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i mille occhi XV edizione Teatro Miela Trieste 16_22 settembre 2016 Festival internazionale del cinema e delle arti

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Festival internazionale del cinema e delle arti

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Festival internazionale del cinema e delle arti

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il festival dell’Associazione Anno uno

con il contributo di

project partnersLa Cineteca del Friuli, FIAF – Archivio Cinema delFriuli Venezia Giulia, Gemona (UD)Centro Sperimentale di Cinematografia – CinetecaNazionale, RomaCineteca Bologna, BolognaSlovenski filmski center, LjubljanaTransmedia, GoriziaGustav film, LjubljanaFestival del film LocarnoDeutsches Filminstitut - DIF, FrankfurtDeutsche Kinemathek - Museum fur Film undFernsehen, BerlinBundesarchiv-Filmarchiv, BerlinGoethe-Institut Triest, TriesteFuori orario - RAI 3, RomaL’Officina Film Club, Roma

Associazione culturale Anno uno

PresidenteMichele Zanetti

VicepresidenteGiuliano Abate

DirettoreSergio M. Grmek Germani

ConsiglieriMarie-Françoise Brouillet Annamaria CameriniIgor KocijančičOlaf MöllerAlice Rispoli Dario Stefanoni

in copertina Ann Sheridan con James Cagney in una fotodi scena di Torrid Zone di William Keighley(Collezione Anno uno).

AIRSC - Associazione Italiana per le Ricerche diStoria del Cinema, Morlupo (Roma)Penny Video, RomaArchivio nazionale cinematografico dellaResistenza, TorinoCivici musei, Comune di TriesteCasa del cinema di TriesteAFIC, Associazione Festival Italiani di CinemaCasa dell’Arte, TriesteKinoatelje, GoriziaKinodvor, LjubljanaSlovenski klub, TriesteFilm parlato, rivista onlineComunicarte, TriesteZavod En-Knap, LjubljanaSlovensko stalno gledališče - Teatro stabilesloveno, Trieste

I mille occhi / The Thousand EyesFestival internazionale del cinema e delle arti / International Arts and Film FestivalXV: Eternal BreastsTrieste, Teatro Miela, 16‡22 settembre 2016Anteprima a Roma, Cinema Trevi - Cineteca Nazionale, 13‡14 settembre 2016

fuori orariocose (mai) viste

casadelcinema.trieste

c

con il patrocinio di

comune di trieste

civici museirato alla

English version of the Catalogue onwww.imilleocchi.com

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ideazione, ricerche e messa in scena Sergio M. Grmek Germani

con la collaborazione al programma di Fulvio Baglivi, Cecilia Ermini, Mila Lazić, Olaf Möller,Simone Starace, Dario Stefanoni, Roberto Turigliatto

coordinamento Nancy Reiscon la collaborazione diFrancesca Bergamasco, Giulia Pigato, Dario Stefanoniassistenti coordinamentoThays de Campos, Aurora Peccolo

movimentazione Luca Luisa

ufficio stampa e comunicazione online -realizzazioni video Francesca Bergamasco assistenti ufficio stampa e comunicazioneLivio Cerneca, Benedetta Cericola, Costanza Cecchinicon la collaborazione di Anna Sardo, Caterina Perini

social teamMassimiliano Vaccaro, Rosa Vassalloassistenti social team Antonella Lestingi, Jacopo Todaro, LinamariaPalumbo, Vida Skerk

ospitalitàMartina Scianassistenti ufficio ospitalità Gabriella Corrado, Giuseppa Magaddino

amministrazioneAndrea Mazzani

sito internetZenmultimedia

assistenza informaticaStefano Biloslavo

accoglienza, maschere, infopointAnna Maria Franceschini, Annalisa Di Lorenzo, Anna Di Marco, Ambre Valerio, Caterina Perini,Cecilia Garbellano, Claudia Crudele, Emma Peri,Emiliana Provenzale, Francesca Tosetto, FridaCarena, Gabriella Corrado, Giulietta Ferluga,Giuseppa Magaddino, Jacopo Todaro, Nadia Gorian,Ruben Mastroilli, Susanna Labbri, Valeria Dainotti,Vida Skerk, Cecilia Garbellano

fotografiGiovanni Aiello, Stefania Pastur, Giovanni Monguzzi

videomaker e editing Andrea Penso, Betty Maier, Giuseppe Mangiafico

Si ringraziano

tutti i cineasti e i produttori dei film in programma,tutti gli autori e gli editori dei testi pubblicati,tutti i partecipanti agli incontri,

gli enti sostenitoriRegione Autonoma Friuli Venezia GiuliaFondazione Benefica Kathleen Foreman Casali

project partners e collaboratoriCINETECA DEL FRIULI – ARCHIVIO CINEMA DEL FRIULIVENEZIA GIULIA

direttore Livio Jacobarchivio film Elena Beltrami, Alessandro De Zan,Simone Londero, Alice Rispoli, Andrea Tessitoresi ringraziano per la collaborazione Piera Patat,Giuliana Puppin, Ilaria Cozzutti, Ivan Marin

CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA – CINETECA NAZIONALE

presidente, conservatore Stefano Rullidirettore generale Marcello Fotidirettore Gabriele Antinolficonservatore Sergio Toffettidiffusione culturale e programmazione Laura Argentocon Juan Del Valle, Maria Coletti, Domenico Monetti,Luca Pallanch, Annamaria Licciardello, Fulvio Baglivi,Franca Farina, Viridiana Rotondi, Silvia Tarquini,e lo staff del Cinema Trevi

CINETECA BOLOGNA

direttore Gian Luca Farinelliarchivio Andrea Meneghelli, Carmen Accaputo

FUORI ORARIO

enrico ghezzi, Roberto Turigliatto, Fulvio Baglivi,Donatello Fumarola, Lorenzo Esposito

L’OFFICINA FILM CLUB

Paolo Luciani, Cristina Torelli

FESTIVAL DEL FILM LOCARNO

Carlo Chatrian, Roberto Turigliatto, Iria Lopez,Caterina Renzi

Paola Olivetti, dell’Archivio nazionale cinematograficodella ResistenzaNerina T. Kocjančič di Slovenski filmski center Ines Bayer di DIF Alexandra Hagemann di Goethe-Institut TriestElena Dagrada dell’AIRSCVera Robić Škarica di Hrvatski filmski savezAngelo Draicchio, Cristina D’Osualdo di Ripley’s FilmGiorgio Nogherotto, Rita Ravalico, GuglielmoDanelon, Francesco De Luca, Rosella Pisciotta,e Daniele Marzona, Michele Sumberaz Sotte, BarbaraScarciglia, Alice Bensi, Francesco Sacchi, Valentina

Molaro di Teatro Miela - Cooperativa BonawenturaBruna Scaggiante di LILT TriesteSandi Škerk di Azienda agricola ŠkerkRaffaella Fort di Libreria Lovat, TriesteDario Zidarič di Azienda Agricola ZidaričIgor Prinčič di Transmedia, GoriziaAna Cimerman di KinodvorPetra Vidmar di Gustav film, LjubljanaAleš Doktorič, Mateja Zorn di Kinoatelje, GoriziaPoljanka Dolhar di Slovenski klub TrstLorenzo Esposito di Film parlato Ingrid Sergaš e Tanja Mljač di Consolato generalesloveno a Trieste Valentina Repini di Teatro stabile sloveno, TriesteGoran Pakozdi di Zavod EN-KNAPMassimo Premuda di Casa dell’Arte TriesteMaddalena Giuffrida, Walter Stanissa diAgriturismo Juna

si ringraziano inoltre Francesca Alessandrini, Luisa Alzetta, AdrianaAttanasio, Adriano Aprà, Chiara Barbo, GiovanniBarbo, Maria Teresa Bassa Poropat, SaraBergamasco, Paolo Bertagni, Elisa Bonazza,Veronika Brecelj, Isidoro Brizzi, Sara Cannarella,Francesco Cappellotto, Marco Cecchini, DubravkaCherubini, Piero Colussi, Sergio Crechici, ToninoDe Bernardi, Daniela De Vincenzi, CeciliaDonaggio, Piero Del Giudice, GiuseppeFaggiotto, Massimo Ferrari, Beatrice Fiorentino,Erik Frieden, Gabriele Giuli, Massimo Greco,Federica Gregori, Chiara Lamonarca, Giulio Lauri,Paolo Lughi, Jaruška Majovski, Chiara Omero,Breda Pahor, Boris Pahor, Rossana Paliaga,Federico Poillucci, Nenad Polimac, Victor Rasetto,Valentina Ricci, Nicoletta Romeo, Antonio Rubini,Gianni Sadar, Cristina Sain, Liliana Savioli, GiadaScaini, Massimiliano Schiozzi, Francesco Selvi,Francesco S. Slocovich, Marko Sosič, DanieleTerzoli, Fulvio Toffoli, Gianni Torrenti, RenataToson, Silvia Vallaro, Baldo Vallero, GiorgiaVenturoli, Antonella Varesano, Loris Zecchine Trattoria da Giovanni, MAST - Drinks’ Showcase,Pizza New - Largo Barriera, Hotel Colombia, B&B Amelie, B&B Ai Moretti, B&B Smartrooms

catalogo a cura di Simone Staracecon la collaborazione diDario Stefanonicon contributi di Sergio M. Grmek Germani, Mila Lazić, Olaf Möller

grafica e impaginazione Cristina Vendramin

stampaPoligrafiche San Marco, Cormons

traduzioni e interpreti Elena Valentinuzzi, Emilia Burgio, Francesca Rosa,Francesca Tosetto, Giorgia de Zen, Giulia Olivo,Jaruška Majovski, Mark Mathias, Patrycja Matusewicz,Melania Ravalico, Simone Starace, Riccardo Valentini

proiezioni Paolo Venier

sottotitoli Evelyn Dewald Caporali

premio Anno uno realizzato da Stefano Coluccio, Canestrelli - Venice Mirrors, Venezia

selezione vini e omaggi ospiti offerti daAzienda agricola Škerk, Duino Aurisina (TS)Azienda agricola Zidarič, Duino Aurisina (TS)Gastronomia Snack Bar Ferdi, TriesteCaffè Teatro Verdi, TriesteCaffè degli Specchi, TriesteCaffè San Marco, TriesteMimì e Cocotte, Trieste

piattaforma mobile marketingElisa Crestani Solution

media partners

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E giunge l’onda,ma non giunge il mare.

Clemente Rebora, Canti anonimi

Quindicesima edizione: festeggiamo!La “comunicazione” vorrebbe qui che si spiegassero i perché e percome della no -stra storia, quella che confidiamo venga invece scoperta dai mille spettatori.Perché ci attrae di più l’arrestarsi di Rebora alla sua ultima conferenza, o il perder -si e perdere fogli di Antonin Artaud nella sua conferenza di ritorno dalla follia.Meglio scriverebbe di Artaud l’amico Alessandro Cappabianca, altro sodale di Mi -chele Mancini cui dedichiamo un omaggio. Sarebbe certamente più facile attrarre l’attenzione se dedicassimo una personalea Paolo Sorrentino.Ma, nell’utopia che ci sia un pubblico oggi che non si limita a minestre riscaldate(buone solo nel caso di una ribollita o di una jota), seguiamo imperterriti nellenostre passioni, e persino ne incoraggiamo altre.Dire Artaud fa pensare subito (per l’ennesima volta) a Dreyer, suo complice neldistogliere dal sacrificio della Falconetti.Dreyer la cui opera dopo La passion de Jeanne d’Arc e Vampyr fu un ricoveronella clinica Jeanne d’Arc. E poi l’impossibilità a divenire mai cineasta italianoperché l’africano Mudundu fu deviato a routine coloniale ancora italo-francese(ma la guerra è vicina), e perché l’ultima speranza di realizzare il suo non virtualeJesus non fu raccolta dalla Chiesa post-giovannea. Ci sono quindi, nel cinema e nella vita, sospensioni in cui si trova un destino(Rebora, Artaud) ma più spesso arresti violenti dovuti a imposizioni economiche.Credere a ciò in cui crede Ordet porterebbe la società a quell’insostenibilità eco-nomica che solo il mutarsi dei vivi in morti consente. Un’utopia come quella deicosmisti russi (Fëdorov in particolare), di ricostruire i corpi degli antenati in altrispazi, fu resa parodica dal comunismo staliniano e destalinizzati voli spaziali con

Una o due cose tra milleNote di messa in scenadi Sergio M. Grmek Germani

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tanto di Laike sacrificali. Va reso onore all’accanimento con cui all’epoca AmadeoBordiga richiamò alla gravità terrestre, come va reso al Rossellini apocalittico traL’età del ferro e l’intervista ad Allende. Ma anche all’apocalittico Guareschi che inLa rabbia eccede Pasolini.Rossellini nel frammento girato per Santa Brigida con Ingrid Bergman realizza ilpiù esemplare rapporto tra ciò che nel cinema si trattiene e i fuoricampi infinitidi distruzione. Oggi li vediamo addirittura moltiplicarsi, talvolta testimoniati daimmagini che ci rendono spettatori impotenti.Proporre oggi nel festival alcune delle immagini più sensibili (o persino il suonosenza immagini di un programma radiofonico) sul terremoto che 40 anni fa colpìil Friuli, s’intreccia per noi con il manifesto di cinema dalla pietà all’amore delgrande Luca Comerio (di cui si vedrà a incipit del programma romano un film sulcarnevale di Nizza, che oggi non potrà non ricordare le distruzioni di un’autodi-struzione resasi criminale nell’abbandono a vite ulteriori come premio). S’intrec -cia anche con il nuovo irrompere di scosse nel paesaggio italiano. S’intreccia conil superamento di una natura nemica compiuto da due grandi cineasti italiani(Renato Dall’Ara, Walter Santesso) che Dario Stefanoni rabdomanticamente coglienel territorio da riscoprire dei cineasti veneti: sorprende come pochi si sianoaccorti della forza sovversiva di Santesso (più vitale di tanto movimentume vene-to di destra e di sinistra), e dell’incanto a tratti da Jacques Demy (le canzoni,Castelnuovo nell’improiettabile Mercanti di vergini) di Dall’Ara.L’Italia, come Rossellini sapeva più di tutti, esige viaggi infiniti. Ne sono all’altez-za Vittorio Cottafavi (che collaborò con il grande scrittore carnico Siro Angeli)e Raffaello Matarazzo, di cui quest’anno per l’anniversario si rievocherà altroveun’altra minestra riscaldata (cinema popolare...) che invece da noi la visione diL’intrusa orienterà meglio. Altro film dreyeriano, con la bambina già troppo adul-ta (Paola Quattrini) che domanda come sia possibile (da parte di Amedeo Naz -zari) amare una morta. In pochi altri film inoltre la violenza dell’amore come possesso dell’uomo sulla donna, intrecciato a ruoli sociali, è così trasparente-mente reso e superato. Si tratta di un film anch’esso acquatico, con una barca chefa approdare la donna da un altro mondo e da un’altra vita. Film che poi si spec-chia nella da noi già amata La maestrina di Giorgio Bianchi.Acquatico è anche il Wisbar di Nacht fiel über Gotenhafen, in un racconto epicoche parte dai segni della catastrofe nazista raccolti in una catastrofe di nave affon-dante: con tante figure femminili, a contraddire lo schematismo secondo cui nel

dopoguerra egli si sarebbe dimenticato dei suoi grandi film al femminile deglianni ’30 (che proiettammo l’anno scorso). Il gruppo femminile nel ventre dellanave oscilla tra Genina, La nave delle donne maledette di Matarazzo e i gruppifemminili di Mädchen in Uniform che Wysbar produsse. Ma ci ricorda anche ilcrollo raccontato da Pabst in Der letzte Akt, non solo grande film (tutt’altro chericonciliantesi con il nazismo come da favolette smentite dalla rassegna curata daOlaf Möller a Locarno e in progress in varie edizioni dei Mille occhi) ma anchegrande opera di pensiero, che esplicita e distanzia la condanna della natura alladistruzione come unico suo possibile destino. Spero che lo presenteremo in fu -turo (come lo spero per Forugh Farrokhzad, e per il film che dà il titolo all’edi-zione, della grande attrice giapponese Kinuyo Tanaka che fu anche la maggiorregista – intendiamo “il maggior regista” – giapponese). Intanto siamo lieti di pro-seguire la nostra riscoperta di Harald Braun (con due film magnifici, tra cui Herzder Welt, dal titolo griffithiano, che evoca la vicenda ante-grande guerra di Berthavon Suttner, cui si ispirò Dreyer per una delle sue prime sceneggiature, tratta daGiù le armi), e di Wisbar/Wysbar (con un altro capolavoro oltre a quello citato).In un altro percorso l’amatissima Marina Pierro (con cui c’incrociammo qualcheanno fa nel non diffuso cogliere l’impronta dreyeriana in Borowczyk) renderàpresenti in Himorogi le immagini che di lei trattenne ed esaltò il maestro. Siamoveramente felici dell’anteprima del suo (col figlio Alessio) trittico per la primavolta riunito (e riedito per i primi due film). In Himorogi le citate immagini gi-rate da Borowczyk rendono, dal fermo al movimento, uno dei sensi profondi delcinema.Come lo rende un altro sguardo femminile che accogliamo, quello di Elvira Gial -lanella in Umanità, film unico tra i vari notevoli che tra le due guerre si muove-vano dal ricordo alla premonizione.Nel programma sono presenti anche film di cineasti maschili attraversati dacocreazioni femminili, da Vlado Škafar alla figura oltre il cinema eppur di cinemadi Siro Angeli, che nella magnifica videointervista di Ermes Dorigo evoca la mae-stra Elisa Davanzo e le due mogli poetesse, Liliana Guidotti e Alida Airaghi; e con-clude la trasmissione con un «non ho avuto occasione di parlare del rapporto conmia madre». Ma lo stesso Maria Zef riscrive in splendido friulano la narrazionedella veneta Paola Drigo, rivivendola poi come attore, per una geniale scelta diCottafavi che entrò nell’anima di Angeli, al punto da suggerirgli il volume di poe-sie Barba Zef e jò.

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Insomma questa scheggia di programma che sono I mille occhi 2016 (tra tanti tas-selli rinviati) è forse sufficientemente indispensabile per trovare almeno millespettatori. Tra i Figli di nessuno adottati da Simone Starace vedremo tra l’altro unfilm corealizzato dal triestino Giacomo Gentilomo (altro anniversario) che s’inse-risce, con la storia dell’attentato a Roosevelt, nelle trame di controstoria chevanno da Lang a Frankenheimer; e un film di un cugino di Genina e Cameriniche va riscoperto, Giulio Morelli (altro film di coregia, a renderlo ancora più figliodi nessuno).Di Camerini vedremo un ritrovamento che sa di miracoloso, per noi uno dei filmpiù ricercati di tutto il cinema italiano, Il documento. La collezione Buffatti dona-ta alla Cineteca del Friuli lo conteneva in una completa copia 16mm, e al festivallo proietteremo in anteprima. Termine più che mai consono a questo film chenella finzione si apre con l’inizio del XX secolo, ed è realizzato nel 1939: comealtri Camerini non canonici esso distilla il senso del tempo, delle età dei corpi, innessun altro cineasta così centrale pur essendo quintessenziale del cinema. Vicompare una magnifica Maria Denis, attrice tra le maggiori del cinema italiano(ne vediamo una splendida immagine da un fotogramma del film, in apertura aquesto testo), e un mostro sacro della recitazione, Ruggero Ruggeri, forse mai cosìgrande come qui, a livello del Mozžuhin da esperimento kulešoviano (ancheun’immagine crepuscolare di Ruggeri illustra queste pagine).Ecco come si costruiscono I mille occhi: scoprire che l’ultimo film con Ruggeri fusorprendentemente il primo lungometraggio di Carmelo Bene, al di là delle pos-sibili casualità, ci è subito apparsa una folgorazione. Perché dunque non pro-grammare stavolta (anche se potevamo farlo più volte) questo capolavoro del1968, che è tra i più perduranti di quell’anno emblematico? Soprattutto siamo lietidi poterlo programmare nella prima e più lunga versione presentata all’epoca allaMostra di Venezia, e invece abbreviata, certamente con intelligenza d’autore, perl’uscita in sala; e di poterne presentare i rushes muti stampati in bianco e nero.E dunque, in un altro incontro altissimo tra creazione maschile e femminile, comenon invitare per l’occasione Lydia Mancinelli, madonna del suo cinema?Cinema italiano oltre il muro del tempo: per questo festival si tratta di uno degliobiettivi più convinti, e non unicamente per il cinema italiano, per smentire l’i-dea che solo il cinema appena realizzato sia rivolto all’oggi. Lo possono esserefilm di ogni epoca, che oggi si rivelano nella loro vera luce. Ecco perché riba-diamo che non sono i restauri digitali a rendere dei film contemporanei, anche

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Trieste gestisce al ribasso; curatore di una collana di monografie di personaggidella regione che includeva volumi di Boris Pahor, Alojz Rebula, Ermes Dorigo ealtri).Oltre che a Guido Botteri la presente edizione vuole essere dedicata ad alcunialtri scomparsi che attraverso il cinema ci furono compagni di vita: l’amico roma-no Paolo Zapelloni (all’anteprima al Trevi dell’anno scorso Paolo Luciani fece unintervento commosso informandoci delle sue gravi condizioni); Elena Fava che ciraggiunse per l’omaggio al padre; Gianni Rondolino di cui ammirammo la tena-cia nel voler rendere Torino luogo di vera ricerca cinematografica; e AnnamariaPercavassi, con cui condividemmo molte esperienze, da La Cappella Undergroundal programma televisivo Una cineteca per una regione a quattro non dimenticateretrospettive che potemmo curare per l’Alpe Adria Cinema da lei diretto; poi cifurono ombrosità, ma Annamaria è stata tra le spettatrici più fedeli dei Mille occhicome chi scrive lo rimase del suo Trieste Film Festival; per arrivare infine all’in-sediarsi insieme nella Casa del Cinema, per merito di Maria Teresa Bassa Poropat.Si aggiungono alcune presenze del cinema che abbiamo amato: Maureen O’Hara,Nicoletta Machiavelli, Silvana Pampanini, Moira Orfei, Marina Malfatti, NicoleCourcel, Franca Faldini, Patty Duke (ma poi ecco che scopriamo scomparsa an -che Mandy Rice Davies, che sconvolse la nostra pulsionalità adolescenziale).Franco Citti e Giorgio Albertazzi sono per noi intrecciati anche al citato omaggioa Zurlini, il primo per uno dei film più sottovalutati, il secondo anche perchégenerosamente introdusse per noi al Trevi sia Zurlini che La rossa di Käutner. Trai registi ci ha colpito la perdita di Andrzej Zulawski, il cui ultimo capolavoro meri-ta un simbolico Premio Anno uno speciale; di Michael Cimino, ingiustamenteabbandonato dal cinema; di Jacques Rivette, Eldar Rjazanov, Jan Nemec, AbbasKiarostami, Mihovil Pansini, Gene Wilder, Carlo Di Carlo, e quanti colpevolmen-te qui dimentichiamo.

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se talvolta possono aiutare. Ma una copia d’epoca rimasta per decenni non vistaarriva oggi con una presenza fisica percepibile davvero per la prima volta.Il programma che propone la preziosa raccolta di film dell’Officina Filmclubdepositata nel Fondo Ciro Giorgini alla Cineteca del Friuli, ci sposta verso gli anni’70 e oltre, con un film italiano di Glauber Rocha che vaga tra influssi udigrudi,la musica del Tony Scott mareschiano (in programma con i suoi film su FrancoScaldati) e la tenera Juliet Berto, calati in una Roma che prelude a quella nico -liniana di cui L’Officina è un monumento. Ci spingiamo poi verso il ’77 con ilcapolavoro di Grifi e Sarchielli (nella copia personale di quest’ultimo) Anna cheancora una volta sorprenderà per il suo farsi classico a partire da un mondo trai più transitori. E oltre, un tardo film di Luciano Emmer che, in doppia versioneitaliana e francese, chiude la prima e l’ultima notte del festival, lasciandoci alsogno vagante di presenze femminili notturne (tra cui Paolina Bonaparte e la stes-sa Villa Borghese come entità femminile).Tornando a Camerini, egli sarà d’ora in poi presente nel festival anche attraversola figlia Manitta, entrata nel nostro direttivo, del quale siamo orgogliosi, e cheaccoglie anche Marie-Françoise Brouillet, compagna di Valerio Zurlini divenutaamica del festival in occasione della personale che dedicammo a uno dei sommicineasti italiani. Con quella personale scoprimmo film e versioni ignorate, ancheper merito delle segnalazioni di Gianni Da Campo. Riteniamo che quella perso-nale (con alcune riprese nella rassegna Titanus di Locarno) sia la sfida da cui par-tire per approfondire la conoscenza del regista, e speriamo che ogni futura per-sonale ne scopra di più, e non si limiti a riscaldare la minestra.Nel nostro direttivo sono entrati anche giovani ricercatori e apprezzati esponentidella politica culturale cittadina, tra i non molti che hanno voluto far crescere dav-vero la cultura. Menzioniamo soltanto Michele Zanetti, che con l’operazioneBasaglia ha segnato Trieste nel modo migliore; ma che per chi scrive è stato trai primi parlanti di cinema nella frequentazione del Cineforum Triestino. GiacchéI mille occhi, pur essendo segnati piuttosto da scoperte critiche francesi (e insu-perabilmente di «Présence du cinéma») hanno sempre voluto confrontarsi con lepassioni vere della critica italiana.La presenza di Zanetti ci consentirà nel programma anche uno dei più adeguatiomaggi a Guido Botteri, che fu tra gli spettatori attenti del nostro festival (e inol-tre, tra le tante cose, promotore della produzione di Maria Zef per la Terza Reteregionale di cui fu direttore di sede; studioso di quel Diego de Henriquez che

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Premio Anno uno

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Dragi Vlado, caro Vlado,doveva succedere che “I mille occhi” si incontrassero con il tuo cinema,e poteva succedere prima. Ora il tuo voler essere conclusivo con Mama,pur sperando noi che mille altri film vi seguano, sottolinea quanto vi erapresente da tempo. E proprio perché il tuo cinema reagisce sempre allamorte, il To Be che è la dichiarazione poetica di Leo McCarey ci èsembrato il suo senso forte. Se in Otroci si ascolta un rimemorare ilMemento mori del sommo poeta sloveno Prešeren, struggente per co-me il ricordo scolastico del personaggio diventa carne di poesia, nelsuccessivo Deklica in drevo udiamo, dalle sublimi Štefka Drolc e IvankaMežan, alcuni dei momenti più insofferenti delle catastrofi chedominano il nostro tempo: l’immagine mentale dei tuffi nel vuotodell’11 settembre, gli “spariti” che si continuano a dire pogrešani nonvolendo dirli morti: perché solo allora si potrebbe desiderarne unritorno dreyeriano in vita. Non credo sia un caso che anche Vlado abbiaeletto, nel suo Top Ten dei migliori film della storia del cinema, il Kril’jadi Larisa Šepit’ko, da noi due volte programmato e sempre amato: filmil cui volo finale spinge verso un reale infinito. Ed è tra le presenze delfemminile che sono alla base del suo cinema, in eco con l’amata Joni,paradossalmente anche nell’incontro tra padre e figlio di Oč a dove ilfuori campo della madre è presenza. Regista più che mai universale,dunque, anche perché intimamente sloveno, a cominciare dagli sguardisu Prekmurje, Bela Krajina e Benečija nei tre ultimi film, paesaggio diun’anima che vaga da lì nel mondo. Già nell’esordio di Stari most,pianosequenza sul ponte distrutto di Mostar, Vlado aveva compiutoun atto teorico di cinema contro la distruzione. Il successivo Peterka(come il backstage che segue) poteva ingannare come film rivolto a unamission che invece introvertiva. Mojca con il suo ascolto dei tremitidella parola anche quando essa nel personaggio principale apparedominante, ci ricorda che l’amore muove il cinema anche nelle assenze.Se še spominjaš ljubezni? [Ricordi ancora l’amore?]

Associazione Anno unosettembre 2016

To Be: Vlado Škafar

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VLADO ŠKAFARRegista, sceneggiatore, montatore, criti-co, promotore e divulgatore culturale.Co-fondatore della Slovenska Kinotekanel 1993, che dirige fino al 1999, annoin cui crea il festival internazionaleKino Otok - Isola Cinema.Rimasto sempre attivo come uomo dilettere, dopo l’ultimo film Mama deci-de di abbandonare il cinema e dedicar-si esclusivamente alla letteratura.

STARI MOST[IL VECCHIO PONTE]Regia, sceneggiatura: Vlado Škafar; fo -tografia: Janez Kališnik; montaggio:Igor Šterk; produzione: I. Šterk perA.A.C. Productions; origine: Slovenia,1998; formato: 35mm, col.; durata: 12’.Copia 35mm da Slovenska kinoteka.

«La storia del celebre ponte di Mostar,che una volta c’era e adesso non c’è,che ci sarà di nuovo ma non propriocome una volta». (Vlado Škafar, 1998)

PETERKA: LETO ODLOčITVE[PETERKA: L’ANNO DECISIVO]Regia, sceneggiatura, montaggio: VladoŠkafar; fotografia: Aleš Belak; inter -preti: Primož Peterka, Renata Bohinc,Matjaž Zupan, Robert Kranjec, UrošPeterka; produzione: Dimitrij Gračnerper Gustav Film; origine: Slovenia, 2003;formato: 16mm e 35mm; durata: 120’.Copia 35mm da Slovenski filmski center.

Un anno di vita di Primož Peterka, incui il giovane sportivo, uno dei più

grandi campioni e idoli sloveni, vinci-tore di due coppe del mondo nel saltocon gli sci, ha dovuto affrontare tantimomenti decisivi. Il documentario è unvivo monumento cinematografico a ungiovane campione e alla sua decisio-ne di ritrovare la via verso l’eccellenzasportiva.

POD NJIHOVO KOŽO[UNDER THEIR S.K.I.N. / SOTTO LALORO PELLE]Regia, sceneggiatura, fotografia, mon-taggio: Vlado Škafar; interpreti: IztokKovač, Sašo Podgoršek, Karmit Burian,Julyen Hamilton, Gali Kaner, AndreaRauch, Carme Renalias, Sebastiano Tra -montana, Clement Hamilton, JustinHamilton, Matej Kovač, Samo Kovač;produzione: Zavod EN-KNAP; origine:Slovenia, 2006; formato: video, col.; du -rata: 58’.Copia DVD da Gustav film.

Making of di What Are You Going to DoWhen You Get Out of Here? (2005) diSašo Podgoršek, girato nella miniera diTrbovlje e basato sulla performance

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S.K.I.N. del 2003, prodotta dalla Com -pagnia di danza EN-KNAP.

«Nel giugno del 2005, Iztok Kovač eSašo Podgoršek mi hanno invitato adocumentare con una videocamera leriprese del loro nuovo film [What AreYou Going to Do When You Get Out ofHere?] o forse dovrei dire il processocreativo della realizzazione del film, da -to che per gli otto membri della troupequesto processo all’interno della mi -niera di Trbovlje veniva costantementeripensato; i movimenti spirituali e delcorpo addomesticavano ricorrentemen-te i paesaggi sconosciuti del sotterra-neo abbandonato. E proprio questa eradiventata la domanda centrale: comeunire i concetti opposti della libertà dicreazione della danza e le riprese di unfilm? La danza si basa sull’improvvisa-zione, sulla coincidenza, ma soprattuttosul libero utilizzo dello spazio e del tem -po. Il film deve seguire inevitabilmentedelle regole severe che regolano nonsoltanto i limiti spaziali, ma in partico-lare i limiti di tempo». (Vlado Škafar)

OTROCI[BAMBINI]Regia, sceneggiatura, montaggio: VladoŠkafar; fotografia: Aleš Belak; produ-zione: Petra Vidmar e Frenk Celarc perGustav Film; origine: Slovenia, 2008;formato: video, col.; durata: 100’.Copia Blu-ray (da HD) da Slovenskifilmski center.

«Quando scrivi una lettera intima disolito lo fai da solo, in solitudine, per-

ché qualcuno la legga da solo, in soli-tudine. Per questo la visione di Otrociin un certo senso è qualcosa di miste-rioso, durante la quale in certi momentici sentiamo a disagio. A disagio davan-ti alla franchezza, al modo sorprenden-te e addirittura crudo di raccontare. Adisagio perché ci è stato regalato qual-cosa che di solito, all’esterno della salacinematografica, bisogna guadagnarse-lo. [...] E come sono intime le storie chel’autore riesce a far svelare ai protago-nisti (in modo talentuoso? appassiona-to?), così lo sono anche le storie chevengono evocate durante la visione delfilm. [...] Otroci è un film-specchio. Unfilm nel quale lo spettatore non guardasolo il suo film, ma prima di tutto guar-da se stesso. [...] Se in Peterka veden-do dei “banali” momenti quotidiani delprotagonista questo spariva dalla nostracoscienza come icona e iniziavamo avederlo anche come una persona, unuomo comune, e proprio in questa quo -tidianità abbiamo visto la vera peculia-rità e al contempo l’universalità, il filmOtroci fa un passo in più e distilla laquotidianità (di qualcuno) nel simbolodella vita (intera). Questo è poi leggi -bile in una scrittura con innumerevolipronunce, per ogni singola persona. [...]Di Otroci potremmo quindi dire che èuna meditazione sulla caducità della vi -ta, un saggio sull’esistenza terribilmen-te ambizioso (che però ha raggiuntol’obbiettivo), un di battito poetico sullapossibilità di vicinanza tra persone, unastoria innamorata che parla di amore,un incontro casuale tra estranei, i cuipercorsi ora sono irreversibilmenteincrociati». (Jurij Meden, Ekran 2009)

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Primož Peterka nel film

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mo dei ciottoli nei nostri pozzi d’acquae ascoltiamo gli echi. Questo è tutto il“gioco” del nostro film. (Che il cinemasia poesia. Che lo conducano i motorisilenziosi della storia)». (Vlado Škafar)

DEKLICA IN DREVO[LA RAGAZZA E L’ALBERO]Regia, sceneggiatura, montaggio: VladoŠkafar; fotografia: Marko Brdar; inter-preti: Štefka Drolc, Ivanka Mežan,Helena Koder, Joni; produzione: FrenkCelarc per Gustav Film; origine: Slove -nia, 2012; formato: HD, col.; durata: 83’.Copia DCP da Slovenski filmski center.

Canzone cinematografica per due ani -me. Forse meditazione. Il viaggio versoil silenzio.

«La mia prima reazione era che Deklicain drevo è un bel film. In realtà l’hopensato e detto spontaneamente in lin-gua fiamminga: “een schone film”, chenon significa solo bello, ma anche pu -lito. Non c’è niente di superfluo e tuttoè così stupefacente bello. Donne bellecon una storia commovente che si spec -chia nei loro occhi e che disegna i lorocorpi. Un vecchio albero che protendei suoi rami in mezzo a un prato mera-viglioso. Deklica in drevo è un film diluce. I passaggi di luce che si ripetonofunzionano come l’alta e la bassa ma -rea. Con l’invecchiare i colori sbiadisco -no. Invece che con righe e contrasti ilfilm è dipinto con raffinatezza con co -lori pastello insaturi. I bordi dell’imma-gine non sono confini, ma segni. Lospazio e il tempo di ogni immagine siestende oltre i suoi bordi. Deklica indrevo sconfina continuamente tra quae là, tra ora e allora. Come in tutti ifilm di Škafar il tempo svolge il ruolocentrale. Non come concetto astrattoma come un’esperienza vissuta e viva.Deklica in drevo è un film che si pren-de il suo tempo. Il tempo per ascoltare,per guardare e vedere. Il tempo per ri -cordare e contemplare. Per immaginare.Per riflettere. Deklica in drevo è un filmdi associazioni; un film, che si opponealla categorizzazione. “Di volta in voltadevo imparare a camminare”. Deklicain drevo ci fa ritornare in un punto, nelquale dobbiamo di nuovo imparare asentire e a vedere. Deklica in drevo èun viaggio verso il sole. Un viaggioverso un foglio bianco. Verso un fogliovuoto, ma al contempo così pieno».(Koen Van Daele)

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NOčNI POGOVORI Z MOJCO[CONVERSAZIONI NOTTURNE CONMOJCA] Regia, sceneggiatura, montaggio: VladoŠkafar; interprete: Mojca Blažej Cirej;pro duzione: V. Škafar e Petra Vidmarper Gustav Film/Otok; origine: Slove -nia, 2008; formato: Super8 e video, col.;durata: 36’.Copia Blu-ray da Gustav film.

«Il film Nočni pogovori z Mojco è un or -fanello, un fratello trascurato, uno checresceva in solitudine... quello bello,ma lasciato nel dimenticatoio... Ci sonovoluti otto anni per finirlo. In questoperiodo me ne dimenticavo spesso, mapoi mi tornava in mente come il baglio-re delle stelle cadenti, del quale alla fineè tessuto...» (Vlado Škafar)

«Le ore notturne, biologicamente pe -santi, non allettavano gli altri condutto-ri, ma a me quest’orario è sembratomagico. Come se con il jingle d’apertu-ra del programma notturno si aprisseun nuovo mondo nel quale le personeriescano a toccarsi. [...] Parliamo di qual -siasi cosa di cui gli ascoltatori voglianoparlare: di amore, arte, conflitto tra ge -ni tori e figli, infedeltà, animali dome sti -ci... Parlerebbero volentieri ma si sen-tono in imbarazzo e io li faccio rilassa-re con un indovinello, poi di solito lalingua si scioglie. Spesso si scontrano leopinioni, esce fuori cattivo sangue. Nonavevo idea che le persone fossero cosìsole e che di notte così tanti ascoltas -sero la radio. [...] Con Vlado ci siamoconosciuti ad un dibattito serale, nonsapevo che casualmente anche lui fos -

se uno dei miei ascoltatori notturni.Lavora nel campo cinematografico e mipropone di fare un film sulla mia tra-smissione notturna. Un complimentodel genere per il mio lavoro non l’ave-vo mai ricevuto! E così è iniziato... So -no molto fiera di questo film. Vlado èriu scito, con il suo tatto raffinato perl’anima umana, a catturare la varietà, lama linconia e l’umorismo delle chiac-chierate notturne». (Mojca Blažej Cirej)

OčA[PAPÀ]Regia, sceneggiatura: Vlado Škafar,fotografia: Marko Brdar; montaggio: V.Škafar, Jurij Moškon; interpreti: MikiRoš (Miki), Sandi Šalamon (Sandi), i la -voratori della fabbrica Mura; narratori:Hana Šavel, Jože Brunec; produzione:Frenk Celarc per Gustav Film/PropelerFilm; origine: Slovenia/Croazia, 2010;formato: 35mm; col.; durata: 71’.Copia 35mm da Slovenski filmski center.

«Miki, il coproduttore locale, ci porta aPorabje, oltre il confine con l’Ungheria,per un incontro. Ci racconta che là vi -vono gli sloveni che non conoscono laparola per amore. Guardo i suoi occhinello specchietto retrovisore. Quandoscende dalla macchina dico a Frenk[Celarc], ok, può essere il papà. Miki ciporta Sandi. È troppo vecchio. Ha peròla faccia, i capelli, gli occhi e le labbra diun angelo, e gli angeli non hanno età.Ci conosciamo meglio sulla tribuna diun campo di calcio. Quando lo mo stroa Joni [Zakonjšek] lei trema e piange.Sarà un bel film. Poi giochiamo. But tia -

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Dal film Oča

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MAMA[MAMMA]Regia, sceneggiatura: Vlado Škafar; sog-getto: basato su opere di Jelena Maksi -mović, Vida Rucli, Nataša Tič� Ralijan,Gabriella Ferrari, Margita Stefanović, J.W. Goethe, Lily Novy; fotografia: MarkoBrdar; montaggio: J. Maksimović, V.Škafar; musica: Mater di Vladimír Godárcantato da Iva Bittová, Ribbon Bow eseguito da Karen Dalton; interpreti:Nataša Tič Ralijan, Vida Rucli, GabriellaFerrari, Pierluigi Di Piazza; produzione:Gustav Film/PRO.BA/ARCH Production/TRANSMEDIA; origine: Slovenia/Italia/Bosnia-Erzegovina, 2016; formato: HD,col.; durata: 93’.Copia DCP da Slovenski filmski center.

«Il lungo viaggio della Mama è statocaratterizzato da due parole: il dolore ela bellezza. Queste parole di tutti i gior-ni, ma comunque potenti, sono appar-se e risuonavano ad ogni passo: nelleprime immagini, materializzandosi dalnulla: dalla parola “madre” stessa; du -rante gli incontri con il cast, il primocontatto è diventato doloroso e bellissi-mo, come il dolore, quando non è evi-tato e quando davanti ad esso si apro-no nuovi ampi spazi, diventa semprebellezza. Durante la prima passeggia-ta in riva al torrente di montagna unodei nostri membri del cast, Gabriella,ha pronunciato le parole che descrivo-no squisitamente il nostro viaggio: “C’ètroppa sofferenza intorno alla soffe ren -za. La sofferenza ha bisogno della bel-lezza”. [...] In Papà ho usato dissolven-ze lunghe che hanno creato una terzaimmagine tra le due scene. Volevo tra-

smettere la mia sensazione di un mo -mento, il pensiero che ogni momento ècomposto da vari strati che risuonanoinsieme facendone un cristallo cheriflette tutta la tua vita. Era una for masemplice ma efficace. Alcuni l’hannocomparata agli haiku. In Mama ho vo -luto approfondire, aggiungere più stra-ti al momento, specialmente quelli chetrascendono l’esistenza umana o la real -tà dell’esistenza umana. Il cinema so -vietico mi è molto vicino, Shepitko eSokurov più di tutti. Ma non ce li avevoin mente mentre lavoravo su Mama.Stavo dialogando con il cinema poeticosilenzioso, come quello di Vigo, ma so -prattutto ho dialogato con la letteraturae la pittura. La scena con la madre chedorme in un paesaggio crepusco larecon il sole che appare da un’altra parteè una parafrasi di un quadro di Chagall.Poi c’era la semplicità, la pu rez za e lametafisica di Giotto, fra’ An ge li co, Pierodella Francesca. La bellezza del dolorenello Stabat mater di Per go lesi e Vi val di.Ma soprattutto la letteratu ra di MarcelProust e Virginia Woolf. Lo ro han no lacapacità di trasmettere l’immensità diogni momento nella loro scrittura evolevo fare proprio questo – almeno inpiccola parte – nel mio cinema».

Vlado Škafar in Donatello Fumarola,Secrets Beyond the Open Doors: Mama by

Vlado Škafar, «Film parlato» luglio 2016

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HAIKU CIRCOLARIopere su carta di Joni Zakonjšek video haiku di Vlado ŠkafarDoubleRoom arti visive, Trieste 17 settembre > 28 ottobre 2016

Gli 8 “video haiku” di Vlado Škafar, inbi lico fra cinema e videoarte, sono par -te del coerente sodalizio artistico e spi-rituale con la pittrice Joni Zakonjšek,che presenta una quarantina di delicatiac querelli su carta che del noto compo -nimento poetico giappo ne se conserva-no l’estrema essenzialità, rac chiusa neiclas sici tre versi, e l’attenzione per unapun tuale descrizione del la natura e de -gli accadimenti umani direttamente col-legati a essa. I due autori sloveni, compagni nella vi -ta e nell’arte, hanno già lavorato insie-me su questo tema dando alle stampe

Haiku di Vlado Škafar e acquerelli su carta diJoni Zakonjšek, dal libro Krogi, Kinetik, zavod zarazvi janje vizualne kulture, Ljubljana, 2015

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nel 2015 il prezioso libro d’artista Krogi[Cerchi], una raffinata pubblicazione insloveno, giapponese e inglese, in cui aiquaranta haiku scritti del regista corri-spondono altrettante opere su carta del -la pittrice divise seguendo il ciclo natu-rale del le stagioni. (Massimo Premuda,presidente Casa dell’Arte Trieste)

SE ŠE SPOMINJAŠ LJUBEZNI? [Ricordi ancora l’amore?] di Joni Zakonjšek

Koštabona, primavera 2007 - Velika sela,estate 2010attimo dopo attimo su tela190x278 cmTeatro Miela, 16>22 settembre 2016Joni Zakonjšek e il quadro Se še spomi -njaš ljubezni? hanno avuto un rapportolungo e intenso, durato più di tre anni.L’opera e l’artista crescevano insieme. Ilquadro rappresenta il mare, scuro, macolorato, calmo, ma non piatto. Il livel-lo dell’acqua cresce continuamente, lemorbide onde arrivano da lontano edan no ritmo al movimento. È il mareamato da Joni, chiamato dalla madrenel film Mama, mare che significa lalibertà. I quadri di Joni sono vivi e amano lavita. Pulsano dalla loro fase embrionalee dirigono la mano che li dipinge. La lo -ro vitalità non rimane racchiusa dentroil perimetro della tela – anzi, si molti-plica, agisce attraverso gli sguardi deglispettatori che assorbono il loro calore,colore, spirito e atmosfera e li trasforma -no... in sogni, meditazioni, amori, vitenuove. (m.l.)

JONI ZAKONJŠEK

Nata a Koper nel 1974, si è formata aLondra seguendo il Foundation Courseof Art alla White Chapel Art School, ea Ljubljana, presso l’Accademia di BelleArti, dove nel 2003 si è laureata coni professori Emerik Bernard e MarkoUršič. Dal 2004 lavora come artista indi-pendente esponendo in spazi pubblicie privati in Slovenia e all’estero. Vive elavora a Bela Krajina.

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Beloved and RejectedMigranti, rifugiati, vittime di

guerra, fughe oltre muri e recintinella Germania dell’era Adenauer

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ALIENI IN UNA TERRA DI ROVINE

di Olaf Möller

È abbastanza curioso, ma anche rivela-tore, che nelle recenti discussioni su ri -fugiati e immigrazione non venga quasimai citata la situazione della Germaniaoccupata. Proviamo a fare qualcosa cheBerlino preferirebbe evitare: proviamoa ricordare. Fra il 1945 e, grosso modo,il 1955, diversi milioni di persone con-siderate tedesche furono costrette adabbandonare il suolo natio per spostar-si altrove, nel territorio considerato laloro patria, ovvero ciò che restava dellaGermania del Reich, divisa poi in Re -pubblica Federale Tedesca e Repub -blica Democratica Tedesca. Perché tuttiquesti giri di parole? Semplicementeperché è difficile nominare in altromodo le persone che all’epoca si spo-starono verso (il territorio che sarebbepoi diventato) la RFT: parlavano spessoil tedesco come prima lingua, e consi-deravano probabilmente Goethe comel’epitome del grande scrittore, ma ma -gari erano, per esempio, Cechi. O, perrendere le cose ancora più complica-te: potevano parlare una lingua ricon-ducibile al tedesco, appartenere a unacultura autonoma, ma essere comun-que considerati tedeschi per altre ragio-ni politiche, come i masuri oggi inPolo nia. Il panorama culturale nei paesilun go il Mar Baltico, nel territorio chedalla Germania passa per la Polonia, laLitua nia, la Latvia e l’Estonia, fino allaRussia, era uno scenario multiculturalee multi etnico, in cui gli abitanti di molteregio ni non rientravano nel concetto distato nazionale (un paese, un popolo):i ma suri, per restare a questo esempio,

non sono né polacchi né tedeschi, maquesto all’epoca contava poco, perchéper far “funzionare” l’idea di stato na -ziona le i masuri vennero improvvisa-mente considerati tedeschi. Si trattòsoprattutto di una questione di numeri,di lotta per il potere, e quando la se -conda guerra mondiale si concluse, imasuri furono costretti a lasciare laPolonia, a meno di non rinunciare allapropria identità e diventare polacchi.Queste persone, dunque, si spostaronoin mi lioni verso un territorio occupato,che sarebbe poi diventato la RFT, e di -vennero stranieri in questa nuova na -zione. La differenza principale con isiriani che oggi abbandonano la pro-pria patria è che i masuri vennero con-siderati “locali”, persone della stessacultura e quindi della stessa nazione,anche se non lo erano.Un altro gruppo di stranieri furono an -che i cosiddetti “reduci dell’ultima ora”:prigionieri di guerra che furono rila-sciati dai campi di lavoro e tornarononel luogo che avevano lasciato un de -cennio primo, ma solo per scoprire cheadesso facevano parte di un paese cheall’epoca non esisteva, e i cui usi e co -stumi apparivano sconosciuti. La gentegli dava il benvenuto e li commiseravaper le tante sofferenze vissute, ma sisentirono mai veramente a casa?Il cinema naturalmente sapeva tuttoquesto. Infatti l’Heimatfilm, il generepiù importante dei primi anni del do -poguerra, è un tentativo di inquadrarequesta situazione. Cosa s’intende perHeimat? La madre patria, il suolo natio,le radici culturali, un miscuglio di tuttoquesto o qualcos’altro di diverso? È unaentità geografica o uno stato mentale?

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Qualcosa che si può portare con sé?L’Heimat si può ritrovare in un altroluogo? Diversamente da come il genereviene descritto di solito, l’Heimatfilmnon fu, almeno all’inizio, un genere se -gnato dall’armonia e dalla gioia, dove laforesta vergine, i prati, le eriche, le pa lu -di e le spiagge offrivano agli occhi, alleorecchie e agli animi un po’ di pa ce, oalmeno il respiro necessario per rinfran -carsi dalle fatiche legate alla ricostru-zione di una superpotenza industriale.L’Heimatfilm fu invece un cam po dibattaglia dove si dibattevano i problemifondamentali del momento: chi siamonel mondo esattamente? e dove? Ma, so -prattutto, chi? Si deve tener presenteche l’Heimatfilm trova le sue radici inuna letteratura nazionale che risale aiprimi decenni dell’industrializzazio-ne: una letteratura che ricorda, spessonostalgicamente, un modo di vivereormai scomparso. Anche questa produ-zione poteva avere connotazione poli-tiche molto variegate: persona lità con-servatrici e reazionarie come LudwigGanghofer ne usavano i motivi e i to -poi, ma lo stesso faceva un educatorepopolare e anticlericale come l’austria -co Ludwig Anzengruber. Prima del 1945,i romanzi di questi due autori eranogià stati filmati spesso, tanto che i loroadattamenti costituivano già una speciedi genere a sé. L’Heimatfilm aggiunsequindi altri esemplari, e anche se spessoquesti film (come molti altri di diversaderivazione) rassomigliavano ai prece-denti adattamenti, qualcosa di fonda-mentale era però cambiato: l’idea diun’Heimat si era offuscata, macchiata,corrotta, perché la Germania non erapiù un luogo in cui sentirsi a proprio

agio. E in queste storie di personaggiche si sforzano di simulare che tutto siarimasto identico a prima, tutto sembrasospettosamente teso, camuffato, comecompresso in un’armatura più spiritua-le che fisica: i paesaggi spettrali sfuggi-ti alla distruzione, in cui gli uomini nonsono stato toccati dalla guerra, maanche questa società in cui le donnesono giovani e gli uomini spesso dimezza età (una realtà di quegli anni: igiovani troppo spesso erano morti o inprigionia, per cui le donne dovevanoadattarsi a compagni che più di qual-che volta avevano l’età dei loro padri).In mezzo a questi film, a questi raccon-ti ma anche al loro pubblico, i milionidi rifugiati dovevano trovare uno spa-zio per sé e per le proprie traumatichenevrosi. Esattamente come i soldati chetornavano non a casa, ma in un paeseche bisognava far proprio, così visseromilioni di rifugiati, e tante altre personealiene, che non è facile classificare conetichette così univoche. Nella ricerca diun Heimat che sarebbe andata perdutadi nuovo nel novembre 1989...

HERZ DER WELT

Regia: Harald Braun; sceneggiatura: H.Braun, Herbert Witt; fotografia: RichardAngst; montaggio: Claus von Boro; mu -sica: Werner Eisbrenner; interpreti: HildeKrahl, Dieter Borsche, Werner Hinz,Mathias Wieman, Dorothea Wieck, PaulBildt; produzione: NDF; origine: RFT,1952; formato: 35mm, b/n; durata: 91’.Copia 35mm da NDF, per concessionedi Beta Film.

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attore e un ideale super-umano di bel-lezza. La formula sternberghiana è adat -tata alla retorica dei tempi. Il risultatonon è dissimile, con un po’ più di intel-ligenza, dalla provincia “estetica” deivari Pandora e Contessa scalza».

Giuseppe Turroni, Quando mi sei vicino,«Filmcritica», n. 49, giugno 1955

SUCHKIND 312Regia: Gustav Machatý; soggetto: dal ro -manzo di Ulrich Horster; sceneggiatura:Werner P. Zibaso, G. Machatý; fotogra-fia: Otto Baecker; montaggio: HerbertTaschner; musica: Bernard Eichhorn; in -terpreti: Inge Egger, Paul Klinger, IngridSlimon, Heli Finkenzeller, AlexanderKerst; produzione: Unicorn Film; origi-ne: RFT, 1955; formato: 35mm, b/n;durata: 95’.Copia 35mm da DIF, per concessione diBeta Film.

«In uno dei molti film tedeschi recentiche trattano con una quasi commoven-te mancanza d’impegno un soggetto dibruciante attualità, c’era una scenastraordinaria: durava forse un minuto,non si conformava allo stile generaledel film, ma era di una forza visiva e diun potere di sintesi simbolica, quali daalmeno due decenni non si ritrovavanopiù in un film tedesco. Una ragazzinafugge di notte da una scuola attraversolunghi corridoi, per le scale buie e ungiardino fantasmagorico, crollando poicon un urlo nella strada, sotto un ma -nifesto mezzo strappato dal vento, cheammonisce contro la morte per inci-dente stradale e su cui uno scheletro si

sta come gonfiando. Sono qui riunite, inun unico quadro simbolico, in questepoche inquadrature in cui il montag-gio era del resto pregiudicato da taglicommerciali, la paura latente dell’uomocontemporaneo in continuo pericoloper la meccanizzazione del mondo del -le cose, e un’atmosfera che sembravatolta di peso dalla grande epoca delcinema tedesco muto. Il regista di que-sto film, Si ricerca il bambino n. 312, sichiama Gustav Machatý. Ben pochi tragli spettatori, leggendo questo nomenei titoli di testa, avranno collegato alui immediatamente alcune delle operefondamentali dell’avanguardia cinema-tografica europea di oltre un quarto disecolo fa: Erotikon, Dal sabato alla do -menica, e soprattutto Estasi [...]. Seianni fa, Machatý tornò in Germania,pieno di idee, di piani, di progetti nuo -vi. Ma, a parte alcune rarissime ec ce -zioni, il cinema tedesco occidentale deldopoguerra è letteralmente diventatouna “fabbrica di sogni” che producepillole di sonnifero per lo spettatore.Machatý ebbe l’incarico di scrivere lasceneggiatura per il film Avvenne il 20luglio, girato da G.W. Pabst; ma anchequi ebbe molta fortuna. Infine, recente-mente, una casa di produzione gli affi-dava la sceneggiatura e la regia del filmSi ricerca il bambino n. 312, tratto daun romanzo di molto successo uscito apuntate su un periodico illustrato. Ilsoggetto era tale da attrarre un registadi classe: bambini senza casa, sperduti,portati via da stranieri; bambini cheaspettano invano il papà e la mamma;sono ricoverati in asili, sono ben tenu-ti, sani, ma sono privi di affetto, ridot-ti a numeri scritti in uno schedario.

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«Un film “neo-realista” dentro un filmbolsamente teutonico con molte pretesesimboliche. Vanno d’accordo? Neancheper sogno, neanche nel sogno doloro-so della piccola Eva, la dolce e indifesaeroina di entrambi i film. Il film “neo-realista” (mi raccomando le virgolette),che il diabolico director Tornau, unoSternberg alla rovescia, sta girando sul -la vita vera di una comparsa, è la rima-sticatura del più dozzinale e indigestocronachismo: un film “ripreso dalla re -altà così com’è” [...]. L’altro film, quellonon neo-realista, si appunta sul drammapsicologico di una fragile donna, EvaBerger, la comparsa chiamata a riviverein un film la sua triste storia comune:una creatura che sa di fumetto e di let-teratura da poco ma che l’arte squisitae sensibilissima, ricca di abbandoni e ditremori adolescenti, di Maria Schell ècapace di far vibrare di sincere emozio-ni. Satanico tout court, Tornau, cogli oc -chiali al nerofumo e il vestire da dandy(da noi questi tipi esigono di esserechiamati dott. anche se non lo sono),spinge giorno per giorno, con calcolatosadismo Eva a ri-soffrire tremendamen-te la propria parte: Eva soffre, declina,patisce, se ne va in lagri me, ha incubinotturni – finisce con l’innamorarsi delsuo aguzzino, sta per ripetere, a causadi questo sogno difficile e turbato, unprimo errore commesso ai dan ni delgiovane marito. Il regista esige ch’ellalo ripeta: se ne av vantaggerebbe l’artedel cinema. [...] Come si vede, echi di“neo-realismo” d’accatto si mischiano asimbolismi fa cili (molto “materiale pla-stico”: il treno, gli occhiali neri, lo spec -chio, ecc.), a una trascrizione stern ber -ghiana del re gista medium tra il suo

«L’Austria si è presentata [a Cannes] conun solo lungometraggio diretto daWolfgang Leibeneiner: Der Weibsteufel(L’indemoniata); protagonista è HildeKrahl, presente al Festival anche in unaltro film tedesco, Herz der Welt, e allaquale, meritatamente, sarebbe stato pos -sibile assegnare il premio per l’inter-pretazione femminile. Questa pellicolaaustriaca, pur essendo finissima di de -scrizioni e dandoci una magica fotogra-fia del Tirolo, rimane tuttavia un dram-mone popolare a forti tinte [...]. Né sisalva dalla mediocrità il pretenziosoHerz der Welt (Cuore del mondo) diHarald Braun e Herbert Witt, deciso amostrarci gli sforzi della ultra pacificaBerta von Suttner, in un’Europa bellici-sta e militarista. Che la Germania vogliarifarsi una verginità pacifista con similipellicole, può suonar falso ad orecchieabituate a rombi di guerra. Il film inol-tre è costruito nel modo pesante, lentoe farraginoso di tutti i dignitosi film sto-rici tedeschi».Alfredo Di Laura, Panorama, «Filmcritica»,

n. 14, maggio-giugno 1952

SOLANGE DU DA BISTQUANDO MI SEI VICINO

Regia: Harald Braun; sceneggiatura: Jo -chen Huth; fotografia: Helmut Ashley;montaggio: Claus von Boro; musica:Werner Eisbrenner; interpreti: MariaSchell, O.W. Fischer, Hardy Krüger,Brigitte Horney, Mathias Wieman, PaulBildt; produzione: NDF; origine: RFT,1953; formato: 35mm, b/n; durata: 103’.Copia 35mm da Deutsche Kinemathek,per concessione di Beta Film.

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c’è nessuna ricompensa nel ritorno, maal contrario, mentre le parate militariproseguono, siamo sopraffatti da visio-ni di orrore».Christoph Huber, The Simmel Complex, inClaudia Dillmann, Olaf Möller (a cura di),

Beloved and Rejected: Cinema in theYoung Federal Republic of Germany

from 1949 to 1963, Deutsches Filminstitut, Frankfurt am Main, 2016

NACHT FIEL ÜBER GOTENHAFENLA STRAGE DI GOTENHAFEN

Regia: Frank Wisbar; sceneggiatura: F.Wisbar, Victor Schüller; fotografia: ElioCarniel, Willy Winterstein; montaggio:Martha Dübber; musica: Hans-MartinMajewski; interpreti: Sonja Ziemann,Gunnar Möller, Erik Schumann, BrigitteHorney, Mady Rahl, Wolfgang Preiss;produzione: Deutsche Film Hansa; ori-gine: RFT, 1960; formato: 35mm, b/n;durata: 99’.Copia 35mm da DIF, per concessionedi Beta Film.

«Nel 1957 Wisbar gira U-Boat 55, il cor-saro degli abissi, primo film di una tri-logia di grande successo dedicata allaSeconda guerra mondiale. Wisbaraffronta invariabilmente i traumi cheavevano sollevato particolare interessenel periodo post-bellico: il destino deisommergibilisti in U-Boat 55, l’assurdosacrificio richiesto da Hitler ai militari inStalingrado (1959), e la tragedia deidispersi nel catastrofico La strage diGotenhafen (1960). Tutti e tre i filmadottano un “dinamico stile giornalisti-co da documentario”, che va ben oltrel’inserimento di materiali cinegiornali-

stici all’interno della narrazione. I feritiche in Stalingrado ascoltano il discorsodi Goring sulle Termopili, come anchel’arrivo della Gestapo che in La stragedi Gotenhafen cerca gli ebrei sotto losguardo passivo dei protagonisti, sonomomenti in cui la realtà dell’Olocaustosi insinua nel discorso vittimistico sotte-so ai film, evidenziando un’amnesiastorica che rischia di diventare ombeli-cale. In questo senso, Wisbar accettauna collisione estetica e, al contrario diquanto sostengono altri critici, non fanessun tentativo di armonizzare le se -quenze documentaristiche con quellericostruite».

Fabian Schmidt, Person Unknown, inClaudia Dillmann, Olaf Möller (a cura di),

Beloved and Rejected: Cinema in theYoung Federal Republic of Germany

from 1949 to 1963, cit.

DURCHBRUCH LOK 234Regia: Frank Wisbar; sceneggiatura:Gerhard T. Buchholz; fotografia: BertMeister; musica: Bernard Adamkevitz,Peter Laurin; interpreti: Erik Schumann,Maria Körber, Helmut Oeser, HansPaetsch, Herbert Fleischmann, Katha -rina Mayberg; produzione: Profil-Film;origine: RFT, 1963; formato: 35mm, b/n;durata: 85’.Copia 16mm (da 35mm) da Bundes -archiv-Filmarchiv.

«I titoli più rivelatori, in questa ultimafase post-bellica della carriera di Wisbar,sono Barbara – Wild wie das Meer(1961) e Durchbruch Lok 234 (1963).Con Durchbruch Lok 234, Wisbar rie -sce ancora una volta a sollecitare una

Avrebbe potuto diventare un film sultipo di È accaduto in Europa di GézaRadványi, la ballata di un destino subi-to senza colpa e un’accusa alla politicadegli adulti, responsabili di questeanime soffocate di bambini. Però tuttoquesto, nella “fucina di evasione” cheera la Germania 1956, sarebbe statotroppo realistico; e così il problemadovette essere inserito in uno dei soliticonflitti coniugali obbligati a triangolo,e fu sommerso dalla retorica lacrimoge-na così frequente nel cinema tedescoattuale».

Ulrich Seelman-Eggebert, Quando suonerà il telefono bianco per Gustav

Machaty?, «Film», n. 9, 1955

DER ARZT VON STALINGRADIL PRIGIONIERO DI STALINGRADO

Regia: Radványi Géza; soggetto: dalromanzo di Heinz G. Konsalik; sceneg-giatura: Werner P. Zibaso; fotografia:Georg Krause; montaggio: René LeHénaff; musica: Siegfried Franz; inter-preti: O.E. Hasse, Eva Bartok, HannesMessemer, Mario Adorf, Walther Reyer,Vera Tschechowa; produzione: WalterTraut per Divina-Film; origine: RFT,1958; formato: 35mm, b/n; durata: 110’.Copia 35mm da Goethe-Institut, perconcessione di Beta Film.

«Una settimana prima dell’uscita di Cie -lo senza stelle [1955], inizia il “ritornodei diecimila”, ovvero il rimpatrio degliultimi prigionieri di guerra dall’UnioneSovietica, concordato durante la visita aMosca di Adenaur. L’ultima pagina delromanzo di Konsalik, Der Arzt von

Stalingrad, evoca questo momento co -me un evento incredibile, mentre il filmne amplifica l’effetto collocando la sce -na all’inizio, ancora prima dell’appari-zione di O.E. Hasse nei titoli. Entrambele versioni sono unite dal medesimosegreto del loro successo: un ritrattodella libertà da riguadagnare, “della re -sponsabilità di essere uomo”. Un’iden -tità che non può però essere messa indiscussione: “Non sono un eroe, sonoFritz Bohler di Wurzburg...”, come reci-ta il monologo di Hasse, andando drit-to al cuore del discorso rassicurante diKonsalik. [...] Il romanzo diventa schi-zofrenico quando ritrae i sovietici, trat-teggiandoli come bestie subumaneassetate di sangue tedesco, ma trovan-do nelle genti dell’Est una disposizionein fondo amichevole. La parte più inte-ressante è la relazione fra il medicorusso “purosangue” e i suoi colleghitedeschi, che include stupri e tentatividi suicidio: un inestricabile complessosadomasochista che diventa l’apoteosidella furia di Konsalik, priva di qualsia-si freno stilistico. L’adattamento cine -matografico di Géza von Radvanyiinvece è incommensurabilmente piùequilibrato. La relazione a tre fra tede-schi e russi diventa un melodramma dimorte, dove la seconda storia d’amorecon una delicata donna russa vienetraslata nel destino del bambino: l’im-magine del bambino malato, che percontrappunto rivela un talento musica-le, come tanti personaggi condannati diquesti film degli anni ’50, diventa il ful-cro della salvezza, mentre la storia deltraditore (Siegfried Lowitz) ci comunicaall’opposto la dedizione del dottore. Ilfinale è abbastanza sorprendente: non

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ampia reazione da parte della stampa. Iparallelismi fra la storia vera di questafuga dalla DDR e la fuga dalla Germa -nia dello stesso Wisbar sono impossibilida ignorare, perché il motivo dell’eva-sione per scelta diventa uno degliaspetti idealizzati di questo film auto-biografico. Ironicamente, però, è pro-prio questo aspetto della libera sceltache i giornalisti dell’epoca criticaronoper una presunta inconsistenza dram-matica e ancor più ideologica. È inte-ressante inoltre notare che Wisbar per-mette stavolta al suo eroe di trionfaresenza incorrere nel sacrificio».

Fabian Schmidt, Person Unknown, inClaudia Dillmann, Olaf Möller (a cura di),

Beloved and Rejected: Cinema in theYoung Federal Republic of Germany

from 1949 to 1963, cit.

CONVERGENZE PARALLELE

OGGI A BERLINO

Regia: Piero Vivarelli; sceneggiatura: P.Vivarelli, Giuseppe Isani, GoffredoParise; fotografia: Gianni Narzisi; mon-taggio: Nino Baragli; musica: ArmandoTrovajoli; interpreti: Helmut Griem, Na -na Osten, Erina Torelli, Vittorio Puglie -se, Enrico De Boccard, Pietro Sharoff,Annalise Wurtz; produzione: AntonioCervi per Compagnia CinematograficaCervi/Cineriz; origine: Italia, 1962; for-mato: 35mm, b/n; durata: 91’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«In Oggi a Berlino (1962), la macchinada presa di Piero Vivarelli salta da Ber -lino Ovest a Berlino Est con un’affasci-nante pigrizia. Non mancano i cliché:

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Dalla pietà all’amoreluci al neon, belle donne, feste, occa-sioni economiche e spietata burocraziada un lato; rovina e desolazione dall’al-tro. Tutto, in ogni caso, offre l’occasio-ne per rapidi bozzetti popolari: soldatidi stretta osservanza, genitori ottusa-mente politicizzati, libertini superficiali,gruppi di potere che rimpiangono ilvecchio regime, una ragazza catatoni-ca... L’unico personaggio che interessadavvero Vivarelli è Hans. Un giovane,brillante edonista che saltella in girocon un atteggiamento alla Jean-ClaudeBrialy, cercando piacere e libertà maimbattendosi nel Muro. Il film, il suoprotagonista e anche la sua colonnasonora jazz diventano progressivamen-te sempre più amari, mentre appareevidente che l’impolitico Hans non haaltra scelta se non quella estremamentepolitica di contraddire il proprio rifiutodelle ideologie. Una personificazionedella nuova Germania? Non esattamen-te. Di una nuova gioventù europea?Forse, ma ancora di più un autoritrattodello stesso Vivarelli, regista, scrittore,giornalista e pioniere dell’industria mu -sicale che ha condotto una vita picare-sca in nome della libertà, rifiutando lerigide barriere ideologiche».Marco Grosoli, The Professor, The Tourist,and The Bombshell, in Claudia Dillmann,

Olaf Möller (a cura di), Beloved and Rejected: Cinema in the Young

Federal Republic of Germany from 1949 to 1963, cit.

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UMANITÀ

Regia: Elvira Giallanella; soggetto: da unracconto di Vittorio Emanuele Bravetta;produzione: Liana Film; origine: Italia,1919; formato: 35mm, col.; durata: 35’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Introdotto da una didascalia che lopresenta come un lavoro “umoristico-satirico-educativo”, il film ha per pro -tagonisti due bambini, Tranquillino eSerenetta. Durante la notte i piccoli sialzano e mentre la bambina va a ruba-re nel vaso della marmellata, il ma -schietto si dedica alle sigarette di papà.Il fumo provoca a Tranquillino un so -gno angoscioso: il mondo è stato di -stru to da una terribile guerra e a luitocca il compito di rifarlo. Le scene suc-cessive mostrano Tranquillino che ri -percorre gli errori accumulatisi nellastoria dell’umanità: in effetti anche sca-vando in profondità e addentrandosinegli strati più remoti della storia del-l’umanità, il ragazzo non riesce a trova-re altro che armi e segni di conflitto...[...] Tratto da un racconto per ragazzi diVittorio Emanuele Bravetta, in versi eimpreziosito da illustrazioni a colori diGolia, Umanità è l’unica regia di ElviraGiallanella, figura tanto interessantequanto, per il momento, perfettamentemisteriosa. [...] Il film avrebbe dovutoessere il primo titolo di “un vasto pro-gramma di lavoro, che comprendegrandi films di intreccio o di ricostru-zione storica e films per bambini, lequali saranno interpretate da bambini”.Ma il progetto di Giallanella sembraessersi interrotto dopo Umanità, filmsenza paragoni nella produzione coe -

va, tentativo singolare di una donna ditestimoniare e trasmettere attraverso ilcinema il proprio impegno contro laguerra».

Monica Dall’Asta, Non solo dive. Pionieredel cinema italiano, Il Profumo delle

Parole, Bologna, 2007

GLI ULTIMI GIORNI DELL’UMANITÀ

Regia: Luca Ronconi; soggetto: dal testoteatrale di Karl Kraus; traduzione: Er -nesto Braun e Mario Carpitella; fotogra-fia: Enzo Ghinassi; montaggio: MarioGioia; produzione dello spettacolo tea-trale: Teatro Stabile di Torino Lingottosrl; produzione della versione televisiva:Rai; origine: Italia, 1990; formato: vi -deo, col.; durata: 162’.Copia Blu-ray (da master video) da RAI.

«Assistere a questo spettacolo vuol direprovare al massimo grado il gusto delteatro. Qui non si guarda una rappre-sentazione: la si visita, o meglio, la siattraversa. Come un evento, come unaprocessione, una manifestazione dipiazza, una mostra d’arte. Qui non cisono né il comfort né i modi usuali delteatro tradizionale, platea di qua, pal-coscenico là. Del resto il testo stesso,frammentario e centrifugo, non consen-tiva un allestimento classico. È un’ope-ra fiume, dilagante e magmatica, dovenon c’è psicologia dei personaggi néuna drammaturgia organica. Un testo alconfine tra la tragedia e l’operetta dovela guerra è vista attraverso lo sguardodi una stampa dissennata, faziosa eubriaca di slogan e di delirio biblico. Ipersonaggi di Kraus sono quegli stessi

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IL CARNEVALE DI NIZZA DEL 1910 Regia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1910; formato: 35mm, b/n;durata: 6’ (a 16fps).Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

LA FAMIGLIA REALE NELL’INTIMITÀ

Regia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1911; formato: 35mm, b/n;durata: 8’.Copia DCP (da 35mm) da CSC-CinetecaNazionale (digitalizzata da La Cinetecadel Friuli).

LA GUERRA ITALO-TURCARegia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1911; formato: 35mm, b/n;durata: 3’ (a 16fps).Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

[VITA DI ASCARI ERITREI] Regia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1912; formato: 35mm, b/n;durata: 14’ (a 18fps).Copia 35mm da AIRSC depositata inCSC-Cineteca Nazionale.

LA PRESA DI ZUARARegia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1912; formato: 35mm, b/n;durata: 23’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

[ESERCITO ITALIANO: PLOTONE NUO-TATORI DI CAVALLERIA] Regia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1912; formato: 35mm, b/n;durata: 15’.Copia 35mm da AIRSC depositata inCSC-Cineteca Nazionale.

LAGO D’ISEORegia e produzione: Luca Comerio; ori-gine: Italia, 1913; formato: 35mm, b/n;durata: 6’.Copia DCP (da 35mm) da CSC-CinetecaNazionale (digitalizzata da La Cinetecadel Friuli).

EXCELSIOR!Regia: Luca Comerio; soggetto: dallapiéce Ballo Excelsior di Luigi Manzotti;musica: Romualdo Marenco; costumi:Caramba [Luigi Sapelli]; interpreti: Vit -torina Galimberti, Armando Berruccini,Eugenia Villa; produzione: Luca Come -rio, Lorenzo Sonzogno; origine: Italia,1911; formato: 35mm, b/n; durata: 18’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Il grande erede milanese dei Lumièrecoglie l’immagine più flagrante delleguerre (coloniali e mondiale), irruzionidella morte e del reale in un universodi mascherate e di balli Excelsior. L’aves -se conosciuto Guy Debord!» (s.g.g.)

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guerra che precipita al suolo, un inci-dente capitato alla Lisi; un arresto perfurto (nei riguardi della controfigura diRod Steiger, un culturista udinese diprofessione macellaio); la Lisi in vacan-za a Lignano».

Livio Jacob, Carlo Gaberscek, Il Friuli e il cinema, La Cineteca

del Friuli, Gemona del Friuli, 1996

ZUMA

Regia: Baldassarre Negroni; soggetto:Augusto Genina; interpreti: Hesperia,Ignazio Lupi, Leda Gys, Augusto Ma -stripietri, Pina Menichelli, Bruno Castel -lani; produzione: Cines; origine: Italia,1913; formato: 35mm, b/n; durata: 35’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

Da una copia del film e dalla pubblici-tà Cines: «Al villaggio di Colfiorito, ame -no luogo di villeggiatura, arriva, perfare spettacolo, una carovana di noma-di, di cui fa parte una giovane sudane-se, Zuma, che distribuisce il program-ma per le strade. Alla sera il tendone ègremito e sono presenti anche i contiFossi. Dietro le quinte, Lucas, il capo-carovana, maltratta Zuma. Nella notte,la giovane fugge e chiede aiuto al ca -stello dei conti Fossi, che l’assumonocome cameriera e liquidano Lucas, ve -nuto a reclamarla, con una somma didenaro. La generosità della contessaClaudia conquista il cuore di Zuma. [...]Zuma trova in un baule un ritratto delpadrone e lo porta in camera sua. Ognisera lo contempla di nascosto, scopren-do in sé un sentimento fino ad alloraignoto: è innamorata. E anche il conte

non è insensibile alla sua bellezza. MaZuma, piuttosto che tradire la fiduciadella sua benefattrice, una sera che incasa dei conti Fassi si dà una festa, siesibisce in una danza esotica con unserpente, facendosi alla fine morderedal pericoloso rettile. La riconoscenzadella schiava sacrifica l’amore delladonna».

SCIPIONE L’AFRICANO

Regia: Carmine Gallone; sceneggiatura:C. Gallone, Camillo Mariani Dell’An -guillara, Sebastiano A. Luciani; fotogra-fia: Ubaldo Arata, Anchise Brizzi; musi-ca: Ildebrando Pizzetti; montaggio:Osvaldo Hafenrichter; interpreti: An -nibale Ninchi, Carlo Lombardi, CarloNinchi, Diana Lante, Camillo Pilotto,Fosco Giachetti, Francesca Braggiotti,Isa Miranda, Memo Benassi; produzio-ne: Consorzio Scipione/ENIC; origine:Italia, 1937; formato: 35mm, b/n; dura-ta: 117’. Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Attraverso il “colosso” diretto da Gal -lone [...] si volevano dichiaratamentecelebrare i fasti di due imperi, di dueciviltà, di due conquiste: quella dell’an-tica e della nuova Roma. Le si volevamettere a confronto facendo in modoche il successo dell’una si riverberassesull’altra. Si voleva, in particolare, cele-brare la titanica personalità di due con-dottieri, Scipione e Mussolini, che in dueperiodi diversi e incommensurabilmen-te lontani, avevano compiuto un’impre-sa simile. [...] Il progetto di un film diproporzioni mai viste prese l’avvio

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cia, 1967; formato: 35mm, col; durata:103’. Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Venzone, la cittadella medioevale incui vennero realizzate le scene piùimportanti di Addio alle armi e dellaGrande guerra, fu completamentedistrutta dai terremoti del 6 maggio edel 15 settembre 1976. La cittadina, oraricostruita pressoché uguale a primadel disastro, con le sue storiche archi-tetture che tanto affascinarono DavidO. Selznick, John Huston, Mario Moni -celli e Dino De Laurentiis, era diventatauna specie di teatro di posa perma -nente, un luogo ideale ove ambientarefilm legati al primo conflitto mondiale.Infatti fu utilizzata dal cinema altre duevolte e dallo stesso regista, PasqualeFesta Campanile, che vi diresse La ra -gazza e il generale nel 1966 e Porcavacca! nel 1982 (un rifacimento allalontana del film di Monicelli, il cui ti -tolo di lavorazione fu appunto Grandeguerra, piccoli uomini). Per quest’ulti-ma pellicola furono le macerie del dopoterremoto a fare da sfondo alle tragico-miche vicende del film. La ragazza e ilgenerale, una co-produzione italo-fran-cese ideata da Carlo Ponti, fu girato frala fine di giugno e i primi di luglio del1966 in varie località friuliane (Venzo -ne, Val Resia, Pissebus – fra Amaro eTolmezzo –, Pertegada, Palazzolo delloStella, Cividale, Latisana), sul Carso, neidintorni di Pese, e in Val Rosandra, sul-l’altopiano triestino. [...] Le riprese del film La ragazza e il gene-rale furono circondate da una serie dieventi collaterali: un vero aereo da

viennesi che vivevano la guerra comeun fatto estetico, “uomini senza quali-tà”, inetti e ciechi, soldati in abito da se -ra, damerini in elmetto e fucile. Krausstesso, che non concesse né a MaxReinhardt né a Erwin Piscator l’autoriz-zazione a rappresentarlo, sosteneval’improbabilità scenica del suo testo acausa della lunghezza spropositata: 156ore di rappresentazione in circa 10 gior -ni. Un’impresa impossibile. Ho fatto deitagli riducendo il materiale di un ter-zo. E ho spezzato l’unità d’azione e ditempo. Ne sono venute fuori “solo” 18ore di spettacolo che la simultaneità deivari quadri, consente di rendere in treore. Lo spettatore che sarà al centrodell’azione, passeggiando tra le diverseribalte sceniche, potrà trovarsi di voltain volta sull’Isonzo o sul fronte di Ga -lizia, al capezzale di soldati feriti o alcaffè Greinsteidl, prediletto dagli intel-lettuali viennesi, in una piazza vocife-rante di strilloni o nelle redazioni di unquotidiano fazioso».

Luca Ronconi, «Grazia», 29 novembre 1990

LA RAGAZZA E IL GENERALE

Regia: Pasquale Festa Campanile; sog-getto: P. F. Campanile, Massimo Fran -ciosa; sceneggiatura: P. F. Campanile,Luigi Malerba; fotografia: Ennio Guar -nieri; musica: Ennio Morricone; mon-taggio: Jolanda Benvenuti; interpreti:Rod Steiger, Virna Lisi, Umberto Orsini,Marco Mariani, Jacques Herlin, Valenti -no Macchi; produzione: Carlo Ponti perCompagnia Cinematografica Champion/Les Films Concordia; origine: Italia/Fran -

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gine brucia. “Perché piangi Scipione?”.“Penso che una sì grande sciagura po -trebbe toccare un giorno anche a Ro -ma” (277). [...] Se si vuole fare un filmsugli sfortunati difensori di Cartagine,che siano almeno risparmiate ai Roma -ni le gratuite accuse di... mangiatori dicarne cruda e cavatori di occhi! Ciò nonsolo per carità di Patria, ma anche inconsiderazione del fatto che il film (chesarà di coproduzione italo-francese)sem bra destinato ad una vasta diffusio-ne sui circuiti esteri (compreso quelloinglese e quello americano)».

CONVERGENZE PARALLELE

A MODERN HERO

Regia: Georg Wilhelm Pabst; soggetto:romanzo di Louis Bromfield; sceneggia-tura: Gene Markey, Kathryn Scola; foto-grafia: William Rees; montaggio: JamesGibbon; interpreti: Richard Barthelmess,Jean Muir, Marjorie Rambeau, VerreeTeasdale, Florence Eldridge, DorothyBurgess; produzione: Warner Bros.; ori-gine: USA, 1934; formato: 35mm, b/n;durata: 71’.Copia 16mm (da 35mm) da La Cinetecadel Friuli (Fondo GEH).

«A Modern Hero era un progetto degnodel talento di Pabst, e si può ragione-volmente supporre che il copione lointeressasse. È la storia di un industria-le americano che costruisce la propriafortuna partendo da un circo proletarioe arrivando alle sfere dell’alta finanza.Contrariamente alla mitologia diHoratio Alger secondo cui l’impero

capitalista nasce dal duro lavoro e dal-l’onesta fatica, l’eroe moderno immagi-nato da Bromfield raggiunge il benes-sere applicando spietatamente i princi-pi del profitto contro i suoi stessi soci esfruttando sessualmente le donne chefinanziano la sua scalata al successo.Nonostante il romanzo contenga da unlato un approccio anti-intellettuale edall’altro una coloritura anti-semita, glielementi sociali e psico-sessuali dellastoria dovevano senz’altro attrarrePabst. Si trattava esattamente del tipo diracconto che ha sempre affascinato gliartisti europei trapiantati in America,come appare evidente anche dal pro-getto di Ejzenstejn dedicato a Sutter svi-luppato pochi anni prima per laParamount. La Warner Bros, però, nonaveva intenzione di lasciare che Pabstalterasse il copione. [...] In termini distile, A Modern Hero è abbastanzadiverso dai film europei di Pabst. Il trat-to più notevole è l’estrema precisionedel montaggio, che unisce il tipicotaglio sul movimento sviluppato dalregista con il ritmo di taglio più svelto,caratteristico invece dello stile Warner,perfezionato nei gangster movies deiprimi anni ’30. Pabst riesce così a rac-cordare le numerose ellissi spaziali etemporali, creando una continuità tra-mite il movimento. [...] Nello stile cano-nico della Hollywood anni ’30, il ritmoviene accelerato attraverso il costantericorso al primo piano e ai piani diascolto, che Pabst utilizza invece menofrequentemente nei suoi lavori europei.Il primo piano, ovviamente, sottolineal’immedesimazione dello spettatore,strutturando lo sguardo del soggetto.Paradossalmente, rispetto alla tecnica

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dopo la vittoriosa impresa africana chepermise al fascismo di presentarsi nelconcerto internazionale come nuovapotenza imperiale. [...] Con queste pre-messe negative, risultarono falsati i“valori” che il personaggio di Scipionedoveva trasmettere dallo schermo.Così, a parte il risultato artistico piutto-sto modesto dell’interpretazione delprotagonista, vengono depotenziati, e avolte addirittura ridicolizzati, i momen-ti fondamentali, i caratteri simbolici e lecontinue allusioni alla storia presenteche l’opera di Gallone si proponeva dirappresentare. L’effetto propagandisti-co, di tutta la costosa operazione cheportò alla realizzazione del film, è com-promesso in partenza».

Pasquale Iaccio, Scipione l’Africano, unkolossal dell’epoca fascista, in P. Iaccio (acura di), Non solo Scipione. Il cinema diCarmine Gallone, Liguori, Napoli, 2003

CARTAGINE IN FIAMME

Regia: Carmine Gallone; soggetto: dalromanzo di Emilio Salgari; sceneggiatu-ra: C. Gallone, Ennio De Concini,Duccio Tessari; fotografia: PieroPortalupi; musica: Mario Nascimbene;montaggio: Nicolò Lazzari; interpreti:Pierre Brasseur, Daniel Gélin, AnneHeywood, Ilaria Occhini, Paolo Stoppa,José Suarez, Erno Crisa, Camillo Pilotto;produzione: Lux/Produzione Gallone/Lux C.C.; origine: Italia, 1959; formato:35mm, col.; durata: 110’. Copia 35mm da La Cineteca del Friuli(Fondo Hunsrück).

Dalla Revisione cinematografica pre-ventiva (aprile 1959): «La sceneggiatura

è tratta dal romanzo Cartagine in fiam-me di E. Salgari. La vicenda ha per pro-tagonisti uomini e donne di Cartagine,al tempo dell’assedio cartaginese (Sci -pione Emiliano, anno 146 a.C.) termi-nato con la distruzione della città (il“Delenda Carthago” di Catone). Tra ivari protagonisti cartaginesi figura unagiovane ragazza romana (Fulvia), capi-tata a Cartagine non si sa bene come, laquale ama pazzamente un eroe indige-no e si dà un gran da fare per salvarlo,infischiandosene altamente dei concit-tadini romani che stanno, invece, asse-diando la città. Se si toglie l’ambiente eil clima esterno: l’assedio delle legioniromane, il film potrebbe intitolarsiSandokan alla riscossa oppure La ven-detta dei Tuggs (et similia), che sarebbelo stesso. La vicenda, che ha per prota-gonisti un patriota fenicio, fuoriuscito, ilgrande sacerdote, il capo delle guardiesacre, Asdrubale ed altri tipi cartaginesi(oltre la sopraddetta romana Fulvia), sisviluppa nell’interno di Cartagine control’assedio romano. I romani, cioè, sono inemici. Essi sono “la stupida forza... Ègente abituata a mangiare carne cruda”(pag. 10). “Maledetti i romani. Tutti edue gli occhi hanno levato a Sarim”(pag. 209). Essi fanno strage e “colma-no i fossi con cadaveri e feriti” (pag.198). Essi “ignorano ogni promessa eogni patto” (pag. 200). Le truppe roma-ne sono, nel copione, denominate sem-pre “torme” (225, 226). Il console Sci -pione si vede due volte. La prima voltadice: “Preferirei affrontare Annibale suicampi si Zama, come mio zio, piuttostoche dover distruggere Cartagine” (130).La seconda volta, Scipione sta piangen-do come una femminetta mentre Carta -

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hollywoodiana abituale, l’uso del primopiano privilegia in questo film lo sguar-do femminile verso Paul, senza trovareuna reciprocità nel desiderio del prota-gonista. In quasi tutte le sue relazionicon le donne, Paul non riflette il lorodesiderio (che diventa anche quello delpubblico), perché il personaggio si ri -vela incapace di amare le donne. Que -sto significa che Pabst crea uno stileapparentemente fedele al linguaggioclassico, ma al tempo stesso ne sovvertele convenzioni, negando la possibilitàdi immedesimarsi con il protagonista».

Jan-Christopher Horak, G.W. Pabst inHollywood or Every Modern Hero Deserves

a Mother, «Film History», n. 1, 1987

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Corpi e luoghi

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Cinema di poesia, dal Friuli alla Sicilia

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OMAGGIO A MICHELE MANCINI

con la partecipazione di Jobst Grapow,Benedikt Reichenbach, Cristina Cristini,Ser gio M. Grmek GermaniSi sta preparando la nuova edizione ingle-se di uno dei libri di cinema più indispen-sabili pubblicati in Italia, Pier Paolo Paso -lini: corpi e luoghi (Theorema, Roma 1981),a cura di Michele Mancini e Giuseppe Per -rella. A Michele questo festival ha già dedi-cato un omaggio dopo la morte (che èforse sempre “prematura” ma che in questocaso lo è stata con particolare violenza),alla presenza di alcune persone vicine chein quest’occasione rivedremo, e a cui si ag -giungerà il promotore della nuova edizio-ne. Reichenbach e Grapow vogliono giu-stamente che essa diventi anche la primatappa di un libro-omaggio a Michele.

L’INCERTEZZA DELLA PASSIONE

• Presentazione della raccolta di scritti sulcinema di Paolo Gobetti, pubblicata comenumero speciale della rivista da lui fondata«Il nuovo spettatore», a cura dell’Archivio Na -zionale Cinematografico della Resistenza diTorino, per le edizioni Kaplan, Torino 2016,con la partecipazione di Paola OlivettiL’anno scorso abbiamo aperto il festivalcon il doppio programma proveniente dal -l’ANCR fondato da Paolo Gobetti, Il Ducea Trieste e la bella intervista realizzata daGobetti con l’anarchico triestino UmbertoTommasini; abbiamo proiettato inoltre ilfilm di Gobetti dedicato al padre Piero. Si ètrattato di una non prima ma comunqueinaugurale collaborazione con l’ANCR, dicui presentiamo quest’anno il volume dedi-cato al fondatore, proiettando alcuni branidalle interviste che in vari tempi l’archiviorealizzò con lui.• Presentazione del volume Memorie di uncinefilo di Nereo Battello, pubblicato dalPremio Amidei di cui è presidente, Gorizia2016, con la partecipazione dell’autore, e incollaborazione con l’ANAC

Altro volume di una persona attiva in ambi-to civile, ma la cui passione per il cinemaha percorso tutta la vita. Come con PaoloGobetti, possono dividerci varie scelte diquanto si ama (o si detesta) nel cinema, manelle differenze perdura la stima nel con-fronto tra individui, con quell’incertezza diogni passione senza la quale sbaglieremmoper primi.

L’INVENZIONE DEL REALE

• Presentazione del volume Invention duréel. Trois contes di Marc Scialom, illustra-zioni Mélik Ouzani, ed. Artdigiland, 2016,con la partecipazione via skype dell’autoreMarc Scialom, Premio Anno uno e in varieedizioni ospite del festival (l’anno scorsocon una conversazione via skype per pre-sentare il volume precedente presso lostesso editore, grazie alla fedele passione diSilvia Tarquini), l’autore torna con noi sep-pur a distanza. E torna in questo nuovovolume uno stretto collaboratore dei primifilm di Marc, l’amico artista Ouzani. Comein tutte le cose che Marc ha realizzato, cine-ma o libri, e stavolta sin dalla limpidadichiarazione del titolo, si riafferma la dan-tesca poetica del reale intrecciato con lasua invenzione. • Con un ricordo di Tommaso LabrancaBreve, istantaneo ricordo di uno scrittore dicui subito, durante la troppo breve colla-borazione con «Film TV», ci colpì la capaci-tà di eccedere mode e recinti di scrittura(quale la gestione al ribasso del trash: ter-mine cui solo lui poteva rendere una nuovavitalità). Andranno trattati in altro momen-to i suoi volumi quale quello dedicato a Ilvedovo di Dino Risi. Ma non potevamoomettere di ricordare la scomparsa di qual-cuno che, sempre più ai margini dei poteridella comunicazione, ci rammenta che lasublime dichiarazione in Nina di Minnelli(«il mondo venera gli originali») non erariconciliata col presente.

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glielmo Petroni e altri. Cottafavi è statoinoltre, nell’immediato secondo dopo-guerra, creatore di una importante sep-pur effimera casa editrice, la Migliaresi.La Cineteca ritiene perciò di dover dareforma organica alla riscoperta di figureche, care a questi luoghi, vanno vistefinalmente come personalità di rilievoeuropeo.Con la cura dello storico e critico del ci -nema Sergio M. Grmek Germani, e conl’auspicato crescente coinvolgimentode gli studiosi finora più attenti all’im-portanza di Angeli e degli eredi delloscrittore, la Cineteca del Friuli ha costi-tuito nel 2013 il Fondo Siro Angeli, cheha avviato una raccolta di volumi, rivi-ste, documenti cartacei, pellicole e vi -deo riguardanti l’attività di Siro Angeli edelle personalità che s’incrociarono conla sua opera, come quelle citate, a cuivanno aggiunti altri registi di cui egli fusceneggiatore e altri personaggi con cuis’incontrò nella sua attività di dirigenteRAI (tra cui Guido Botteri, che sosten-ne la realizzazione di Maria Zef comeprimo lungometraggio di finzione dellaTerza Rete).Nella convinzione che, pur nel distaccoche talvolta Angeli ha manifestato versola sua attività di sceneggiatore, il cine-ma possa essere, come è sua natura, uncatalizzatore di una più ampia dimen-sione artistica, il Fondo vuole riuniredocumenti e testi dell’intera opera diAngeli, senza con ciò sostituirsi ad altrebiblioteche ma proponendosi tuttavial’obiettivo della raccolta più ampia pos-sibile, come strumento di fruizione e distudio e come stimolo alla realizzazionedi ulteriori iniziative (rassegne con pro -iezioni, omaggi televisivi e in dvd) da

dedicare a una personalità creativa dariscoprire integralmente. Sono auspica-te anche nuove iniziative editoriali oltrela dimensione regionale e oltre i soli ca -noni friulani, per dare a Angeli quellostatuto di grande scrittore che le storiedella letteratura italiana e le antologie(con l’esemplare, e pressoché unica percostanza, attenzione di Giacinto Spa -gno letti) hanno colto troppo intermit-tentemente. E persino nelle antologiedi poesia religiosa Angeli sconta talvol-ta con l’omissione un percorso forsetroppo centrifugo.Un apporto generoso alla raccolta avvia -ta da Germani è già arrivato da Gian fran -co Ellero, Ermes Dorigo, Grazia Levi.Per la Cineteca del Friuli, il Fondo SiroAngeli si collega anche alla più ampiadocumentazione e alla sempre più sti-molante riscoperta del patrimonio delcinema italiano, dall’epoca del muto inpoi, con una particolare attenzione perl’opera di Luca Comerio, Augusto Ge-ni na (cui si dedica un altro Fondo),Mario Camerini e altri grandi autori. Es -so si collega inoltre ad altri due fondipresenti nell’archivio, quello dedicato aChi no Ermacora e quello donato dal cri -tico udinese Mario Quargnolo, che futra i più giusti recensori di Maria Zef;ma l’attenzione si amplia ad altre figuredella “piccola patria” friulana: GiuseppeMarchetti, Novella Cantarutti, MicheleGortani, David Maria Turoldo, GaetanoPerusini, e Pier Paolo Pasolini. Il ritrovamento di una realizzazione ra -diofonica di Angeli trasmessa a pocopiù di un mese dalle prime scosse inFriuli nel 1976 unisce la riscoperta diAngeli alla rievocazione dell’anniversa-rio di quel tragico evento.

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tardo ispirato a un classico della lettera -tura friulana, sin dalla lettura giovanileprogetto di Cottafavi, e nella cui realiz-zazione Angeli si mette in gioco siacome scrittore che come corpo d’attore,non temendo un diverso “revisionismo”,quello verso la tradizione cattolica ela comunità etnografica; e in mezzo ilperiodo di altri grandi capolavori, tramélo e film in costume (non ancora ilpeplum), tutti segnati dalla centralità dipersonaggi femminili, in un momentoche coincide tragicamente con la ma -lattia e la morte della prima moglie diAngeli nell’anno stesso in cui si gira ilpiù struggente dei funerali su schermo,quello della «signora delle camelie» in -terpretata da Barbara Laage. Con Cottafavi Angeli rientra in quel fer-tile gruppo amicale e creativo che riu -nisce anche il produttore Giorgio Ven -turini, regista a teatro di un paio di testidi Angeli e poi produttore di vari filmdi Cottafavi talvolta sceneggiati da An -geli. E vi convergono i grandi artigianidel cinema classico italiano, da un tec-nico delle luci come Arturo Gallea a uncompositore come Giovanni Fusco.Tutto ciò, come anche le attività in RAIsia di Angeli che di Cottafavi (che purpaiono svilupparsi autonomamente), se -gnala che di queste figure va finalmen-te attraversato l’intero percorso artistico,dentro il cinema ma anche nel teatro,nella poesia, nella narrativa, nella lorogenerale humus umanistica. Cottafavi èstato spesso regista di poeti: a Angeli eAverini si aggiungono nei suoi film tele-visivi Alfonso Gatto (autore di una pre-fazione a uno dei volumi di poesia diAngeli, e insieme a Giorgio Caproni trai primi ammiratori di Angeli poeta), Gu -

a) Il cinema, Barba Zef e noi

FONDO SIRO ANGELI PRESSO LA CINETECA

DEL FRIULILa Cineteca del Friuli ha ritenuto indi-spensabile dare un carattere più ampioe sistematico alla propria attenzionever so la figura di Siro Angeli (Cesclans27.9.1913 - Tolmezzo 22.8.1991), unaper sonalità artistica di cui, nonostante illavoro già svolto da alcuni studiosi, vaancora pienamente riscoperto il valore.Per chi si occupa di cinema, Angeli èsoprattutto cosceneggiatore e protago-nista del massimo film in lingua friulana,Maria Zef (1981) di Vittorio Cottafavi.Esso è però solo la punta dell’icebergnel rapporto di una vita tra Angeli eCottafavi, per il quale lo scrittore carni-co fu interprete in un brevissimo ruoloper Fiamma che non si spegne (1949) epoi collaborò alle sceneggiature di Unadonna ha ucciso (1952), Il boia di Lil-la (1952), Traviata 53 (1953) e Avanzidi galera (1954), il terzultimo e l’ultimocon la collaborazione di un’altra figurada riscoprire di questi luoghi, il monse-licese Riccardo Averini. Mentre il rap-porto di amicizia tra Cottafavi e Angeli,esteso alle consorti, si è sempre mante-nuto, la collaborazione diretta tocca pe -riodi particolarmente significativi delleloro opere e delle loro vite: il primofilm postbellico del regista, impropria-mente accusato politicamente di revi-sionismo ante litteram verso le vicendestoriche, in realtà una delle opere checon più genialità e libertà coniuganouniversale e contingente, e in cui il rap-porto di entrambi tra attività in periodofascista e attività resistenziale si rispec-chiano in uno sguardo sublime; il film

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Registrazione sonora (da master) daRAI (Fondo Siro Angeli alla Cinetecadel Friuli).

Con un riferimento nel titolo ai secondidi durata della scossa che il 6 maggio1976 ha distrutto una vita artistica e so -ciale di secoli, questa realizzazione èsolo a una prima impressione (dovu-ta a un’esecuzione un po’ convenzio-nale) troppo controllata. In realtà già lasorprendente vicinanza all’evento (cuiseguiranno purtroppo altre scosse) simette in contraddizione con l’impiantoenciclopedico verso la poesia e la can-zone delle villotte friulane, con splen-dida Miranda Martino quanto lo è lavoce principale del friulano e triestinoAntonutti (cui il menzionato amico, an -che del nostro festival, Guido Botteriha dedicato un volume monografico,con contributi anche dello scrivente, diprossima uscita per le edizioni Comu -nicarte/Alpe Adria Cinema). Era previ-sta dalla locandina del «Radiocorriere»l’ulteriore voce della friulana Carla Gra -vina, purtroppo decaduta per probabilidiversi impegni. A noi comunque l’esi-to di questa trasmissione appare mira-coloso nei suoi inevitabili scompensi,nella sua volontà di reagire alle distru-zioni evocando i morti che prendonoin mano le cazzuole per ricostruire coivivi... forse vi appare qualcosa di quel-la retorica metafascista che Angeli haattraversato e deviato negli anni ’30-’40(con altri che ci sono cari: Caracciolo,D’Errico...). Inoltre può sorprendere chequesta trasmissione prevalentemente inlingua friulana sia stata trasmessa suterritorio nazionale senza alcuna tradu-zione: ed è continuamente tesa in un

malgrado tutto felice, disidentitario, por -si tra il dirsi friulano e il dirsi italiano.(s.m.g.g.)

UN TERREMOTO PER TUTTI

Regia: anonimo; produzione: CEDI-Diocesi di Udine; origine: Italia 1977;formato: 16mm, b/n; durata: 19’.Copia 16mm da La Cineteca del Friuli.

La Cineteca del Friuli, nata in risposta alterremoto del 1976, ha raccolto moltimateriali notevoli sull’evento (solo inpar te già raccolti in edizioni dvd), e altrisi stanno ancora ricercando (tra cui unfilm di Giuseppe Taffarel). Vi sono leopere dell’amatore friulano Lauro Pit ti ni,quelle del veneto Enrico Mengotti, la pre -ziosa documentazione di Giulio Maurie Valeria Bombaci, i film sulla ricostru-zione del rimpianto triestino-ro manoGianni Menon e del veneto triestinizza-to Rodolfo Bisatti... Tra questi film, chemeriterebbero una proposta comples -siva, ci colpisce particolarmente il cor-tometraggio anonimo della Dio cesi diUdine, col suo spirito improntato dallaChiesa di Paolo VI, in cui quelle che fu -rono all’origine incertezze, indecisioniappaiono spesso grumi di consapevolecontraddizione (spingendo comunquel’irruzione roncalliana nella tradizione,in modo forse più appassionante dell’o -dierna “comunicatività” di Francesco).Questo piccolo, forse casuale film fi-glio di nessuno ci arriva oggi con unosguardo spoglio sulla catastrofe. Si ècostruito forse per caso anche il suo ti -tolo, ma oggi ci appare lungimirante,non solo rispetto ai sismi odierni, ma

più in generale verso le distruzioni cheoggi incombono nel mondo, non diver-samente da come negli anni ’20, con unaltro titolo emblematico, la splendidaElvira Giallanella di Umanità seppe in -sieme ricordare e presentire. (s.m.g.g.)

AVANZI DI GALERARegia: Vittorio Cottafavi; soggetto: Giu -seppe Mangione, Antonio Colasurdo;sceneggiatura: Siro Angeli, RiccardoAverini, Gigliola Falluto, G. Mangione;fotografia: Arturo Gallea; montaggio:Loris Bellero; musica: Giovanni Fusco;interpreti: Richard Basehart (voce Giu -lio Panicali), Valentina Cortese, EddieCostantine (voce Emilio Cigoli), FloraLillo (voce Lydia Simoneschi), WalterChiari, Antonella Lualdi (voce Maria PiaDi Meo), Arnoldo Foà, A. Gallea; pro-duzione: Giorgio Venturini per Pro du -zione Venturini; origine: Italia, 1954;formato: 35mm, b/n; durata: 94’.Copia 16mm (da 35mm) da CinetecaBruno Boschetto.

«La casistica delle donne innocenti edelle donne colpevoli è vastissima; laleggenda e... la storia vogliono che ledonne, nella più parte dei casi, siano lacausa di ogni male. A cominciare dallaBibbia... Gli sceneggiatori ed io abbia-mo formulato un giudizio meno severonei confronti delle donne di quello cheabitualmente si è abituati a presentare.Forse, per contrasto a un mondo dovegli errori e le violenze imperano, eranecessario ammorbidire le tinte con ladolcezza e la femminilità. Non so: ma ipersonaggi non vengono sempre come

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ODORE DI TERRA

Realizzazione: Ermes Dorigo; interven-ti: Siro Angeli, E. Dorigo; produzione:VideoTeleCarnia; origine: Italia 1990;formato: video, col.; durata: 55’.Copia dvd (da master video) da produ-zione (depositata al Fondo Siro Angelidella Cineteca del Friuli).

Che l’unica intervista televisiva lungaad Angeli (ma vedendola la si deside-rerebbe molto più lunga) non sia statarealizzata dalla RAI, dove egli è statodirigente radiofonico per decenni, ma,e solo in anni tardi, da una piccolaemittente di Treppo Carnico, per me -rito di uno dei massimi studiosi dellasua opera, il carnico Ermes Dorigo,dice molto del muoversi in modo schi-vo di Angeli, nella natura friulana e car-nica che gli era propria. In questi 55’ogni parola che arriva da lui ha il se-gno della verità, e lo sentiamo leggerealcuni versi bellissimi, tra cui quello cheinizia: Posso affermare che esisto... su -blime evidenza come il Sono nato madi Ozu o il To Be di Leo McCarey.(s.m.g.g.)

55” COME SECOLI

Regia: Gilberto Visentin; a cura di: SiroAngeli; testi: brani da Siro Angeli, PierPaolo Pasolini, Novella Cantarutti. Ca -terina Percoto, Ippolito Nievo, DavidMaria Turoldo, Carlo Sgorlon, e altridall’Antologia della poesia friulana diBindo Chiurlo; voci: Omero Antonutti,Miranda Martino; produzione: RAI (Ra -dio Primo Programma); origine: Italia,1975; durata: 51’.

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sempre fatto nel corso della sua vita.Intervenendo con la sua consueta voiceover, Maresco ci parla perciò della car-riera di Scaldati, della sua importanzanell’aver riportato alla luce gli aspettipiù arcaici della lingua palermitana enell’aver dato voce agli ultimi, ai som-mersi. Viene quindi progressivamentealla luce un parallelismo che si fa sem-pre più evidente nel corso del film, valea dire quanto un programma comeCinico Tv debba a Scaldati, quanto queicorpi deformi e grotteschi fotografati inbianco e nero siano figli del teatroviscerale di quest’altra grande figura diartista palermitano. [...] Maresco forsecome mai in passato, ci parla di Paler -mo, di quella Palermo sanguigna spor-ca e vitale che non aveva conosciutoancora né i palazzinari né Berlusconi,ci parla del teatro dei pupi, delle radicidi una cultura e di un’arte popolari, ilcui ribollire, la cui sofferenza ha presocorpo nel corso dei secoli fino ad arri-vare ad essere espressa, nelle sue ulti-me propaggini, prima in Scaldati, poinei Ciprì-Maresco di Cinico Tv. Allora ilnero pessimismo di cui è disseminato ilfilm – si parla comunque di un uomoche è stato completamente dimentica-to dalle istituzioni, così come ci vienemostrato nel finale – si colora di altriaccenni rispetto al passato. L’epopeadei perdenti si fa qui infatti ancor piùconsapevole e non è un caso che, pro-prio nel finale del film, vi sia la citazio-ne di una poesia di Scaldati dedicataalla sconfitta, perché chi ha perso è inqualche modo più valoroso, più degnodi rispetto. E l’esaltazione della sconfit-ta – oltre ad essere un meccanismo tipi-camente wellesiano, che ci fa ravvisare

un altro parallelismo tra Maresco e l’au-tore di F for Fake – è in qualche modouna vittoria, è il valore nel riconoscerela propria dignità di perdente, di Cas -sandra inascoltata, la cui voce però fini-rà per forza per arrivare a qualcuno».

Alessandro Aniballi, Gli uomini di questa città io non li conosco,

«Quinlan», 9 dicembre 2015

FRANCO SCALDATI, AI CONFINI DEL -LA PIETÀ

Regia e montaggio: Ciprì e Maresco; fo -tografia: Daniele Ciprì; produzione: Ci -nico Cinema/La7; origine: Italia, 2007;formato: video, b/n; durata: 25’.

[MATERIALI INEDITI] GLI UOMINI DIQUESTA CITTÀ IO NON LI CONOSCO -VITA E TEATRO DI FRANCO SCALDATIRegia: Franco Maresco; fotografia: Tom -maso Lusena De Sarmiento; montaggio:Francesco Guttuso; origine: Italia, 2016;formato: video, col.; durata: 25’.

«Il rapporto con Franco è nato poco pri -ma che incontrassi Ciprì, era la metàdegli anni ’80, credo ci presentò Um -berto Cantone che era già un attore delBiondo. Tra di noi ci fu subito empatiaperché nonostante la differenza di etàavevamo tante cose in comune e anchetante affinità. Innanzitutto guardavamoentrambi con la stessa sensibilità a quel-la umanità che stava scomparendo, aiquartieri che erano stati svuotati... Miaffascinava molto il suo umorismo, an -che nel suo teatro non tralasciava maila comicità, genere che amava molto eda cui prendeva il senso del “tempo”;

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noi li vogliamo; spesso, come ha scrit-to Pirandello, si presentano a noi comeprepotenti e imperiosi. Forse per que-sta ragione le tre donne del film sonodelle creature alle quali il pubblico siaffezionerà, come si è da tempo affe-zionato alle tre attrici che le interpreta-no... La storia delle tre coppie si fondenella storia del film, articolata attraver-so la vita di un commissario di P.S.(Luigi Tosi) al quale confluiscono i seipersonaggi, dal quale si dipartono convari propositi, a cui ritornano nei mo -menti più importanti del film. Siamoquindi davanti a una storia che, comeun fiume, ha degli affluenti che si di -partono o convergono verso il troncocentrale».

Cottafavi in L.M., La storia di tre avanzi di galera, «Film d’Oggi»,

8-15 luglio 1954

b) Franco Scaldati in Franco Maresco a cura di Fulvio Baglivi

GLI UOMINI DI QUESTA CITTÀ IO NONLI CONOSCO - VITA E TEATRO DIFRANCO SCALDATIRegia: Franco Maresco; sceneggiatura:Franco Maresco, Claudia Uzzo, France -sco Guttuso; fotografia: Tommaso Lu-sena de Sarmiento; montaggio: F.Guttuso, Edoardo Morabito; interventi:Franco Scaldati, Roberto Andò, EmmaDante, Goffredo Fofi, Mario Martone,Giuseppe Tornatore, Roberta Torre, En -zo Vetrano, Umberto Cantone, EmilianoMorreale, Gabriele Scaldati, GiuseppeScaldati; produzione: Rean Mazzone eAnna Vinci per Ila Palma/Dream Film/RAI Cinema; formato: video, col. e b/n;origine: Italia, 2015; durata: 86’.Copia DCP da produzione.

«La struttura seguita è molto simile aquella di Io sono Tony Scott: una rico-struzione storica che attraversa diversefasi – tra cui anche quella dell’ascesa –e che arriva fino a un presente di de -solazione e sconfitta, di scomparsa edisfacimento, di perdita della memoriasociale e collettiva. Anche Scaldati, co -me Tony Scott, è un dimenticato, unrimosso, che ha goduto solo di un par-ziale riconoscimento, in particolare ne -gli anni ottanta, ma che al contrario delclarinettista americano non si è chiusoin se stesso e, piuttosto, ha continuatoa promuovere la cultura teatrale a Pa -lermo, arrivando a tenere workshop neiquartieri popolari e ad esperire diret -tamente la vita sottoproletaria e a rico-noscersi in essa, come del resto aveva

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Autoritratti allo specchio: Jonas Mekas

e Jackie Raynal

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ho sempre detto che Franco era unattore anche comico. Altro aspetto fon-damentale è che Scaldati era un auto -didatta, i libri li aveva letti facendo ilsarto, se li era andati a cercare da solo;era uno che leggeva di tutto, era onni-voro. Per me fu importante incontrareun uomo che si approcciava alla lette-ratura, al cinema, all’arte, con lo stessospirito famelico, caotico e anarchico,che avevo anch’io. Scoprimmo che fre-quentavamo gli stessi cinema di quar-tiere: Dante, Italia, Eden, Noce; aveva-mo la stessa passione per certa musicapopolare... letteralmente avevamo unretroterra in comune, che io avevo ri -trovato già nel suo teatro. [...] Quandoesplode Cinico TV Franco fu uno deipochi a capire di cosa si trattasse real-mente, a conferma della sua sensibilitàe la sua attenzione, e che il suo amicopiù giovane, io, portavo avanti a modomio la sua poetica, la sua visione. Capìanche che avremmo potuto essere com - pagni di strada e non solo “suoi eredi”come ci definì anni dopo. [...] Sicu ra -mente Scaldati è stato ignorato dal ci -nema e dagli apparati culturali perchéera bravo ma non a muoversi negli“ambienti giusti”, non frequentava sa -lotti, era un uomo introverso e timidoche non voleva e non sapeva vendersi.Come ho scritto in occasione della mor -te lui era un uomo antico, nel sensoche veniva da un mondo con altri valo-ri e ha iniziato a muovere i primi passicome autore in un momento unico perPalermo».

Naked, Viaggio in Italia 1 - Conversazione con Franco Maresco,

«Film Parlato», 26 ottobre 2015

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Tutto sparirà. Tutto rinascerà.

Omaggio a Marina Pierro eWalerian Borowczyk

JACKIE RAYNAL

Nata a Poilhes nel 1940, JacquelineRaynal è stata come attrice, e soprattut-to montatrice, una presenza che uniscealcune delle figure più intense dellaNouvelle Vague: Jean-Daniel Pollet, EricRohmer, Philippe Garrel, ma anche l’ere -tico José Bénazéraf. Ha realizzato e in -terpretato diversi film che, come quellituttora in corso di realizzazione, sonodei work in progress pluriennali. Tra gli altri ha collaborato al montaggioe alla regia di Merce Cunningham diEtienne Becker, Jackie Raynal, PatriceWyers (1963), Cover Girls di José Béna -zéraf (1963), La Carrière de Suzanne diEric Rohmer (1963), La Boulagère deMonceau di Eric Rohmer (1963), Héra -clite l’obscur di Patrick Deval (1967), LaConcentration di Philippe Garrel (1968),Détruisez-vous: le fusil silencieux diSerge Bard (1969), La Maman et la pu -tain di Jean Eustache (1973). Tra i filmda lei realizati: Deux fois (1968), NewYork Story (1984), Hôtel New York(1984), Notes on Jonas Mekas (2000),Bandes à part (2001), Around JacquesBaratier (2002), Portrait of SimonLazard (2003), La Nuit de l’ours (2005),Gougnette (2009), Elliott e Bulle (2013).

NOTES SUR JONAS MEKAS

Regia e montaggio: Jackie Raynal; foto -grafia: Adam Kahan; origine: Francia,2000; formato: video, col.; durata: 26’.Copia MP4 (da master video) da autrice.

Jonas Mekas, dal film: «Ogni secondo,mentre si sta parlando, ci sono dei filmche vanno in polvere. Ma allo stessotempo, sempre mentre si sta parlando,

da qualche parte qualcuno fa un film,o un video, insomma, qualcuno creadelle immagini. Qualcuno di nuovo, dimolto giovane, che non conosciamo.Qui, e in Africa, o in Asia, in Americadel Sud, in Alaska, dappertutto nel mon -do. È comunque incredibile, milioni divideocamere! E quindi queste immaginivengono prodotte, si realizzano. Certesono delle immagini di fabbrica, delleim magini di routine. Ma ci sono perso-ne che le fanno come se scrivesseropoesie. Fanno veramente ciò che vo -gliono con le immagini, e si divertono!In generale, le persone si prendonotroppo sul serio. È questo il problemadi oggi. Troppo seri... pensano troppo.Pianificano. Ma è meglio non pianifica-re... Quando si pianifica, si vuole che ilproprio piano riesca. E si hanno i carriarmati dietro di sé, e si hanno i fuciliper mettere in opera il proprio piano.Non va bene, queste sono le personeche pensano».

REMINISCENCES OF JONAS MEKAS

Regia: Jackie Raynal; soggetto: André S.Labarthe e Janine Bazin per la serieCinéastes de notre temps; produzione:KIDAM; origine: Francia, 2015; forma -to: video, col.; durata: 52’.Copia Blu-ray (da master video) daproduzione.

André S. Labarthe affida una missioneimpossibile a Jackie Raynal: realizzare ilritratto di un cineasta che non ha maismesso di fare autoritratti. Cosa si puòmai filmare di Jonas Mekas che non siagià stato impressionato su pellicola? J.Raynal fornisce un tentativo portentoso.

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I figli di nessunoFilm italiani raccolti da

Simone Starace, II

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FLOATERSRegia, sceneggiatura: Marina Pierro; foto -grafia, montaggio: Alessio Pierro; musi-ca: Johann Sebastian Bach, Mauro Giu -liani; produzione: M. Pierro per CupressusFilm; origine: Italia, 2006[-2016]; forma-to: digitale, b/n e col.; durata: 9’.

IN VERSI

Regia, sceneggiatura: Marina Pierro;fotografia, montaggio: Alessio Pierro;musica: Johann Sebastian Bach, W.A.Mozart; interpreti: M. Pierro, GianluigiZelli; produzione: M. Pierro per Cu -pressus Film; origine: Italia, 2008[-2016];formato: digitale, col.; durata: 24’.

HIMOROGI

Regia: Marina Pierro, Alessio Pierro; sce -neggiatura: M. Pierro; fotografia, mon-taggio: Alessio Pierro; musica: BernardParmegiani; produzione: M. Pierro; ori-gine: Italia, 2012; formato: digitale, b/ne col.; durata: 17’.Copie DCP da autori.

MARINA PIERRO, LA STRANA FASCINAZIONE DI

UNA REGINA DELLA NOTTE

Cecila Ermini. Prima di conoscere Boro isuoi studi artistici spaziavano dall’eso-terismo alla pittura, una sorta di terrenofertile preparatorio. Come ha agito nelvostro sodalizio artistico questa matricecomune?Marina Pierro. Il nostro fu un incontropredestinato: Walerian amava la culturaitaliana, l’architettura, la letteratura, lamusica. Io avevo una passione assoluta

per l’universo surrealista, la poesia diRimbaud e Breton, il cinema di Buñuel,la fotografia di Man Ray. Ci accomuna-va anche un grande interesse per Freude la psicanalisi, l’astrologia e il mondoesoterico e misterico di Gurdjieff o He -lena Blavatsky. Ma soprattutto ci univa– lo scoprimmo lavorando insieme – lastessa concezione visiva del cinema, incui convivono il fantastico e il poetico,il divino e il diabolico, e «l’étrange fasci-nation». C.E. [...] Il suo cortometraggio da regi-sta, Himorogi, omaggia il cinema diBorowczyk con il ritorno degli oggetti-feticci del suo cinema, spogliati da ognitipo di narrazione classica.M.P. Himorogi nasce come una compo-sizione haiku, una forma di verso dellapoesia giapponese composta da dicias-sette sillabe. Con la collaborazione fon-damentale alla regia del pittore AlessioPierro, che ha curato anche la sceno-grafia e la fotografia nel film, abbiamovoluto rendere omaggio all’artista cheha creato un mondo onirico-visionariounico, restituendone una visione sullagenesi delle sue opere, insieme allostretto legame con gli oggetti per luianimati al pari di un attore. Dare mo -vimento a una figura disegnata in se -quenza, far muovere l’oggetto con latecnica della stop motion o dirigere l’at-tore erano la stessa cosa. A questo vaaggiunto l’apporto musicale significati-vo del grande compositore franceseBernard Parmegiani, a scandire imma-gini evocative e fantastiche che diven-tano il vero nucleo narrativo dell’azionein un tempo immaginario.

Cecilia Ermini, «il manifesto», 4 maggio 2014

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Guida; fotografia: Carlo Montuori; mu -sica: Giuseppe Becce; interpreti: Rossa -no Brazzi, Irasema Dilian, ValentinaCortese, Carlo Ninchi, Aldo Silvani,Laura Carli, Massimo Serato, CamilloPilotto; produzione: Fincine/Domus;origine: Italia, 1947; formato: 35mm,b/n; durata: 92’.Copia 16mm (da 35mm) da PennyVideo.

Revisione cinematografica preventiva(14 agosto 1947): «Il racconto espostonella sceneggiatura in esame è una li -bera riduzione dell’omonimo romanzodello scrittore Stendhal. Nella presenteesposizione molti elementi narrativi del -l’opera originaria sono stati trasformatied altri taciuti; del tutto evitata è statapoi la parte riguardante la carriera ec -clesiastica del protagonista. E sin quinulla da obiettare ché, si sa bene, diquanta libertà abitualmente si usi nellatrasposizione cinematografica delleope re letterarie. Ma gli autori hannoanche voluto, con alcune inopportunebattute del dialogo, dare un arbitrariosignificato al titolo di detta opera, fa -cendo spiegare ad un personaggio delracconto che i due nomi di colori“rosso e nero” vorrebbero significare ilpartito rea zionario e quello conservato-re, riferendosi, si intende bene, all’epo-ca in cui l’azione avviene, mentre lostesso Stendhal dice che per Rouge etnoir egli intende la carriera militare e lacarriera ecclesiastica di Giuliano Sorel.Sembra quindi opportuno che tali bat-tute (sceneggiatura pagg. 9 e 10) deb-bano essere eliminate ad evitare pocolusinghiere critiche sulla cultura italiana».

«Subito dopo la guerra conobbi Genna -ro Righelli; Steno e io fummo chiamatiall’improvviso da Righelli per fare unasceneggiatura: Il corriere del re, da Ilrosso e il nero di Stendhal. Righelli ciricevette a casa sua, in via Flaminiaverso Ponte Milvio; ci fece entrare nellasala da pranzo ove c’era un lungo tavo-lo, e lui stava ad un capo del tavolo. Cidisse: “Voglio fare un film da Il rosso eil nero di Stendhal; ma io l’ho già fatto,è stato uno dei miei più grandi suc cessinel periodo muto, si chiamava Il corrie-re del re [Der geheime Kurier, 1928] edera interpretato da Ivan Mosjoukine”.Allora tutto andò così: lui cominciò ascrivere per conto suo: “Scena 1a”, ecosì via tutto il resto del film; ogni voltache aveva scritto qualcosa la rileggevaad alta voce, si rivolgeva a me e chie-deva: “Va bene? siamo d’accordo?”; iofacevo di sì; poi lo chiedeva a Steno,che faceva di sì, e andava avanti, comeun carro armato! Siccome non eravamopiù nel muto, i personaggi dovevano di -re delle battute: le scene, gli ambienti,l’arco del racconto era identico, pre sodi sana pianta dal suo film muto, sol-tanto che vi applicammo delle battute,le più ovvie. In undici giorni scrivem-mo tutta la sceneggiatura!».

Mario Monicelli, L’arte della commedia, a cura di Lorenzo Codelli,

Dedalo, Bari, 1986

PIUME AL VENTO

Regia: Ugo Amadoro; supervisione:Goffredo Alessandrini; sceneggiatura:U. Amadoro, Stefano Canzio, FabrizioTaglioni, Gabelli, Domenico Paolella,

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TEHERANRegia: William Freshman [e GiacomoGen tilomo]; soggetto: Dorothy Hope;sce neggiatura: Oreste Biancoli, BasilMason, A.R. Rawlinson, Alberto Vec -chietti, Giovanni Del Lungo, AkosTolnay, W. Freshman; fotografia: Ubal -do Arata; montaggio: Renzo Lucidi;musica: Enzo Masetti; interpreti: DerekFarr, Martha Labarr, Manning Whiley,John Slater, John Warwick, Enrico Glo -ri, Enzo Fiermonte (voce Alberto Sor -di), Vera Bergman; produzione: JohnStafford e A. Tolnay per ICAI/Stafford-Pendennis; origine: Italia/Regno Unito,1946; formato: 35mm, b/n; durata: 89’.Copia 16mm (da 35mm) da PennyVideo.

«Si parla inglese, english spoken, neglistabilimenti cinematografici della Cir -convallazione Appia, più noti come tea -tri di posa della Scalera. [...] Sembranotutti inglesi là dentro, dal direttore diproduzione Valentino Brosio, al pro-duttore conte de Carpegna: tutti gentilie pronti a dare dettagli circostanziatisulla produzione. Il regista WilliamFreshman, infine, è un angelo: non alzamai la voce, parla cordialmente contutti e, anche se deve mandare al dia-volo qualcuno, lo fa con molta grazia(ma finora non ha mandato al diavo-lo nessuno). Il film che si gira attual-mente alla Scalera, prodotto da JohnStafford e Akos Tolnay per l’ICAI, s’in-titola Teheran ed è interpretato da duegiovani popolarissimi attori inglesi,Derek Farr e Martha Labarr, insieme ainostri Rossano Brazzi, Vera Bergman,Enrico Glori, Enzo Fiermonte, Luigi Pa -

vese e Valentino Bruchi. Teheran è unfilm di attualità, il cui soggetto dovuto aBasil Mason, William Freshman e AkosTolnay, è stato desunto da alcuni docu-menti forniti dal servizio segreto ingle-se. Alcuni anni fa, all’epoca della notaconferenza di Teheran, la polizia ingle-se venne a conoscenza di un attentatoche si preparava contro il PresidenteRoosevelt nel sottosuolo della legazioneamericana. Gli autori dell’atto – miraco-losamente sventato – erano alcuni indi-vidui di dubbia nazionalità che furonotutti assicurati alla giustizia e che certa-mente agivano per conto di una poten-za nemica. Pare che a scoprire i pianidegli attentatori sia stato un giornalistabritannico, la cui figura è appunto rie -vocata nel film da Derek Farr. Durantela nostra recente visita alla Scalera nelteatro n. 6 si girava una movimentatascena del Bazar di Teheran, alla qualepartecipavano numerose comparse inabiti multicolori. La scena era stata alle-stita con un particolare gusto veristicoda Veniero Colasanti ed era assai pitto-resca. Fra i tanti levantini e arabi dalvolto scuro, ve n’era uno solo di colorenaturale e dava l’impressione di esserassai triste in mezzo a tanti suoi conter-ranei che parlavano con spiccato accen -to trasteverino».

Italo Dragosei, Alla Scalera si parla inglese, «Star», 2 marzo 1946

IL CORRIERE DEL RE

Regia: Gennaro Righelli; soggetto: dal ro -manzo Le Rouge et le Noir di Stendhal;sceneggiatura: G. Righelli, Mario Moni -celli, Steno, Ignazio L. Nicolai, Ernesto

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[...]. Giulio Morelli ha raccontato il tuttoadeguandosi al tono del testo ed impe-gnandosi quanto bastava per giungerefelicemente fino all’ultima inquadratu-ra. E il filmetto scorre addosso piace-volmente al pubblico dal cuore gentilee facile alla commozione, anche perchéfa centro su un grosso atout: sul picco-lo Augusto, un piccino di poco menodi due anni, dotato di grande comuni -cativa. Attorno al piccolo si muovonoWilliam Tubbs (il professore), Lia Aman -da (una nuova scoperta di Moguy, neipanni della mammina derelitta), Ni noMilano, ed altri più o meno noti attori».

Gaetano Carancini, «La VoceRepubblicana», 11 marzo 1952

«La guerra, questo incosciente scatenar-si di tutte le forze distruggitrici ha –come le comete – una scia lunga efosca di rovine morali, di decadimentocivile, di lotte intestine, in cui rigurgitatutto il male degli uomini e delle cosee in cui prende il sopravvento quantodi peggio si annida nell’istinto, non piùfrenato, della passione, non più con-trollata, nella cupidigia, non più conte-nuta, nelle brame, non più limitate. Ilcinema, che spesso è cronaca fotografi-ca della vita, ha forse troppo insistito ariprodurre freddamente e talvolta com-piacentemente gli aspetti più deteriorie più appariscenti di un fenomeno ine -vitabile anche se orrendo. [...] Ebbene,questo film di Leonida Moguy, Centopiccole mamme, vuole essere ed ècome un raggio di sole che riporti all’u-manità sconvolta ed avvilita dalla tem-pesta l’annuncio del ritornato sereno, laluce di una nuova speranza, il calore diuna ridestata bontà, per cui il cuore, il

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G. Alessandrini; fotografia: Sergio Pe -sce; montaggio: Giuseppe Vari; musica:Alberto De Castello; interpreti: Leo -nardo Cortese, Olga Gorgoni, CristinaVelvet, Mario Ferrari, Peter Trent, DanteMaggio, Enzo Cerusico; produzione:Bucci Film; origine: Italia, 1950; forma-to: 35mm, b/n; durata: 82’.Copia 16mm (da 35mm) da PennyVideo.

Revisione cinematografica preventiva(22 luglio 1950): «La vicenda è ambien-tata in un villaggio del Basso Piave,occupato dagli austriaci durante l’inva-sione del 1917. Nella casa paterna, An -na si strugge nell’attesa di Stefano, unufficiale dei Bersaglieri, con il quale sierano fidanzati nell’anno precedente.Nell’aria grava il peso dell’oppressione,accentuato dal sopraggiungere di ottoufficiali austriaci, che prendono dimo-ra nella stessa casa. Fra questi emer-ge l’aitante capitano von Toepliz, checirconda Anna di una corte assidua. Mail riserbo della padroncina irrita vonToepliz che, per rifarsi dello smaccosubito, fa sistemare sotto lo stesso tettola soubrette Marta Florens, debuttanteper le forze armate austriache nel tea-trino del villaggio. Anna, che è costret-ta a cedere la sua stanza, guarda condisprezzo questa vedette internaziona-le, che essa ritiene spia dei nemici,mentre in realtà Marta rimane conqui-stata dalla dignità, dalla fierezza e dallospirito patriottico della famiglia, di cui èospite. [...] Si tratta di una vicenda piut-tosto elementare, che mira a fare levasull’attaccamento del pubblico italianoper il corpo dei Bersaglieri e su certi mo -tivi patriottici collegati al ricordo dell’al -

tra guerra». Una seconda revisione, afilm ormai terminato (29 novembre1950), chiede che «vengano eliminate lescene in cui si vedono alcune ballerineche indossano mantelli con emblemidell’Impero Austro-Ungarico (aquila bi -cipite); e che sia tolta la battuta di Mar -co: “Loro sono i padroni e noi dobbia-mo trattarli con rispetto” (pag. 18)».

CENTO PICCOLE MAMME

Regia: Giulio Morelli, Léonide Moguy;soggetto: Jean Guitton; sceneggiatura: L.Moguy; fotografia: Giorgio Orsini;montaggio: Dolores Tamburini; musi-ca: Carlo Innocenzi; interpreti: WilliamTubbs, Lia Amanda, Clelia Matania, Au -gusto Pennella, Checco Durante, JuanDe Landa, Beatrice Mancini; produzio-ne: L. Moguy per Italian InternationalFilm; origine: Italia, 1952; formato:35mm, b/n; durata: 105’.Copia 16mm (da 35mm) da PennyVideo.

«Leonide Moguy filmò, nel 1936, Lemioche: una favoletta candida in cuierano narrate le peripezie di un buonprofessore che, vistosi piovere in casaun bimbo illegittimo, lo porta con sé inun collegio femminile. Ora Moguy, ri -scattata la storia dalla produttrice diallora, ha voluto replicare per il pubbli-co di oggi il roseo intrigo, affidandonela regia a Giulio Morelli. Il soggetto, oraambientato in Italia, appare tremenda-mente invecchiato, particolarmente peressere una celebrazione della bontàassoluta, che dilaga dal primo all’ultimoepisodio, che investe tutti i personaggi

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cuore di tutti, possa nuovamente batte-re, ospitando sentimenti nobili ed eter-ni. [...] E come un tempo fu la biancacolomba a portare a Noè il primo an -nuncio del cessato diluvio, oggi al l’in -nocenza di un bimbo, roseo e puro, èaffidato l’incarico di dare agli uominiquesta nuova lieta novella. Così Leo -nida Moguy spiega il motivo ideale chelo ha mosso a realizzare questo suonuovo film – il più caro al suo cuore –il più importante per assunto morale, ilpiù impegnativo e il più soddisfacenteper il suo prestigio di artista e di cinea-sta. E mai egli ha parlato dei suoi lavo-ri – ognuno dei quali è e resta un capo-lavoro – con tanto entusiasmo e con piùsicura certezza di avere compiuta operaartisticamente degna e spettacolarmen-te efficiente».

Leonida Moguy parla di Cento piccolemamme, «Il Messaggero», 5 marzo 1952

I CALUNNIATORIRegia: Franco Cirino, Mario Volpe; sog-getto: Enrica Bacci; sceneggiatura: E.Bacci, A. Bisognino, F. Cirino, Mangani;fotografia: Mauro Chiodini, OberdanTroiani; montaggio: Jenner Menghi;musica: Antonio Capodanno; interpre-ti: Achille Togliani, Laura Nucci, TuriPandolfini, Evar Maran, Carmen Brandi,Cesare Fantoni, Renato Malavasi; pro-duzione: Alcyone Film; origine: Italia,1956; formato: 35mm, b/n; durata: 89’.Copia 16mm (da 35mm) da PennyVideo.

Trama dalla Revisione cinematograficapreventiva (17 luglio 1956): «Il cinquan-

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Mondo piccolo, grande ombra

(I veneti sono matti, I)

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Venere Film di cui era allora l’Ammi -nistratrice la Bacci stessa – l’aver diret-to unitamente al Sig. Franco Cirino ilfilm I calunniatori prodotto dall’AlcyoneFilm in quanto di esso film dovevaesserne regista soltanto Franco Cirino,e di ciò fa fede lettera in ns possessodella Spett.le Manenti Film in data 12marzo 1956 (con la quale era stato sta-bilito il noleggio e che per pura e sem-plice malvagità di terzi andò a montedopo che la stessa Signora Manenti erastata Madrina al primo giro di manovel-la), in cui era riconosciuto e menziona-to il solo nome del Cirino quale regista».

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tenne Giacomo Dani torna al propriopaese dopo molti anni di assenza eritrova i suoi cugini, Carlo ed Elvira,che abitano in una vecchia casa di pro-prietà dello stesso Giacomo. Costui eb -be in gioventù una delusione amorosaed è ancora scapolo. Giacomo conosceDorina, una ragazza sedicenne, nipotedi un vecchio pescatore del luogo. Gia -como si interessa della ragazza, che hauna bella voce, e riesce a convincere ilvecchio nonno a chiudere, a sue spese,Dorina in un educantato a Roma. [...]Passano alcuni anni e Giacomo rivedeDorina, fattasi ormai donna. La ragazzasi innamora del suo benefattore e i duefiniscono con lo sposarsi, malgrado lasensibile differenza di età. Quando Car -lo ed Elvira apprendono la notizia delmatrimonio del ricco cugino vanno sututte le furie, specialmente Elvira che incuor suo aveva sempre accarezzato ilsogno di sposare Giacomo. Essi pensa-no di vendicarsi e mettono in praticaun piano diabolico. Invitano Dorina inpaese e Carlo dovrà sedurla per farla ap -parire colpevole agli occhi del marito».

Il film, realizzato con un budget di soli36 milioni, viene prodotto con la parte-cipazione degli autori agli utili, ma gliincassi saranno pregiudicati da una di -stribuzione regionale limitata a pochezone (Sicilia, Emilia, Puglia, Campania).Alle rimostranze dei due registi, rispon-derà una lettera della Alcyone Film da -tata 28 febbraio 1957: «Sig. Mario Volpe[...] deve unicamente ed esclusivamen-te al buon cuore della Sign.na Bacci –dimentica di una cattiva azione ricevu-ta dal Volpe anni fa quando fu registadel film Le due sorelle prodotto dalla

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per compiere – a detta del capitano – “ilgiro del mondo”. [...] La deliberata ac -centuazione nel racconto del tono difavola, la introduzione di alcune vivacie colorite sequenze, come quella della“novillada” (libera corrida di tori giova-ni per le vie di una città) contribuisco-no ugualmente ad elevare il livello delcopione. [...] La figura del protagonistaconserva invece le caratteristiche di ete-rogeneità già rilevate in prima lettura;né poteva essere altrimenti in quanto,evidentemente, una ispirazione poliva-lente ha presieduto alla nascita del per-sonaggio. Mantenuto a mezz’aria fra larealtà e la favola, sceneggiato con evi-dente impegno e cura del particolare, ilcopione appare ispirato ad intenzioniassai ambiziose. [...] Il regista del filmRenato Dall’Ara (autore anche del sog-getto e co-autore della sceneggiatura) èautore del cortometraggio “a soggetto”Scano-Boa, vincitore del primo premionel concorso FEDIC 1957, ed elogia-to come una rivelazione dalla stampa(compreso un articolo di AlessandroBlasetti)».

L’ISOLA CHE C’ERARegia, fotografia, montaggio, produzio-ne: Alberto Gambato; soggetto: A. Gam -bato, Vittorio Sega; interventi: LambertoMorelli (voce) e scene dal cortometrag-gio Scano Boa (1954) di Renato Dall’Ara;formato: HD, col. e b/n; origine: Italia,2014; durata: 10’.Copia MP4 (da master video) dall’autore.

Nel 1954 il regista rodigino Renato Dal -l’Ara, con l’aiuto di un gruppo di amici

MOBBY JACKSONRegia, soggetto: Renato Dall’Ara; sce-neggiatura: Giorgio Arlorio, R. Dall’Ara;fotografia: Carlo Bellero; montaggio:Zimmerwald [Edmondo Lozzi]; musi-ca: Roman Vlad; interpreti: LawrenceMontaigne, Lissia Kalenda, José Jaspe,Mario Perrone, Franco Cobianchi,Isarco Ravaioli, Walter Santesso, ArchieSavage, Vittoria Prada; produzione: Ma -rio Colambassi per Ara Cinematografi -ca; origine: Italia, 1960; formato: 35mm,b/n; durata: 79’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

Trama e giudizio dalla revisione cine-matografica preventiva (6 maggio 1959):«Elementare e generoso, il marinaioMobby Jackson è uno svagato gira-mondo che passa da un porto all’altro,da un imbarco all’altro e da un’avven-tura all’altra con l’estrosa disinvolturadi un acrobata, benvoluto dai compa-gni e prediletto dalle donne per la suafonda mentale innocenza e spontaneagenerosità. Ma un giorno in una callesperduta, Mobby incontra una ragazzasemiselvaggia, Esmeralda, che vive conun vecchio zio fissato nella ricerca diun ipotetico tesoro sottomarino, fattaoggetto della corte di un ammiratoresgradevole e petulante. Per sottrarla alsuo ambiente, Mobby porta la ragazzacon sé in città e, in un secondo tempo,se ne innamora e pensa di sposarla.Perdutosi dietro Esmeralda, Mobby pe ròsi trova per la prima volta senza im bar -co e anche senza quattrini; deve perciòaccettare l’offerta del capitano Flores –che è una specie di capo camorra loca-le – e imbarcarsi su una delle sue navi

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SCANO BOA

Regia: Renato Dall’Ara; soggetto: R. Dal -l’Ara, Lucia Avanzi dal romanzo di GianAntonio Cibotto; sceneggiatura: TullioPinelli, Ugo Moretti, Benedetto Benedet -ti, Rodolfo Sonego, Giorgio Cavedon;fotografia: Antonio Macasoli; montag-gio: Armando Nalbone; interpreti: CarlaGravina, José Suarez, Alain Cuny, Em -ma Penella, Walter Santesso, José Jaspe,Olga Solbelli, Giulio Calì, Polidor, Ma -risa Solinas, Gianfranco Penzo; produ-zione: Francesco Corti per Cinemato -grafica Lombarda/Ara Cinematografica/Luvi Cinematografica; origine: Italia/Spagna, 1961; formato: 35mm, b/n;durata: 88’.Copia 35mm da Lab80.

«Scano Boa è il nome di un villaggio dipescatori verso Pila di Porto Tolle, al -l’estremo delta del Po, in provincia diRovigo. [...] Di questo lembo di sabbiadesolata si era innamorato un roman-ziere pittore e fotografo di Rovigo, GianAntonio Cibotto, classe 1925, antifasci-sta figlio di antifascisti, selvatico giro -vago. [...] Scano Boa fu una pellicolaforte, dalla genesi unica: una doppiaopera prima. Ne era stata girata nel1954 una prima versione in 16 millime-tri che aveva spopolato nei festival deicineamatori, a Rapallo e a Montecatini.Un successo tale da fare il giro delmondo: a Cannes, Berlino, Madrid. [...]Rifare il film alla grande, con la pellico-la vera e gli attori veri, era diventatonaturalmente il chiodo fisso del suoregista, Renato Dall’Ara, trentasei anni,architetto di Rovigo, proprietario di unafabbrica di scarpe, iscritto al PCI. Set-

e compagni comunisti cinefili polesani,realizza da autodidatta e quasi per gio -co il suo primo cortometraggio, ispiratoad un fatto di cronaca avvenuto pochesettimane prima a Scano Boa, ultimalingua di sabbia e macchia mediter -ranea in forma di isola lunga circa cin-que chilometri a separare il delta del Podall’Adriatico. Sessant’anni dopo, Lam -berto Morelli è l’unico sopravvissuto diquella troupe.

«Presidente del CineCircolo di Adria, èstato Vittorio Sega a ricordarmi dell’im-minente 60° anniversario di Scano Boa,primo tentativo di Renato Dall’Ara die-tro la macchina da presa. Nell’aprile2013 Rovigo respirava il clima dellaperdita del 91enne Giancarlo Morelli,parlamentare e sindaco comunista du -rante l’alluvione del Po nel ’51. Il fu -nerale si rivelò capace di riportare aRovigo il fratello Lamberto, salito daRoma dove vive da più di 40 anni.Lamberto Morelli è l’unico sopravvissu-to del gruppo di amici e compagni chenel ’54, sulla scia dell’entusiasmo di Re -nato Dall’Ara, realizzarono quella che èda ritenersi La Sortie de l’usine Lumièrepolesana. Il girato del ’54 e le riflessioniodierne di Lamberto Morelli sul sedi-mento storico degli ultimi sessant’annitrovano uno spazio di confronto nelleimmagini attuali di Scano Boa, isola di -sabitata in balia delle mareggiate, terraai margini anche temporali, dove tuttosembra già accaduto e contemporanea-mente ancora possibile». (Alberto Gam -bato)

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ca in vari filoni, compreso il contrastofra chi sente dura la vita della campa-gna e sogna d’evadere e chi invece aquella vita è attaccato come al propriosangue. Il Polesine è in proposito pae-saggio e ambiente psicologicamentefunzionale».

Piero Zanotto, Veneto in film - Il censimento del cinema ambientato nelterritorio (1895-2002), Marsilio/Regione

del Veneto, Venezia, 2002

[PROVINO DI WALTER SANTESSO PERFEDERICO FELLINI]Regia: Federico Fellini; interpreti: Wal terSantesso, Ingrid Bergman [fuori cam -po], Leopoldo Trieste [fuori cam po];origine: Italia s.d.; formato: 35mm, b/n;durata: 2’.Copia dvd (da 35mm) da Cineteca diBologna.

- A quale interprete di La dolce vita affi-deresti il ruolo di protagonista in unprossimo film?- A Walter Santesso, perché rappresen-ta un “tipo” con caratteristiche sue per-sonali definite.

Federico Fellini, dal mediometraggioWalter Santesso, una vita per il cinema,

Provincia di Padova, 2009

EROE VAGABONDO

Regia, soggetto: Walter Santesso; sce -neggiatura: W. Santesso, Lucia Avanzi,Ibello Borsetto, Antonio Lenzoni; foto-grafia: Manuel Rojas, Aldo de Robertis;montaggio: Alberto Gallitti; interpreti:Walter Santesso, Nuria Torray, Antonio

Prieto, Olga Solbelli, Giulio Calì, TotaAlba, Albino Principe, Renato TerraCaizi musiche: Francesco De Masi; pro-duzione: Mario Colambassi e José P.Villanueva per Dacofilm/Lenzonifilm/Argos Producciones; origine: Italia/Spagna, 1966; formato: 35mm, b/n;durata: 92’.Copia 35mm da Cineteca di Bologna.

«Disavventure a catena di un puro dicuore – Bueno para nada è il titolospagnolo – che non perde il suo otti-mismo. Ideato, scritto (in compagnia),diretto e interpretato dal padovanoSantesso, attore dal 1951, che ebbe unmomento di popolarità quando Fellinigli affidò la parte di Paparazzo in Ladolce vita. Ambientato in una Spagnarurale fuori dalla Storia se non dal tem -po, è un’operina di flebile garbo, riccadi echi fellineschi: angelismo, picari-smo, poeticismo, solitudine, il circo, lastrada. I suoi limiti sono il sentimentali-smo e l’autocommiserazione».

Il Morandini 2015. Dizionario dei film e delle serie televisive,

Zanichelli, Bologna, 2015

L’IMPORTANZA DI AVERE UN CAVALLO

Regia: Walter Santesso; soggetto: dalracconto di Guido Rocca; sceneggiatu-ra: W. Santesso, Ibello Borsetto; colla-borazione alla regia: Maria Cecconello;fotografia: Silvano Savio; musica: Fran -cesco De Masi (la canzone Un cavallobianco di De Mutis-De Masi è cantatada Sandro Alessandroni Jr.); interpreti:Luciano Rigoni, Cristiano Benetti, MarioStefani, Guido Bernar, Roberto Benetti,

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te anni dopo, sostenuto dal milaneseFrancesco Corti proprietario dell’ICET,Dall’Ara riuscì a trasformare il docu-mentario in un lungometraggio. [...] Leriprese ebbero la loro quota di disgra-zie: un paio di esondazioni fecero eva-cuare due volte le trenta persone delfilm. C’era più gente nella troupe chenello scano. Secondo i recensori piùfavorevoli nei suoi momenti migliori ilfilm si accosta all’altezza di certe se -quenze de L’uomo di Aran di Flaherty,o fa pensare a La terra trema di Viscon -ti. Visto oggi, anche se privo del carat-tere onirico del libro di Cibotto, ricordacerte isole e certi film da festival d’essai,di fantasmi giapponesi. [...] Se vogliamostare al cinema italiano, possiamo ap -parentare Scano Boa e L’antimiracolodi Elio Piccon (1965), ultimo censura-tissimo film della Lux Cristaldi, un’altraopera stramaledetta sull’Italia impossi-bile. [...] Nonostante una proiezione aLocarno, Scano Boa andò male e sic -come bisognava pur prendersela conqual cuno, se la presero dapprima colmaltempo, poi col bianco e nero chetramontava, e infine, come se fossimosull’isolotto, con le donne».

Tatti Sanguineti, Il cervello di Alberto Sordi. Rodolfo Sonego e il suo cinema,

Adelphi, Milano, 2015

[INTERVISTA A GIAN ANTONIO CI -BOTTO]Riprese: Giancarlo Marinelli; interventi:Gian Antonio Cibotto; origine: Italia,2004; durata: 5’.Copia dvd da produzione.

«È inutile cercare sulla carta geograficale località nominate in questo libro (otentare gratuite identificazioni dei per-sonaggi). L’esattezza geografica non èche una illusione. Il Delta Padano, peresempio, non esiste. Lo stesso dicasi, amaggior ragione, per Scano Boa. Io loso, ci sono vissuto».

Gian Antonio Cibotto, Scano Boa,Vallecchi, Firenze, 1958

QUANDO LA PELLE BRUCIA

Regia: Renato Dall’Ara; sceneggiatura:Benedetto Benedetti, R. Dall’Ara; foto-grafia: [Emilio Varriano]; montaggio:Luciano Cavalieri, [Edmondo Lozzi];musica: Oscar Pacelli, Bruno Chiave -gato; interpreti: Lissia Kalenda, Bru-no Cattaneo, Olga Solbelli, ManfredFreyberger, Antonio Bullo, SpartacoRumor, Rossella D’Aquino; produzione:Mario Colambassi per Daco Film; origi-ne: Italia, 1966; formato: 35mm, b/n;durata: 83’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«In un piccolo paese del Polesine,Wandina è presa di mira dalle maldi-cenze della gente per la sua condottatroppo libera. Un giorno scompare. Sipensa sia annegata, altri credono siafuggita. Così, anche Antonio, suo mari-to, parte per cercarla. Si ferma a Loreodove incontra una ragazza, Nevi, chegli ricorda la moglie e della quale siinvaghisce. Nevi e la madre desidera-no lasciare la campagna e vorrebberoche Antonio le aiutasse a far interdireil padre della ragazza, attaccato alla suaterra. [...] Film disuguale, che si ramifi-

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film al Festival di Giffoni Valle Piana.Esterni a Venezia e Chioggia».Roberto Poppi, Mario Pecorari (a cura di),Dizionario del cinema italiano: dal 1970

al 1979, Gremese, Roma, 1996

«Santesso ha composto un film moltosimpatico, garbato e sorridente, il qualesi fa perdonare volentieri qualche in -genuità, qualche difetto di struttura, ingrazia della fresca semplicità e della can -dida immediatezza con cui racconta lagentile, e anche edificante favoletta...».

Dario Zanelli, «Il Resto Del Carlino», 1979

[IO E...] GUIDO PIOVENE E... IL‘BATTESIMO DI CRISTO’ DI BELLINI

Regia: Luciano Emmer; ideazione: An -na Zanoli; interventi: Guido Piovene;produzione: RAI; origine: Italia 1972;formato: 16mm, col.; durata: 15’.Copia dvd (da master video da 16mm)da Fuori orario.

[IO E...] GOFFREDO PARISE E...PIAZZA SAN MARCO

Regia: Luciano Emmer; ideazione: An -na Zanoli; interventi: Goffredo Parise;produzione: RAI; origine: Italia 1972;formato: 16mm, col.; durata: 15’.Copia dvd (da master video da 16mm)da Fuori orario.

«Io e... nasceva dal desiderio del diret-tore Fabiani, che voleva proporre aglispettatore della tv l’attrattiva di un in -contro non scolastico con le arti figura-tive. Doveva essere il contrario delle

tanto decantate conversazioni di Ken -neth Clark per la BBC. Della serie in -glese veniva salvato solo lo spunto delrapporto uno a uno: un personaggiofamoso davanti a un capolavoro sceltoda lui. Ma il commento all’opera d’artedoveva avere tutt’altro tono, dovevaessere il racconto dell’emozione per laquale era entrata nella sua vita, unaconfessione rivolta direttamente allospettatore, senza il tramite dell’intervi-statore in campo».

Anna Zanoli in Stefano Francia di Celle,enrico ghezzi (a cura di), Mister(o)

Emmer: l’attenta distrazione, MuseoNazionale del Cinema, Torino, 2004

«Più interessanti i filmati della trasmis-sione RAI Io e..., del 1972, curata da An -na Zanoli, dove importanti personaggidella cultura sono messi a confrontocon l’opera preferita (opera d’arte o, co - munque, – è il caso dell’EUR di Fellini– con qualcosa da cui il personaggio sisente particolarmente attratto). Nellamaggior parte dei casi si tratta di qua-dri, a conferma del fatto che Emmercontinua a portarsi dietro, nelle sue for -me più disparate (caroselli compresi) lasua fama di regista sensibile al raccon-to audiovisivo di dipinti e pittori. [...]Interamente all’aperto, invece, è giratala puntata con Parise, curiosamenteavviata dalla visione dissacrante di unsouvenir del tipo “San Marco sotto laneve”, che introduce la descrizione diuna bellezza sentita come tutta legataall’esistenza quotidiana: “non si puòpensare una Piazza San Marco astratta,museificata, bisogna pensarla comeun’opera d’arte viva”. Le immagini, nelfrattempo, raccontano l’alba del cuore

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Pietro Grandis; produzione: LumiconFilm; origine: Italia, 1969; formato:16mm, b/n; durata: 42’.Copia 16mm da Cineteca del Friuli(Fondo Regione Veneto).

Primo film italiano premiato al Festivaldel film per ragazzi di Mar de La Plata,sostanzialmente autoprodotto da San -tesso e dalla moglie Maria Cecconello.Nonostante il successo estero ebbe inItalia una circolazione limitatissima evenne trasmesso in tv una sola volta, il3 marzo del 1972.

IL VOLO DI TEORegia: Walter Santesso; soggetto: MariaCecconello; sceneggiatura: W. Santes -so, Ibello Borsetto, Daniele Stroppa;collaborazione alla regia: Maria Cecco -nello; fotografia: Angelo Lannutti; mon-taggio: Franco Letti; musica: GianniFerrio; interpreti: Giulio Pampiglione,Maria Fiore, Philippe Leroy, AllanHayes, Maria Teresa Ruta, AnamariaGhiuseleva, Michel Rocher, DanieleStroppa; produzione: Remo Angioli perReal Film, con la partecipazione di AdaSaruis Bandiera; origine: Italia, 1992;formato: 35mm, col.; durata: 98’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«La storia dell’undicenne Leo, figlio digenitori separati, cresciuto in campagnacon la nonna secondo ritmi dettati dallanatura e tra valori antichi sempre validi,in confidenza con gli animali da corti le,che s’è preso a cuore una conigliet ta.Un giorno la madre gli fa cambiare vitatrasferendolo in città. Le nuove abitudi-

ni, i compagni egoisti e la notizia che lacasa di campagna è stata venduta oltre aquella dell’uccisione della sua conigliet-ta, lo gettano nello sconforto portando-lo alla fuga come gesto di ribellione erifiuto. [...] L’ambientazione è quella di villa Previ -di a Madonna di Erbé, in provincia diVerona».

Piero Zanotto, Veneto in film -Il censimento del cinema ambientato nelterritorio (1895-2002), Marsilio/Regione

del Veneto, Venezia, 2002

LA CARICA DELLE PATATE

Regia: Walter Santesso; soggetto: FlaviaPaulon; sceneggiatura: W. Santesso,Ibello Borsetto, Adriano Cavallo, EliaGuiotto; fotografia: Marcello Gatti,Federico Zanni; montaggio: AlbertoMoriani; musica: Francesco De Masi (lacanzone La guerra delle patate di G.Guardabassi e F. De Masi è cantata dalCoro di Voci Bianche di Paolo Lucci);consulenza circense: Ashrafi MahabadiBiyan; interpreti: Tommy Polgar, WalterMargara, Luigi D’Ecclesia e i bambini diChioggia; produzione: Sergio Borelliper Juventute/Lumicon; origine: Italia,1979; formato: 35mm, col.; durata: 93’.Copia 35mm da Cineteca di Bologna.

«Una banda di ragazzini s’impegna perdifendere la vita di alcuni gatti e in par-ticolare per salvarne uno, rubato dalpadrone di un circo a una bambina.L’uomo infatti, convinto di riuscire a farcamminare le bestiole sull’acqua, è ilresponsabile del “misfatto”. Sarà scac-ciato da una “carica” con lancio di pata-te... Vincitore del premio per il miglior

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po polare, culminata nella Ri voluzioneCulturale».

Andrea Meneghelli, Dossier MarioBernardo, in Catalogo Il Cinema

Ritrovato 2008, Cineteca di Bologna,Bologna, 2008

CONVERGENZE PARALLELE

LA VITA SEMPLICE

Regia, soggetto e montaggio: [Francesco]de Robertis; sceneggiatura: [F. De Ro -bertis, Giovanni Passante Spaccapietra];fotografia: Barcaroli [Bruno Barcarol];musiche: [Ennio] Porrini; interpreti: [Lu -ciano] De Ambrosis, [Maurizio] D’An -cora, [Giuseppe] Zago, [Giulio] Stival,[Giovanni] Cavalieri, Anna Bianchi, An -na Mancini; produzione: [Max] Calandriper Scalera Film; origine: Italia, 1946;formato: 35mm, b/n; durata: 83’. Copia dvd (da 35mm) da collezioneprivata.

«Col percorso di De Robertis s’incrocia-no, oltre a Rossellini, anche due altricineasti, più giovani, autori di operedecisamente inclassificabili, qualiGiorgio Bianchi, regista degli interni diUomini sul fondo (1941), e GiorgioFerroni, che condividerà – esattamentecome De Robertis – la esperienza diSalò, acquattato negli stabilimentiScalera della Giudecca per sfuggire allapericolosa curiosità tedesca. I due filmveneziani di De Robertis, I figli dellalaguna (1944) e La vita semplice, sonoappunto quel che resta della sua attivi-tà di fatto clandestina, svolta sotto l’in-consapevole egida della Repubblica

Sociale. Essi appaiono come due operedi grande coerenza e libertà, in cui laguerra appartiene già a un altromondo, non diversamente dall’episodiodei frati di Paisà, realizzato però nel1946, un anno dopo la fine della guer-ra. Ma ancora una volta, dopo il codi-retto La nave bianca 1941, la contigui-tà rosselliniana segna il cinema di DeRobertis».

Sergio Grmek Germani, I registi professionalmente affermati, in

Storia del cinema italiano 1945/1949,Marsilio/Bianco e nero,

Venezia/Roma, 2003

GENTE COSÌ

Regia: Fernando Cerchio; sceneggiatura:F. Cerchio, Giovanni Guareschi, Gian -carlo Vigorelli, Leonardo Benvenuti,Giorgio Venturini; fotografia: ArturoGallea; montaggio: Rolando Benedetti;musica: Giovanni Fusco; interpreti:Adriano Rimoldi, Vivi Gioi, Camilo Pi -lotto, Renato De Carmine, Saro Urzì,Alberto Archetti, Nicola La Torre, LuigiTosi, Raf Pindi; produzione: G. Ven -turini per ICET/Rizzoli; origine: Italia,1949; formato: 35mm, b/n; durata: 85’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Gente così di Fernando Cerchio (eccoun nome veneziano) conta in sceneg-giatura, fra gli altri, su GiovanniGuareschi in quel momento firma diprimo piano sul “Candido” il settimana-le di maggior impatto politico e succes-so. È un film che ancor oggi viene cita-to fra i casi di neorealismo non ricono-sciuti in tempo e se ne attende dunquela consacrazione ad opera di qualche

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veneziano, mentre piano piano si risve-glia, con l’arrivo degli spazzini e degliinterventi comunali che danno da man-giare ai piccioni, poi l’apertura dei bar,l’inizio di tante attività e dei lavori piùsvariati. Fino a quando tutto si anima, earriva la folla incontrollabile dei turisti».

Guglielmo Moneti, Luciano Emmer,Editrice Il Castoro, Milano, 1992

CONTARE SULLE PROPRIE FORZE

自力更生

Regia: Mario Bernardo; con la collabo-razione di: Aldo Cesolini, Cheng WenTung, Chen Jen Tze, Chen Pao Shun,Franco De Masi, Misa Gabrini, Lai IuChi, Amerigo Latin, Luigi Orso, AnnaPlutino, Ferdinando Verde, Wang HuanPaol, i contadini della brigata di MeCha U, i pescatori del Lago dell’Ovest,la Milizia Popolare della Comune diMa Lo, la popolazione di Pechino eShanghai; produzione: La Guaita Cine -matografica; origine: Repubblica di SanMarino, 1972; formato: 16mm, col.; du -rata: 90’.Copia dvd (da Digibeta da negativi co -lore 16mm) dalla Cineteca di Bologna.

«Mario Bernardo nasce a Venezia nel1919. Dopo essere stato comandantepartigiano durante la Guerra di Libe -razione, nel 1946 fonda a Bolognal’Omnia Film e, subito dopo, il CREEC(Consorzio Regionale Emiliano Eser -centi Cinema), istituendo un circuito didistribuzione regionale che arriverà acontare 82 sale. Nel frattempo, portacon un furgone la cinematografia am -bulante in 16mm nei paesi dell’Appen -

nino. Trasferitosi a Roma nei primi anni’50 collabora a soggetti e sceneggiaturema resta presto senza un soldo. Ini-zia allora a lavorare per la BNC-Filmico,un laboratorio specializzato in edizio-ni italiane di film stranieri: è il passag-gio fondamentale dalla scrittura allatecnica. A metà degli anni ’50, ha avvio la suaattività di direttore della fotografia (fir-merà, tra gli altri, Comizi d’amore eUccellacci e uccellini di Pasolini). Gra -zie alle sue eccezionali competenze,Bernardo parteciperà alla realizzazionedi cira 400 film, anche come regista,montatore e produttore. Bernardo, “in -gegnere per caso”, si è distinto inoltrenell’attività pubblicistica (fonda, tra l’al-tro, il trimestrale “Note di tecnica cine-matografica”) e nell’insegnamento (hatenuto per 25 anni la cattedra di ripre-sa al CSC di Roma). Bernardo ha depositato presso la Cine -teca di Bologna un centinaio circa dimateriali dei suoi film (copie, negativi,materiali di lavorazione, frammenti...).Tra le scatole di questo prezioso fon-do, si trovano alcuni film girati all’ini-zio de gli anni ’70 per la Repubblica diSan Marino. Nel 1972, San Marino è trai primi stati occidentali a riconoscerela Cina maoista, e Ber nardo segue lade legazione della picco la repubblicanel la prima visita ufficiale in terra cine-se. Oltre a girare un eccezionale repor-tage dell’evento, ne ap profitta per rea-lizzare il documentario Contare sulleproprie forze, filmando i luoghi storicidi Pechino, Hangzhou, Shanghai, edandoci una straordinaria documenta-zione della fase di collettivizzazionepiù avanzata sperimentata nella Cina

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CONVERGENZE PARALLELE

[VERSIONE LUNGA] PAISÀRegia: Roberto Rossellini; soggetto: R.Rossellini, Federico Fellini, Sergio Ami -dei, Marcello Pagliero, Albert Hayes,Klaus Mann; sceneggiatura: R. Rossel -lini, F. Fellini, S. Amidei; fotografia:Otello Martelli; montaggio: Eraldo DaRoma; musica: Renzo Rossellini; in ter -preti: Carmela Sazio, Dots M. Johnson,Alfonsino, Maria Michi, Gar Moore,Harriet White, Renzo Avanzo, BillTubbs, Dale Edmonds, Allan, Dan, VanLoel, Cigolani; produzione: R. Rosselliniper O.F.I/Foreign Film Production; ori-gine: Italia/USA, 1946; formato: 35mm,b/n; durata: 134’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Con Paisà Rossellini rappresenta lospi rito della Resistenza nella sua piùam pia e inclusiva geografia umana. Ser -ven do si di un itinerario esemplare, con - duce, at traverso tappe successive, duepopoli di versi al riconoscimento di unacomune identità, di comuni ragioni divita e di lotta, fino all’esperienza piùalta della morte, fianco a fianco, per imedesimi ideali. Sono soprattutto le ra -gioni umane a costituire la forza di veri-tà, in quanto il regista non va alla ricercadelle motivazioni politiche che determi-nano il comportamento dei suoi perso-naggi: le loro sofferenze, la passione eil rispetto reciproco ne unificano i pia-ni e i presupposti ideologici differenti.Nel momento in cui Rossellini scopre ilvolto collettivo e non organizzato del-l’antifascismo è come se avesse capito

che la storia dell’Italia, che continuavaa vivere tra le macerie e guardava allaricostruzione, poteva, sulla base di unascelta politica generale, considerarsi ri -scattata dalla sua sofferenza e rimuove-re, al più presto, il ricordo del fascismoper guardare al futuro. Anche se, per ilmomento, non si era certo in grado nédi prevederlo, né di ipotecarlo».Gian Piero Brunetta, Il cinema neorealista

italiano, Laterza, Bari, 2009

«Paisà viene presentato in chiusura al-la prima Mostra (anzi, Manifestazione)d’ar te cinematografica di Venezia deldopoguerra, il 18 settembre 1946. Lecronache dell’epoca insistono su questoarrivo della copia all’ultimo mo mento,in tempo per una proiezione mattutinariservata alla stampa al teatro Malibrane poi per quella pubblica al cinema SanMarco, nel pomeriggio alle 16. [...] Nonè la prima volta (era già successo conLa nave bianca), e non sarà l’ultima,che Rossellini presenta un suo film a unfestival in chiusura, come “film sorpre-sa”: per strategia pubblicitaria, forse, operché in effetti, come sembrerebbe inquesto caso, il film è uscito dal labora-torio all’ultimo momento, ancora “umi -do di stampa”, presumibilmente per ilprotrarsi del montaggio e della sincro-nizzazione. Ciò spiega anche come granparte dei film di Rossellini (salvo quellitelevisivi) comporti “varianti” (o “penti-menti” che dir si voglia) tra la versionepresentata a un festival e quella usci-ta nelle sale italiane o estere, come èil caso di Paisà. [...] La possibilità diverificare le differenze si è presentatasolo nel 1998, quando il Bundesarchiv-Filmarchiv di Berlino (la cineteca di

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critico pentito. [...] Gente così era statoun film voluto e difeso da Venturinidurante il periodo milanese, tanto dalitigare con Rizzoli pur di mantenerel’affidamento a Cerchio, che Rizzolinon voleva. Ma come si poteva scalza-re un amico dalle predilezioni diVenturini? Cerchio, il giovane montato-re di Quelli della montagna di AldoVergano, dove aveva ricevuto forse laprima lezione di stile stringato e di curadell’immagine, lezione peraltro estesaall’aiuto regista Cottafavi – ecco un lon-tano capo del filo che unisce i primidue registi torinesi di Venturini – Cer -chio si diceva lavora a Venezia neglianni difficili della RSI. [...] Insisto a ri -cordare Cerchio, perché insieme a Ver -nuccio e Cottafavi, rappresenta il tipicocaso di autore ignorato e sottovalutato.Se il tempo ha reso giustizia a Cottafavi,gli altri due restano in attesa».

Lorenzo Ventavoli, Pochi, maledetti e subito: Giorgio Venturini alla FERT

(1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992

FUORI CAMPO

ITALIA MIA

«Italia mia, altro film senza soggetto esenza attori per ritrovare “l’Italia umile,con le sue passioni e i suoi difetti”,diventa il pensiero dominante di Zavat -tini. [...] Zavattini perfeziona il progettodi Italia mia e lo propone a Rossellini(dicembre ’52). Ma non se ne fa niente;a Einaudi lo propone come collana edi-toriale: De Sica dovrebbe organizzareun libro su Napoli, Visconti su Milano,Rossellini su Roma. Alla fine solo Za -

vattini farà il primo e unico volume: Unpaese (1955, in collaborazione con ilfotografo Paul Strand)».

Silvana Cirillo, Una svolta epocale nell’attività di Cesare Zavattini, in CesareZavattini, Totò il buono, Bompiani, 2013

«Scano Boa è altro dalla realtà. E la cri-tica lo ha capito subito. Anche il cine-ma lo ha percepito e il film di RenatoDall’Ara lo conferma. Purtroppo il gran-de Roberto Rossellini non riuscì a por-tare a termine il suo desiderio, un filmintitolato Italia mia, che avrebbe dovu-to aprirsi con un volo di gabbiano suScano Boa. Mi disse che per lui l’Italiaera quella, quella che lui amava».

G.A. Cibotto in Gian Antonio Cibotto e i vecchi pescatori del suo Delta padano,

«Il Mattino di Padova», 8 ottobre 2003

ALLUVIONE

«Oreste Palella e Roberto Rosselliniavrebbero dovuto dirigere insiemeAlluvione, un film sull’alluvione delPolesine del 1951 che prevedeva comeinterpreti Franca Marzi, Silvana Pam -panini, Rossano Brazzi e Raf Vallone.“La Gazzetta Padana” del 1 aprile 1952comunicò l’inizio delle riprese alla Ca’Bianca di Adria, ma da allora non se neseppe più nulla».

Giancarlo Beltrame, Paolo Romano eFerdinando De Laurentiis (a cura di),

Luci sulla città: Rovigo. Sogno di un paesaggio tra cielo e acqua,

Marsilio, Venezia, 2007

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stato) ha fatto avere alla Cineteca Na -zionale di Roma, poco prima che arri-vassi a dirigerla, un lavanda (positivo agrana fina ricavato direttamente dal ne -gativo) nuovo ma mancante dell’ulti-mo rullo (gli ultimi dieci minuti circa).È bastato poco per rendersi conto chesi trattava di una versione diversa daquel la conosciuta».

Adriano Aprà, Le due versione di Paisà, in Stefania Parigi (a cura di), Paisà.

Analisi del film, Marsilio, Venezia 2005

[RUSHES] SANTA BRIGIDA

Regia: Roberto Rossellini; fotografia: Al -do Tonti; interpreti: Ingrid Bergman; ori -gine: Svezia, 1952; formato: 35mm, b/n;durata: 9’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«Alla fine del 1951 Rossellini effettuadelle riprese per un documentario, chenon è stato terminato, nel Conventodelle Suore dell’Ordine del S.S. Salva -tore di Santa Brigida in Piazza Farnese,Roma. Si intitola Santa Brigida e mo -stra alcuni ciak di riprese in cui si vedel’attrice Ingrid Bergman che arriva inconvento, conosce delle suore e poi leaiuta a confezionare pacchi di vestiario.Il documentario era stato commissiona-to dalla Croce Rossa Svedese per le vit-time dell’alluvione del Polesine».

Paolo Micalizzi, Là dove scende il fiume. Il Po e il cinema, Aska Edizioni,

Firenze, 2010

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Cinema italiano oltre il muro del tempo

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suoni, vengono riproposti alla rovescia,con gli attori che continuano a parlarequesta buffa lingua anche quando siritorna alla realtà. Il custode di Cinecittàsegnala che il tempo è scaduto su unorologio che si muove al contrario».

Ernesto G. Laura (a cura di), Storia del cinema italiano 1940/1944,

Marsilio/Bianco e nero, Venezia/Roma, 2010

IL DOCUMENTO

Regia, montaggio: Mario Camerini; sog-getto: da una commedia di GuglielmoZorzi; sceneggiatura: M. Camerini, Re -nato Castellani, Mario Pannunzio, IvoPerilli, Mario Soldati; fotografia: ArturoGallea; musica: Alessandro Cicognini;interpreti: Ruggero Ruggeri, Maria Denis,Armando Falconi, Maurizio D’Ancora,Lauro Gazzolo, Mercedes Brignone; pro -duzione: Giuseppe Ama to per SECET/Scalera; origine: Italia, 1939; formato:35mm, b/n; durata: 92’.Copia DCP (da 16mm da 35mm) da LaCineteca del Friuli (Fondo Buffatti).

«Lo schermo non può sostituire il pal-coscenico con la immobilità, con il con-venzionale delle scene e delle propor-zioni, con quella falsità di sfondi, ditoni, di composizione che è poi condi-zione della sua “poetica” e la sua giu-stificazione. [...] Stabilito questo, imma-ginate con che apprensione sono anda-to a vedere Il documento, annunciatocome una commedia di Zorzi messasullo schermo da Camerini, con Falconie Ruggeri primi attori e con un belgruzzolo di artisti, tutti, tranne la signo-rina Maria Denis, del teatro di prosa.Ebbene, i miei timori si rivelarono vani:

la pellicola è, nel suo genere, una cosaperfetta. [...] È la caricatura non soltan-to di un’epoca, di un mondo, di perdu-te costumanze; ma è anche e soprattut-to la caricatura del modo come quelmondo si esprimeva, soffriva, agiva,parlava; e del teatro di allora, e di que-gli attori. Poiché i personaggi sono atto-ri, e come tali visti e rappresentati. [...]Gli ingredienti della commedia sonoamabilmente convenzionali. Ci sono gliavventurieri senza scrupoli che si stan-no mangiando le proprietà di un aristo-cratico ingenuo che ha un bel nome euna bella e illibatissima figliola; c’è ilvecchio maggiordomo dell’aristocraticafamiglia (Ruggeri) che va a servire incasa del capo-banda Larussi (Falconi);c’è un misterioso personaggio che hain mano un documento che potrebbemandare in prigione il Larussi e soci,che muore misteriosamente, e il docu-mento misteriosamente scompare [...].Di questi motivi e personaggi Cameriniha saputo servirsi con una così ovviasemplicità, con una così incantata inge-nuità, con una così ingannevole serietàche ne è uscito un piacevolissimo rac-conto, ironico, scettico, malizioso,scanzonato; ma senza che l’azioneperda il suo andamento o s’illanguidi-sca negli episodi o manchi la sua mora-le onesta e divertente».

Paolo Monelli, «Film», 4 novembre 1939

[5 MINUTI CON...] TRAGUARDO DEGLIASTRI

Regia: Anonimo [Amedeo Castellazzi?];interventi: Mario Camerini, Assia Noris,

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L’INTRUSARegia: Raffaello Matarazzo; soggetto: daldramma di Silvio Zambaldi; sceneggia-tura: R. Matarazzo, Piero Pierotti, Gio -vanna Pala, Giovanna Soria; fotografia:Tonino Delli Colli; montaggio: MarioSerandrei; musica: Luigi Malatesta;interpreti: Amedeo Nazzari, Lea Pado -vani, Rina Morelli, Andrea Checchi,Pina Bottin, Cesco Baseggio, NandoBruno; produzione: Arrigo Colomboper Jolly Film/ICS; origine: Italia, 1956;formato: 35mm, b/n; durata: 108’.Copia 16mm (da 35mm) da CinetecaBruno Boschetto

«L’intrusa si muove sul consueto sfon-do del mondo soffocante della provin-cia, che maligna alle spalle del rappor-to tra un medico e una maestra che luiha salvato dal suicidio. A parte qualcheelemento di progressismo ideologico(lei aveva avuto non solo un fidanzatoprecedente, ma ne era rimasta incinta eaveva perso il figlio, ma lui la sposa lostesso: siamo assai distanti dall’assuntodi Catene), la curiosità è che lei è unadelle poche “femmini folli” del méloitaliano, per così dire per implementodella passione della maternità. Quandoalla scoperta di non poter avere figli siaggiunge che invece l’uomo che l’ave-va messa incinta sta per averne uno, lasua reazione è di una violenza possibi-le, anche qui, grazie alla sostituzione diYvonne Sanson con Lea Padovani».

Emiliano Morreale, Così piangevano. Il cinema mélo nell’Italia degli anni

Cinquanta, Donzelli, Roma, 2011

[5 MINUTI CON...] CINECITTÀ

Regia: Pietro Francisci; fotografia:Armando Bianchi, Rodolfo Lombardi;interventi: Guido Notari, Amedeo Naz -zari, Alida Valli, Alessandro Blasetti,Goffredo Alessandrini, Pietro Francisci,Sandro Pallavicini, Domenico Paolella,Dina Galli, Antonio Gandusio, TitinaDe Filippo, Mario Camerini, ArmandoFalconi, Clara Calamai, Amedeo Ca -stellazzi, Giorgio Simonelli, BeniaminoGigli, Elisa Cegani, Paola Borboni; pro-duzione: INCOM; origine: Italia, 1939;formato: 35mm, b/n; durata: 12’.Copia 35mm da Istituto Luce.

«Il noto annunciatore Guido Notari si -mula un servizio su Cinecittà da realiz-zare in tempi strettissimi; ha inizio unarocambolesca serie di disavventure dalritmo incalzante che coinvolge vari divie registi dell’epoca: Amedeo Nazzari,Alida Valli, Alessandro Blasetti, RenatoCastellani [in realtà è Amedeo Castel -lazzi]... La troupe della INCOM tamponauna vettura su cui si trovano Dina Galli,Antonio Gandusio e Titina De Filippo,poi irrompe sul set dove Mario Cameri -ni gira un film con Armando Falconi (Ildocumento, 1939). Il produttore Peppi -no Amato, descritto come uno che nonvuole perdere tempo, controlla il set.Ma il cortometraggio si preoccupa disvelare alcuni trucchi ed effetti delcinema, mentre in moviola visioniamosketch con Paola Borboni, ErminioMacario, Emma Gramatica, spezzoni diAbuna Messias (1939) di Goffredo Ales -sandrini e I Grandi Magazzini (1939)di Camerini, Beniamino Gigli che canta.Infine le stesse immagini, con i relativi

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Corrado D’Errico, Luisa Ferida, Goffre -do Alessandrini, Giorgio Ferroni, Pie-tro Francisci, Carmine Gallone, LauraSolari, Alma Clari, Luisella Beghi, LuigiFreddi, Bruno Mussolini, Vittorio Musso -lini, Sandro Pallavicini, Amleto Palermi,Elli Parvo, Carlo Romano, Elio Steiner,Osvaldo Valenti, Amedeo Castellazzi[fuori campo]; produzione: INCOM; ori-gine: Italia, 1940; formato: 35mm, b/n;durata: 7’.Copia 35mm da Istituto Luce.

«Nonostante gli sforzi compiuti da LuigiFreddi per portare in primo piano i pro -blemi del cinema, questi continuavanodi godere di un’attenzione piuttostoscarsa e di un trattamento frettolosa-mente acritico sui media, a cominciareda quelli creati apposta per pubbliciz-zare le imprese e le realizazioni del re -gime: cinegiornali e rubriche radiofoni-che. [...] Quanto ai cinegiornali, il riserbodell’Istituto LUCE fa pensare che essonon trovi le immagini adatte a far par-lare di cinema. Si potrebbe concludereche il cinema si rivelava inadatto a pro-pagandare se stesso. Fa eccezione lacerimonia inaugurale di Cinecittà, doveperò è soprattutto la figura del duce adagire da traino. Sarà semmai la neonataINCOM (Industria Corti Metraggi), gui-data da Sandro Pallavicini, a riservaredal 1939 in poi un po’ di spazio al cine-ma, seguendo la traccia dei notiziariradiofonici. Mino Argentieri ha analiz-zato due servizi inseriti nel ’39 nellaserie 5 minuti con... Il primo, Traguar -do degli astri, descrive con gli accentitipici della cronaca mondana una festanei salotti dell’Excelsior di Roma, or -ganizzata dal quindicinale “Cinema” in

onore dei vincitori di un referendumindetto tra i lettori della rivista direttada Vittorio Mussolini».

Callisto Cosulich, Il problema del cinemaitaliano nella stampa specializzata, in Orio Caldiron (a cura di), Storia

del cinema italiano 1934/1939,Marsilio/Bianco e nero,

Venezia/Roma, 2006

PANICO! Regia: Alberto Pozzetti; fotografia: Ema -nuel Lomiri [Emanuel Filiberto Lomiry],Giuseppe Belloni; adattamento musi-cale: Raffaele Gervasio; disegni anima-ti: Ugo Amadoro; produzione: SandroPal lavicini per INCOM; origine: Italia,1947; formato: 35mm, b/n; durata: 10’. Copia 35mm (o DCP) da Istituto Luce.

Dalla didascalia d’apertura: «Il panicoingiustificato è spesso causa di gravisciagure, talvolta con perdita di viteumane. Questo documentario vi consi-glia di non perdere mai la calma, affi-dandovi alle misure di sicurezza attuatein tutti i paesi civili».

HERMITAGE

Regia, sceneggiatura: Carmelo Bene; fo -tografia: Giulio Albonico; montaggio:Pino Giomini; musica: Vittorio Gelmet -ti; interpreti: C. Bene, Lydia Mancinelli;produzione: Nexus Film; origine: Italia,1968; formato: 35mm, col.; durata: 24’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«L’apparato scenico, le situazioni e le os -sessioni di Bene sono già tutti in opera:

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gli oggetti dell’orsa maggiore e dell’or-sa minore, cioè – secondo la definizio-ne che dà del suo “trovarobato” nelromanzo Nostra Signora dei Turchi – “ipunti fissi del rituale, quali, ad esem-pio, i gerani, anche appassiti, le cande-le, gli alcoolici, l’alcool puro, i portace-nere, il vino molto graduato, lo spec-chio”, e “gli oggetti cosiddetti variabili,in effetti tutti più utili e pratici di quellidell’“orsa maggiore”, e da lui impiegatial ricambio quasi perenne, in quantoassolventi la funzione di variante tra ilchimico officiante e gli oggetti fissi”,che qui sono anche bouquet di rose,tendaggi pesanti, lenzuola, telefono, co -rone di rose azzurre o bianche, lettere,cornici; e poi guardarsi allo specchiocon truccature variabili senza ricono-scersi, trascinarsi faticosamente, quasi instato di sonnambulismo, fra i vari og -getti, reiterando i gesti nel tentativoinutile di stabilire un contatto; e soprat-tutto confrontarsi con la donna, madree madonna (Lydia Mancinelli, con i ca -pelli corti come la Giovanna d’Arco diDreyer, o l’Anna Karina di Vivre sa vie,dunque anche puttana, ma col volto co -sparso di polvere d’oro), di cui il prota-gonista rifiuta l’amore a cui pure anela(«Basta! È finita con chi mi vuole bene!»,e ne cestina la foto nella tazza del ces -so, a conclusione); e ancora ca mere d’al -bergo di cui confonde le porte, dagliarredi falsamente sontuosi e vi branti diluci rosse, e a contrasto bagni maiolica-ti e freddi. Vampate di musica verdianamiste a gracidii di radio, voci in campoe fuori campo, alternanze go dardianedi campi sonori e controcampi mutianticipano le sperimentazioni linguisti-che che si scateneranno di lì a poco,

anche se la macchina da presa si con-tenta ancora di inquadrature fisse eprecise».

Adriano Aprà, Carmelo Bene oltre lo schermo, in AA.VV., Per Carmelo Bene, Linea d’Ombra, Milano 1995

[VERSIONE LUNGA] NOSTRA SIGNORADEI TURCHIRegia, sceneggiatura: Carmelo Bene; fo -tografia: Mario Masini; montaggio: Mau -ro Contini; musica: a cura di C. Bene;interpreti: C. Bene, Lydia Mancinelli,Ornella Ferrari, Anita Masini, RuggeroRuggeri (voce); produzione: Nexus Film;origine: Italia, 1968; formato: 35mm (da16mm), col.; durata: 142’.Copia 35mm da CSC-Cineteca Nazionale.

«L’epifania dell’opera cinema di Bene èNostra signora dei Turchi, che rimane atutt’oggi il film (unica pellicola per cuiresta possibile questo appellativo) piùabbordabile di Bene e nei fatti il piùparlato, finanche nell’eccezionale nu -mero monografico curato da MaurizioGrande nel 1973, nel quale occupa piùdella metà delle pagine. Se ne può ri -percorrere la “storia”, si può raccontarel’inganno produttivo del contratto conla Nexus Film che prevedeva la realizza -zione di tre cortometraggi documentari,ci si può dissetare a una fonte, il ro -manzo omonimo pubblicato due anniprima e già trasformato in teatro, finan-che fare dell’antropologia dall’esplora-zione del Salento, allora ancora terrafascinosamente esotica per il cinemaitaliano. Si possono inseguire tracce diautobiografie (del protagonista, del pa -

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La banda degli angeli Meraviglie dalla raccolta

dell’Officina Filmclub

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lazzo, dei fiori dei teschi e del mare... atutto CB dona la vista, “addirittura gliocchi”, e tutto tende all’infinito a farsovvenir l’eterno e le morte stagioni, ela presente e la viva, e il suon di lei...).Nostra signora dei Turchi è un caleido-scopio di atti insensati di bellezza crea-ti/trovati da un uomo (agli estremi, ge -nio o cretino) con la macchina da presache filma il tonfo della volontà. Come ilcoevo 2001 di Stanley Kubrick, è un’o-dissea che raccoglie e rilancia, nello spa -zio in questo caso sfinito e frantumato(come il corpo del protagonista), tuttele storie del cinema, anche quelle dascriversi ancora. Ma lo scontro, il crash,con il cinema inizia quando Bene ri -mette le mani sul negativo originale,accettando l’invito di Luigi Chia rini adaccorciare un po’ il film. Qualche pic-colo taglio qua e là, una sforbiciata allalunga scena in cui il protagonista fa disé e del suo orgoglio due frati, momen-to teorico e chiave di volta del film incui lo scrittore il cavaliere il martireprendono coscienza dell’impossibilità divivere finché non si esce fuori da sé eda tutti i propri doppi possibili, e perprovarci è necessario alterarsi mesco-larsi distruggersi con la materia».

Fulvio Baglivi, (Ri)epilogo – 2: non abbiamo altro bene all’infuori di Bene, in F. Baglivi, Maria Coletti (a cura di),Carmelo Bene. Il cinema, oppure no,

Centro Sperimentale di Cinematografia,Roma, 2012

11 MINUTI DAL QUADERNO DISTAVROS TORNESRegia: Gianpiero Rizzo; montaggio:Gianni Centonze; musiche: Roberto G.

Kriscak; interpreti: Stavros Tornes, Pao -lo Taviani, Vassilis Vassilikos, Charlottevan Gelder, Giulio Brogi; produzione:Studio Nino; origine: Italia, 2016; for-mato: HD, col.; durata: 11’.Copia Blu-ray da autore.

Un’anticipazione da Il quaderno diStavros Tornes, in anteprima per I milleocchi. A quasi trent’anni dalla sua mor -te, la parabola cinematografica e umanadi Stavros Tornes, uno dei registi piùanomali del cosiddetto Nuovo CinemaGreco: dalle opere italiane a quelleelleniche, da Coatti a Un airone per laGermania, dalle sue prove come attorenel cinema alle sue composizioni poe-tiche, all’attesa infinita dell’ultimo filmche non realizzerà.

FUORI CAMPO

MUDUNDU + JESUSI due progetti anche italiani di CarlTheodor Dreyer, rimasti entrambi in -compiuti. Mudundu sarà terminato daJean-Paul Paulin (ed Ernesto Quadro -ne) come L’esclave blanc / Jungla nera(1936).

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l’inizio le difficoltà che il cinema è riu -scito a risolvere con invenzioni partico-lari: ottenere un’immagine e un suonosincroni, anche in condizioni di lucenon agevoli, è molto facile. Inoltre, lanozione di “presa diretta” è totale, poi-ché l’immagine e il suono registrati sonocontrollabili al momento della registra-zione. [...] Sicché il nastro ci raccontatanto ciò che avviene agli “altri”, quan-to ciò che avviene all’occhio-corpo chesi manifesta gestualmente attraverso latelecamera. I vari elementi, che nel filmsono funzioni separate che un artificiotecnico riconduce all’unità dell’opera,qui interagiscono, e il nastro non ci racconta altro che questa interazione.L’opera si identifica allora col suo farsi,e il documento è quello di un gruppoche viva e lavora: dove vita e lavoro,esperienza e nastro sono momenti diun tempo continuo. Anna ci testimoniadi un gruppo di emarginati nella Romapost-sessantottesca: emarginati rispettoalla vita (esperienze di riformatorio, didroga, di carcere) e rispetto al lavoro(disoccupazione, o “lavoro” con unostru mento non ufficiale come è appun-to il videotape). Questa marginalità siapprofondisce a tutti i livelli, da quellocomportamentistico a quello politico.Pur limitandosi rigorosamente – secon-do il metodo del cinema-verità – a quel -lo che sta succedendo mentre succede,il nastro finisce per assumere un valoreemblematico. Ciò che era pura analisidiventa sintesi».

Adriano Aprà, ciclostilato, aprile 1975

CIAO RENATO!Regia, montaggio: Paolo Luciani, Cristi -na Torelli, Roberto Torelli; produzione:Rai Movie/Officina Filmclub (Paolo Lu -ciani, Cristina Torelli, Roberto Torelli);origine: Italia, 2012; formato: DV, colo-re e b/n; durata: 78’.Copia dvd (da master video) da autori.

Nel novembre 2012 Rai Movie promuo-ve un omaggio al lavoro di RenatoNicolini, protagonista indiscusso dellacultura italiana. Un omaggio all’archi-tetto, intellettuale, artista che è statoassessore alla cultura del Comune diRoma dal 1976 al 1985, cambiando lepolitiche culturali della sua città conl’invenzione dell’Estate Romana, unmodello ancora oggi studiato.

«Ciao Renato! è un omaggio a RenatoNicolini che con Paolo Luciani e Cristi -na Torelli abbiamo realizzato per la Fe -sta del Cinema di Roma, per ricordareun personaggio che ha cambiato la cul-tura non solo a Roma, ma in tutt’Italia.È stato un personaggio fondamentaledel ’900, che ha stravolto il canone del -la cultura alta e della cultura bassa. [...]Renato è stato un personaggio contro-verso, perché purtroppo nella sua vitanon gli è stato riconosciuto il ruolo cheavrebbe potuto avere. Non è stato sin-daco di Roma, avrebbe dovuto esserlo;non è stato ministro dei Beni Cultura-li e avrebbe potuto esserlo... Purtroppoè stato emarginato, perché era diverso.Era diverso come l’Estate Romana erastata diversa da tutte le cose che c’era-no state a Roma. Quindi abbiamo volu-to fare un’ora di montaggio di materia-

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CLARO

Regia: Glauber Rocha; fotografia: MarioGianni; montaggio: Cristina Tullio Al -tan; musiche: Samba de roda, Maculelê,Bellini (La casta diva), Villa-Lobos (Bac -chiana n° 5), Vivaldi, João de Barro,India cantata da Gal Costa e diversimotivi popolari brasiliani e italiani;interpreti: Juliet Berto, Tony Scott,Carmelo Bene, Mackay, Louis Waldon,Betina Best, Yvone Taylor, FranciscoSerrão, Cachorro, Janine Janet, LucianaLiguori, Anna Carini, Glauber Rocha egli abitanti di Roma; produzione: Al -berto Marucchi e Mario Tamburella perDPT-SPA; origine: Italia, 1975; formato:35mm, col.; durata: 110’.Copia 35mm da La Cineteca del Friuli(Fondo Ciro Giorgini/Officina Filmclub).

«Claro non è un film chiaro, soprattuttose ci si chiede dove Glauber Rochavoglia arrivare. A raccontare una storia,senz’altro no, a meno che non si trattidell’eterna storia di una città ugualmen-te eterna (il film è ambientato a Romae qualcuna delle sue sequenze, inesterni, nei luoghi più monumentalidella città). [...] Credo piuttosto cheClaro non abbia una chiave, solamentedelle grandi porte sfondate e richiuse,su prospettive che Rocha si prendecura di precisare non sue: quelle delladecadenza occidentale. È forse anchequesta una sua maniera agitata, rabbio-sa, d’esprimere semplicemente la suasaudade alla fine di cinque anni d’esi-lio: il Brasile gli manca, è evidente, eprova a ricrearlo nelle favelas romane.[...] Lisergico? Semmai lucido, ad ognimodo mosso dall’energia di chi si per -

de a dimorare troppo a lungo fuori dal -la sua terra, nell’orgoglio della poesiapura, quel che non gli permette l’orgo-glio ancora più grande di voler interve-nire nella sua città? Una nuova forma,dunque, del conflitto tra poesia e poli-tica già espresso in Terra en transe».

Sylvie Pierre (a cura di), Glauber Rocha.Textes et entretiens de Glauber Rocha,

Cahiers du cinéma, Parigi, 1987

ANNA

Regia: Alberto Grifi, Massimo Sarchielli;sceneggiatura: M. Sarchielli, RolandKnauss, A. Grifi; fotografia, montaggio:A. Grifi; interpreti: Anna, A. Grifi, M.Sarchielli, R. Knauss, Vincenzo Mazza,Stefano Cattarossi, Raoul Calabrò, LouisWaldon, Annabella Miscuglio, PilarCastel, Jane Fonda; origine: Italia, 1975;formato: 16mm (da video), b/n; dura-ta: 225’.Copia 16mm da La Cineteca del Friuli(Fondo Ciro Giorgini/Officina Filmclub).

«Dopo aver visto Anna di Alberto Grifie Massimo Sarchielli si può affermareche il cinema-verità, come esperienzacomplessiva, è morto, e che questovideotape segna l’inizio, se così si puòdire, di una nuova “arte” o, meglio,costituisce l’approccio più convincentee produttivo con un nuovo mezzo, ilvideotape appunto, che il cinema-veri-tà non ha fatto che anticipare, ipotizza-re, sognare, ma entro i limiti categoricidi un altro mezzo, il cinema, che inqualche modo veniva forzato nelle suepossibilità. [...] Il videotape, per le suecaratteristiche tecniche, supera fin dal-

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le di repertorio, per rendere omaggio aun romano di fronte a cui Roma si devetogliere il cappello». (Roberto Torelli)

BELLA DI NOTTE / BELLE DE NUIT

Regia, testo, montaggio, voce: LucianoEmmer; fotografia: Elio Bisignani; mu -sica: Gustav Mahler; produzione: Film7 International per Rai2; origine: Italia,1997; formato: 35mm, col.; durata: 33’.Copie 35mm da La Cineteca del Friuli(Fondo Ciro Giorgini/Officina Filmclub).

«Luciano Emmer, il regista accusato diessere profanatore dell’arte, torna a in -frangere l’opera. Lui, unico autore ita-liano che per settant’anni l’arte l’hapenetrata, compresa, interpretata e di -vulgata con tutti i mezzi e i linguaggi.Emmer riprende la sua dea di semprein un film emblematico: Bella di notte(1997), rêverie nocturne all’interno del -la Galleria Borghese a Roma. Prodottoda Rai2, in occasione della riaperturadella storica villa e collezione romana,il vecchio regista accetta la scommessae impone la sua firma autoriale: nien-te interviste e propaganda a sponsor ocritici in cer ca di visibilità. “Quando ladirettrice del Museo di Villa Borghesemi ha dato la possibilità di entrare dinotte, nelle sale vuote, mi sono ritrova-to con uno spirito molto diverso rispet-to ai miei film precedenti. Ho seguitoun itinerario so litario – una rêverie noc-turne – svelando, con un piccolo farodi sala in sala, le opere d’arte che sipresentavano ai miei occhi. È stata unapersonale ricerca delle emozioni chemi suscitavano le opere”. Peculiare la

scelta di Emmer di rivolgersi al CardinalBorghese, soffermandosi sul tema delcollezionismo. Il regista colpisce e scol-pisce con lame di luce quadri e statueinfondendo all’oggetto l’energia lumino -sa del cinema».

Paola Scremin (a cura di), Parole dipinte. Il cinema sull’arte di Luciano

Emmer, Cineteca di Bologna, Bologna, 2010

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3570, 71, 7265, 668018-22325931

Luca Ronconi Roberto Rossellini

Walter Santesso Massimo Sarchielli

Vlado Škafar Piero Vivarelli Mario Volpe

Frank Wisbar

5776, 776827, 2875366959344762, 63, 64694667, 82745637, 38625635802948, 49745858373954763052567880

Elenco alfabetico degli autori

Ugo Amadoro Carmelo Bene

Mario Bernardo Harald Braun

Mario Camerini Pasquale Festa Campanile

Fernando Cerchio Franco Cirino Luca Comerio

Vittorio Cottafavi Renato Dall’Ara

Francesco de Robertis Ermes Dorigo

Luciano Emmer Pietro Francisci

William Freshman Carmine Gallone Alberto Gambato

Giacomo Gentilomo Elvira Giallanella

Alberto Grifi Gustav Machatý Franco Maresco

Raffaello Matarazzo Léonide Moguy Giulio Morelli

Baldassarre Negroni Georg Wilhelm Pabst

Marina e Alessio Pierro Alberto Pozzetti Radványi Géza Jackie Raynal

Gennaro Righelli Gianpiero Rizzo Glauber Rocha

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Mama, 2016, Vlado Škafar Mobby Jackson, 1960, Renato Dall’Ara A Modern Hero, 1934, Georg Wilhelm Pabst Nacht fiel über Gotenhafen, 1960, Frank Wisbar Nočni pogovori z Mojco, 2009, Vlado Škafar Nostra Signora dei Turchi, 1968, Carmelo Bene Notes on Jonas Mekas, 2000, Jackie Raynal Oča, 2010, Vlado Škafar Odore di terra, 1990, Ermes Dorigo Oggi a Berlino, 1962, Piero Vivarelli Otroci, 2008, Vlado Škafar Paisà, 1946, Roberto Rossellini Panico!, 1947, Alberto Pozzetti Peterka: leto odločitve, 2003, Vlado Škafar Piume al vento, 1950, Ugo Amadoro Pod njihovo kožo - Under Their S.K.I.N., 2006, Vlado Škafar La presa di Zuara, 1912, Luca Comerio Quando la pelle brucia, 1966, Renato Dall’Ara La ragazza e il generale, 1967, Pasquale Festa Campanile Reminiscences of Jonas Mekas, 2015, Jackie Raynal Santa Brigida, 1952, Roberto Rossellini Scano Boa, 1961, Renato Dall’Ara Scipione l’Africano, 1937, Carmine Gallone Solange Du da bist, 1953, Harald Braun Stari most, 1998, Vlado Škafar Suchkind 312, 1955, Gustav Machatý Teheran, 1946, William Freshman e Giacomo GentilomoUn terremoto per tutti, 1977, anonimo Traguardo degli astri, 1939, anonimo Gli ultimi giorni dell’umanità, 1990, Luca Ronconi Umanità, 1919, Elvira Giallanella 11 minuti dal quaderno di Stavros Tornes, 2016, Gianpiero Rizzo Gli uomini di questa città io non li conosco..., 2015, Franco Maresco [Vita di ascari eritrei], 1912, Luca Comerio La vita semplice, 1946, Francesco de Robertis Il volo di Teo, 1992, Walter Santesso Zuma, 1913, Baldassare Negroni

22623931207752204632197176185718346436527263372818295647753535784834696637

Anna, 1975, Alberto Grifi e Massimo Sarchielli Der Arzt von Stalingrad, 1958, Radványi Géza Avanzi di galera, 1954, Vittorio Cottafavi Bella di notte / Belle de nuit, 1997, Luciano Emmer I calunniatori, Franco Cirino e Mario Volpe La carica delle patate, 1979, Walter Santesso Il carnevale di Nizza del 1910, 1910, Luca Comerio Cartagine in fiamme, 1959, Carmine Gallone Cento piccole mamme, 1952, Giulio Morelli e Léonide Moguy Ciao Renato!, 2012, Officina Filmclub Cinecittà, 1939, Piero Francisci 55” come secoli, 1976, Siro Angeli Claro, 1975, Glauber Rocha Contare sulle proprie forze (自力更生), 1972, Mario Bernardo Il corriere del re, 1946, Gennario Righello Deklica in drevo, 2012, Vlado Škafar Il documento, 1939, Mario Camerini Durchbruch Lok 234, 1963, Frank Wisbar Eroe vagabondo, 1966, Walter Santesso [Esercito italiano: plotone nuotatori di cavalleria], 1912, Luca Comerio Excelsior!, 1913, Luca Comerio La famiglia Reale nell’intimità, 1911, Luca Comerio Floaters, 2006-2016, Marina Pierro e Alessio Pierro Gente così, 1949, Fernando Cerchio Goffredo Parise e... Piazza San Marco, 1972, Luciano Emmer La guerra italo-turca, 1911, Luca Comerio Guido Piovene e... il ‘Battesimo di Cristo’ di Bellini, 1972, Luciano Emmer Hermitage, 1968, Carmelo Bene Herz der Welt, 1952, Harald Braun Himorogi, 2012, Marina Pierro e Alessio Pierro L’importanza di avere un cavallo, 1969, Walter Santesso In versi, 2008-2016, Marina Pierro e Alessio Pierro L’intrusa, 1956, Raffaello Matarazzo L’isola che c’era, 2014, Alberto Gambato Lago d’Iseo, 1913, Luca Comerio

Elenco alfabetico dei film in programma

8030478259663438588174468068562175316534343454696734677627546554746234

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Una o due cose tra milleNote di messa in scenadi Sergio M. Grmek Germani

Premio Anno uno. To Be: Vlado Škafar

Beloved and Rejected. Migranti, rifugiati, vittime di guerra, fughe oltre muri e recinti nella Germania dell’era Adenauer

Dalla pietà all’amore

Corpi e luoghi

Cinema di poesia, dal Friuli alla Sicilia

Autoritratti allo specchio: Jonas Mekas e Jackie Raynal

Tutto sparirà. Tutto rinascerà. Omaggio a Marina Pierro e Walerian Borowczyk

I figli di nessuno. Film italiani raccolti da Simone Starace, II

Mondo piccolo, grande ombra (I veneti sono matti, I)

Cinema italiano oltre il muro del tempo

La banda degli angeli. Meraviglie dalla raccolta dell’Officina Filmclub

Elenco alfabetico degli autoriElenco alfabetico dei film

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Sommario

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L’Associazione Anno uno dà appuntamento per la XVI edizione di

I mille occhifestival internazionale del cinema e delle arti

www.imilleocchi.com@IMilleOcchiMille Occhinglish version of the 2011 festival catalog on:

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