Ferraris, il potere dell'immaginazione, Repubblica 24 7 13

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* 45 MERCOLEDÌ 24 LUGLIO 2013 l a R e p u b b l i c a CULTURA L’ immaginazione, diceva Malebranche, è la pazza di casa. Certo non è la smemorata di Collegno, visto che l’immagina- zione è essenzialmente una modifica- zione della memoria, come diceva Vico («memoria dilatata e composta») e come ribadisce con ricchezza di argomenta- zioni e documentazioni Alberto Oliverio nel suo recentissimo Immaginazione e memoria (Mondadori Università). Nemmeno a Kant è riuscito di chiarire che cosa potrebbe essere una immagi- nazione totalmente produttiva, senza ri- tenzione e ripetizione. L’immaginazio- ne pesca nel mondo, combina, e solo at- traverso queste combinazioni crea. Alla creatività dell’immaginazione si presta benissimo il detto di Pascal posto in eser- go (e in difesa) delle sue Pensées: «Non si dica che non ho detto niente di nuovo: nuova è la disposizione delle materie». Al tempo stesso, però, è proprio que- sta vicinanza con la memoria ciò che rende davvero enormi i poteri dell’im- maginazione. Lo ha visto bene Stanley Cavell in un libro di parecchi anni fa, Guardare il mondo. Riflessioni sull’on- tologia del film: «È una misera idea della fantasia quella che la considera un mon- do a parte rispetto alla realtà, un mondo che mostra chiaramente la propria ir- realtà. La fantasia è precisamente ciò con cui può essere confusa la realtà. È at- traverso la fantasia che viene stabilito il valore della realtà. Rinunciare alle no- stre fantasie sarebbe rinunciare al no- stro contatto col mondo». Come si può leggere in Nuove teorie dell’immagina- zione, l’ultimo numero della Rivista di estetica (a cura di Daniela Tagliafico) l’immaginazione più che una facoltà do- vrebbe essere considerata come un mo- do per simulare altre facoltà: percezio- ne, ricordo, pensiero. Ecco dunque la differenza — sempre instabile, ed è que- sta instabilità che fa vacillare la distin- zione tra storia e invenzione — tra me- moria e immaginazione: la prima fissa e, almeno in linea di principio, rielabora il meno possibile. La seconda invece arti- cola, modifica, sposta, ricostruisce. In questo semplice scarto abbiamo la na- scita dell’arte. Si è parlato molto, per esempio dopo lo Strega a Siti, di “autofiction”, ma — se l’immaginazione è tanto legata alla realtà attraverso la memoria — c’è un senso, persino ovvio, in cui ogni fiction è autofiction. Lo ricordava proprio Siti su Repubblica del 19 luglio scorso, ed è già l’insegnamento di Poesia e verità di Goethe: «Il 28 agosto 1749, a mezzogior- no, al dodicesimo rintocco della campa- na, io venni al mondo a Francoforte sul Meno», dove l’anagrafe sprigiona la stes- sa poesia che Proust cercava (e come dargli torto?) negli orari ferroviari. Per- ciò insistere sulla riproduttività della im- maginazione non vuol essere un tentati- vo per ricondurre banalmente la crea- zione alla vita, ma, proprio al contrario, per mostrare quanto la creazione debba alla vita, e la finzione alla realtà. Lo si può verificare anzitutto per via negativa, in un modo un po’ perverso, considerando come talvolta la scusa del- la finzione, quella che potremmo chia- mare “licenza poetica”, venga adopera- ta per attenuare le conseguenze delle proprie affermazioni. In termini freu- diani, si tratta di una “denegazione”: si asserisce che i fatti narrati sono immagi- nari, che i giudizi espressi sono letterari, per evitare censure di vario tipo. Questa modalità è particolarmente interessan- te perché è la prova più forte — appunto per via indiretta, di denegazione — di quanto l’immaginazione sia intrisa di realtà. Qui l’appello al registro letterario (e alla sua dimensione fantastica) può addirittura essere come giustificazione di affermazioni che in un contesto “se- rio” sarebbero irricevibili. La denegazio- ne è particolarmente interessante per- ché contemporaneamente afferma e nega il proprio tenore realistico, o più esattamente, a norma freudiana, lo af- ferma negandolo. È, banalmente, la classica formula liberatoria «Ogni riferi- mento a fatti e a persone reali è da consi- derarsi puramente casuale», che non sempre funziona, perché indubbia- mente non è bastato l’anno scorso a Ri- chard Millet, editor di Gallimard, intito- lare il suo pamphlet Elogio letterario di Anders Breivik (dove tutta la speranza assolutoria si concentrava in quel “lette- rario”) per far dimenticare che la strage elogiata non era letteraria ma reale. Ma anche quando non prende temi o trame dalla cronaca o dalla storia, resta che l’immaginazione trae sistematica- mente alimento e materia dal reale. An- che il poema più orfico rigurgita di realtà (oggetti, sapori, suoni: dopotutto, l’as- siuolo di Pascoli fa effettivamente «chiù»), così come la fantasia più sfrena- ta è fatta interamente di reale, se pure si trattasse soltanto di colori. Ma soprat- tutto — e non troppo paradossalmente — dal reale viene anche la quintessenza dell’immaginazione, ossia la sorpresa. Quale Kleist avrebbe potuto immagina- re la vicenda dell’africano che gira per Milano all’alba uccidendo le persone a picconate? Una specie di Michael Kohlhaas con una drammaticità in più, perché la richiesta di giustizia che si tra- sforma in crimine non è neppure consa- pevole, e si abbatte su innocenti. Su tut- to, domina lo stigma preciso del reale, l’imprevedibilità, lo “sporgere”, come ha a giusto titolo ricordato Siti. Soprattutto nel caso della sorpresa, la realtà fa valere i suoi diritti smentendo le nostre aspettative e il nostro senso del verosimile, mettendoci in contatto con una pura e semplice realtà, un reale nu- do e senza filtri simbolici, come lo defi- nisce Lacan parlando delle psicosi, un mondo di oggetti che ci accompagna dalla nascita alla morte. Abbiamo parla- to poco fa della nascita di Goethe. Ci han- no anche insegnato che le sue ultime pa- role furono «più luce», mehr Licht, quasi un «fiat lux». Ma il contesto completo era prosaico, «apri pure l’altra imposta per fare entrare un poco più di luce», e un’al- tra interpretazione vuole che Goethe in realtà avesse detto mir liegt schlecht, questo letto «è scomodo», in dialetto francofortese. È un fatto comune. Nelle agonie, se il morente parla, si riferisce sempre a cose reali, a oggetti e ad azioni: a lavatrici da fare, a fiori da innaffiare, a pneumatici da cambiare. O a galli da re- stituire, come nel caso di Socrate, le cui ultime parole, che Nietzsche considera «ridicole e terribili» e interpreta rocam- bolescamente come «O Critone, la vita è una malattia!», sono «Critone, dobbia- mo un gallo ad Asclepio, dateglielo, non ve ne dimenticate». © RIPRODUZIONE RISERVATA È sospesa tra memoria e futuro, genera arte e creatività, costruisce la visione del mondo Gli studiosi rivalutano la “facoltà nascosta” di Kant e Goethe IMMAGINAZIONE all’ ILPOTERE Perché la nostra mente ha bisogno di ricreare la realtà Da Proust a Nietzsche la fantasia trae sistematicamente alimento dalla vita di tutti i giorni MAURIZIO FERRARIS NICOLAS MALEBRANCHE Il religioso filosofo e scienziato francese (1638-1715) ha definito l’immaginazione come «la pazza di casa» IMMANUEL KANT Nemmeno il grande filosofo tedesco è riuscito a chiarire che cosa sia un’immaginazione totalmente produttiva JOHANN W. GOETHE Nella sua autobiografia la nascita dello scrittore tedesco viene trattata con la stessa poesia che Proust usa per gli orari ferroviari I protagonisti L’annuncio di Bray “POMPEI, APRIREMO DIECI DOMUS” POMPEI — Dieci domus finora rimaste chiuse saran- no riaperte a Pompei nelle prossime settimane, grazie a nuovo personale. Lo ha annunciato il ministro dei Be- ni Culturali Massimo Bray ieri in visita agli scavi. Un so- pralluogo fatto insieme al ministro per la Coesione ter- ritoriale, Carlo Trigilla e Giovanni Puglisi, presidente della Commissione nazionale per l’Unesco. Bray ha sottolineato il suo impegno e ribadito l’importanza del “Grande Progetto Pompei”: entro la fine dell’anno sa- ranno utilizzati almeno 50 milioni dei cento finanziati con i fondi europei.

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citato nell'articolo "Parole" di Massimo Fagioli, Left Trasformazione n.31 del 3 agosto 2013

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MERCOLEDÌ 24 LUGLIO 2013

la Repubblica

CULTURA

L’immaginazione, dicevaMalebranche, è la pazzadi casa. Certo non è lasmemorata di Collegno,visto che l’immagina-

zione è essenzialmente una modifica-zione della memoria, come diceva Vico(«memoria dilatata e composta») e comeribadisce con ricchezza di argomenta-zioni e documentazioni Alberto Oliverionel suo recentissimo Immaginazione ememoria (Mondadori Università).Nemmeno a Kant è riuscito di chiarireche cosa potrebbe essere una immagi-nazione totalmente produttiva, senza ri-tenzione e ripetizione. L’immaginazio-ne pesca nel mondo, combina, e solo at-traverso queste combinazioni crea. Allacreatività dell’immaginazione si prestabenissimo il detto di Pascal posto in eser-go (e in difesa) delle sue Pensées: «Non sidica che non ho detto niente di nuovo:nuova è la disposizione delle materie».

Al tempo stesso, però, è proprio que-sta vicinanza con la memoria ciò cherende davvero enormi i poteri dell’im-maginazione. Lo ha visto bene StanleyCavell in un libro di parecchi anni fa,Guardare il mondo. Riflessioni sull’on-tologia del film: «È una misera idea dellafantasia quella che la considera un mon-do a parte rispetto alla realtà, un mondoche mostra chiaramente la propria ir-realtà. La fantasia è precisamente ciòcon cui può essere confusa la realtà. È at-traverso la fantasia che viene stabilito ilvalore della realtà. Rinunciare alle no-stre fantasie sarebbe rinunciare al no-stro contatto col mondo». Come si puòleggere in Nuove teorie dell’immagina-zione, l’ultimo numero della Rivista diestetica (a cura di Daniela Tagliafico)l’immaginazione più che una facoltà do-

vrebbe essere considerata come un mo-do per simulare altre facoltà: percezio-ne, ricordo, pensiero. Ecco dunque ladifferenza — sempre instabile, ed è que-sta instabilità che fa vacillare la distin-zione tra storia e invenzione — tra me-moria e immaginazione: la prima fissa e,almeno in linea di principio, rielabora ilmeno possibile. La seconda invece arti-cola, modifica, sposta, ricostruisce. Inquesto semplice scarto abbiamo la na-scita dell’arte.

Si è parlato molto, per esempio dopolo Strega a Siti, di “autofiction”, ma — sel’immaginazione è tanto legata allarealtà attraverso la memoria — c’è unsenso, persino ovvio, in cui ogni fiction èautofiction. Lo ricordava proprio Siti suRepubblica del 19 luglio scorso, ed è giàl’insegnamento di Poesia e verità diGoethe: «Il 28 agosto 1749, a mezzogior-no, al dodicesimo rintocco della campa-na, io venni al mondo a Francoforte sulMeno», dove l’anagrafe sprigiona la stes-sa poesia che Proust cercava (e comedargli torto?) negli orari ferroviari. Per-ciò insistere sulla riproduttività della im-maginazione non vuol essere un tentati-vo per ricondurre banalmente la crea-zione alla vita, ma, proprio al contrario,per mostrare quanto la creazione debbaalla vita, e la finzione alla realtà.

Lo si può verificare anzitutto per vianegativa, in un modo un po’ perverso,considerando come talvolta la scusa del-la finzione, quella che potremmo chia-mare “licenza poetica”, venga adopera-ta per attenuare le conseguenze delleproprie affermazioni. In termini freu-diani, si tratta di una “denegazione”: siasserisce che i fatti narrati sono immagi-nari, che i giudizi espressi sono letterari,per evitare censure di vario tipo. Questamodalità è particolarmente interessan-te perché è la prova più forte — appuntoper via indiretta, di denegazione — diquanto l’immaginazione sia intrisa direaltà. Qui l’appello al registro letterario(e alla sua dimensione fantastica) può

addirittura essere come giustificazionedi affermazioni che in un contesto “se-rio” sarebbero irricevibili. La denegazio-ne è particolarmente interessante per-ché contemporaneamente afferma enega il proprio tenore realistico, o piùesattamente, a norma freudiana, lo af-ferma negandolo. È, banalmente, laclassica formula liberatoria «Ogni riferi-

mento a fatti e a persone reali è da consi-derarsi puramente casuale», che nonsempre funziona, perché indubbia-mente non è bastato l’anno scorso a Ri-chard Millet, editor di Gallimard, intito-lare il suo pamphlet Elogio letterario diAnders Breivik (dove tutta la speranzaassolutoria si concentrava in quel “lette-rario”) per far dimenticare che la strage

elogiata non era letteraria ma reale.Ma anche quando non prende temi o

trame dalla cronaca o dalla storia, restache l’immaginazione trae sistematica-mente alimento e materia dal reale. An-che il poema più orfico rigurgita di realtà(oggetti, sapori, suoni: dopotutto, l’as-siuolo di Pascoli fa effettivamente«chiù»), così come la fantasia più sfrena-ta è fatta interamente di reale, se pure sitrattasse soltanto di colori. Ma soprat-tutto — e non troppo paradossalmente— dal reale viene anche la quintessenzadell’immaginazione, ossia la sorpresa.Quale Kleist avrebbe potuto immagina-re la vicenda dell’africano che gira perMilano all’alba uccidendo le persone apicconate? Una specie di MichaelKohlhaas con una drammaticità in più,perché la richiesta di giustizia che si tra-sforma in crimine non è neppure consa-pevole, e si abbatte su innocenti. Su tut-to, domina lo stigma preciso del reale,l’imprevedibilità, lo “sporgere”, comeha a giusto titolo ricordato Siti.

Soprattutto nel caso della sorpresa, larealtà fa valere i suoi diritti smentendo lenostre aspettative e il nostro senso del

verosimile, mettendoci in contatto conuna pura e semplice realtà, un reale nu-do e senza filtri simbolici, come lo defi-nisce Lacan parlando delle psicosi, unmondo di oggetti che ci accompagnadalla nascita alla morte. Abbiamo parla-to poco fa della nascita di Goethe. Ci han-no anche insegnato che le sue ultime pa-role furono «più luce», mehr Licht, quasiun «fiat lux». Ma il contesto completo eraprosaico, «apri pure l’altra imposta perfare entrare un poco più di luce», e un’al-tra interpretazione vuole che Goethe inrealtà avesse detto mir liegt schlecht,questo letto «è scomodo», in dialettofrancofortese. È un fatto comune. Nelleagonie, se il morente parla, si riferiscesempre a cose reali, a oggetti e ad azioni:a lavatrici da fare, a fiori da innaffiare, apneumatici da cambiare. O a galli da re-stituire, come nel caso di Socrate, le cuiultime parole, che Nietzsche considera«ridicole e terribili» e interpreta rocam-bolescamente come «O Critone, la vita èuna malattia!», sono «Critone, dobbia-mo un gallo ad Asclepio, dateglielo, nonve ne dimenticate».

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È sospesa tra memoriae futuro, genera artee creatività, costruiscela visione del mondoGli studiosi rivalutanola “facoltà nascosta”di Kant e Goethe

IMMAGINAZIONEall’ILPOTEREPerché la nostra mente ha bisogno di ricreare la realtà

Da Proust a Nietzschela fantasia traesistematicamentealimento dalla vitadi tutti i giorni

MAURIZIO FERRARIS

NICOLAS

MALEBRANCHEIl religiosofilosofoe scienziatofrancese(1638-1715)ha definitol’immaginazionecome«la pazzadi casa»

IMMANUEL

KANTNemmenoil grandefilosofotedesco è riuscito a chiarire che cosa siaun’immaginazionetotalmenteproduttiva

JOHANN W.

GOETHENella suaautobiografiala nascitadello scrittoretedesco vienetrattata con lastessa poesiache Proustusa per gliorari ferroviari

I protagonisti

L’annuncio di Bray

“POMPEI, APRIREMO DIECI DOMUS”POMPEI — Dieci domus finora rimaste chiuse saran-no riaperte a Pompei nelle prossime settimane, graziea nuovo personale. Lo ha annunciato il ministro dei Be-ni Culturali Massimo Bray ieri in visita agli scavi. Un so-pralluogo fatto insieme al ministro per la Coesione ter-ritoriale, Carlo Trigilla e Giovanni Puglisi, presidentedella Commissione nazionale per l’Unesco. Bray hasottolineato il suo impegno e ribadito l’importanza del“Grande Progetto Pompei”: entro la fine dell’anno sa-ranno utilizzati almeno 50 milioni dei cento finanziaticon i fondi europei.