Fi-Pi-Li Horror Festival 2015: racconto vincitore del concorso letterario

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Dizionario di Barbara Codevico Racconto vincitore concorso letterario “Fi-Pi-Li Horror Festival 2015” Convivo con un lessico strano, fatto di parole ipertrofiche che si sono ingozzate d’immagini e ricordi, ormai sono diventate come dei mostri che nessuno, tranne me, può riconoscere. È come se parlassi un’altra lingua, colpa di quella fissa di mia madre di insegnarmi il significato di ognuna di loro con i fatti e della sua idea molto personale di educazione. Intanto proverò a descrivere qualche immagine, che è più facile. Nella casa in via Mazzini c’era un muro su cui erano scritti dei numeri di telefono, un tavolo da quattro di formica celeste con due sedie di vimini, un divano e un materasso per terra. Del resto non mi ricordo molto, c’era una cucina, ma non ci stavamo mai. Per la maggior parte del tempo mia madre stava sul divano, io sul mio materasso, spesso lei guardava la televisione, ma il più delle volte voleva stare in silenzio. SILENZIO: parola che indica assenza di suoni, ma anche un buio assoluto, necessario per sentire l’inconsistente peso del nulla. Questa è la mia personalissima idea di silenzio, lontana dalle definizioni che si trovano nei vocabolari e dal significato che tutti comunemente le danno. Mi ero messa a parlare da sola mentre giocavo, anche se lei mi aveva detto di stare zitta. Allora mi ha sollevato per un braccio e, trascinandomi, mi ha portato in cucina, dopo di che mi ha chiuso nell’armadietto sotto il lavello. Sono stata lì dentro al buio per un sacco di tempo e c’era un tale vuoto dentro di me che mi sembrava di essere di polvere, una polvere sottile diffusa dentro uno spazio minimo. Per questo ho di questa parola un ricordo preciso, ma non è la sola. NOIA: sinonimo di ripetizione, un’infinita serie di segni in un’infinita serie di particelle di tempo che formano un globo di piombo che ti schiaccia. Ovviamente anche questa non è la definizione comune. Erano giorni che stavo in casa, seduta per terra, lei beveva o guardava la televisione. - Mamma mi annoio - dissi. Grave errore. - Cosa? Ti annoi? Che vuol dire che ti annoi? Cosa vorresti dire?. Mi prese per i capelli, raccolse per casa tutti i fogli che riuscì a trovare e mi sbatté a sedere davanti al tavolino con una penna. - Ecco, ora scrivi NOIA, fino a quando hai spazio per scrivere. Passarono diverse ore, la penna non scriveva quasi più e dovevo anche ripassare sopra perché si leggessero bene quell’infinità di Enne e O e I e poi A e ancora Enne che nella mia testa cominciavano a trasformarsi e a confondersi. Era già notte, ma i fogli non finivano mai. Se interrompevo un attimo, mi prendeva per i capelli e mi sbatteva la faccia sul tavolo. Riuscii a smettere solo quando lei si addormentò. Eccone un’altra, una difficile. ELETTRICITA': lampo improvviso fatto di coltelli affilati che ti lacerano i nervi. Per me questa è l’elettricità, niente a che vedere con le cariche positive o negative, protoni o elettroni. Giocavo sempre vicino a una presa con i fili scoperti. - Non stare lì - mi diceva mamma - che c’è l’elettricità. Magari non l’avrò ascoltata, magari avrò chiesto cosa fosse, sta di fatto che mi mise le dita sul filo e io sentii migliaia di lame attraversarmi il corpo. Dalla bruciatura che ho sul braccio mi sembra di capire che adottò lo stesso metodo per insegnarmi la parola FUOCO, di cui però non ricordo il significato preciso, forse ero troppo piccola. A un certo punto il mio strano percorso didattico si è interrotto bruscamente, sono arrivati in casa i Carabinieri e ho avuto a che fare con parole nuove, tipo: assistente sociale, casa-famiglia, scuola. Nuove, sì, ma astratte, non come quelle che m’insegnava mia madre: le sue erano parole vive fatte di carne e sangue e potevano saltarti addosso come belve feroci. Non mi sembrava giusto che sparissero dalla mia mente prima che la mia mammina potesse godere della loro forza eccezionale. Per questo mi sono messa a cercarla e francamente non c’è voluto molto per trovarla. Abitava a casa di sua sorella che era morta qualche anno prima: tra l’altro la casa era abbastanza vicina al magazzino di imballaggi dove lavoravo. Gli appostamenti sono durati qualche giorno, non l’avevo riconosciuta, era dimagrita molto, aveva il viso segnato dalle rughe, sembrava una vecchia. Un giorno ho suonato al campanello, ha aperto dopo un bel po’, dalla sua faccia ho capito che lei, invece, mi aveva riconosciuto immediatamente, però ha fatto finta di nulla. - Che vuole ? - mi ha chiesto. L’ho spinta indietro e sono entrata senza che lei protestasse più di tanto, era debole e magra, per me è stato facile tramortirla col sasso che avevo portato. Mentre era a terra sono tornata in macchina e ho preso le scatole che avevo portato con me: erano

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Il racconto "Dizionario" di Barbara Codevico

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  • Dizionario

    di Barbara Codevico

    Racconto vincitore concorso letterario Fi-Pi-Li Horror Festival 2015

    Convivo con un lessico strano, fatto di parole ipertrofiche che si sono ingozzate dimmagini e ricordi, ormai sono diventate come dei mostri che nessuno, tranne me, pu riconoscere. come se parlassi unaltra lingua, colpa di quella fissa di mia madre di insegnarmi il significato di ognuna di loro con i fatti e della sua idea molto personale di educazione. Intanto prover a descrivere qualche immagine, che pi facile. Nella casa in via Mazzini cera un muro su cui erano scritti dei numeri di telefono, un tavolo da quattro di formica celeste con due sedie di vimini, un divano e un materasso per terra. Del resto non mi ricordo molto, cera una cucina, ma non ci stavamo mai. Per la maggior parte del tempo mia madre stava sul divano, io sul mio materasso, spesso lei guardava la televisione, ma il pi delle volte voleva stare in silenzio. SILENZIO: parola che indica assenza di suoni, ma anche un buio assoluto, necessario per sentire linconsistente peso del nulla. Questa la mia personalissima idea di silenzio, lontana dalle definizioni che si trovano nei vocabolari e dal significato che tutti comunemente le danno. Mi ero messa a parlare da sola mentre giocavo, anche se lei mi aveva detto di stare zitta. Allora mi ha sollevato per un braccio e, trascinandomi, mi ha portato in cucina, dopo di che mi ha chiuso nellarmadietto sotto il lavello. Sono stata l dentro al buio per un sacco di tempo e cera un tale vuoto dentro di me che mi sembrava di essere di polvere, una polvere sottile diffusa dentro uno spazio minimo. Per questo ho di questa parola un ricordo preciso, ma non la sola. NOIA: sinonimo di ripetizione, uninfinita serie di segni in uninfinita serie di particelle di tempo che formano un globo di piombo che ti schiaccia. Ovviamente anche questa non la definizione comune. Erano giorni che stavo in casa, seduta per terra, lei beveva o guardava la televisione.- Mamma mi annoio - dissi. Grave errore.- Cosa? Ti annoi? Che vuol dire che ti annoi? Cosa vorresti dire?. Mi prese per i capelli, raccolse per casa tutti i fogli che riusc a trovare e mi sbatt a sedere davanti al tavolino con una penna.- Ecco, ora scrivi NOIA, fino a quando hai spazio per scrivere. Passarono diverse ore, la penna non scriveva quasi pi e dovevo anche ripassare sopra perch si leggessero bene quellinfinit di Enne e O e I e poi A e ancora Enne che nella mia testa cominciavano a trasformarsi e a confondersi. Era gi notte, ma i fogli non finivano mai. Se interrompevo un attimo, mi prendeva per i capelli e mi sbatteva la faccia sul tavolo. Riuscii a smettere solo quando lei si addorment. Eccone unaltra, una difficile. ELETTRICITA': lampo improvviso fatto di coltelli affilati che ti lacerano i nervi. Per me questa lelettricit, niente a che vedere con le cariche positive o negative, protoni o elettroni. Giocavo sempre vicino a una presa con i fili scoperti.- Non stare l - mi diceva mamma - che c lelettricit. Magari non lavr ascoltata, magari avr chiesto cosa fosse, sta di fatto che mi mise le dita sul filo e io sentii migliaia di lame attraversarmi il corpo. Dalla bruciatura che ho sul braccio mi sembra di capire che adott lo stesso metodo per insegnarmi la parola FUOCO, di cui per non ricordo il significato preciso, forse ero troppo piccola. A un certo punto il mio strano percorso didattico si interrotto bruscamente, sono arrivati in casa i Carabinieri e ho avuto a che fare con parole nuove, tipo: assistente sociale, casa-famiglia, scuola. Nuove, s, ma astratte, non come quelle che minsegnava mia madre: le sue erano parole vive fatte di carne e sangue e potevano saltarti addosso come belve feroci. Non mi sembrava giusto che sparissero dalla mia mente prima che la mia mammina potesse godere della loro forza eccezionale. Per questo mi sono messa a cercarla e francamente non c voluto molto per trovarla. Abitava a casa di sua sorella che era morta qualche anno prima: tra laltro la casa era abbastanza vicina al magazzino di imballaggi dove lavoravo. Gli appostamenti sono durati qualche giorno, non lavevo riconosciuta, era dimagrita molto, aveva il viso segnato dalle rughe, sembrava una vecchia. Un giorno ho suonato al campanello, ha aperto dopo un bel po, dalla sua faccia ho capito che lei, invece, mi aveva riconosciuto immediatamente, per ha fatto finta di nulla.- Che vuole ? - mi ha chiesto. Lho spinta indietro e sono entrata senza che lei protestasse pi di tanto, era debole e magra, per me stato facile tramortirla col sasso che avevo portato. Mentre era a terra sono tornata in macchina e ho preso le scatole che avevo portato con me: erano

  • sistemate dietro, avevo dovuto abbassare i sedili posteriori e quello davanti, erano tre, una dentro laltra, ho faticato un po per trascinarle dentro casa. Le avevo scelte con cura nel magazzino, dovevano essere abbastanza grandi. Allesterno ce nera una di legno, poi dentro una di polistirolo, infine una di cartone. Ho sollevato mia madre da sotto le braccia e lho messa dentro alle tre scatole, poi ho chiuso quella di cartone con ladesivo da pacchi, quella di polistirolo aveva il coperchio a incastro, per quella di legno mi sono serviti dei chiodi, ma ce li avevo in tasca, avevo pensato anche a quelli e al martello. Ho aspettato a lungo, poi, finalmente, ha cominciato a urlare. - Mamma? Mi senti? Di, su, prova a uscire! Forza, ma di, via, non ti riconosco pi, non sei certo il tipo che si tira indietro alla prima difficolt no? Prova a uscire!. Ha iniziato a toccare la prima scatola, sentivo le sue mani che si muovevano, dopo un po deve aver realizzato che era qualcosa di relativamente fragile e allora ha cominciato a grattare, potevo distinguere chiaramente il rumore del cartone che veniva strappato fibra per fibra, in piccoli pezzi.- Eh, brava! Vedi che puoi farcela? Di, strappa, forza che ci sei quasi! Vedrai che baster ancora solo qualche pezzettino e potrai fare un buco e uscire! Ma che bella sensazione, vero mamma? Sai come si chiama quello che senti adesso? Si chiama speranza. SPERANZA: luce lontana che illumina e riscalda regalando alle tue guance lo stesso bel colore rosso che ha sul viso chi muore avvelenato dallossido di carbonio. Quando, dopo aver fatto un buco, non ha visto nessuna luce e ha sentito il coperchio dellaltra scatola, si messa a piangere: sentivo chiaramente i singhiozzi, ti prego, diceva, ti prego.- Forza mammina bella, non darti per vinta! Puoi farcela!. Di nuovo, al mio incitamento, le sue mani hanno ripreso a grattare, grattava e sputava, evidentemente le palline di polistirolo le finivano in faccia e in bocca.- Di! Forza! E cos che si fa! Sai mamma come si chiama questa cosa? Questa vocina che senti dentro e che ti dice ma no, non pu essere, solo uno scherzo crudele, una punizione, ma di sicuro ora potr uscire da qui, ecco, questa vocina bugiarda si chiama illusione! ILLUSIONE: sostanza allucinogena di cui si nutre lanima per non affrontare la verit, d dipendenza. Mi sembrava un concetto molto semplice vista la situazione, ma lei deve averlo capito dopo un po, quando arrivata alla scatola di legno. Allora si messa a gridare ancora pi forte, sembrava un maiale sgozzato, le mani dopo un po hanno smesso di graffiare la superficie. A quel punto mi sono avvicinata con la bocca alla scatola, nel punto dove doveva essere la sua faccia - Sai cos questa mamma? Lo sai? Ma come, cos facile! E la parola che mi hai insegnato meglio! Questo topo schifoso che ti rode il cervello e che per tutto questo tempo se ne stato l in un angolino della tua mente, mangiandosi pezzo per pezzo ogni altra sensazione, lo sai come si chiama? Si chiama paura. PAURA: parola sovrana, definitiva, sinonimo di morte.