[eBook - Ita - Fantascienza - Horror] - Paolo Agaraff - Il-sangue-non-è-Acqua

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Il sangue non è acqua Un romanzo di Paolo Agaraff <http://www.paoloagaraff.com> Casa Editrice Pequod, 2006 ISBN 88-87418-85-3 1

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  • Il sangue non acqua

    Un romanzo di Paolo Agaraff

    Casa Editrice Pequod, 2006

    ISBN 88-87418-85-3

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  • Diario, a.D. 1821, 27 febbraio

    Ammaina! Subito, perdo! Subito! Nella testa odo ancora distintamente le urla di Nick Messina alla sua ciurma, e ho ancora negli occhi

    il nero ribollire delle onde e la furia del cielo. Acqua ovunque, sopra e sotto, acqua che squassa la nave e spacca le ossa, acqua che ruscella addosso e ti entra nella pelle. Il Signore degli abissi marini si era svegliato e voleva i nostri corpi.

    Oggi, mentre fervono i preparativi per una nuova partenza, il ricordo di quei momenti e di ci che ne segu particolarmente vivido; come un pungolo mi spinge a raccontare quelle vicende, quelle avventure, prima che la memoria cancelli del tutto luomo che fui.

    Nonostante i miei genitori avessero fatto enormi sacrifici per farmi studiare, non ero tagliato per fare

    il maestro o il precettore. Negli occhi avevo solo il mare, quel mare di Sardegna a cui mio padre aveva dedicato la vita e da cui, in cambio, aveva avuto la morte; quel mare che si rifletteva nello sguardo silenzioso di mia madre, ogni volta che il suo uomo partiva per la pesca. Quando anche lei venne a mancare, mi sentii finalmente libero. Volevo essere un marinaio, prima di essere qualsiasi altra cosa.

    Vendetti le povere cose dei miei genitori e comprai il biglietto per Nuova York. Arrivato a destinazione, chiesi dove dovevano andare i veri marinai. Nantucket, mi fu risposto, lisola dei quaccheri e dei balenieri, la citt dove si brinda invocando morte ai viventi, lunga vita agli uccisori, successo alle mogli dei marinai, e oleosa fortuna ai balenieri. Fu cos che partii alla volta di Nantucket.

    Non fu facile farsi accettare dagli isolani. Quelli che venivano da fuori, i pivelli, erano carne da cannone, materiale di seconda scelta, mozzi da mettere ai remi. Ci voleva anche un pizzico di fortuna per trovare un capitano a corto di uomini che fosse disposto a prendere un novellino come me nella sua ciurma.

    Nick Messina era isolano da una sola generazione, padre italiano e cattolico, madre quacchera e nantuckettese: un mezzosangue, quasi uno straniero, un tipo di cui non ci si poteva fidare. Ma era un bravo keppin, un capitano coi fiocchi, e gli armatori accettavano di buon grado la sua mania di riempire lequipaggio di dago, con cui poteva parlare il suo mezzo italiano infarcito di termini marinareschi. Fu lui a darmi la prima occasione di salire su una baleniera, la Devil Dam.

    Quel 27 ottobre stavamo tornando da una caccia eccezionale, durata quasi otto mesi. I nostri vestiti erano ormai logori e permeati dal lezzo di olio bollito, ma cerano pi di mille barili pieni di olio di balena e spermaceti stivati nella camera del grasso. La mia percentuale da novellino sul ricavato non mi avrebbe fatto diventare ricco, ma era comunque un bel gruzzolo. Il morale dellequipaggio era alto e la fine del viaggio era vicina quando, inaspettata, al largo delle coste dellEssex, la tempesta ci piomb addosso.

    Era una tempesta di quelle cattive, rabbiose, con il vento che gonfia le vele fino a romperle, il

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  • fasciame che scricchiola, la pioggia che ti accieca. Avanzavo sul ponte, aggrappato al corrimano, cercando di raggiungere la manovra del velaccino, prima che il vento spezzasse lalbero di trinchetto.

    Tiulu! Take care, o su professori! Al mio fianco, come sempre, Domenico. Il suo corpo basso, grosso e tozzo era piantato nel ponte

    come una grossa bitta di tonneggio. Avevamo fatto insieme molta strada noi due, piccoli frammenti di Sardegna sperduti nellAtlantico, e non volevamo darci laddio proprio ora, a poche centinaia di miglia da Nantucket. Mentre cercavamo disperatamente di ammainare, il vento gonfi le vele con rinnovato vigore.

    Dimprovviso, con uno schianto secco, la cima dellalbero di trinchetto si ripieg e si abbatt sul ponte, in mezzo a un intreccio di vele e sartiame. La nave sussult come un animale ferito. Caddi stringendo il corrimano con la forza della disperazione e rotolai sotto il corpo pesante di Domenico. Mi ritrovai steso sul legno del ponte, fradicio, mezzo soffocato, con il naso sanguinante, stordito dalla botta e dallululato del vento.

    E poi, sopra le invocazioni, le urla e i pianti si ud la voce di Nick: Il faro! Il faro! Cape Ann! Forza, bastardi! A dritta!

    Cape Ann significava Rockport o forse Gloucester, i porti pi vicini a quella che, con ogni probabilit, doveva essere la nostra posizione. Come accidenti fossimo giunti l solo gli di del mare potevano saperlo; e comunque, una luce in mezzo a quel maelstrom era una manna dal cielo, un segno di benevolenza della sorte. Tutti i marinai in grado di rimanere in piedi si precipitarono alle manovre, cercando di riprendere il controllo della nave.

    Tra lo sbatacchiare delle vele e lo scricchiolo di stragli e alberi, la Devil Dam si stava adagiando sul fianco. Nick ordin di mollare subito drizze e vele, prima che merci e zavorra si staccassero dai cavi di contenimento e la situazione si facesse disperata. Aggrappandoci allappiglio pi vicino, sotto la luce dei lampi, ci trascinammo per la nave, guidati dalle incitazioni e dalle bestemmie del capitano. Passai vicino a un corpo incastrato sotto lalbero di trinchetto. Era Tony Rizzuto, laiuto prodiere. Non gemeva pi: la faccia era cerea, chiazzata dal sangue che usciva dalla bocca, la cassa toracica sfondata dal troncone di albero caduto. Sentii uno schianto. Le due lance di tribordo erano scomparse, trascinate via dalla furia delle onde. Continuai a darmi da fare, non so per quanto tempo. Pensavo solo alle manovre, e a restare vivo.

    Poi, improvvisamente, il vento cal e i nostri sforzi furono finalmente efficaci, la nave si raddrizz con uno stridore acuto e punt verso terra. Tirai un sospiro di sollievo e mi avvicinai a Domenico, battendogli una mano sulla spalla. Sembr non accorgersene. Guardava qualcosa, con gli occhi fissi nellacqua. A un tratto cacci un urlo: Ay! Scoddhu! Scoddhu!. Illuminata dalla luce di un lampo, a meno di venti metri da noi, era comparsa una scogliera. Nick fece appena in tempo ad accorgersi del pericolo e url: Barra a tribordo! Subito! Reggetevi! Reggetevi!

    Fu tutto inutile. Lo schianto segu dopo pochi secondi. Il legno emise un gemito raschiante. Lurto improvviso ci precipit a terra. La nave cominci a inclinarsi sul fianco, per lultima volta.

    La voce di Nick taceva. Impossibile capire dove fosse finito, in mezzo al legno, al sartiame e alle vele cadute sul ponte. Corsi a cercarlo affannosamente assieme a Pollard, il secondo ufficiale, mentre i nostri compagni stavano calando le due lance superstiti in mezzo allacqua.

    La nave cominciava a scivolare dallo scoglio, inclinandosi sempre pi: non restava molto tempo, dovevamo muoverci. Alla fine lo trovammo, il comandante: bianco, immobile, con una gamba piegata in modo innaturale, losso del femore che fuoriusciva dalla carne lacerata. Non respirava. Pollard mi prese per un braccio: Come on. Raggiungemmo gli altri. Mi sedetti vicino a Domenico e cominciai a remare verso riva. Il vento era calato e una pioggia sottile ci rigava il volto. Mentre ci allontanavamo, la Devil Dam affondava, lentamente, dolcemente. Un gigantesco sarcofago che trascinava nelle profondit marine i corpi dei nostri compagni morti.

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  • I

    In altre circostanze, i sedili di prima classe del diretto Napoli-Roma sarebbero apparsi comodi e spaziosi. La massa di Gualtiero Farricorto, compressa tra i braccioli, faceva pensare piuttosto a una grossa pietra grezza malamente incastonata da un orafo dilettante. Dopo aver sbuffato e mugugnato, Gualtiero prese ad agitarsi e a frugare nervosamente nelle tasche. Ogni movimento sembrava costargli unenorme fatica. Con un sospiro di sollievo, luomo estrasse un pacchetto di sigarette con lo stemma dei Savoia. Sfil una sigaretta e un sorriso ironico comparve sul volto largo e spigoloso. Cominci a fumare, guardando i campi coltivati correre fuori dal finestrino. I colori che vedeva erano quelli dellautunno.

    Gualtiero odiava viaggiare in treno. Era teso, teso e annoiato. Amava solo il mare. Avrebbe preferito viaggiare in nave, direttamente da Napoli a Terranova, ma suo fratello Italo aveva chiss quali affari da sbrigare a Roma prima di proseguire. Questioni che riguardavano la politica, probabilmente. A Gualtiero la politica non piaceva, aveva limpressione che complicasse i problemi invece di risolverli. Preferiva le soluzioni semplici e dirette, e faticava non poco a comprenderle, tutte quelle manfrine.

    Guard il fratello che dormiva beatamente di fronte a lui: Italo sembrava la sua copia solo leggermente pi bassa e canuta, lo stesso fisico robusto, la stessa faccia scolpita e abbronzata, gli stessi capelli ricci.

    A parte loro, lo scompartimento era vuoto. Una fortuna, pens Gualtiero: sopportare mocciosi urlanti o vecchie rattrappite con la parlantina facile avrebbe di sicuro aumentato il disagio del viaggio. Unocchiata allorologio; mancava ancora pi di unora prima di arrivare a Roma. Poi bisognava raggiungere Civitavecchia, in corriera o in macchina, e da l in traghetto si andava a Terranova, in Sardegna. Secondo quanto scritto sullinvito, una barca in affitto li avrebbe portati a Isola Mortorio.

    Lo scompartimento si andava riempiendo di fumo di sigaretta e Italo, tossicchiando nel sonno, si girava e rigirava sul sedile. La cartellina che aveva sulle ginocchia fin per cadere a terra. Le carte si sparsero sul pavimento e Gualtiero si chin per raccoglierle. Fra vari documenti decorati da fasci littori e firme importanti, riconobbe la lettera del notaio.

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  • Illustrissimi Signori Italo e Gualtiero Farricorto, ho lingrato onere di comunicarVi limprovvisa e tragica dipartita di Vostro cugino, il capitano

    Bonifacio Farricorto, avvenuta in data 4 ottobre 1930. [...] Con la Presente siete invitati a Villa Eleonora, su Isola Mortorio, per la lettura del testamento del

    Vostro defunto parente. [...] Troverete ad attenderVi unimbarcazione (Su Pioccheddu) presso il molo di Terranova, in data 19

    novembre 1930 alle ore 9. In accordo con le Ultime Volont dello scomparso, la Vostra presenza essenziale per poter dare lettura del testamento, dirimere eventuali controversie, e suddividere le ricche propriet tra i beneficiari. Come stabilito in atto testamentario, seguir vaglia per sostenere le spese di trasferimento.

    AugurandoVi buon viaggio, porgo distinti saluti. In fede, Notaio Arnaldo Cit Allinizio i due fratelli avevano pensato a uno scherzo; poi erano arrivati i soldi per il viaggio, e i

    dubbi erano svaniti. Era passato in secondo piano il fatto che nessuno dei due avesse mai sentito parlare del cugino scomparso. In compenso affior nella loro memoria il ricordo della vecchia villa di famiglia a Isola Mortorio, e delle storie ascoltate da bambini. Italo aveva anche fatto qualche ricerca, chiedendo informazioni ad amici sardi, e aveva avuto notizie di una casa signorile ottocentesca, vicina a un villaggio abbandonato di pescatori, su una piccola isola che ormai non frequentava pi nessuno.

    Rileggendo la lettera, Gualtiero continuava a fantasticare sulle ricche propriet, sognando un nuovo piano in marmo per la pescheria, nuove reti e una bella ricalafatura al peschereccio. E un anello a Rita sua, con un prezioso e splendente solitario. Si accese unaltra sigaretta e lo sguardo vol ancora lontano, oltre il finestrino. Era ormai completamente perso nei suoi sogni, quando Italo si svegli in preda a un violento attacco di tosse.

    La vuoi spegnere, sta sigaretta? bofonchi. Gualtiero tir unultima boccata dal mozzicone e lo spense. S scetato o re! disse, con

    unespressione beffarda. E parla italiano disse Italo scocciato, che sei italiano, prima che napoletano. Parlo comme channo mparato, a mme e a tte. Fai poco il saccente rispose Italo, mentre sistemava i vestiti spiegazzati. Fino a quando non

    saprai guardare al di l del tuo naso, sarai sempre e soltanto un bottegaio che puzza di pesce. Gu, anche pap era pescatore, e io lo faccio perch a me mi piace... e poi, comme se dice, larte e

    tata meza mparata... Tatillo... povero pap... bella fine ha fatto. La vuoi fare anche tu? No. Tengo famiglia. Non voglio lasciare Rita vedova. E non mi piace che qualcuno mi dice come

    devo parlare. Quarantanni e ancora ragioni come nu guaglione! Con quella femmina te si fernuto e

    scemuni... sbott Italo, ormai completamente sveglio e irritato. Non sono fesso. Faccio un lavoro onesto, e la gente mi rispetta anche senza il codazzo di camerati. Non aveva paura di nessuno, lui. Nella zumpata maneggiava il coltello con la stessa abilit con cui

    puliva il pesce, e nessuno osava chiedergli lo sbruffo per la sua pescheria nel quartiere Pignasecca. Lultimo che ci aveva provato, Ferdinando detto o cane e presa per la sua abitudine di azzannare gli avversari, era stato usato come pastura per i pesci. Sorrise: il ricordo delle sue bravate lo rendeva sempre felice.

    S, ridi, ridi, che la societ dellumirt ha chiuso i battenti! lo rimbecc Italo. Ormai, o ti unisci ai compari di Roma o non sei nessuno. Solo la politica, oggi, d potere. E ci rende intoccabili dagli sbirri e dai vecchi capintesta.

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  • Gualtiero lo sapeva bene che la societ dellumirt si era praticamente dissolta con il regime poliziesco instaurato dal fascismo. Per nelle strade erano ancora i guappi a fare da padroni: uomini liberi, come lui, che non sentivano il bisogno di far parte di unorganizzazione gerarchica e strutturata, con i suoi capintesta, i capisociet, i giovinotti-onorati e i picciuotti.

    Intoccabili, eh? replic con un sorriso. Io sono gi intoccabile. Prova a toccarmi. Ti apro come una cozza e ruot la mano destra, come per rigirare un coltello.

    Italo lo fiss, quasi con disprezzo. Sei il solito guappo. Non cambierai mai. A chi parlo io? Al muro? Dammi quella cartella, va disse scuotendo la testa, rassegnato, Devo lavorare.

    Senza aggiungere parola, Gualtiero butt la cartella sul sedile di fianco al fratello, quindi torn a fissare la campagna e si lasci vincere dal sonno, cullato dolcemente dal rollio del treno.

    Hanno chiuso le porte al sole... Eh s! Eh s! Il vecchietto dagli occhi spiritati si aggirava un po traballante, indicando le nuvole in cielo. Ogni

    tanto interpellava con frasi sconnesse le persone in attesa alla vecchia fermata del tram di Via Nazionale, da poco promossa a fermata dautobus.

    Luca Verdi, che guardava il vecchietto con un misto di piet e fastidio, rimpiangeva gi la discreta efficienza dei vecchi tram e il consueto sferragliare delle rotaie, rassicurante contrappunto ai suoi quotidiani spostamenti verso La Sapienza. Se avesse condiviso queste considerazioni con il gemello Davide, accanito progressista, avrebbe dovuto subire il suo sarcasmo.

    Annoiato dalla lunga attesa, Luca si mise alla ricerca del suo inseparabile diario, un taccuino dove riportava con abitudine quasi maniacale congetture, idee, appunti. Uno strombazzare, e una Salmson GS8 dargento inchiod vicino alla banchina. Un uomo in giacca nera, lunghi capelli lisci e camicia bianca aperta sul collo, si sporse dallabitacolo. Scusa il ritardo disse Davide. Quante macchine per strada! E con questi maledetti autobus anche peggio! C sempre qualcuno che ti blocca il passaggio!

    Due graziose signorine sorrisero a Davide che ricambi con un cortese cenno del capo. Come diavolo facesse a esser sempre polo dattrazione per laltro sesso, era per Luca un mistero impenetrabile. Senza nemmeno rendersene conto, Luca si abbotton la giacca grigia e lisci i capelli corti, cercando di sembrare meno anonimo.

    Un autobus giunto alla fermata fu costretto ad accodarsi alla Salmson. Luca non pot trattenersi. Forse lautista la pensa come te disse, indicando il mezzo pubblico. In questo momento sei tu che stai bloccando il passaggio. E sei in sosta vietata.

    Davide fiss lo specchietto retrovisore e fece spallucce. Allora, sali o vai a piedi? Salgo, salgo sospir Luca. Raccolse la sua borsa e la sistem a fatica sul retro della biposto, poi

    sprofond nel sedile. La Salmson scatt via, acquist velocit e sorpass a destra una lunga macchina grigia; il monocolo del guidatore dellIsotta Fraschini ricadde penzoloni sul panciotto. Luca prese a torturarsi il labbro inferiore fra indice e pollice, avrebbe voluto picchiare il fratello ma si limit a grugnire: Stai peggiorando.

    Davide rispose con un colpo rabbioso di clacson, e dribbl una berlina la cui unica colpa era di rispettare i limiti di velocit. Peggiorando? chiese. In che senso?

    Lascia stare. I tuoi affari? A posto. La proverbiale riservatezza del fratello. Tutta Roma e buona parte della Germania sapevano perfino

    di che colore fossero le mutande dellacclamato violinista Davide Verdi, mentre lui, ultimo superstite della famiglia, era alloscuro di tutto. Era gi tanto che Davide gli avesse accennato chi, secondo la stampa scandalistica, sarebbe diventata sua moglie, Gretel Kazan, una graziosa, talentuosa violoncellista.

    Come sta la fidanzata?

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  • Bene... in vacanza in Baviera. Per quel che me ne importa, pens Davide. Da sola? Davide fiss per un attimo il fratello, poi sbuff e torn a occuparsi della guida. Se nelle tue vene

    non scorresse il mio stesso sangue ti avrei sfidato a duello! Come sempre, le tue allusioni sono offensive.

    Dieci minuti dallarrivo del fratello, e gi Luca era a disagio. Non aveva colto il tono ironico di Davide e la sua reazione fu pi stizzita del necessario: Ah, gi. Dimenticavo! Tu sei il famoso violinista duellante! Trafiggi la gente a colpi di archetto e poi ti vesti a lutto, nero come un corvo!

    Il nero il lutto che porto per la libert, morta e sepolta. La voce di Davide si fece solenne: Preferirei morire oggi stesso da uomo libero, piuttosto che finire i miei giorni prigioniero come te del conformismo.

    Che retorica da quattro soldi! Per te, conformismo significa stare con la stessa donna per pi di una notte.

    Qui non questione di donne, ogni sillaba trasudava disprezzo, questione di vita. Tu vivi nellindifferenza. Lindifferenza abulia, parassitismo, vigliaccheria. Non vita.

    Senza saperlo, Davide aveva sferrato un colpo basso. Durante la specializzazione in Storia medioevale, a Firenze, Luca aveva conosciuto il professor Salvemini e aveva assistito impotente alla sua persecuzione a quella di tanti altri colleghi e amici. Lui invece, celando le sue idee repubblicane, era riuscito a conservare la cattedra di Storia allUniversit, il suo lavoro. Era stato ignorato, come un insetto.

    Sei un pazzo! reag Luca, in modo scomposto. Guidi come un pazzo! Parli e vivi come un pazzo!

    Ha parlato luomo equilibrato! Quello che trascrive la sua vita sui foglietti.... Davide avvert la difficolt dellaltro e non perse loccasione per incalzarlo ancora: Sei solo una pecora del gregge di Benito!

    Sentitelo, lartista che posa da anarchico! Il viveur che corre con la sua bella macchina sportiva! Il dannunziano che fa discorsi da comunista! Un controsenso vivente!

    Questa volta non ci fu risposta. Gli occhi di Davide si erano fatti pensosi. Per un po il silenzio fu dominato dal gioco dei refoli daria e dal paesaggio circostante. La citt stava lasciando posto alla campagna e la macchina, a velocit crescente, si dirigeva a nord, verso Civitavecchia. Dun tratto Davide apr la bocca come per parlare, ma la richiuse subito. Fece un profondo respiro e in quella porzione daria trov le parole che prima gli erano mancate: Non ti ho mai raccontato cosa mi capitato nellagosto del 22, disse. Ero a Parma, mi avevano chiamato per la successiva stagione al Teatro Regio....

    Luca lo ascoltava, silenzioso, un po sorpreso per la piega che la discussione stava prendendo. Trovare il fratello in vena di confessioni non era cosa da tutti i giorni.

    Strana citt Parma prosegu Davide. Nel loggione ti ritrovi folle di poveracci che ne sanno di musica molto pi dei signori della platea. E quel mese di agosto mi sono trovato in mezzo alla rivolta. Da una parte gli squadristi di Balbo, dallaltra la gente di Parma. Un assedio in piena regola.

    Luca immagin la scena: quellincosciente del fratello, col violino in mano, in mezzo alla folla di rivoltosi. Scosse il capo, impaurito, per scacciare quellimmagine.

    Cerano tutti riprese Davide, anarchici, repubblicani, comunisti, e persino i popolari e i giovani corridoniani. Tutti sulle barricate, con poche armi, a farsi ammazzare dai teppisti in camicia nera. Cerano donne, vecchi, ragazzini... gli Arditi del Popolo. Da quando ho visto il sangue di quella gente, gli stessi che pochi mesi prima mi applaudivano al Regio, non posso non odiare lindifferenza e il conformismo che regnano in Italia.

    Sta attento a quello che dici lo interruppe Luca. Non ripetere mai, mai ad altri quello che hai detto a me. da troppo tempo che vivi tra Austria e Germania. In Italia, quelli di cui parli hanno fatto

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  • tutti una brutta fine. Al confino... o peggio. Davide annu: Anche in Germania le cose stanno prendendo una brutta piega disse, e in Austria

    tira unariaccia. Credo che mi trasferir in Francia. Fece una pausa, poi concluse, con un certo sforzo: Scusami. Non con te che ce lho, ma con questo paese di furbi, ladri e vigliacchi, che sta marcendo a causa del troppo potere dei pochi e della troppa indifferenza dei tanti. Accenn un sorriso: So che non sei un indifferente, anche se preferisci sembrarlo.

    Ecco qua. Suo fratello Davide: dopo aver provocato e offeso, manifestava affetto e considerazione. Luca non poteva fare a meno di volergli bene, nonostante tutto.

    Poi lauto acceler di colpo, e il sentimento fraterno per un attimo si offusc. Non potresti rallentare un po? Civitavecchia non si muove mica disse Luca, abbarbicato al sedile. Ci aspetta uneredit, no? Hai letto anche tu la lettera. Prima arriviamo in Sardegna, prima la

    ritiriamo e prima possiamo sperperarla nelle cose che rendono la vita degna di essere vissuta. Gi. La Sardegna... A proposito, la guida del Touring Club Italiano raccomanda luso del chinino

    di Stato per evitare complicazioni... Per la malaria, intendo. Vedo che la vocazione da zietta non ti ha ancora abbandonato. Lo interruppe Davide. A te un po

    di febbre non farebbe che bene. A piccole dosi, la febbre malarica un po come quella della tisi: stimola lattivit sessuale. Davide ammicc al fratello, che lo fissava con unespressione scandalizzata, quindi cambi discorso: E poi sullisola ci aspetta la principesca ospitalit di Villa Eleonora, la nobile magione ove nacque la nostra compianta madre adottiva, condannata dal buon Dio dei cattolici a vegetare come albero secco nel girone dei suicidi.

    Comera prevedibile, lo sfoggio del suo proverbiale cinismo serv a Davide per prendere le distanze dai toni confidenziali di poco prima. Luca scosse il capo e si limit a fissare la campagna scorrere al suo fianco.

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  • II

    Una villa signorile dallaspetto ottocentesco comparve allimprovviso, segnando il brusco cambiamento dallarido paesaggio sardo agli orti e ai giardini che circondavano le case di Terranova. La citt accolse i visitatori con labituale, quieta vivacit di quellora: lauto transitava a stento in mezzo ai pedoni, ai muli e ai carretti degli ambulanti che vendevano pelli di volpe, uova, cestini e cacciagione.

    Ugo Farricorto, curioso come al solito, fissava quel formicolio di gente mentre la macchina si avvicinava lentamente al porto. Il tempo, da quelle parti, sembrava essersi fermato a prima della Grande Guerra: le donne si aggiravano nel tradizionale vestito lungo, scuro, con le maniche a sbuffi bianchi e gli scialli ricamati. Gli uomini indossavano la gabbanella, un cappotto corto che dava limpressione di essere troppo leggero per linverno e troppo pesante per lestate.

    Dal posto di guida, Piero Bonacosta commentava la scena. Non fatevi ingannare. Non confondete il movimento con una reale industriosit. I terranovesi sono tutto meno che gran lavoratori. Poi per sorrise con indulgenza: In compenso sono ottimi marinai.

    Mio caro Piero, consentitemi di avere qualche dubbio disse con voce impostata luomo che gli sedeva accanto. La vita di mare richiede ferrea disciplina e scatto felino nellesecuzione degli ordini. impossibile che dietro un perdigiorno possa nascondersi un provetto marinaio.

    Ugo alz gli occhi al cielo e sospir. A volte, suo cognato, il capitano di vascello Romolo Sforza, era veramente insopportabile. Ufficiale di indubbie capacit militari e di bellaspetto a parte la rosa di cicatrici sulla guancia sinistra e locchio bendato era per irrimediabilmente prigioniero del suo mondo fatto di divise, armi e proclami retorici.

    Ugo si sent prendere dolcemente la mano. Isabella, seduta sul sedile di fianco, gli sorrideva divertita: nessuno meglio di lei poteva capirlo. Spesso Ugo si era chiesto per quale motivo sua sorella avesse deciso di sposare un uomo come Romolo, ma forse Isabella era semplicemente pi furba e calcolatrice di quanto lui potesse immaginare. Era una donna sensibile, appassionata di arte e musica, ma in fondo concreta, con i piedi per terra, capace di fare scelte con la testa prima che con il cuore. E quel matrimonio si era rivelato una scelta saggia per entrambi: dopo la morte del loro padre, se non ci fosse stato Romolo, non avrebbero mai potuto condurre una vita cos agiata, n lui sarebbe riuscito a laurearsi in Ingegneria navale.

    Ugo pensava di aver ampiamente dimostrato la sua riconoscenza, sopportando per anni con atarassica pazienza i continui e soporiferi pistolotti del cognato. Ora, per, con leredit in arrivo, le cose sarebbero cambiate: avrebbe potuto finalmente affrancarsi da Romolo, trovare la propria strada, viaggiare alla scoperta del mondo e colmare quel senso di insoddisfazione che lo perseguitava ormai da troppo tempo.

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  • Una brusca sterzata lo riport alla realt. La strada, curvando, si era allargata a formare un piazzale che scendeva verso il mare, dove una fila di barche mostrava le reti tirate a secco.

    A proposito di marinai riprese Bonacosta, avrete modo di conoscerne alcuni. Strinse gli occhi a fessura e indic un punto del molo: Mi sembra che Graziano Urgu vi stia gi aspettando. Da queste parti lo chiamano Tziu Grazianu. E quel gozzo laggi la sua imbarcazione, Su Pioccheddu.

    Lauto si ferm non lontano dal punto in cui il gozzo era ormeggiato. Da buon cavaliere, Bonacosta apr la porta a Isabella che scese dalla macchina facendo frusciare la lunga gonna scura. Romolo cominci a scaricare i bagagli mentre Ugo se ne stava a fissare il movimento sul pontile.

    Due ragazzi raccoglievano valigie e bauletti e li stivavano sottocoperta, osservati da quattro uomini dallatteggiamento distaccato. Due di questi, alti, robusti, dai capelli ricci, avevano decisamente unaria di famiglia, gli altri due erano invece magri e gracili. Uno di essi, pens Ugo, sembrava Garrick con il costume di scena dellAmleto, con i calzoni neri attillati, la giacca nera, la camicia bianca, il bastone da passeggio e i capelli lunghi.

    Forza, giovanotto! lo apostrof Romolo, i bagagli non camminano per conto proprio! E il nostro amico, qui, deve tornare ai suoi marziali doveri.

    Capitano, siete sicuro che non vi serva ancora il mio aiuto? chiese Bonacosta. State tranquillo rispose Romolo, non sono pi un giovincello, ma non mi spaventano certo

    quattro valigie. Sono sempre perfettamente allenato, come deve essere ogni cittadino italiano. Senza nemmeno accorgersene, lufficiale si era messo in posa, a gambe larghe, con i pugni sui fianchi, gonfiando il petto nella sua impeccabile uniforme. Corpo libero, salto a ostacoli, corsa, lancio della palla di ferro, tiro del giavellotto e percorso di guerra. Sempre. Tutte le settimane!

    Si congedarono salutandosi romanamente, con il braccio alzato. Bonacosta baci la mano di Isabella e salut Ugo con un cenno del capo, quindi sal in macchina e ripart. Romolo raccolse le due valigie pi piccole, con uno sforzo evidente. Ugo sollev le altre due come se fossero state vuote. Aveva una forza considerevole nonostante il girovita abbondante, i cuscinetti di adipe e la scarsa propensione per lattivit fisica.

    Isabella indossava un abito lungo, sobrio ma elegante, e portava scarpe con tacchi alti. Quando vide le travi sconnesse del pontile se le sfil senza pensarci due volte. Ho limpressione che il mio abbigliamento non sia adatto disse, e se ne usc con una risata argentina. Quindi sistem meglio il cappellino e si inoltr nel porto con passo deciso e scarpe in mano, seguita a distanza dai due uomini.

    Si sentiva lieta e serena come non le accadeva da tempo. Quel viaggio, per lei, era una fuga temporanea dalla gabbia dorata in cui la teneva confinata il marito, innamorato e protettivo. Ora, mentre andava incontro a quei quattro sconosciuti, circondata da tutto quel mare, le pareva quasi di aver riacquistato la libert perduta. Una volta giunti sullisola, pensava, avrebbe anche potuto tuffarsi nelle fredde acque della Sardegna, come faceva un tempo sulle spiagge di roccia alle pendici del monte Conero. Che fosse novembre inoltrato poco le importava. Aveva quarantanni, ma era in perfetta forma fisica. Da ragazza era stata una promessa del nuoto; dopo le nozze, per, Romolo le aveva imposto di rinunciare allattivit agonistica.

    Mentre i bagagli degli ultimi arrivati andavano a raggiungere gli altri nellimbarcazione di legno, i sette parenti raccolti sul molo si fissavano, congelati in un attimo di temporanea incertezza. Non si erano mai incontrati, prima di allora. Avevano tutti sentito parlare dei cugini, ma non avevano mai potuto associare un volto ai nomi. Si guardavano in faccia, un po imbarazzati, incerti su chi dovesse prendere liniziativa, e come. Fu Italo a violare il silenzio, dirigendosi verso Romolo e salutandolo alla maniera fascista.

    Capitano carissimo, mi presento. Sono Italo Farricorto, segretario personale del Podest di Napoli, lOnorevole Duca Bovino. Conoscere bene nastri e mostrine degli alti gradi militari poteva sempre rivelarsi utile: E questo mio fratello Gualtiero concluse, indicando il fratello. Gualtiero si limit a

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  • porgere la manona dalle dita tozze e, con la sigaretta che penzolava dal lato della bocca, biascic qualcosa che suonava come piacere.

    un onore per me conoscere i cugini di mia moglie rispose Romolo, compiaciuto dal tono ossequioso di Italo. Sono Romolo Sforza, capitano di vascello della Regia Marina Militare prosegu. Vi presento mia moglie Isabella e suo fratello Ugo, entrambi figli del mio compianto amico, il capitano di fregata Aldo Farricorto.

    Durante la presentazione, Luca e Davide erano rimasti in disparte. Davide fissava Italo e Romolo con un misto di ironia e disprezzo. Luca lo aveva notato e lo anticip: Noi siamo i figli di Patrizia Farricorto. Io sono Luca Verdi e lui mio fratello Davide disse, indicando il gemello. Vi fu un rapido giro di strette di mano. Davide evit accuratamente di stringere la mano a Italo e Romolo, ma si attard in un lungo baciamano a Isabella che lo guard con aria divertita, senza proferire parola, mentre Romolo scrutava la scena con palese, crescente nervosismo.

    Prima che la tensione aumentasse, Tziu Grazianu raggiunse il gruppo: Ay. Pronti a partire, siamo. Poneisi met da un lato e met dallaltro. Luomo di mare parlava un italiano passabile, un po strascicato a causa dei pochi denti. Luca diede uno sguardo piuttosto preoccupato alla barca. Non un po piccolina per portarci tutti?

    Dieci persone, tiene. E noi quanti siamo? Dieci, contendu mimi e is atrus duxu rispose prontamente il comandante. Dieci siamo e dieci ne tiene. E se eravamo undici? sorrise ironico Gualtiero. Graziano assunse unaria serafica: Anche undici, a dire il vero, entrare ci possono. Gualtiero esplose in una sonora risata e diede una pacca sulle spalle di Tziu Grazianu, facendolo

    traballare, quindi salt agilmente dentro la barca. Seguendo le istruzioni del comandante i passeggeri si sedettero in modo da equilibrare il peso a babordo e tribordo. Ugo si ritrov seduto a fianco di Gualtiero, che gli offr una sigaretta. Ugo lo guard con simpatia e accett la sigaretta. Grazie rispose, ricambiando il sorriso.

    Appena Graziano si mise al timone, uno dei due marinai sciolse lormeggio e salt in barca, mentre laltro cominci ad alare il fiocco. Le vele si gonfiarono e la barca si allontan dalla banchina.

    Alluscita del porto, il gozzo venne accolto dalle onde e dal vento del mare di Sardegna. Romolo e Italo, seduti vicino alla prua, discutevano animatamente, incuranti dei sussulti. Per fortuna, pens Ugo, il vento e lo sciabordare delle acque facevano giungere a poppa la loro voce come un lontano brusio ovattato. Cerc Isabella con lo sguardo, e la vide seduta di fianco al marito, intenta a fissare le onde e la costa che si allontanava velocemente. Sua sorella era una donna attraente, dal fisico statuario, e lui, in un certo senso, ne era ancora un po innamorato. Come quando era bambino e lei gli faceva da madre.

    Ugo aveva notato gli sguardi che ogni tanto si scambiavano Isabella e Davide, quando questultimo non era impegnato nellassistenza del fratello Luca, riverso sulla fiancata, con il volto verdastro e gli occhi fuori dalle orbite. Ugo conosceva bene la sorella e sapeva che non era immune da improvvise passioni. Fino ad allora Isabella era sempre riuscita a tenere ben nascoste le sue scappatelle al marito. Davide per non gli ispirava alcuna fiducia: quel tipo portava guai. Cera solo da sperare che Isabella non decidesse di vivacizzare la vacanza provocando scene di gelosia o, peggio ancora, duelli rusticani.

    Ehi, comandante, quanto ci mettiamo ad arrivare a destinazione? disse Gualtiero, rivolto al timoniere.

    Con questo vento, meno di unora per Isola Mortorio. Questo strano nome... perch si chiama cos? chiese Ugo. A dire il vero non so. Forse per colpa di tutti quegli scogli intorno. E delle correnti. Troppe barche,

    affondate ci sono. Soprattutto in questa stagione: il mare cambia sempre umore. Graziano fece una breve pausa, modific leggermente lassetto del timone e url qualche parola incomprensibile ai due marinai. Poi continu: Oppure perch sempre disabitata, stata. Prima del vecchio Ario, almeno.

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  • E quando sarebbe arrivato nonno Ario?. Suo padre era sempre stato poco disposto a parlare delle origini della famiglia e ora Ugo voleva scoprire qualcosa di pi su quel nonno che non aveva mai visto, sopravvissuto a chiss quali avventure in America.

    Graziano Urgu lo fiss come se lo vedesse veramente per la prima volta: Ah gi, Ario Farricorto vostro nonno, era. Pecau de babu.... Rimase un attimo in silenzio, pensoso, poi prosegu: Tanti anni fa, arriv. Almeno ottanta. Mio padre un ragazzino, era. E per un po di tempo mio nonno lavor per la vostra famiglia, nel piccolo villaggio sullisola.

    Ah, c anche un villaggio? Poche case di pescatori. Ma non ci vive pi nessuno, credo... Forse solo uno... Un vecchio. Come mai sono andati via tutti? chiese Ugo. Quando morto Ario tutto in malora, andato. Anche il pesce. Difficile trovarlo in quelle acque.

    Come se prima veniva solo per farsi pescare dal vecchio Ario in persona e ora schifa tutti gli altri. Qualche pesce ancora si trova, ma non tanto.

    Ma c anche una bella villa, o no? domand Gualtiero con tono preoccupato. Iniziava a temere che le ricche propriet potessero rivelarsi una bufala.

    Villa Eleonora, volete dire rispose Graziano. bella la villa, s. Era vostra nonna che si chiamava Eleonora, per questo la villa cos si chiama. Ed era bella anche vostra nonna. Bellissima, era, diceva mio padre. E sfortunata. Mor giovane; sullisola, la seppellirono.

    Be, almeno abbiamo un motivo per chiamarla mortorio comment Gualtiero, con il suo solito ghigno.

    Ugo cerc di deviare la discussione verso altri argomenti: C qualcuno che abita ancora nella villa?

    Solo Vitalia, la cameriera, con suo figlio Primo. Tutti gli altri abitanti morti, sono. Anche il capitano Bonifacio, mi hanno detto.

    S disse Ugo, siamo qui per la lettura del testamento. E speriamo di fare veloci, senn a Pignasecca mi mandano in fallimento la bottega! aggiunse Gualtiero. Perch inizio

    a pensare che questisola porta iella. Ammiraglio, quando tornate a raccoglierci? Se il tempo buono, tra un paio di giorni rispose Tziu Grazianu, sorridendo. Altrimenti dopo,

    come daccordo col signor notaio. Anche se tardo un po, non vi preoccupate. Di fame, almeno, nessuno mai morto a Villa Eleonora. Strinse gli occhi, li protesse dal sole con il palmo della mano, scrut tra le onde e punt un dito davanti a s: Isula Mortorio.

    Lontano, tra cielo e mare, si stagliava il profilo di un lembo di roccia. Vicino alla prora, Isabella si era alzata e se ne stava in piedi, a fissarla. Era unisola normalissima,

    senza nessun particolare fascino, eppure cera qualcosa che incatenava lo sguardo, come se un occhio interno riconoscesse particolari che il raziocinio aveva dimenticato. Mentre, perplessa, cercava di definire quellimpressione, si ritrov ad ascoltare il roco respiro del mare, la voce dellisola che la salutava: poteva quasi percepirla nella mente, prima ancora che giungesse soffusa e indistinta alle orecchie.

    Sulla barca era calato un silenzio irreale. Improvvisamente, Davide si mise a declamare: Im Erlschen sind des Tages Gluten Und sein Windhauch streift die glatten Fluten1 Isabella approfitt di una pausa per recitare il seguito: Fern verhallten lngst des Lebens Stimmen

    1 Gli ardori del giorno stanno estinguendosi / e lalito del vento carezza i flutti calmi.

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  • Komm! Zur Toteninsel lass uns schwimmen!2 Riscosso dal suo torpore, Gualtiero batt gli occhi e fiss entrambi i cugini come se fossero pesci di

    una specie sconosciuta. Davide pos uno sguardo ammirato su Isabella. Fiero, Romolo prese la mano di Isabella e la baci con posa teatrale: La tua pronuncia del tedesco

    perfetta, mia adorata. Lisola dei morti... ti ricorda niente? gli chiese lei, ignorando la sua osservazione. Assolutamente no. Era il titolo di un quadro, a Firenze, nellatelier di quel pittore svizzero... ah, la memoria... Lopera

    si chiamava Lisola dei morti, Toteninsel. Ricordi?. Ah! S! Il quadro prediletto di Adolf Hitler! Questo spiega molte cose disse Davide, senza dare a Isabella il tempo di replicare. Pare che il

    professor Freud abbia una copia di quel dipinto nel suo studio. Il fatto che Freud sia uno studioso di malattie della psiche ci suggerisce un sottile sillogismo: Hitler uno squilibrato.

    Mancate di lungimiranza intervenne Italo, fissando Davide con un certo sospetto. In Germania dilaga il malcontento. Hitler non fa che dar voce al crescente desiderio di rivincita del popolo tedesco.

    Va bene, va bene... Non credo che la nostra opinione possa influenzare quella dellelettorato tedesco.. Il tono reciso di Isabella rivel tutto il suo fastidio per la discussione che aveva involontariamente innescato. Le questioni politiche erano quanto di pi lontano dalle sensazioni viscerali che le suscitava la visione di Isola Mortorio.

    Forse qualcuno era ancora pronto a dire la sua, quando il comandante fece vibrare la sua voce salmastra: Ay. Seusu arribausu. Preparatevi a scendere.

    Le manovre dellequipaggio condussero il gozzo in mezzo agli scogli verso un molo in legno, fatiscente e roso dalla salsedine. Isabella non riusciva a togliersi di dosso quel senso di fastidio. Come un presagio di sventura. Mentre stavano per toccare il molo, per un istante, gli scogli le parvero giganti accucciati sotto il pelo dellacqua, con grandi dorsi calcarei e chiome vegetali mosse dalla corrente.

    2 Da molto tempo ormai risuonarono lontane le voci dei viventi. / Vieni! Avviamoci a nuoto verso lisola dei morti.

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  • Diario, a.D. 1821, 28 febbraio

    una mattina fredda e luminosa. Non piove per la prima volta da giorni. Un buon segno per la partenza di domani.

    Ieri ho scritto fino a tardi, credo fossero le tre di notte quando, sfinito, sono caduto in un sonno agitato. Le memorie del passato, sommate allansia per il nuovo viaggio in mare che mi attende, mi hanno condotto a rivivere in sogno, ancora una volta, gli eventi di quella notte, dopo il naufragio della Devil Dam.

    La nave era stata ormai inghiottita dalle onde. Sulla lancia in cui avevo trovato scampo il silenzio

    era rotto solo dal rumore dei remi nellacqua. Eravamo a circa due miglia dalla costa, due miglia da quella luce, ancora brillante, che ci aveva guidato sugli scogli. Al mio fianco, come sempre, Domenico; Pollard, a prua, scrutava nel buio, cercando di individuare altri pericoli in agguato; oltre a noi, altri quattro marinai ai remi. Laltra lancia, a stento visibile, ci seguiva a pochi metri con cinque sopravvissuti a bordo. Dodici superstiti in tutto su venti uomini di equipaggio.

    Remammo come disperati per oltre un miglio. Poi laltra lancia si capovolse, senza motivo apparente. Il mare non era eccessivamente agitato. Nessun capodoglio in circolazione. I nostri compagni riemersero nellacqua gelida e lanciarono alte grida di rabbia e di paura. Corremmo subito a recuperarli, illuminando la notte con la lanterna ad olio. Solo tre di loro nuotavano ancora attorno alla barca.

    Mentre ci avvicinavamo, uno affond di colpo, come trascinato da un grosso peso. Ci affrettammo a recuperare gli altri due. Pollard porse la mano a uno, io allaltro. Salvatore, un massiccio siciliano con una folta barba nera mi sorrise e strinse la mia mano. Sembrava ancora pieno di energie. Si aggrapp alla barca e cerc di issarsi.

    Allimprovviso ricadde in acqua: lo tenevo stretto per la destra, lo tiravo con forza, ma la sua testa riemerse solo per un istante, gli occhi sgranati pieni di orrore. Alle mie spalle Pollard cominci a urlare. Sentii due colpi di pistola, in rapida successione.

    Salvatore mi guardava, con la faccia a pelo dacqua, mentre la sua mano mi scivolava tra le dita e laltra artigliava disperatamente la fiancata della lancia. Cercavo di sollevarlo, ma il suo peso era enorme: qualcosa lo stava trascinando a fondo. Un brivido mi corse per la schiena. Tutte le storie di mostri marini e fantasmi, raccontate da mio padre, mi tornavano alla mente, storie di squali e piovre assassine, di morti che tornano, di anime dannate che cercano vittime innocenti. Volevo salvarlo, volevo scacciare gli orrori. Non ci riuscii. Vidi lovale della sua bocca scomparire nel mare dinchiostro. Vidi la sua vita venire a galla in bolle sempre pi piccole. Non feci in tempo a chiedermi cosera successo, n a capire perch Pollard sparava e tutti urlavano. Non feci in tempo, perch la barca si rovesci.

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  • Limpatto con lacqua gelida mi tolse il fiato come un pugno al centro del petto. Il peso del maglione di lana mi tirava verso il basso. Reagii, mi tenni a galla, mi aggrappai alla scialuppa rovesciata e mi guardai attorno. Nel buio mi sembr di intravedere altre teste affioranti.

    Qualcosa mi sfior una caviglia. Uno squalo, pensai, e il cuore acceler i battiti. Poi mi sentii afferrare, come da una mano, o da un tentacolo. Non era la mascella di uno squalo, ma era comunque una presa feroce, crudele, gravata da un peso enorme, da una forza inumana che mi trascinava nel buio delloceano. Cercai di contrastare la spinta, senza alcun successo. Fui preso da un terrore assoluto. Nessuno poteva aiutarmi, ero solo. Pensai a mio padre, alla sua morte. In un istante mi ricordai del coltello a serramanico che mi aveva regalato e che portavo alla cintola. Lo estrassi, lo aprii, mi piegai in due e colpii, alla cieca. La lama penetr nella caviglia, ma si scontr anche con qualcosa di duro, scaglioso, coriaceo. Colpii ancora, e ancora, finch la presa non mi lasci. Allora nuotai verso la superficie, con i polmoni che chiedevano aria, resistendo allistinto che mi spingeva ad aprire la bocca, fino a quando non sentii di nuovo il vento sulla faccia. Mi trovai a bere laria a sorsate avide, tossendo, rantolando. Vicino a me, la lancia rovesciata. Attorno a me nessuno, neanche Domenico. Tutti scomparsi.

    Non provai dolore. Troppo lo sfinimento, troppa la paura. A qualche centinaio di metri il faro brillava ancora. Cercai di ignorare il freddo e lintorpidimento e

    nuotai verso la luce. Passarono alcuni minuti, unora, una vita. Poi unonda mi trascin a riva. Giacevo riverso sulla sabbia, immobile, tremante, quando sentii una voce: You are a good

    swimmer, sir. Alzai gli occhi e vidi una figura alta e dinoccolata, inginocchiata vicino a me; e poi altre figure in piedi. A pochi metri cera una piramide di pietre. In cima alla piramide ardeva una pira. Era dunque quello il faro. E questi uomini, pensai, questi buoni samaritani che mi accoglievano meravigliati erano i saccheggiatori di relitti, le iene del mare che avevano condannato a morte i miei compagni. Avevo sentito parlare di questi criminali che attiravano le navi sulle secche per poterle depredare. Ebbene, se questo era stato il loro scopo, avevano fallito: la Devil Dam era in fondo al mare, con tutto il suo carico.

    I guardiani del faro mi avevano circondato. Guardandoli, pensai che la loro bruttezza fisica doveva rispecchiare il marciume dei loro animi: avevano il cranio dalla forma allungata, il naso schiacciato, e gli occhi vitrei, sporgenti e sgranati; la pelle sembrava coperta da croste. Tutti mi fissavano in silenzio.

    Avevo paura. Avevo freddo. Credevo di avere ormai cacciato lultima balena e drizzato lultima vela.

    Mi sbagliavo. Ancora non potevo saperlo, ma avevo appena trovato la mia nuova casa.

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  • III

    Una grossa nuvola scura copr il sole non appena Romolo mise piede sullisola. La sabbia bianca si deposit sulle sue calzature dordinanza, lucidate come da manuale. Lufficiale scrut i granelli con sguardo torvo, come se fossero reclute novizie di una truppa poco disciplinata.

    La brezza marina aveva cambiato odore: non serviva essere un lupo di mare per capire che il tempo stava volgendo al peggio. Tziu Grazianu e il suo equipaggio avevano gi cominciato a scaricare i bagagli dei passeggeri sul molo, accatastandoli alla rinfusa per la fretta e sollevando le proteste di Isabella.

    Italo raggiunse Romolo sulla spiaggia e diede voce alle perplessit che turbavano entrambi: Mi chiedo se siamo sbarcati in Italia o nella parte pi remota delle colonie dAfrica.

    Avete proprio ragione rispose Romolo, e fece scorrere uno sguardo di disapprovazione tutto attorno, soffermandosi su ogni rovina, pozzanghera, rifiuto, carcassa, putredine e ferraglia di quella desolazione. L dove terminava la spiaggia, cominciava una fila di vecchie casette in pietra, circondate dai pi svariati oggetti trascinati dal mare o abbandonati chiss quando e chiss da chi; le mura delle case serbavano un vago ricordo dellintonaco bianco che un tempo doveva averle ricoperte.

    Romolo inspir ed espir pi volte teatralmente. Ora che siamo qui noi, appena preso possesso di questi luoghi, ci faremo carico di una doverosa opera di ripulitura. A cominciare da quello scansafatiche lass. E indic con un cenno della testa un uomo canuto, a piedi nudi, con indosso vestiti stracciati, che stava nascosto dietro una rete da pesca, vicino a quella che sembrava essere lunica abitazione ancora praticabile del villaggio.

    Comandante! chiam Romolo ad alta voce, senza girarsi. Graziano Urgu stava rimproverando i suoi marinai, in piedi davanti a lui, tutti contriti mentre la

    signora Sforza verificava con aria preoccupata lo stato dei bagagli. Udito il richiamo di Romolo, Tziu Grazianu sospir rumorosamente e volse gli occhi al cielo, quindi impart ai suoi uomini lordine di prepararsi a salpare e si diresse verso i due gentiluomini. Appena giunse a portata di voce, Romolo lo incalz: Comandante, chi quelluomo? Fa parte della servit?

    Il vecchio Efisio, Tziu Afisinu rispose Graziano. Da candu marragodu, sempre qui vissuto. Sullisola lunico pescatore rimasto, . Un poco scorbutico, ma si fa gli affari suoi.

    Allora potr darci una mano con i bagagli. Romolo si gir a fissare il resto della comitiva in cerca di un volontario per accompagnarlo. Sua moglie si era calmata, ma era impegnatissima a rovistare nel baule in cerca di qualche assurdo accessorio femminile, e sorrideva fin troppo alle battute di quel damerino in nero, sicuramente privo di spina dorsale. Il pescivendolo e suo cognato Ugo stavano fissando il mare. Laltro damerino se ne stava in disparte, con un libretto e una penna nelle mani, e sembrava stesse contando le valigie.

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  • Disgustato, Romolo scosse la testa. Se vuoi una cosa fatta bene... mormor, e si avvi verso il pescatore.

    Sentendosi congedato, Graziano torn alla barca e salt a bordo, mentre i marinai toglievano gli ormeggi. Salut i passeggeri con ampi gesti della mano e manovr per prendere il largo. Mentre il gozzo si allontanava, la brezza si faceva sempre pi tesa.

    Ugo e Gualtiero fissavano Su Pioccheddu che navigava pigramente verso Terranova. Si erano

    accomodati ognuno sul proprio bagaglio e si godevano lo splendido colpo docchio sulla baia. Gualtiero aveva offerto a Ugo unaltra sigaretta e ora i due cugini aspiravano boccate di fumo, in attesa che qualcuno dicesse loro quel che dovevano fare.

    Bella barca, vero? disse Ugo. Era affascinato dallimbarcazione, dalle manovre, dalla perizia dei marinai. Mentre osservava il gozzo scivolare sulla superficie corrugata dalla brezza, evitando gli scogli affioranti nella baia, immagin che gli scogli potessero essere mostri in agguato e che limbarcazione e i suoi occupanti ne fossero la preda.

    Gu, cugino, la voce di Gualtiero strapp Ugo alle sue fantasie, Con una barca come quella, che ci torni a fare a terra?

    Come? chiese Ugo. S, a terra... Con una barca cos, a terra ci torno solo per rivedere Rita mia: lei in barca non ci

    vivrebbe mai spieg Gualtiero. Anche lui era rimasto ipnotizzato dalla grazia con cui il gozzo aggirava gli scogli. Con il suo peschereccio non sarebbe mai riuscito a manovrare cos. Forse, presto, con i soldi delleredit, avrebbe anche potuto comprarsi una barca a vela da gran signore, elegante, maestosa. Magari, avrebbe navigato proprio fino a Isola Mortorio. Prima, per, doveva studiare bene i fondali: il suo istinto di pescatore gli suggeriva che quelle acque erano insidiose per chiunque non le conoscesse bene. Probabilmente solo chi aveva trascorso una vita l in mezzo poteva essere in grado di evitare tutti i pericoli che vi erano nascosti. Gualtiero sogghign tra s e s allidea di vivere in ammollo tra quegli scogli, poi, senza alcun preavviso, il ricordo del padre entr nelle sue fantasticherie e fece svanire di colpo il sorriso affiorante.

    Che hai? chiese Ugo, tirando il mozzicone tra i flutti. Gualtiero ci pens su per un po. Niente rispose infine, niente. Anneg la sua cicca, si alz e si

    diresse verso il fratello Italo. Ugo lo segu, e si lasci sfuggire un gemito di sconforto quando colse la sorella Isabella intenta a tubare con quel pericoloso corvo nero dal lungo piumaggio.

    Isabella si strinse le braccia sul corpo: il vestito non la riparava a sufficienza dal vento che si era

    fatto pi fresco. Davide prese un mantello che aveva saggiamente tenuto fuori dalle valigie e lo accomod sulle spalle della donna. Un sorriso di gratitudine sbocci sulle labbra di Isabella, ricambiato da unespressione sorniona di Davide. Si fissarono per qualche secondo, poi si voltarono entrambi a osservare la desolazione del vecchio villaggio. Isabella not il marito che si stava allontanando di buon passo. Improvvisamente, la donna si strinse nel mantello, affond il naso nel bavero e inspir avidamente, socchiudendo gli occhi. Davide colse il gesto di Isabella e sorrise compiaciuto. Dopotutto, la gita avrebbe avuto dei risvolti interessanti, pens, guardando divertito la tronfia camminata di Romolo Sforza, diretto verso quel tipo strambo, asserragliato dietro alle reti da pesca.

    Mentre il tizio in divisa si dirigeva verso di lui, Tziu Afisinu diventava sempre pi guardingo. Efisio

    odiava le divise: quando gli servivano non cerano e quando cerano portavano solo guai. Le altre persone sbarcate non sembravano militari o carabinieri, quindi forse non erano l per lui. Quelluomo, per, puntava dritto nella sua direzione; di sicuro voleva qualcosa ed era meglio non indagare. Efisio abbandon lopera di riparazione della sua preziosa rete da pesca, scivol in casa senza fretta mai andare di fretta, li rende sospettosi e fece girare il chiavistello.

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  • Dopo un po il tizio cominci a picchiare alla porta. Tziu Afisinu recuper larpione dalla parete, non per usarlo era passato tanto tempo dallultima volta che aveva ucciso qualcuno , ma per far capire chiaramente a quello in divisa che non era il caso di disturbarlo, se mai fosse riuscito ad entrare.

    Non aveva paura delle divise, lui; dentro una divisa c sempre e solo un uomo, fatto di ossa, di carne e di sangue. Tutta roba che, volendo, si taglia, si rompe e si sparge per terra. Tutta roba umana, insomma. Non come quello che a volte usciva dal mare. Sorrise. Forse per quel tizio larpione non sarebbe servito, sarebbe bastata solo un po di pazienza.

    Romolo si stanc presto di bussare. Se quello straccione aveva deciso di fare orecchie da mercante,

    se ne sarebbe occupato pi tardi, magari facendo pesare la sua autorit di ufficiale e di nuovo padrone dellisola. Avrebbe dovuto parlarne con il notaio. Ne prese nota mentalmente e giur a se stesso che avrebbe fatto di quel posto sperduto un esempio di ordine ed efficienza gestionale.

    Mentre lufficiale tornava sui suoi passi, deciso a organizzare un autarchico trasporto dei bagagli, un rumore cigolante anticip larrivo di un carretto trainato da un piccolo asino grigio e spelacchiato. Finalmente si ricordano di noi disse Italo, poi guard sconsolato il mezzo di trasporto e concluse, rivolto a Romolo: E speriamo che le condizioni del resto delle propriet siano migliori di quanto lasci supporre questo spettacolo pietoso...

    Gualtiero si accost a Italo e gli diede di gomito. Gu, guarda che soggetto! disse, e indic luomo alla guida del barroccio, Chillo tene ernia, scorbuto e catarro cronico dello stomaco!

    Il carrettiere era un tipo alto e magro con le spalle cascanti; la testa, oblunga e schiacciata ai lati, ciondolava al ritmo dei sobbalzi del carretto. Le grinze ai lati del collo e i capelli radi lo facevano sembrare vecchio, anche se il volto ottuso apparteneva a un uomo la cui et non andava oltre i quarantanni.

    Luca, che fino a quel momento se ne era stato silenzioso in disparte, fu il primo a ritrovare la parola: Chiss che ne penserebbe Lombroso poi, quasi sussurrando: Guardate che tipo. Occhi quasi albini, naso schiacciato, orecchie piccole, pelle eritematosa, mani enormi... Ci si potrebbe scrivere un saggio di anatomia criminale.

    Lombroso era un idiota replic Davide, che si era accostato al fratello: Quello solo un poveraccio che vive di stenti.

    Evidentemente, caro signore, voi criticate solo perch non sapete nulla della teoria lombrosiana. Italo non aveva potuto trattenersi dallintervenire nella discussione; come sempre accadeva durante i dibattiti politici e gli incontri pubblici, il tono di voce era cresciuto e la cadenza napoletana era stata quasi cancellata da una puntigliosa cura nella dizione: La scuola positiva del diritto penale sostiene che i criminali non delinquono per atto cosciente e libero, ma perch hanno spontanee tendenze malvagie. Tendenze che traggono la loro origine da unorganizzazione fisica e psichica diversa da quella delluomo normale. E laspetto esteriore limmagine dellequilibrio psicofisico.

    Idiozie! tagli corto Davide in modo poco diplomatico, facendo sobbalzare il fratello. Per quegli occhi fissi e sgranati sono davvero inquietanti disse Isabella a bassa voce, mentre il

    carretto si fermava di fronte al mucchio di bagagli. Il guidatore scese goffamente, fece un paio di passi strascicando i piedi enormi e scalzi, diede un lungo sguardo circolare ai presenti, poi disse: Andiamo alla villa. La voce aveva un curioso tono gracidante.

    Ricongiuntosi al resto del gruppo, Romolo si rivolse indispettito al nuovo arrivato: Giovanotto, pur volendo transigere sul vostro ritardo, non sono disposto a rinunciare alle buone maniere. Il capitano aveva assunto la posizione mussoliniana del comando, con i pugni sui fianchi e il mento in fuori: Declinate le vostre generalit e rivolgetevi a noi con il dovuto rispetto!

    Gli occhi azzurri, slavati, chiarissimi, si volsero sullufficiale senza battere ciglio. Per alcuni lunghi secondi il figuro rest in silenzio, poi gracchi: Primo, sono. Quindi, ignorando Romolo, si volt verso le valigie e raccolse le due pi grosse con una facilit tale da denotare una notevole forza fisica.

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  • Romolo allarg le braccia in segno di resa. Ci mancava solo il minorato disse con tono aspro, in modo che solo Italo lo udisse.

    Gualtiero raccolse una valigia e fece segno a Ugo: Cugino, aiutiamo sto guaglione che se spara e pose, senn con la prossima valigia gli scenne a uallera.

    La che? chiese Ugo raccogliendo una borsa. Gualtiero ammicc, indic le parti basse e tradusse: Se va avanti cos, al campione gli scende

    lernia. Ugo sorrise e soffoc una risata. Con laiuto dei due, Primo sistem valigie e bauletti sul carro, riempiendo interamente lo spazio

    adibito al trasporto, poi si rivolse a Isabella: La bella signora pu salire. Romolo simporpor di sdegno, ma Isabella lo sed ponendogli una mano sulla spalla e rispondendo

    allinvito. S, grazie. Non vorrei rovinarmi la gonna camminando tra gli sterpi. Primo si arrampic al posto di guida e porse lenorme mano adunca a Isabella, che si iss agilmente

    sul carro. Lasino, incitato da Primo, si mise a trascinare faticosamente bagagli e passeggeri lungo il sentiero sterrato, sollevando una nuvola di polvere. Tenendosi a debita distanza, gli altri ereditieri si accodarono in processione.

    Gualtiero, che avanzava al fianco di Italo, comment a denti stretti: Pare la processione della Madonna della Pignasecca.

    Italo represse un risolino: S, ma la Madonna sul carro tanto immacolata non mi pare. Poi, a voce ancor pi bassa: Hai visto come fa la smorfiosa con quel pagliaccio vestito di nero? Mi sa che il nostro Romolo tene cchi corna ca na sporta e maruzze.

    Gualtiero rispose con una strizzata docchio. Gli faceva sempre piacere quando il fratello svestiva i panni del granduomo e tornava a essere il guappo dei bei tempi andati.

    Ugo, ultimo della fila, si volse a guardare il mare: il gozzo era un puntino lontano e il cielo si stava affollando di nubi scure orlate da un grigio metallico. Nonostante un profondo senso dinquietudine, accentuato dalla desolazione che lo circondava e dal maltempo in arrivo, Ugo si sentiva in sintonia con quel luogo, con quellaria che sapeva di mare. Respir profondamente, poi si volse a guardare il carro che era quasi scomparso dietro una collinetta. Affrett il passo, super il dosso della collina, e finalmente la casa apparve.

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  • IV Il lato settentrionale dellisola era completamente diverso da quello su cui erano sbarcati. Mentre a sud il terreno digradava lentamente verso il mare, a nord la superficie dellisola si manteneva rialzata di almeno una ventina di metri sul livello dellacqua e terminava con uno strapiombo, come se la pietra fosse stata tagliata con laccetta.

    Sul lato orientale la macchia costituita dai cespugli di rovi, mirto, ginestra ed elicriso, era folta al punto da sembrare solida e soffocava i tronchi di alcuni vecchi lecci, in procinto di rovinare gi dalla scarpata.

    A ovest si ergeva la villa, pi simile al casolare di un ricco fattore che a unabitazione signorile. La costruzione ottocentesca a due piani mostrava i segni inequivocabili della decadenza, pur mantenendo una sorta di dignit contadina. Un ampio terrazzo, parzialmente riparato dal sole grazie a una tettoia, era lunica concessione alla vanit mondana. Maestoso come il ponte di una grande nave da crociera, il terrazzo si affacciava sul mare; una stretta scaletta di legno lo collegava a una minuscola spiaggia, circondata da scogli e costellata da pietre franate dalla scarpata sovrastante.

    Davanti allingresso della villa si apriva un giardino invaso dalle erbacce e dai fusti raggrinziti di piante floreali morte da mesi, se non da anni. Unici segni di vita, alcuni cespugli di lavanda, una grossa palma e i tenaci gerani. Un lato del giardino era racchiuso da una cancellata dietro alla quale sorgeva una siepe di pitosforo, quasi completamente disseccata. Larea isolata era in parte circondata da una piccola macchia di cipressi, che arrivava fin quasi allo strapiombo.

    Il carretto cigol fino allo spiazzo antistante la casa, dove una figura sparuta e scarmigliata attendeva i visitatori. Era una donnina bassa, rinsecchita, con occhi color minestrone leggermente strabici e capelli grigi raccolti in un groviglio caotico sulla testa. Forse un tempo molto lontano era stata graziosa, ormai per era decisamente brutta, oltre ogni tentazione. La gonna e la camicia, nere entrambe, erano un po fruste, ma pulite e in ordine, ed emanavano un forte sentore di naftalina. Isabella, con il suo spirito di osservazione femminile, non pot fare a meno di notare questi particolari, incluso lo sguardo affettuoso che lanziana signora rivolse al loro cocchiere.

    Buonasera, buonasera disse la donna ai nuovi arrivati, abbozzando un goffo inchino. Vitalia sono, al vostro servizio. Poi poggi la mano sul braccio di Primo, che stava legando il somaro al palo: Potta aintru i balijasa dai sannorisi.

    Linterpellato si gir e biascic Eya, mamai, facendo oscillare il testone ovale in segno di ebete assenso. Poi esib un ampio sorriso a bocca aperta, senza preoccuparsi di tener dentro la lingua.

    Assistendo alla scena, Romolo e Italo si scambiarono uno sguardo di divertito disgusto. Primo afferr i bagagli dal carretto e segu gli ospiti che entravano nella villa; i suoi occhi

    dallespressione indefinibile erravano incerti fra il volto della madre e le forme procaci di Isabella.

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  • Si accomodassero. Si accomodassero. Vitalia faceva strada nella casa, avanzando a passettini nervosi. Nella penombra dellatrio, i visitatori riuscirono a poco a poco a distinguere una larga e comoda scalinata che sincurvava verso i piani superiori, e una porta aperta sulla destra che mostrava un altro ambiente in cui la polvere galleggiava nella luce radente del pomeriggio.

    Per di qua. Prego. Prego. Lalto soffitto faceva rimbombare le parole della domestica, mentre la sua gestualit essenziale pareva spingerli proprio verso la stanza di destra. Non su per le scale. Non ora. Non ora. Romolo fu preso a braccetto e trascinato verso il gruppo in modo piuttosto deciso.

    Come vi permettete? Vi prego di lasciarmi prov ad obiettare il capitano di vascello ma, colto di sorpresa dallenergia della donnetta, si lasci ricondurre docilmente allordine.

    Il signor notaio dice di attenderlo qui, che sta arrivando. Intanto, c qualcosa che desiderano? T? Caff? Mirto?

    Una tazza di t, grazie rispose Isabella. S, grazie, anchio mormor Luca. Molte teste ciondolarono in segno di approvazione. Con un

    inchino, la domestica usc dalla stanza, chiudendo la porta dietro di s. Anche lanticamera ci tocca fare, ora si lament Romolo. Doveva assolutamente ritrovare il

    prestigio dopo lumiliazione subita da quella serva. Eh, s, parecchie cose sarebbero cambiate in quella casa e quellarpia col figlio minorato non avrebbe avuto alcun futuro nella residenza estiva del capitano Sforza.

    Che sciccheria! disse Gualtiero, lasciandosi cadere su un divano foderato di velluto. In realt lambiente era un po troppo vetusto per risultare raffinato, ma era ben tenuto. Unampia vetrata che dava su un terrazzo lasciava entrare la luce del sole, ancora alto sul mare.

    Mentre gli altri prendevano posto sui divani disposti a semicerchio, Ugo osservava i trofei appesi alle pareti. Erano pesci di dimensioni variabili, dal mezzo metro in su, per lo pi di specie a lui sconosciute. A giudicare dai grossi bulbi oculari e dalla pesante struttura ossea del capo, sembravano provenire dagli abissi marini; probabilmente dovevano il loro aspetto mostruoso proprio alle tremende pressioni e allassenza quasi totale di luce.

    Gualtiero stava seguendo con lo sguardo il cugino e quando questi si gir dalla sua parte indic il trofeo che per ultimo aveva attirato la sua attenzione. Vendo pesce da ventanni, ma quella roba l non lho mai vista. Da mangiare mi sa che una fetenzia.

    Hai ragione rispose Ugo, sorridendo, mentre cercava di ignorare linquietante espressione di quellessere imbalsamato. Cera una sorta di vitreo terrore congelato in quellunico occhio che fissava un punto imprecisato della stanza, come se la morte fosse giunta in modo particolarmente orrido e improvviso.

    Gualtiero quellaspetto non lo aveva proprio colto: lo sguardo dei pesci non lo poteva impressionare n impietosire. Lunica volta che aveva esitato davanti alla sofferenza di un pesce era ancora bambino, e il padre gli aveva ordinato di strappare lamo dalla bocca di una bella triglia. Chi more e maruzze e funge, porca chella mamma ca so chiagne, gli aveva detto, e lui aveva tirato lamo. Da allora non aveva pi tremato, neanche prima di affondare il coltello nelle trippe di qualcuno.

    Gualtiero, che tieni? chiese Italo, che aveva colto la fissit dello sguardo del fratello. Niente, ripensavo a pap. Del resto, neanche Italo sembrava essere a suo agio. Non faceva che sedersi e rialzarsi, grattandosi

    nervosamente il collo. Cera qualcosa in quella casa che lo infastidiva; era una sensazione anomala per lui, uno stato danimo quanto mai lontano dal suo abituale e serafico pragmatismo. Forse la causa di tutto erano i racconti ascoltati ai tempi dellinfanzia: quelle storie narrate dal padre oltre quarantanni prima, storie ambientate in quella casa, leggende legate al mare e al passato della famiglia. Non riusciva nemmeno a ricordare con precisione di cosa parlassero. Guard gli altri e lesse nei loro occhi lo stesso disagio.

    Non si accorse dellarrivo di Vitalia e trasal quando se la ritrov tra i piedi, con in mano un grosso

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  • vassoio dargento, contenente un servizio da t di finissima fattura orientale. La domestica, giunta in salotto silenziosa come un gatto, cominci a servire linfuso agli ospiti.

    Reggendo la tazza con la sinistra, Isabella si diresse verso un pianoforte a coda vicino alle finestre e ne sfior i tasti, che erano stati accuratamente spolverati, forse in attesa degli ospiti. Con un abile movimento della mano libera fece risuonare alcune note, decisamente fuori tono: mi... sol fa mi fa sol... mi do. Il suono dello strumento era alquanto lugubre e lallegro tema mozartiano ne usc trasfigurato, tanto che Davide non pot trattenere un sorriso.

    Saranno cinquantanni che questo pianoforte non suona comment Isabella. Settanta, per la precisione. Un uomo basso e rotondetto era comparso sulla porta della stanza

    senza che nessuno se ne accorgesse. Tanti ne sono passati dalla morte di vostra nonna Eleonora, lunica melomane di tutta la famiglia aggiunse il nuovo arrivato, avvicinandosi ai divani. Lometto fiss Isabella da dietro gli occhialini tondi: Voi assomigliate molto al ritratto di Eleonora. Quanto meno i lineamenti, il taglio degli occhi...

    Irritato, Romolo si frappose tra la moglie e il tappo, come gi laveva mentalmente etichettato. Fissando linterlocutore dallalto in basso sbott, sarcastico: Sono il capitano di vascello Romolo Sforza. Con chi abbiamo lonore di parlare?

    Perdonate la mia maleducazione, sono stato folgorato dalla somiglianza della signora con il ritratto che potrete ammirare al piano superiore rispose linterpellato, muovendo le mani bianche e paffutelle, come a dispensare benedizioni. Tendo talvolta a essere troppo prolisso, forse a causa della mia passione per gli studi classici. Poi, vedendo lirritazione crescere sul volto del capitano, concluse: Sono il notaio Arnaldo Cit, una vecchia conoscenza del vostro defunto cugino Bonifacio Farricorto e suo esecutore testamentario. Il notaio porse la mano a Romolo, che rispose salutando romanamente. Arnaldo, non sapendo che fare, sventol in risposta lestremit grassottella. La scena imbarazzante diede il via a un giro di saluti romani e strette di mano, non sempre coordinati tra loro.

    Arnaldo Cit disse tra s e s Luca. Poi si rivolse al fratello, a bassa voce: Questo nome non mi nuovo... ho avuto la stessa sensazione quando lho letto la prima volta, sulla lettera. A te non ricorda niente?

    Mi ricorda solo un topone di fogna, grigiastro e panciuto sussurr lui. Larchetipo del notaio. Isabella colse il commento e si gir verso Davide, il volto atteggiato a una maliziosa espressione di

    biasimo. A dir la verit, il suo muto gesto sembrava pi di complicit che di rimprovero. Luca, infastidito dal comportamento del fratello, si chiuse nel silenzio, tormentandosi il labbro inferiore con particolare accanimento.

    Nel frattempo, Italo aveva monopolizzato la conversazione: Notaio carissimo, siamo lieti di fare la vostra conoscenza e di sapere che il nostro compianto cugino ha potuto contare sulla consulenza di un valente professionista come voi. Era incredibile, pens Gualtiero, come il fratello riuscisse a parlare interi minuti senza prendere fiato. Speriamo che possiate darci anche qualche notizia sugli ultimi giorni del povero Bonifacio, oltre che illuminarci sui termini del mandato testamentario.

    Il notaio annu pi volte, con un sorrisino inamidato in faccia: Caro signor Farricorto, sar lietissimo di rispondere alle vostre domande appena ci saremo comodamente seduti a tavola per la cena. Le manine grassocce continuavano ad agitarsi, come se vivessero di vita propria: La lettura del testamento verr effettuata domani mattina, quando sarete pi riposati. Adesso suggerisco di rinfrescarci e prepararci allottimo pasto che Vitalia ha cucinato.

    Perditempo. Inutile pomposo perditempo bofonchi Romolo a bassa voce. Avete proprio ragione, signor notaio. Se non mi tolgo di dosso la polvere del viaggio, impazzisco

    replic Isabella, poi sfior la mano di Romolo e aggiunse: Caro, accompagnatemi in stanza. Il capitano di vascello si ammans subito e la segu docilmente. Arnaldo Cit chiam a gran voce Vitalia, che condusse gli ospiti al piano superiore. Terminate le

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  • scale, si ritrovarono in un lungo corridoio alle cui pareti una serie di ritratti si alternavano a robuste porte in legno. I quadri erano stati chiaramente dipinti da un dilettante, ma la qualit era comunque sufficiente a mostrare nelle figure a mezzo busto le caratteristiche tipiche della famiglia: capelli ricci, corporatura imponente, carnagione scura.

    Isabella si sofferm a guardare il ritratto della nonna Eleonora. Era vero, la somiglianza era incredibile. Forse la carnagione era leggermente pi chiara, i capelli pi lisci e il fisico pi minuto; per i tratti del volto erano gli stessi. Vitalia apr la porta della stanza assegnata alla coppia e Isabella segu il marito, abbandonando lesame del dipinto. In pochi secondi, tutte le stanze vennero occupate e il corridoio fu di nuovo deserto.

    I volti nelle tele, impassibili, rimasero nella penombra a fissare il vuoto. Nella loro stanza, Davide e Luca si guardavano titubanti. Ad ogni cugino era stata assegnata una

    stanza tutta per s. Solo loro due erano stati alloggiati nella stessa camera. Vitalia si era scusata per linconveniente nel suo incerto italiano ed entrambi si erano rassegnati alla convivenza. Il disagio, per, era evidente: si ritrovavano ancora una volta a dormire insieme, in un ambiente sconosciuto, come ai tempi dellorfanotrofio o come la prima notte a casa Verdi, dai loro genitori adottivi.

    Fu Davide a dar voce a quella sensazione. Come quando eravamo piccoli disse, con un sorriso ironico.

    Eh gi... si limit a rispondere Luca. Poi apr la sua valigia e cominci a riporre i vestiti nellarmadio.

    Davide, invece, si mise a osservare il panorama dalla finestra spalancata sul mare, il cui colore tendeva ormai al violetto. Poi, con un gesto improvviso, apr la custodia del violino, estrasse lo strumento e cominci a suonare. La melodia, sofferta e inquietante, sembrava richiamare le nuvole di tempesta che gremivano il cielo allorizzonte.

    Intanto Luca si era sdraiato sul letto. Che stai suonando? Non ho mai sentito niente del genere. Bartk, movimento di sonata disse Davide, interrompendo per un momento lesecuzione. Mi

    stupirebbe che lavessi sentito perch nessuno lha mai eseguito in pubblico. Lho ricevuto in forma privata. Erano passati cinque anni da quella sera nel salotto della contessa Esterhazy. In effetti mi stupirebbe che tu avessi mai sentito parlare di Bartk. Davide ripens a quel musicista geniale, la cui opera forse non sarebbe mai stata compresa. Appoggi nuovamente larchetto sulle corde e il violino riprese il suo lamento straziante.

    Che rompiscatole!. Romolo si agitava nella stanza come una mosca in un bicchiere. Non capisco

    se un violino o un gatto scuoiato. Diede un pugno sul piano della piccola scrivania, facendo gemere il legno tarlato. Sar sicuramente quellinutile idiota vestito come dArtagnan!. Intanto si grattava nervosamente le cicatrici attorno allocchio sinistro, irritate dal continuo attrito con la benda. Maledetto quel giorno sulla Leonardo Da Vinci, pensava. Maledetto quellattentatore e tutti i sovversivi. E maledetto quellaborto di musicista.

    Isabella ignor lirritazione del marito; sedeva di fronte allo specchio, pettinava i lunghi capelli e guardava riflessi quei tratti del viso tanto simili a quelli di nonna Eleonora. La musica le sembrava perfetta: perfetta per quel momento, per quel posto, per quelle sensazioni. Quasi senza accorgersene, si ritrov a pensare allesecutore di quella sonata, accarezzandosi il collo e massaggiandosi il seno.

    Nonostante il nervosismo, lo sguardo di Romolo era attratto dalla moglie, il cui profilo si stagliava nella luce crepuscolare. La desiderava come la prima volta che laveva vista. Era bella. Troppo bella, forse. Si avvicin, le pos le mani sulle spalle e cominci a massaggiarle. Istintivamente Isabella contrasse i muscoli, poi si rilass e lo lasci fare, come sempre. Era questa la formula della sua serenit: accettare la situazione, abbandonarsi alla corrente.

    I capelli, lunghi, morbidi, profumati, sfioravano le dita di Romolo, eccitandolo. Isabella percep il

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  • desiderio crescente del marito e cerc di negarsi: Non ora... Ci aspettano a cena. Romolo accost la bocca allorecchio della moglie: Allora ci faremo aspettare. Poi le strinse il

    collo, quasi con brutalit, le pieg la testa allindietro e la baci, con quella passione violenta, cattiva, che non lo abbandonava mai.

    Gualtiero si annodava la cravatta e intanto fischiettava, cercando inutilmente di seguire la melodia

    del violino. Ma quella non era roba da fischiettare, non sembrava neanche musica. Per lui la musica era quella allegra, quella che cantava Isa Bluette allEden. A dire il vero, anche il nodo non stava venendo granch bene. Alla fine si arrese: smise di fischiare e si tolse la cravatta, gettandola sul letto. Non aveva mai amato quella corda attorno al collo: gli faceva sempre pensare a una garrotta, una corda da impiccato, nella migliore delle ipotesi. E poi non gli piaceva neanche quella casa, quella gente a eccezione, forse, di Ugo e quella musica lagnosa che gli riempiva le orecchie e gli entrava in testa. Avrebbe voluto essere a casa, con Rita. Chiss che stava facendo, in quel momento. Daltronde quello era lo scotto da pagare. Per leredit.

    Ugo se ne stava immerso nellacqua tiepida della vasca, in totale abbandono. Cercava di rilassarsi,

    sprofondando mollemente come un neonato nel liquido amniotico; con le orecchie coperte dallacqua, i rumori della casa erano lontani e ovattati. In una sorta di dormiveglia, gli sembr di sentire qualcosa, una specie di sussurro, come se qualcuno parlasse, vicino a lui, in una lingua gracchiante e gutturale, sconosciuta eppure familiare. Cullato da quella nenia, cominci a scivolare in un crescente torpore. Un po per volta il liquido copr bocca e naso. Allimprovviso si accorse che stava inspirando acqua. Salt seduto sulla vasca, schizzando ovunque, tossendo, in preda a conati di vomito. Il cuore batteva allimpazzata. Del sussurro non vera pi traccia. Ugo si diede del cretino: aveva sognato a occhi aperti, preda della stanchezza del viaggio. Un altro po e affogava davvero, come un idiota. Usc dalla vasca, si asciug e quando fu di nuovo calmo si vest per la cena, anche se la fame ormai gli era del tutto passata.

    Italo, come al solito, era pronto con largo anticipo. Attendeva il momento giusto per scendere il

    ritardo era scortese, ma leccessivo anticipo era segno di ansiet , e intanto sedeva davanti alla finestra, pensando al fratello. Gualtiero era una persona troppo semplice e diretta, inadatta ai tempi difficili in cui vivevano. Se non ci fosse stato lui a proteggerlo, se lo sarebbero mangiato intero e avrebbero risputato le ossa. Gi quella volta che aveva accoltellato Pericle lostricaro cera chi gli voleva fare una bella sparata. Lavrebbero ammazzato se non avesse mandato un po di camerati a rimettere ordine. Naturalmente non glielo aveva detto, perch il fratello non glielo avrebbe perdonato mai. Come avrebbe fatto, Gualtiero, se anche lui fosse venuto a mancargli, se fosse... morto? Quasi inconsciamente, Italo stir indice e mignolo della mano destra: come gli era venuta in mente una simile iattura? Forse era colpa di quella vecchia casa, del giardino tutto secco e di quel cielo scuro e gonfio di pioggia. Guard lorologio da panciotto e decise che era ora di scendere.

    Mentre le ultime note della sonata di Bartk si diffondevano nellaria, qualcuno, in casa, stava

    leggendo una bibbia. Una voce sussurrata sibilava le parole, mentre una matita sottolineava il brano, fino a perforare la carta: Benedetto sia colui che nel nome della carit e della buona volont conduce i deboli attraverso la valle delle tenebre, perch egli in verit il pastore di suo fratello e il ricercatore dei figli smarriti. E la mia giustizia caler sopra di loro con grandissima vendetta e furiosissimo sdegno, su coloro che proveranno ad ammorbare ed infine a distruggere i miei fratelli. E tu saprai che il mio nome quello del Signore quando far calare la mia vendetta sopra di te.

    Le mani si chiusero in preghiera mentre il sole andava spegnendosi nel mare.

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  • Dopo il tramonto, soltanto una luce continuava a brillare nellisola, al di fuori di Villa Eleonora. Nella vecchia casupola affacciata sulla spiaggia una mano rugosa spense la lanterna. Il buio invase la stanza. Almeno ci fosse la luna, pens Tziu Afisinu. Il vecchio aveva paura. Era la prima volta, dopo tanto tempo. Si era chiuso in casa e scrutava lacqua: per quel che riusciva a vedere, non erano giochi di onde e correnti. Stavano tornando, ne era certo. Guard con un misto di odio e di rispetto il trofeo appeso alla parete, quel teschio scarnificato con le zanne affilate e appuntite appeso al chiodo.

    Non tornavano per lui, questa volta, ma la pace era comunque finita. Fuori della finestra, il primo lampo del temporale in arrivo illumin lacqua. Forse non sarebbero uscite quella notte. A volte stavano l davanti anche per ore, ma mai cos tante, mai tutte insieme, mai con quel mare e quelle onde... Tziu Afisinu blocc porte e finestre e raccolse larpione. Si sedette sul letto con le spalle appoggiate alla parete e si prepar a una lunga notte di veglia.

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  • Diario, a.D. 1824, 7 agosto

    Non erano segnate sulle carte nautiche. Troppo a nord rispetto alle Isole Marchesi, troppo a sud rispetto alle Hawaii. Eppure erano l, proprio come indicava il vecchio libro acquistato a Londra dal capitano Obed Marsh, il libro che aveva ispirato quella missione pazzesca: mesi e mesi di navigazione diretti verso nessun luogo, a bordo della Sumatra Queen, assieme ai migliori marinai di Innsmouth.

    Era quasi impossibile imbattersi per caso in quel minuscolo arcipelago perso nel Pacifico: cinque isole dalla forma allungata, disposte a ventaglio come le dita di una mano, cinque coni vulcanici ricoperti da una vegetazione lussureggiante, circondati dalla barriera corallina e battuti dalle onde delloceano.

    Via via che ci avvicinavamo allisola pi grande, il dito medio di quella mano spettrale, le grida degli uccelli che planavano attorno al veliero crescevano di intensit e aumentavano la nostra ansia.

    Non era chiaro cosa si aspettasse il capitano Marsh da quel viaggio; aveva parlato di grandi ricchezze, di una rinascita della nostra citt. Senza neanche sapere bene perch, lavevamo seguito, trascinati dai suoi occhi spiritati e dalla sua fama di lupo di mare. Obed Marsh aveva investito tutti i suoi risparmi in quella missione. Noi, tutte le nostre speranze.

    Era passato molto tempo da quando mi avevano raccolto, moribondo, su quella spiaggia a poche centinaia di metri dal porticciolo di Innsmouth. Con gli anni, avevo imparato ad apprezzare questi uomini brutali e crudeli che vivevano in simbiosi con il mare. Ormai ero uno di loro, a tutti gli effetti. Soprattutto al termine di quel lungo viaggio, davanti al mistero di quelle cinque isole.

    Decidemmo di ancorare la nave nel tratto di mare pi riparato, quello compreso tra il terzo e il quarto dito dellarcipelago a forma di mano. Un filo di fumo si levava dai coni di entrambi i vulcani, a babordo e tribordo, e lacqua delloceano, in molti punti, era agitata da grosse bolle daria, probabilmente generate da soffioni subacquei. Un penetrante odore sulfureo stagnava nellaria e neanche il vento delloceano riusciva a disperderlo. Nonostante il fenomeno fosse ben noto a tutti gli uomini dellequipaggio, i marinai rimanevano in silenzio a contemplarlo, come turbati da qualche forma di superstizioso timore: il rumore delle bolle che si rompevano in superficie faceva pensare al respiro roco di un essere sepolto nelle profondit oceaniche. Udii Obed borbottare qualcosa, una specie di cantilena.

    In his house at Rlyeh dead Cthulhu waits dreaming, yet He shall rise and His kingdom shall cover the Earth.

    Poi il capitano, tornato in s, cominci a impartire ordini alla ciurma. Calammo una scialuppa e ci

    dirigemmo a riva. Nessuno venne ad accoglierci: solo un piccolo esercito di enormi granchi azzurri salut il nostro arrivo sulla spiaggia. Forse non cera nessuno. Forse non cera pi nessuno, come in

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  • tante altre isole, falcidiate dalla sifilide dei marinai e dalla falsa piet dei missionari. Spiaggiammo la scialuppa, imbracciammo i fucili e ci avventurammo tra le palme. Il capitano

    sembrava sicuro della direzione da prendere, marciava verso il vulcano, una massa scura dalla superficie rugosa; quel terreno nero e ondulato sembrava la pelle degli elefanti che avevo visto una volta, da bambino, in un circo a Cagliari. Pi tardi avrei scoperto che il nome dellisola nella lingua degli abitanti era Pahoehoe, e derivava proprio da quel tipo di lava. Perch lisola non era disabitata. Purtroppo. Per fortuna.

    Avanzavamo tra felci e arbusti, in mezzo ai richiami di uccelli variopinti che volteggiavano tra gli alberi. In testa, come al solito, il capitano; dietro altri sette marinai, me compreso, tutti in fila indiana, i volti coperti da gocce di sudore. Ad un tratto luomo che mi precedeva si colp il collo con una mano, come per schiacciare una zanzara. Poi si gir, mi guard con occhio ottuso e cadde a terra. Dalla sua nuca sporgeva un piccolo dardo scuro.

    Imbracciai il fucile e spiai la vegetazione. Alle mie spalle udii esplodere alcuni colpi darma da fuoco; davanti a me vedevo solo il verde delle foglie, il marrone dei tronchi, il nero della roccia lavica. Le liane si intrecciavano come budella eviscerate. Con la coda dellocchio vidi unombra cadere da un albero sul capitano Marsh. Vidi il coltello del capitano guizzare e tingersi di rosso. Poi sentii una puntura alla schiena e un senso dintorpidimento si diffuse per il corpo. Non percepii dolore quando il mio capo colp il terreno. Vedevo, da terra, i corpi distesi dei miei compagni che si agitavano debolmente; poi le palpebre divennero troppo pesanti e il sonno mi vinse.

    Non so dire quanto tempo trascorse. Mi risvegliai con un sordo dolore alle braccia, legate dietro la schiena. Anche le caviglie erano bloccate da una fune. Giacevo a terra con altri quattro membri dellequipaggio, tra i quali il capitano, ancora incosciente. Mi guardai attorno: uomini e donne seminudi si aggiravano tra capanne col tetto in foglie di palma, apparentemente intenti a organizzare qualche evento. I loro volti sorridenti avevano qualcosa di strano. I lineamenti, per quanto tipicamente polinesiani, erano distorti e avevano alcuni tratti simili a quelli dei saccheggiatori di relitti di Innsmouth: testa allungata, orecchie piccole, occhi larghi e sgranati. Alcuni di loro non partecipavano allattivit, ma rimanevano parzialmente celati dallombra allinterno delle capanne, come se avessero paura della luce del sole.

    Da un punto che non riuscivo a vedere, provenivano il crepitare di un fuoco e alcuni rumori raschianti. Da l, probabilmente, giungeva anche il forte odore di maiale arrosto che permeava laria. Faticosamente, mi volsi in quella direzione e capii quale fosse la natura del festino che vivacizzava la vita del villaggio: i lieti selvaggi stavano scuoiando il timoniere Simmons, gettato a terra e impalato da un lungo legno appuntito che lo attraversava da parte a parte e usciva dalla bocca. Probabilmente era gi morto da un po, ma il suo corpo sembrava ancora scosso da brividi.

    Un altro corpo, ormai irriconoscibile, con la carne viva esposta, sventrato, decapitato, privato degli arti superiori, arrostiva su un analogo spiedo posto su un fuoco scoppiettante. Due bambini cuocevano gli avambracci strappati al cadavere, tenendoli sopra le fiamme con lunghi stecchi di legno. Ogni tanto saggiavano con i denti la carne per controllare la cottura. Di fronte a quello spettacolo fui colto pi dalla sorpresa che dallorrore: il comportamento di quei ragazzini appariva assolutamente naturale, come fossero due scolaretti intenti a cuocere salsicce durante la scampagnata domenicale.

    Il corpo decapitato sullo spiedo era quello di Mark Philips, mio compagno ai remi della scialuppa. Non fu difficile scoprirlo: accanto allo spiedo un individuo anziano, seduto a gambe incrociate e con indosso una serie di collane doro e di conchiglie teneva la testa di Mark poggiata su una grossa pietra scura circolare. Il cranio era stato scoperchiato e lanziano indigeno utilizzava con abilit chirurgica un coltello di selce per distribuire pezzi di cervello sanguinolenti ai suoi compaesani. Gli occhi sbarrati di Mark erano fissi proprio allaltezza dei miei, e sembravano rimproverarmi per la vita che ancora mi scorreva nelle vene. Tra me e me lo rassicurai: tranquillo, amico mio, sto arrivando, manca poco...

    Ad ogni boccone dellorribile pasto, il cuoco o forse meglio dire lo sciamano pronunciava alcune parole: Hehye ngryuk eh-ya-ya-ya. Colui che divorava le carni dello sventurato marinaio

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  • rispondeva a tono: Nghaaa ngha lyuk kyuk vog-sothoth. Non avevo mai udito nulla del genere. Mai.

    Finita la preparazione, lo spiedo di Simmons venne poggiato su due forcelle, sopra una fascina di legna che gi cominciava ad ardere, a un paio di metri da quella di Mark. A Simmons avevano risparmiato la decapitazione, quindi i lunghi capelli unti cominciarono subito a bruciare: la testa del marinaio sfavillava come uno zolfanello.

    Chiusi gli occhi e deglutii per ricacciare il bolo acido che mi saliva dallo stomaco. In quel momento due indigeni passarono vicino a me e sollevarono il capitano Marsh. Sembravano seguire le istruzioni di una donna. Era giovane, alta rispetto agli altri del suo popolo, i seni pieni, i capelli neri e lunghi, gli occhi come quelli di un rapace, la bocca carnosa. Un grosso pendaglio doro raffigurante unenorme testa tentacolata le ballonzolava sul petto. Anche in quella situazi