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Anno I

Numero 2

Ottobre 2007

Rivista Ufficiale del Gruppo Italiano Frattura

Fondata nel 2007

ISSN 1971-8993

www.gruppofrattura.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) Rivista Ufficiale del Gruppo Italiano Frattura; ISSN 1971-8993

Reg. Trib. Cassino n. 729/07 del 30/07/2007

1

SOMMARIO Misure di tenacità a frattura su acciai utilizzando velocità di deformazione elevate E. Lucon ………………………………………………………………………………………… 2 Are the Paris’ law parameters dependent on each other? Al. Carpinteri, M. Paggi ………………………………………… ……………………………. 10 Applicazione della meccanica della frattura viscoelastica alla previsione della vita di tubi in polibutene L. Andena, M. Rink, R. Frassine …....................................................................... 17 L’applicazione della diffrattometria dei raggi X per l’analisi del cedimento dei componenti meccanici M. Guagliano …………………………………………………………………………………… 25

Direttore Responsabile: Francesco Iacoviello, Università di Cassino Comitato Scientifico: Stefano Beretta, Politecnico di Milano Alberto Carpinteri, Politecnico di Torino Francesca Cosmi, Università di Trieste Goffredo De Portu, CNR - ISTEC Giuseppe Ferro, Politecnico di Torino Angelo Finelli, ENEA Centro Ricerche Faenza Donato Firrao, Politecnico di Torino Roberto Frassine, Politecnico di Milano Franco Furgiuele, Università della Calabria Giovanna Gabetta, ENI Ricerche Mario Guagliano, Politecnico di Milano Martino Labanti, Enea Centro Ricerche Faenza Giulio Mayer, Politecnico di Milano Andrea Pavan, Politecnico di Milano Marco Savoia, Università di Bologna Vincenzo Maria Sglavo, Università di Trento Roberto Roberti, Università di Brescia David Taylor, University of Dublin Segreteria rivista presso: Francesco Iacoviello Università di Cassino – Di.M.S.A.T. Via G. Di Biasio 43, 03043 Cassino (FR) Italia http://www.gruppofrattura.it [email protected]

E. Lucon, Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) 2-9; DOI: 10.3211/IGF-ESIS.02.01b

2

1 INTRODUZIONE In determinate circostanze, il tempo può diventare una variabile importante nelle problematiche relative allo stu-dio della meccanica della frattura. In condizioni di ve-

locità di deformazione1 elevata, due fenomeni possono influenzare e complicare la valutazione della tenacità a frattura dinamica per un materiale metallico:

1 In questo lavoro, il termine "velocità di deformazione" è usato come sinonimo di "velocità di carico" o "velocità di caricamento" (traduzione letterale dell'in-glese "loading rate").

Misure di tenacità a frattura su acciai utilizzando velocità di deformazione elevate

Enrico Lucon Institute of Nuclear Material Science, Centro di Studi Nucleari del Belgio, SCK•CEN, Boeretang 200, B-2400 Mol (Belgio), e-mail: [email protected]

RIASSUNTO. La conoscenza delle proprietà meccaniche di tipo dinamico per i materiali metallici è utile ogniqualvolta la sensibilità alla velocità di deformazione è di rilevanza per un acciaio, e qualora le condi-zioni reali di carico per una struttura (in caso di normale esercizio o di situazioni d'emergenza) siano diverse dal caso statico. Inoltre, in alcuni studi l'aumento della velocità di deformazione serve a simulare gli effetti di altri meccanismi di fragilizzazione quali l'invecchiamento termico (thermal ageing) o l'irraggiamento. La presente memoria fornisce una panoramica dell'esperienza maturata al Centro Nucleare Belga (SCK•CEN) nel campo delle misure di tenacità a frattura su acciai in condizioni di velocità di deformazione elevata, con particolare riguardo alle prove di resilienza strumentata su provini Charpy precriccati (PCVN). Dopo una breve dissertazione sui meccanismi fondamentali che aiutano a comprendere gli effetti della velo-cità di deformazione sulla tenacità degli acciai in regime fragile e duttile, vengono presentate le procedure sperimentali ed analitiche per misurare la tenacità a frattura con velocità di deformazione elevata, prendendo in considerazione da un lato le principali normative internazionali (ASTM e ISO) e dall'altro il lavoro di normazione attualmente in corso sotto il coordinamento di SCK•CEN: la revisione della norma ASTM E1921 (metodo della Master Curve per la misura della tenacità in regime di transizione duttile/fragile) e lo sviluppo di una nuova norma ISO sulle prove di tenacità dinamica con provini PCVN. Quest'ultimo docu-mento è presentato in maggior dettaglio, concentrando l'attenzione sulla determinazione della tenacità dina-mica in campo fragile con il metodo dell'Impact Response Curve e in campo duttile (curve di resistenza J-R) mediante l'uso di metodi mono- e multi-campione. In conclusione, vengono presentati alcuni esempi tratti dalla banca dati sviluppata da SCK•CEN per le misu-re di tenacità dinamica, prevalentemente su acciai da vessel di uso nucleare (RPV steels).

ABSTRACT. The knowlegde of dynamic mechanical properties is useful in all cases where the strain rate sensitivity of metallic materials is an issue, and whenever the actual loading conditions for a structure (ei-ther in normal operation or under accidental circumstances) are different from static. Furthermore, in some investigations increasing the loading rate is used to simulate other embrittling mechanisms such as thermal aging or neutron exposure. This paper provides an overview of SCK•CEN experience on measuring fracture toughness of steels at ele-vated loading rates, with specific emphasis on instrumented impact tests on precracked Charpy (PCVN) specimens. After briefly dwelling on the basic mechanisms which explain loading rate effects on cleavage and ductile fracture toughness, the experimental and analytical procedures for measuring fracture toughness at elevated loading rates are addressed, both in terms of official ASTM and ISO test standards and considering stan-dardization efforts currently in progress under SCK•CEN coordination: revision of ASTM E1921 (Master Curve methodology for measuring fracture toughness in the ductile-to-brittle transition region) and a future ISO standard on instrumented PCVN testing. This latter document is examined in more detail, focussing the attention on the dynamic evaluation of brittle fracture toughness (Impact Response Curve) and the determi-nation of crack resistance curves using multiple and single-specimen techniques. Finally, selected examples from SCK•CEN database of dynamic toughness measurements will be illustrated, mainly relevant to reactor pressure vessel (RPV) steels.

E. Lucon, Frattura ed Integrità Strutturale, 2(2007) 2-9

3

• la variazione delle proprietà meccaniche in funzione della velocità di deformazione (nella maggior parte dei metalli, le proprietà tensili aumentano sensibil-mente quando la velocità di deformazione aumenta di alcuni ordini di grandezza);

• effetti inerziali, che possono assumere grande impor-tanza quando la forza varia bruscamente o quando una cricca avanza rapidamente (parte del lavoro spe-so sul provino è convertita in energia cinetica).

La velocità di deformazione di un materiale metallico vi-cino all'apice di una cricca è di solito misurata come

dove KI è il fattore di intensità delle sollecitazioni in mo-do I e t è la variabile tempo. Per velocità di deformazione fino a

•K = 106 MPa√m/s, generalmente entrambi gli ef-

fetti sono significativi e devono essere presi in considera-zione nelle misure di tenacità a frattura.

2 EFFETTI QUALITATIVI DI UN AUMENTO DELLA VELOCITA’ DI DEFORMAZIONE

Qualitativamente, le conseguenze di un aumento della ve-locità di deformazione sulla tenacità a frattura di un ac-ciaio possono essere schematizzate nel modo seguente, in funzione del regime di frattura (fragi-le/transizione/duttile) nel quale il materiale si trova ad operare: • comportamento fragile (lower shelf): un aumento del-

la velocità di deformazione provoca una diminuzione della tenacità a frattura (KId < KIc)2;

• comportamento parzialmente fragile e parzialmente duttile (regime di transizione): la temperatura di tran-sizione aumenta all'aumentare della velocità di de-formazione (To,d > To,s)3;

• comportamento duttile (upper shelf): una velocità di deformazione più elevata tende ad aumentare la resi-stenza del materiale all'innesco e alla propagazione duttile di una cricca (JId > JIc).

In termini grafici, le conseguenze di un aumento della ve-locità di deformazione sull'intera curva della tenacità a frattura in funzione della temperatura per un acciaio ferri-tico possono essere rappresentate come in Fig. 1.

In condizioni prevalentemente fragili, un aumento del-la velocità di deformazione rende più difficoltoso il mo-vimento delle dislocazioni all'interno del materiale, con conseguente aumento dello sforzo di snervamento (indu-rimento, o hardening). Lo spostamento verso l'alto della curva di snervamento ha per effetto un aumento della temperatura alla quale si realizza la condizione di clivag-gio, che corrisponde all'intersezione con la curva dello

2 Il pedice "d" indica un parametro "dinamico". 3 Il pedice "s" indica un parametro "statico".

sforzo di frattura (che dipende in maniera modesta dalla la velocità di deformazione o dalla temperatura). Tale in-cremento della temperatura di clivaggio corrisponde al fenomeno della fragilizzazione (embrittement), che può anche essere causato dall'irraggiamento neutronico. Quanto descritto è illustrato graficamente nella Fig. 2. Anche quando il comportamento dell'acciaio è di tipo duttile, un incremento della velocità di deformazione rende più difficoltoso il movimento delle dislocazioni e di conseguenza la deformazione plastica del materiale. In tali circostanze, i fenomeni tipici associati all'innesco e alla propagazione duttile di una cricca (nucleazione, cre-scita e coalescenza di vuoti) avvengono a livelli più ele-vati di lavoro speso, e quindi la tenacità del materiale aumenta. Figura 1. Effetto qualitativo di un aumento della velocità di de-formazione sulla tenacità a frattura di un acciaio ferritico (cur-va blu: velocità quasi-statica; curva rossa: velocità dinamica).

Figura 2. Effetti di indurimento e fragilizzazione causati da un aumento della velocità di deformazione in un acciaio con com-portamento fragile.

3 MISURA SPERIMENTALE DELLA TENACITA’ A FRATTURA DINAMICA

Nei paragrafi seguenti, si farà principalmente riferimento alle normative di prova già pubblicate o in via di pubbli-cazione da parte dell'ASTM (American Society for Te-sting and Materials) e dell'ISO (International Standardi-sation Organization).

•= IdK

Kdt

Diminuzionetenacità in

campo fragile Aumento dellatemperatura di

transizione

Aumento dellatenacità di innesco

Tena

cità

K I(M

Pa√m

)

Temperatura (°C)

Diminuzionetenacità in

campo fragile Aumento dellatemperatura di

transizione

Aumento dellatenacità di innesco

Tena

cità

K I(M

Pa√m

)

Temperatura (°C)

aumentovelocitàdeform.

sforzo di frattura (modesta dipendenza davelocità di deformazione o temperatura)

ΔT

aumentosnervamento

(indurimento)sfor

zo

temperatura

Aumento sforzo di snervamento causato dallamaggior difficoltà di movimento delle dislocazioni

aumentotemperatura

clivaggio(fragilizzazione)

Δσy

condizionidi clivaggio

aumentovelocitàdeform.

sforzo di frattura (modesta dipendenza davelocità di deformazione o temperatura)

ΔT

aumentosnervamento

(indurimento)sfor

zo

temperatura

Aumento sforzo di snervamento causato dallamaggior difficoltà di movimento delle dislocazioni

aumentotemperatura

clivaggio(fragilizzazione)

Δσy

condizionidi clivaggio

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3.1 Comportamento fragile (lower shelf) L'intervallo di velocità di deformazione per prove in con-dizioni quasi-statiche è definito come 0.55-2.75 MPa√m/s nelle norme ASTM E399 [1] e E1820 [2] e come 0.55-3 MPa√m/s nella norma ISO 12135 [3]. Il medesimo intervallo è prescritto anche dalla norma Bri-tish Standard BS 7448:3 [4]. In caso di velocità di deformazione più elevate, le norma-tive si limitano a raccomandare di determinare accurata-mente i valori di forza applicata e prescrivono un tempo totale di prova non inferiore a 1 ms. Inoltre, nei calcoli della tenacità a frattura si richiede l'uso di un valore di sforzo di snervamento corrispondente alla velocità di pro-va. È interessante osservare che entrambe le norme ASTM (E399 e E1820) escludono la possibilità di eseguire prove di impatto utilizzando masse cadenti, quindi prove di re-silienza Charpy o Pellini (drop weight). Inoltre, viene e-splicitamente affermato che "diminuzioni significative della tenacità possono essere osservate all'aumentare della velocità di deformazione". 3.2 Comportamento misto fragile/duttile La norma ASTM E1921 [5], che descrive la ben nota me-todologia della Master Curve per la misura della tenacità a frattura di acciai ferritici in regime di transizione fragi-le/duttile, prevede che per una determinazione quasi-statica della temperatura di riferimento To, la velocità di deformazione sia compresa tra 0.1 e 2 MPa√m/s. Tale re-quisito consente di limitare a un massimo di 10 °C la va-riazione di To per effetto della velocità di prova [6]. È consentito altresì eseguire la prova al di sotto del limite inferiore (0.1 MPa√m/s), purchè gli effetti ambientali siano trascurabili o assenti.

La versione attuale della norma (2005) non prevede la possibilità di eseguire prove con velocità di deformazione più elevate; tuttavia, l'autore della presente memoria sta preparando una revisione della E1921 nella quale sarà consentito applicare velocità di prova superiori, sino a poter testare provini Charpy precriccati utilizzando un pendolo strumentato [7-10]. Esiste infatti una consistente base sperimentale che dimo-stra senza ombra di dubbio che il metodo della Master Curve è pienamente applicabile alle misure di tenacità di-namica eseguite su provini Charpy precriccati; un chiaro esempio è fornito dalla Fig. 3, che mostra i risultati di un round-robin (prova interlaboratorio) recentemente orga-nizzato nell'ambito del Coordinated Research Project Phase 8 (CRP-8) dell'IAEA (International Atomic E-nergy Agency) [11,12]. Nell'ambito del medesimo CRP-8, è attualmente in corso uno studio sulla sensibilità alla velocità di deformazione degli acciai ferritici [11]; lo studio si basa sulla raccolta ed analisi di valori della temperatura di riferimento To ot-tenuti a diverse velocità di deformazione mediante la me-todologia della Master Curve. La Fig. 4 mostra i risultati di prove eseguite da SCK•CEN su tre acciai (due acciai da vessel – JSPS e JRQ - e un acciaio ferriti-co/martensitico – E97) variando la velocità di prova; le pendenze variabili delle curve di regressione in scala se-milogaritmica evidenziano la diversa sensibilità degli ac-ciai considerati. In assenza di misure sperimentali, una stima dell'incre-mento della temperatura di riferimento conseguente al-l'aumento della velocità di deformazione può essere otte-nuta dalla seguente correlazione empirica, proposta da Wallin [13]:

0

50

100

150

200

250

-50 -40 -30 -20 -10 0 10 20 30

Temperatura (°C)

K Jc,

1T(M

Pa√ m

)

Lab #1Lab #2Lab #3Lab #4Lab #5Lab #6Lab #7Lab #8Master Curve complessiva

95%

5%LB

MC

0

50

100

150

200

250

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Temperatura (°C)

K Jc,

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Lab #1Lab #2Lab #3Lab #4Lab #5Lab #6Lab #7Lab #8Master Curve complessiva

95%

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Figura 3. Prove di tenacità dinamica su provini Charpy precriccati dell'acciaio da vessel JRQ (A533B Cl.1), analizzati mediante il metodo della Master Curve. Dati del round-robin del CRP-8 dell'IAEA [12].

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(1) dove la funzione Γ è data da: (2) con σys,Tos = limite di snervamento alla temperatura To,s (temperatura di riferimento corrispondente a velocità di deformazione quasi-statiche). La correlazione (1) è stata sviluppata su 59 acciai, per velocità di prova comprese tra 10-1 e 106 MPa√m/s, limiti di snervamento tra 200 e 1000 MPa e valori To,s tra -180 e 0 °C. 3.3 Comportamento duttile (upper shelf) All'interno della norma ASTM E1820 [2], e più precisa-mente nell'Annex A14, vengono fornite indicazioni per l'esecuzione di prove con elevata velocità di deformazio-ne. Affinché la prova sia analizzabile, si richiede che la parte iniziale del grafico forza/spostamento sia sufficientemen-te ben definita e che la durata della prova non sia inferio-re a un valore minimo tw che dipende dalla rigidità del provino e dalla massa totale del sistema di prova. Nel ca-so che la prova duri meno di tw, le equazioni per il calcolo dell'integrale-J sono da considerarsi inaccurate. Nel caso si debba determinare la curva di resistenza alla propagazione duttile (J-R curve), la norma raccomanda

l'uso della tecnica della Normalizzazione (Normalization Data Reduction), descritta nell'Annex A15. Da notare che nella norma E1820 si afferma esplicita-mente che "la curva J-R e la tenacità critica JIc(t) aumen-tano al crescere della velocità di prova".

4 LA FUTURA NORMA ISO SULLE PROVE DI TENACITA’ DINAMICA UTILIZANDO PROVINI CHARPY PRECRICCATI

In ambito ISO e con il coordinamento di SCK•CEN, una normativa di prova è attualmente in preparazione per pro-ve di tenacità dinamica su provini Charpy precriccati te-stati mediante un pendolo strumentato [14]. Tale norma è quasi interamente basata sull'ultima versione della proce-dura di prova scritta dal Comitato Tecnico TC5 dell'ESIS (European Structural Integrity Society) [15]. La norma tratta tutti e tre i regimi di comportamento a frattura (fragile / transizione / duttile), identificando il diagramma forza/tempo in base a quattro tipologie (Fig. 5): • essenzialmente lineare elastico (tipo I); • frattura fragile per clivaggio senza crescita duttile si-

gnificativa (Δa ≤ 0.2 mm) (tipo II); • frattura fragile per clivaggio con crescita duttile si-

gnificativa (0.2 mm < Δa ≤ 1.6 mm) (tipo III); • frattura fragile per clivaggio con Δa > 1.6 mm o pro-

pagazione duttile in assenza di clivaggio (tipo IV).

4.1 Provini Rispetto alle prove di tipo quasi-statico, la lunghezza mi-nima ammessa della precriccatura di fatica è ridotta da

σ⎡ ⎤⎛ ⎞⎛ ⎞⎢ ⎥Γ = + ⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎢ ⎥⎝ ⎠ ⎝ ⎠⎣ ⎦

1.091.66,,9.9exp

190 722ys Toso sT

1.E-01 1.E+00-120

-100

-80

-60

-40

-20

0

20

40

1.E-02 1.E+01 1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06

dK/dt (MPa√m/s)

To(°

C)

ASTM E1921-05

JRQ

JSPS

E97

PROVE DIIMPATTO(1-1.5 m/s)

1.E-01 1.E+00-120

-100

-80

-60

-40

-20

0

20

40

1.E-02 1.E+01 1.E+02 1.E+03 1.E+04 1.E+05 1.E+06

dK/dt (MPa√m/s)

To(°

C)

ASTM E1921-05

JRQ

JSPS

E97

PROVE DIIMPATTO(1-1.5 m/s)

Figura 4 – Influenza della velocità di prova sulla temperatura di riferimento per due acciai da vessel (JSPS, JRQ) e un ac-ciaio ferritico/martensitico (E97). Prove eseguite da SCK•CEN nell'ambito del CRP-8 dell'IAEA [11].

⋅ Γ=

⎛ ⎞Γ − ⎜ ⎟

⎝ ⎠

,,

log

o so d

TT

K

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0.45W a 0.3W, con W = larghezza del provino (10 mm). L'applicazione di scanalature laterali (side-grooves) è ammessa ed anzi raccomandata nel caso si voglia deter-minare la curva J-R.

4.2 Macchine di prova Svariate tipologie di macchine di prova sono ammesse nella futura norma, benché l'attrezzatura consigliata sia un pendolo strumentato con angolo di caduta – e quindi velocità d'impatto – variabile. E' comunque consentito l'uso di macchine a massa cadente (drop-weight), mac-chine di prova di tipo servoidraulico, pendoli speciali con appoggi mobili e provino fisso ecc. Il percussore (striker) strumentato può essere conforme alla geometria prevista sia dalla norma ISO 148-2 (raggio del coltello: 2 mm) sia dalla norma ASTM E23 (raggio del coltello: 8 mm).

4.3 Velocità d'impatto Qualsiasi velocità d'impatto è consentita, fino a valori dell'ordine di 5 m/s o superiori. Nel caso di un pendolo Charpy, la velocità di prova può essere ridotta sino a cir-ca 1 m/s. In caso di comportamento fragile, se la velocità è tale che il tempo di frattura è inferiore a 5 volte il periodo di o-scillazione naturale del sistema provino/macchina (tf < 5τ), la tenacità a frattura non può essere calcolata a parti-

re dal grafico forza/spostamento della prova; in tal caso, deve utilizzarsi il metodo dinamico di calcolo della tena-cità dinamica dell'Impact Response Curve, descritto nella sezione successiva.

4.4 Metodo dinamico di calcolo della tenacità dinamica in regime di clivaggio Il metodo detto Impact Response Curve (Curva di Rispo-sta all'Impatto) [16], prevede la determinazione della te-nacità dinamica KId a partire dal tempo a frattura tf, utiliz-zando una curva universale che è rappresentata dalla funzione

(3)

in cui: R è funzione della cedevolezza della macchina di prova, vo è la velocità d'impatto e t" è tabulato in funzione di tf. Per l'individuazione del tempo di frattura tf, nell'ipotesi tf < 5τ, si raccomanda di strumentare il provino con un e-stensimetro (strain gage) applicato in prossimità dell'api-ce della cricca (Fig. 6); una brusca diminuzione del se-gnale elettrico dell'estensimetro consente di individuare l'istante della frattura [17]. In alternativa, è possibile esa-minare la variazione nel tempo di altri segnali, ad es. un segnale magnetico o la caduta di potenziale attraverso il provino percorso da corrente (Potential Drop).

Figura 5. Possibili tipologie del diagramma forza/tempo per una prova di tenacità dinamica su provino Charpy precriccato.

= "Id oK Rv t

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4.5 Metodi per la misura della tenacità dinamica in re-gime duttile L'approccio consigliato per determinare la curva J-R in condizioni dinamiche prevede l'uso di una metodologia di

tipo multi-provino; la futura norma ISO cita i seguenti metodi di prova: • Low-blow test: la velocità d'impatto viene variata da

una prova all'altra in modo da ottenere quantità va-riabili di crescita duttile Δa; l'energia potenziale deve

Figura 6. Esempi di metodi per l'individuazione del tempo di frattura in caso di frattura fragile.

Temperatura di riferimento normalizzata, T – To (°C)

Tena

cità

dina

mic

ano

rmal

izza

ta, K

Jc,1

T(M

Pa√m

)

Temperatura di riferimento normalizzata, T – To (°C)

Tena

cità

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mic

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Jc,1

T(M

Pa√m

)

Figura 7. Banca dati SCK•CEN costituita da misure di tenacità dinamica su provini PCVN di acciai da vessel (cerchi) e ferriti-ci/martensitici (triangoli). Le prove, eseguite in regime di transizione fragile duttile, sono state analizzate mediante il metodo della Master Curve (rappresentata nella figura insieme a diversi livelli statistici di probabilità di frattura).

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essere sufficiente a far propagare la cricca, senza tut-tavia provocare la rottura completa del provino.

• Stop block test: valori differenti di crescita duttile tra un provino e l'altro vengono ottenuti variando la po-sizione d'arresto del martello, anche in questo caso evitando di rompere completamente il provino. Il me-todo è tuttavia sconsigliato per macchine di prova standard, in quanto esiste il rischio di danneggiare la cella di carico.

• Cleavage R-curve method: le prove sono eseguite in regime di transizione fragile/duttile, facendo variare la temperatura di prova in modo da ottenere valori Δa variabili. Le differenze tra le temperature di prova vengono ignorate [18].

In aggiunta, sono anche disponibili metodologie mono-provino, quali il metodo della Key Curve [19], l'approccio analitico a 3 parametri di Schindler [20] e la già citata tecnica della Normalizzazione descritta nella norma

ASTM E1820. Un recente studio eseguito da SCK•CEN ha evidenziato un buon accordo tra metodi multi- e mo-no-provino per alcuni tipici acciai da vessel [21].

5 ESEMPI DI MISURE DI TENACITÀ DINAMICA TRATTI DALLA BANCA DATI DI SCK•CEN

Per concludere, vengono presentati alcuni risultati di pro-ve di tenacità dinamica eseguite da SCK•CEN su provini Charpy precriccati, provenienti in prevalenza da acciai da vessel per uso nucleare. La Fig. 7 mostra la nostra banca dati costituita da 113 prove condotte in regime di transi-zione fragile/duttile su 7 acciai in 11 diverse condizioni (per alcuni acciai, sono presenti misure su materiale sia non irraggiato che irraggiato).

Figura 8. Misure di resistenza alla frattura duttile, ottenute per due acciai da vessel con velocità di deformazione quasi-statiche (curve blu) e dinamiche (curve rosse).

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I valori di tenacità dinamica (normalizzati allo spessore di riferimento – 1 pollice) sono rappresentati in funzione della differenza tra la temperatura di prova e la tempera-tura di riferimento To calcolata per il relativo materiale; questo tipo di rappresentazione consente di riunire sullo stesso grafico materiali diversi tra loro. La Fig. 7 costitui-sce un'ulteriore dimostrazione che il metodo della Master Curve è perfettamente applicabile a misure di tenacità di-namica su provini PCVN. Esempi di misure dinamiche di resistenza alla frattura duttile, ottenute mediante la metodologia Low Blow Test precedentemente descritta, sono mostrati per due tipici acciai da vessel nella Fig. 8, dove le curve dinamiche (in rosso) sono confrontate alle curve J-R ottenute in condi-zioni quasi-statiche (in blu) alle stesse temperature di prova. La Fig. 8 consente di apprezzare chiaramente l'in-cremento della resistenza alla frattura duttile, conseguen-te ad un aumento della velocità di deformazione.

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Al. Carpinteri et al., Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) 10-16; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.02.02

10

1 INTRODUCTION Fatigue crack growth data for ductile materials are usu-ally presented in terms of the crack growth rate, da/dN, and the stress-intensity factor range, ( )max minK K KΔ = − . At present, it is a common practice to describe the proc-ess of fatigue crack growth by a logarithmic d / da N vs.

KΔ diagram (see e.g. Fig. 1). Three regions are generally recognized on this diagram for a wide collection of experimental results [1]. The first region corresponds to stress-intensity factor ranges near a lower threshold value, thKΔ , below which no crack propagation takes place. This region of the diagram is usually referred to as Region I, or the near-threshold re-gion [2]. The second linear portion of the diagram defines a power-law relationship between the crack growth rate and the stress-intensity factor range and is usually re-ferred to as Region II [3]. Finally, when maxK tends to the critical stress-intensity factor, ICK , rapid crack propagation takes place and crack growth instability oc-curs (Region III) [4]. In Region II the Paris’ equation [5,6] provides a good approximation to the majority of experimental data:

d ( )d

ma C KN

= Δ (1)

where C and m are empirical constants usually referred to as Paris’ law parameters.

From the early 60’s, research studies have been focused on the nature of the Paris’ law parameters, demonstrating that C and m cannot be considered as material constants. In fact, they depend on the testing conditions, such as the loading ratio min max min max/ /R K Kσ σ= = [7], on the ge-ometry and size of the specimen [8, 9] and, as pointed out very recently, on the initial crack length [10]. However, an important question regarding the Paris’ law parameters still remains to be answered: are C and m independent of each other or is it possible to find a correlation between them based on theoretical considerations? Concerning this point, it is important to take note of the controversy in the literature about the existence of a correlation be-tween C and m. For instance, Cortie [11] stated that the correlation is formal with a little physical relevance, and the high coefficient of correlation between C and m is due to the logarithmic data representation. Similar argu-ments were proposed in [12], where a correlation-free representation was presented. On the other hand, a very consistent empirical relationship between the Paris’ law parameters was found by several Authors [13, 14] and supported by experimental results [3, 13, 15–18]. In this paper, the correlation existing between the Paris’ law parameters is derived on the basis of theoretical ar-guments. To this aim, both self-similarity concepts [9] and the condition that the Paris’ law instability corre-sponds to the Griffith-Irwin instability at the onset of rapid crack growth are profitably used. Comparing the functional expressions derived according to these two in-

Are the Paris’ law parameters dependent on each other?

Alberto Carpinteri, Marco Paggi Politecnico di Torino, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Corso Duca degli Abruzzi 24, 10129 Torino, Italy

RIASSUNTO. Nel presente articolo si riesamina la questione relativa all’esistenza di una correlazione tra i parametri C ed m della legge di Paris. In base all’analisi dimensionale ed ai concetti di autosomiglianza in-completa applicati alla fase lineare della propagazione della frattura per fatica, si propone una rappresenta-zione asintotica che mette in relazione il parametro C ad m ed alle altre variabili che governano il fenomeno in oggetto. Gli esponenti della correlazione vengono poi determinati in base alla condizione che l’instabilità alla Griffith-Irwin debba coincidere con l’instabilità alla Paris nel punto di transizione tra la propagazione sub-critica e quella critica. Si riscontra infine un ottimo accordo tra la correlazione proposta e l’evidenza sperimentale relativamente alle leghe di alluminio, titanio ed acciaio.

ABSTRACT. The question about the existence of a correlation between the parameters C and m of the Paris’ law is re-examined in this paper. According to dimensional analysis and incomplete self-similarity concepts applied to the linear range of fatigue crack growth, a power-law asymptotic representation relating the parameter C to m and to the governing variables of the fatigue phenomenon is derived. Then, from the observation that the Griffith-Irwin instability must coincide with the Paris’ instability at the onset of rapid crack growth, the exponents entering this correlation are determined. A fair good agreement is found be-tween the proposed correlation and the experimental data concerning Aluminium, Titanium and steel alloys. KEYWORDS. Fatigue crack growth, Paris’ law parameters, Correlation, Dimensional analysis, Griffith-Irwin instability.

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dependent approaches, a relation between the Paris’ law parameters C and m is proposed. As a result, it is shown that only one macroscopic parameter is needed for the characterization of damage during fatigue crack growth.

2 CORRELATION DERIVED ACCORDING TO SELF-SIMILARITY CONCEPTS

According to dimensional analysis, the physical phe-nomenon under observation can be regarded as a black box connecting the external variables (called input or governing parameters) with the mechanical response (output parameters). In case of fatigue crack growth in Region II, we assume that the mechanical response of the system is fully represented by the crack growth rate,

0 =d / dq a N , which is the parameter to be determined. This output parameter is a function of a number of variables:

( )0 1 2 1 2 1 2, , , ; , , , ; , , , ,n m kq F q q q s s s r r r= K K K (2) where iq are quantities with independent physical dimen-sions, i.e. none of these quantities has a dimension that

can be represented in terms of a product of powers of the dimensions of the remaining quantities. Parameters is are such that their dimensions can be expressed as products of powers of the dimensions of the parameters iq . Fi-nally, parameters ir are nondimensional quantities. As regards the phenomenon of fatigue crack growth, it is possible to consider the following functional dependence: (3) where the governing variables are summarized in Tab. 1, along with their physical dimensions expressed in the Length-Force-Time class (LFT). From this list it is possi-ble to distinguish between three main categories of pa-rameters. The first category regards the material parame-ters, such as the yield stress, yσ , and the fracture toughness, ICK . The second category comprises the vari-ables governing the testing conditions, such as the stress-intensity factor range, KΔ , the loading ratio, R , and the frequency of the loading cycle, ω . Concerning environ-mental conditions and chemical phenomena, they are not considered as primary variables in this formulation and

Variable Definition Symbol Dimensions

1q Tensile yield stress of the material σy FL–2 2q Material fracture toughness KIC FL–3/2 3q Frequency of the loading cycle ω T–1 1s Stress-intensity range ΔK = Kmax - Kmin FL–3/2 2s Characteristic structural size D L 3s Characteristic internal length h L

4s Initial crack length a0 L

1r Loading ratio

( )IC 0d , , ; , , , ;1 ,d y

a F K K D h a RN

σ ϖ= Δ −

Figure 1. Scheme of the typical fatigue crack propagation curve

max

min

KKR =

Table 1. Main variables governing the fatigue crack growth phenomenon.

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their influence on fatigue crack growth can be taken into account as a degradation of the material properties. Fi-nally, the last category includes geometric parameters re-lated to the material microstructure, such as the internal characteristic length, h, and to the tested geometry, such as the characteristic structural size, D , and the initial crack length, a0. Considering a state with no explicit time dependence, it is possible to apply the Buckingham’s Π Theorem [19] to reduce by n the number of parameters involved in the problem (see e.g. [8, 20–26] for some relevant applica-tions of this method in Solid Mechanics). As a result, we have: (4) At this point, we want to see if the number of the quanti-ties involved in the relationship (4) can be reduced fur-ther from five. Considering the nondimensional parame-ter IC/K KΔ , it has to be noticed that this is usually small in the Region II of fatigue crack growth. However, since it is well-known that the fatigue crack growth phenome-non is strongly dependent on this variable (see e.g. the Paris’ law in Eq. (1)), a complete self-similarity in this parameter cannot be accepted. Hence, assuming an in-complete self-similarity in 1Π , we have: (5) where the exponent β1 and, consequently, the nondimen-sional parameter 1Φ , cannot be determined from consid-erations of dimensional analysis alone. Moreover, the ex-ponent β1 may depend on the nondimensional parameters

iΠ . It has to be noticed that 2Π takes into account the ef-fect of the specimen size and it corresponds to the square of the nondimensional number Z defined in [8], and to the inverse of the square of the brittleness number s in-troduced in [20, 21, 27]. Moreover, the parameter 4Π is responsible for the dependence of the fatigue phenome-non on the initial crack length, as recently pointed out in [10]. Repeating this reasoning for the parameter (1 )R− , which is a small number comprised between zero and unity, a complete self-similarity in 5Π would imply that fatigue crack growth is independent of the loading ratio. How-ever, this behavior is in contrast with some experimental results indicating an increase in the response d / da N

when increasing the parameter R [28]. Therefore, assum-ing again an incomplete self-similarity in 5Π , we have: (6) Comparing Eq. (6) with the expression of the Paris’ law, we find that our proposed formulation encompasses Eq. (1) as a limit case when: (7) As a consequence, from Eq. (7) it is possible to notice that the parameter C is dependent on two material pa-rameters, such as the fracture toughness, ICK , and the yield stress, yσ , as well as on the loading ratio, R, and on

the nondimensional parameters 2Π , 3Π , and 4Π . More-over, Eq. (7) demonstrates, from the theoretical stand-point, the existence of a relationship between the parame-ters C and m.

3 CORRELATION DERIVED ACCORDING TO THE CRACK GROWTH INSTABILITY CONDITION

In this Section we derive a correlation between the Paris’ law parameters similar to that in Eq. (7) on the basis of the condition of crack growth instability. In fact, as firstly pointed out by Forman et al. [4], the crack propagation rate, d / da N , is not only a function of the stress-intensity factor range, KΔ , but also on the condition of instability of the crack growth when the maximum stress-intensity factor approaches its critical value for the material. Focusing our attention on this dependence, Forman et al. [4] observed that the crack propagation rate must tend to infinity when max ICK K→ , i.e. (8) This rapid increase in the crack propagation rate is then responsible for the fast deviation from the linear part of the Region II in the fatigue plot (see e.g. Fig. 1). Consid-ering the transition point labeled CR in Fig. 1 between Region II and Region III, the following relationship be-tween the crack growth rate and the stress-intensity factor range can be derived according to the Paris’ law: (9)

( )

2

IC

y

2 2 2

02 2 2IC IC IC IC

1 2 3 4 5

dd

, , , ;1

, , , , .

y y y

KaN

K D h a RK K K K

σ

σ σ σ

⎛ ⎞=⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠⎛ ⎞Δ

= Φ − =⎜ ⎟⎜ ⎟⎝ ⎠

= Φ Π Π Π Π Π

( )

12

IC1 2 3 4 5

y IC

d , , , ,d

Ka KN K

β

σ⎛ ⎞ ⎛ ⎞Δ

= Φ Π Π Π Π⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎝ ⎠⎝ ⎠

( )

( ) ( )

1

2

1 2 1

2

IC2 2 3 4

y IC

2 2IC y 2 2 3 4

dd

(1 ) , ,

(1 ) , , .

aN

K K RK

K R K

ββ

β β β

σ

σ− −

=

⎛ ⎞ ⎛ ⎞Δ= − Φ Π Π Π =⎜ ⎟ ⎜ ⎟⎜ ⎟ ⎝ ⎠⎝ ⎠

= − Δ Φ Π Π Π

( ) ( )2

1

2 2IC y 2 2 3 4

,

(1 ) , , .m

m

C K R β

β

σ− −

=

= − Φ Π Π Π

max IC

dlimdK K

aN→

= ∞

( )CR CR

CR

dd

ma v C KN

⎛ ⎞ = = Δ⎜ ⎟⎝ ⎠

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where CRKΔ denotes the value of the stress-intensity fac-tor range at the point CR. Due to the fact that a rapid variation in the crack propagation rate takes place when the onset of crack instability is reached, it is a reasonable assumption to consider CR

max ICK K≅ . As a consequence, it is possible to correlate the value of CRKΔ with the mate-rial fracture toughness: (10) Hence, introducing Eq. (10) into Eq. (9), an approximate relationship between the Paris’ constants is derived ac-cording to the condition that the onset of the Paris’ insta-bility corresponds to the Griffith-Irwin instability: (11) Moreover, as regards the parameters CRv and ICK enter-ing Eq. (11), it has to be remarked that they are almost constant for each class of material. The dependence on the loading ratio is also put into evidence in Eq. (11). A closer comparison between Eq. (11) and Eq. (7) per-mits to clarify the role played by CRv . In fact, Eq. (11) corresponds to the correlation derived according to self-similarity concepts when: (12) confirming the experimental observation reported in [3] that CRv should depend on the material properties, on the geometry of the tested specimen, and on the material mi-crostructure. Therefore, considering the same testing conditions, this conventional crack growth rate is almost constant for each class of material and Eq. (11) estab-lishes a one-to-one correspondence between the C and m values.

4 EXPERIMENTAL ASSESSMENT OF THE PROPOSED CORRELATION: ALUMINIUM, TITANIUM AND STEEL ALLOYS

Parameters C and m entering the Paris’ law are usually impossible to be estimated according to theoretical con-siderations and fatigue tests have to be performed. How-ever, many Authors [3, 13, 29] experimentally observed a very stable relationship between the parameters C and m, which is usually represented by the following empirical formula: (13) usually written in a logarithmic form: (14)

Taking the logarithm of both sides of the theoretically based relationship between C and m in Eq. (11), we o-btain (15) which corresponds to Eq. (14) if (16) In order to check the validity of the proposed correlation derived according to the instability condition of the crack growth, an experimental assessment is performed by comparing the experimentally determined values of B with those theoretically predicted according to Eq. (16). Concerning steels and Aluminium alloys, Radhakrishnan [13] collected a number of data from various sources and proposed the following least square fit relationships ( KΔ being in MPa√m and da/dN in m/cycle): (17) In order to compare the prediction of our proposed corre-lation with the experimentally determined values of B, parameters m and KIC have to be known in advance. However, only in a few studies both the values of the fa-tigue parameters and of the fracture toughness are ex-perimentally determined and reported. Therefore, to avoid experimental tests, the values of the material frac-ture toughness are taken from selected handbooks. Concerning steels, we assume A = CRv = 7.6x10-7

m/cycle, as experimentally determined by Radhakrish-nan, 0R = , and we try to estimate the parameter B on the basis of the values of the fracture toughness proposed in the ASM handbook [30]. This book provides a collection of values in a diagram KIC vs. both the prior austenite grain size, and the temperature test. Over a large range of temperatures (T from –269°C to 27°C) and grain sizes (d from 1 μm to 16 μm), ICK varies from 20 MPa√m to 100 MPa√m with an average value of IC 60K = MPa√m. The comparison can also be extended to Aluminium alloys. According to the same procedure discussed above, the es-timated average value of the critical stress-intensity factor from handbooks [30–33] is equal to IC 35K = MPa√m with minimum and maximum values equal to 15 MPa√m and 49 MPa√m, respectively. Using the average values we find: (18)

CR IC(1 )K R KΔ = −

CR

IC

1(1 )

m

C vR K

⎡ ⎤≅ ⎢ ⎥−⎣ ⎦

( )

1 22

ICCR 2 2 3 4

y

,

, , ,

m

Kv

β β

σ

= = −

⎛ ⎞= Φ Π Π Π⎜ ⎟⎜ ⎟

⎝ ⎠

mC AB=

log log logC A m B= +

CR

IC

1log log log(1 )

C v mR K

⎡ ⎤= + ⎢ ⎥−⎣ ⎦

CR

IC

,1 .

(1 )

A v

BR K

=

=−

7 2

6 2

log log(7.6 10 ) log(1.81 10 ) for steels,

log log(2.5 10 ) log(4.26 10 ) for Al alloys.

C m

C m

− −

− −

= × + ×

= × + ×

7 2

6 2

log log(7.6 10 ) log(1.67 10 ) for steels,

log log(2.5 10 ) log(2.86 10 ) for Al alloys.

C m

C m

− −

− −

≅ × + ×

≅ × + ×

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In both cases, a good agreement between the proposed estimation based on an average value of the critical stress-intensity factor and the experimental relationships in Eq. (17) is achieved. Another source of experimental data is [34], and is based on the NASGRO program [35], which is one of the most comprehensive database of fatigue crack growth curves for aerospace alloys. These experimental data concern the material fracture toughness, the Paris’ law parameters, as well as the crack growth rate corresponding to Kmax ≅ KIC for fatigue tests characterized by 0R = (see Tab. 2). As previously outlined, the fracture toughness data and the values of νCR are almost constant for each class of materials. This property is very well evidenced by the 2219-T62, 2219-T87, 6061-T62 and 7075-T73 Alumin-ium alloys. The application of Eq. (9) permits to predict the value of the Paris’ law parameter C as a function of m and to compare it with the experimental one reported in the fifth column of Tab. 2. The agreement between the experimental data and the predictions made according to our correlation is noticeably good, as also evidenced by the relative percentage error reported in the last column of Tab. 2.

5 CONCLUSIONS To shed light on the controversy about the existence of a correlation between the Paris’ constants, both self-similarity concepts and the condition that the Paris’ law instability corresponds to the Griffith-Irwin instability at the onset of rapid crack growth have been profitably used. Comparing the functional expressions derived from these two independent approaches, an approximate rela-tionship between C and m has been proposed. According to this theory, the parameter C is also dependent on the

fracture toughness of the material, on the crack growth rate at the onset of crack instability, and on the loading ratio. The main consequence of this correlation is that only one macroscopic parameter is needed for the charac-terization of damage during fatigue crack growth. A good agreement between the theoretical predictions obtained using this correlations and experimental data has been achieved. From the engineering standpoint, it has to be emphasized that our proposed correlation constitutes a useful tool for design purposes. In fact, in case of a lack of experimental fatigue data for a new material to characterize, one could, as a first approximation, determine the parameter C as a function of the exponent m according to Eq. (11). Then, a parametric analysis by varying the exponent m in its usual range of variation can be performed and numerical simulations of fatigue crack growth can be put forward. Parameters CRv and ICK entering the correlation can be either known in advance, or estimated from materials with similar composition, thermal treatment and me-chanical properties (see also [36–38]).

6 ACKNOWLEDGEMENTS Support of the European Union to the Leonardo da Vinci Project “Innovative Learning and Training on Fracture (ILTOF)” is gratefully acknowledged.

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Material Experimental data Present correlation

m C C Relative error (%)

Alum-2219-T62 (L-T) 28.2 3.5 x 10–6 2.87 2.40 x 10–10 2.41 x 10–10 0 Alum-2219-T87 (L-T) 27.3 3.5 x 10–6 3.30 6.27 x 10–11 6.38 x 10–11 2

Alum-6061-T62 (L-T) 25.0 3.5 x 10–6 3.20 1.63 x 10–10 1.18 x 10–10 –28

Alum-7075-T73, Forged (L-T) 27.3 3.5 x 10–6 2.98 1.80 x 10–10 1.84 x 10–10 2

Pure titanium (Fty = 380 MPa) 46.0 1.0 x 10–5 3.41 1.95 x 10–11 2.14 x 10–11 10

Ti–6Al–4V-RT (mill annealed) 15.5 2.0 x 10–7 3.11 3.80 x 10–11 3.97 x 10–11 4

PH13-8Mo-H1000 (steel alloy) 100.0 3.0 x10–5 3.40 5.00 x 10–12 4.75 x 10–12 –5

Table 2. Experimental assessment of the proposed correlation for aluminium, titanium and steel alloys according to the

NASGRO database [35].

)( mMPa

KIC ( )

vCR m/cycle

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1 INTRODUZIONE Il Polibutene-1 isotattico (i-PB1) viene sempre più fre-quentemente usato come materiale per la fabbricazione di tubi per applicazioni quali riscaldamento e distribuzione di acqua potabile. Secondo la Polybutene Piping Systems Association (PBPSA), l’utilizzo dell’i-PB1 comporta di-versi vantaggi rispetto ai concorrenti più tradizionali, ad esempio per quanto riguarda le sue proprietà meccaniche nel lungo periodo ed il comportamento a temperature ele-vate. Vi sono studi approfonditi che riguardano la transi-

zione dell’i-PB1 tra le sue due forme cristalline (denomi-nate I e II) in seguito alla fusione [1, 2]. Di contro le proprietà meccaniche dell’i-PB1 non sono state finora og-getto di grande attenzione in letteratura. Un fenomeno di sicuro interesse per i tubi in pressione in materiale polimerico è quello dell’innesco e successiva propagazione lenta di cricche a partire da difetti superfi-ciali. La resistenza del materiale a questo tipo di cedi-mento può essere caratterizzata mediante prove accelerate su tubi in pressione ad elevata temperatura. Un andamen-to tipico è riportato schematicamente in Fig. 1. Si distin-

Applicazione della meccanica della frattura viscoelastica alla previsione della vita di tubi in polibutene

Luca Andena, Marta Rink, Roberto Frassine Politecnico di Milano, Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica “G. Natta”

RIASSUNTO. Il Polibutene-1 isotattico (i-PB1) è un materiale polimerico usato per la produzione di tubi per il trasporto di fluidi in pressione. In questo lavoro si sono studiati due tipi di i-PB1 prodotti da Basell che differiscono per grado di isotatticità. Si sono condotte prove di frattura a diverse temperature e velocità di spostamento imposte. Si è utilizzata una configurazione di flessione su provini con singolo intaglio (SENB) unitamente a quella di doppia trave a sbalzo (DCB), quest’ultima limitatamente allo studio della fase di propagazione. Al fine di individuare con precisione l’innesco della frattura e la velocità di propagazione della stessa si è fatto ricorso a metodi ottici. Dal punto di vista fenomenologico durante la propagazione si assiste alla formazione di zone in cui il mate-riale risulta fortemente stirato. La frattura in esse avanza con una lacerazione continua che si alterna a salti repentini in occasione del brusco cedimento di queste zone, associato a conseguenti cadute del carico. Que-sta parziale instabilità è stata osservata sui due materiali per entrambe le configurazioni di prova. I risultati ottenuti sono stati interpretati seguendo l’approccio della meccanica della frattura e applicando uno schema di riduzione di tipo tempo-temperatura che ha permesso di descrivere il comportamento viscoe-lastico del materiale su un intervallo temporale di diverse decadi. I risultati hanno permesso di applicare un modello analitico per la previsione della vita utile di tubi in pres-sione. Il modello si è mostrato in buon accordo con i dati sperimentali disponibili da prove condotte su tubi dello stesso materiale.

ABSTRACT. Isotactic polybutene-1 (i-PB1) is a polymer used for the manufacturing of pressurized pipes. In this work two grades of i-PB1 with a different degree of isotacticity have been investigated; they have been supplied by Basell Polyolefins. Fracture tests have been performed at various temperatures and testing speeds. Two configurations have been used, single edge notch bending (SENB) and double cantilever beam (DCB), the latter only to study crack propagation. Optical methods have been used to detect crack initiation and measure propagation speed. From the phenomenological point of view, the formation of highly stretched material regions has been ob-served during crack propagation. A continuous tearing of these regions as the crack advances has often been interrupted by their sudden rupture, with the load decreasing accordingly. This partial instability has been observed on both material grades, with both testing configurations. Results of the tests have been interpreted using the fracture mechanics framework; a time-temperature su-perposition scheme has been adopted to represent viscoelastic behavior over several decades. An analytical model has been applied to predict the lifetime of pressurized pipes. A good agreement has been reported be-tween model predictions and experimental data obtained from tests on polybutene pipes.

PAROLE CHIAVE. Polibutene; frattura; viscoelasticità; polimero

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guono due regioni: a valori di sforzo (e quindi pressione) elevati si assiste al cedimento duttile della sezione resi-stente del tubo mentre per valori inferiori si ha il campo effettivamente interessato dalla frattura per propagazione lenta di una cricca (“frattura fragile “). Estrapolando i ri-sultati ottenuti ad alta temperatura [3] è possibile preve-dere la vita utile dei tubi alla temperatura di esercizio. Purtroppo queste prove sono molto costose per via della lunga durata (1-2 anni). La meccanica della frattura (MF) può fornire un approc-cio alternativo al problema. In particolare è possibile ca-ratterizzare il comportamento a frattura del materiale at-traverso prove di laboratorio. Una volta note le proprietà del materiale è possibile prevedere la vita utile di un qua-lunque manufatto (ad esempio un tubo in pressione). Pas-soni et al. [4] hanno studiato i due materiali oggetto an-che del presente lavoro effettuando prove di creep ad alta temperatura della durata di alcune settimane, dunque as-sai più brevi delle prove sui tubi discusse in precedenza. Gli autori hanno poi applicato un modello analitico per prevedere la vita utile di tubi in pressione. Il confronto delle previsioni con le curve di cedimento riportate sulla norma ISO 12230 [5] ha mostrato risultati promettenti.

Figura 1. Andamento schematico della relazione tra sforzo cir-conferenziale e tempo di vita utile per un tubo in pressione rea-lizzato in materiale polimerico.

Andena et al. [6] hanno invece studiato il comportamento a frattura degli stessi due materiali a temperatura ambien-te. Dal punto di vista fenomenologico si è evidenziata la presenza di due diversi meccanismi di frattura, uno dei quali responsabile di una parziale instabilità durante la propagazione. Si sono poi determinate le proprietà all’innesco in accordo con la MF ed è stato applicato un approccio numerico di modellazione coesiva [7, 8]. Lo strumento di calcolo ha prodotto risultati in buon accordo con i dati sperimentali relativi all’innesco. Si è tentato di simulare anche la propagazione ma il modello coesivo adottato non è abbastanza sofisticato per riprodurre ade-guatamente una fenomenologia complessa quale quella osservata nell’i-PB1.

Nel presente lavoro si è nuovamente fatto ricorso alla MF per caratterizzare il comportamento dell’i-PB1 durante la propagazione. Si sono svolte prove di laboratorio a diver-se temperature di durata variabile da alcuni secondi a po-co più di un’ora: questi tempi sono assai più brevi di quelli richiesti dalle prove di creep o da quelle sui tubi. In questo modo è stato possibile effettuare previsioni adot-tando un modello analogo a quello utilizzato in [4] e veri-ficarne l’attendibilità attraverso il confronto con dati spe-rimentali ottenuti da prove su tubi.

2 ASPETTI TEORICI La MF identifica nel fattore di intensificazione degli sforzi KI la grandezza che esprime l’intensità del campo di sforzi all’apice di un difetto, indipendentemente dalla configurazione geometrica del corpo in esame. Il suffisso primo si riferisce al fatto che si sta qui considerando il modo di frattura di apertura, solitamente più critico per la maggior parte delle applicazioni; d’ora in avanti il pedice verrà omesso. K è funzione dello sforzo nominale σ (conseguente al carico applicato al contorno, la pres-sione interna nel caso di un tubo) e dell’entità del difetto a, attraverso un fattore di forma che tiene conto della ge-ometria effettiva:

aYK ⋅⋅= σ (1) Diversi autori tra cui Williams [9] e Schapery [10] hanno suggerito possibili approcci per applicare la MF a mate-riale viscoelastici, quali i polimeri. In particolare Wil-liams ha mostrato, sotto opportune ipotesi semplificative, la validità delle seguenti relazioni tra il fattore di intensi-ficazione degli sforzi K, il tempo di innesco ti e la veloci-tà di avanzamento della cricca a& :

pi KBt −⋅= (2)

qKAa ⋅=& (3)

in cui A, B, p e q sono proprietà del materiale ed in gene-rale dipendono dalla temperatura di prova. Esse possono essere determinate a partire da prove di frattura condotte su campioni opportunamente intagliati. Schapery [11] ha inoltre dimostrato che a& dipende dal valore istantaneo di K ma non dai suoi valori passati e ciò permette di applicare la relazione (3) a qualunque storia di carico. È così possibile formulare una previsione della vita utile tf di un tubo in pressione avente spessore di parete s: (4) Nella (4) tp rappresenta il tempo necessario perché dopo l’innesco della frattura un difetto di dimensione iniziale a0 divenga passante. K0 è il valore del fattore di intensifi-

∫ ⋅+⋅=+= −

s

aq

ppif KA

daKBttt0

0

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cazione degli sforzi (corrispondente ad a0) che rimane co-stante durante la fase di innesco della frattura, essendo costante la pressione (e dunque lo sforzo) nel tubo.

3 DETTAGLI SPERIMENTALI Si sono studiati due polibuteni per tubi forniti da Basell Polyolefins, aventi diverso grado di isotatticità e dunque di cristallinità. I due materiali sono gli stessi studiati in [4] e in analogia al precedente lavoro verranno nel segui-to indicati come PB1 e PB2 (quest’ultimo con cristallinità maggiore). Entrambi, forniti sotto forma di granuli, sono stati stam-pati a compressione in lastre di dimensione 170x120x10 mm. In seguito al raffreddamento da fuso l’i-PB1 cristal-lizza in forma II, avente simmetria tetragonale. Questa forma è metastabile ed a temperatura ambiente transisce spontaneamente nella forma I, che possiede un reticolo esagonale. Onde permettere il completamento della tran-sizione i campioni sono stati tagliati dalle lastre e fresati dopo un’attesa di almeno 15 giorni dallo stampaggio [4].

Per studiare la propagazione in modo I si è scelto di utilizzare due configurazioni di prova, double cantilever beam (DCB) e single edge notched bending (SENB), mo-strate rispettivamente in Fig. 2 e Fig. 3. Le dimensioni dei campioni per entrambe le geometrie sono indicate in Tab 1. Sono stati praticati intagli con raggio di curvatura all’apice pari a 13μm. In entrambi i casi sono state realizzate scanalature laterali per guidare l’avanzamento della frattura lungo il piano desiderato. Le scanalature, non mostrate in figura, sono state generate alla fresa con un utensile avente profilo a V di 60° procedendo su ciascun lato dei campioni fino ad una profondità pari al 10% dello spessore nominale.

Figura 2. Provino DCB

Figura 3 - Provino SENB

DCB SENB

2h 45 mm w 20 mm

l 165 mm l1 88 mm

a 60 mm a 10 mm

b 10 mm B 10 mm

Ø 7.5 mm l2 80 mm

c 90 mm

Tabella 1. Dimensioni dei campioni DCB e SENB

Le prove di frattura sono state condotte su un dinamome-tro elettromeccanico Instron. Si sono utilizzate velocità di spostamento imposte di 1, 10 e 100 mm/min. Il dinamo-metro equipaggiato con una camera termostatica ha per-messo di svolgere le prove alle temperature di 23, 50, 70 e 90°C. Per ogni condizione di prova (configurazione, ve-locità e temperatura) si sono effettuate almeno due ripeti-zioni. La lunghezza di cricca è stata rilevata attraverso misure ottiche effettuate riprendendo con una telecamera i campioni, sui quali era stato posto un opportuno riferi-mento di calibrazione.

4 RISULTATI

Durante le prove si è osservata una parziale instabilità nella propagazione della frattura. Questo fenomeno si manifesta anche nell’aspetto molto irregolare che le curve carico-spostamento per i due materiali hanno successi-vamente all’innesco. A titolo di esempio in Fig. 4 sono riportate le curve relative alle prove SENB a 23°C e 1 mm/min, unitamente ai valori dei parametri critici di MF all’innesco. Si osserva che il PB2, caratterizzato da un maggior grado di isotatticità, è più tenace del PB1. Attraverso le riprese effettuate durante le prove è stato possibile osservare la peculiare fenomenologia di frattura di questi materiali (v. Fig. 5). Davanti all’apice della cricca si formano una o più regioni in cui il materiale è fortemente stirato. La frattura procede attraverso una la-cerazione continua di queste zone (propagazione stabile) le quali di tanto in tanto cedono bruscamente (propaga-zione instabile). Questo secondo meccanismo determina discontinuità nella propagazione della cricca, visibile in Fig. 6. A questo fenomeno è associata la presenza di aree scure e lisce sulle superfici di frattura il cui aspetto diffe-risce molto da quello delle regioni in cui la propagazione è avvenuta in modo stabile [6]. Dalla Fig. 6 si può però osservare come il fattore di in-tensificazione degli sforzi si mantenga su valori presso-ché costanti, nonostante la velocità di avanzamento della cricca subisca variazioni considerevoli per la presenza delle discontinuità. In virtù di questo fatto si è ritenuto più significativo considerare per ogni prova un unico va-lore medio di a& rapportandolo al valore medio di K

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durante la fase di propagazione, come indicato schemati-camente in Fig. 6. Il grafico in scala bilogaritmica di Fig. 7 mostra i risultati ottenuti dalle prove DCB, condotte a temperatura am-biente. L’andamento lineare ipotizzato dall’equazione (3) è confermato dai dati sperimentali. È anche possibile os-servare come il PB2 oltre ad essere più tenace all’innesco offra una maggiore resistenza all’avanzamento della frat-tura. Per entrambi i materiali la pendenza delle curve è molto bassa, segno di una modesta influenza della viscoe-lasticità sul comportamento durante la propagazione. Determinata la relazione tra K e a& è stato possibile appli-care il modello analitico proposto in [4] per prevedere il tempo di vita di tubi in pressione e confrontarlo con i dati sperimentali disponibili. Nel modello si è considerato un difetto piano di forma semicircolare situato sulla superfi-cie interna del tubo e giacente in un piano radiale, am-mettendo che la sua forma non cambi durante la propaga-zione. Si sono ipotizzati un diametro interno del tubo di

100mm, uno spessore di parete di 10mm e un raggio ini-ziale del difetto di 50μm. In analogia con quanto fatto in [4] nel calcolo si è trascurato il tempo di innesco, formu-lando quindi una previsione conservativa della vita utile del tubo. Per validare il modello si sono confrontate le sue previ-sioni con dati sperimentali ottenuti da prove su tubi in pressione eseguite applicando valori di sforzo circonfe-renziale fino a 20 MPa. In corrispondenza di questo valo-re massimo di sforzo i valori di log K calcolati per il mo-dello vanno da -0.66 (per a~a0) fino a 0.48 (per a~s). Durante le prime fasi della propagazione questi valori so-no molto più bassi di quelli rilevati durante le prove di laboratorio (v. Fig. 7). Si è così effettuata una estrapola-zione ipotizzando valida l’equazione (3): a causa della bassa pendenza delle curve K - a& si ottengono valori e-stremamente bassi di a& , dell’ordine di 10-30 mm/s al limi-tare inferiore del campo di K considerato. Ciò determina previsioni di tempi lunghissimi (nell’ordine di 1020 h) per

Figura 4. Risultati delle prove SENB a 23°C, 1 mm/min

0 5 100

50

100

150

200

250

innesco

Car

ico

[N]

spostamento [mm]

PB1 PB2

PB2Gc = 7.6 kJ/m²Kc = 1.70 MPam0.5

PB1Gc = 5.2 kJ/m²Kc = 1.32 MPam0.5

innesco

Figura 5. Meccanismi di propagazione stabile/instabile in una prova SENB su PB2 a 50°C e 1 mm/min: le immagini sono prese ad intervalli regolari di 16 s. Tra 4b e 4c si può osservare un episodio di propagazione instabile che si sovrappone a quella stabile (visibile tra 4a e 4b, tra 4c e 4d). Si può notare chiaramente la zona di materiale stirato antistante l’apice della cricca

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osservare il cedimento del tubo, assolutamente non reali-stiche. Per esplorare il campo dei valori inferiori di K si sono quindi svolte, sul solo PB2, prove di frattura in configu-razione SENB a temperature superiori a quella ambiente, in particolare 50, 70 e 90°C. I risultati sono mostrati in Fig. 8: si può notare un netto cambiamento nell’andamento della curva K – a& all’aumentare della temperatura. È stato applicato uno schema di riduzione dei dati secon-do l’equivalenza tempo-temperatura traslando le curve ottenute a temperature diverse in modo da costruire una curva maestra ad una temperatura di riferimento (si veda ad esempio [12]). In questo modo è stato possibile ottene-re una curva estesa su sei decadi di velocità di avanza-

mento con una buona sovrapposizione dei dati (come mostrato in Fig. 9) alle diverse temperature. L’andamento del fattore di spostamento è pressoché lineare in un grafi-co di tipo Arrhenius. Come detto l’applicazione del modello al tubo in pressio-ne richiede l’estrapolazione dei dati sperimentali a valori di K inferiori: questa è stata eseguita sulla base del ramo della curva originato dai dati ad alta temperatura. In que-sto caso i valori di a& calcolati all’inizio della propaga-zione sono dell’ordine di 10-10 mm/s, superiori di ordini di grandezza rispetto a quelli calcolati in precedenza. Le previsioni della vita utile del tubo così ottenute sono in buon accordo con i dati sperimentali disponibili sia per quanto riguarda il posizionamento delle curve in assoluto

100 200 300 400 500

60

70

80

90

100

110

120

da/dt media

a K

tempo (s)

a (m

m)

0.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

3.0

K (MPa m

½)K medio

Figura 6. Andamento di K e a durante una prova DCB su PB1 a 23°C e 10 mm/min

-5 -4 -3 -2 -1 0 1-0.10

-0.05

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40 PB1 PB2

log

K (M

Pa m

½)

log da/dt (mm/s)

Figura 7. Risultati delle prove DCB a 23°C per i due materiali

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che per l’effetto della variazione di temperatura (v. Fig. 10). È da rilevare che nelle prove sui tubi si è osservata quasi esclusivamente frattura duttile mentre il modello rappre-senta il comportamento del materiale durante la propaga-zione lenta di una cricca. Idealmente queste due situazio-ni corrispondono ai due distinti rami della curva mostrata in Fig. 1. Le previsioni del modello suggeriscono una transizione da comportamento duttile a fragile che do-vrebbe essere osservata a tempi di poco superiori a quelli

rilevati sperimentalmente: ciò potrebbe essere confermato qualora si rendessero disponibili dati relativi al cedimento di tubi in prove condotte a valori di sforzo più bassi. È bene notare che nelle previsioni del modello si è trascura-to il tempo di innesco: qualora se ne tenesse conto si a-vrebbero curve spostate verso tempi maggiori. Inoltre le previsioni sono influenzate dalle ipotesi fatte su forma e dimensioni iniziali del difetto, che potrebbero influenzare la posizione delle curve.

-5 -4 -3 -2 -1 0 1-0.10

-0.05

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

DCB 23°C SENB 50°C SENB 70°C SENB 90°C

log

K (M

Pa

m½)

log da/dt (mm/s)Figura 8. Risultati delle prove DCB e SENB su PB2 a diverse temperature. Per le prove SENB i punti rappresentano la media dei valori ottenuti

-5 -4 -3 -2 -1 0 1-0.10

-0.05

0.00

0.05

0.10

0.15

0.20

0.25

0.30

0.35

0.40

0.0028 0.0030 0.0032 0.0034-3

-2

-1

0

DCB 23°C SENB 50°C SENB 70°C SENB 90°C

log

K (M

Pa

m½)

log da/dt (mm/s)

log

a23°C

T

1/T (K-1)

Figura 9. Curva maestra di log K - da/dt a 23°C e relativo fattore di spostamento. In figura è anche indicata la retta di estrapola-zione utilizzata nell’applicazione del modello del tubo.

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5 CONCLUSIONI I risultati ottenuti hanno confermato la validità di un ap-proccio di meccanica della frattura per la caratterizzazio-ne di polibutene utilizzati per la realizzazione di tubi in pressione. Lo strumento della MF appare del tutto ade-guato a mettere in luce differenze di comportamento a lungo termine tra materiali diversi attraverso una caratte-rizzazione di laboratorio estremamente più rapida ed eco-nomica di quella sul manufatto finale. Questa caratteriz-zazione permette inoltre l’applicazione di modelli in grado di prevedere direttamente in modo attendibile la vi-ta utile dei tubi in pressione. Naturalmente non si può pensare di sostituire completa-mente questo approccio alle prove sui tubi, soprattutto in vista dei severi controlli normativi previsti per la certifi-cazione dei materiali per queste applicazioni. Con la MF è però possibile discriminare fra materiali diversi accele-rando notevolmente lo sviluppo di nuove formulazioni. Una volta giunti alla definizione della formulazione più idonea è possibile avviare la campagna di sperimentazio-ne sui tubi per la verifica delle previsioni della MF. Le indagini svolte hanno confermato la complessa natura del comportamento a frattura del polibutene, già messa in luce in precedenti lavori. Lo schema di riduzione tempo-temperatura è stato applicato con successo per la descri-zione della propagazione della frattura dell’i-PB1. Ulte-riori prove sperimentali attualmente in corso potranno confermare la bontà dell’approccio. Sviluppi futuri di sicuro interesse sono l’approfondimento dello studio della fase di innesco e un chiarimento dei diversi meccanismi di frattura in atto alle diverse temperature.

6 RINGRAZIAMENTI Si ringrazia l’ing. Paolo Redondi per il prezioso supporto fornito durante l’esecuzione delle prove DCB.

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1

10

101 102 103 104 105 106 107 108

90°C

70°C

23°C

23°C 70°C 90°C modello

tempo (h)

sfor

zo (M

Pa)

Figura 10. Confronto tra i dati sperimentali ottenuti da prove su tubi con le previsioni del modello ottenute in base ai dati mostrati in Fig. 9.

L.Andena et al., Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) 17-24

24

cohesive zone parameters. Proceedings of ICF XI Turin 2005. [9] JG. Williams, The use of fracture mechanics in de-sign with polymers. Plasticon 81. Engineering design with plastics: principles and practice, University of War-wick. 1981. [10] RA. Schapery, A theory of crack initiation and growth in viscoelastic media. I. Theoretical development. International Journal of Fracture. 1975;11:141-159.

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M. Guagliano, Frattura ed Integrità Strutturale, 2 (2007) 25-35; DOI: 10.3221/IGF-ESIS.02.04

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1 INTRODUZIONE La diffrattometria dei raggi X (XRD) è una tecnica di mi-sura usata in molti settori scientifici ed industriali per mi-surare differenti proprietà dei materiali. La tecnica può essere utilizzata su materiali mono o policristallini e con-siste nel misurare l’angolo di massima diffrazione di un fascio incidente di raggi X su una superficie. Nel campo dell’ingegneria e delle costruzioni meccaniche, la diffrat-tometria dei raggi X è utilizzata per la misura degli sforzi residui nei componenti meccanici [1, 2]. Le informazioni che si ottengono da una misura diffrattometrica sono es-senzialmente due: l’angolo per il quale si verifica il picco di diffrazione di un fascio di raggi X incidenti sulla su-perficie e l’ampiezza del picco di diffrazione (general-mente misurata ad ½ dell’altezza del picco e chiamata FWHM, Full Width at Half Maximum). L’angolo di dif-frazione è direttamente legato al valore degli sforzi resi-dui nella zona di misura, mentre la FWHM può essere messa in relazione alla distorsione dei grani cristallini, al-la densità delle dislocazioni e ai cosiddetti micro-sforzi residui di tipo II [1,3]. Queste informazioni possono essere usate anche in sede di analisi di un cedimento. Infatti le misure XRD condot-te su superfici di frattura possono fornire importanti indi-cazioni per interpretare i cedimenti e per determinare le cause che li hanno indotti. Ciò è possibile applicando i concetti propri della meccanica della frattura elastica ed elastoplastica insieme ai risultati ottenuti con misure XRD. I primi tentativi in tal senso sono stati eseguiti du-

rante gli anni ’70 del XX secolo [4, 5]. Ogura et al. [6-7] hanno usato la XRD per studiare gli sforzi residui lasciati sulla superficie di frattura di provini compact–tension (CT) in acciaio dalla propagazione di una cricca di fatica ed hanno confrontato i risultati ottenuti con quelli di ana-lisi a elementi finiti: si è trovato che i valori sono positivi (trazione) sulla superficie di frattura e decrescono in pro-fondità. Un altro risultato del loro studio è stato quello di trovare una relazione tra la variazione ciclica del fattore di intensificazione degli sforzi (ΔK) e il suo massimo va-lore (Kmax) e l’andamento di FWHM in profondità. E’ stata poi valutata l’estensione della zona plastica per mezzo della distribuzione degli sforzi residui. Kodama et al. [8-9] hanno analizzato superfici di frattura sottoline-ando l’effetto di rapporti di ciclo R sull’andamento degli sforzi residui sulla superficie di frattura e negli strati di materiale sub-superfciali: è stato trovato che valori di R inferiori a -3 ed elevati carichi applicati inducono valori di sforzi residui di compressione in superficie. In [9] si descrive un modello per la previsione della distribuzione degli sforzi residui nella frattografia XRD. Bignonnet et al. [10], Lebrun et al. [11], Dias et al. [12] hanno posto l’attenzione sulla relazione che intercorre tra l’estensione delle zone di plasticizzazione monotona e ciclica, rpm e rpc, i valori di Kmax e ΔK, la misura degli sforzi residui e del FWHM: essi hanno trovato risultati originali, spe-cialmente in relazione ad un modello per la stima della zona di plasticizzazione ciclica basato sulla distribuzione in profondità dell’FWHM ed applicabile a materiali che addolciscono ciclicamente. Altri studi considerano mate-

L’applicazione della diffrattometria dei raggi X per l’analisi del cedimento dei componenti meccanici

Mario Guagliano Politecnico di Milano, Dipartimento di Meccanica, Via La Masa 34, 20156 Milano

RIASSUNTO. La diffrattometria dei raggi X è una tecnica sperimentale utilizzata per la misura degli sforzi residui nei materiali metallici. Se applicata alla superficie di un elemento rotto può divenire uno strumento di indagine frattografica, il che vuol dire che è possibile mettere in relazione i risultati delle misure ottenute con le condizioni di carico che hanno indotto il cedimento. In questa memoria, dopo una parte introduttiva relativa ai principi di diffrattometria dei raggi X ed alla sua applicazione in sede frattografica, la si utilizza per l’analisi del cedimento di un albero a gomiti, evidenziando alcuni aspetti originali relativi all’applicazione di questa tecnica a componenti reali.

ABSTRACT. X-ray diffraction is a well-known experimental technique for measuring residual stresses in metallic materials. If XRD is applied to the fracture surface of a broken part it becomes a fractographical technique, that is to say that it is possible to relate the results of the measures to the loading condition that lead a component to fail. In this paper, after an introduction about the technique, XRD fractography is ap-plied to a fatigue failed diesel engine crankshaft. It was possible to determine the load that lead the crank-shaft to fail and to evidence some original aspects about the application of this technique to real machine parts. PAROLE CHIAVE. XRD; fatica; alberi a gomito.

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riali differenti ed hanno contribuito allo sviluppo di que-sta tecnica: Suzuki et al. [13] hanno eseguito uno studio XRD sulla superficie di frattura di un pezzo in ghisa dut-tile considerando la misura dell’austenite residua. Mori et al. [14] hanno applicato questa tecnica alla frattografia di compositi sinterizzati considerando solo situazioni stati-che. Rajianna et al. [15-17] hanno eseguito analisi fratto-grafiche XRD su un acciaio C45 considerando differenti temperature di frattura. La maggior parte degli studi condotti si riferiscono, tutta-via, a provini standard, tipicamente provini CT. Ci sono pochi articoli che considerano l’analisi di cedimenti su elementi di macchine o componenti strutturali. In [18] viene descritta la frattografia XRD di una biella di un so-lenoide rotta per fatica. In [18] si considera una giunzione tubolare saldata di una struttura off-shore, mentre in [19] si analizza la rottura della testa di una rotaia per mezzo di provini di laboratorio. In [20] si ricercano le cause del cedimento dell’albero di una turbina a vapore per mezzo della XRD. Lo studio di veri e propri elementi di macchine con la dif-frattometria dei raggi X, presenta differenze non trascu-rabili rispetto ad analisi condotte su provini di laborato-rio: ciò è dovuto al fatto che le effettive condizioni di lavoro non sono sempre note e possono variare durante la durata operativa della macchina, rendendo più difficile l’analisi dei dati sperimentali. In questa memoria si considera un albero a gomiti utiliz-zato in un motore diesel veloce per applicazioni navali. L’albero si è rotto durante prove di fatica flessionale (R=-1) [21]. Dopo aver caratterizzato il materiale con cui l’albero a gomiti era costruito per mezzo di prove speri-mentali e di misure XRD condotte su provini standard, si è analizzata la superficie di frattura dell’albero a gomiti con la XRD, considerando diversi punti sulla superficie per differenti stati di propagazione della cricca. La finalità di queste analisi è verificare la possibilità di utilizzare convenientemente questa tecnica di misura per analizzare cedimenti avvenuti in esercizio. I risultati ottenuti sono stati confrontati con dati relativi ad una albero a gomiti molto simile a quello considerato; il confronto è stato più che soddisfacente. Nella memoria alcuni aspetti relativi all’utilizzo del XRD e alla misura degli sforzi residui e del FWHM per l’analisi dei cedimenti sono discussi alla luce dell’attuale stato dell’arte.

2 PRINCIPI DI DIFFRATTOMETRIA DEI RAGGI X

Nel presente paragrafo si espongono i principi che sono alla base della diffrattometria dei raggi X per la misura degli sforzi residui e il suo utilizzo in sede di analisi frat-tografica di cedimenti per fatica. Ulteriori dettagli posso-no essere reperiti in letteratura, ad esempio in [1,2] e in [11,12].

2.1 La diffrattometria dei raggi X per la misura degli sforzi residui La misura degli sforzi residui con la diffrazione dei raggi X in materiali policristallini si fonda sull’applicazione della legge di Bragg. Se un fascio di raggi X colpisce un cristallo, ci sarà interferenza costruttiva, o diffrazione, quando

(1) dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione incidente, d è la distanza tra due piani cristallini consecutivi con in-dici hkl di Miller assegnati, θ è l’angolo di incidenza del fascio di raggi X rispetto ai piani cristallini di interesse, n=1, 2, 3, con l’unica limitazione che sen θ<1. In Fig. 1 è illustrata graficamente la condizione di diffrazione dei raggi X.

Se il cristallo è deformato, come nel caso di sforzi residui indotti da precedenti trattamenti o dall’applicazione di ca-richi elevati, la distanza d cambia, e, con essa, varierà an-che l’angolo θ di diffrazione. Misurando la variazione dell’angolo di diffrazione si è in grado di mettere in rela-zione la variazione della distanza tra i grani cristallini con la deformazione del reticolo cristallino:

(2)

Con l’applicazione delle formule della teoria dell’elasticità lineare è poi possibile mettere in relazione le deformazioni con gli sforzi presenti nel materiale. Tuttavia, i metalli e le leghe metalliche sono caratterizzati da una struttura policristallina, con i grani cristallini o-rientati casualmente rispetto alla superficie dei pezzi. Ciò implica che avremo piani caratterizzati dai medesimi in-dici di Miller diversamente orientati rispetto alla superfi-cie, in quanto appartenenti a differenti grani cristallini. In Fig. 2 è illustrato il sistema di coordinate definito dalle direzioni principali. In tale figura si assume che lo sforzo normale alla superficie (σ33) sia nullo; inoltre si defini-scono gli angoli ψ e φ. Variando l’angolo ψ di incidenza tra il fascio di raggi X e la superficie oggetto della misura, si interessano alla mi-sura differenti grani cristallini. Si ottiene:

θλ dsenn 2=

θθε Δ−=Δ

= cotdd

Figura 1. Diffrazione dei raggi X rispetto a un reticolo cri-stallino.

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(3) in cui dΨ è la distanza tra i piani cristallini oggetto della diffrazione quando l’angolo di incidenza rispetto alla su-perficie è Ψ, mentre do è la distanza interplanare del ma-teriale indeformato (privo di sforzi residui). Se si vuole conoscere il valore dello sforzo σφ è necessario ripetere la misura cambiando l’angolo di incidenza Ψ. La teoria dell’elasticità insegna che la deformazione εφΨ lungo una direzione inclinata di un angolo Ψ rispetto alla superficie è legata agli sforzi principali σ1 e σ2 dalla seguente equa-zione:

(4)

Con semplici trasformazioni che considerano il legame tra gli sforzi principali e σφ [1] si arriva a scrivere

(5)

(E è il modulo elastico del materiale, υ il coefficiente di Poisson). E’ immediato dedurre che sussiste una relazione lineare tra εφΨ e sen2Ψ e che σφ è la pendenza della retta divisa per (1+υ)/E. Ciò significa che è possibile determinare il valore di σφ eseguendo più misure con differenti angoli di incidenza Ψ. Questa è la procedura più comunemente e-seguita per la misura degli sforzi residui con la XRD. Nella applicazioni pratiche, la relazione tra εφΨ e sen2Ψ non è perfettamente lineare ed è necessario eseguire la regressione lineare dei risultati delle misure (in altri casi la relazione è sistematicamente non lineare, ellittica, ma ciò è dovuto alla presenza di un elevato gradiente degli sforzi nel sottile strato di materiale interessato dalla misu-ra). Un altro aspetto da considerare è che, data la natura

policristallina dei materiali metallici, si avrà diffrazione più o meno marcata in un range angolare attorno il picco di diffrazione come illustrato in Fig. 3. Ciò richiede che il picco debba essere elaborato utiliz-zando qualche funzione matematica (gaussiana, parabola, cross correlation…) per trovare la massima intensità di diffrazione e la sua posizione angolare θ. Analizzando la larghezza del picco è possibile avere informazioni relati-ve alla deformazione plastica subita dal materiale e rela-tive alla densità di dislocazioni presenti: la grandezza che è usualmente considerato a tal fine è l’ampiezza del picco a metà altezza del ciclo medesimo (FWHM). 2.2 La diffrazione dei raggi X per le analisi frattografi-che I dati ottenuti con le misure XRD possono essere utilizza-ti per l’analisi del cedimento dei pezzi sollecitati fatica. Infatti durante la propagazione si hanno, lungo il fronte di propagazione, deformazioni plastiche che lasciano de-formazioni e sforzi residui sulla superficie di frattura, le quali influenzeranno le misure XRD. Per mezzo di un numero sufficiente di misure superficiali e sub-superficiali è possibile determinare la profondità di mate-riale interessato dal passaggio della cricca e mettere quest’ultimo in relazione con i parametri della meccanica della frattura e, quindi, con le condizioni di carico che hanno causato la rottura. Andamenti tipici sono illustrati in Fig. 4. Si nota che sia considerando l’andamento del FWHM che quello degli sforzi residui è possibile determinare l’estensione della zona plastica. Nella stessa figura si può notare l’andamento di FWHM sotto l’azione di carichi af-faticanti che inducono plasticizzazione ciclica e, conse-guentemente, la formazione di una zona di plasticità ci-clica. L’estensione di questa zona può essere determinata con la XRD solo per materiali addolcenti. Un volta che rpm e rpc sono determinati è possibile metterli in relazione alle grandezze proprie della meccanica della frattura. In-fatti: (6)

( ) ( )2122

22

1 cos1 σσυψφσφσυεφψ +−++

=E

sensenE

( )2121 σσυψσυε φφψ +−

+=

Esen

E

2

max⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛=

yspm

Krσ

α2

'2 ⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛ Δ=

yspc

Krσ

α

Figura 2. Definizione di: (a) piani hkl per grani differenti, (b) sistemi di riferimento principale 1, 2, 3 e degli angoli Φ e Ψ.

Figura 3. Tipico aspetto di un picco di diffrazione.

o

o

ddd −

= ψφψε

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dove Kmax e ΔK sono il valor massimo e l’ampiezza in un ciclo del fattore di intensificazione degli sforzi, σys e σ’ys sono valori degli sforzi di snervamento monotono e ci-clico, rispettivamente, e α è un coefficiente funzione del materiale. Quest’ultimo coefficiente può essere determi-nato sperimentalmente con prove sperimentali con carichi e provini noti. Fattori che possono contribuire a modifi-care i tipici andamenti ora illustrati sono la rugosità su-perficiale, l’effetto di chiusura della cricca (crack closure) e deformazioni di compressione (dovute al contatto tra le facce della cricca, per esempio) [22]. Se le condizioni af-faticanti rendono non trascurabili questi ultimi fattori, gli andamenti prima illustrati saranno modificati: in Fig. 4b si illustra la sovrapposizione degli andamenti dovuti alla deformazione plastica e alla rugosità superficiale: il risul-tato è un andamento complessivo crescente-decrescente con un massimo sotto la superficie.

3 ANALISI XRD DEL CEDIMENTO DI UN ALBERO A GOMITI

L’albero a gomiti oggetto dell’analisi è utilizzato su un motore diesel veloce che equipaggia imbarcazioni mari-ne. In Fig. 5 sono illustrati i principali rapporti geometri-ci. La geometria è del tutto analoga a quella degli alberi considerati in [21].

Sezioni singole dell’albero a gomiti sono stati sottoposti a cicli di fatica flessionale (R=-1) con un momento flet-tente applicato sul perno di manovella pari a ±220 kNm. Dopo circa 600.000 cicli di carico è stata notata una cric-ca di fatica lungo il raccordo interno tra fianco e perno di manovella:la prova è proseguita fino a che la cricca è di-venuta passante lungo la sezione minima dell’albero. In Fig. 6 è mostrata la superficie di frattura dell’albero; le linee di spiaggia corrispondono ad arresti temporanei del-la prova.

L’analisi XRD della superficie di frattura ha richiesto prove preliminari di caratterizzazione del materiale, sia per ciò che riguarda la resistenza statica che per le carat-teristiche cicliche. 3.1 Caratterizzazione del materiale Il materiale dell’albero a gomiti è l’acciaio basso legato 39NiCrMo3, bonificato. Alcuni provini sono stati ricavati da una barra dello stesso diametro dell’albero. Sono state seguite tre prove di trazione in accordo con la norma ASTM E8M: le differenze tra le tre prove sono risultate del tutto trascurabili. I risultati ottenuti sono i seguenti: UTS=907MPa, σys = 733 MPa, E=210.000 MPa, A%=18%. La rottura è di aspetto duttile. Le prove cicliche sono state eseguite seguendo la norma ASTM E606 ed utilizzando un provino per ogni livello di deformazione considerato.

Figura 4. Andamento qualitativo di FWHM (a) e degli sforzi residui (b) dovuti alle deformazioni plastiche in prossimità del fronte della frattura su una superficie di rottura a fatica di un materiale ciclicamente addolcente.

Figura 5. Definizione dei rapporti geometrici caratterizzanti l’albero a gomiti: r=0.05,s=0.35, t=0.27, b=1.58, δ=0.038.

Figura 6. Superficie di frattura dell’albero a gomiti.

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La curva ciclica, descritta con l’equazione di Ramberg-Osgood è risultata la seguente: (7) con E=210.000MPa, K’=1114.3, n=0.124. Lo snervamento ciclico è pari a σ’ys = 513 MPa. In Fig. 7 sono mostrate la curva monotona e la curva ciclica rica-vate dalle prove eseguite. Sono state eseguite anche prove di propagazione di cric-che per fatica, in accordo con quanto previsto dalla nor-ma E647-05. Provini “disk compact tension”(DCT) sono stati tagliati da una barra (W=50.8mm, B=12.7mm, a0=13.2mm, h=3mm, in accordo con la nomenclatura del-la norma). La lunghezza della cricca è stata monitorizzata con un “clip-gage”che misura l’effettiva deformabilità del provino. Il provino è stato precriccato fino a raggiungere una lunghezza complessiva della cricca pari a 16.5 mm. Dopodichè le prove sono state eseguite mantenendo ΔK costante. Tre sono i valori di ΔK impostati (13MPam1/2, 22MPam1/2, 30 MPam1/2) con lo scopo di evidenziare e-ventuali differenze nelle frattografie XRD e di confronta-re i risultati con quelli dell’albero a gomiti, provato con cicli di sforzo ad ampiezza costante e, quindi, con ΔK crescente. I rapporti di ciclo considerati sono R=0.1 e R=0.35. In Fig. 8 sono illustrate le superficie di frattura di due provini: si nota la differente rugosità superficiale.

3.2 Misure diffrattometriche sui provini DCT Le misure diffrattometriche sulle superfici di frattura dei provini DCT sono state eseguite con un diffrattometro StressTech XStress 3000 (radiazione Cr α, area irradiata 3mm2, metodo del sen2Ψ, 11 differenti valori di Ψ equi-spaziati in termini di sen2Ψ). Le misure sono state seguite lungo 3 direzioni in modo da calcolare le direzioni e gli

sforzi principali e verificare la loro corrispondenza con la direzione di propagazione e quella a quest’ultima perpen-dicolare. Le misure sono state eseguite seguendo le raccomanda-zioni NPL [23]. Le misure in profondità sono state ese-guite asportando per via elettrochimica il materiale super-ficiale. In Fig. 9 è mostrato l’andamento degli sforzi misurato sui diversi provini DCT: si nota che l’andamento è quello at-teso, gli sforzi residui sono sempre di trazione. Per R=0.1 e ΔK=13MPam1/2 R=0.1 e ΔK=30MPam1/2 gli sforzi re-sidui decrescono fino ad annullarsi, ad una profondità di 015mm e 0.22 mm rispettivamente. In Fig. 10 è mostrato l’andamento del FWHM in profon-dità: per R=0.1 e ΔK=13MPam1/2 si ha un massimo sub-superficiale, mentre in tutti gli altri casi l’andamento è decrescente-crescente-decrescente, con un minimo ed un massimo più profondo. E’ interessante confrontare i dati ottenuti per R=0.1 e ΔK=13MPam1/2 con quelli relativi a R=0.35 e ΔK=13MPam1/2 : nel secondo caso il più eleva-to valore massimo del fattore di intensificazione degli sforzi causa un incremento del raggio di plasticità ciclica e una zona plastica più profonda. Ciò differisce dalle os-servazioni riportate in bibliografia [12], in cui l’andamento decrescente-crescente e decrescente è legato unicamente a ΔK e non a R. In Tab. 1 sono riassunti i risultati ottenuti dalle misure. Da questi, applicando la (5) si è calcolato il valore di α c he d ipende solo dal materiale, come valor medio tra i valori sperimentali. Il valore risultante è stato 0.157, e ta-le valore è stato adottato per l’analisi dell’albero a gomi-ti. 3.3 Frattografia XRD dell’albero a gomiti Dopo aver terminato la caratterizzazione del materiale si è analizzata la sezione di rottura dell’albero a gomiti, ve-di Fig. 6: si nota il punto di innesco della cricca di fatica,

n

tot E K⎟⎠⎞

⎜⎝⎛ Δ

Δ ='

σ σε

(a)

(b)

Figura 7. Curve ciclica e curva monotona ricavate dalle prove: si nota chiaramente l’addolcimento ciclico.

Figura 8. Superfici di frattura di provini DCT provati in differenti condizioni: (a) ΔK=13.5 MPam1/2 R=0.1, (b) ΔK=30.0 MPam1/2 R=0.1.

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il fronte semiellittico e la presenza di alcune linee di spiaggia. Si nota anche che la superficie di frattura è a tratti rovinata e non permette analisi quantitative sulla ve-locità di propagazione. Anche la rugosità appare maggio-re rispetto a quella dei provini DCT. Le misure diffratto-metriche sono state eseguite in quattro punti differenti, posizionati sul piano di simmetria longitudinale dell’albero a gomiti (sul punto più profondo del fronte della frattura). Tali punti sono illustrati in Fig. 11, dove sono indicati come A, B, C e D. Il punto A è posizionato a 3mm, il punto B a 9 mm, il punto C a 18mm ed il punto D a 28mm dalla superficie del raccordo dell’albero. Le misure sono state eseguite u-tilizzando gli stessi parametri usati per le misure condotte sui provini DCT.

Prov. R ΔK (MPam1/2)

σys

(MPa) σ∋ys

(MPa) rpm

(mm) rpc

(mm) 1 0.1 13 733 513 0.1 0.025 2 0.1 30 733 513 0.33 0.11 3 0.35 13 733 513 0.16 0.05 4 0.35 22 733 513 0.37 0.09 5 0.35 30 733 513 0.65 0.2

Tabella 1 – Risultati delle misure condotte sui provini DCT

In Fig. 12 si mostrano gli sforzi residui misurati nella di-rezione di propagazione della cricca: si nota come essi tendono ad incrementarsi all’aumentare della profondità della cricca e che nei punti A e B sono di compressione:

Figura 9. Andamento in profondità degli sforzi residui sulle superfici di frattura dei provini DCT: (a) R=0.1, (b) R=0.35.

(a)

(b)

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ciò non è comune e raramente evidenziato in letteratura. Infatti, nella maggior parte dei casi, gli sforzi residui che si trovano su una superficie di un pezzo rotto per fatica sono di trazione, a causa del rilassamento che si ha al passaggio della cricca. Tenendo presenti gli andamenti di Fig. 4 e l’aspetto della superficie di frattura è possibile giustificare questo risultato come dovuto all’effetto di chiusura plastica della cricca ed alla rugosità della super-ficie, che modificano il trend atteso, causando sforzi resi-dui di compressione in superficie. Un’altra possibile ragione è legata al valore di R (=-1), che causa il contatto tra le facce della cricca ed il loro danneggiamento, con conseguente modifica degli sforzi residui attesi. Ciò può anche spiegare perché gli sforzi siano di com-pressione solo in corrispondenza dei punti A e B, dove la cricca è più corta e soggetta per un maggior numero di

cicli: l’andamento è chiaro e l’effetto diviene sempre me-no evidente fino ad annullarsi per cricche profonde più di 18mm.

(a)

(b)

Figura 10. Andamento in profondità di FWHM sulle superfici di frattura dei provini DCT: (a) R=0.1, (b) R=0.35.

Figura 11. Definizione dei punti A, B, C e D lungo i quali sono state eseguite le misure diffrattometriche.

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Questo trend anomalo non ha impedito di determinare il valore di rpm, in quanto l’andamento in profondità non è stato modificato. In Fig. 13 è illustrato l’andamento di FWHM in profondità, il trend è simile nei quattro punti e

si differenzia nettamente da quello misurato sui provini DCT: infatti è continuamente decrescente e non si osser-vano né massimi né minimi. Le ragioni che permettono di interpretare un simile risultato sono le medesime prima

Figura 12. Andamento in profondità degli forzi residui nei punti A (a),B(b), C (c) e D (d).

(a)

(b)

(c)

(d)

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descritte e discusse: il valore di R (=-1), il contatto tra le facce della cricca, la rugosità superficiale. Solo al punto D, il più profondo, è osservabile un leggero massimo, che può essere considerato il raggio plastico ciclico.

In Tab.2 è riportata la sintesi dei risultati ottenuti elabo-rando le misure in profondità: i valori di K sono determi-nati utilizzando le (5) ed assumendo α=0.157.

Figura 13. Andamento in profondità di FWHM nei punti A (a), B(b), C (c) e D (d).

(a)

(b)

(c)

(d)

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Se si focalizza l’attenzione sui valori di Kmax è possibile trovare una conferma delle analisi eseguite confrontando i risultati riportati in [21], relativi a calcoli a elementi fi-niti elastiche lineari di un albero a gomiti criccato del tut-to analogo a quello qui considerato. L’unico punto in cui si nota una marcata differenza è D, il più profondo, dove la zona plastica è più pronunciata e giustifica le differen-ze trovate (i calcoli FEM sono elastici lineari). Punto a

(mm) α rpm

(mm) Kmax

(MPam1/2) Kmax ([22] (MPam1/2)

A 3.5 0.157 0.3 32.0 30.9 B 9 0.157 0.5 43,4 34.1 C 18 0.157 0.75 50.7 46.3 D 28 0.157 1.1 61.3 67.6

Tabella 2. Risultati delle misure condotte sull’albero a gomiti e confronto con risultati di [21].

4 CONCLUSIONI Si è analizzato un albero a gomiti rotto per fatica flessio-nale per mezzo della diffrattometria dei raggi X. Ciò ha richiesto la preliminare esecuzione di prove mec-caniche e di misure diffrattometriche su provini standard. I risultati sono stati discussi criticamente alla luce dei ri-ferimenti bibliografici e si possono tracciare le seguenti conclusioni: - le prove e le misure XRD condotte sui provini standard hanno mostrato un buon accordo con gli andamenti attesi secondo quanto presente in letteratura. In particolare, gli sforzi residui e il FWHM hanno consentito di determina-re il valore di α; - l’andamento di FWHM in profondità è, per i provini DCT, generalmente decrescente-crescente-decrescente e dipende sia sa R che da ΔK; - le analisi XRD condotte sulla superficie di frattura di un albero a gomiti hanno permesso di determinare il valore del valore del fattore di intensificazione degli sforzi per differenti profondità di propagazione. Il confronto con dati di bibliografia ha convalidato i risultati trovati; - i risultati delle misure XRD condotte sull’albero a go-miti mostrano sostanziali differenze rispetto ai provini DCT: in particolare, si sono misurati sforzi residui di compressione sulla superficie di frattura, per le cricche meno profonde. Il risultato è stato imputato all’effetto di chiusura della cricca, alla rugosità delle superfici di frat-tura ed al rapporto di ciclo R=-1, che induce contatto tra le facce della cricca, causando la modifica degli sforzi re-sidui residenti ed impedendo la determinazione del raggio di plasticità ciclica. - Il favorevole confronto con risultati a elementi finiti in-coraggia l’applicazione della procedura come comple-mentare alle osservazioni al microscopio elettronico, op-pure come sostituto a queste ultime, nel caso in cui le

superfici di frattura siano rovinate e le osservazioni al SEM risultino, quindi, impedite.

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6 NOMENCLATURA Parametro Definizione

d distanza interatomica di una famiglia di paini cristallografici con dai indici di Mil-ler hkl

Kmax Massimo valore del fattore di intensifica-zione degli sforzi

E modulo elastico FWHM ampiezza del picco di diffrazione a metà al-

tezza R rapporto di fatica rpc estensione della zona soggetta a plasticità

ciclica rpm estensione della zona soggetta a plasticità

monotona UTS carico di rottura a trazione

α coefficiente che lega la dimensione della zona plastica al fattore di intensificazione degli sforzi

ΔK ampiezza del ciclo di fatica in termini di fat-tore di intensificazione degli sforzi

ε deformazione ψ angolo di incidenza del fascio di raggi X ri-

spetto alla superficie oggetto della misura θ angolo di Bragg σys sforzo di snervamento monotono σ’ys sforzo di snervamento ciclico

GRUPPO ITALIANO FRATTURA

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ESIS Procedures and Documents (www.esisweb.org)

Two kinds of documents are produced by ESIS Technical Committees with the following designatory system: ESIS P2-92 or ESIS P4-92D, where: 1) P means "Procedure", and 2 and 4 are the current numbers, while 92 is the year of issue. 2) D following the year (eg: 92D) means "draft", ie: not yet approved, while 3) D prior to the year (eg: D1-92) means "Document" other than test methods.

P1-92 ESIS RECOMMENDATIONS FOR DETERMINING THE FRACTURE RESISTANCE OF DUCTILE MATERIALS. Responsible body: TC1 Subcommittee on Fracture Mechanics Testing Standards. P2-92 ESIS PROCEDURE FOR DETERMINING THE FRACTURE BEHAVIOUR OF MATERIALS. Responsible body: TC1 Subcommittee on Fracture Mechanics Testing Standards. P3-03D DRAFT UNIFIED PROCEDURE FOR DETERMINING THE FRACTURE BEHAVIOUR OF MATERIAL. Responsible body: TC1 Subcommittee on Fracture Mechanics Testing Standards (UNDER PREPARATION NOT AVAILABLE). P4-92D ESIS RECOMMENDATIONS FOR STRESS CORROSION TESTING USING PRE-CRACKED SPECIMENS. Responsible body: TC10 Committee on Environmental-Assisted Cracking. P5-00/VAMAS PROCEDURE FOR DETERMINING THE FRACTURE TOUGHNESS OF CERAMICS USING THE SEVNB METHOD . Responsible body: TC6 Committee on Ceramics. P6-98 ESIS PROCEDURE TO MEASURE AND CALCULATE MATERIAL PARAMETERS FOR THE LOCAL APPROACH TO FRACTURE USING NOTCHED TENSILE SPECIMENS. Responsible body: TC8 Committee on Numerical Methods. P7-00 ESIS PROCEDURE FOR DYNAMIC TENSILE TESTS Responsible body: TC5 Subcommittee on Dynamic Testing at Intermediate Strain rates. P8-99D ESIS DRAFT CODE OF PRACTICE FOR THE DETERMINATION AND INTERPRETATION OF CYCLIC STRESS-STRAIN DATA. Responsible body: TC11 Committee on High Temperature Mechanical Testing. P9-02D GUIDANCE ON LOCAL APPROACH OF RUPTURE OF METALLIC MATERIALS. (UNDER PREPARATION NOT AVAILABLE). P10-02 A CODE OF PRACTICE FOR CONDUCTING NOTCHED BAR CREEP RUPTURE TESTS AND INTERPRETING THE DATA. Responsible body: TC11 High Temperature Mechanical Testing Committee. P11-02 TECHNICAL RECOMMANDATIONS FOR THE EXTREME VALUE ANALYSIS OF DATA ON LARGE NONMETALLIC INCLUSIONS Responsible body: TC20 Committee on Inclusions. D1-92 FRACTURE CONTROL GUIDELINES FOR STRESS CORROSION CRACKING OF HIGH STRENGTH ALLOYS. Responsible body: TC10 Committee on Environmental Assisted Cracking. D2-99 FRACTURE TOUGHNESS OF CERAMICS USING THE SEVNB METHOD; ROUND ROBIN, TEST PROGRAMME. The ESIS TC6 and VAMAS TWA3 developed a test method and conducted a round robin for its validation. D2-99 presents a detailed documentation of this activity. The final form of the test method has appeared as P5-00. Responsible body: TC6 Committee on Ceramics.

GRUPPO ITALIANO FRATTURA

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Modulo di iscrizione IGF-ESIS

Gruppo Italiano FratturaModulo di iscrizione - 2007

La quota annuale di iscrizione è di 30 Euro (comprensiva di iscrizione ESIS, European Structural Integrity Society), esente IVA a norma dell'art.2 del DPR 26/10/72 e successive modifiche.

Modalità di pagamento:bonifico bancario su cc. n. 100940 del CREDITO COOPERATIVO BOLOGNESE, Ag. via Arcoveggio 56/22, intestato al Gruppo Italiano Frattura (ABI 7082 CAB 02402 CIN K).

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scadenza

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Inviare il modulo a:Segretario IGFProf. Francesco IACOVIELLO Di.M.S.A.T. Università di Cassinovia G. di Biasio 43, 03043 Cassino (FR)tel./fax 0776-2993681 [email protected](per cortesia, riempire in stampatello)

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