Fermitutti 24 - Edizione Natale 2010

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Il giornalino ufficiale dell'I.S. Enrico Fermi di Mantova

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INDICE

p.3 Quello dei videogame è un mondo malsano? di Diego Gandolfini

p. 4 Un vaccino italiano contro l’Aids di Mattia Avolio

p. 6 L’iPad; ma che bel giocattolo! Di Stefano Tarocco

p.8 Fotostoria della ‘monnezza campana di Nico Catalano

p. 10 A proposito di Wikileaks (fotostoria) di Nico Catalano

p. 12 Intervista agli studenti delle prime di Lorenzo Minotto

p. 15 Fotocronaca della festa dei diplomati 2010

p. 16 Mente e corpo: una relazione inscindibile di Maura Malpetti

p. 19 Avete mai sentito parlare di lobotomia? di Sara Zamboni

p. 21 Una storia qualunque (I puntata) di Matteo Lucchini

p. 26 Recensione romanzo: Qualcuno con cui correre di Beatrice Bocchi

p. 28 Recensione fumetto: Yu Yu Hakusho di Nicola De Mita

p. 29 Noi di Giorgia Ghirardini

p. 30 FOTO-grafie di Alice Papotti (e Matteo Diani)

p. 32 L’assassina e il vampiro (I puntata) di Valentina Meneghello

p. 39 Immagini: momenti di Maura Malpetti

p. 40 Alle origini del mito di Vasco di Giorgia Ghirardini

p. 41 La Champions dopo i gironi di Riccardo Bruno e Nicola Latella

p. 42 Rubrica del mistero: L’uomo del BenMacDhui di A. Sanguanini

p. 46 Christmas in the world di Tommaso Ferro

p. 47 Giochi logici di Alice Girelli

p. 48 Curiosità di Matteo Diani

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ATTUALITÀ

QUELLO DEI VIDEOGAME E’ UN MONDO MALSANO?

I pro e i contro del primo passatempo del

21°secolo secondo alcuni recenti studi.

Fin dalla loro nascita i videogiochi sono stati

sinonimo di malsano, di dannoso. Al contrario

recenti studi condotti dalla Yale University su

un campione di 4.028 adolescenti e giovani fra i 14 e i 28 anni hanno

dimostrato che l‟uso dei videogame non è dannosa per circa il 95% degli

individui, mentre solo nel 4,9% dei giovani si può sviluppare una sindrome di

dipendenza da battaglie virtuali. E‟ testato, sempre da questo studio, che i

maschi che si cimentano nell‟uso di videogiochi almeno un‟ora a settimana

fanno minor uso di droghe e di tabacco. Esito diverso hanno dato i test sulle

ragazze della stessa fascia di età; i risultati dicono infatti che l‟uso dei

videogame comporta nella femmina adolescente un aumento esponenziale

dell‟aggressività e esse assumono comportamenti da “maschiaccio”.

Uno studio effettuato a fine settembre da ricercatori americani dell‟Università

del Michigan e dell‟Ohio ha invece scoperto che videogame violenti come

“Call of Duty” e “Mortal Kombat”, lasciano un residuo di aggressività nei

giocatori maschi che dura fino a 24 ore dopo.

(CALL OF DUTY) (MORTAL COMBAT)

Un altro studio pubblicato dall‟Università di Rochester ha d‟altra parte

dimostrato che con l‟uso di videogame i ragazzi imparano a prendere le

decisioni più in fretta del 25%.

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Stando ad un‟indagine del 2009 della Entertainment Software Association

almeno uno dei membri del 65% delle famiglie americane gioca per almeno

un‟ora al giorno alla console.

Ricordo poi che un‟indagine sponsorizzata dalla Nintendo ha rilevato che

l‟uso di Wii Sport o Wii Fit equivale ad un esercizio fisico reale di moderata

intensità; secondo alcuni medici giapponesi l‟uso di questi videogiochi per

almeno 2 ore e mezzo a settimana comporta benefici per la salute

(prevenendo obesità, diabete e malattie cardiovascolari).

Per concludere, non so dirvi se questi studi siano realmente scientifici o se

siano “spinti” dalle grandi case di videogame, sta di fatto che questo

fenomeno di massa che è il videogame sta cambiando le nostre abitudini, sia

motorie che nell‟uso del tempo libero. L‟età media in cui si incomincia a

giocare è all‟incirca di 7-8 anni e si sta abbassando sempre di più. Forse non

sapremo mai se veramente l‟uso di questi nuovi giochi sia buono o dannoso;

sicuramente non fa benissimo, principalmente perché ci porta via molto

tempo, libero e non.

Intanto continuiamo a giocare, ma responsabilmente (se davvero aiuta a

prendere decisioni più in fretta magari ci aiuta anche a scuola).

Diego Gandolfini

Trovato un vaccino contro l'Aids...ed è tutto italiano E‟ cominciata 13 anni fa la ricerca sul vaccino terapeutico italiano contro l‟Aids guidata dall‟Istituto Superiore di Sanita‟. Fin dall‟inizio i ricercatori

coordinati da Barbara Ensoli hanno scelto di colpire il virus Hiv al cuore, mirando alla proteina chiamata Tat, che e‟ il motore della sua replicazione. Adesso, ha detto la ricercatrice, ”sembra che riusciamo a bloccare il danno”. I risultati, appena pubblicati sulla rivista Plos One, riguardano la seconda fase della sperimentazione, non

ancora conclusa. Riguardano 87 pazienti, dei 128 inizialmente previsti nello attualità

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studio e ora aumentati a 160. Sono stati reclutati in 11 centri di sei regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio e Puglia); alcuni di essi hanno ricevuto il vaccino tre volte in un mese e altri cinque volte, alcuni a dosi di 7,5 microgrammi e altri di 30. ”Abbiamo deciso di pubblicare ora perche‟ i risultati sono stati molto rapidi e sono tutti statisticamente significativi già con numeri bassi”, ha detto la Ensoli. ”E‟ stata un‟emozione”, ha aggiunto. Il via libera alla pubblicazione è arrivato dai tre comitati internazionali che supervisionano il programma. Un risultato che per il presidente dell‟Iss, Enrico Garaci, e‟ un passo verso la medicina traslazionale, ossia nella capacita‟ di trasferire i risultati dal bancone del laboratorio al letto del paziente. Sono una garanzia in questo senso anche i 10 brevetti registrati dall‟Istituto fin dall‟inizio della ricerca. La seconda fase della sperimentazione è costata 13 miliardi in tre anni: ”Sono tutti fondi pubblici, assegnati dal ministero della Salute”, ha osservato Garaci, ed il Ministero della Salute non ha escluso la possibilità di ulteriori finanziamenti. ”Abbiamo visto che il vaccino arriva dove i farmaci si fermano”, ha spiegato la Ensoli. I farmaci antiretrovirali riducono infatti il numero delle particelle di virus in circolazione, ma non riescono ad azzerarle. Il virus continua ad essere presente e si rifugia in ”santuari”, costringendo il sistema immunitario ad un continuo stato di allerta. In questo modo si induce uno stato chiamato ”immunostimolazione”, che comporta problemi al sistema cardiovascolare, al fegato e ai reni. „Il vaccino sembra invece riportare il sistema immunitario verso l‟equilibrio”. Per l‟infettivologo Adriano Lazzarin, del San Raffaele di Milano (uno degli 11 centri coinvolti nella sperimentazione) ”la guerra nucleare al virus Hiv e‟ cominciata adesso perchè soltanto ora il virus integrale e‟ diventato un bersaglio”, ha osservato riferendosi al fatto che la proteina Tat e‟ ”il bersaglio scelto per controllare l‟infezione”. Per la Ensoli lo testimonia il fatto che gli Stati Uniti hanno deciso di stanziare 54 milioni di dollari per la ricerca sui geni regolatori del virus Hiv e che ”il 90% di questi fondi sono destinati alla ricerca sulla proteina Tat”. Per Lazzarin non c‟e‟ dubbio che ”l‟obiettivo finale è quello di sostituire la terapia antiretrovirale Haart con il vaccino, anche se questo non accadrà certamente domani”.

Mattia Avolio

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L’iPAD, MA CHE BEL GIOCATTOLO!

Nell‟era superinformatizzata in cui

viviamo ormai ogni nuova

invenzione è surclassata dopo

pochi anni (a volte addirittura mesi),

da un‟altra tecnologicamente ancor

più avanzata, tanto che ogni nuova

diavoleria inserita nel mercato fa

sempre meno scalpore e ha quel

non so che di “già visto” che non è

proprio il massimo per far scattare

l‟acquolina in bocca agli smanettoni.

Quando uscì, ormai quasi sette mesi fa, in Italia, già perché oltreoceano era

da qualche tempo nelle mani degli statunitensi, fu un vero casino. Perché tutti

gridarono all‟invenzione del secolo, al device che avrebbe rivoluzionato per

sempre il nostro approccio alla tecnologia, osannando quel volpone di Steve

Jobbs, che ancora una volta dopo l‟iPod e l‟iPhone ci aveva azzeccato

rivoluzionando il mondo con i suoi marchingegni d‟ultima generazione.

Beh, non è così.

Il buon vecchio Steve è stato sì il primo

a produrre un tablet degno di nota e a

commercializzarlo su larga scala (non

avevamo dubbi…), ma siamo ben

distanti dal poter dire che quel coso è

lo strumento che ci cambierà la vita.

Sarà sicuramente riuscito ad

accontentare i cosiddetti “consumatori

ludici”, che hanno subito abboccato al

bellissimo display touchscreen da 9.7”,

sensibilissimo al tocco e luminoso nei colori,alla fluidità del sistema operativo

e alle migliaia di apps che riempiono egregiamente il tempo del dolce far nulla.

Ma cercando di guardarci un po‟ dentro con cognizione di causa, capiamo

subito che questo aggeggio non è poi così perfetto come ci vogliono far

credere… Insomma signori, lasciatemelo dire: l‟iPad ha dei difetti!

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Ha dei difetti perché non si può

produrre un device destinato per

essere usato tenendolo in mano, è

infatti pesante ben 680g, che

diventano 740 nella versione Wi-Fi-

3G, ha dei difetti perché non è

affatto portabile quanto si dice per

via della sua forma tozza e poco

pratica per il trasporto, ha dei difetti

perché non potrà telefonare, perché non potrà scattare video o foto, ha dei

difetti perché dovrà avvalersi di tanti adattatori per qualsiasi uso, compreso il

semplice inserimento di una penna USB.

Ancora l‟iPad ha dei difetti perché non ha il riconoscimento della scrittura, ha

una tastiera virtuale deludente (parola dei

tester alla presentazione), perché è senza

multitasking, quindi con una sola applicazione

aperta per volta, perché è senza HDMI. E

soprattutto ha dei difetti perché non ha un

supporto flash in navigazione, una grossa

pecca per la casa di Cupertino.

Non per ultima la sua natura ibrida, che sta

volutamente in

mezzo alle

categorie di

smartphone e notebook, non eccelle nè in

mobilità né in prestazioni.

Insomma è molto comodo se si vogliono

distrarre i bambini facendoli giocare con

centinaia di apps a loro dedicate, fare una

capatina su facebook di tanto in tanto o

ancora leggersi un e-book , ma state sicuri

che l‟iPad non può fare di più. Pensando ad

esempio alle persone che utilizzano il computer per lavoro e magari devono

portarselo dietro tutti i giorni, direi che un notebook è ancora oggi la scelta

migliore; o, in alternativa, un bel netbook… Certo non avrà una mela sul

retro…. Vorrà dire che i bimbi li faremo giocare con qualcos‟altro.

Stefano Tarocco

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Fotostoria della ‘monnezza campana

Di Nico Catalano

La camorra

La spazzatura

La protesta

La denuncia

La soluzione?

La camorra

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Qualche arresto (fumo negli occhi?)

La soluzione fasulla

La spazzatura

La mafia

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A PROPOSITO DI WIKILEAKS (FOTOSTORIA)

di Nico Catalano

I documenti

L‟artefice

Il sito web

Le notizie si diffondono

L‟opinione pubblica sa

Ma il politico nega

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E pensa alla soluzione

Ed ecco le accuse…

E l‟arresto

Il problema è risolto

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RISULTATI DELL’INTERVISTA SULL’IMPATTO CON IL FERMI

DEGLI STUDENTI DELLE CLASSI PRIME

Per dare un giusto benvenuto a tutti gli alunni delle classi prime nella nostra

scuola, cos‟è meglio di un bel sondaggio? Sono andato in giro per le classi

prime ponendo agli studenti 8 domande riguardanti vari aspetti della nostra

scuola.

Una cosa molto positiva è stata la partecipazione, visto che ben 410 alunni

hanno risposto alle domande:138 del liceo, 49 chimici, 87 meccanici, 85

informatici e 51 elettronici.

Le domande erano le seguenti:

Domanda n°1

La scuola è come te l'eri

immaginata? Le possibilità

erano Si, No è meglio

oppure No è peggio.

La maggior parte delle

risposte sono state Si: il

77% circa del totale. Per

l'8% la scuola ha superato

le aspettative mentre il

restante 15% l'ha trovata

peggiore di come se

l'aspettava.

Non male, considerando

che probabilmente la scuola

non ha ancora tirato fuori i suoi lati migliori per ovvi motivi di tempo.

Domanda n°2

Hai delle difficoltà relative agli orari scolastici? Le possibilità erano Si o No.

La maggioranza è stata dei No con il 79%.

Al restante 21% abbiamo riservato la domanda seguente.

Domanda n°3

A cosa sono dovute queste difficoltà? Le opzioni stavolta erano ben 4:Le

ore sono troppe; le ore sono troppo lunghe; l'orario settimanale è male

organizzato o le ricreazioni sono troppo corte.

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La maggioranza è stata per la risposta L'orario settimanale è male

organizzato, mentre al secondo posto si piazza la risposta Le ore sono troppo

lunghe, all'ultimo gradino del podio si piazza la risposta Le ricreazione sono

troppo corte, che distanzia di pochissimo Le ore sono troppe.

Dispiace constatare che la “colpa” delle difficoltà viene prevalentemente

attribuita a chi ha elaborato l‟orario settimanale, ma così è emerso. Se la

presidenza volesse approfondire la questione (che comunque riguarda circa il

13% del totale degli intervistati) non ha che da chiedere le nostre tabelle dati

e poi verificare.

Domanda n°4

Che giudizio dai del livello di organizzazione della scuola? Le risposte

possibili erano 5: Ottimo, Buono, Sufficiente, Scarso, Scadente.

L'Ottimo è stato selezionato dal 22%, il Buono dal 62%, Sufficiente dall'11%,

Scarso dal 4% e Scadente dal 1%.

Dati tutto sommato positivi, poiché la somma dei primi due giudizi è dell‟84%.

Al di sotto della sufficienza del giudizio poi resta solo un modestissimo 5%.

Domanda n°5

Che giudizio dai delle attrezzature della scuola? I livelli sono gli stessi.

Le risposte sono state le seguenti: Ottimo:61%, Buono:29%, Sufficiente:9,7%,

Scarso:0,3%, Scadente:0%.

Non ci aspettavamo nulla di diverso, dato che il Fermi può vantare laboratori

di specializzazione e attrezzature informatiche di prim‟ordine. Chissà cosa

vorrebbe di più quel 10% di insoddisfatti.

Domanda n°6

Qual è il tuo giudizio sui tuoi

professori? Sempre i soliti

cinque livelli di risposta.

L'ottimo ha ragiunto l'11%, il

buono il 56%, la sufficienza il

29%, lo scarso il 3% e lo

scadente solo 1%.

A parte il fatto che in ogni

classe dove sono andato alla

lettura di questa domanda c‟è

stata una risata generale e che

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ogni prof. minacciava ritorsioni in caso di risposta negativa (sto scherzando),

il sondaggio indica un apprezzamento per la preparazione e le capacità dei

professori del Fermi nel loro complesso. Aggiungo comunque che non è

facile valutare bene le risposte, dato che qui entrano in gioco molti fattori, sia

di carattere emotivo sia relativi al rendimento scolastico di ciascuno degli

intervistati.

Domanda n°7

Per chi viene come i mezzi pubblici: hai avuto problemi con i nuovi orari?

Le opzioni erano Si lievi, Si gravi e No.

Su un totale di 339 alunni di prima che prendono la corriera, il 61% non ha

problemi, il 32% ha avuto problemi lievi e solo il 7% ha problemi gravi (es.

ritardi costanti).

I nuovi orari dell'Apam hanno creato un sacco di problemi a molti,

considerando che questa scuola contiene circa 1300 studenti. Si sono fatti

passi in avanti dall‟inizio dell‟a.s. ma a quanto pare qualche “coda” di difficoltà

è rimasta.

Domanda n°8

Come definiresti il tuo stato d'animo dopo questi primi mesi di scuola?

Le possibilità erano 4:Ottimo, Buono, Negativo, Pessimo.

Ottimo è stato scelto dal 6%, Buono dall'81%, Negativo dal 7% e Pessimo dal

6%.

Se ne deduce un ottimo inserimento nel nuovo ambiente da parte dei

“primini”, al di là di quello che potrebbe essere il loro rendimento scolastico.

Mi piacerebbe ripassare verso fine anno e porre questa stessa domanda …

Credo che sarebbe interessante.

Lorenzo Minotto

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FOTOCRONACA DELLA FESTA PER LA CONSEGNA

DEI DIPLOMI (11 DICEMBRE)

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CULTURA

Mente e Corpo: una relazione inscindibile

Da sempre, il connubio tra mente e

corpo, cioè la modalità della loro unione

e delle loro relazioni, è stato uno degli

argomenti di maggior discussione

trattati in differenti discipline. La filosofia

in primis, presenta nella sua lunga storia

un numero illimitato di personaggi e

scuole di pensiero che hanno affrontato

l‟argomento seguendo direzioni

contrastanti.

A tal riguardo è possibile identificare

due principali flussi di pensiero, opposti

tra loro: il Monismo, che considera

l‟organismo umano come un‟unica

realtà di cui sia mente che corpo sono frammenti, ed il Dualismo, il quale

sostiene invece che mente e corpo hanno differente struttura (a livello

cellulare la prima sarebbe formata da neuroni, il secondo da cellule

somatiche), e per questo debbano

essere valutati separatamente.

Il primo grande sostenitore della

corrente dualistica fu Platone. Nelle sue

opere, egli afferma in particolare che

l‟anima è l‟essenza dell‟uomo, è

immortale e non solo continua a vivere

dopo la morte del corpo, ma è esistita

anche prima del corpo al quale è stata

incatenata. Aristotele, al contrario,

rifiuta il dualismo platonico: egli ritiene

che l‟anima non possa essere separata

dal corpo, e anzi la identifica con quelle

capacità che consentono all'organismo di vivere. In questo senso non ci può

essere distinzione, se non a livello filosofico, tra anima e corpo.

Ammetto che è terribilmente difficile racchiudere in poche righe pensieri

filosofici di questo spessore che hanno influenzato le scuole di tutti i secoli

successivi. Per questo non credo sia fruttuoso spingersi oltre questi due

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sommi pensatori: essi bastano per rappresentare le due posizioni assumibili

nel rispondere alla questione riguardante la relazione tra mente e corpo: essi

possono essere considerati materie a se stanti oppure come dimensioni

strettamente correlate tra loro?

Ognuno di noi, dopo avere conosciuto i diversi punti di vista espressi dai più

grandi filosofi, psicologi, letterati della storia, può giungere a formulare una

propria opinione a tal quesito. Ovviamente, come per ogni domanda in ambito

metafisico, non esiste una risposta assoluta, ma penso che una delle

conclusioni più lecite sia considerare mente e corpo qualcosa di inscindibile.

Questa concezione, oltre ad essere

confermata da alcuni studi psicoanalitici (si

prenda ad esempio il primo caso clinico

nella storia della psicoanalisi, il caso di

Anna O, citato nei propri scritti da

Sigmund Freud), può essere giustificata

dalla riflessione sull‟esperienze

quotidiane che caratterizzano la vita

di ognuno di noi. Basti pensare alle

situazioni di agitazione più comuni

capaci di provocare diversi sintomi a

livello somatico come l‟emicrania, lo

“stomaco chiuso”, la sudorazione o

l‟aumento del battito cardiaco.

Dopo queste considerazioni, si può

affermare senza cadere in errore che

la sofferenza e la gioia della psiche, molto spesso, si manifestano attraverso

l'organismo, il quale non può essere curato come materia a sé stante. Nel

caso ci sia scompenso nell‟equilibrio fra le due parti a causa di un malessere

emotivo, questo intimo legame porta ad una progressiva degradazione

dell‟individuo.

Spesso accade che la mente tormentata, nel tentativo di alleviare la propria

sofferenza, la rigetta sul corpo, il quale, essendo materia “inferiore”, ne

subisce gli effetti passivamente. Col termine “inferiore” si intende che, tra i

due protagonisti della questione, il corpo molto spesso è la parte subente le

conseguenze più devastanti, dovute al malessere psicologico.

Con questo non voglio escludere la possibilità che possa accadere il caso

contrario: può infatti capitare che una sofferenza mentale sia la conseguenza

di un‟indisposizione corporea. Queste relazioni alterne di causa-effetto

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dimostrano quanto le due parti debbano essere prese in esame e curate

simultaneamente come un unico reticolo.

Concludendo, si può sostenere che tutto ciò che possiamo cogliere attraverso

la visione del nostro organismo è molto spesso la manifestazione di qualcosa

di più intimo, originario della nostra mente.

Anche la mancanza di appetito, o il mal di testa, sono effetti di un malessere

psichico, che ci logora la mente, distruggendoci la carne.

“Da questo punto di vista la medicina psicosomatica, in un'accezione ampia,

rappresenta quella concezione che, oltrepassando il dualismo psicofisico, che

separa il corpo dalla mente, guarda all'uomo come un tutto unitario dove la

malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico

come disagio. Adottando questo punto di vista, la medicina psicosomatica

ribalta lo schema classico, che prevedeva la lesione dell'organo quale causa

della sua disfunzione, a sua volta causa della malattia, nello schema secondo

cui il mantenersi di uno stress funzionale, che ha la sua origine nella vita

quotidiana dell'individuo in lotta per

l'esistenza, genera quella disfunzione dell'organo, causa della lesione, a sua

volta causa della malattia.” (Umberto Galimberti)

Allo stesso modo

possiamo affermare che

tutto quanto facciamo per

la mente dà benessere

anche al corpo, e tutto

quello che di buono

facciamo al nostro corpo

contribuisce al benessere

della nostra mente.

Non a caso gli antichi

affermavano: <mens sana

in corpore sano>

Maura Malpetti

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Avete mai sentito parlare di lobotomia?

Avete mai sentito parlare di lobotomia? Sappiate che non è una cosa

piacevole.

La lobotomia era un‟operazione chirurgica applicata agli inizi del „900 per

“placare” pazienti psichiatrici che avevano disturbi della personalità o

comportamenti asociali, e consisteva nell‟asportare i lobi frontali.

All‟inizio del secolo scorso, infatti, si era cominciato a studiare questa parte

del cervello; si era scoperto che i lobi frontali sostengono l‟intelligenza

divergente, cioè la capacità di essere flessibili e rapidi nel passare da un

compito all‟altro: in pratica, è il sistema di pianificazione delle azioni.

Un danno ai lobi, provocato da un incidente stradale, per esempio, non

agisce sulle nostre capacità cognitive, ma potrebbe impedire lo svolgimento

di più compiti contemporaneamente (come cucinare mentre si parla al

telefono). Altre conseguenze possono essere comportamenti che non

rispettano le regole sociali, come per esempio l‟uso di un linguaggio scurrile o

di quei comportamenti che creano disapprovazione nella gente che ci sta

intorno; i lobi frontali ci permettono di riconoscere questi segnali e fanno in

modo di inibire le pulsioni emotive.

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Secondo diversi studi, la parte anteriore dei lobi frontali, la corteccia

prefrontale, agisce direttamente anche sull‟attenzione, intesa come capacità

di focalizzare le proprie risorse cognitive su un oggetto per il tempo

necessario alla risoluzione di

un problema. E non è tutto: in

quest‟area si concentra anche

la produzione delle espressioni

facciali e della produzione del

linguaggio, la facoltà che

traduce in suoni ciò che

vogliamo pronunciare.

Questi studi, che oggi,

fortunatamente, non si servono

più di lobotomie, sono partiti nel

1848, a seguito di un incidente.

Un operaio, Phineas Gage,

fece esplodere

accidentalmente una carica di

dinamite. L‟esplosione sospinse nel suo cranio una traversina di ferro che si

infilò sotto l‟orbita sinistra e uscì a livello del lobo frontale destro. L‟operaio

sopravvisse miracolosamente all‟incidente, ma la sua personalità cambiò

radicalmente: se prima era un uomo moderato ed efficiente, dopo divenne

irriverente e si concesse a molti eccessi, quali alcol e gioco d‟azzardo.

Alcuni scienziati, incuriositi dall‟episodio, cercarono di ricondurre questo

comportamento a una funzione cerebrale. Dopo la morte di Gage, vennero

recuperati il cranio e la traversina che lo aveva colpito, stabilendo che la

traversina aveva danneggiato entrambi i lobi frontali e attribuendo a questo la

causa del cambiamento della personalità.

Sara Zamboni

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Una storia qualunque

racconto – prima puntata

È lei, è la “musa” che ispira i suoi intervalli, che lo lascia attonito, con quell‟occhio socchiuso da trota salmonata e quel panino al salame ciondolante dalle mani. Si chiama Noemi, e Andrea ne è ammaliato. La scena è sempre la stessa, a ogni intervallo fissa “con discrezione” quella ragazza che disgraziatamente ha la classe proprio davanti alla nostra. Ma oggi qualcosa è cambiato. “Attenzione Andrea, sta arrivando Nicola!” grida Simona, portando le mani al volto: in quella posizione è identica a “L‟urlo” di Munch, a differenza del trucco accentuato e dei capelli mossi e lunghi, che mi ricordano i parrucchini che si mettono ad Halloween per travestirsi da strega o ai campi estivi con la parrocchia. Ma purtroppo non c'è più nulla da fare, e … zac! Come se fosse stato un gioco di magia di sparizione alla David Copperfield, il panino al salame non c‟è più. In quel momento Andrea esce dalla sua catalessi quotidiana ed esclama: “cavoli Nicola, hai mangiato il mio panino, e per poco non mi mordevi anche la mano! E in più attorno al panino c‟era ancora la carta stagnola! “ ”Strano, non me ne sono accorto, però, ora che ci penso, ho capito cos‟era quel retrogusto un po‟ metallaro!”. “Nick, lo so che ti piace molto la musica metal, ma credo si dica metallico”. Ah dimenticavo, mi presento: sono Giacomo, e sto assistendo alla scena; sono uno dei tanti studenti in questo istituto che un tempo si chiamava ITIS e che da quest'anno ha cambiato nome (anche se in pochi sanno precisamente quale sia) e sono il migliore amico di Andrea, mentre Simona e Nicola sono nostri compagni di classe, a dire la verità sono amici stretti, dato che è da 5 anni che siamo in classe insieme. Nicola è soprannominato da tutti “il trangugiatore mascherato” a causa delle sue acrobazie funamboliche per riuscire a rubare la merenda a tutti, o almeno scroccarne un pezzetto. Quando passa lui per i corridoi tutti nascondono la merenda sotto la felpa e abbassano il cappuccio sulla testa, tanto che

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sembrano degli spacciatori anonimi di sostanze stupefacenti. Ma l‟obiettivo primario di Nicola sono le merende dei nuovi iscritti di prima, che, ignari della sua fama di “trangugiatore”, espongono la loro cioccolata o la pizzetta in bella vista. Andrea invece è il tipico intellettuale che non vuole passare per “secchione” (una volta ha preso volutamente un‟insufficienza in Fisica, la sua materia preferita, proprio per non essere chiamato così!), è un ragazzo simpatico, estroverso, impegnato nel sociale, non fuma, non esagera col bere, insomma, assolutamente un vero e proprio bravo ragazzo! Sono felice di essere il suo migliore amico; peccato che, da qualche tempo, abbia perso il buon umore. È cupo in volto, anche se cerca di nascondere questa sua malinconia dietro un falso sorriso. Solo in certi momenti riesco a strappargli via i pensieri che vagano nella sua testa; durante le lezioni lo vedo ora grattarsi il capo sbuffando mestamente, ora incantato verso la lavagna come sopra un‟immaginaria e soffice nuvoletta rosa. Ma torniamo alla ricreazione di oggi, 20 Dicembre, il giorno in cui ho capito qual è la causa del malessere del mio amico: è cascato nelle trappole e nelle fesserie dell‟amore!!! Dopo che è stato borseggiato della sua merenda, vado da Andrea per chiedergli una volta per tutte il motivo del suo malumore e se possiamo trovarci per parlarne insieme, anche se credo di averlo intuito. Sospirando varie volte e guardandosi i piedi cercando astutamente di non incrociare il mio sguardo inquisitore, mi risponde: “Non posso uscire, devo studiare latino”. “Parliamoci chiaro, siamo amici da quando ci coloravamo i piedi all'asilo per imitare gli indiani pellirossa: credi che non capisca quando ti inventi una scusa?”. E così l'ho convinto, senza doverlo nemmeno smentire sul fatto che noi il latino a scuola proprio non lo facciamo.

Abbiamo deciso di trovarci per parlarne quella stessa sera dal Gino, il miglior bar del nostro paesino di provincia; a dire la verità è nello stesso tempo anche il peggiore, dato che è l'unico nel raggio di chilometri. In questo piccolo locale si

respira un'atmosfera confusionale ma accogliente: appesi ai muri e sui banconi ci sono tutti i tipi di gadget che una marca di birra può possedere: orologi, poster, bicchieri, posacenere... e,, immancabili, le foto appese del

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proprietario con vari calciatori dell'Inter, del Milan e della Juventus, con tanto di autografo. Ma la parte migliore è quando i clienti chiedono al Gino di raccontargli come e quando le ha scattate: dà sempre una versione diversa! Un giorno io e la mia compagnia le riepilogammo, erano ben 37 diverse versioni, ognuna spiegata nei minimi dettagli: da quando aveva conosciuto Ibrahimovic alla festa del turtél, a quando aveva dato uno strappo con la macchina ad un Balotelli rimasto a piedi con la sua Ferrari Enzo. “Al Gino” non è tifoso di una squadra sola, o almeno nessuno sa quale sia la sua squadra preferita. Dice che simpatizzando un po' per tutte le squadre evita quelle tipiche liti da bar di cui ogni tanto si sente parlare sul giornale, che iniziano per motivi stupidi e finiscono molto male, e in effetti su questo ha ragione. Ma il bello di questa taverna è che ognuno è se stesso e per una mezz'ora di libertà si può togliere la maschera che porta tutta la giornata: quella da impiegato-soldatino, da spaccone di periferia, o da ragazzo timido e imbranato. Questa sera Andrea è stranamente puntuale, con la sua Polo di terza mano, un regalo dello scorso mese dei suoi genitori per festeggiare la nuova patente ottenuta a pieni voti. Una volta seduti al tavolino e ordinate due pinte, parliamo del più e del meno, fino a quando non decido di arrivare al nocciolo

della questione, tentando un giro di parole che però Andrea smorza sul nascere. “Vedi André, se io ti dicessi: dimmi una parola che inizia per la lettera N. Tu cosa diresti?” “Ho capito dove vuoi arrivare, grazie per lo sforzo di averci provato ma questi giochetti da bambini non li tollero proprio. E comunque, come tu avrai ben dedotto, mio caro Holmes, quella parola è Noemi, N-O-E-M-I. Ti ho fatto lo spelling nel caso non avessi capito. Il fatto è che quella parola mi bombarda la mente in ogni istante, non faccio che pensare al suo sorriso, a quanto desidererei darle

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un bacio. Invece sprofondo quando vedo quell'imbecille del Rossi che le tiene la mano assieme al cellulare e la sigaretta e con quella libera si gratta la testa mentre lei gli accarezza le dita dolcemente, e alla fine si scambiano un bacio che definire falso e meschino è poco.” Sono sorpreso dalla sua imprevista loquacità, ma soprattutto dal tono di sfida che indirettamente mi lancia. In effetti Noemi è una ragazza molto carina: è sempre solare, i suoi occhi verdi si intonano perfettamente al sorriso sempre presente accanto alle sue gote color della vita. Da quelle poche informazioni che conosco, indipendentemente dal buono e dal cattivo tempo nessuno l'ha mai vista demoralizzarsi e sostituire il sorriso candido e sincero ad una smorfia muta e disperata.

Dato che non ho esperienza nel campo amoroso (a parte quei pomeriggi in cui devo sorbirmi novanta puntate dell'interminabile soap-opera Beautiful alla TV di cui mia sorella è morbosamente appassionata), non so se comportarmi con Andrea da amico sincero, che però duramente gli deve aprire gli occhi sulla realtà dei fatti, o se devo assecondarlo; così sto in silenzio, aspettando che beva l'ultima goccia di birra e continui il suo discorso: “E poi cosa avrà il Rossi più di me? Ok, ha un dragone tatuato sul collo che a sua volta ha

tatuato un dragone che pratica kung fu, va sempre in palestra, ha dei gran muscoli dappertutto, meno che nel cervello! Non sa quale splendida ragazza si ritrova davanti, crede che Noemi sia una ragazza qualunque!” Mi accorgo che il mio amico si sta veramente scaldando e mi sta usando solo per sfogarsi. Quindi, con lo scopo di accendere la sua ira, ribatto: “Ma in fondo lei è solo una ragazza!” - Non avessi mai pronunciato queste parole. La sua reazione mi ammutolisce. “No stupido! Lei è LA ragazza! Alcuni miei amici mi hanno detto che lui la sta solo usando per arrivare ad una sua amica! Se solo lei sapesse quanto a lui importi poco, forse getterebbe uno sguardo su di me... E tu dì qualcosa, no?! Non rimanere lì con quella faccia da beota!” Dopo qualche secondo di silenzio mi riprendo, voglio calmarlo e tentare un armistizio, ma il fiato non si trasforma in parole, mi sento come l'ambasciatore persiano a Sparta nel film “300”, pronto per cadere nel mio baratro su misura,

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ed Andrea fa la parte di Leonida; insomma, ho perso in partenza. Gli dico solo: “Andrea, cosa ti devo dire, non possiamo comandare i sentimenti delle persone”. “Bell'amico che sei! mi chiami qui e non mi sai dire nulla. I tempi dell'asilo sono finiti da un pezzo, ricorda. Mi rendo conto che in questa società apparire è più importante che essere, che schifo! Se come me hai addosso l'etichetta di sfigato non è possibile toglierla, perché è come un marchio a fuoco nella carne. Al diavolo gli amici, il calcio, la scuola, i giorni spesi per diventare qualcuno, la filosofia e la sua ragione ambigua, la matematica e la scienza! Se il mio cuore non ha pace tutto questo converge in un punto, e vale quanto il nulla. Non mi importa qual è la destinazione, sempre se ce ne è una, voglio andarmene da qui, ho bisogno di viaggiare. Da solo”. Detto questo, prende in fretta la sua giacca (fuori piove a dirotto), lascia 5€ sul tavolo ed esce; sbattendo la porta con noncuranza, l'insegna al neon del bar cade e si rompe in un piccolo fuoco d'artificio incandescente. Il mio migliore amico se ne è andato, e l'unica cosa che sono riuscito a dirgli è stata: “Non possiamo comandare i sentimenti delle persone”, una frase trita e ritrita che non si sente più nemmeno nei film. Temo per Andrea, non so se lo rivedrò più. Non ho mai conosciuto questo lato burbero del suo carattere. E‟ proprio vero che l'amore certe volte può cambiare completamente una persona, in positivo o in negativo, rendendola migliore o facendole compiere azioni folli. Gli occhi mi si gonfiano, non riesco più a pensare, rannicchio la testa tra le braccia conserte e, sotto la telecronaca alla radio di chissà quale partita di calcio, e le parole e le risa degli altri clienti, chiudo gli occhi.

Matteo Lucchini

Nota dell‟autore: Questa puntata dal sapore agrodolce si chiude così, con questi enigmi irrisolti: dove andrà Andrea? Giacomo lo cercherà? Dov'è custodito il Santo Graal? Ma soprattutto: riusciranno Goku e i suoi amici a sconfiggere il mostro e a ripristinare la pace?

Se volete dare una risposta a queste misteriose domande leggete i prossimi numeri di Fermitutti.

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recensione libro

QUALCUNO CON CUI CORRERE

Autore: David Grossman Editore: Mondadori

I protagonisti sono due ragazzi di 16 anni: Assaf e Tamar. Il romanzo è

costruito intervallando le vicende del primo, impegnato nella ricerca del

padrone di una cagna arrivata nel municipio dove lui lavora nel periodo estivo,

con quelle di Tamar, una ragazzina alla disperata ricerca del fratello

tossicodipendente scappato di casa.

All‟inizio il racconto è molto enigmatico.

Ad Assaf viene assegnato lo strano

incarico di riportare la cagna al

proprietario, ma non è lui a guidare la

cagna, sarà invece lei, Dinka, a

trascinarlo in una folle corsa su e giù

per le strade di Gerusalemme. Assaf

viene condotto nei posti più improbabili

e conosce vari personaggi che gli

danno degli indizi sull‟identità di Tamar.

In particolare in un monastero incontra

una arzilla e buffa vecchietta, Teodora,

suora di clausura che non ha mai

messo piede fuori dalla porta da

quando circa cinquant‟anni prima era

stata trasferita lì per una missione

molto importante. Teodora conosce

molto poco del mondo esterno e

frequenta solo una persona: Tamar,

con la quale intratteneva lunghe

chiacchierate prima della sua

scomparsa. Ora Teodora sta aspettando il suo ritorno, perché sa il motivo per

cui Tamar è scappata. Pur non tradendola, la suora decide di aiutare Assaf

nella sua ricerca e descrive Tamar come una ragazza molto solare, forte e

determinata.

Il ragazzo si appassiona sempre di più alla sua storia e decide che vuole

ritrovarla. Però è un ragazzino timido e chiuso e dovrà affrontare una sfida

con sé stesso che lo farà crescere, affrontando tutti gli ostacoli che lo portano

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a prove di coraggio e di volontà, tra cui la lotta continua con il pensiero di

mollare tutto e tornare a casa.

Allo stesso modo Tamar deve affrontare una realtà pericolosa e ostile, un

circolo malavitoso che sfrutta gli artisti di strada illudendoli di poter

raggiungere il successo. Mettendo a rischio la propria vita, essa corre tutti i

rischi per portare in salvo il suo amato fratello, che i genitori non vogliono più

cercare. Per questo è pronta ad abbandonare i propri sogni e progetti, a

contrattare con spacciatori e a cantare per strada. Riuscirà nel suo intento?

Come reagirà all‟incontro con Assaf?

Questo non lo svelo per non togliervi il piacere della lettura. Però vi dico che il

romanzo travolge nella corsa verso l‟incontro tra i due protagonisti, e la

continua suspense invoglia a non staccare gli occhi dalle pagine. Ricca di

colpi di scena, è una storia che appassiona, anche grazie alla scrittura

scorrevole e piacevole di Grossman che riesce con disinvoltura e semplicità a

mettere bene in risalto i temi che affronta, come il valore dell‟amicizia,

dimostrato da tutti coloro che hanno aiutato Tamar e Assaf nell‟avventura, e

la crescita dei due adolescenti attraverso nuove esperienze che li

cambieranno.

Viene affrontato anche il problema della droga, attraverso la figura del fratello,

il quale senza di essa sostiene di non suonare bene; purtroppo questo al

giorno d‟oggi è un problema di molti, che trovano la soluzione a tutti i loro

problemi nella droga e come lui non sono capiti e aiutati a sufficienza dai

genitori. Infine non poteva mancare l‟amore tra Assaf e Tamar, che cresce

lentamente durante la corsa e sboccia al traguardo.

E‟ un romanzo che consiglierei a tutti gli adolescenti, che invita a riflettere e

insegna che c‟è sempre qualcuno con cui correre.

a cura di Beatrice Bocchi

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recensione fumetto

YU YU HAKUSHO

Yu Yu Hakusho è un anime

disegnato da Yoshihiro Togashi, i cui

protagonisti sono esseri umani e

demoni che devono affrontare

battaglie in cui vengono utilizzati dei

poteri spirituali.

Il personaggio principale si chiama

Yusuke Urameshi, ed è un giovane

irrispettoso nei confronti di tutti e con

una sfrenata passione per le risse.

Nonostante il suo pessimo carattere,

un giorno egli decide di sacrificarsi per salvare la vita di un bambino: questo

avvenimento é inaspettato anche per l‟Aldilà, e infatti, grazie a questo gesto,

Yusuke viene riportato in vita e nominato detective del mondo degli spiriti.

Durante le sue prime missioni conosce quelli che diventeranno i suoi tre

inseparabili compagni: Kuwuabara, un liceale amante delle risse e molto

simpatico, Hiei e Kurama, due demoni dall‟animo buono.

Con loro Yusuke affronta un sacco di avventure emozionanti, che gli fanno

spesso sfiorare la morte, iniziando dal Torneo delle Arti Marziali Nere, in cui i

nostri hanno dovuto sconfiggere i terribili fratelli Toguro, fino ad arrivare alla

difficilissima sfida con Sensui, dove i quattro eroi hanno combattuto per

impedire ai demoni di invadere il mondo degli esseri umani.

E‟ durante questa battaglia che si scopre la natura demoniaca di Yusuke.

A questo punto della storia i nostri quattro amici si separano: Kuwuabara

rimane nel suo mondo per cercare di entrare in una scuola prestigiosa,

mentre gli altri tre vanno nel mondo dei demoni per diventare più forti in modo

da poter vincere un torneo (organizzato dallo stesso Yusuke) che decreterà il

re del mondo dei demoni.

Questa separazione non segnerà la fine della loro amicizia, infatti negli ultimi

episodi dell‟anime si riuniranno tutti, mettendo in evidenza l‟importanza di

questo straordinario legame.

Questo favoloso anime è ricco di colpi di scena ed inoltre non perde mai il

suo lato ironico, nemmeno nei momenti più critici; per questi motivi ne

consiglio vivamente la lettura.

a cura di Nicola de Mita

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Vorrei dedicare questa canzone alla mia cara amica, a te, Alice, sperando

che tu ritorni presto a camminare e a fare ciò che più ti piace.

un abbraccio

Giorgia

Noi…!!! Noi che siamo sempre qui

Qui dove l‟amore sembra impossibile…

Qui dove tutto è tormentabilee…

Dove Il mondo è immaginabile

Viviamo diiiii speranzaaa

Dentro un mondo di sapienza!!!.

Se tutto fosse semplice

Con una piccola gioia di vivere

Tutto … tutto rimane qui

Dove noi siamo ad aspettarti

Se stai qui con noi

Non lasciarci mai

Ti vogliamo rivedere

Ti vogliamo riabbracciare …

Se vuoi vivere

Non lasciarci non farci maleeeee

Tu piccola stella nel cielo

Una stupenda creatura ….

Si nasconde …. dietro alla sua armatura

Un‟anima intelligente

Dentro un corpo esistente

Ci fai ricordare come eri…

Ti cerchiamo volentieri

Perché tu sei nostra amicaaa

Dai ritorna dalla Nikaaa!!

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FOTO – GRAFIE

di Alice Papotti (parole di Alice Papotti e Matteo Diani)

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L’ASSASSINA e Il vampiro

racconto

PREFAZIONE “Anche questo è morto” sussurrai. Anche questo è morto, pensai, ora che il suo corpo è a terra sanguinante l’adrenalina sta diminuendo, anche se il solito sentimento di potere e libertà si sta facendo sentire, come sempre. Dopotutto sono stata abituata così, sono stata addestrata per questo. Sono nata per questo.

CAPITOLO 1: LA MIA PRIMA MISSIONE “Ancora Ethel! Da capo!” mi ripeteva il mio maestro se sbagliavo un solo piccolissimo movimento. “Non si può sbagliare! Anche solo un piccolo spostamento sbagliato può portarti alla morte” dicevo in contemporanea con il mio maestro, che lo stava praticamente urlando. “E la morte deve essere provocata, non subita, non da un assassino!” continuava il mio maestro. Sì, un assassino. Io sono un‟assassina, l‟unica ragazza che a soli sedici anni è uno dei migliori assassini in circolazione. Anche se io sono l‟unica ragazza che è diventata una assassina. Ma andiamo con ordine. Vivo in America, in una specie di castello di un piccolo villaggio che viene governato dal mio clan di assassini. All‟interno del castello vivono anche le donne, ma sono separate dagli assassini, perché loro vengono “utilizzate” solo per scopi riproduttivi e per soddisfare i capricci di qualche assassino. Io sono un‟eccezione, poiché nel periodo in cui sono nata non c‟erano molti bambini maschi, quindi decisero di tentare di addestrare una bambina, e quella bambina ero io. Mia madre all‟inizio era contraria, ma poi si convinse che era giusto che io non subissi ciò che aveva dovuto passare lei, quindi avere un futuro diverso dalle altre donne di corte. I primi due anni li passai con mia madre, e quando cominciai a parlare gli assassini mi presero con loro e il mio maestro fu proprio mio padre, Eric. La

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prima volta che entrai nella sala d‟addestramento si capì che la loro scelta era stata giusta: già da un anno sapevo camminare, quindi non ci furono problemi, infatti mio padre mi lasciò correre spensierata e mi avvicinai ai pugnali da lancio; ne presi uno, mi girai verso mio padre e gli altri assassini che erano con lui, poi lanciai il pugnale centrando quasi uno di loro se mio padre non lo avesse spinto da parte. Mio padre mi prese in braccio e mi portò per l‟ultima volta da mia madre, Grace si chiamava, alla quale raccontò ciò che era successo poco prima. Infine, le disse di preparare le mie poche cose, perché sarei andata ad abitare dove vi erano gli altri assassini e avrei dormito con mio padre. Nei tre anni successivi imparai a parlare bene e cominciarono ad insegnarmi

le basi per diventare un‟assassina: non feci ancora l‟addestramento fisico, perché ero solo una bambina di quattro - cinque anni. Quando ebbi compiuto cinque anni, decisero di iniziare anche con quello; e doveva continuare ad addestrarmi mio padre per ordine del Supremo Maestro, il capo del clan. L‟addestramento era durissimo e pesante, anche se portava ad ottimi risultati, e veniva anche un po‟ addolcito da mio padre: quando mi allenava in pubblico era freddo e duro, mentre quando eravamo da soli non era affatto severo: era dolce, e se sbagliavo mi diceva che non era niente, ma che dovevo imparare a rifarlo senza sbagliare; era un padre dopotutto. Mi allenai moltissimo e intanto ci prendevo gusto e mi divertivo, stupendo tutti con i risultati che ottenevo; infatti dopo solamente un anno e mezzo di allenamento nel castello fui pronta per affrontare le missioni con mio padre, che mi insegnava, direttamente sul campo, come comportarmi per fare indagini e colpire al meglio la vittima. Quando affrontai la mia prima missione avevo sei anni e mezzo e sapevo maneggiare al meglio una spada, la lama nascosta, il pugnale e i coltelli da lancio; dovevo fare solo qualche

miglioramento nell‟arco e poi sarei stata una vera e propria assassina. La mia prima missione si svolse nello stato dell‟attuale California, vicino all‟abitazione segreta di uno di noi, uno che ci poteva dare informazioni sulla nostra vittima, un piccolo indizio per cominciare le indagini: il suo nome era Alvin. Giunti in California andammo da Alvin, il quale ci diede alloggio. Ci fornì il punto della situazione e ci indicò dove andare per cercare alcune

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informazioni sulla nostra vittima. Le uniche informazioni di cui eravamo in possesso erano quelle che il Supremo ci aveva fornito prima di partire: sapevamo il nome, Austin, e il motivo per cui dovevamo ucciderlo: aveva rapito una delle donne del castello e perciò doveva pagare. “Pagare con la vita” aveva detto il Supremo e il modo in cui lo disse mi fece trasalire. Cominciammo a fare indagini il giorno stesso del nostro arrivo e scoprimmo dove stava in quel momento la nostra vittima. Appena calò la sera, ritornammo in casa di Alvin (dopo aver scalato la casa, poiché l‟entrata si trovava sul tetto), il quale ci diede del cibo e dei cuscini. Mangiammo, poi io andai a coricarmi e finsi di essermi addormentata per ascoltare quello che dicevano: parlarono di come io e Eric ci saremmo mossi il giorno seguente, poi, a un certo punto, smisero di parlare ed Eric si avvicinò a me e mi disse all‟orecchio: “Ora sai come dobbiamo comportarci domani, perciò faccio senza ripetertelo… Però ora dormi davvero.” Aprii gli occhi di scatto e girai il viso con un punto interrogativo stampato in faccia che diceva: “Ma come hai fatto?” e lui mi rivolse un sorriso e disse: “Dormi ora che domani sarà una giornata lunga” Mi distesi di nuovo per dormire veramente, stavolta. Ero ancora un po‟ troppo piccola per avere il sonno leggero, ma sapevo che Eric e Alvin, invece, dopo anni di addestramento, avevano il sonno leggero; perciò ad ogni rumore strano si sarebbero svegliati. Ci svegliammo all‟alba, perché dovevamo continuare le nostre indagini; perciò ci dirigemmo verso la casa della nostra vittima per registrare i suoi spostamenti. Eravamo partiti molto presto perché c‟erano poche persone in giro e quindi avremmo agito senza troppi intoppi. Raggiungemmo la dimora di Austin e notammo che aveva due guardie all‟entrata principale e una per ogni entrata secondaria, per un totale di sei. Ci accontentammo di questo primo sopralluogo, anche perché cominciava a girare gente, soprattutto mercanti che preparavano le loro bancarelle, e non dovevamo destare sospetti. Ogni volta che ci spostavamo indossavamo dei lunghi mantelli con il cappuccio sulla testa per mettere in ombra il viso; quando lo indossavo spuntavano dal cappuccio i miei lunghi capelli biondi, che però raccoglievo anche per tenere nascosta la mia identità di bambina. Indossarlo mi divertiva, perché mi piaceva l‟idea del mistero e dell‟identità

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nascosta; inoltre mi sentivo veramente me stessa quando nascondevo il viso nel cappuccio. Passammo tra le bancarelle dei mercanti e, ogni tanto, qualche guardia ci passava di fianco. Se ci avessero riconosciuti e attaccati, io non avrei potuto fare molto, anche perché avevo solo un pugnale e dei coltelli da lancio, mentre mio padre avrebbe combattuto per difendere entrambi. Mentre osservavo le guardie che stavano passando, urtai una bancarella di un mercante facendogli cadere alcuni oggetti e le sue grida attirarono l‟attenzione di un gruppetto di guardie che si avvicinarono a noi e chiesero: “Che succede qui?” “Niente, ho solo urtato questa bancarella e ho fatto cadere alcuni oggetti, ma non l‟ho fatto di proposito” risposi, anticipando mio padre. “Alzati ragazzino” mi disse la guardia. Per fortuna, i miei capelli non uscirono dal cappuccio: nessuno doveva sapere che ero una bambina assassina, altrimenti non so cosa sarebbe successo, visto che vestivo panni maschili. “Quanti anni hai?” mi chiese la stessa guardia. “Ho sei anni” risposi. “Bene ragazzino, togliti il cappuccio e seguici.” disse la guardia. Io mi spaventai, ma non persi la calma. “E voi? Chi siete? Potete, anzi, ve ne dovete andare! subito!” ordinò un‟altra guardia rivolta ad Eric; probabilmente non si era accorto che mio padre era sempre stato lì. “No, non me lo tolgo il cappuccio e non seguirò voi” dissi per rispondere alla guardia ed evitare, così, che mio padre dovesse dire qualcosa. “Come hai detto?” “Ho detto che non vengo con voi e che non mi voglio togliere il cappuccio” risposi con decisione. La guardia sguainò la spada e la rivolse contro di me, ma intervenne subito pronto Eric che fermò il colpo con la sua spada. Un‟altra guardia gridò: “Non ti intromettere! – poi rifletté e lo guardò di nuovo – Ma… Aspetta un attimo… tu sei un assassino! uccidiamolo!” La gente che stava intorno a noi e fino a quel momento aveva assistito alla scena, cominciò a correre urlando da una parte e dall‟altra, in cerca di un riparo. Mio padre aveva già cominciato a combattere contro le quattro guardie da cui mi aveva difesa. Non esitai, presi il pugnale, mi arrampicai sulla bancarella che avevo urtato poco prima e la usai come trampolino di lancio per uccidere una guardia che stava per colpire Eric alle spalle. Una delle guardie rimaste capì che anche io ero con l‟assassino, e caricò verso di me. Eric voleva fermarlo ma gli gridai: “Lascialo a me!” e lui, stranamente, mi diede retta. La

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guardia correva verso di me, io aspettai l‟ultimo momento per spostarmi e lei non poté evitare di andare a sbattere contro una bancarella, così colsi l‟occasione per ucciderla con un colpo di pugnale. Intanto, mio padre aveva già ucciso le altre due guardie. Corsi verso di lui e cercai di parlargli, ma mi fermò dicendo: “Me lo dirai dopo. Adesso dobbiamo fuggire prima che arrivino altre guardie”. Non dissi altro e mi limitai ad annuire. Cominciammo a correre e imbroccammo un vialetto abbastanza isolato, ma fu inutile perché altre guardie ci stavano seguendo; allora mio padre salì su una scala che ci portò ai tetti dove continuammo la corsa, fino a che riuscimmo a trovare un nascondiglio facendo perdere le nostre tracce. Feci un cenno ad Eric per fargli capire di aspettare un momento e gli presi la borraccia d‟acqua che aveva attaccata alla cintura e ne bevvi un sorso: tutto quel correre mi aveva assetato. Finito di bere, dissi ciò che non ero stata capace di dire prima: “Papà mi dispiace! E‟ successo tutto per colpa mia! Solo perché ho urtato una stupida bancarella! Mi dispiace tanto, davvero!” Lui mi guardò e si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, senza dire niente. “Che c‟è?” gli chiesi. Quel sorriso non scomparve, ma stavolta rispose: “Niente, solo che non ti devi scusare perché queste cose sono all‟ordine del giorno. E poi mi è piaciuto che tu mi abbia chiamato papà. Mi hai sempre chiamato maestro, o, come quando eri piccola, maeto perché non riuscivi a dirlo!” scoppiò in una delle sue risate felici e spensierate, che contagiavano chiunque e, infatti scoppiai a ridere anch‟io. Ero contenta, nonostante tutto. Ci eravamo seduti uno di fronte all‟altra, lui mi indicò di sedermi sulle sue gambe e io eseguii; mi abbracciò come un padre fa con la propria figlia, mi baciò sulla testa e disse: “Ora andiamo, per oggi basta così!”. Annuii e uscimmo dal nascondiglio, sempre attenti a non avere altri incontri-scontri con delle guardie. Arrivammo sani e salvi da Alvin, che ci accolse un po‟ con sorpresa per il nostro arrivo così anticipato. “Per quale motivo questo ritorno affrettato, Eric?” “Abbiamo avuto un piccolo scontro con le guardie”. “Come? Cos‟è successo? Com‟è successo?” “Niente… È stata tutta colpa mia, ho urtato per sbaglio una bancarella e ho fatto cadere alcuni oggetti … Un gruppo di guardie è passato lì vicino e mi ha visto e mi ha ordinato di togliermi il cappuccio, scambiandomi per un bambino, e di seguirlo. Ma ho rifiutato e una delle guardie mi voleva colpire,

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così è cominciata la battaglia. Tutto per colpa mia, mi dispiace molto” - risposi. “Se ora è tutto risolto, non importa Ethel, basta solamente che..” “No, non ci hanno seguiti” finì la frase mio padre “Ne siamo sicuri”. Passammo il resto della giornata a progettare il piano per l‟uccisione di Austin, ma io mi addormentai dopo aver sentito la parte del piano in cui comparivo. Avremo agito di notte perciò anche Eric si preparò, ma meditando. Feci un po‟ fatica a svegliarmi. Andai a prepararmi, vestendo, come sempre, gli abiti degli assassini e raccolsi i miei capelli con un nastro, perché non mi dessero fastidio. Pronti, ci incamminammo verso l‟obiettivo, raggiungemmo la sua dimora e agimmo come previsto: salire alla sua stanza, attraverso la finestra, e ucciderlo; prima di porre fine alla sua vita, però, avremo preteso di sapere che fine avesse fatto la donna che aveva rapito. Entrammo nella sua stanza e lo vedemmo dormire beatamente da solo, nel suo letto, che presto sarebbe stata la sua bara. Io presi posizione dietro alla vittima con il pugnale sguainato pronta a colpirlo se avesse fatto una mossa falsa, mentre Eric aveva la lama nascosta fuori e

puntata alla gola della vittima. Eric svegliò Austin, gli tappò la bocca e disse: “Non ti conviene urlare o fare qualunque verso”. L‟altro annuii e si percepiva lontano un miglio la paura

che stava provando, ogni suo respiro, ogni suo movimento incerto trasudava paura. Probabilmente non si era accorto di me e mio padre continuò: “Prima che tu muoia per tradimento, voglio sapere il motivo del tuo gesto”. “Io… Di che gesto parli? Di che tradimento?” “Non fare finta di non conoscere la verità, lo sappiamo che hai rapito una delle nostre donne, mentre noi ti avevamo offerto un tetto sotto cui vivere. Tu ci hai traditi e questo si deve pagare con la vita” rispose freddamente Eric. La sua voce mi fece paura: non lo avevo mai visto così. E lui continuò: “Voglio sapere il motivo. Ti abbiamo accolto come un fratello e tu ci hai traditi portandoti via una donna. Abbiamo rischiato di farci scoprire per colpa tua, Austin; hai messo in pericolo l‟intera confraternita e questo non verrà mai perdonato. Ma voglio sapere il motivo: perché?!” “Ero stanco di tutta quella morte, di tutto quel sangue, volevo darci un taglio, ma poi incontrai Emily e la mia vita cambiò dopo aver passato una notte con lei. Me ne innamorai, e volevo che fosse per sempre e solo mia, così decisi di

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rapirla: ma lei lo sapeva ed era era d‟accordo, quindi non fu un vero rapimento ma una fuga insieme”. “Hai messo in pericolo tutti per una donna? E comunque se tu eri stanco bastava dirlo e avresti smesso. Ma ora, mi dispiace, devo eseguire la condanna; addio Austin”. “Addio, Eric”. Il fendente di mio padre fu veloce e silenzioso. Austin non fece nessun verso, ma i suoi occhi divennero due palle bianche inespressive. La missione era stata portata a termine e dovevamo tornare al castello; uscimmo dalla stanza attraverso la finestra e corremmo verso la casa di Alvin attraverso i tetti e la raggiungemmo, gli dicemmo che la missione era stata completata e che partivamo immediatamente. Uscimmo dalla città e nel giro di poco tempo raggiungemmo il castello. Arrivati, Eric andò a riferire i frutti della missione al Supremo. Quando tornò venne nella mia stanza a salutarmi e a chiedermi come stavo. “Bene, grazie – gli risposi – Comunque… Tu conoscevi quell‟Austin, non è vero?” chiesi con un po‟ di esitazione. Lui annuii: “Sì, lo conoscevo. Ci siamo allenati per un po‟ di tempo insieme”. “Ma quando hai detto che se voleva poteva smettere, era vero? Perché se il Supremo voleva la morte di Austin per aver portato via con sé una donna, non permetterà mai di rischiare che un assassino riveli l‟esistenza della nostra setta.” dissi. “Sì, in effetti hai ragione. Ma, comunque, non sei un po‟ troppo piccola per pensare a queste cose? Sono pensieri da grande, non da bambina di sei anni!” mi rispose scherzoso. “E mezzo” precisai. “E mezzo” ripeté lui e se ne andò. Negli anni a seguire le missioni furono sempre più complicate, in base alla mia età, e di conseguenza anche gli allenamenti divennero sempre più duri. La piccola, ma sostanziale differenza che ebbero le successive missioni dalla prima, fu che fui io ad uccidere le vittime e non più mio padre e, dopo il mio undicesimo compleanno, cominciai ad andare in missione da sola.

Valentina Meneghello

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Immagini: momenti di Maura Malpetti

La natura ha infinite cose da raccontarci.

Sta a noi interpretarne il silenzio.

Gli uomini di ogni epoca rivivono la dolcezza di questo spettacolo attraverso i nostri occhi

"La quiete dopo la tempesta" (G. Leopardi)

"Il mondo é lo specchio del fotografo" (F. Scianna)

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<Vivere è passato tanto tempo> … Come

dice questa sua canzone, è passato tanto

tempo da quando è iniziata la storia del

mitico Blasco.

Vasco Rossi, pensate, è già vicino ai

sessant‟anni. E‟ infatti nato a Zocca, paese

dell'Appennino tosco-emiliano tra Modena e

Bologna, il 7 febbraio del 1952. Grazie

all‟intuizione di sua madre, venne iscritto a

lezioni di musica ed alla tenera età di 13

anni vinse l‟Usignolo D‟Oro. A 15 anni entrò

nella sua prima band, i Killer, nome poi

trasformato in Little Boys. Da qui ebbe inizio la lunga e travagliata storia di

questo cantautore italiano che ci ha regalato le stupende canzoni che ora

possiamo ascoltare, come dice lui: <Perché la vita è un brivido che vola

via….>

Ma torniamo a quei primi decenni della sua vita. Una volta conseguita la

licenza media,la famiglia lo iscrive all‟istituto

San Giuseppe a Modena, dove Vasco

sottoposto a rigide regole, diventa sempre più

ribelle. Isolato dai compagni scappa due volte e

va a casa di una zia a Bologna.E‟ lì consegue il

diploma nell‟Istituto Tecnico Commerciale.

Vasco vive a Bologna in un periodo di

particolare fermento sociale, quando divampa

la contestazione studentesca, e la città è

particolarmente coinvolta. E‟ molto affascinato

dal Teatro e vorrebbe iscriversi al DAMS (corso di laurea in Discipline delle

Arti, della Musica e dello Spettacolo) di Bologna, ma il padre non acconsente

e nell'autunno del1972 lui si vede costretto ad iscriversi a Economia e

Commercio di quella stessa università.

In quell‟epoca Blasco si trasferisce dalla casa della zia per andare a vivere

presso una casa in affitto, sempre a Bologna, insieme a due amici, e decide

di prendere seriamente l'impegno universitario; tuttavia, dopo un buon inizio,

si lascia sedurre dalla turbolenza della Bologna di quegli anni. E‟ allora che

fonda Punto Radio e da qui ha inizio la sua storia … musicale.

Giorgia Ghirardini

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SPORT

LA CHAMPIONS LEAGUE DOPO LA FASE A GIRONI Finalmente si è conclusa la fase a gironi della 2010/2011. Sappiamo, quindi, quali sono le 16 squadre che saranno le protagoniste degli ottavi di finale. Eccole: Gruppo A: Tottenham, Inter Gruppo B: Shalke 04, Lione Gruppo C: Manchester United, Valencia Gruppo D: Barcellona, Copenaghen Gruppo E: Real Madrid , Milan Gruppo F: Chelsea, Olimpyque Marsiglia Gruppo H: Shakhtar Donetsk, Arsenal Gruppo E: Bayer Monaco, Roma

Alla fine le italiane si sono qualificate

tutte e tre, anche se con qualche

difficoltà. Nell'ultima giornata dei

gironi hanno perso di misura sia

l‟Inter che il Milan, mentre la Roma

ha pareggiato 1-1 con il Cluj e si è

conquistata il biglietto per gli ottavi di

finale.

Per quanto riguarda invece l'Europa League, è rimasto in corsa solo il Napoli

in attesa dell'ultima sfida contro lo Steaua Bucarest per il secondo posto.

Sampdoria, Juventus e Palermo sono state eliminate dalla coppa con un

turno di anticipo.

Sino ad ora non è stata una grande

annata europea per le nostre

squadre di club, sulla scia della

fallimentare spedizione sudafricana.

Speriamo comunque che le

squadre ancora in gioco tengano

alto l'onore italiano in Europa, dopo

l‟anno del fantastico trionfo dell‟Inter

di Mourinho.

Riccardo Bruno e Nicola Latella

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CURIOSITA e ENIGMISTICA

L’uomo grigio del BenMacDhui

1925. Al 27° meeting annuale al Cairngorm Club di Aberdeen, Scozia,

l‟eminente scalatore professor Norman Collie sconvolge i presenti con un

terrificante racconto riguardo una sua scalata avvenuta nel 1890: era intento

a vincere la vetta del BenMacDuh da solo e, mentre si trovava sulla via del

ritorno, improvvisamente, una fitta nebbia calò sul pianoro su cui si trovava …

Come se non bastasse, oltre alla misteriosa nebbia, dei rumori simili a dei

passi incussero ancora più timore nel suo animo.

Dapprima si convinse che si trattava solo della sua immaginazione e nulla più,

e così, pur turbato, continuò la

discesa. Tuttavia l‟incessante

scalpiccio alle sue spalle lo

stava rendendo alquanto

inquieto. Sempre di più … E

più camminava più la sua

ansia cresceva, finché non

giunse al punto di rottura. “Ero

terrorizzato e presi a

camminare più velocemente,

quasi lanciandomi in modo del

tutto incosciente da una masso all‟altro per alcune miglia, fino a raggiungere

la foresta di Rothiemurchus”, dichiara il Professor Norman Collie.

Così egli sfuggì alla “presenza”.

Dopo che Collie ebbe raccontato questa storia, un altro scalatore si fece

avanti con un aneddoto molto simile. Era il Dottor A.M. Kellas. Un giorno,

mentre scalava la ormai celebre vetta del BenMacDhui insieme all‟amico

Henry, scorse all‟orizzonte una gigantesca sagoma scendere dalla montagna

a balzi. Sebbene l‟avvistamento fosse durato poco, i due ebbero la

sensazione di essere seguiti dal “gigante” per tutta la spedizione.

Insomma, a sentire Kellas, sul monte ci sarebbe uno yeti. Tuttavia altre

testimonianze sembrano contraddire l‟ ipotesi. Una di queste è quella di Peter

Denshman, pilota che nella seconda guerra mondiale operò nella zona di

Cairngorm. Un giorno egli decise di scalare la famosa montagna.

Mentre si dirigeva verso Ben Nevis, una fitta nebbia calò su di lui, così decise

di fermarsi e mangiare qualcosa, quando cominciò a sentire dei rumori

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analoghi a quelli avvertiti da Collie e, come lui, cercò di convincersi che non ci

fosse nulla da temere e che fossero i rumori della natura.

Poi in un attimo divenne conscio del fatto che c‟era sicuramente qualcosa

nelle immediate vicinanze del picco adiacente. Quindi si diresse in quella

direzione, incuriosito. Arrivato sul luogo, venne colpito da un forte scarica di

tristi emozioni.

Fu attanagliato da un tale senso di apprensione che, senza accorgersene, si

era diretto di corsa verso Crag

Lurcher e il suo immenso crepaccio.

Fortunatamente riprese il controllo

di sé prima di gettarsi verso morte

certa. E riuscì a scendere incolume.

Sfortunatamente per lui, dovette

tornare di nuovo sulla vetta per

cercare i relitti di un aereo che

pareva essere precipitato nelle

vicinanze. Ma non da solo. Insieme

a lui era presente l‟ amico Richard

Frere.

Ovviamente, durante la perlustrazione, non poteva non accadere nulla di

misterioso e paranormale. Mentre erano seduti su di una roccia, Denshman

udì il suo amico parlare da solo ad alta voce con qualcuno. Eppure c‟erano

solo loro due. Si girò verso l‟amico e prese parte alla conversazione. Una

“muta” conversazione. Una conversazione a livello psichico. Una volta

conclusala, nessuno dei due ricordava di COSA avessero “parlato”né con

CHI.

Per via di questi avvenimenti, i due furono avvicinati da Affleck Gary, uno

scrittore che stava mettendo insieme testimonianze sull‟ “Uomo Grigio del

Ben MacDhui”. Anche lui, come molti altri, era stato vittima degli effetti di

questa “presenza”. Una presenza capace di incutere timore.

Tutti i testimoni riferiscono di essere stati colti da sensazioni sgradevoli

“incontrando” questo essere.

Nel 1840, il celebre professore James Rodes Buchanan aveva formulato

l‟interessante teoria che un oggetto, o anche un luogo, potesse tenere

un‟impronta degli avvenimenti che aveva “vissuto”, e che tali impronte sono

rilevabili da sensitivi dotati della capacità della “psicometria” di cui abbiamo

già parlato nella nostra bella rubrica del mistero di un numero precedente del

giornale. Nel XX secolo, lo scienziato nonché parapsicologo Sir Oliver Lodge

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teorizzò che un fantasma altro non è che un ricordo, un ricordo nato da una

forte emozione, sia essa gioia o dolore o terrore.

Emozioni che impregnano un posto come il BenMacDhui.

Mistero risolto, potreste pensare voi. INVECE NO!! Il mistero diventa

interessante proprio ora.

Frere, raccontò a Gray l‟esperienza di un suo amico che, per aver perduto

una scommessa, dovette passare una notte sul BenMacDhui. Mentre questo

suo amico si trovava nella

tenda posta in cima alla

montagna, venne colto da

una sgradevole sensazione

di angoscia, non di paura.

Era angosciato perché

sapeva di stare per

incontrare un essere

superiore, un incontro che

gli avrebbe cambiato la

vita …

Tuttavia si addormentò, ma

solo per risvegliarsi di

soprassalto “assalito da una paura terrificante”, come riporta lui stesso.

Guardò fuori dalla finestrella della tenda e vide la luce della luna oscurarsi per

un istante. Qualcosa, si era interposto tra la tenda e la luna.

Prese il coraggio a due mani e scostò la tenda. A una ventina di metri da lui si

ergeva una enorme figura che scendeva con calma il pendio vicino. L‟uomo

lo descrisse come alto circa un paio di metri, col busto ampio e sottile, con

delle spalle molto larghe e i capelli corti e scuri. A detta di Frere “esercitava

una formidabile impressione di potenza”.

Quello, non era di certo un fantasma.

Un‟altra testimonianza viene dalla scrittrice Wendy Wood che, durante una

nevosa giornata, udì una voce di “gigantesca risonanza” venire dalle parti di

Lairig Ghru. “Sembrava una lingua dalle dure consonanti e dalle vocali piene

come il gaelico”, riportò la scrittrice. Immediatamente pensò che si trattasse

di qualche disgraziato che si fosse fatto male, ma, dopo una rapida

perlustrazione, non trovò nessuno. Tuttavia si sentì seguita per tutto il ritorno.

Molti sono gli “avvistamenti” di qualcosa su quel monte, o perlomeno gli

incontri, tuttavia non si è ancora chiarito come sia fatto qualunque cosa ci sia

lassù.

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Una raccapricciante testimonianza ci viene dall‟avvocato e alpinista di

Aberdeen Geroge Duncan, che, mentre scendeva dal monte con l‟amico

James A. Parker, scorse qualcosa che lo pietrificò dal terrore. Stavano

scendendo dal cosiddetto “Punto del Diavolo” per immettersi sulla strada per

Derry, quando “all‟ improvviso sono

rimasto come paralizzato dallo

spavento scorgendo davanti

a me un essere sconosciuto, alto e

vestito di nero, che mi veniva incontro”;

in pratica, la classica

raffigurazione del Diavolo, avvolto in

un nero mantello con le maniche

lunghe, ondeggianti al vento. “Mi

sembrava avvolto in una leggera nuvola

di fumo” aggiunse. Tuttavia, alla prima

svolta, appena uscì dalla vista, l‟essere

sparì, esattamente come si era

materializzato.

Un‟altra affascinante teoria riguardo questo “presunto umano” la danno il

Capitano Sir Hugh Rankin Bart e sua moglie. Un giorno, mentre

attraversavano in bicicletta il passo di Lairing Ghru, sentirono una presenza

alle loro spalle e, voltatisi, videro un uomo alto e slanciato, robusto, dai capelli

lunghi, che vestiva una tunica e dei sandali. “Non provammo timore. Essendo

buddisti, capimmo al volo di che si trattava. Ci inginocchiammo in segno di

riverenza”. Essi avevano visto in lui la figura del Bodhisattwa, ossia “uno dei 5

Perfetti che controllano il destino del mondo e che si incontrano una volta

all‟anno in una grotta segreta dell‟Himalaya”.

L‟uomo parlava sanscrito e si intrattenne con loro una decina di minuti.

Durante quei momenti, l‟atmosfera era pervasa da una canto angelico.

Quando sparì, la musica cessò.

Mostri, yeti, fantasmi, semi-divinità, se n‟è dette di ogni colore riguardo a ciò

che si nasconde su quei monti. Molti hanno visto o anche solo provato

qualcosa, ma nessuno ha la certezza di cosa vi sia nascosto: il BenMacDhui

resta uno dei misteri più affascinanti di questo grande mondo che viene

chiamato “MISTERIOLOGIA”.

Alessandro Sanguanini

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Christmas in the world Il Natale si sta avvicinando, ma non tutti lo festeggeranno in maniera uguale. Vediamo un po‟ come questa festività è vissuta nel mondo. In Francia i bambini mettono le loro scarpe in modo ordinato perché Babbo Natale passerà la notte del 24 a metterci dentro i doni e addobberà l'albero. In Polonia, la vigilia di Natale è chiamata Festa della Stella e, secondo la leggenda, finché in cielo non compare la prima stella non si deve incominciare a cenare.

In Spagna, la figura di Babbo Natale è meno sentita che in Italia e il giorno più festeggiato è il 28 dicembre, quando arrivano i Los Reyes, i nostri Re Magi, che sfilano in città distribuendo dolci e caramelle. In Germania durante il periodo dell'Avvento i bambini hanno nelle loro camerette dei calendari con 24 finestrelle da aprire una al giorno,

promettendo di compiere buone azioni. Il 6 dicembre arriva San Nicola a portare i dolci, il 24 dicembre arriva Gesù bambino a portare i doni (o tannenbaum o tannenbaum, wie grund sie deine better!!eheh!!). In Inghilterra il 24 Babbo Natale lascia i doni ai bambini e i bambini per ringraziarlo lasciano sul tavolo della cucina un bicchiere di latte e un pezzo di dolce per lui e una carota per la sua renna (finalmente qualcuno che pensa anche alle renne!). In Finlandia viene preparato nei giardini anche un alberello per gli uccelli cosicché anche loro possano far festa il giorno di Natale. In Grecia la vigilia di Natale ci si scambiano doni così come il 25 e l‟1 gennaio, quando vengono portati come omaggio anche alle persone più povere, tra canti, musiche e tamburelli. Tutti insieme si mangiano fichi secchi, dolci, noci e il chrisopsomo, un tipico pane speziato greco.

Tommaso Ferro

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CURIOSITÀ ed ENIGMISTICA

QUALCHE IDEA (COMODA) PER IL TEMPO LIBERO I giochi di logica sono rompicapi o problemini in cui vincere significa soltanto

trovare la soluzione, e risolverli diventa una sfida con noi stessi. Dal classico

cruciverba, al popolarissimo sudoku, passando per il crucipixel, il kakuro e lo

jokinjiro, sono questi i giochi che attraggono di più nei momenti liberi.

A proposito, vi rimane un po‟ di tempo libero dopo le lunghe ore (?!?) passate sui

libri e non avete la forza di infilarvi le scarpe da ginnastica e andare in palestra? In

televisione danno film già visti e le previsioni del tempo prospettano pioggia? Ecco

una buona soluzione per passare piacevolmente il tempo. Ma, ATTENZIONE,

questi giochini possono trarre in inganno …

1. L‟Oceano Pacifico è il più vasto del mondo con una superficie di 179‟000'000

km2, venne scoperto da Vasco Nunez de Balboa nel 1513. Prima di questa

data qual era l‟oceano più esteso?

2. Cinque cioccolatini sono appoggiati su un tavolo, si riflettono insieme in uno

specchio, che a sua volta riflette in un altro specchio soltanto la metà del

numero riflesso nel primo specchio. Quanti cioccolatini posso mangiare al

massimo?

3. Quanti triangoli ci sono in questa figura?

4. Un uomo si sposò all‟età di 26 anni con una donna di 23, lui morì a 81 lei a

90, quanti anni rimase vedova lei?

5. Una barca ferma nel porto ha la scaletta di legno che sfiora con l‟ultimo

gradino il pelo dell‟acqua all‟altezza dal fondo di 4,50 m. Ogni scalino è

distanziato dal precedente di 15 cm, ma il terzo e il quarto lo sono di 20 cm.

La marea sale di 16 cm ogni ora, dopo un‟ora e mezza quanti scalini saranno

sotto il livello dell‟acqua?

6. Qual è quel verbo che si trova in bocca?

7. I ditloidi sono frasi in cui compare soltanto la prima lettera di alcune parole.

Bisogna trovare le parole mancanti: -11 G in una P di C. (argomento: sport); -

12 E in una D. (argomento: matematica); -16 C nell‟A I (argomento: scrittura)

8. Pelosetta e colorita, non più larga di due dita. Fa rizzar la pelle e finisce in

“ica”… Si tratta dell‟…

9. In una gara riesci all‟ultimo giro a superare il terzo, in che posizione ti

classifichi?

Le soluzioni sono nella pagina successiva.

a cura di Alice Girelli

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SOLUZIONI:

Curiosità

Fotografare l'invisibile... Il microscopio a scansione ad effetto tunnel è uno strumento inventato negli anni Ottanta da due ricercatori dei laboratori IBM di Zurigo, Gerd Binnig e

Heinrich Rohrer, che per questa scoperta ottennero anche il Premio Nobel per la Fisica nel 1986. La foto in questo caso avviene su scala atomica, ma ad essere fornita non è un'immagine diretta dell'oggetto. La tecnica si basa sulla cosiddetta corrente dovuta all'effetto tunnel: una punta molto sottile è avvicinata ad una distanza fissa alla superficie di un solido ed è eseguita la

scansione della struttura della superficie, fino a visualizzare gli atomi che la compongono, osservando come questi vibrano. La risoluzione, altissima, arriva all'ordine di grandezza di 0,2 nanometri. Nella foto, la catena della doppia elica di una molecola di DNA.

L’AVRESTE MAI DETTO? All‟università di Baltimora due ricercatori chimici americani, Constantin Fahlberg e Ira Remsen, lavorano sui derivati del catrame. A un certo punto riescono a ottenere un composto e Fahlberg per caso lo assaggia. Scopre così che è molto dolce. Decide

allora di chiamarlo “saccarina”, perché è un prodotto molto simile allo zucchero (il saccarosio). Più avanti si scoprirà che le proprietà dolcificanti sono molto

1. Era comunque l‟Oceano Pacifico

2. 5

3. 22

4. 12

5. Nessuno perché il legno galleggia

6. Molare

7. 11 giocatori in una partita di calcio,

12 elementi in una dozzina, 16

consonanti nell‟alfabeto italiano

8. L‟ortica!

9. terzo

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superiori a quelle dello zucchero. Oggi è usata soprattutto nell‟industria farmaceutica e negli alimenti per diabetici.

Nebulosa col botto! A 35 mila anni luce dalla Terra qualcuno ha premuto il grilletto. Lo "sparo" – una violenta esplosione dovuta all‟accumulo di materia celeste attorno a un buco nero – ha lasciato dietro di sé questa nebulosa fotografata dai telescopi Chandra e Palomar. In blu, al centro, brilla un gas superbollente, con una temperatura di 15 milioni di gradi ricco di minerali. Invece gli aloni in verde e rosso sono nubi di idrogeno visibili solo agli infrarossi. Di "botti" del genere (piccoli Big Bang che gli esperti chiamano gamma ray burst) è pieno lo spazio. Si calcola che ne capiti circa uno al giorno, in qualche angolo remoto dell‟universo. Ma è la prima volta che se ne vedono tracce nella nostra galassia.

Il Sudoku più difficile del mondo Come di certo sapete, il Sudoku è nato in Giappone negli anni '70. É' una griglia di 9x9 caselle, in ognuna delle quali si dovrà scrivere un numero da 1 a 9. La griglia, che presenta alcune caselle già compilate, è a sua volta divisa in 9 zone di 3x3 caselle. Il Sudoku ha una sola regola: in ogni colonna, in ogni riga e in ogni regione, ogni numero deve comparire una volta sola.

Ebbene, un matematico finlandese ha realizzato il Sudoku più difficile al mondo. Gli è costato 3 mesi di lavoro. E voi? Quando ci metterete a risolverlo? La sfida è aperta. Appassionati di Sudoku di tutto il mondo è arrivato il momento della verità: quello che vedete nell'immagine è il l'imperatore di tutti gli schemi. É il Sudoku più difficile del mondo. Lo ha sviluppato Arto Inkala, un matematico finlandese, su incarico di una casa farmaceutica che produce e commercializza un integratore per il cervello a base di omega-3. Inkala ha

sviluppato lo schema in 3 mesi di lavoro con il supporto di un software da lui stesso messo a punto.

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Ma trovare la soluzione potrebbe richiedere molto più tempo.«Andando per tentativi e azzeccando 3 o 4 numeri nei posti giusti, lo schema potrebbe essere risolto anche in un quarto d'ora, ma usando la logica ci vogliono giorni», spiega il matematico. Il Sudoku del finlandese presenta 23 caselle già compilate e prevede un'unica soluzione. Eliminando anche uno solo dei 23 numeri dallo schema, il numero di possibili soluzioni aumenta moltissimo, rendendo il gioco notevolmente più semplice. Ciò che rende così' difficile il Sudoku di Inkala è il numero di passaggi mentali necessari alla compilazione di ogni casella: come negli scacchi, ogni mossa richiede al giocatore una notevole capacità di astrazione perché lo costringe a pensare a tutte le successive.

a cura di Matteo Diani

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