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FILOSOFIA DELLA MENTE

Giacomo Romanoa. a. 2007/2008: II° Quarto, Modulo 2

Kinds of Minds II18/01/08

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• Comportamenti intelligenti si individuano spesso in animali a cui non saremmo molto propensi a riconoscere intelligenza; non almeno nel senso con cui si riconosce intelligenza ai nostri simili

• Forse i sistemi intenzionali che adottano atteggiamenti intenzionali rappresentano un salto di qualità rispetto a tutti gli altri sistemi intenzionali

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• Probabilmente la distinzione di vari livelli (2°, 3°, 4° ordine, ecc.) di intenzionalità è un progresso importante per il riconoscimento di vari tipi di menti; eppure il passaggio da 1° a 2° livello non è sufficiente a fare di una mente una mente pensante: l’intenzionalità di livello superiore può facilmente essere realizzata in maniera automatica e inconsapevole

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• Del resto è difficile pensare che molte altre creature, oltre a noi, riescano ad attribuire atteggiamenti intenzionali o modelli di pensiero ad altri animali (es. il piviere)

• NOI però riusciamo proprio a fare questo; e questa capacità ha una serie di funzioni essenziali, in gran parte grazie al linguaggio

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• E’ soprattutto in specie, come la nostra, i cui membri riescono ad attribuire una mente ai propri simili (ed eventualmente ai membri anche di altre specie), e che attribuiscono consapevolmente ad altri atteggiamenti intenzionali, che si genera una particolare complessità mentale

• Questa si esprime, per es., con l’abilità di mentire o mantenere segreti

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• La peculiarità del nostro pensiero (le possibilità che si articoli modo così sofisticato) sembrano indicare che la struttura della nostra capacità di pensare si sia sviluppata su una base linguistica

• Per quanto le creature Popperiane abbiano maturato strategie notevolmente complesse, nessuna di loro pare avere la capacità di un pensiero esplicito

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• Avere dimestichezza con il pensiero esplicito richiede ad un organismo che sia in grado di rappresentare a sé stesso le strutture in base alle quali attribuisce ad altre entità un atteggiamento intenzionale

• Magari altre creature (Popperiane) si comportano razionalmente, ma non riescono ad individuare come razionali i comportamenti altrui

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• Una delle ragioni per cui le operazioni eseguite a livello percettivo o motorio non sono consapevolmente eseguite in modo razionale è che queste di solito sono “ancorate ai tessuti specifici” (p. 148) che le implementano. Quindi, che cosa fa si che la conoscenza e l’intelligenza esibita da certe strutture operative risulti accessibile? Che cosa potrebbe rendere consapevole un uccello della sua straordinaria capacità di volare?

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• Una delle risposte possibili è che questa capacità diventa consapevole una volta che è codificata esplicitamente in simboli

• Ma la codificazione in simboli da sola non è sufficiente: occorre avere a disposizione la possibilità di interpretarli!

• La questione è proprio questa: quali sono le condizioni per interpretare simboli?

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• Per poter interpretare simboli bisogna essere in grado anche di costruirli, di definirli nell’ ambiente circostante

• Ma il processo con cui si arriva all’ ’etichettamento’ non è affatto chiaro

• Eppure è fondamentale• L’’etichettamento’, come altri espedienti

cognitivi, è una delle strutture che consacra il nostro genere nell’organizzazione del mondo

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• L’ ‘etichettamento’, come altre strategie cognitive, ha anche un’altra peculiarità: può essere trasmesso da generazione a generazione; può essere trasmesso culturalmente

• Bisogna anche ricordare che l’attività di marcatura può essere funzionale sia nell’ambiente esterno che in quello interno

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• Le tecnologie umane sono da considerarsi come degli amplificatori delle capacità di sfruttare la possibilità di conferire ed estrarre informazione dall’ambiente esterno; tecnologie che in primo luogo sono strategie di ri-rappresentazione (p. 161).

• “Una fonte particolarmente ricca di nuove tecniche di ri-rappresentazione è l’abitudine (che noi – e solo noi – abbiamo sviluppato) di mappare deliberatamente nuovi problemi sui meccanismi di risoluzione di problemi preesistenti (p. 162)

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• … alle origini di ogni attività tecnologica tuttavia, c’è sempre il linguaggio, che ci proietta come una fionda molto più avanti di tutte le altre specie (cfr. p. 165)

• Linguaggio a cui siamo naturalmente pre-disposti da una base innata, iscritta nel nostro codice genetico

• Se il linguaggio ha una base innata, tuttavia, richiede anche una pratica affinché si radichi e diventi uno strumento di uso agile

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• Ip. (Dennett): abitudini alla ripetizione delle parole associate a oggetti o contesti, anche se inopportune, nella formazione di un bambino, stimolano la rappresentazione a sé stesso dei propri stati e delle proprie attività

• Le parole, in pratica, sono degli amplificatori di connessioni (simboliche)

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• Grazie ad una struttura organizzativa talmente potente come il linguaggio si riescono a perfezionare le nostre risorse cognitive

• Mediante un processo di ripetizione e adeguamento riusciamo a trasformare il nostro cervello in una rete strutturata di competenze distribuite

• Noi ci riusciamo; gli altri animali no

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• La mente umana è il risultato di un incalcolabile processo di evoluzione di circuiti ed aree progressivamente più complessi, che ha raggiunto uno dei suoi vertici nella capacità di consentire rappresentazioni consapevoli, esclusiva degli esseri umani (cfr. p. 172-173)

• Quali sono i processi che nella modulazione della mente umana assumono un aspetto più caratterizzante e determinante?

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• I pensieri coscienti, quelli che hanno una maggiore rilevanza (si distinguono) e che persistono più a lungo

• In una sorta di competizione con altri processi che avvengono in parallelo si affermano i pensieri (processi) che influiscono maggiormente e in modo più durevole sul comportamento (cfr. p. 173)

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• Ritenere che si debba ricorrere ad una qualche forma di additivo che rende la nostra mente cosciente è un errore palesemente cartesiano

• La mente non è altro che quello da cui è realizzata: processi, di trasmissione, elaborazine, sintesi, implementati in parallelo. A caratterizzarla è la complessità della sua struttura, di solito

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• Se la caratterizzazione della mente è prevalentemente di carattere quantitativo-strutturale, non ci sarà un elemento distintivo particolare a marcarne la differenza con altre menti

• Di sicuro una mente umana dispone di capacità riflessive sui concetti e di potenzialità creative costruite su questi

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• Forse sono molte le specie che dispongono di una distinzione dei concetti così come noi facciamo, tuttavia nessuna delle altre specie viventi può concepire i concetti in termini riflessivi e generalizzati, soprattutto grazie al linguaggio (p. 176-77)

• Per questo bisogna fare attenzione a non inserire in una dimensione antropomorfica (linguistica) la nostra concezione sulla mente (e la coscienza) degli animali

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• C’è un errore antropomorfico anche nell’assegnare ad altri animali (alla stregua di esseri umani) una dimensione del sentire; è infatti plausibile che questa dimensione sia dovuta esclusivamente alla complessità delle strutture nervose o del comportamento, che nulla hanno a che fare con quello che effettivamente riusciamo a caratterizzare verbalmente come, per es., il dolore

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• Non si dovrebbe escludere l’ipotesi che ad incidere sulle modalità del sentire siano gli stessi elementi della trasmissione culturale

• La stessa cultura infatti va intesa come mezzo di trasmissione dell’informazione

• Sono le modalità di trasmissione del dolore (un concetto, per Dennett, di matrice comportamentista) ad influenzare le nostre modalità del sentire

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Conclusioni sulla coscienza (I)

• Nella designazione del sentire dunque bisogna evitare di adagiarsi su una peculiarità concettuale che non è effettivamente rispecchiata dall’esperienza

• L’idea stessa dell’esperienza cosciente del resto potrebbe tranquillamente essere una concezione che è frutto di elaborazione concettuale ma a cui corrisponde un solo fenomeno empiricamente certificabile

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Conclusioni sulla coscienza (II)

• Oltre al fardello culturale, nella nostra concezione della coscienza pesa pure una confusione di fondo tra l’essere in un certo stato e l’osservare quello stato

• Questa confusione non avviene in occasione dell’osservazione di altri fenomeni: la trasformazione dell’acqua in ghiaccio, per es., non suggerisce a nessuno tra chi la osserva che per prenderne atto sia necessario trasformarsi in ghiaccio; perché sarebbe così per la coscienza?

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Conclusioni sulla coscienza (III)

• Pensando alla coscienza come ad uno stato distinto, reso privilegiato dalla nostra possibilità di averne un acceso particolare, compiamo l’errore di pensare ad uno stato cosciente come osservabile da un secondo livello

• C’è un’unica dimensione dalla quale poter caratterizzare l’esperienza cosciente, a prescindere dalla modalità con cui si descrive; tutte le altre prospettive rischiano di essere solo delle suggestive illusioni