Filosofie della solidarietà - Consolato Venezuela in Napoli · Via A. Depretis, 102 - Napoli Tel.:...

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CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR Filosofie della solidarietà 01/2015

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CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

Filosofiedellasolidarietà

01/2015

Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli

Console generale:Amarilis Gutiérrez Graffe

Coordinatrice generale:Marnoglia Hernández Groeneveledt

Testi:Geraldina Colotti, Giuseppe Ferraro, Amarilis Gutiérrez Graffe, Marnoglia Hernández Groeneveledt, Porfirio Hernández, Duilio Medero, Luisa Messina Fajardo, Giovanna Russo

Testimonianze: Michele Fucci, Carmelina Patuto

Testi selezionati:Alberto Acosta, Andrés Bansart, Fernando Buen Abad, José Luis Coraggio, Antoine Fratini, Armando Gnisci, Eduardo Gudynas, Serge Latouche, Alessandra Riccio

Selezione testi:Amarilis Gutiérrez Graffe, Marnoglia Hernández Groeneveledt, Emilia Saggiomo

Traduzioni:Simona Palumbo, Emilia Saggiomo, Fabrizio Verde

Selezione foto: Marnoglia Hernández Groeneveledt, Emilia Saggiomo; foto p.42/44 di Carlos Luis Finol

Fonti: mre.gov.ve, decrescita.it, ilvelino.it, internazionale.it, fundamusical.org.ve, curriform.me.gov.ar, institutopedrogual.edu.ve, banksy.co.uk, patrialetteratura.com, nostramerica.wordpress.com, mdftorino.it, gudynas.com: Acosta, A. / Gudynas, E., El Buen vivir o la disolución de la idea del progreso, in La medición del progreso y del bienestar, a cura di Rojas M., Foro Consultivo científico y tecnológico, México DF, 2011, pp. 103-109; Nuova Costituzione della Repubblica dell’Ecuador, ASUD, marzo 2009; Nuova Costituzione Politica dello Stato, Bolivia, ASUD, marzo 2009, desarrolloamazonico.gob.ec, justiciaambientalcolombia.org

Personale del Consolato Generale dellaRepubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli:

Maria Vittoria Tafuro, Edith Alfonzo, Emilia Saggiomo, Anna Diomaiuto, Gianfranco Sannino, Francesca Diomaiuto, Massimo Rea, Indira Pineda, Giovanna Iovine

Contatti:Via A. Depretis, 102 - NapoliTel.: +39 081 5518159Per scrivere alla redazione:[email protected] Consulado General de la República Bolivariana de Venezuela en Nápoles ConsulVenNapwww.consulvenenap.com

Elaborazione Grafica:Dario Buonanno e Pino Buonanno

Agenzia di Pubblicità:Adek | adekcreative.it

Foto di copertina:Dario Buonanno

S O M M A R I O

EditorialeRivoluzione Culturale della Nostra Americadi Fernando Buen Abad Domínguez

Condividere, insegnare, decolonizzare

Manifesto transculturaledi Armando GnisciFare scuola e inventare il mondo vero. L’esperienza educativa di Simón Rodríguez nel racconto di Walter Kohandi Giuseppe FerraroIl linguaggio della solidarietàdi Marnoglia Hernández GroeneveledtCuba-Venezuela. Maestri e medici in cambio di petroliodi Alessandra RiccioItalia-Venezuela. Solidarietà e scambi culturalidi Luisa Messina FajardoLa parola agli Emigrantidi AA.VV.Dedalo e le radici mitiche del progressodi Antoine FratiniIl programma delle otto R di Serge Latouche

Politiche solidali e buen vivir

L’economia sociale e solidale come strategia di sviluppo nel contesto dell’integrazione territoriale latinoamericana di José Luis CoraggioIl buen vivir o la dissoluzione dell’idea di progressodi Eduardo Gudynas e Alberto Acosta Le relazioni internazionali nella visione del Comandante Supremo Hugo Chávez. Elementi geopolitici, geostrategici e geoeconomici di Amarilis Gutiérrez Graffe I Caraibi. Una sola possibilità di integrazione: la diplomazia dei popoli di Andrés BansartBelligeranza e solidarietà. Nuove identitàdi Duilio MederoVenezuela: l’impegno dei media comunitari e alternatividi Geraldina ColottiIl Venezuela solidale con il mondo nella lotta al cambiamento climatico di Porfirio HérnandezI Sem Terra in Brasile: germogli di un mondo nuovo nei domini dell’agro-businessdi Giovanna Russo

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FILOSOFIE DELLA SOLIDARIETÀ

Il Consolato Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli declina ogni responsabilità circa la correttezza o completezza delle informazioni rese disponibili; inoltre, al di là di possibili affinità o divergenze di pensiero rispetto ai contenuti degli articoli, garantisce ai suoi collaboratori la libertà di espressione della loro personale opinione. Inoltre, la sede diplomatica si riserva esplicitamente la facoltà di sottoporre a revisione e, ove necessario, a correzione i testi tradotti, nonché di sospendere temporaneamente o definitivamente la pubblicazione di un articolo.

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E D I T O R I A L E

Nonostante le monumentali ed eroiche azioni dei Comandanti supremi Ernesto ‘Che’ Guevara e Fidel Castro Ruz, grandi pensatori della rivoluzione cubana e del processo di transizione al socialismo, non sono stati anco-ra pienamente valorizzati in qualità di pensatori, per le loro idee relative al marxismo non dogmatico, applicato alla specifica realtà latinoamericana. Insieme al gigante eterno Hugo Chávez Frías, ai popoli del mondo, sono

i massimi rappresentanti della solidarietà e dell’umanesimo, offrono le basi teoriche, epistemologiche, assiologiche, teleo-logiche al Pensiero Critico Decolonizzato del XXI Secolo, definito ‘Socialismo’, facendo proprio il sogno di Simón Bolívar.

In quest’ordine di idee, si suggerisce un riesame approfondito, del lavoro dell’Università “Alberto Hurtado” del Cile che ha pubblicato un libro eccellente di Maximiliano Figuero e Dorando Michelini, inedito del 2007, la ‘Filosofia e la Solidarietà’, dove la priorità è l’esperienza della filosofia in America Latina e nei Caraibi, in particolare in Venezuela, indicando la tra-sformazione come riconoscimento di ciò che viene giudicato degno di essere pensato nel presente.

Il testo citato si sviluppa partendo dalla concezione della filosofia e della solidarietà, con l’obiettivo di definire la loro rile-vanza sociale e storica. Esempi di tale studio e di diversi dibattiti si riflettono nelle ricerche condotte dai francesi Jacques Derrida, Emmanuel Lévinas, Paul Ricoeur, dai nordamericani John Rawls e Richard Rorty, dal tedesco Karl-Otto Apel, dal belga Phillipe Van Parijs, fino all’argentino Enrique Dussel. Vi saranno di sicuro molti altri che esemplificano e sostengono la Filosofia della Solidarietà.

Al fine di contribuire a diffondere il Pensiero Critico Decolonizzato del XXI Secolo, si raccomanda di approfondire anche il denso processo investigativo di Thalia Fung Riverón, professoressa presso l’Università de L’Avana, alla guida di una nuova disciplina scientifica, che rompe con il pensiero occidentale e rappresenta i popoli esclusi ed emarginati del mondo.

Per quanto concerne il Venezuela si consiglia di verificare tra i centocinquanta articoli pubblicati su aporrea.org dal

La prassi della solidarietà del pensiero decolonizzato«Non esiste pratica rivoluzionaria senza teoria, e viceversa».(Vladimir I. Lenin)

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25/08/06, scritti dal noto ricercatore universitario e coordi-natore delle cattedre di ‘Maestria y Doctorado’ dell’Univer-sità Militare Bolivariana del Venezuela; del corso post-lau-rea in Politica Estera dell’Istituto di Alti Studi Diplomatici “Pedro Gual” del Venezuela, Ernesto Wong Maestre Ph.D, Presidente della Asociación Civil Tricontinental de las Re-laciones Internacionales y Solidaridad.

Allo stesso tempo, e in base a queste considerazioni di soli-darietà, le più recenti pubblicazioni del Ministero del Potere Popolare per la Difesa attraverso la sua rivista Ambito Ci-vico Militar, ragionano sulla solidarietà e l’unità civico-mi-litare del popolo venezuelano, l’invito è quello di leggere e studiare questi interessanti lavori, soprattutto quello di uno dei nostri articolisti e collaboratori della presente pubbli-cazione Amerindia, il dottor Duilio Medero, che ricopre il ruolo di segretario della rivista civico-militare.

In riferimento alle pubblicazioni sul Pensiero Critico De-colonizzato del XXI Secolo, definito il quanto ‘Socialismo’, il professor Franklin González, Sociologo con dottorato di ricerca in Scienze Sociali dell’Università Centrale del Ve-nezuela (UCV), con una vasta esperienza nel mondo acca-demico, già professore presso la facoltà di Scienze Econo-miche e Sociali dell’UCV, Coordinatore Accademico, Capo del Dipartimento Politico e Direttore della Scuola di Studi Internazionale dell’UCV, è autore di diverse pubblicazioni: ‘40 anni di Democrazia, Economia Sociale e Politica 1959-2000’; ‘Parlano i fatti e Parlano i fatti I e II’; ‘Dall’emanci-pazione all’integrazione, la storia di una Patria Grande’. Attualmente è professore in corsi post laurea presso l’Uni-versità Militare Bolivariana, l’Università Centrale del Vene-zuela e l’Istituto di Alti Studi Diplomatici “Pedro Gual”.

Il pensiero filosofico latinoamericano, lungi dall’avere pre-tese di verità rivelata, invita a essere studiato e dibattuto ed ha nella prassi la importante caratteristica di evidenziare la Solidarietà attraverso l’azione e la letteratura scritta, ignora-ta per la sua diversità dall’educazione alienante, borghese, depositaria, contraria ai movimenti educativi il cui princi-pale rappresentante è il pedagogo brasiliano Paulo Freire.

Non si può negare la complessità nel rompere il paradigma egemonico capitalista in termini epistemologici di quello che conosciamo oggi come pensiero eurocentrico in tutti i campi: politico, economico, culturale, ciascuno di essi dagli altri influenzato, da cui sono scaturiti i problemi originari del colonialismo.

L’emergere della Repubblica Bolivariana del Venezuela a partire dal 1999, grazie al Comandante Supremo Hugo Ra-fael Chávez Frías con la sua volontà di rivoluzionare anche l’approccio al pensiero economico capitalista, proprio degli imperi e della concezione del mondo eurocentrica, ha avuto come risultato in ambito continentale americano e regiona-le latinoamericano – caraibico l’istituzionalizzazione della

Filosofia della Solidarietà.

In campo politico il Venezuela del XXI secolo si è dotato di una delle Costituzioni più complete a tutti i livelli nel mon-do, dove il potere costituente appartiene al popolo, risultato della supremazia di questo popolo sovrano che grazie all’a-zione del Comandante Invitto Hugo Rafael Chávez Frías, è stato incluso nel processo costituente, dando vita alla Co-stituzione del 1999, quella definita dallo stesso Chávez “il Libro della Comunità”, il “Popul Vu” (riferito al libro sacro ancestrale dei popoli mayas Quiché).

Esempio di istituzionalizzazione e attualizzazione è il mo-dello di Pensiero Strategico del Comandante Supremo Hugo Rafael Chávez Frías nelle relazioni internazionali i cui elementi geopolitici, geostrategici, geo-economici, ma soprattutto assiologici corrispondono con i significati del suo discorso politico, ampiamente studiato e investigato dall’autrice di questo editoriale.

L’operatività della Filosofia della Solidarietà è continuata con il Presidente Costituzionale della Repubblica Bolivaria-na del Venezuela Nicolás Maduro Moros, e si riflette negli sforzi compiuti dal Venezuela per sradicare la fame e la po-vertà nella regione; testimonianza viva di autentici esempi di solidarietà.

Dimostrazioni di solidarietà in Italia si sviluppano durante tutto l’anno 2015, prima con l’incontro di Napoli di aprile e successivamente con Ravenna - 9,10,11 ottobre 2015- dove si terrà il Terzo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivo-luzione Bolivariana. In questo senso, la solidarietà dei mo-vimenti sociali a sostegno del Venezuela è molto apprezzata dal popolo e dal governo bolivariano di fronte all’escalation di aggressioni imperialiste, culminate nell’Ordine Esecutivo firmato dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che dichiara il Venezuela una minaccia ‘straordinaria e inusua-le’ per la sicurezza nazionale statunitense.

Il decreto riflette la volontà dell’imperialismo statunitense - ma non del suo popolo - di continuare l’aggressione contro il socialismo in America Latina e nei Caraibi. Il presidente costituzionale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Maduro Moros, il suo esecutivo, e il popolo, rispon-dono di fronte al decreto di Obama e al governo degli Stati Uniti, reclamando la la pace fra i popoli.

La Filosofia della Solidarietà rappresenta l’impegno costan-te del Venezuela per la pace, la solidarietà tra i popoli e la ferma convinzione che il Comandante Eterno Hugo Chávez non ha arato nel mare e ha piantato nel popolo venezuela-no, popolo di libertadores, il seme della liberazione, della dignità e della lotta per l’Indipendenza e la Sovranità.

Il presidente Hugo Chávez ha lasciato nel Plan de la Patria 2013 - 2019 i cinque obiettivi storici da perseguire: difende-

re, espandere e consolidare il bene più prezioso che abbia-mo riconquistato dopo 200 anni: l’Indipendenza naziona-le; approfondire il processo di costruzione del Socialismo Bolivariano del XXI secolo in Venezuela, come alternativa al capitalismo selvaggio e con esso assicurare la ‘maggiore quantità di sicurezza sociale, la più grande stabilità politica e la maggior quantità di felicità’ per il nostro popolo; ren-dere il Venezuela una potenza nell’ambito sociale, econo-mico e politico all’interno della grande potenza nascente dell’America Latina e dei Caraibi, per garantire la formazio-ne di una zona di pace nella Nuestra América; contribuire allo sviluppo di una nuova geopolitica internazionale nella quale prenda corpo un mondo multicentrico e pluri-polare dove siano garantiti equilibrio e pace planetaria; contribu-ire alla conservazione della vita sul pianeta e alla salvezza della specie umana.

L’amore e la solidarietà per la Rivoluzione Bolivariana di-mostrato dai gruppi di solidarietà presenti in Italia, alberga in tutti gli attivisti per la pace, nei diversi popoli del mondo vittime della barbarie e del genocidio dell’impero. I movi-menti sociali hanno dichiarato nel loro Incontro di solida-rietà con la Rivoluzione Bolivariana a Napoli che il Vene-zuela non è una minaccia ma una speranza, per il mondo intero. Mentre il Presidente obrero Nicolás Maduro nel suo discorso tenuto in occasione della Marcia Antimperialista in appoggio alla Rivoluzione Bolivariana, tenutasi a Cara-cas il 28 di febbraio 2015, ha ricordato quanto affermava il Comandante Invitto Chávez su Obama, ossia che vi sono due Obama: l’Obama di Chicago, uomo delle lotte sociali, che sogna un mondo diverso, e l’Obama della Casa Bianca, presidente di un impero.

Maduro ha affermato che l’Obama della Casa Bianca si è lasciato mettere in un vicolo cieco rispetto al Venezuela. Chiedendo poi al presidente Obama, in nome di Dio, di rettificare in tempo, perché il cammino che ha intrapreso lo segnerà per gli anni a venire, lo marcherà come accaduto a George W. Bush con il Venezuela, così come è stato per Richard Nixon con il Cile, e per tutti quelli che hanno attac-cato i degni popoli dell’America Latina.

Il Venezuela è una terra di pace e può contare su un popolo e un governo di pace, gli incontri di solidarietà con la Ri-voluzione Bolivariana realizzati dai movimenti sociali ren-deranno visibile al mondo la realtà che si vive in America Latina. A differenza di ciò che viene rappresentato dalla dit-tatura mediatica, dove i mezzi di comunicazione agiscono al servizio del capitale, proprio come fossero partiti politici, giudici, parti in causa, come legislatori che convalidano o invalidano leggi e costituzioni. Il circuito informativo at-tualmente dominante fa circolare pubblicazioni che incita-no alla guerra civile, al colpo di stato, alla discriminazione etnica e razziale; azioni debitamente denunciate dall’illustre giornalista Luís Britto García.

Britto García ha spiegato che i proprietari di canali televisivi ed emittenti radiofoniche, agiscono come un quarto pote-re, nominando e destituendo dirigenti di partito, creando e distruggendo partiti, redigendo strategie e programmi. Ci troviamo di fronte a giornalisti che si autoproclamano lea-ders, padroni che si auto-designano presidenti e crimini che sono presentati alla stregua di eroiche gesta.

In nome della Filosofia della Solidarietà e in risposta alla solidarietà ricevuta dal popolo e dal governo bolivariano proveniente da ogni angolo del mondo, dal Consolato Ge-nerale della Repubblica Bolivariana a Napoli, attraverso il presente numero, ci proponiamo di dare spazio ai seguenti obiettivi dei nostri popoli: Fine del blocco contro Cuba; De-roga del decreto contro il Venezuela; Indipendenza di Porto Rico; Ritiro delle basi militari degli Stati Uniti e della Nato; Rispetto da parte di queste potenze della Dichiarazione che definisce “Zona di Pace” l’America Latina e i Caraibi; An-nullamento del debito non rimborsabile; Denuncia degli accordi di “libero scambio” e degli infami trattati sulla dop-pia imposizione; Esame delle violazioni contro l’ambiente e i diritti umani negli Stati Uniti e in Canada; Ristruttura-zione o dissoluzione dell’Organizzazione degli Stati Ame-ricani e sostituzione con organizzazioni che rappresentino realmente la Nuestra América, rispetto dei modelli d’in-tegrazione e cooperazione dell’America Latina, tra i quali risaltano l’Alleanza Bolivariana per i popoli della Nuestra América (ALBA), il Mercato Comune del Sud (Merco-sur), la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC), l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), oltre a Petrocaribe, il mercato comune per promuovere la produzione sostenibile nella regione, il riconoscimento del Sistema Nazionale dei Mezzi di Comunicazione Pubblici e Alternativi; Smilitarizzazione dei territori d’Europa, Ucrai-na, Asia, Gaza, Iraq, Siria, Afghanistan, Pakistan, Repubbli-ca Centroafricana, Sud Sudan, Mali, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, tra gli altri.

Il Socialismo del XXI secolo lotta per liberarsi dalle catene delle vestigia che ancora sono alla base dell’invasione dell’A-merica da parte di tutti gli imperi che storicamente hanno distrutto la pace nel mondo.

Infine, ringrazio tutti i membri del corpo consolare, i col-laboratori formali e informali, i critici del processo e tutti coloro che ogni giorno credono nel Venezuela. Con l’auspi-cio che il presente numero torni utile per invitare alla par-tecipazione, al dibattito sul pensiero libero, alla prassi della solidarietà, al pensiero decolonizzato e alla disarticolazione dei paradigmi dello status quo oggi dominante nel mondo.

Amarilis Gutiérrez Graffe Ph. D. Console Generale della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Napoli

(Traduzione Fabrizio Verde- Ciro Brescia)

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La Transculturazione deve sperimentare e promuo-vere pratiche critiche di azione transculturale tra i saperi contemporanei allo scopo di produrre una nuova cosmovisione comunitaria attraverso forme

di azione creativa e di salute generale: tra le persone uma-ne, tra generi e tra generazioni, tra le culture; tra le persone umane e le non-umane, tra i viventi e il pianeta abitato da noituttinsieme e il cosmo, di entrambi i quali siamo parte-cipi. Noi crediamo, ma non da soli, che il Multiculturalismo e l’Interculturalità siano due parole-concetti che debbono essere revisionati profondamente nell’Europa occidentale e nell’Unione Europea, dove abitiamo: la prima attraversa una evidente crisi politica, la seconda è una barchetta in balìa mediterranea di una crisi di senso. […] Dal nostro punto di vista transculturale, l’esito della mancata decolonizzazione degli europei da se stessi, dall’essere stati e tuttora esserlo: coloni e padroni. Una richiesta che fu fatta negli anni 50 del XX secolo agli europei da due grandi intellettuali: uno francese e l’altro francofono, della Martinica antillana: Jean Paul Sartre e Frantz Fanon.Le parole-concetti, multiculturalismo e interculturalità, sono state logorate dalla mancata, ma sempre più urgente, decolonizzazione delle nostre menti ancora coloniali […].

Gli europei oggi hanno scoperto di essere razzisti in casa propria. […] I migranti, infatti, arrivano non per conqui-starci e colonizzarci, ma per vivere con noi una vita più giusta e salutare in una nuova comunità transculturale da costruire insieme, in Europa. Invece, continuiamo a rimuo-vere questa “banale” visione coevolutiva. Perché può diven-tare minacciosa. Se continuassimo a pensarla per bene e fino in fondo, infatti, dovremmo arrivare alla presa d’atto che proprio e solo i migranti hanno la capacità di desiderare questa “utopia giusta e concreta”. Anzi, che sono loro oggi portatori di sana umanità e di futuro. Questa scoperta, in-vece che al panico identitario e alla rabbia razzista, dovreb-be portare gli europei a costruire una visione più larga della convivenza tra le genti. Come hanno fatto alcuni piccoli co-muni del Sud dell’Italia, quel Meridione senza meridiano, quella terra senza ora, perché mai è stata la sua ora. […]. Le macchine governative europee non sono capaci di assicura-re ai migranti nemmeno un trattamento da civiltà “borghe-se e illuminata”: nemmeno una “porca politica” [come dice la figlia di Barney a Barney] adeguata a prevedere e a rime-diare difficoltà e conflitti, leggi di polizia e razzismo, carità e solidarietà. Il che significa che non siamo capaci di pensare alcun futuro e tantomeno di preparare una società transcul-turale, insieme con chi la desidera, anche senza saperlo.

Manifesto transculturaledi Armando Gnisci*

La Transculturazione è nata e prospera – come concetto antropologico culturale e come parola comune anche se di origine colta: transculturación e transculturação – nella parte centrale, in quella antillana e in quella meridionale del Mundus Novus delle Americhe. Come nazioni non povere ma impoverite e devastate, e non domate, dal colonialismo europeo e poi da quello nordamericano. La Transcultura-zione aiuta a riconoscere come evidente la storia propria di ogni cultura a ibridarsi con altre culture e a generare nuove forme “creole” e imprevedibili. Così come ci hanno inse-gnato Fernando Ortiz, Oswaldo de Andrade, Aimé Césaire, Frantz Fanon, Édouard Glissant, Walter Mignolo, Roberto Fernández Retamar, Eduardo Galeano, Sub-comandante Marcos, Leonardo Boff e tanti altri. Il pensiero e la pras-si transculturali indicano che ciò avviene nella mutualità dello scambio e nella trasformazione imprevedibile, aldilà della violenza e del comando. In sintesi, riprendiamo una bella figura linguistica proposta da Glissant per indicare il nostro approdo transculturale, “pensare con il mondo”. Se-guendo il movimento latino-americano, vogliamo proporci come coloro che rispondono ad esso dalla parte europea, in contrappunto e in relazione. Noi abbiamo individuato ed articolato l’idea e il progetto della Transculturazione in tre moti, non tanto successivi quanto, invece, contemporanei e coevolutivi: Decolonizzazione, Creolizzazione e Mondia-lizzazione, tutte mutue. Perché possiamo salvarci solo l’un l’altro, come scrisse il filosofo epicureo Filodemo di Gadara. Solo così la nuova poetica dell’Interessere e della Relazione

può sostituire pacificamente, anche se implacabilmente, le marche metafisiche dell’“antico regime europeo”: l’Essere, l’Identità e l’Universalità. Noi pensiamo che queste cate-gorie filosofiche, diventate poi ideologiche e ormai ridot-te a parole fossili, abusate e indegne a dirsi ancora, perché menzognere, siano ancora le potentissime marche delle su-perstizioni della cosmovisione eurocentrica che tuttora go-verna retoricamente le guide politiche e grande parte della “gente” europea, anche se la sua estinzione è già in cam-mino, molto lento. La cosmovisione transculturale e la sua missione pratica e formativa, che è l’azione che sta dentro alla parola transcultura-azione e dentro alla nuova inten-zione del fare insieme, servono a noi europei per decoloniz-zarci, per creolizzarci e per mondializzarci. Il primo passo da fare è proprio la liquefazione e il licenziamento del nu-cleo di ferro del pensiero eurocentrico della modernità: la pretesa che possiamo fare tutto e sempre da soli, in quanto portatori della luce della civiltà superiore. Quel “The White Man’s Burden” dell’Ode di Kipling, del 1898, al quale oppo-niamo il motto cannibale di Oswaldo de Andrade, dal suo “Manifesto Antropofago” del 1928: “Prima che i portoghesi scoprissero i brasiliani, i brasiliani avevano scoperto la fe-licità.” Dobbiamo imparare ad educarci e salvarci insieme con i migranti e con tutte le culture del mondo, che proprio noi abbiamo avviato all’estinzione con la loro “scoperta” e sopraffazione. Tutto ciò non significa affatto la rinuncia all’identità europea, o per dire meglio: la fuga dalla nostra responsabilità storica. Ma significa il nostro voler decidere di ri-educarci, per arrivare a vedere e a riconoscere che ci è offerta, nel XXI secolo, una straordinaria chance per creare un Mundus Novus anche in Europa. […].La Transculturazione è una via per riconoscere e compren-dere per bene […] i fenomeni migratori e sociali del nostro tempo, e per proporre e costruire nuovi statuti del benes-sere individuale e comunitario, condivisi e diffusi. Con le pratiche della “convivenza nella sana umanità” e della “co-evoluzione creativa”, intendiamo fare ricerca e sperimenta-re una revisione della disposizione e della consistenza dei saperi, dei percorsi formativi della scuola e delle pratiche comunitarie, della creatività condivisa. […]

*Critico letterario ed ex docente di Letteratura Comparata (Univer-sità “La Sapienza” di Roma)

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Il figlio è il primo uomo. Albert Camus lascia intende-re questo rapporto nel titolo del suo ultimo romanzo. Non riuscì a completarlo. L’incidente che gli tolse la vita ha forse voluto cancellare le pagine sulle quali si

sarebbe letto il segreto nascosto sulla linea di confine posta tra il mondo e la vita. Una strana sorte, quel libro resta un’o-pera incompiuta. La sua interruzione sarà forse stata non una cancellazione ma il suggerimento che viene da quel segreto, il suo silenzio, quel che non si può mettere in di-scorso né si può formalizzare per indicare. In quel romanzo incompiuto Camus raccontava del suo ritorno. Ritrovava la tomba del padre morto ancora in giovane età. Lesse le date sulla lapide e si ritrovò qualche anno più vecchio di chi è era stato padre. Come un sopravvissuto. Anche Nietzsche visse un’esperienza simile, quando giunse alla quarta par-te della sua Scienza Felice (die fröhlische Wissenschaft), che chiamò “Sanctus Januarius”. Da quell’anno la sua età cominciava a essere maggiore di quella vissuta dal padre. Aveva varcato un limite del tempo proibito, stabilito, quasi assegnato per rispetto della legge del padre. Da quel gior-no Nietzsche racconta di aver sentito di vivere ogni giorno nuovo come un di più. In quella parte della Scienza felice Nietzsche ci ha educato a pensare che ogni giorno è donato, non assegnato, è gratuito, in più, come la vita che viene e che nel figlio è sempre al primo uomo.

INFANZIA E STORIA

C’è un rapporto tra infanzia e mondo marcato da Camus come da Nietzsche, passa dal racconto alla filosofia, e ritorna. Bisogna forse pensare che il rapporto tra infanzia e storia messo in risalto

da Agamben, sia quello che corre tra il figlio e l’uomo, tra la vita e il mondo. Alla fine c’è da convincersi che un uomo raggiunge la sua maturità quando libera la sua infanzia, vi ritorna. Allora è anche più libero di essere e dire quel che gli fu interdetto crescendo. Anche la filosofia raggiunge la sua verità quando diventa racconto e pratica di vita. Mi ri-trovo a pensare un tale rapporto mentre prendo a scrivere di un argomento che parrebbe così distante nello spazio, nel tempo, nei nomi, quando si tratta non del Mediterra-neo dell’Europa, di Camus e di Nietzsche, ma dell’Ameri-ca Latina e di un tempo, questo non così lontano quanto

sono lontani i nomi di Nietzsche e di Camus, che qui vorrei avvicinare a Simón Rodríguez e Walter Kohan, ma dovrei invero aggiungere altri nomi e altre costellazioni di tempo, altri avvicendamenti di una “prima” che sempre ritorna in ogni figlio e in ogni nuovo inizio. L’infanzia è donata. I bambini sono i più vicini all’inizio della vita. Il primo uomo e il mondo com’è all’inizio quando la voce prende parola e ne inventa il suono che la prende e le dà sentimento. Forse tra il suono della voce e il sentire avviene quel passaggio al sentimento, che è come un’eco a ritroso, un riverbero, un sentire concavo, che si esprime nel grandangolo interiore, quando ci si espone, parlando, scrivendo. L’educazione dà forma al sentimento, scandisce il ritmo dell’apprendere se stessi, un tempo singolare, che non passa se non ritornan-do. Il vero ritorna senza lasciarsi chiudere in un sapere che lo imprigiona. Così ritorna il vero amore, la vera amicizia, la libertà. La vita. Il primo uomo ritorna ogni volta. Basta scoprire che siamo tutti, ognuno figli, per non allontanarsi dall’inizio della vita e pensarla come un’origine inafferra-bile. L’inizio è più dell’origine, a meno di non volerle con-fondere e inventare l’una, l’origine, nell’altro, l’inizio, come si può della certezza di una storia e la verità del tempo che ritorna. Gli adulti cercano l’origine perduta, i bambini sono più vicini all’inizio, sulla soglia del mondo. Lo inventano. L’infanzia non è un’età. L’educazione ha a che fare con un tale inizio. Ha a che fare con il desiderio, perché il desiderio si libera, non si soddisfa come una necessità. Il desiderio rende necessaria la libertà.

APPRENDERE DALLO SCHIAVOE DAL BAMBINO

La filosofia conosce questo ritorno di ciò che per-mane; sa dell’infanzia come linea di confine del mondo e della vita; esprime questo confine come un fine comune. Socrate nel Fedone diceva che

la filosofia è come la musica più grande e che la musica è come la filosofia più grande. E nel Menone, quando provò a dare dimostrazione di scuola chiese di uno schiavo nati-vo. La disposizione educativa altera l’esercizio socratico in una configurazione di ruoli di potere, quando diventa “in-segnamento”. Chi deve apprendere è lo schiavo, l’oppresso, il bambino, lungo un percorso che porta al riconoscimento

Fare scuolae inventare il mondo vero

di Giuseppe Ferraro

L’esperienza educativa di SimÓn Rodrígueznel racconto di Walter Kohan

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dello stato dominante del sapere così com’è. Si può però in-vertire e intendere l’educazione come insegnare imparando dallo schiavo, dall’oppresso, dal bambino lungo un percorso che porta allo stato del sapere dominante così come non è. Conoscere è apprendere ciò che non è dato di sapere attra-verso il ritmo proprio del tempo interiore, quello che scan-disce il sentimento dell’animo nella singolarità del vivere.In fondo l’esercizio maieutico di Socrate seguiva questo per-corso. Ogni volta che mi ritrovo a tenere in carcere gli in-contri filosofia c’è sempre qualcuno che interviene per dire “queste cose le sapevamo già, ma non sapevamo di saperle”. Siamo già del tutto immersi nel sapere delle cose che ci cir-condano e che utilizziamo facendo mondo, non basta però sapere bene le cose, se poi non si sa che cosa è bene fare. Sono le scelte che segnano i nostri legami e misurano il gra-do della nostra libertà. L’educazione è liberazione. L’America Latina ha dato il con-tributo più evidente e forte a questo passaggio da Freire an-dando a ritroso a Rodríguez, e avanzando con Kohan. La scuola è politica quando la politica si fa scuola di libera-zione.L’America Latina è come un’officina continua. Non è l’infan-zia dell’Europa dello storicismo hegeliano, bisogna inten-derlo diversamente, il primato dell’infanzia, perché non sia il principio di una storia già vissuta e che ha smarrito il suo inizio. Il primato dell’infanzia è l’invenzione del mondo, quella che Eraclito racchiuse in quel suo frammento, eleg-gendo il bambino a signore dell’“aion”, del tempo tutt’insie-me del mondo intero. È il mondo nuovo che si riscopre in memorie antiche e non vissute, di tradizioni che portano stupore, distese in terre e volti più vicini alla vita.

IL RICORDO E IL DESIDERIO

L’Europa è chiamata a ripensarsi quando pensa alla moltitudine dell’“Amerindia”. Attraversandola s’in-contra mille colori di sentimenti sconosciuti. È un mescolarsi di nostalgie e desideri, di paure lasciate

cadere come pioggia e sole. C’è la nostalgia di un ‘Europa che non è mai stata come è desiderata, c’è da confonder-si nelle discendenze indie e genealogie di storie perdute. Quando penso alla mia amica carioca dal nome di famiglia tedesco, che non conserva traccia di quella lingua, se non nei suoi lineamenti e in quel tratto sconosciuto della voce, mi viene da riflettere su questo intrigo di doppia nostalgia del non stato e del perduto, dell’avvenuto e trovato. Siamo come piante che fioriscono a ogni terra e ne prendono l’o-dore e il colore. L’America Latina produce in un europeo quel ritorno all’infanzia, all’inizio, non di una storia, ma della vita, quel senso dell’impossibile vissuto, dell’invenzio-ne. Ogni desiderio è il ricordo di quel che è accaduto così come non è avvenuto. Ogni desiderio è il ricordo del mon-do così come non è.Walter Kohan ha pubblicato un libro, tradotto di recente in italiano dal titolo programmatico: “Il maestro inventore”, il riferimento è a Simón Rodríguez che resta inseparabile dal nome di Simón Bolívar. Scuola e Re-

pubblica vanno insieme. Walter Kohan racconta Rodríguez in una prospettiva del tutto nuova. Il suo è il racconto di un pensiero che si sviluppa contro l’imitazione, è l’“hacer escuela”, il fare scuola come invenzione ed erranza. Non è un “racconto storico”, al punto che nella sua postfazione Maximiliano Durán, studioso di Rodríguez, ammette di non aver mai conosciuto quel rapporto con l’infanzia che Walter Kohan indica come centrale nella svolta della scuola di Rodríguez segnata dall’incontro con il piccolo Thomas. È, come direbbe Foucault, una fissazione storica.Walter Kohan racconta se stesso nel libro che narra di Ro-dríguez. Parla del rapporto tra scuola e infanzia, di filosofia e infanzia, non come di un’età, ma come dimensione stessa dell’insegnamento. I richiami a Paulo Freire nel libro non mancano, ma più che l’aspetto “sociale” è quello “ideale”, “inventivo” che viene in risalto. Walter è titolare della catte-dra di filosofia dell’educazione alla Universidade do Estado do Rio de Janeiro (UERJ). È conosciuto in tutto il continen-te latino americano, e nel mondo. La sua non è la rimesco-lanza della Philosphy for Children, è diverso, la sua non è l’adattamento della filosofia ai bambini, perché si tratta di un’applicazione dell’infanzia alla filosofia che ne precisa il carattere di “ritorno”. Sempre la filosofia parla del ritorno, perché sempre si applica al presente per non perderlo, ma per trasformalo, inventarlo, quasi un immaginare quel che c’è, un ritornare dove si è come mai si è stati.

INFANZIA E FILOSOFIA

Walter Kohan ha fondato il Núcleo de Estudos de Filosofias e Infâncias (NEFI) uno spazio d’insegnamento e di ricerca che rappresenta un’estensione dell’università alle scuole e al

territorio. Al fondo della sua pratica è “imparare a doman-dare”. Kohan parte dalla disposizione del dialogo socratico come esame di se stessi. Il richiamo a Rodríguez è come ritrovato: Rodríguez è chiamato il “Socrate di Caracas”. In

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ragione certo dell’erranza, del suo continuo viaggiare e di-slocarsi, che ne rappresenta anche la sua maniera d’inten-dere la scuola. Se l’insegnamento deve essere critico non c’è espressione più sapiente della critica che viene dal viaggiare. La critica che si ferma al giudizio si spegne nelle sue affer-mazioni. La critica che sollecita altri orizzonti di esperienza attiva l’immaginazione, che anche in termini kantiani è poi quella che permette di collegare qualcosa ad altro, attivando il rimando, questa volta, però, non inferenziale, ma errante. Agamben distingueva nella sua “infanzia e storia” tra l’avere esperienza e il fare esperienza. Una distinzione che ritorna e che potremmo estendere dicendo del vivere esperienzian-do, andando intorno, errando. «Socrate reinventa la filosofia, attraverso la pratica di inter-rogare gli altri affinché essi mostrino precisamente il valore della vita che vivono. Vale a dire che Socrate toglie la filoso-fia dalla scrittura di testi, dove è nata, per situarla nell’am-bito della parola parlata con altri» leggo alla pagina 128 del suo libro. Rodríguez scrisse molto, non fu come Socrate che lasciò che altri scrivessero di lui, ciò che dobbiamo intende-re nel modo che la filosofia è la scrittura della voce, come può essere uno spartito per la musica, com’è il Parmenide di Platone, il dialogo più difficile da comprendere, perché è come il canone sul quale ogni dialogo si scrive. La scrittura è la traccia della voce. Invita a leggere ogni testo di filosofia secondo la filologia della voce di chi legge. La scrittura è un invito della voce a modularsi, invitare e inventare sono così vicini da far pensare che ogni invenzione è invitazione. «È necessario vivere filosofando, cioè esaminando sé stessi e gli altri» si legge nell’Apologia di Socrate (28e), che Walter Kohan ripete nel suo testo. Kohan pratica il “domandare” nel rimando costante del domandarsi e chiedere, esaminando se stessi e riflettendo quel che altri rispondono domandando a propria volta. La pratica di Walter è di attesa, di attenzione e meraviglia, una pratica di ascolto e del lasciarsi sorprendere da quel che l’al-tro, gli altri, fanno immaginare di quel che sa e si viene a sapere di nuovo.Kohan mira alla pratica socratica di “logos” ed “ergon”, e in questa pratica trova due maestri, Rancièr, che ha inteso la sua azione d’insegnamento come “maestro ignorante”, e Rodríguez la cui pratica, Kohan indica come “maestro in-ventore”.

REPUBBLICA E SCUOLA

Educare a pensare. Questo alla fine resta il principio che guida ogni altro. Pensare non è imitare. Pensa-re è inventare, immaginare, vivere. «La memoria diventa qualcosa che ha a che fare con la rottura

con il passato e l’invenzione di un presente che il passato non può anticipare» leggo a pagina 94. Appena dopo Walter Kohan richiama il detto di Manoel de Barros che fa ricorda-re Rodríguez: «tutto quello che non invento è falso».L’infanzia è viaggio, è erranza e invenzione. Rodríguez viag-giò molto nella sua vita e fu in viaggio che ritrovò anco-

ra Bolívar, il quale ebbe a scrivere al fratello di Rodríguez «Credimi, caro amico, tuo fratello è il miglior uomo del mondo, ma dal momento che è un filosofo cosmopolita, non ha patria, né casa, né famiglia, non ha nulla» (Lettera di S. Bolívar a Cayetano Carreño, Cuzco, 27 giugno 1825). Furono due viaggiatori. Concepirono la vita stessa come un viaggio, sentendo la presenza vitale dell’altro come necessa-ria, improrogabile, essenziale. «Si parla di Rodríguez come del maestro di Bolívar più di quanto non si parli di Bolívar come discepolo di Rodríguez, anche se i due legami han-no una forza simile. Nonostante questo legame profondo, entrambe le loro vite possono essere viste separatamente, in quanto hanno una densità esistenziale che non si riduce alla presenza dell’altro e che, senza negare questa presenza, la eccede e va oltre. Così come esiste un Bolívar al di là di Rodríguez, così esiste un Rodríguez al di là di Bolívar, tanto che, quando si insiste a puntualizzare che egli è stato il mae-stro del Libertador, si relativizza l’importanza di Rodríguez, che lo è stato certamente, ma fra molte altre altre cose», leg-go alle pagine 58/59.Ho avuto modo di conoscere Walter Kohan, ed è stato come conoscersi da sempre e vivere la stessa ricerca, lo stesso esame e la stessa vita da un’altra parte, che coincide, per entrambi, con quella interiore. In viaggio, inventando il mondo come non è, nella pratica di “bambini in filosofia”, distante da ogni adattamento formativo che fare dei bam-bini degli “ogm” del pensare, ma cercando piuttosto di chi capire che ne è della filosofia e del sapere quando lo incon-trano i bambini e si restituisce nell’infanzia di ogni uomo. La filosofia educa a questo rimando di vita in vita, educa alla somiglianza. C’è come una tradizione orale che corre sotto la linea della storia dei nomi dei filosofi. Ed è una tradizione corporea, perché la voce è ancora corpo. Quel “di nuovo” che insegna la fenomenologia si può intendere come di se ognuno sia il fenomeno della vita che si dà in nuovi volti e voci. Bisogna saperlo, apprenderlo, inventarlo, cioè incontrarlo.

PROGETTI DI SOMIGLIANZA

Di voce ci si somiglia, i figli hanno la stessa voce dei padri. Poi però vanno per altre strade, si tro-vano in altri paesi e apprendono altre lingue che modulano diversamente quella voce. Non sarà

più la stessa. La lingua di un paese è come una pelle che prende il suo colore, la sua grana di voce, diceva Barthes. Non è difficile cogliere il rapporto tra la vocazione di un luogo e le voci di quelli che lo abitano nella somiglianza nei gesti, nell’andatura, nelle posizioni. Il padre riconoscerà forse ancora la voce del figlio in un’altra lingua, la ricono-scerà la madre, si somigliano gli amici. Il sapere si passa per desiderio ed è sempre l’altro il proprio desiderio, quello di essere altro, di diventarlo, senza perdere se stessi, sen-za perdere la vita, per sapore, per assimilazione, per somi-glianza ancora. SimónRodríguez e SimónBolívar finirono per avere lo stesso nome. Si somigliano. SimónRodríguez fu

CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE

Samuel Robinson, ed era Carreño nel cognome di famiglia del padre, divenne poi Rodríguez scegliendo il cognome di famiglia della madre. Le somiglianze si scelgono quando si apprende. C’è un richiamo esplicito tra la somiglianza ma-nifesta nel corpo e la metempsicosi per l’anima, insieme sono i lati entro i quali si dà la reminiscenza che non è la memoria della ripetizione, ma la memoria che s’inventa nel desiderio di un mondo così come non è. Alla fine ci si somiglia per desiderio della vita, per “conatus” stando all’espressione di Spinoza. Ci si somiglia per deside-rio stando all’imparare che viene dal gesto di un maestro che insegna a desiderare quando espone il sapere che lo entusiasma. Walter Kohan conosce questi passaggi, il suo nome è già segno di una trasmigrazione per erranza da un paese di origine a un nuovo inizio. La sua voce è argentina nella lingua brasiliana. Rodríguez errò molto per l’Europa. Credo che sia come una vocazione propria suggerita dal continente che chiamiamo latino americano.

LA SCUOLA DEL PICCOLO THOMAS

Rodríguez innestò nel cuore del Venezuela la tra-dizione dell’Illuminismo europeo, la stagione più attenta allo sviluppo dell’educazione, da Kant a Rousseau a Voltaire, al punto che si potrebbe

anche ammettere che “illuminismo” sia “educazione” ov-vero quella “uscita dallo stato di minorità”, come si dice, e perciò un essere condotto-fuori-da, come vuole la parola “e-ducare”. L’illuminismo rappresentò un’opera di cultura e di civilizzazione. Fu il tempo in cui si costruivano insieme la Scuola e la Città. Sarà stato per questo che il racconto ricorrente in quel tempo fu il mito del selvaggio, il giovane “inventato” della foresta, come ancora nel film di Truffaut, L’enfant sauvage, l’estraneo alla civilizzazione, il mondo della natura. La formazione e l’istruzione illuminista, la scuola e la città, hanno quel punto d’inizio, raccontano di quel principio. L’illuminismo propone l’educazione come romanzo di formazione. Quello di Rodríguez è un raccon-to. Walter Kohan lo racconta. E ancora è un selvaggio, un escluso, un bambino questa volta, Thomas è il suo nome. È sfuggito a tanti che hanno studiato le pagine di Rodríguez e il suo “hacer escuela”, fare scuola. Thomas era il bambi-no nero incontrato quel giorno. Rodríguez prese a gioca-re, come un bambino egli stesso tra i bambini. Il cappello lanciato per gioco finì in alto sul balcone di chi non voleva essere disturbato come padrone di quel luogo. Ogni tenta-tivo di riprendere il cappello fu vano, era troppo alto e non c’era una scala. Fu Thomas a suggerire di farsi scala salendo uno sull’altro. Chi quel giorno insegnava giocando, Rodríg-uez, dovette apprendere dal bambino come fare del gioco un sapere. Walter Kohan rende quell’episodio come l’inizio di un modo diverso di fare scuola e della relazione insegnante. Questa volta il percorso è inverso alla tradizionale “dispo-sizione formativa”.

LA SCUOLA BOLÍVARIANA

La Scuola non indica un edificio, certo si svolge in un luogo. Scholé dal greco indica però un tempo so-speso da quello corrente, indica un tempo proprio interiore. Scuola è la costruzione del proprio tem-

po interiore, del proprio apprendere e pensare, errare, in-ventare, prendere coscienza di sé, farsi anima, darsi animo, sapere. I latini tradussero “scholé” con “otium”, dovremmo pensare a tradurla come “gioco” ovvero di un tempo libero dal tempo capace perciò d’inventare un tempo nuovo, come non è mai stato prima, com’è ogni amore.La scuola Bolívariana assume questo a suo principio, si trat-ta di una relazione, di un corpo a corpo, non di uno sche-ma rigido. È stato Gregorio Valera Villegas dell’università Central del Venezuela ha insisto tanto perché Walter Kohan scrivesse di Rodríguez. L’impegno è sulla Scuola Bolívar-iana. Gregorio Valera Villegas ne è entusiasta. In Venezuela la scuola Bolívariana ha dato impulso all’istru-zione coniugando insieme istruzione e formazione, civiltà e cultura, affrontando la difficoltà dell’evasione scolastica cambiando le condizioni della scuola in un luogo di ospi-talità, dove vincere la povertà, soddisfare il bisogno e avere cura del desiderio. Quando i luoghi diventano istituzioni certamente soffrono di una memoria ripetitiva che cancella l’invenzione e l’erranza, il pensare e sapere. Allora si perde il rapporto tra il ricordo e il desiderio. L’uno spegne l’altro nella ripetizione e imitazione di uno standard, di una clas-sificazione, di una numerazione. Poi arriva immancabile la globalizzazione in forma di misura di valutazione OCSE e PISA, che certificano un allineamento di base che taglia fuori ogni eccezione stabilendo di fatto uno scarto inaccet-tabile tra la “scuola d’eccellenza” e la “scuola eccezionale” come sono le tante scuole dove è difficile rispettare il cur-riculum formativo standard ma dove si possono inventare relazioni di apprendimento e nuove forme di sapere. L’isti-tuzione è un po’ come i significati, arrivano tardi sulle cose che significano. Le perdono quando le hanno fissate. L’in-venzione è l’eliminazione di ogni fissazione. C’è un rapporto tra il ricordo e il desiderio. Il desiderare è come ricordare quel che è non è avvenuto in quello che è accaduto e inven-tare così il presente perché imparare e vivere siano lo stesso. Tutto questo è possibile quando le persone non diventano il proprio ruolo, quando s’interrogano e vivono cercando, errando, inventando quel che c’è perché non manchi di quel che è la vita del suo fine. La mia esperienza nei paesi dell’America Latina è fatta d’in-contri e di “progetti di somiglianza”. È l’esperienza d’incon-tro e di progetto con Walter Omar Kohan, con Gregorio Valera Villegas, con tanti che vivono errando nella scuola dell’invenzione della libertà.

*Docente di Filosofia Morale, Etica dell’Ambiente, Etica Sociale (Università “Federico II” di Napoli) e direttore della Scuola di Filosofia Fuori le Mura

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Il Linguaggio

Il Primo Dio del popolo guaraní emerse dall’oscurità, illumi-nato dai riflessi del suo stesso cuore, e creò le fiamme e la nebbia sottile. Creò l’amore, e non aveva a chi darlo. Creò il linguaggio, ma non c’era nessuno che potesse ascoltare. Al-lora incaricò le divinità di costruire il mondo e di occuparsi del fuoco, della nebbia, della pioggia e del vento. E gli affidò la musica e le parole dell’inno sacro, affinché dessero vita a donne e uomini. Così l’amore si fece comunione, il linguaggio prese vita e il Primo Dio si salvò dalla sua solitudine. Lui accompagna gli uomini e le donne che camminano e cantano: siamo già in cammino su questa terra, siamo già in cammino su questa terra lucente.

Memorie del fuoco I, Le Origini, Eduardo Galeano

Era l’arte delle Muse per i Greci, utile ad ammansire le fiere, secondo un detto popolare; per Beethoven era più grande della filosofia e della saggezza, e se-condo Nietzsche la vita senza di essa sarebbe un

errore; per il Maestro venezuelano José Antonio Abreu, è uno strumento per seminare valori positivi. Ed effettiva-mente la musica è un elemento che suscita sentimenti spez-zando le barriere linguistiche e unendo popoli interi.

Molti studi sostengono che la musica ha poteri curativi: negli ospedali può contribuire alla guarigione dei pazienti; inoltre è d’aiuto nei processi cognitivi: è stato dimostrato che i bambini regolarmente applicati in attività musicali mi-gliorano il loro rendimento scolastico. La musica è anche strumento di solidarietà, come l’esperienza venezuelana ha confermato.

In Venezuela, infatti, il Sistema Nacional de Orchestre y Coros Giovanilees e Infantiles viene fondato nel 1975 dal Maestro Abreu con la finalità di utilizzare la musica come

strumento di organizzazione sociale e di sviluppo umano . È il modello pedagogico, artistico e sociale che il Venezue-la ha deciso di esportare nel mondo intero, essendo con-siderato come un modello riferimento. Il Progetto Abreu è rappresentato dalla Fundación Musical Simón Bolívar, ente ascritto al Ministero del Potere Popolare dell’Ufficio di Presidenza e Osservazione dell’Azione di Governo della Re-pubblica Bolivariana del Venezuela. Questo progetto è de-dicato in particolare a bambini e adolescenti provenienti da strati sociali di scarse risorse economiche per allontanarli dalla vita di strada. Questi bambini frequentano i corsi sei volte a settimana, fruiscono di lezioni di arte, di repertori di musica classica e popolare. Attualmente, circa mezzo mi-lione di bambini è distribuito in 285 orchestre per la prima infanzia, 220 orchestre infantili, 180 orchestre giovanili, 30 orchestre professionali, 360 gruppi corali, 1355 gruppi co-rali associati e 20 laboratori di liuteria con 15.000 maestri. Inoltre, il Sistema dispone di programmi sociali come l’Or-chestra Penitenziaria e il programma di Assistenza Ospeda-liera, tra gli altri.

Il Venezuela ha esportato il suo programma in più di 35 Paesi che oggi, incoraggiati dai risultati del Sistema, si sono ispirati al suo programma di insegnamento musicale per adattarlo alle loro specifiche realtà. Il successo del proget-to Abreu risiede nell’utilizzo della filosofia dell’orchestra e del coro come schema di società. I cori e le orchestre sono piccole comunità dove si inculcano i valori etici, spiritua-li ed estetici, e gli atteggiamenti positivi. I bambini, futuri musicisti, coltivano l’autostima e imparano a socializzare in un contesto di comunità, imparando necessariamente a la-vorare in gruppo per raggiungere gli obiettivi e l’eccellenza. Si esercitano tolleranza e solidarietà, e una cultura di pace.

Il Venezuela ha cambiato il paradigma dell’insegnamento musicale: abitualmente i bambini dovevano studiare per di-versi anni in un conservatorio per arrivare a poter scegliere

Il linguaggio della Solidarietàdi Marnoglia Hernández Groeneveledt*

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di entrare in un’orchestra. Il Sistema Abreu ha dimostrato che i bambini a tre anni possono iniziare a fare pratica in un’orchestra, e in modo gratuito. Quando i bambini entrano a far parte dei nuclei della Fundación gli viene dato subito uno strumento e in quello stesso momento iniziano i loro corsi: invece con il metodo tradizionale i bambini vanno per tre anni a lezione di solfeggio ed educazione musicale prima di iniziare il loro primo strumento. Questo metodo rivoluzionario, apprezzato nel mondo intero, ha permesso ai bambini di realizzare un processo di apprendimento più agile e anche condivisibile fin dalla tenera età con altri bam-bini nell’esperienza collettiva dell’orchestra. Inoltre, grazie al metodo Abreu, si è smesso di etichettare la musica classi-ca come elitaria, rendendo il piacere della musica da camera un piacere di tutti, senza distinzioni sociali.

Dall’arrivo della Rivoluzione Bolivariana tutte le espressioni culturali venezuelane hanno ricevuto grande sostegno dal-lo Stato venezuelano. Nel 2007 il presidente Hugo Chávez Frías istituisce la Misión Música, per consolidare il Sistema Nacional de Orchestre y Coros Infantiles y Giovanilees del Venezuela con l’obiettivo di incrementare il numero di stu-denti nel sistema; è del 2014 la fusione, voluta dal presiden-te Nicolás Maduro Moros, della Misión Música con altre missioni educative, per darle un maggior peso nell’ambito della formazione pedagogica. Si auspica che nel 2019 il nu-

mero di immatricolazioni del Sistema arrivi al milione. E se parliamo di numeri, il Venezuela possiede più orchestre infantili e giovanili di Austria e Germania messe insieme. Ma un dato ancora più sorprendente è che solo nel mese di febbraio 2015, nell’ambito del 40° Anniversario del Sistema, sono stati realizzati dagli studenti 600.000 concerti all’in-terno di aeroporti, mercati, ospedali, registri civili, case di cura, piazze, e nei mezzi pubblici, di tutto il territorio ve-nezuelano.Le orchestre della Fundación Musical Simón Bolívar sono diventate delle ambasciate della cultura del Venezuela nel mondo. L’esperienza venezuelana continua a ispirare centi-naia di persone nell’utilizzo della musica come strumento per forgiare valori. Il popolo venezuelano vuole condivide-re la sua cultura di pace e di solidarietà con i popoli amici attraverso il potere immenso della musica, quello che riesce a rompere qualsiasi tipo di barriera e che diede vita ai primi uomini d’America.

Traduzione di Emilia Saggiomo

*Console aggiuntoResponsabile Cultura e StampaConsolato Generale della Repubblica Bolivarianadel Venezuela a Napoli

IL SISTEMA COMPRENDE 25 GRUPPI:

ORCHESTRE:- Orchestra Sinfonica Giovanile de Carabobo- Orchestra Afrovenezuelana Simón Bolívar- Orchestra Barocca Giovanile Simón Bolívar- Orchestra Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela- Sinfonica Giovanile Teresa Carreño del Venezuela- Sinfonica Giovanile di Caracas- Orchestra Sinfonica della Gioventù Francisco de Miranda- Orchestra Nazionale di Fiati del Venezuela- Orchestra Latino Caraibica Simón Bolívar- Orchestre Sinfoniche Penitenziarie- Orchestra Giovanile e Infantile Alma Llanera dello Stato Guárico- Orchestra di Rock Sinfonico Simón Bolívar- Sinfonica Nazionale Infantile del Venezuela

BANDE MUSICALI:- Banda Sinfonica Giovanile Simón Bolívar- Simón Bolívar Big-Band Jazz

ENSAMBLE:- Ensamble 7/4- Ensamble di Ottoni Carabobo- Ensamble di Ottoni del Venezuela

GRUPPI MUSICALI DA CAMERA- Quartetto d’Archi Simón Bolívar- Quartetto Libertadores- Quartetto Teresa Carreño- Quartetto Yaracuy

CORI:- Coro Manos Blancas- Corale Nazionale Giovanile Simón Bolívar del Venezuela- Cori Penitenziari

GUSTAVO DUDAMELLa passione musicale del dinamico direttore d’orchestra Dudamel continua a entusiasmare un pubblico eterogeneo, di ogni fascia d’età, e in tutto il mondo. Attualmente è il direttore d’orchestra del-la Sinfonica Simón Bolívar del Venezuela (OSSBV) e della Filar-monica di Los Angeles (LA Phil), e l’impatto della sua leadership musicale è riconosciuto nei diversi continenti. Sebbene il suo im-pegno come direttore d’orchestra negli Stati Uniti e in Venezuela assorba la maggior parte della sua agenda annuale, Dudamel viene spesso invitato a dirigere alcune delle più prestigiose orchestre del mondo.

DIEGO MATHEUZGiovane direttore e violinista venezuelano, formatosi grazie all’ormai noto Sistema Nazionale di Orchestre e Cori Giovanili e Infantili del Venezuela, è considerato tra i talenti della direzio-ne d’orchestra più promettenti d’America. Dal 2009 è il direttore principale invitato dell’Orchestra Mozart e da settembre 2011 il principale direttore del Teatro La Fenice di Venezia. Nel 2013 è stato nominato direttore musicale associato dell’Orchestra Sinfo-nica Simón Bolívar del Venezuela e direttore principale invitato della Sinfonica de Melbourne, Australia.

JESÚS ALBERTO PARRASenza abbandonare gli studi di viola, questo giovane talento (nato nel 1994 a La Victoria, nello Stato di Aragua in Venezuela) si è concentrato con rigore e costanza sui suoi studi di direzione, do-vendo la sua intera formazione alla Scuola di Direzione d’Orche-stra del Sistema Nazionale d’Orchestre e Cori Giovanili e Infantili del Venezuela. Di recente ha partecipato al Festival di Giovani Direttori, guadagnandosi elogi per la sua direzione della Sinfonia nº 5 in mi minore di Tchaikovsky con la Sinfonica Giovanile di Caracas (SJC), di cui pure è membro.

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Quando ha cominciato a brillare la stella del nuo-vo presidente del Venezuela, Hugo Chávez, gio-vane, energico ex militare, autore di un fallito colpo di stato contro l’insopportabile catena di

corruzione e di abusi del potere, e con il suo arrivo al gover-no di quel paese la costruzione di stretti legami con il Go-verno rivoluzionario di Cuba, si è levato un coro di sciocchi commenti su un’improbabile “colonizzazione” del grande e ricco Venezuela ad opera della piccola isola caraibica. Fra gli esili argomenti sbandierati da quanti vedevano di mal occhio il riavvicinamento dei due paesi che pure si affaccia-no sullo stesso mare, hanno tanta storia in comune e par-lano con gli stessi accenti, ve n’è uno che mi è sempre parso inconsistente. A seguito della caduta del Muro di Berlino e di tutto il campo socialista, compresa l’Unione Sovietica, Cuba si trovava nella drammatica circostanza che prese il nome di “periodo especial” e che costrinse la popolazione ad enormi sacrifici per la mancanza di prodotti industriali e di materie prime. La più necessaria fra tutte era il petrolio. Fu naturale, a mio parere, che il paese vicino, uno dei più grandi produttori di petrolio al mondo, offrisse un prezzo speciale ai suoi vicini e garantisse la fornitura. Cuba, da par-te sua, aveva da offrire – e lo fece con gratitudine ed entu-siasmo – personale sanitario e maestri, una merce che scar-seggiava nel Venezuela di Carlos Andrés Pérez, di Rafael Caldera e compagnia. Con l’aiuto fondamentale dei cubani, partirono le “Misiones”, a cui venne affidato il compito di trasformare il paese dal basso, garantendo salute e istruzio-ne anche ai più diseredati. Questo scambio – equo e solidale – suscitò scandalo perché (era questo il commento) il pe-trolio ha un valore molto superiore a quello di un maestro. Un’affermazione davvero superficiale e che può essere con-cepita solo all’interno di una mentalità neoliberista in cui l’unico, vero valore è il denaro.

Chávez non era di questo parere e meno ancora Fidel Ca-stro, animatore della grande campagna di alfabetizzazione su tutta l’isola. A quella campagna ormai mitica, aveva pre-so parte una giovane provinciale di appena 13 anni, Leone-la Inés Relys che nel 1961 entrava a far parte della Brigata Conrado Benítez, in ricordo del giovane alfabetizzatore barbaramente ucciso dai contro rivoluzionari. Da allora, Leonela ha dedicato la sua vita all’insegnamento e, in par-

ticolare, all’alfabetizzazione degli adulti. Il suo tirocinio sul campo è stato sempre accompagnato da uno studio ininter-rotto che le ha permesso di accumulare titoli accademici e perfino esperienze di docenza universitaria, ma la sua voca-zione è stata sempre quella di consentire ai più diseredati di abbandonare il buio dell’analfabetismo per acquisire quegli elementari e indispensabili saperi che consentono di infor-marsi e di poter accedere al diritto al voto e alla consape-volezza della propria cittadinanza. Per far questo, Leonela ha speso le sue competenze nel Ministero dell’Educazione, ha contribuito a formare alfabetizzatori come Preside della Facultad Obrera y Campesina. Fra il 1999 e il 2001, è stata incaricata di preparare e orga-nizzare l’alfabetizzazione via radio per la vicina Haiti, pa-ese disgraziatissimo e miserrimo, verso il quale Cuba e il Venezuela hanno avuto una particolare attenzione sia nel campo medico che in quello educativo. Ad Haiti si parla il creolo e non lo spagnolo, questa complicazione ha reso necessario uno studio particolare per alfabetizzare in que-sta lingua oltre ad obbligare a conoscere un paese rimasto sempre ai margini. In questa impresa, Leonela conferma la sua convinzione che analfabetismo e povertà vanno a brac-cetto e, per questa ingiustizia, ancora poco prima di morire, continuava a commuoversi, decisa a fare di tutto per i più diseredati.L’esperienza di Haiti è stata il punto di svolta; durante que-sta impresa ha messo a punto una dispensa piccola e non costosa dal titolo stimolante e ottimista di “Yo sí puedo”, io posso. La sua intuizione del rapporto fra numeri e lettere, derivante dalla costatazione che gli analfabeti, spinti dalla necessità, sapevano contare, la portò ad intuire che, andan-do dal noto all’ignoto, dal numero alla lettera, avrebbe otte-nuto i risultati a cui aspirava. Aveva notato che, anche i più indigenti usavano il telefono cellulare e si districavano su tastiere che associavano, p. es., il numero due con le lettere A,B,C. Fidel Castro ha intuito ben presto l’importanza del metodo che Leonela stava impostando; ricordava bene che i contadini di Biran, il suo villaggio natale, associavano il valore numerico dei biglietti di banca con l’immagine im-pressa. Hugo Chávez si unì subito al suo entusiasmo e cosí,insieme come tante altre volte, questi due capi di stato han-no offerto alla tenace maestra l’imprescindibile appoggio dello stato. Ormai il metodo “Yo sí puedo”, gira per tutto

Cuba-VenezuelaMaestri e mediciin cambio del petroliodi Alessandra Riccio*

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il mondo in quechua, in creole, in aymara, in swaili, ecc. Sono 533.000 le persone che in questo momento prendono lezione, con l’ausilio degli audiovisivi.Leonela è morta a gennaio (2015), è vissuta in modo sem-plice, dedicata al lavoro; ha messo la sua intelligenza e la sua sensibilità al servizio dei meno favoriti dalla sorte e ha

trovato in Fidel Castro e in Hugo Chávez due capi di stato impegnati per il progresso dei propri cittadini e convinti dei diritti di tutti.

*Docente (Università “Orientale” di Napoli) e condirettrice della rivista Latinoamerica

Il metodo didattico creato dalla professoressa cubana Leonela Inés Relys Días, nato ufficialmente nel 2001 e inizial-mente sperimentato con successo a Cuba e ad Haiti, parte dalle più semplici cognizioni umane, come la conoscenza dei numeri e le principali lettere dell’alfabeto. Diffuso in oltre 30 paesi grazie a maestri cubani, finora il metodo ha liberato dall’analfabetismo più di 3 milioni e mezzo di persone (2002-2015). Le aree d’intervento sono state: in America Latina, con Messico, Nicaragua, Hon-duras, El Salvador, Paraguay, Haiti, Repubblica Dominicana, Colombia, Bolivia, Brasile, Ecuador, Perù e Argentina; in Africa, con Nigeria, Guinea Bissau, Mozambico e Sudafrica. Inoltre il metodo è stato applicato anche in Oceania, con la Nuova Zelanda, e a Siviglia, come prima esperienza del programma in Europa. Del procedimento educativo esistono versioni in spagnolo, portoghese, inglese, creolo, quechua e aymará; anche nel sistema braille per non vedenti ed ipovedenti.Per la lotta contro l’analfabetismo è stata istituita dal Governo Bolivariano in Venezuela la Misión Robinsón, una collaborazione cubano-venezuelana. Inoltre l’Istituto Pedagogico Latinoamericano e Caraibico di Cuba (IPLAC) è stato premiato dall’Unesco in riconoscimento all’efficacia del metodo di alfabetizzazione “Yo sí puedo” anche in contesti etnici e linguistici eterogenei.

“YO SÍ PUEDO”: ALFABETIZZARE IL MONDO

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L’atteggiamento solidale tra Italia e Venezuela sus-siste da secoli: basta ricordare che già i nostri antenati indipendentisti sentirono la necessità di conoscere il “belpaese.” Miranda e Bolivar visita-

rono l’Italia; ad essa si ispirarono per caricarsi di energia e continuare con maggior forza il loro progetto di libertà nazionale (o continentale) e di indipendenza anticoloniale. Miranda viaggiò in l’Europa, con l’idea di studiare le isti-tuzioni delle nazioni più istruite, in modo da ottenere in-formazioni necessarie che potessero favorire il suo paese . Naturalmente furono tre i viaggi che intraprese Bolivar in Europa e che portarono al succedersi dei propri eventi e di quelli dell’intero continente.Oggi, possiamo dire che quegli ideali degli indipendentisti americani servirono a suscitare anche in Italia quel senso di libertà che più tardi avrebbe dato origine all’Unità d’Italia ed al “Risorgimento Italiano.” A questo proposito possia-mo ricordare, come afferma Astuto (2014: 33) :

Risale all’esperienza americana l’adozione di un modello che poi Garibaldi cercherà di applicare in Italia, con i dovuti compromessi, nel corso del processo di unificazione.

D’altra parte, risale a molto tempo fa la presenza dei pri-mi italiani in Venezuela, uomini e donne, che decisero, per motivi diversi, di stabilirsi nella nostra Terra e qui si mol-tiplicarono .Le relazioni con l’Italia, con l’Europa, hanno contribuito ad arricchire, come succede in tutti i processi interculturali, quell’eredità culturale già fiorente nel nostro Paese. Il risul-tato di questo incontro culturale si manifesta in una serie di

aspetti che descriveremo in seguito.Come affermava lo storiografo ed ecologista R. P. Thomas Berry , l’essere umano è predisposto biologicamente ad es-sere preparato culturalmente. La cultura è un adattamento all’ambiente e l’ambiente impone degli obblighi.Si tratta di un fenomeno naturale, sorto grazie ad un forte sentimento di solidarietà che ha riempito da sempre l’anima del paese venezuelano ed italiano. Una solidarietà che Alejo Carpentier fa diffondere nei paesi latino-americani.Solidarietà che ha contribuito all’accrescimento degli ítal-o-venezuelani , o ‘venezoítalos’ ( permettetemi di creare questo neologismo in quanto ritengo che il contenuto se-mantico sia più fedele a quel valore culturale che lo sostenta ), sia dal punto di vista culturale e, ancor di più, umano.È una solidarietà che porta non solo il il nostro paese ,il Venezuela, ad amare l‘Italia, la patria dei nostri antenati, la terra che ci ha accolti e che ancora ci aiuta a crescere, ma si tratta anche di un sentimento di solidarietà profondo che si dilata e si manifesta in tutta l’America Latina e in tutta l’Africa, anch’essa terra di antenati.

I fatti storici, sociali, politici hanno modificato lo spagnolo parlato in Venezuela. Gli immigranti hanno diffuso libera-mente la loro lingua e cultura e lontano dal mettere in peri-colo l’unità linguistica, l’hanno arricchita con un’infinità di voci ormai attuali nella nostra lingua.

Oggi, in Venezuela, l’italiano è parlato dai molti italiani che vi abitano. L’italiano è presente nella lingua spagnola da se-coli, tanto è vero che a volte ci rendiamo conto che ci sono parole di origine italiana (‘piñata’, ‘pasticho’, ‘piza’, ‘espague-

Italia-Venezuelasolidarietà e scambi culturalidi Luisa A. Messina Fajardo

CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE

tis’, ‘raviolis’, ‘menestrón’, ‘chao’ ‘galera’, ‘tramontana’, ‘em-bajada’, ‘soneto’, ‘mafia, ‘capo, etc.-- pignatta, pasticcio, piz-za, spaghetti, ravioli, minestrone, ciao, galera, tramontana, ambasciata, sonetto, mafia, capo). Allo stesso modo, nell’i-taliano ci sono alcuni prestiti linguistici provenienti dallo spagnolo (‘golpe’, ‘guerrilla’, ‘siesta’, ‘sombrero’, ‘canoa’; voces de bailes como ‘merengue’, ‘salsa’, etc.--- ‘colpo’, ‘guerriglia’ ‘siesta’, ‘sombrero’, ‘canoa’; balli come ‘merengue’, ‘salsa’, etc.).D’altra parte, l’istruzione in italiano, nel nostro Paese, si porta a termine ed è garantita grazie alla presenza di scuole ed istituzioni private. Sono molte le manifestazioni culturali che gli italiani realizzano in Venezuela con lo scopo di pro-muovere la cultura italiana.Allo stesso modo, il lavoro che i venezuelani realizzano in Italia, per lo stesso motivo, è abbastanza significativo. Sono numerosi i programmi culturali che si realizzano e da parte delle Istituzioni, Ambasciate, Consolati, Università, e pri-vatamente.Un caso rappresentativo è l’influenza che il Venezuela ha esercitato sul sistema pedagogico italiano nel campo della musica. Si tratta di un metodo di insegnamento musicale, creato da José Antonio Abreu, denominato “Il Sistema” che si è diffuso enormemente in Italia con gran successo; in re-altà, sono molti i ‘nuclei’ presenti in Italia da nord a sud. Si può così parlare di un fenomeno venezuelano che tutta l’Italia sta vivendo con interesse. Oggi il modello musicale venezuelano è molto apprezzato in un paese, come Italia, dove l’idea stessa della musica continua ad essere vincolata al “talento.”Un altro aspetto importante in Italia è quello del consocia-tivismo venezuelano. Credo che il lavoro svolto dalle Asso-ciazioni culturali sia un mezzo importante per diffondere

la conoscenza del paese in Italia e non solo; ricordo il lavo-ro realizzato dall’associazione ABRUZZO SOLIDALE che raccolse denaro attraverso tutte le Associazioni Italiane in Venezuela, per collaborare con la Regione Abruzzo alla ri-costruzione della città dell‘Aquila dopo il Terremoto.Le associazioni, infine, con le loro iniziative contribuiscono al progresso della cultura nonchè alla collaborazione e al progetto comune tra i due paesi.Il numero di venezuelani residenti in Italia, è senza dubbio, inferiore rispetto a quello degli italiani residenti in Vene-zuela, questo si deve al fatto che in Italia non si sono ve-rificati grandi flussi migratori provenienti dal Venezuela. I venezuelani si sono stabiliti in varie regioni italiane, duran-te il corso degli anni, non conformemente. Tuttavia, credo che la qualità del lavoro che molti di essi hanno conseguito possa supplire la quantità a cui di solito si fa riferimento.Se le istituzioni diplomatiche, le associazioni, le università collaborassero in sinergía, per raggiungere un stesso obiet-tivo ossia : diffondere la nostra (nostre), cultura(culture ); intendere la cultura come tutto ciò che “una società fa e pensa”, secondo Edwuard Sapir (1966, 247) ; comunicare quel grande senso di solidarietà, senza pregiudizi politici, sociali, religiosi, etc., allora, la nostra cultura si diffondereb-be e si difenderebbe dalla crudeltà del tempo che mette in pericolo la storia e la vita di una comunità.

Traduzione di Simona Palumbo

*Docente di Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi di lingua spagnola (Facoltà di Scienze Politiche, Università Roma Tre) e Presidente Associazione Casa Caribana

In collaborazione con l’Universitá degli Studi di Roma Tre, l’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela a Roma (presto anche il Consolato venezuelano di Napoli e la città di Napoli si uniranno a noi), l’Istituto Italiano Latinoamericano (IILA), l’Istituto Cervantes, e con l’alto patrocinio della Presidenza dei Ministri della Repubblica Italiana, questa associazione convoca tutti gli anni studiosi di differente provenienza a un incontro multidisciplinare e itinerante denominato Giornata Siciliana di Studi Ispanici nel Mediterraneo. Sono molti i temi dedicati al Vene-zuela, all‘Italia, all‘America latina in generale, e al Mediterraneo, così come al mare dei Caraibi “Mediterraneo”d’A-merica. La seconda Giornata è dedicata alla commemorazione dei 200 anni delle Guerre di Indipendenza dei Paesi latinoamericani e ai 150 anni dell’Unità d‘Italia. Durante la Quarta Giornata c‘è una sezione speciale che riprende il metodo musicale di José Antonio Abreu; quest‘anno, durante la Quinta Giornata c’è stata un’esposizione bibliogra-fica dedicata a Francisco di Miranda ed a Simón Bolívar. Inoltre, l’Associazione italo-venezuelana Casa Caribana si sta occupando del settore editoriale e oggi conta sulla collezione Miscellanee Mediterraneee: Vecchi e Nuovi Mondi, Aracne Editrice. Per conoscere l’attività dell’Associazione si visiti la pagina web www.casacaribana.com.

L. M. F.

Trad. S.P.

CASA CARIBANA, ASSOCIAZIONE SCIENTIFICA E CULTURALEITALO-VENEZUELANA

20 21

La parola agli emigrantiQuando gli italiani arrivavano in Venezuela vi trovavano un mondo pronto ad accogliere,

pieno di bellezza e di opportunità. Ecco alcune testimonianze

Nostalgia Era il 1953. Avevo 16 anni e non ero mai uscita dall’Italia.

Con la mia famiglia partimmo da Napoli – raggiungevamo miopadre che intanto già lavorava in Venezuela da 2 o 3 anni – e il

viaggio in nave durò 16 giorni, di cui 8 trascorsi a letto per via dellanausea e del vomito.

Ma arrivai a La Guaira e, appena sbarcata, vidi questo Paesebellissimo, così grande, che ci accoglieva. “Leggi molto, ascolta la radio!”,

mi diceva papà. Imparai la lingua e cominciai a lavorare conmia sorella nel settore della sartoria; poi imparai a fare dolci e scelsi

di lavorare in pasticceria. Infine fu la volta della profumeria: holavorato sempre. I miei due figli nacquero lì, a Los Teques, dove

ancora vivono e lavorano.

Ho sempre nel cuore i 53 anni vissuti in Venezuela. Credo sia statauna pazzia ritornare in Italia: adesso farei di tutto per vivere a

Mérida!

(di Carmelina Patuto)

Un emigrante italiano […] Chi ancora sta partendo, in nave, forse a prua

Nell’aria sente ancor l’odor di casa suaMa la casa non c’è più, e già il cuore è più pesante

Viaggia solo e triste ancora un emigrante [...]

Molti non tornano più,per colpa del destino, per orgoglio di una fortuna non trovata

O per paura di ritrovare un passato macchiatoPer questo si accontentano di vivere e morire

In terra straniera senza sapere né sentireLa fine che hanno fatto, terre e cittadini

Della patria che ha lasciato prima di partire[...]

Partito per tornare, per ripartire e ritornareNel paese dove nacqui: Arpaia

Di certo nel tornare le cose son cambiate,parenti che ho lasciato non ho più ritrovato,

ma il posto che han perduto è stato poi occupatodai figli che ognuno a sua volta ha generato

Così le mie radici si sono consolidate.

(di Michele Fucci)

22 23

Il mito racconta che quando il re cretese Minosse cercò di ottenere il trono, chiese un segno a Poseidone che fece emergere dal mare un toro meraviglioso. Quel toro era così bello che Minosse scelse di non sacrificarlo al dio, come avrebbe dovuto fare, ma di tenerlo per sé. Per punizione Poseidone ispirò alla moglie di Minosse, Pasifae, una irresi-stibile passione per l’animale. Minosse incaricò il suo inge-gnere Dedalo di trovare il modo per rendere possibile tale unione, forse nell’intima convinzione che nessuno vi sareb-be mai riuscito. Questi allora costruì una vacca in legno e in pelle (un po’ come quelle che esistono oggi presso i centri di inseminazione artificiale) che permise a Pasifae di copulare con l’animale. Da questa unione nacque il Minotauro, un mostro metà uomo e metà toro. Di nuovo interpellato per rimediare alla situazione, Dedalo inventò il suo famoso la-birinto dove confinarvi il mostro. A questo punto la vicenda s’incrocia con un altro mito, quello di Teseo, altra grande figura eroica della Grecia antica. Questi venne incaricato di uccidere il Minotauro la cui sopravvivenza era subordinata al sacrificio annuale di nove ragazzi e nove fanciulle ate-niesi imposto dal re cretese. Arianna, figlia di Minosse, si era innamorata di Teseo e chiese al solito Dedalo di esco-gitare uno stratagemma che permettesse al suo benamato di uscire dal labirinto. L’impareggiabile ingegnere le indicò la tecnica del filo da srotolare durante il percorso di anda-ta nel labirinto. Grazie a tale astuzia Teseo riuscì ad uscire dal labirinto dopo avere ucciso il mostro, dimenticandosi però Arianna per strada. Forse a causa di questa perdita, oppure, a secondo delle versioni dello stesso mito, a causa del congegno che permise a Pasifae di copulare con il toro, Minosse imprigionò Dedalo e suo figlio Icaro nel labirinto. Allora Dedalo, che evidentemente nutriva una grande fidu-cia nei propri espedienti tecnici, fabbricò per lui e suo figlio delle ali fatte di cera e piume di uccelli che permisero loro di fuggire dal labirinto. Ma Icaro, esaltato dal volo, non seguì il monito del padre. Egli si avvicinò troppo al sole, le ali si staccarono dal corpo e quindi precipitò nel mare sotto agli occhi del padre disperato.

Questa vicenda mostra bene come, partendo da una richie-sta illegittima (sprovvisto del giusto contrappeso d’anima), il ricorso sistematico alla tecnica non fa che generare nuovi problemi fino ad arrivare al tragico esito finale. Oggi, so-stiene P.H.Gouyon, professore al Museo di Storia Naturale di Parigi e specialista della biodiversità, coesistono fon-damentalmente due tipi di persone: il primo pensa che la corsa al progresso (così come lo abbiamo qui definito, tutto teso al profitto economico e al dominio sulla Natura) rap-presenta l’unica via di salvezza e che gli eventuali problemi che ne potranno derivare si affronteranno strada facendo. Nel mio ultimo libro ho cercato di dimostrare la natura propriamente religiosa di questo punto di vista. Il secondo tipo ritiene invece che l’atteggiamento tecnico superficiale dell’uomo abbia già provocato abbastanza danni così e che sia giunto il momento di anteporre all’agire la giusta dose di riflessione. Un simile provvedimento si rende oggigior-

no più impellente che mai per via dell’enorme potenziale dei moderni strumenti tecnologici. L’uomo moderno, in particolare l’uomo politico, è posseduto da una vera e pro-pria mania del fare in nome di Economia. La tecnologia, in quanto prodotto di un certo atteggiamento umano, diventa pertanto la via privilegiata attraverso la quale Economia si concretizza nel mondo moderno.

A questo punto una domanda urgente s’impone: lasceremo la follia del Progresso invadere completamente la nostra so-cietà oppure riusciremo a trovarvi un giusto contrappeso d’anima?

*Presidente dell’Associazione Europea di Psicoanalisi (AEPSI) e membro dell’Académie Européenne Interdisciplinaire des Sciences

Il linguaggio è spesso specchio di credenze inconsapevoli. Vi circolano significanti particolarmente ricorrenti e carichi di fascino. Uno dei motivi di questo è che ciascun significante può rimandare ad altri significanti più pregnanti appar-tenenti alla stessa catena associativa inconscia. Questi fungono allora da significato producendo effetti propriamente trascendenti sulle persone. La Storia evidenzia infatti che l’uomo può credere alle cose più insensate, purché rientrino

in un discorso.

Uno di questi significanti è certamente quello di “progresso”. La parola “progresso” proviene etimologicamente dal latino progressus che significa “andare avanti”. Ora, la nostra idea di progresso è strettamente legata allo sviluppo dell’economia e della tecnologia, due delle “qualità” sulle quali la nostra società si fonda maggiormente. L’economia appare, oggi più che mai, dipendente dallo sviluppo tecnologico (si pensi per esempio alla manipolazione genetica e al tipo di agricoltura che ne consegue). Nel mettere avanti la tecnologia e nell’affidarsi così tanto ad essa l’uomo moderno è irrimediabilmente portato a sostituire la riflessione con l’azione. Nell’etica interventista che ne deriva il “perché” è sostituito dal “come”. Il problema primario diventa “come agire” per ottenere quel che si vuole: il Progresso. Per capire meglio le implicazioni di una simile unilateralità psicologica evocheremo l’antico eroe greco Dedalo, il quale rappresenta in qualche modo il prototipo dell’in-gegnere di oggi.

Dedalo e le radici mitichedel progressodi Antoine Fratini*

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La “società della decrescita” presuppone, come pri-mo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’at-tivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita:

ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizza-re, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutiliz-zare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica. (Da una propo-sta di Osvaldo Pieroni al Forum delle ONG di Rio).

Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’e-goismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivaluta-zione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.

Il programma delle otto RObiettivi per una decrescita serenadi Serge Latouche*

CONDIVIDERE, INSEGNARE, DECOLONIZZARE

Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scar-sità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’im-maginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natu-ra e la sua mercificazione.

Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di con-sumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrut-turazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.

Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti loca-li, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai tra-sporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).

Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’ac-cesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizio-ni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.

Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di pro-durre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fon-damentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso an-ziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.

Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili de-rivanti dalle nostre attività.

*Economista e filosofo, professore emerito di Scienze economiche (Università di Parigi XI e Institut d’études du developpement économique et social [IEDES], Francia)

“La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita ha conservato fino a oggi un carattere quasi confidenziale. […]. Nata negli anni sessanta, il decennio dello sviluppo, da una riflessione critica sui presupposti dell’economia e sul fallimento delle politiche di sviluppo, questa corrente riunisce ricercatori, attori sociali del Nord come del Sud portatori di analisi e di esperienze innovatrici sul piano economico, sociale e culturale”.

I punti sviluppati nel Manifesto sono: Rompere l’immaginario dello sviluppo e decolonizzare le menti; Illusioni e rovine dello sviluppo; I nuovi aspetti dello sviluppo; Oltre lo sviluppo; Decrescere e abbellire; Sopravvivere local-mente.

DAL MANIFESTO DELLA DECRESCITA DI SERGE LATOUCHE

POLITICHE SOLIDALIE BUEN VIVIR

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UN ALTRO SVILUPPO, UN’ALTRA ECONOMIA

Possiamo iniziare chiarendo che, quando utilizze-remo il termine “sviluppo”, sarà da intendersi nel significato attribuitogli dai popoli originari: il bien vivir di tutti e tutte. Svilupparci significa ampliare e

rendere effettive le nostre capacità come società di costruire e istituzionalizzare un’economia adatta a tutti, un’economia giusta, un’economia solidale che dia risposte materiali ai le-gittimi desideri di tutti i suoi cittadini. Questo ci differenzia dalla ricerca del benessere, concetto proprio della moder-nità occidentale che definisce la ricchezza come la massa di merci che vengono prodotte e distribuite, e il benessere individuale come la quota di questa ricchezza che si riesce a ottenere. Per questo l’Altra Economia, sia quando la portiamo a mo-dello nei nostri discorsi o attraverso le nostre pratiche, deve essere sociale, perché non deve solo produrre e distribuire beni e servizi materiali, ma essere anche capace di genera-re e consentire altre relazioni sociali, un diverso rapporto con la natura, altri modelli di riproduzione, altre opzioni di vita in società che rifiutano il paradigma del capitalismo possessivo e individualista. Per questo motivo, non abbia-mo nessun indicatore della crescita economica misurata dal Prodotto Interno Lordo, tantomeno presupponiamo che l’aumento della produzione sia un fattore migliorativo (massimizzazione). [...].

L’ATTUAZIONE DI UNA STRATEGIA POSSIBILE

[...].

Una strategia di sviluppo [...] deve generare le basi materiali della libertà effettiva. Questa strategia deve includere, naturalmente, una redistribuzione del reddito monetario genera-

to nelle società dove il mercato e il denaro sono divenuti determinanti, ma questa misura da sola oltre ad essere in-sufficiente può rivelarsi funzionale alla riproduzione del-lo stesso sistema che polarizza la società (come quando il reddito popolare affluisce alle strutture monopolistiche di commercio al dettaglio, o viene depositato nelle banche

che concentrano il potere economico). Si tratta in realtà di trasformare la struttura stessa dell’economia, e non esclusi-vamente la distribuzione dei suoi prodotti. Si tratta di tra-sformare il modo di organizzare socialmente il lavoro per la produzione, la distribuzione, le forme di proprietà, di circolazione e di consumo. Tutto questo non può essere re-alizzato come un esercizio d’ingegneria civile. Non stiamo parlando di costruire un ponte. Questa nuova costruzione prevede l’abbattimento della struttura economica capitali-sta, aggravata nella sua negatività da trenta, orribili, anni di neoliberismo. Prevede un confronto d’interessi, di visioni del mondo, implica lotta contro il dominio o, quello che è più difficile, contro l’egemonia manifestata in buona misura nella leggittimazione del sistema capitalista di mercato nel senso comune. Questa lotta implica che i soggetti popolari devono costruire un “noi” per far fronte negli spazi demo-cratici ai progetti delle classi dominanti [...].

IL PUNTO DI PARTENZA E LA TRANSIZIONE

[...].

La transizione verso l’Altra Economia, mediante quelle pratiche che definiamo “economia sociale e solidale”, non può limitarsi all’integrazione degli esclusi (dall’economia ufficiale) attraverso la pro-

duzione e la commercializzazione di beni e servizi e il ri-spetto delle regole del mercato idealizzato (la competitività come prova di legittimità). E’ chiaro che i nostri criteri sono volti a valorizzare tutte quelle attività capaci di generare condizioni favorevoli per la libera associazione degli indi-vidui, delle famiglie, delle comunità. A ricostruire un meta-bolismo socio-naturale basato su relazioni di reciprocità tra gli esseri umani e con la natura. Anche questo, però, non è sufficiente. E’ tassativo impedire che il principio del merca-to prenda il sopravvento rispetto a tutti gli altri su cui pog-gia l’inevitabile istituzionalizzazione dei sistemi economici: il già citato principio di reciprocità, basato sull’impegno disinteressato o “interessato” (impegno per costruire una comunità/società che mi protegga), quello della redistribu-zione, d’importanza cruciale in questa fase di transizione segnata da un enorme squilibrio nell’accesso alle risorse ed ai suoi prodotti; il principio della pianificazione consape-

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

L’economia sociale e solidale come strategia di sviluppo

di José Luis Coraggio

vole circa le azioni e le previsioni degli effetti su individui, gruppi e società nella loro interezza, superando così l’im-mediatezza regnante; e lo straordinariamente importante principio dell’autarchia, dell’autosufficienza e autodetermi-nazione (sovranità) non solo alimentare, ma di tutti quei beni e servizi essenziali per la vita.Noi vogliamo una società con mercato, ma non di mercato. Ciò implica che il paradigma dell’impresa efficiente e del mercato autoregolato non può orientare le nostre pratiche socio-economiche. [...].

MOLTE DEFINIZIONI, LO STESSO SIGNIFICATO

Vi sono molte definizioni di economia alter-nativa: popolare, del lavoro, sociale, solidale, sociale e solidale, comunitaria, per la vita, etc. etc. Il documento Lima +10 traccia un quadro

esaustivo, tale da poterlo condividere senza entrare in tec-nicismi: “L’economia sociale e solidale è basata su valori umani e principi di solidarietà, volti al riconoscimento del-la persona come fondamento dell’agire umano e asse per il rinnovamento dell’economia, la politica e la società (…) comprende l’insieme di attività ed associazioni di carattere comunitario, associativo, cooperativo, mutualista e le ulte-riori forme collettive create per rispondere alla necessità di lavoro e benessere dei popoli, così come alle esigenze dei movimenti dei cittadini orientati a democratizzare e tra-sformare l’economia”. Le nostre pratiche hanno contenuti multipli e propositi immediati (generare reddito è solo uno di essi). Ma fondamentale è attivare le capacità di autorga-nizzazione e cooperazione dei lavoratori per soddisfare i propri bisogni e per la crescita di tutti. [...]. Molteplici sono le forme di organizzazione che sta prendendo la ESS: im-prese familiari, comunitarie, liberamente associati, coope-rative, associazioni, reti di mutuo sostegno, di commercia-lizzazione o rifornimento congiunto, reti per il rispetto dei diritti [...], le monete sociali, reti di commercio equo e soli-dale, la finanza solidale, i processi di recupero delle risorse delle società di capitale o dello Stato (attrezzature, imprese in generale, terreni, edifici, case, etc.) e ogni movimento o azione collettiva che agisce per trasformare l’economia con i valori prima descritti (movimenti ecologisti, femministi, etnici, giovanili, etc.). Valori di solidarietà e una morale economica che include il consumo e anche la produzione responsabile vanno alimentati con la pratica non solo con discorsi fini a se stessi. Sappiamo che vogliamo un altro mondo, ma non abbiamo modelli, tantomeno un sistema alternativo chiavi in mano. Dobbiamo sperimentare, e farlo con responsabilità verso la vita umana e la natura. Invece, il neoliberismo ha sperimen-tato sulla nostra pelle, ha avuto l’impudenza di raccontare vite, di valutare che la libertà di mercato valeva il prezzo pagato in vite umane, in culture e biodiversità sparite. [...].

LA SPECIFICITÀ STORICA DELL’ESS IN AMERICA LATINA

[...].

Forse vale la pena ribadire che in questo continente, aperto allo scambio fraterno, più che nella ricerca di definizioni e modelli da adottare, è in corso un processo di creazione di una pluralità di forme d’e-

conomia alternativa, e per portarlo avanti dobbiamo basar-ci su quel terreno forte e fertile che è la nostra storia, per avanzare nella costruzione di un’altra economia. Perché qui, periferia spoliata dall’Occidente, lo stato svi-luppista (la versione latinoamericana del Welfare State dei “gloriosi trent’anni del dopoguerra) non avrebbe mai potu-to portare a termine il suo compito, e quegli stati riusciti ad avanzare verso società industriali in molti dei nostri paesi furono smantellati da dittature e democrazie neoliberiste condizionate da organismi internazionali controllati dal Nord e da un debito illeggittimo e usuraio imposto ai nostri popoli; così la povertà strutturale – rurale e urbana – non potè essere sradicata e ad essa andò a sommarsi il massiccio impoverimento di metà della popolazione, perchè la gran parte dei nostri cittadini continuò a ricorrere a forme non capitalistiche di produzione per la sopravvivenza, rese evi-denti dalla persistenza di forme contadine nel settore infor-male urbano. [...]. Perché qui, dopo essere stati per secoli colonia dell’Europa e cortile dell’Impero, rinascono con ribellione e forza straor-dinaria i popoli originari con le loro cosmovisioni, che con frequeza crescente vengono assunte come proprie da orga-nizzazioni politiche e movimenti sociali. [...] Perché questo è un continente rivoluzionario, alla ricerca della propria definizione di socialismo, che comprende tanto Cooperati-vismo e Mutualismo originari quanto l’ampio spettro che va dalla Rivoluzione Cubana fino alla Rivoluzione in Libertà nel Cile della Unidad Popular, passando per la particolare Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, e per la viva ed attuale esperienza della Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, del-la Rivoluzione Ciudadana in Ecuador e del profondo pro-cesso rivoluzionario in Bolivia.

Traduzione di Fabrizio Verde

*Economista e professore emerito della Universidad Nacional de General Sarmiento (UNGS, Argentina)

nel contesto dell’integrazioneregionale latinoamericana

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INTRODUZIONE

Il concetto di “buen vivir” ha guadagnato notorietà a partire dai dibattiti in America del Sud, in maniera particolare per le sue recenti formulazioni costituzio-nali. Dalla prospettiva degli emarginati dalla storia, dai

popoli e nazionalità indigene, il Buen Vivir si presenta come un’opportunità per costruire un’altra società sostenuta dalla coesistenza dell’essere umano nella diversità e in armonia con la natura, a partire dal riconoscimento dei diversi valori culturali esistenti in ogni paese e in tutto il mondo. Quest’idea viene espressa come Buen Vivir o sumak kawsay in kichwa, mentre in Bolivia viene definita Vivir Bien, suma qamaña in aymara, o ñandareko in guaraní e sumak kawsay in quechua. Nella costruzione del concetto vengono messi a nudo gli errori e i limiti delle varie teorie dello sviluppo, si mettono in discussione alcune delle basi fondamentali an-corate all’idea di progresso, mentre si aprono le porte a op-zioni alternative. Il Buen Vivir non è, allora, uno sviluppo alternativo compreso in un lungo elenco di opzioni, ma si presenta come alternativa a tutte quelle posizioni. In Bolivia ed Ecuador hanno avuto luogo i progressi più importanti. Si tratta di un’idea plurale ancora in discussione e costruzione, non solo in questi paesi andini.

PUNTI DI PARTENZA

[...].

In realtà, osserviamo nel mondo un “cattivo svilup-po” generalizzato, esistente anche nei cosiddetti paesi sviluppati. [...]. L’ethos del progresso è intimamente legato alle posizioni culturali proprie della moderni-

tà di origine europea. Nasce con un nuovo protagonismo concesso all’essere umano, esterno alla natura, che doveva essere dominata e manipolata (…). Gradualmente l’idea di progresso diventò uno dei concetti dominanti e più influen-ti (Nisbet, 1980), diffondendosi in America Latina, attra-verso un lungo processo che ebbe inizio con la conquista, continuò lungo la fase coloniale e si proiettò nelle giovani repubbliche. [...].L’idea di progresso è stata poi riformulata con il concetto disviluppo agli inizi del XX secolo [...]. In effetti, negli ultimi decenni sono proliferate diverse posizioni, e in alcuni casi,

come la scuola strutturalista, dipendentista e neostruttura-lista dello sviluppo, l’America Latina ha giocato un ruolo chiave. […] l’idea di progresso è profondamente radicata nella cultura latinoamericana dominante, e le sue radici sono eurocentriche. Le sue espressioni accademiche o poli-tiche sono comuni, avendo come obiettivo dello sviluppo la crescita economica, tramite l’incremento delle esportazioni e la raccolta di investimenti esteri. È anche alla base di un mito, quello di un’enorme ricchezza ecologica che consente forti espansioni economiche. I concetti del Buen Vivir mettono in scacco tutte queste idee. Provengono da un collegamento diretto con i saperi tradizionali che erano subordinati, mettono in discussione i trapianti culturali e si allontanano dall’idea di sviluppo come crescita economica. In molte cosmovisioni indigene non esiste un concetto di sviluppo inteso come processo lineare, come successione di stati anteriori e posteriori. Non si difende la visione di uno stato di sottosviluppo da superare e neppure quella di un obiettivo di “sviluppo” da raggiungere, forzando la distruzione delle relazioni sociali e l’armonia con la natura. In molti casi non ha luogo la dico-tomia occidentale che separa la società dalla natura. Né vi è una concezione di povertà come carenza di beni materiali o di ricchezza intesa come abbondanza. In altre parole, il Buen Vivir mette in discussione la validità dell’idea stessa di progresso. Nella cosmovisione indigena, il miglioramento sociale – il suo sviluppo? – è una categoria in permanente costruzione e riproduzione. In essa è in gioco la vita stessa.

LA CRITICA ALLO SVILUPPO E IL PROGRESSO

In questo contesto, si manifesta il Buen Vivir come terreno di discussione. Ciò è stato reso possibile dalla recente formazione di ampli e diversi scenari di resi-stenza ai postulati del neoliberismo in particolare, e

come messa in discussione dello stesso concetto classico di sviluppo in generale [...]. Pertanto, la caratterizzazione del Buen Vivir, inteso sempre come idea in costruzione, richie-de la revisione della conformazione dei processi che hanno reso possibile la sua nascita.

[...] Da un lato, l’applicazione delle strategie abituali di svi-

Il buen vivir o la dissoluzione dell’idea di progressoLa filosofia dei popoli ancestrali diventa politicain Ecuador e Boliviadi Eduardo Gudynas* e Alberto Acosta**

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

luppo non portava i benefici promessi. [...]. Da un altro lato, molti progetti presentati sotto l’etichetta dello “svilup-po” hanno generato impatti sostanzialmente negativi, tanto nella sfera sociale quanto in quella ambientale. [...]. Infatti, si sono venute creando reti di cittadini per denunciare e al-lertare su questi effetti negativi. Se accettiamo che l’attuale sistema mondiale comporta un “cattivo sviluppo”, dobbiamo concludere, coma fa Tortosa (2008), che questo ci conduce verso un Mal Vivir. Di con-seguenza, la ricerca di una buona vita deve basarsi su di un modello molto diverso da quello dello sviluppo tanto pro-mosso e desiderato. [...]. Infine, altri attori, in particolare alcuni popoli indigeni, ri-fiutano l’idea stessa di sviluppo e comprendono che qualsia-si tentativo su questo versante rappresenterebbe un deterio-ramento del loro stile di vita presente e futuro. [...]. La Terra non ha capacità di assorbimento e resilien-za per continuare su questa strada. Si raccomanda, quindi, di smettere di vedere le risorse naturali come condizione per la crescita economica o come un semplice oggetto delle politiche di sviluppo. [...]. Tutti questi fattori, dalla “stan-chezza” dello sviluppo ai cambiamenti politici derivanti dai nuovi governi progressisti, sono stati fondamentali per con-sentire la nascita del dibattito sul Buen Vivir.

IL BUEN VIVIR NELLE NUOVE COSTITUZIONI

Le idee del Buen Vivir sono state cristallizzate nel-le nuove costituzioni della Bolivia e dell’Ecuador. Questo è spiegato, tra l’altro, dalla maggiore rile-vanza data ai saperi indigeni. L’azione in questo

senso delle organizzazioni dei popoli indigeni, così come la spinta degli accademici, fece ottenere maggiore rispetto alle culture ancestrali da parte delle varie componenti po-litco-partitiche e nuovi legami con i movimenti sociali. In molti casi le organizzazioni indigene hanno svolto un ruolo chiave, nelle piazze o nelle urne, per questi cambi di gover-no. A sua volta, si diffuse uno spirito affine orientato alla decolonizzazione del pensiero e alla rottura delle catene che mantenevano questi saperi subordinati [...].Sotto questa influenza, il Buen Vivir invocava il recupero di un sapere indigeno, che agiva in contrasto allo sviluppo. In questo modo si allontanava dalla convenzionale idea di progresso di stampo occidentale, e si dirigeva verso un mo-dello di buona vita, comprendente una particolare attenzio-ne alla natura. Nel caso dell’Ecuador, il Buen Vivir è parte di una lunga ricerca di alternative di vita forgiate nelle lotte popolari, in particolare indigene (…) fino alla cristallizzazione nel pro-cesso costituente del 2007 e 2008. Nel caso della Bolivia, il dibattito è stato forse più recente e senza dubbio più teso. In questo paese l’idea della “vida buena“ o “vivir bien“ è un’espressione, di tono quasi riven-dicativo, di alcuni capi indigeni, militanti e intellettuali. Per

questa ragione, il concetto è stato sempre associato ai voca-boli di lingua aymara suma qamaña, la cui migliore tradu-zione probabilmente afferisce al Buen Convivir. [...].Nella nuova Costituzione dell’Ecuador (2008) quest’idea viene presentata come i “Diritti del Buen Vivir”, nei quali sono inclusi una vasta gamma di diritti (come all’alimen-tazione, ambiente sano, acqua, comunicazione, istruzione, salute, energia, etc). [...]. La Costituzione, con i suoi 444 articoli, rompe con la concezione classica che assegnava la priorità ad alcuni diritti rispetto ad altri. Anzi, al contrario sottolinea la completezza degli stessi, riconoscendoli come interdipendenti e di pari rango. [...]. In seguito vengono in-dicati due campi d’azione principali in uno stesso livello di gerarchia: da un lato, il “regime del Buen Vivir”, e dall’altro il “regime di sviluppo” [...] (Art. 275). (…)Nel caso ecuadoriano è chiaro che la conquista del Buen Vivir è direttamente vincolata all’insieme dei diritti, e che questi necessitano di cambiamenti sostanziali nelle strate-gie di sviluppo. [...].La parola “progresso” ha una presenza marginale nel nuovo testo costituzionale (compare come progresso scientifico nell’art. 25, e in riferimento ai diritti collettivi dei popoli montubi nell’art. 59).[...]. Nel caso della nuova Costituzione della Bolivia (2009) i riferimenti al Buen Vivir appaiono nella sezione sui fondamenti dello Stato. Dove vengono trattati i valo-ri e gli obiettivi dello Stato (articolo 8), che “garantisce e promuove come principi etici e morali della società plura-le: ama qhilla, ama llulla, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiardo, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene), ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita nobile). In questo caso è possibile osservare una maggiore ampiezza culturale, concezioni del Buen Vivir provenienti da differenti tradizioni indigene come quella Aymara, Que-chua e Guaraní. Questi principi del Buen Vivir (…) sono direttamente con-nessi con la forma di organizzazione economica dello Stato, dove si punta ad alcuni cambiamenti nel percorso di svilup-po. Infatti, si sostiene che “il modello economico boliviano è plurale ed orientato al miglioramento della qualità della vita e al Buen Vivir” (articolo 306). [...]. Va notato, infine, che la parola ‘progresso’ non compare nella Costituzione boliviana. [...]. In entrambi i casi, l’idea del Buen Vivir è direttamente legata ai saperi ed alle tradizioni indigene. [...]. Inoltre, en-trambe le Costituzioni si dirigono verso un’altra tipologia di sviluppo, con l’indicazione di un profondo cambiamento nelle economie. Il mercato da solo non è la soluzione, non lo è neppure lo Stato. Ma subordinare lo Stato al mercato porta a subordinare la società alle relazioni mercantili e all’egolatria individualista. [...]. Vi sono anche importanti differenze tra la proposta bolivia-na e quella ecuadoriana. Nel caso della Bolivia, il suma qa-maña e gli altri concetti associati sono principi etico-morali e non appaiono come diritti. Essi si focalizzano nella defi-

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POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

nizione del quadro di una società che si definisce plurina-zionale. [...]. Nel caso ecuadoriano, invece, il sumak kawsay è presentato su due livelli: come il quadro di una serie so-stanziale di diritti, e come espressione di gran parte dell’or-ganizzazione ed esecuzione di questi diritti, non solo nello Stato, ma nell’intera società. Si tratta di una formalizzazio-ne di maggiore ampiezza ma ancora più accurata, poiché il sumak kawsay appare all’interno dell’insieme dei diritti e anche come contrappeso a un nuovo regime di sviluppo. In-vece, nel testo costituzionale boliviano questo legame tra il suma qamaña e i diritti non è esplicito; per esempio, non vi è alcun riferimento a questo concetto nella sezione riguar-dante i diritti fondamentali. Nel testo boliviano il suma qa-maña è chiaramente presentato come uno degli scopi dello Stato. Invece, nella Costituzione ecuadoriana il Buen Vivir possiede un alto livello di gerarchia, e da questa circostanza derivano molti diritti. La dimensione plurinazionale risulta essere più forte nel caso della Bolivia, arrivata a riconoscere 36 lingue indige-ne oltre al castigliano; un punto non raggiunto in Ecuador. La dimensione ambientale è invece più intensa in Ecuador, dove per la prima volta sono stati riconosciuti i Diritti della Natura (articoli da 71 a 74). [...].

DIFFUSIONE E PRATICHEDEL BUEN VIVIR

Il dibattito sul Buen Vivir in Ecuador e Bolivia si è diffuso in America Latina […] grazie a un interesse rafforzato dalle discussioni accademiche e pratiche sull’applicazione e lo sviluppo di quest’idea.

Allo stesso tempo si verificano le prime applicazioni ed af-fiorano le tensioni derivanti da queste innovazioni costitu-zionali. Un importante esempio è il “Plan Nacional para el Buen Vivir, 2009- 2013” dell’Ecuador (SENPLADES, 2009). Il testo stabilisce l’allontanamento dai programmi classici di “sviluppo” nazionale. Il piano parte definendo il Buen Vi-vir una reazione di fronte ai precendenti stili di sviluppo di stampo neoliberista [...]. Oltre a questo, ha come obiet-tivo l’abbandono dell’antropocentrismo occidentale al fine di generare altre relazioni con la natura e ricercare l’ugua-glianza, la giustizia sociale e la valorizzazione di altri saperi. Il Buen Vivir, almeno concettualmente, si profila come una versione che supera lo sviluppo “alternativo” e prova ad es-sere una “alternativa allo sviluppo”; in sintesi, un’opzione radicalmente diversa da tutte le idee di sviluppo. Questa

costruzione troverà l’opposizione di ideologie radicate che contemplano lo sfruttamento di ricchezze naturali enormi, sorgeranno quindi molte tensioni e contraddizioni. Questo spiega le difficoltà e le contraddizioni nella pratica, il per-ché in molti casi si è tornati a cadere nuovamente nelle vec-chie strategie estrattiviste nel campo petrolifero e minerale. Mentre nel caso ecuadoriano non sono state delineate le vie d’uscita dall’estrattivismo, il Piano Nazionale di Sviluppo (2006) della Bolivia indicava il Vivir Bien come modello da seguire, ma nonostante questo non riusciva a fermare l’in-tensificarsi dell’attività estrattiva. [...].Il ritorno a un concetto in costruzione. Insomma, il Buen Vivir stesso è un concetto in costruzione. Un’idea che emer-ge dal mondo andino e amazzonico, ma che raccoglie pre-ziosi contributi elaborati negli altri angoli del mondo. In questo modo, presenta un ancoraggio storico nel mondo indigeno, e al contempo in principi che sono stati portati avanti da correnti occidentali restate subordinate per mol-to tempo. Risponde a vecchi problemi come eliminare la povertà o conquistare l’uguaglianza, insieme ad altri nuovi, come la perdità della biodiversità o il cambiamento clima-tico globale. [...]. Il Buen Vivir propone uno “spaiamento” tra la qualità della vita e il progresso. Alla stessa maniera difende l’artico-lazione tra la molteplicità delle culture e una nuova relazio-ne con la natura. Il Buen Vivir, per queste ragioni, dev’essere costruito a partire da concezioni di relazionalità, anziché dal dualismo natura/società. [...]. Occorre rammentare che questi stili di vita, che propugnano la relazione armonica tra gli esseri umani e la natura, con tutti i limiti che si pos-sono incontrare, sono stati alla base di quelle culture indi-gene capaci di resistere a oltre 500 anni di colonizzazione e sfruttamento. Il Buen Vivir, infine, offre le linee guida da seguire per costruire collettivamente stili diversi e alternati-vi al progresso materiale.

Traduzione di Fabrizio Verde

* Docente e ricercatore (CLAES / Centro Latino Americano de Ecología Social, Montevideo), saggista e analista in temi sviluppo sostenibile

** Docente e ricercatore (FLACSO / Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales, sede Ecuador), già docente presso le università di Quito, Guayaquil e Cuenca (Ecuador), e Complutense de Madrid (Spagna)

NUOVE COSTITUZIONI

Art. 1La Bolivia si costituisce come Stato Sociale Unitario di Diritto Plurinazionale Comunitario, libero, in-dipendente, sovrano, democratico, interculturale, decentralizzato e con autonomie. La Bolivia si fonda sulla pluralità e sul pluralismo politico, economico, giuridico, culturale e linguistico, all’interno del pro-cesso di integrazione del Paese.

Art. 5I.Sono lingue ufficiali dello Stato il casigliano e tutte le lingue delle nazioni e popoli indigeni originari contadini, che sono: ayamara, araona, baure, bésiro, canichana, cavineño, cayubaba, chàcobo, chimàn, ese ejja, guaranì, guarasu’we, guarayu, itonama, leco, machajuyai-kallawaya, machineri, maropa, mojeño-trinitario, mojeño- gnaciano, moré, mo-setén, movima, pacawara, puquina, quechua, sirionò, tacana, tapiete, toromona, uru-chipaya, eenhayek, yaminawa, yuki, yuracarè e zamuco.

Art. 8I. e II.Lo Stato assume e promuove come principi etici e morali della società plurale: ama qhilla, ama llul-la, ama suwa (non essere pigro, non essere bugiar-do, non essere ladro), suma qamaña (vivere bene), ñandereko (vita armoniosa), teko kavi (buona vita), ivi maraei (terra senza male) e qhapaj ñan (cammino o vita nobile).Lo Stato si regge sui valori di unità, uguaglianza, inclusione, dignità, libertà, solidarietà, reciprocità, rispetto, complementarietà, armonia, trasparenza, equilibrio, uguaglianza di opportunità, equità sociale e di genere nella partecipazione; benessere comune, responsabilità, giustizia sociale, distribuzione e redi-stribuzione dei prodotti e dei beni.

BOLIVIA

Art. 1L’Ecuador è uno Stato Costituzionale di diritto e giu-stizia, sociale, democratico, sovrano, indipendente, unitario, interculturale, plurinazionale e laico. Si da come forma organizzativa la Repubblica e si governa in modo decentralizzato.La sovranità ha le sue radici nel popolo, la cui vo-lontà è il fondamento dell’autorità, e si esercita at-traverso gli organi del potere pubblico e le forme di partecipazione diretta previste dalla Costituzione. Le risorse naturali non rinnovabili del territorio dello Stato appartengono al suo patrimonio inalienabile, irrinunciabile e inviolabile.

Art. 2La bandiera, l’emblema e l’inno nazionale, stabiliti dalla legge, sono simboli della patria. Il castigliano è la lingua ufficiale dell’Ecuador; il castigliano, il ki-chwa e lo shuar sono le lingue ufficiali di relazione interculturale. Le altre lingue ancestrali sono di uti-lizzo ufficiale per i popoli indigeni nelle zone dove essi vivono e nei termini stabiliti dalla legge. Lo Stato rispetterà e stimolerà la loro conservazione e il loro utilizzo.

Art. 10.Le persone, le comunità, i popoli, le nazionalità e le collettività, sono titolari e godono dei diritti garantiti dalla Costituzione dagli strumenti internazionali. La natura sarà titolare dei diritti che le sono ricono-sciuti dalla Costituzione.

EQUADOR

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CONTESTO REGIONALE

Con tutte le sue imperfezioni e proroghe, il proces-so di integrazione regionale è riuscito a realizza-re importanti progressi istituzio- nali, accordi e compromessi, innovativi pro- grammi di coope-

razione, consolidandosi in diversi campi. Gli schemi sub-re-gionali sono così disposti: Comunità Andina delle Nazioni (CAN), Sistema di Inte- grazione Centroamericano (SICA), Comunità dei Caraibi (CARICOM) e il Mercato Comune del Sud (MERCOSUR) e ancora, nei progressi dell’Asso-ciazione degli Stati dei Ca- raibi (AEC), nell’Associazione Latinoamericana di Integra- zione (ALADI) e nella sotto-scrizione di numerosi accordi bilaterali e plurilaterali che ampliano ed approfondiscono il processo.

Praticamente nessun paese della regione è rimasto esente da qualche vincolo nell’integrazione regionale. Gli accordi di integrazione regionale sono ALADI, AEC, UNASUR e ALBA-TCP; mentre quelli tipicamente sub-regionali sono CAN, CARICOM, SICA e MERCOSUR.Tra i meccanismi istituzionali che hanno fortificato l’inte- grazione dell’ ALC nel periodo analizzato menzioniamo la conformazione politica ed organizzativa dell’Unione delle Nazioni Sud-americane (UNASUR), i progressi nel funzio- namento del Mercato e dell’ Economia Únicos dei Caraibi, l’inizio dell’Unione Doganiera Centroamericana, l’amplia- mento del Progetto Mesoaméricano, i progetti dell’Alleanza Bolivariana per i Paesi della Nostra America e il Trattato del

Commercio dei Paesi (ALBA-TCP).

Su scala regionale, forse il fatto più sensazionale fu l’Inte- grazione e lo Sviluppo della Cima dell’America Latina e dei Caraibi, effettuata in Salvador, Costa di Sauípe in Brasile, il 16 e 17 dicembre del 2008, la quale riunì 34 Capi di Stato e di Governo della regione e quasi la totalità degli Organismi Regionali e Sub-regionali di integrazione e cooperazione, così come anche alte personalità impegnate nel processo diintegrazione dell’ ALC.

I Presidenti, tra le altre cose, espressero nella Dichiarazio- ne di Salvador de Bahía, la convinzione che l’integrazione politica, economica, sociale e culturale dell’America Latina e dei Caraibi fosse un’aspirazione storica dei propri paesi e che costituisse un fattore necessario per inoltrarsi nello svi- luppo sostenibile e nel benessere sociale di tutta la regione. Nel caso specifico della partecipazione del Venezuela, le Linee Generali del Piano di Sviluppo Economico e Sociale 2007-2013 (2007), dichiarano che:

La realizzazione di un mondo multipolare implica la cre- azione di nuovi poli di potere che rappresentino la ripar- tizione dell’egemonia dell’imperialismo nordamericano, nella ricerca della giustizia sociale, della solidarietà e delle garanzie di pace attraverso la ricerca del dialogo fraterno tra i popoli, il rispetto delle libertà di pensiero, la religione e l’autodeterminazione dei paesi.

Finalmente nel contesto regionale e sub-regionale del sud-America la Repubblica Bolivariana del Venezuela ha avuto ed ha ancora un ruolo trascendente, poichè ha contri- buito a formulare le basi concettuali dell’analisi geopolitica, intesa come ricerca della massima autonomia energetica, da realizzarsi sia economicamente che tecnologicamente, pre- servando il patrimonio ecologico ed energetico territoriale della regione di Magallanes, realtà che deve essere definita ed intesa come interesse pubblico.

Le risorse energetiche rinnovabili e non rinnovabili di cui dispone la regione di Magallanes, conferiscono una nuova importanza strategica, geopolitica ed oceano politica.

Le relazioni internazionalinella visione del Comandante Supremo Hugo Chávez Elementi geopolitici, geostrategici e geoeconomicidi Amarilis Gutiérrez Graffe*

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

Da una prospettiva geopolitica, il risultato della massima autonomia energetica relativa alla regione, di medio e lungo termine, costituisce una necessità che diventa sempre più stimolante, se si osserva il deterioramento che hanno ar- recato le risorse di petrolio e gas naturale, conseguenza del suo rapido sfruttamento.

Il Venezuela, con lo scopo di diminuire lo squilibrio ener- getico e facilitare l’integrazione dei paesi latini, ha esposto fondamentalmente il principio di solidarietà e comple- mentarità dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi, e per riuscirci ha creato un’impresa multistatale chiamata Petro- américa.

CONTESTO EMISFERICO

In questo contesto si apre un nuovo commercio che darà i suoi frutti a medio e lungo termine, procedendo vittoriosa- mente nella lotta contro la vulnerabilità che oggi caratteriz- za ancora il paese.

Esempio di questa politica internazionale è il Petrocaribe che si sta inoltrando con passo costante verso l’integrazio- ne dei paesi dell’America latina e dei Caraibi attraverso una solidarietà condivisa.Petrocaribe è un’iniziativa di cooperazione energetica so- lidale proposta per il Governo Bolivariano del Venezuela ed incorniciata dall’ Alba, con l’intento di risolvere lo squi- librio che si evidenzia nell’accesso alle risorse energetiche, attraverso un nuovo schema di scambio favorevole, equo ed adeguato, tra i paesi della regione caraibica, per la maggio- ranza consumatori non sottoposti al controllo statale della somministrazione delle risorse.Petrocaribe rientra in Petroamerica, un’ iniziativa geopoli- tica orientata verso l’organizzazione di meccanismi di coo- perazione ed integrazione il cui punto di forza è l’utilizzo delle risorse energetiche delle regioni dei Caraibi, America Centrale e Sud-America, piattaforma per l’impulso socioe- conomico dei paesi del continente.Si apre un nuovo commercio che darà i suoi frutti a me-dio e lungo termine, procedendo vittoriosamente nella lotta contro la vulnerabilità che oggi caratterizza ancora il paese. Esempio di questa politica internazionale è il Petrocaribe

che avanzando procede con passo costante verso l’integra- zione dei paesi dell’America latina e dei Caraibi attraverso una solidarietà condivisa.

L’alleanza strategica tra gli operatori nazionali di energia ha lo scopo di fortificare e trasformare la fonte in uno stru- mento efficace a garantire una totale somministrazione energetica, un’iniziativa venezuelana che favorisce il con- cetto di complementarità economica.E come l’integrazione regionale anch’essa è una questione di Stato, si tratta infatti di un processo che cerca di svilup- parsi in forma progressiva mediante accordi bilaterali o sub regionali. Con questa iniziativa venezuelana, l’integrazione energetica ha lasciato il contesto emisferico per spostarsi in uno scenario strettamente latinoamericano e sud-america- no; una trasposizione che dipende dal processo di trasfor- mazione dello Stato venezuelano.

CHÁVEZ: POLITICA ESTERA E SOLIDARIETÀ

La dinamica del prototipo del Pensiero Strategico del Comandante Supremo Hugo Rafael Chávez Frías circa le Relazioni Internazionali, si concentra sull’unione con altri paesi per:

A) La diversificazione delle relazioni politiche, economiche e culturali.B) La creazione di nuovi blocchi di potere.C) La ricerca di giustizia sociale, la solidarietà e le garanzie di pace, con la ricerca del dialogo fraterno tra i popoli, il rispetto delle libertà di pensiero e di religione.D) Il rafforzamento degli interessi politici comuni tra i pa- esi.E) La ricerca dell’amicizia, fiducia e solidarietà per la coo- perazione e coefficienza dei paesi affiliati.

Traduzione di Simona Palumbo

*Console generaleConsolato Generale della Repubblica Bolivarianadel Venezuela a Napoli

CELAC, NUOVI SEGNALI DI UNITÀAl terzo vertice della Comunità degli Stati Latinoa- mericani e dei Caraibi (Costa Rica, gennaio 2015), tutti i capi di Stato che compongono il blocco regio- nale dei 33 Paesi hanno diffuso un comunicato nel quale criticano le azioni unilaterali intraprese dagli Stati Uniti contro il Venezuela (le sanzioni contro alcuni fun-zionari venezuelani accusati di avere avu- to un ruolo nella repressione delle proteste contro il governo nei primi sei mesi del 2014; e le restrizio- ni sui visti per funzionari accusati di violazione dei diritti umani e corruzione). Il documento ribadisce inoltre il rifiuto all’adozione di misure coercitive unilaterali contrarie al diritto internazionale e l’im- pegno del blocco regionale “a non intervenire, diret- tamente o indiretta-mente, negli affari interni di un altro Stato”, nel rispetto della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione dei popoli. I cinque pilastri per i prossimi anni saranno: ridurre povertà estrema e disuguaglianze; educa-zione; scienza, tecnologia e innovazione; medio ambiente e cambiamento clima- tico; finanziamento per lo sviluppo, infrastrutture e trasporti; oltre a proseguire nel potenziamento del ruolo della CELAC come blocco regionale.

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Tradizionalmente, la diplomazia è la scienza e l’ar-te delle relazioni internazionali, corrisponde alle conoscenze ed alle competenze necessarie per riuscire a ottenere la coesistenza tra gli stati. Nei

Caraibi, la situazione geopolitica è molto particolare: i mol-teplici territori della regione hanno status giuridici e politici variegati. Molti sono basati su metropoli extra-regionali si-tuate a diverse migliaia di chilometri di distanza in contesti geografici, storici, e umani che non hanno nulla a che vede-re con la regione (salvo che per i passati legami coloniali). Nei Caraibi non vi sono relazioni tra paesi, bensì tra po-poli che vivono geograficamente vicini ma giuridicamente lontani gli uni dagli altri. I popoli dei Caribi desiderano e necessitano d’integrarsi.Come promuovere allora relazioni amichevoli, incentivare la cooperazione e realizzare l’integrazione regionale? In ma-niera indiretta passando per la diplomazia di quelle metropoli lontane e sottometten-dosi a interessi economici, strategici o altri, estranei alla regione?Senza scartare a priori le azioni che pos-sono essere realizzate nel quadro della di-plomazia tradizionale come, per esempio, la determinazione delle linee di confine, nella misura del possibile, per risolvere certi problemi “internazionali” pare in-dispensabile, soprattutto in una regione tanto eterogenea come questa, conoscersi, riconoscersi reciprocamente, dialogare e cooperare tra popoli. Questo tenendo conto della diplomazia dei paesi indipendenti della regione, la quale può incitare, incentivare e appoggiare la diplomazia dei popoli.Parliamo di una diplomazia diretta che corrisponderebbe alla democrazia diretta, una diplomaziaattiva, audace e creativa nella quale – ripe-tiamo – tutti i popoli dei Caraibi possano partecipare in egual misura. Si tratta, ov-viamente, di una proposta totalmente de-centralizzata, multifocale, la cui dinamica sarà data dalle comunità di base. Non si tratta, quindi, di confrontare le condizio-ni di un territorio con quelle di un altro e consultare le autorità al fine di decidere chi deve dialogare con chi. Lo abbiamo già detto, le strutture giuridiche dei diversi

territori sono differenti. Si tratta di una diplomazia senza diplomatici. Il concetto di diplomazia dei popoli potrebbe essere inteso in modo molto diverso in altre regioni del mondo. Finanche in altre zone della Nuestra América potrebbe essere definita e organizzata in maniera differente. Così, in Sud America, tra i paesi indipendenti – adesso con l’aiuto e il sostegno dell’Unasur (Unione dell’America del Sud) – si possono immaginare e realizzare sistemi di relazioni per l’avvicina-mento tra i popoli. È possibile, ad esempio, creare sistemi di relazione e integrazione nelle aree di confine visto che come spesso accade una stessa popolazione indigena vive in diversi paesi limitrofi: il popolo yanomamis in Brasile e Venezuela; i guajiros tra Venezuela e Colombia; oppure i quechuas dei paesi andini. Tutti questi popoli indigeni han-no la stessa storia, parlano la stessa lingua e condividono la

La diplomazia dei popoliI Caraibi. Una sola possibilità di integrazione

di Andrés Bansart

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

stessa cultura, ma sono stati separati da frontiere ereditate dal periodo coloniale. Gli stati possono creare meccanismi all’interno delle loro relazioni per agevolare la vita di questi popoli e permettergli di organizzarsi per difendere i loro diritti e organizzare la vita comunitaria. Un altro esempio potrebbe essere l’avvicinamento guidato da gruppi di cittadini boliviani e cileni con l’obiettivo di at-tivare un dialogo tra i rispettivi paesi, in modo che fossero riprese formali relazioni diplomatiche al fine di porre fine ad un conflitto antico e di difficile risoluzione. Anche in questi casi si è soliti parlare di “diplomazia dei popoli” che si identifica con una certa partecipazione e differisce dalla “diplomazia dei popoli” praticata qui nei Caraibi, che cor-risponde piuttosto alla democrazia diretta. Perché se sono forme diverse di democrazia hanno lo stesso nome? Nei Ca-raibi, dunque, la situazione è variegata e molto sui generis. La regione, lo sappiamo, è un rompicapo molto complesso e, se vogliamo una vera integrazione sono i popoli stessi che devono assumere questa sfida. Per questo possiamo parlare di diplomazia diretta nello stesso modo, anche se in riferimento a un’altra sfera, in cui abbiamo parlato di democrazia diretta. Entrambi i concetti possono essere applicati nei Caraibi e condurre i popoli ver-so una cooperazione finora quasi inesistente, che si riflette solo in iniziative sparse e occasionali; ma fino a questo mo-mento non si può parlare ancora di diplomazia dei popoli. A volte viene menzionato il termine diplomazia cittadina, concetto relativo al diritto e alla capacità d’intervento delle associazioni di cittadini in quegli spazi fino ad ora riservati alle istituzioni nazionali, come i ministeri degli esteri o talu-ni organismi internazionali. Nel nostro caso, l’obiettivo non è quello di condividere lo spazio con queste istituzioni, ma consentire a tutti i popoli senza alcuna eccezione, di trovar-si su di un piano di parità, riunirsi come e quando deside-rano, discuetere le problematiche comuni, creare così ponti tra le comunità di base che hanno gli stessi interessi, com-parare le esperienze e, se possibile, progettare programmi di cooperazione, valutarli ed eseguirli in autonomia senza alcuna interferenza da parte “autorità ufficiali”. Cosa sono queste comunità di base? Ricordiamo che una comunità di base è un’associazione autonoma di persone che hanno deciso, volontariamente, di unirsi e collaborare. Funziona sulla base dei principi della democrazia diretta e si pone lo scopo di ottenere benefici per i propri membri, le loro famiglie e la base locale, in campo sociale, ecologico, economico, educativo, culturale e quant’altro. Il suo obiet-tivo è quello di far fronte – come organismo collettivo – a precise esigenze in uno o più settori tra quelli appena citati. Tra i valori delle comunità di base vi sono il rispetto reci-proco e i saperi condivisi, la solidarietà, la partecipazione paritaria e diretta di tutti i membri, l’uguaglianza rispetto a diritti e doveri. Vengono promossi valori etici di onestà, tra-sparenza, responsabilità sociale e impegno per gli altri, vale a dire, con le altre comunità che costituiscono l’ambiente umano e, soprattutto con gli esclusi, quelle persone o grup-pi di persone che sono o si sentono emarginati.

Per quest’ultimi vanno fatti sforzi per la comprensione e l’inclusione. Quando si parla di comunità di base, si pone l’accento sul-la condivisione, la comunicazione e il lavoro comunitario. Viene sottolineata la circostanza che si tratta di conforma-zioni composte da persone che vivono in uno spazio preciso e relativamente piccolo, che si conoscono tra loro, si vedo-no con frequenza e possono collaborare quotidianamente. Sono comunità di questo tipo quelle aventi le caratteristiche e le capacità necessarie per costruire ponti tra i diversi terri-tori dei Caraibi e spingere verso l’integrazione. Di conseguenza, la diplomazia dei popoli è molto differen-te dalla diplomazia degli stati, senza per questo entrare in constrasto con essa. Risponde a una legge di visibilità e con-siste in un’azione diretta, attiva, flessibile, adattabile a tutte le circostanze. E’ agli antipodi rispetto alla diplomazia degli affari; è la diplomazia della dignità. Diplomazia dei popoli significa scambio tra comunità di base di due o più territori: condivisione di preoccupazioni, analisi ed esperienze. Rappresenta la possibile elaborazione di progetti tra comunità di base miranti al comune sviluppo umano e alla salvaguardia dell’ambiente. Non è possibile, per tutte queste ragioni, il verificarsi dell’ingerenza di un territorio in un altro, ma al contrario vi saranno dialogo e cooperazione che potranno diffondersi nell’intera regione.La diplomazia dei popoli è un aspetto della democrazia di-retta che esce da un piccolo territorio e si proietta nell’in-sieme dei Caraibi. Non è sufficiente la partecipazione ma è essenziale realizzare e rafforzare l’autogestione su scala in-terregionale scala affinchè i popoli, uniti, possano conqui-stare i propri diritti civili e migliorare la qualità della loro vita.

I CERCHI DELL’INTEGRAZIONE

In un altro lavoro abbiamo parlato di cerchi dell’inte-grazione, il cui sviluppo deve avvenire attraverso cer-chi concentrici. Insistiamo su questa ipotesi quando ci riferiamo alla possibilità di una integrazione caraibica.

Il centro dev’essere, a nostro avviso, la comunità di base, perché è il luogo dove s’incontra l’uomo in carne ed ossa, l’essere umano che soffre, ha fame ed è senza lavoro, e che quindi, ha da risolvere problemi concreti. E lì che possiamo trovare quella che definiamo comunità di base, costituita da donne e uomini che si conoscono, sono vicini, patiscono gli stessi problemi e possono, uniti, trovare soluzioni a que-sti problemi (in materia di alloggi, occupazione ,istruzio-ne, acqua potabile, rifiuti e raccolta differtenziata, incontri culturali, sicurezza e quant’altro). Nella comunità di base è necessario integrarsi per migliorare le condizioni di vita. Se lì si realizzerà una vera integrazione, si potrà avanzare a un livello superiore intorno a questo punto, per cerchi concen-trici: il comune, la provincia, il territorio nel suo complesso, poi i Caraibi. Risulta evidente, che i cerchi dell’integrazione devono partire dal territorio più piccolo sino ad arrivare a

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POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

quello più grande. Fino a questo momento si è cercato di realizzare un’integrazione dall’alto verso il basso, dai verti-ci politici, sociali ed economici, agli uffici governativi, alle amministrazioni. Alla base non è accaduto nulla. Noi pensiamo che siano le basi quelle che devono integrar-si. In primo luogo, sapere che cosa è l’integrazione e agire di conseguenza dall’interno. In seguito, conoscendo le proprie potenzialità, costruire l’integrazione dal basso verso l’alto, per cerchi concentrici. Ma – parleremo di questo alla fine del capitolo – questi cerchi dovranno essere anche in co-municazione diretta tra loro, senza intermediari, orizzon-talmente. Agendo in questo modo potrà essere raggiunta l’integrazione dei Caraibi.

RELAZIONI CON GLI ORGANISMI UFFICIALI

Le proposte contenute in queste pagine potrebbe-ro spaventare qualcuno. Non solamente gli anti-democratici che, naturalmente, vedranno in esse la possibilità di rafforzare una vera democrazia e

una mobilitazione popolare che non potranno controllare. A noi non interessano i timori di questa gente. Quello che ci interessa è la perplessità di alcune istanze democratiche ufficiali dei Caraibi che potrebbero intravedere dei rischi nelle iniziative (anche se totalmente legali) delle comunità di base. Noi conosciamo bene i rischi, ma molte persone temono l’ignoto. E, di certo, noi affrontiamo l’ignoto perché ci troviamo dinanzi a delle novità:l’ esplorazione dell l’im-menso potenziale creativo dei popoli che, grazie a questa iniziativa, potranno essi stessi ideare progetti inediti di so-cietà e dar vita alla cooperazione per lo sviluppo endogeno dei Caraibi. Se sono democratici, le autorità o gli eletti della democrazia rappresentativa invece di mostrare preoccupazioni dovreb-bero gioire, perché in queste iniziative vi è il germe fonda-tore di una democrazia rafforzata. Se sono eletti, con la de-mocrazia diretta eviteranno l’isolamento politico e saranno parte di un tutto. I loro ideali democratici saranno rafforzati e rivitalizzati. Se sono autorità, invece, dovranno ricordare l’etimologia del termine: una parola che deriva dal latino augere (aumentare). Il ruolo che gli è assegnato è quello di migliorare la gestione della cosa pubblica e vedranno in questa mobilitazione, la possibilità di moltiplicare, ingran-dire i risultati dei loro sforzi in maniera tale da aumentare l’impegno della cittadinanza nella costruzione della città. Per il bene di tutti e la felicità di ognuno. Per questo, invece di agitarsi gli organismi ufficiali – qua-lunque essi siano, nei diversi sistemi giuridico-politici dei Caraibi – dovrebbero incentivare le iniziative delle comuni-tà di base, la democrazia diretta e la diplomazia dei popoli. Incentivare non significa interferire. Devono essere le co-munità di base a prendere l’iniziativa e concretizzare le azioni. Gli organismi ufficiali possono (e dovranno) propi-

ziare queste iniziative e fornire i mezzi necessari per realiz-zare queste attività.ORGANIZZAZIONE DELLE COMUNITÀ DI BASE

Non è questo lo spazio per spiegare come pos-sono essere organizzate le comunità di base. Sull’argomento ci sono manuali eccellenti. Inol-tre, sono le comunità stesse a dover decidere il

proprio modello di autogestione. Tuttavia, al fine di cono-scere il processo che va dal concetto di democracia diretta alla prassi della diplomazia dei popoli, ci sembra utile for-mulare alcuni principi funzionali che riteniamo siano im-portanti. Le comunità di base sono gruppi sociali auto-organizzati, vale a dire, nuclei costituitisi per la risoluzione di alcuni specifici problemi. L’autogestione è allo stesso tempo, un metodo e una dinamica di cambiamento sociale. Partono da una concezione ben precisa della vita per arrivare all’as-sunzione di un approccio attivo ed esigono che da parte dei propri membri vi sia capacità, visione chiara, e volontà met-tere in pratica la democrazia diretta. I suoi membri possono essere uomini o donne, uniti o separati a seconda del pro-getto, adulti o giovani, ma anche anziani che possono essere molto d’aiuto con la loro saggezza e, talvolta, con il tempo libero di cui dispongono. In questo senso, si potrebbe articolare quanto affermato in precedenza rispetto alle università, di cui deploriamo il fatto che nella maggioranza non svolgano il ruolo che, a nostro giudizio, a loro spetterebbe in relazione allo svi-luppo dei territori nelle quali sono stabilite. Se le università tradizionali non lo fanno, dobbiamo dar vita a università popolari cooperative volte a creare conoscenza a partire dalle pratiche sociali delle popolazioni, consentire ai mem-bri delle comunità di base d’istruirsi in maniera reciproca e permanente, offrire assistenza alle comunità in modo che queste possano organizzarsi, identificare i problemi, analiz-zarli, progettare piani e programmi, autogestirsi e realizzare opportune valutazioni circa le proprie azioni. Quello che a noi qui interessa è l’integrazione dei Caraibi, le comunità di base devono stabilire ponti con comunità si-mili e con esse organizzarsi in rete. Le università popolari e cooperative sarebbero a loro disposizione per analizzare la realtà dei Caraibi, aiutare a conoscere gli altri territori e popoli della regione, apprendere la storia comune e le storie particolari, valorizzare le culture popolari, studiare l’evolu-zione economica, evidenziare i danni ecologici da questa provocati nel corso dei secoli, e apprezzare la biodiversità e l’etnodiversità dei Caraibi.

Traduzione di Fabrizio Verde Docente di Sviluppo e ambiente (Universidad Simón Bolívar, Ca-racas), già professore emerito (Université François Rebelais Tours, Francia)

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Il concetto di solidarietà al quale ci riferiremo indica quella volontà politica che mobilita l’azione sociale al fine di sostenere la causa di emancipazione e di anti-e-gemonismo che oggi caratterizza l’America Latina. Nel

comportamento individuale, essa rianima atteggiamenti deliberativi, critici, concordi con la giustizia e l’equità so-ciale. In ambito organizzativo è attuata da partiti, governi e organizzazioni, sostenuti dagli enti territoriali sorti nei processi rivoluzionari in atto da tempo, i quali sono anche debitori diretti o indiretti dell’impatto geopolitico di Hugo Chávez e della sua opera. La solidarietà manifestata oggi nel territorio, ha una forte consapevolezza della conflittualità che è in gioco, sia a livello nazionale che internazionale.

La idea di solidarietà è una costante dall’enorme forza sim-bolica nella cultura latinoamericana. Dall’eccessiva falsità scaturita dai discorsi della Conquista, pieni di appellativi come “unione e mansuetudine indigena”, adesione forza-ta, accolti dalla dottrina della Chiesa, fino alle letterature politiche repubblicane ed oltre, il tema della solidarietà condisce ogni genere di appello. L’America, immensamente caratterizzata da una solidarietà tribale, civilizzatrice, au-toctona, vedrà strappato quel patrimonio con il sangue e con il fuoco, con la spada e con la croce. Bisognerà aspettare l’arrivo della prospettiva antropologica che caratterizzerà il XX secolo per capire a fondo e rivendicare le sue ricchez-ze, le sue forze, la sua esemplare singolarità. Ma persisterà, essendo fondamento primario per la resistenza indigena, e sopravvivrà con vigore arrivando fino ai nostri giorni.

Ma se parliamo di conflitti, la tradizione ispano-americana ha una copiosa e longeva tradizione nel dare applicazione alla solidarietà: le guerre campali lo testimoniano: la coa-lizione Argentina-Uruguay-Brasile, asserragliata contro l’e-roico Paraguay (1865 -1870); il Cile contro il Perù (1879); il Chaco (1932 -1935)… tali scontri - propizi per il grande

capitale straniero - chiamano alla solidarietà diplomatica di fronte a tante avversità; continueranno ad accrescere la consapevolezza delle assurdità della storia piena di contrad-dizioni. I danni arrecati al Messico (1835) o Panama (1903), che ingigantiscono il potere degli USA, scatenano anche in-dignazione e urgenze solidali, che essendo però esercitate da nazioni troppo deboli, non vanno oltre l’essere sempli-ci lezioni morali, seppure piene di insegnamenti strategici racchiusi nel supremo aforisma: Si bis pacem, para bellum. L’invasione alle Malvine (1982), e quella a Panama (1989) saranno il maggiore avvertimento per tutto il territorio. Le nuove solidarietà dovranno fare memoria di questo moni-to, imparato con il sangue e con il fuoco, e renderlo realtà a qualsiasi costo. Inevitabilmente questi conflitti divengo-no belligeranza, assumono le nuove modalità della guerra e, con la stessa dinamica geopolitica, trasformano la spinte solidali in forze attive della stessa.

SOLIDARIETÀ E MODERNITÀ

La solidarietà borghese originariamente era bellige-rante, il suo fine era quello di conquistare il potere durante il secolo XVIII. Le strutture rigorosamente non-politiche si basarono su una serie di collega-

menti che avevano l‘intento di rafforzare la consapevolezza della classe sociale, stabilire il proprio campo culturale ed istituire unità di potere corporativo, commerciale e finan-ziario. La Francia eccelse nella formazione e propagazione di tali atteggiamenti. Nel frattempo, i club e le società scien-tifiche in Inghilterra formarono una poderosa e influente rete di solidarietà. Inevitabilmente, la politica ufficiale e specifiche iniziative si associarono per proiettare l’imma-gine di una società di successo, trionfante, espressione dei nuovi tempi, una civiltà lanciata a conquistare spazio nel mondo. Questa necessità avrebbe conformato un parti-colare senso di solidarietà ed è ciò che caratterizzò le re-

Belligeranza e solidarietàNuove identitàdi Duilio Medero*

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un’effettiva lotta contro la sua emarginazione sta portando all’attuale ondata delle valide soluzioni per vincere la po-vertà. Tra le altre caratteristiche: un patriottismo collegato ad un attivismo internazionalista il cui obiettivo principa-le è la resistenza; e quando si sbilanciano con quella forza integrazionista, nell’ambito degli organi regionali, dette so-lidarietà consolidano quell‘ordine giuridico che non deve assolutamente perdere quel suo vigore in quanto con esso rivendicano la sovranità (patrimonio dello Stato, minaccia-to dalla globalizzazione).Questo nuova coscienza che caratterizzerà la solidarietà avrà anche diverse responsabilità e si convertirà in quella che potremmo definire come “pietra angolare” della nuova Costituzione venezuelana, incaricata nel progetto di pia-nificazione sociale, e nella nuova dottrina di difesa della nazione. Così, solidarietà e responsabilità dan-no origine ad un’impresa che incomincia a farsi largo oltre le frontiere, distrug-gendo barriere ed operati che non possiedono altra meta se non quella di trasformare l’intero pianeta in un mercato globa-lizzato, a qualunque prezzo. Questo lo ritroviamo ulte-riormente negli ideali poli-tici ed etici del socialismo del XXI secolo.Inoltre, se la responsabilità concede quella forza legale, è proprio attraverso questo processo che la dottrina di difesa viene valorizzata, e lo fa con la compatta partecipazio-ne dei cittadini. Si arriva quindi all‘“inteligencia” e al controllo socia-le. Nella speranza che ci sia stato un cam-biamento di rotta ora la cosiddetta rivoluzione stabilisce le distanze nel tempo e nello spazio: riprende quelle rivendicazioni amerindie (che irromperanno in Bo-livia ed Ecuador); evoca quelle lotte per la liberazione che ruppero con l’assolutismo; ed ancora quelle lotte che carat-terizzarono il periodo neo coloniale e che richiederanno validi soccorsi.Così, nei suoi primi anni, Hugo Chávez evocherà frequen-temente Omar Torrijos; questo a sua volta conosceva la connessione con le altre lotte del passato, e in un discorso cita il combattente indipendentista Amilcar Cabral, il qua-le sostiene: “La solidarietà senza l‘uguaglianza è solo carità, e la carità non ha mai contribuito al progresso delle nazioni né degli esseri umani. E la sicurezza senza l‘uguaglianza è solo un paternale controllo autoritario, protezionismo, co-lonialismo, ed è questo che sta alla base del conflitto tra il sentimento di liberazione delle nazioni e quello degli esseri umani” . Gli interessi diffusi non riescono a formare legami solidi di spessore politico così come accade nei contesti di eman-

cipazione. Ed è per questo che questa nuova identità so-ciale della solidarietà che oggi va consolidandosi, continua a basarsi su un criterio ben distinto per quanto riguarda l’integrazione; i suoi principi non lasciano dubbi, vengono rilevati nell’ALBA, Mercosur, ALAC, Unasur, Petrocaribe… Oggi l’America latina è caratterizzata da un intenso e co-stante sviluppo della solidarietà .Tale percezione mette oggi in evidenza che si può trascen-dere dalla pura coscienza culturale per stabilirsi in un’i-stanza più profonda: la consapevolezza di essere. Così, le solidarietà non potevano diventare effettive se influenzate da problemi di crisi di identità.Una volta individuate le prospettive del conflitto, orientato verso un nuovo ordine mondiale, si è riscontrata una vo-lontà più definita e fluida rispetto al passato e ciò che risulta

trascendente è che non parte nè dalla retorica nè dall’utopia ma da un nuovo tipo di reali-

smo.Per tali ragioni, un piccolo consi-

glio comunale di un quartiere venezuelano, o un comitato

dell’Altopiano, o una vigorosa squadra di cordiali attivisti, condividono le stesse idee circa le conseguenze che loro azioni avrebbero su un probabile conflitto con altri dominatori.E‘ un grande risultato l‘aver

compreso che la solidarietà bellicosa è un valore prati-

co, come lo è l’integrazione. Il modo in cui queste nuove

solidarietà si sono diffuse nella re-gione, con l‘intento di conseguire un

rapido cambiamento o affrontare l’ostru-zionismo, senza minacce o sottomissioni ,

mette in evidenza una condizione specifica da analizza-re: l’uomo americano torna a sentire l’urgenza della liber-tà, ed è quello che darà a queste solidarietà quel carattere battagliero.E questo perché non può essere altrimenti, in quanto i semplici e moderati riformismi ebbero il loro momento in America Latina, la borghesia come potenziale incaricata di un probabile cambiamento ebbe la sua opportunità storica e la sprecò, per lasciare il continente in quell’intrappola-mento neoliberale.Ma anche l’uscita da questo labirinto ,equivalente ad un enigma storico, ha rivelato un tempo prodigioso ed inar-restabile.

Traduzione di Simona Palumbo

*Antropologo, ricercatore e consulente del Ceofanb,Ministero della Difesa (Repubblica Bolivariana del Venezuela)

LA RIVISTAÁMBITO CÍVICO MILITAR

Si tratta di una rivista da collezione, con oltre 100 pagine a colori. Il contenuto tratta di attualità, storia, nuovo pensiero militare venezuelano, nuove questioni legislative, geopoliti-che, internazionali, nuove tecnologie, partnership, energia, tra le altre cose. È pubblicato bimestralmente con tiratura di 5.000 copie. La rivista è anche on line alla pagina

www.ceofanb.mil.ve

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

pubbliche nascenti a partire dal 1800; in questo processo il pensiero politico anglosassone lascerà un segno profondo. Anche la necessità di un cambiamento si tradurrà in una nuova forza, ossia l’affermazione di processi di lotta per l’In-dipendenza, questi si proietteranno verso il Vecchio Mon-do, conferendo un impatto politico allo stesso Illuminismo. Ed ancora, incoraggiando le nuove filosofie di solidarietà, rendendo il progetto America sinonimo di lotta indoma-bile per la libertà.Le rivoluzioni del XX secolo raramente ebbero il potere di radunare il popolo al fine di conferire alla solidarietà quel grande potere sociale in quanto il sostegno era mol-to limitato; tale fu per quella dei lavoratori dinanzi ad una determinata rivendicazione, o fine politico; o quella di un proletariato che non fu mai sociologicamente solido né uni-forme. Per esempio, i movimenti che accorsero nella lotta armata in Venezuela e nel Cono Meridionale, non potero-no contare su numerosi supporti sociali, ed ottennero una solidarietà abbastanza limitata ideologicamente che non avrebbe esercitato nessun obbligo nel cambiamento sociale né nella presa al potere, in quanto spesso i partiti politici in rivolta restavano fuori dalla lotta “istituzionale”, emarginati nella loro società ed è quello che accadde nella “lotta arma-ta” venezuelana del 1960; o con i comunisti e socialisti nel Cono Meridionale; o ancora con la sinistra in Cile dopo la sconfitta di Allende. Fino al peronismo, in Argentina, così tanta energia sarebbe stata illegale. Le abominevoli repres-sioni, orchestrate dal Piano Condor, determinarono un sen-so di sottomissione e omertà soprattutto nelle associazioni di solidarietà politica di sinistra (condannandole alla vita clandestina), sottoponendo il popolo e la classe media ad un processo di inibizione della coscienza di classe.

Furono tempi in cui si consolidò un’ideologia liberale, di fronte ad ogni pensiero socialista, rivoluzionario o riven-dicativo della classe sociale. Ma che solidarietà può sorgere dal laissez-faire? In primo luogo, essendo una celebrazione dell’individualismo, il pensiero liberale difende i compor-tamenti dell’individuo che ha come unico scopo quello di ricercare il benessere particolare, privo di contenuti sociali. Per quanto riguarda la cultura, le libertà che bandisce e af-ferma di difendere non vanno oltre l’adempimento ad al-cuni ruoli particolari. Nel campo politico-istituzionale, si conforma la base (e la ragione di essere) della Democrazia Liberale, una storia così ricca di eventi dell‘ America Latina e di quei mediocri risultati che riguardano la realizzazione delle sue repubbliche. Per questo, tali solidarietà non riusci-rono a conseguire quei progetti sociali che sarebbero dovuti emergere durante la Guerra di Indipendenza. E gli stessi li-miti ebbero quei modelli di solidarietà prodotti in periodi caratterizzati da numerose lotte e da un‘ingiustizia radica-ta nelle funzioni primarie del governo, un processo che lo stesso operò con rigore nel XIX e XX secolo. Il nascente positivismo, a suo modo, dovrà accogliere le solidarietà come un input sociale per realizzare concretamente ordine e progresso, degni di vanto.

Se si esamina la vasta letteratura riportata nella filosofia politica e sociale ispano-americana del XIX secolo, e qui ci troviamo nel Rio de la Plata, le società confidavano nella realizzazione dell’immagine precisa dell’essere umano come prodotto della civiltà, ma fu estremizzato nei contenuti e nei valori dagli europei , condizionando così la percezione della realtà e la realizzazione fedele ed esatta dell’essere latino-a-mericano. Tuttavia, questa “sindrome” porterà ad un con-cetto comune: questo fenomeno di “consacrazione dell’in-dividuo straniero” sarà così interpretato da Carlos Pereyra : «In quell’ambiente caratterizzato dall’inquietudine, il creolo alimentava i suoi aneliti con chimere […] Privo di fini e, pertanto, di orientamenti, il creolo li cercò all’estero».Tuttavia, con queste illustrazioni cariche di valori, non ci si rapporta alla realtà, così segnata da crude e graffianti con-traddizioni. Le voci che rivendicavano l’originalità come unico criterio valido furono zittite, e solo due secoli più tar-di, si comprenderà la qualità di questo discorso e si potrà parlare di associazioni di solidarietà sia nel civico, culturale, etico, e, ovviamente, ci sarà la realizzazione di nuove strut-ture politiche, che vanno dalla democrazia partecipativa e protagonistica venezuelana fino all‘affermarsi del socialismo.

UNA NUOVA SOLIDARIETÀ

Possiamo affermare che la Rivoluzione Bolivariana, nel suo discorso etico, esaltando il tema dell’identi-tà culturale, si affermò come mezzo di propaganda di quel senso di solidarietà che con tanta difficoltà

andava affermandosi nel XIX secolo, quando il liberalismo poté dare libero sfogo ai propri concetti di base ormai già avviati nella società , imponendo la sua scala di valori fon-damentali del successo individuale, l’inumana pratica con cui si ottenevano ricchezze, discorsi in contrasto con la tradizione cristiana, i cui valori si erano ben radicati nella Colonia e progressivamente indeboliti nel corso dei secoli con la crisi del XIX secolo post-indipendentista e succes-sivamente con l’industrializzazione e il capitalismo nel XX secolo.In America Latina si affermò un liberalismo che non ebbe per nulla successo in quanto, quella solida prosperità eco-nomica, alla lunga si sarebbe trasformata solo in una co-moda facciata del successo oligarchico che in pratica aveva lo scopo di corrompere le classi creando scompiglio e farsi testimone della coscienza degli ostentatori della ricchezza e dei privilegiati del potere.Inizialmente Bolívar lo capisce, e sintetizza l’essenza del problema quando si vede obbligato ad imprecare: “Pensare che i guadagni di quattro commercianti possano fare la fe-licità della nazione, significa ignorare i principali elementi dell’economia politica” (El Correo del Orinoco). Tutto que-sto alla fine si tramuterebbe in una disgregazione dei princi-pi della solidarietà richiesti dal bolivarismo con lo scopo di edificare l’unità continentale e raggiungere quella stabilità repubblicana.Si è giunti ad una nuova identità sociale delle solidarietà e

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Solidarietà. Una parola che risuona, in Venezuela, da 15 anni, coniugando nei principi del socialismo il senso della condivisione (compartir). Un concetto che declina, in nuova veste e con nuove modalità,

l’antico significato della parola “compagno”: cum-panis, colui o colei con cui si divide il pane. Nonostante quanto afferma la destra, le politiche di solidarietà non sono sem-plice assistenza, volta a perpetrare un sistema clientelare, né rappresentano subdole logiche di asservimento dottrinale. Il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) non è per le classi popolari l’equivalente della chiesa cattolica per i po-veri, oggetto di beneficenza e destinati a raggiungere una vita felice solo dopo la morte, in Paradiso. I piani sociali del governo mirano invece a far crescere la coscienza e l’orga-nizzazione di chi altrimenti sarebbe solo merce e carne da cannone per il capitalismo. Il presidente Nicolás Maduro lo ha espresso chiaramente nel suo colloquio in Vaticano col papa Bergoglio: “venga, la chiesa – ha detto – ad appoggiare in Africa, lo spirito delle nostre Misiones”. E ha proposto la beatificazione di Gregorio Hernández, il medico dei poveri che ha messo al centro della sua vita la solidarietà con gli ultimi e l’impegno sociale. Rifiutando la logica del palazzo, il “governo della strada” di Maduro imprime un forte mes-saggio di solidarietà, condivisione e partecipazione politica, invitando il popolo e le comunità alla gestione diretta della società. Una visione che il Comandante Hugo Chavez ha diffuso intorno a sé fin dai primi momenti della sua attività politica. Come ci ha raccontato l’editore Manuel Vadell – suo amico di lunga data – quando Chávez è uscito dal car-cere di Yare dopo aver diretto la ribellione civico-militare del 4 Febbraio, aveva solo la sua pensione da ex ufficiale, ma la divideva con i compagni che non avevano neanche quella. E con questo spirito ha condiviso fino all’ultimo col suo popolo ogni istante della sua vita.Solidarietà degli oppressi contro l’arroganza e l’egoismo di chi li sfrutta. Su questa base, le più alte cariche dello Stato rinnovano la loro scelta di campo: se i capitalisti fuggono chiudendo le fabbriche, il presidente le occupa, insieme agli operai. E nessuno viene lasciato a casa, costretto al suicidio come in Europa perché senza lavoro. Solidarietà e condivisione ispirano l’impegno dei media alternativi e comunitari, ai quali Chávez ha dato visibili-tà e strutture. Ed è stato il tam tam dei media alternativi a far conoscere il golpe del 2002. Grazie all’informazione

dal basso e alla solidarietà, il presidente legittimo ha potu-to tornare al suo posto e riprendere il cammino interrotto dalla borghesia.Oggi, in Venezuela ci sono 2.896 media, e solo il 3,22% ap-partiene al servizio pubblico. Per il 20,76% si tratta di media comunitari. La battaglia contro il latifondo mediatico è però ancora lunga. Il 65,18% dell’informazione (circa 2.332 me-dia) è nelle mani dei gruppi privati e quasi completamente di opposizione. Nonostante questo, nonostante l’egemonia

L’impegno solidale in VenezuelaTra governo bolivarianoe media comunitaridi Geraldina Colotti*

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

mediatica dell’opposizione e il suo potere di disinforma-zione, il socialismo bolivariano ha vinto 18 elezioni su 19 (perso, di stretta misura, solo il referendum costituzionale del 2007). Come dire che, proprio grazie al lavoro capilla-re dell’informazione alternativa e comunitaria, il messag-gio delle destre non è passato. Come rileva un’analisi del gruppo di Prensa Alternativa y Comunitaria El Negrero, il messaggio escludente, razzista ed elitario dei rappresentanti oppositori della “democrazia rappresentativa” è finora stato oscurato dalla forza solidale, comunitaria, inclusiva e par-tecipata del Governo comunitario e dello Stato comunale. Esperienze di potere popolare in cui i Medios Alternativo y Comunitarios Escritos (Mace) diventano il fulcro della co-municazione, del dialogo e della cooperazione solidale: agi-tatori e organizzatori collettivi, che smascherano insieme alle comunità il sabotaggio, la guerra economica e quella mediatica, volta a indurre nella popolazione paura del fu-turo e sfiducia nella rivoluzione. Grazie al lavoro dei media comunitari, sono stati scoperti magazzini pieni di merci accatastate, pronte per essere vendute a prezzo maggiorato

al mercato nero. Grazie alle radio e alle televisioni comuni-tarie, i quartieri hanno potuto accorgersi della costruzione artificiale delle code, organizzate a uso e consumo dei me-dia internazionali. Lucidi anticorpi contro le menzogne interessate dei poteri forti, ieri come oggi i media alternativi sono al centro degli appelli alla solidarietà internazionale contro i tentativi di golpe delle destre eversive. Anche dalle reti della comuni-cazione territoriale è partita la proposta per una settimana di mobilitazione internazionale a sostegno del socialismo bolivariano (1-8 marzo 2015). La risposta è stata ampia e polifonica, ma accordata su un unico spartito e un solo gri-do: No volverán.

*Scrittrice e giornalistaLe Monde Diplomatique / Il Manifesto

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La Costituzione della Repubblica Bolivariana del Ve-nezuela in materia ambientale è già di per sé una proposta di solidarietà tra i popoli del mondo; così indica il suo preambolo, dove si delinea uno “Stato

di giustizia, federale e decentralizzato che […] promuove la cooperazione pacifica tra le nazioni, […] il disarmo nucle-are, l’equilibrio ecologico e i beni giuridici ambientali come patrimonio comune e irrinunciabile dell’umanità”.Coerentemente con questa proposta, la Legge del Piano della patria 2015-2019, eredità del comandante supremo ed eterno della Rivoluzione Hugo Chávez, stabilisce nel quin-to obiettivo storico quanto segue: “Contribuire alla tutela della vita nel pianeta e alla salvaguardia del genere umano”; gli obiettivi nazionali 5.1 e 5.4 lo sviluppano nella seguente maniera: “5.1. Costruire e potenziare il modello economico produttivo eco-socialista, basato sulla relazione armonica tra l’uomo e la natura, che garantisca l’utilizzo e lo sfrutta-mento razionale, ottimale e sostenibile delle risorse natu-rali, nel rispetto dei processi e dei cicli della natura”; “5.4. Contribuire alla conformazione di un grande movimento mondiale per contrastare le cause e riparare gli effetti del cambiamento climatico, che si verificano come conseguen-za del devastante modello capitalista”.Questo obiettivo storico, che fa parte del piano di sviluppo del nostro Paese, è indubbiamente un appello alla solida-rietà con la madre terra, attualmente minacciata dal cam-biamento climatico.Il cambiamento climatico è ancora, per alcuni, oggetto di un dibattito che non giunge a conclusione. Le nazioni in-dustrializzate da anni si ostinano sistematicamente a non ammetterne la gravità: parliamo, secondo Valencia e i suoi collaboratori (Ecoportal.net, 10/03/14), di 200 anni di ne-gazione al solo scopo di appoggiare il capitalismo da cui ha origine. Seguaci e propugnatori del sistema capitalistico sono impegnati a negare ogni responsabilità dello stesso ri-spetto al cambiamento climatico e, naturalmente, non sono disposti a seguire le raccomandazioni scaturite dai diversi convegni tenutisi nel mondo per tentare di ridurre gli effetti del disastroso fenomeno. Una delle proposte più ragione-voli alle quali è arrivata la comunità scientifica in relazione al tema è quella che punta al cambio di modello economi-co mondiale verso il modello socialista, essendo giunti alla conclusione che, se il capitalismo è la causa, la possibile so-luzione non si troverà mai al suo interno.Attualmente la lotta al cambiamento climatico e al riscal-damento globale implica la necessità di intraprendere una lotta di classe contro il sistema capitalista, sfruttatore dell’essere umano e della natura. Solo attraverso un nuovo sistema basato sulla solidarietà e sull’uguaglianza potremo procedere alla riorganizzazione con nuove fonti di energia

pulite e rinnovabili, una forma di produzione rispettosa dei cicli naturali, e uno stile di vita non incentrato su guadagno e consumismo smisurati. Un esempio di alternativa potreb-be essere quello di Cuba, che in seguito all’embargo ha sa-puto impostare un’agricoltura ecologica, adeguata a favorire un’alimentazione abbondante e sana. Intanto i problemi generati dal cambiamento climatico si presentano e si manifestano con sempre maggiore intensità in forme e modi diversi: uragani, incendi forestali, deserti-ficazione, siccità prolungata, esodi umani, fame nera, perdi-ta di biodiversità, comparsa di nuove malattie e pandemie, diminuzione dei raccolti e della pesca – di fenomeni attivi ce ne sono a milioni – e ci sono migliaia di milioni di perso-ne a rischio per la scomparsa delle aree costiere, patrimoni mondiali come Venezia, San Pietroburgo, Amburgo, più al-tri 40 luoghi, stando alle informazioni.Le vittime di questo crimine brutale del sistema capitalisti-co contro il pianeta sono in maggioranza i poveri; i soprav-vissuti restano in tali condizioni di miseria e abbandono che in breve tempo possono finire emarginati o diventare mano d’opera disperata e facilmente sfruttabile. Gli effetti continuano a sentirsi: a maggio 2013 è scesa sotto la soglia di 400 ppm di concentrazione di CO2 nell’atmo-sfera, fatto che secondo gli esperti ci avvicina a un punto di non ritorno; continua anche lo sfruttamento di minerali e combustibili fossili con tecniche sempre più inquinanti (miniere a cielo aperto, fatturazione idraulica o fracking, uso di cianuro, sfruttamento dei fondali marini), il disbo-scamento, il consumo di carne e l’agricoltura intensiva con pesticidi e transgenici.Alcuni studiosi come Serge Latouche (Ecoportal.net, 04/04/14) propongono soluzioni rivoluzionarie come quel-la della cosiddetta decrescita economica, un tema provoca-torio per sottolineare la necessità di una rottura e colpire gli animi come uno slogan pubblicitario. Il Venezuela, solidale nella lotta al cambiamento climatico, non si ferma alla proposta del Piano della Patria: questa lot-ta fa parte dell’azione politica. Attualmente il 64% del con-sumo di energia elettrica è energia pulita che viene dalle cascate d’acqua; intanto, essendo parte della stessa legge, si esplorano le enormi potenzialità che abbiamo per utilizzare a medio termine altre fonti di energia pulita come quella so-lare e quella eolica. Al tempo stesso, si lavora intensamente per promuovere il consumo efficiente dell’energia elettrica.

Traduzione di Emilia Saggiomo

*Docente di Agronomia (UNELLEZ, Universidad Nacional Expe-rimental de los Llanos Occidentales “Ezequiel Zamora”), articolista ed ex deputato dell’Assemblea Nazionale (Venezuela)

Venezuela solidalecon il mondo nella lotta contro il cambiamento climaticodi Porfirio Hernández*

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

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La riforma agraria è un problema antico in Brasile. Una ristretta classe di latifondisti (1,6%) controlla il 46% delle terre fertili, in gran parte incolte, mentre il minifondo contadino, spesso insufficiente a sod-

disfare i bisogni alimentari della famiglia, occupa appena l’1,4% della superficie totale Il Movimento dos Trabalhado-res Rurais Sem Terra, il movimento contadino più grande dell’America Latina, si batte per attuazione della Costitu-zione del 1988, che prevede l’espropriabilità delle particelle non coltivate o poco sfruttate..

OCCUPAÇÃO UNICA SOLUÇÃO

La strategia del Mst si basa sull’occupazione delle terre improduttive o grilate (usurpate), apparte-nenti ai vecchi latifondisti e ai nuovi proprietari multinazionali che investono nelle monocolture di

soia, canna da zucchero, eucalipto per l’esportazione.Individuata la terra da occupare, i Sem Terra si insediano in un acampamento provvisorio, fatto di capanne di legno e fango con tetto di plastica, in cui mettono in comune

cibo, risorse e forze. Da qui partono le manifestazioni e le iniziative politiche per fare pressione sulle istituzioni. L’a-campamento è anche un laboratorio politico dove si inse-gna il valore della solidarietà e dello spirito comunitario, indispensabile al proseguimento della lotta: per anni gli oc-cupanti dovranno difendersi dalle forze dell’ordine e dalle aggressioni dei pistoleros mandati dai latifondisti; scacciati dal campo, si rifugeranno nell’area demaniale al ciglio della strada, per ritornare più tardi ad occupare il latifondo, fino alla vittoria. In 30 anni il Mst è riuscito ad insediare 500.000 famiglie in 5.000 assentamentos.Quando la terra viene assegnata in concessione dall’IN-CRA, l’ente federale per la Riforma Agraria, si può optare per la distribuzione dei lotti alle singole famiglie oppure per l’assegnazione comunitaria. Si può formare una cooperati-va, che entra a far parte della rete Concrab del Mst. Ne-gli assentamentos si usano tecniche produttive ecologiche, recuperando i terreni esauriti dalle monocolture, e al loro interno tutti gli indicatori di benessere sociale migliorano: la mortalità infantile, per esempio, testimonia la FAO, è la metà della media nazionale.

I Sem Terra in BrasileGermogli di un mondo nuovonei domini dell’agro-businessdi Giovanna Russo

POLITICHE SOLIDALI E BUEN VIVIR

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VALORI E PRATICHE VERSO UNA NUOVA SOCIETÀ

Un risultato centrale nell’esperienza dei Sem Ter-ra è la ri-socializzazione delle persone. Nell’agi-re comune nascono relazioni paritarie e solidali, non basati sulla competizione e l’individuali-

smo; lottando per una nuova vita, si trova il riscatto della dignità umana; attraverso la messa in comune della terra e degli strumenti di lavoro per un nuovo ordine produtti-vo si fa strada l’alternativa possibile al modello capitalistico dominante. Le donne, in questa trasformazione, hanno un posto centrale . Nel congresso di Brasilia nel 1995 si riassumeva l’ambizioso progetto politico del Mst: costruire una società senza sfrut-tamento, dove il lavoro abbia il posto preminente; fare del-la terra un bene comune, per il profitto di tutta la società; garantire lavoro a tutti, con la redistribuzione della terra e della ricchezza; realizzare la giustizia sociale e l’uguaglian-za dei diritti economici, politici, sociali; combattere tutte le forme di discriminazione, garantire la partecipazione delle donne. Proprio grazie a questa aspirazione ad un mutamen-to sociale profondo, i Sem Terra hanno conquistato un va-sto consenso, anche sul piano internazionale.

UN TORNANTE DIFFICILE

Tuttavia il land grabbing, la corsa mondiale all’ac-caparramento del suolo agrario, continua ad avanzare velocemente favorito dalle politiche neo-liberali, espelle contadini poveri e popolazio-

ni originarie, si impossessa di terre demaniali disboscando e devastando l’ambiente, crea nuovi “senza terra”. Si rafforza il modello di sviluppo basato sull’esportazione di materie prime, a danno delle colture alimentari. Il Brasile è diventa-to il maggior produttore mondiale di soia ma è costretto ad importare riso e fagioli, il piatto nazionale tradizionale. Né la “modernizzazione” dell’agricoltura ha fatto scomparire la piaga del lavoro in condizioni di schiavitù . Nel sesto congresso di Brasilia, nel febbraio 2014, i Sem Terra hanno affermato che é impossibile una vera riforma agraria senza cambiare il modello neoliberista e hanno lan-ciato una nuova fase di lotta per una “Riforma Agraria Po-polare”, facendo appello a tutta la società per un modello di agricoltura centrato sulla produzione ecologica di alimen-ti, un sistema di cooperazione agricola associato a piccole agro-industrie, che rispetti l’ambiente e garantisca la salute dei produttori e dei consumatori. Tenere in piedi la lotta in uno scenario sempre più comples-so e globalizzato, non è facile. Ma il germoglio è saldamente piantato e garantisce che la Storia che non sia affatto finita.

*Dottore di ricerca in Geopolitica e Geoeconomia e cultrice di Geo-grafia dell’America Latina (Università “Orientale” di Napoli)

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DOVE TROVARE AMERINDIAPUNTI DI CONSULTAZIONE E DISTRIBUZIONE

• Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III / Sezione Venezuelana / Sala di lettura Simón Bolívar Piazza del Plebiscito, 1 - 80132 Napoli (referente: Responsabile Sezione, Maria Consiglia Massimo)

• Università degli Studi di Napoli L’Orientale, Biblioteca Sezione Giusso Largo San Giovanni Maggiore, 30 - 80134 Napoli (referente: Prof. Pasquale Gallifuoco)

• Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Sociologia. Dipartimento di Scienze Sociali Vico Monte della Pietà, 1 - 80138 Napoli (referente: Prof. Francesco Pirone)

• Università degli Studi Roma Tre, Facoltà di Scienze Politiche Dipartimento di Lingua, Cultura e Istituzioni dei Paesi di Lingua Spagnola Via G. Chiabrera, 199 - 00145 Roma (referente: Prof.ssa Luisa Messina Fajardo)

• Associazione Marx XXI II Strada Privata Borrelli, 34 - 70124 Bari (referente: Prof. Andrea Catone)

• Associazione Casa Caribana Via G. Arcoleo, 20 - 95030 Gravina di Catania (referente: Presidente Associazione, Luisa Messina Fajardo)

• Albainformazione www.albainformazione.com - [email protected] (referente: Responsabile blog, Ciro Brescia)

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