterio del costo) con logiche in-

novative (ad es.: fair value o full goodwill). La stessa bozza del nuovo

standard sui bilanci di gruppo appena licenziata – Exposure Draft ED

10, tuttora in discussione – si prefi gge di fare maggiore chiarezza sulle

21 Cfr. Bini (2008b, 32).22 Si osservi che nel novembre 2008 lo Iasb ha emanato una nuovissima versione dell’Ifrs 1,

con improved structure, ma in pratica scevra di modifi che tecniche.

Interessenze di controllo

Page 138: Financial Reporting

138

molteplici regole concernenti i consolidated fi nancial statement, divin-

colandole da quelle relative ai bilanci separati (che sole rimarrebbero, in

futuro, nello Ias 27).

Non diversamente, da alcuni anni si può assistere ad un percorso di

ammodernamento anche per quanto concerne le direttive europee in

materia di bilanci societari, con ovvio riverbero nella prospettiva degli

ordinamenti contabili dei Paesi membri. Nei prossimi mesi (com’è noto),

tra i compiti più caldi inseriti nell’agenda del governo italiano vi è pro-

prio quello della statuizione di nuove norme civilistiche delegate tese ad

accorciare le distanze (gap) – talvolta ancora piuttosto ampie per quelle

imprese di dimensioni più modeste (pmi) non obbligate a redigere i bi-

lanci Ias-Ifrs compliant – con gli standard internazionali (nell’attesa degli

Ifrs ‘light’ per le small and medium-sized entity).

Si pensi ad esempio, tra le altre, alla proposta dell’Oic (2008a) di inse-

rire un comma ulteriore all’art. 26 del D.Lgs. n. 127/91, nell’obiettivo

di affrontare il problema del trattamento, in sede di consolidamento,

delle c.d. società veicolo (peraltro, è bene trarre insegnamento – pur

non intendendo entrare troppo nel merito eziologico di talune recenti

grosse crisi aziendali – che una delle più credibili cause dell’improv-

viso crack Enron stava proprio nell’esclusione dal consolidamento

di tali speciali società; il colosso infatti perfezionava transazioni in

perdita i cui risultati venivano esclusi dal bilancio giacché deviati

a svariati veicoli di comodo). Ciò può comportare verosimilmente

una migliore approssimazione tra il perimetro di consolidamento e

il gruppo effettivo (ovverosia le coordinazioni economiche che ef-

fettivamente lo compongono), in ossequio al principio di prevalenza

degli aspetti economico-sostanziali su quelli giuridico-formali e al

principio di signifi catività (anche con l’effetto di ridurre ai minimi ter-

mini eventuali politiche di bilancio o scelte discrezionali dei redattori

e arricchire l’informativa della nota integrativa).

Le problematiche segnalate, in defi nitiva, appartengono specialmente

alla sfera economico-valutativa di analisi; e in ordine ai criteri di volta

in volta introdotti o emendati, non si può qui non rilevare che se da un

lato essi possono essere considerati aderenti a quelle teorie contabili

che nelle loro evoluzioni meglio interpretano la realtà aziendale e i mer-

cati mondiali, dall’altro comportano costi amministrativi addizionali per

le imprese più o meno elevati (per non dire delle presumibili diffi coltà

sul piano dell’aggiornamento e della capacità tecnica – nel senso della

comparazione temporale delle informazioni – per gli user dei bilanci).

Interessenze di controllo

Page 139: Financial Reporting

139

I criteri applicativi di valutazione richiamati, nondimeno, devono essere

oggi governati in modo meditato e conveniente anche alla luce del-

le vieppiù minacciose nubi che incombono dietro alle turbolenze dei

mercati fi nanziari mondiali23; da ciò la necessità – perlomeno in periodi

eccezionali come quello presente, manifestamente dominato da incer-

tezza – di riconsiderare o ripensare il paradigma del fair value (Coronella

2008)24 viste le sue potenzialmente pericolose modalità mark to market,

a benefi cio sia degli approcci mark to model (stima del valore econo-

mico dei pacchetti partecipativi, piuttosto che del valore di mercato ri-

fl esso da depresse o ipervolatili quotazioni di borsa; sulla scia dei nuovi

intenti del Fasb (2008)), sia del meno aleatorio, più rassicurante e perciò

stabilizzante cost model.

23 Si rinvia al documento dell’Oic, “Il fair value e la crisi dei mercati fi nanziari”, emanato nel-

l’ottobre 2008.24 A onor del vero, a quest’ultimo riguardo, l’Organismo internazionale ha adottato – sul

fi nire del 2008 – un provvedimento eccezionale (emendamento allo Ias 39 immediatamente

omologato con Reg. CE 1004/2008) che consente in rare circostanze (come ad esempio in

corso di una crisi fi nanziaria su larga scala) di riclassifi care i titoli detenuti per la negoziazione

(trading o vendita) valutati al fair value con rilevazione di utili e perdite a conto economico (Fair

Value through Profi t and Loss) alla (più rassicurante) categoria dei fi nanziamenti e dei crediti

(LR, Loans and Receivables), invece valutati al costo ammortizzato.

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Page 143: Financial Reporting

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Premessa

I lavori presentati per la pubblicazione potranno evidenziare sia i risultati raggiunti attraverso ricerche empiriche, sia le conclusioni derivanti da ricerche condotte con taglio prevalente-mente deduttivo sulle tematiche che costituiscono l’oggetto specifi co della rivista; in en-trambi i casi, devono essere chiaramente esplicitati gli elementi di novità o di avanzamento delle conoscenze cui il lavoro consente di pervenire.Ogni articolo sarà sottoposto ad un doppio referaggio - che rimarrà anonimo negli archivi di IFAF - da parte di studiosi accademici impegnati nello stesso campo di studio del lavoro presentato e nominati dal Comitato Scientifi co della rivista. Saranno pubblicati solo gli articoli che avranno i requisiti richiesti dalla linea editoriale scien-tifi ca della rivista.

Caratteristiche degli articoli

Gli articoli devono essere presentati in formato word in lingua italiana o inglese.Ogni articolo dovrà avere un titolo e un sommario di tre righe in italiano.I paragrafi dell’articolo dovranno essere indicati con titoli specifi ci, possibilmente numerati ed evidenziati in grassetto.La lunghezza massima degli articoli dovrà essere di 20 cartelle; ogni cartella dovrà essere di 30 righe da 60 battute, corpo 11, preferibilmente in carattere arial.Il fi le dovrà essere nominato con nome dell’autore/i, data e nome della rivista. Esempio: nome autore/i. nome della rivista.10.03.2008.Si consiglia l’utilizzo dello schema di struttura dell’articolo che preveda i seguenti punti:■ Inquadramento del tema, obiettivo del contributo■ Rassegna studi precedenti sul tema■ Defi nizione ipotesi di ricerca ■ Metodologia e descrizione eventuale base empirica utilizzata■ Risultati ottenuti■ Conclusioni, implicazioni teoriche/pratiche, limitazioni ricercaGli articoli presentati dovranno essere completi di un elenco bibliografi co delle opere citate nel lavoro.

Tabelle, grafi ci e formule

Le tabelle e i grafi ci dovranno essere elaborati in fi le specifi ci, in formato excel, e dovranno essere numerati e titolati. All’interno del corpo dell’articolo andrà indicata, la collocazione della tabella o grafi co, con riferimento al numero e al titolo. Oltre al titolo dovrà essere indicata l’eventuale fonte. Il fi le dovrà essere nominato con nome dell’autore/i, data e nome della rivista. Esempio: tabella.nome autore/i. nome della rivista.10.03.2008.Le formule invece andranno lasciate all’interno del corpo dell’articolo.

Istruzioni per gli autori

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Note e riferimenti bibliografi ci

Le note vanno inserite direttamente all’interno del testo.I riferimenti bibliografi ci devono essere lasciati all’interno del testo inserendo nome dell’au-tore, data della pubblicazione e indicazione delle pagine a cui si fa riferimento, come chiave per l’identifi cazione del riferimento bibliografi co completo. Es. Rubini (1953) oppure (Rubini 1953) oppure (Rubini 1953, 68-91). Nel caso di più di due autori, dopo il secondo si può usare l’abbreviazione et al., tutti gli altri autori vanno però citati nei riferimenti bibliografi ci alla fi ne del testo. Quando più opere dello stesso autore sono state pubblicate nello stesso anno, l’anno va contrassegnato dalle indicazioni a, b, c. Es. Cangi (1974a); Cangi (1974b). Questa convenzione dovrà essere seguita anche nel caso di riferimenti bibliografi ci in nota.

Bibliografi a

La bibliografi a - in ordine alfabetico per autore ed in ordine cronologico per le opere citate - dovrà essere inserita dopo il testo e le note, e dovrà uniformarsi ai criteri seguenti:a) Per i volumi: cognome e iniziale/i del nome dell’autore (o nome dell’ente); anno di pubbli-

cazione, titolo in grassetto, luogo di edizione, editore. Per esempio: Bandettini A. (2005), Il bilancio di esercizio, Padova, CEDAM.

b) Per gli articoli tratti da riviste: cognome e iniziale/i del nome dell’autore (o nome dell’ente), anno di pubblicazione, titolo, nome della rivista in corsivo, numero del volume della rivista, numero della rivista, numero della pagina iniziale – numero della pagina fi nale dell’articolo.Per esempio: Guy B. (1987), Le organizzazioni produttive private senza fi ne di lucro, un inquadramento concettuale, Economia Pubblica, vol. 10, n. 4, pp. 60-86.

c) Per gli studi tratti da antologie: cognome e iniziale/i del nome dell’autore (o nome del-l’ente), anno di pubblicazione, titolo dello studio, specifi cazione dell’antologia da cui lo studio è tratto, numero della pagina iniziale – numero della pagina fi nale dello studio. Per esempio: D’Antonio M. (1975), Sul commercio estero, in Graziani A. (a cura di), Crisi e

ristrutturazione nell’economia italiana, Torino, Einaudi, pp. 10-26.Per i lavori non pubblicati: cognome e iniziale/i del nome dell’autore (o nome dell’ente); anno di pubblicazione, titolo del lavoro, ente presso cui il lavoro è stato reperito.

Abstract in lingua inglese

L’autore dovrà predisporre una sintesi dell’articolo in lingua inglese, con relativo titolo, non superiore ad 1 cartella (30 righe di 60 battute), formato word, corpo 11, preferibilmente in carattere arial. Il fi le dovrà essere nominato con nome dell’autore/i, data e nome della rivista. Esempio: abstract.nome autore/i. nome della rivista.10.03.2008

Consegna

Gli articoli dovranno essere spediti via e-mail al Direttore scientifi co, Prof. Alberto Quagli ([email protected]) e, in copia, all’indirizzo [email protected]’autore dovrà indicare oltre all’indirizzo e recapito telefonico, la qualifi ca universitaria o pro-fessionale, nonché l’Università o l’Ente di appartenenza. Inoltre dovrà essere allegata una breve nota informativa bio-bibliografi ca.

L’autore di ogni articolo riceverà 1 copia omaggio del numero della rivista.

Istruzioni per gli autori

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DA OLTRE 25 ANNI L.I.S.M. PROTEGGE IL MALATO E AIUTA LE FAMIGLIE, OFFRENDOSPAZI DI ACCOGLIENZA, SUPPORTO PSICOLOGICO, SERVIZI ASSISTENZIALI.

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Maria Concetta Mattei, giornalista RAI e conduttrice Tg2 fotografata da Cristina Ghergo©

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