Federico II - infn.it Prof. Pietro Santorelli N85/200 ... 2.6 Analisi numerica ... Da notare l’...

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Universit` a degli Studi di Napoli “Federico II” Scuola Politecnica e delle Scienze di Base Area Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini” Laurea triennale in Fisica L’ effetto Casimir: fondamenti fisici Relatori: Candidato: Dr. Giampiero Esposito Renata Frana Prof. Pietro Santorelli N85/200 A.A. 2015/2016

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Universita degli Studi di Napoli “Federico II”

Scuola Politecnica e delle Scienze di BaseArea Didattica di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali

Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”

Laurea triennale in Fisica

L’ effetto Casimir: fondamenti fisici

Relatori: Candidato:Dr. Giampiero Esposito Renata FranaProf. Pietro Santorelli N85/200

A.A. 2015/2016

Ai miei genitori

It doesn’t matter what your mind says about anything.Let the mind continue to function in practical matters,but do not require any psychological assistance from the mind.Keep the room of being empty. Stay as you are.If you want to be free none can stop you.Mooji

Indice

1 La teoria elettromagnetica 51.1 Le equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51.2 I potenziali elettromagnetici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71.3 La gauge di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.4 Equazione delle onde elettromagnetiche . . . . . . . . . . . . 9

2 Un fenomeno quantistico macroscopico 112.1 L’oscillatore armonico quantistico . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2 Piani paralleli perfettamente conduttori. . . . . . . . . . . . 132.3 Effetto Casimir in presenza di superfici semi-infinite . . . . . 202.4 Calcolo della forza di attrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 262.5 Il modello a plasma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 302.6 Analisi numerica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3 Misurazioni della forza di Casimir 343.1 Basi sperimentali per la misurazione . . . . . . . . . . . . . . 343.2 Esperimento di Sparnay, 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 353.3 Esperimento di van Blokland e Overbeek, 1978 . . . . . . . . 353.4 Esperimento di Lamoreaux, 1997 . . . . . . . . . . . . . . . . 363.5 Esperimento di Mohideen, 1998 . . . . . . . . . . . . . . . . . 373.6 Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

4 Appendice matematica 404.1 Funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404.2 Olomorfia delle funzioni definite da serie di potenze . . . . . . 424.3 Teoremi di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 434.4 Integrali di funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . . . 474.5 Espressione dei coefficienti di una serie di potenze . . . . . . 484.6 Principali proprieta delle funzioni olomorfe di una variabile

complessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 494.7 Sviluppo di Laurent . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 504.8 Funzioni armoniche di due variabili reali . . . . . . . . . . . . 514.9 Successioni e serie di funzioni olomorfe; teorema di Weierstrass 51

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Capitolo 1

La teoria elettromagnetica

L’ energia di vuoto, con lo sviluppo della teoria quantistica, riemergeproprio dalla quantizzazione del campo elettromagnetico.Partendo dalle basi per una giusta analisi dell’ approccio quantistico, illu-striamo in questo capitolo le proprieta fondamentali dell’ elettromagnetismoclassico, descrivendo le equazioni di Maxwell, introducendo i potenziali elet-tromagnetici e quindi arrivando alla descrizione dell’ equazione delle onde ealle trasformazioni di gauge. [1]

1.1 Le equazioni di Maxwell

Le equazioni di Maxwell hanno il merito di descrivere la fenomenologiadell’ elettrodinamica classica; le enunciamo in forma locale, ovvero in forma diequazioni differenziali lineari in quattro variabili, in cui compaiono la densitadi carica ρ(x, t) e di corrente j(x, t) e che mettono in relazione grandezzefisiche diverse calcolate nella medesima posizione.

(1.1)

1)∇ ·E(x, t) = 4πρ(x, t)

(1.2)

2)∇ ·B(x, t) = 0

(1.3)

3)∇×E(x, t) +1

c

∂B(x, t)

∂t= 0

(1.4)

4)∇×B(x, t)− 1

c

∂E(x, t)

∂t=

cj(x, t).

In particolare la prima equazione e risultato dell’ applicazione del teoremadi divergenza e del teorema di Gauss al vettore campo elettrico, con l’ unica

5

CAPITOLO 1. LA TEORIA ELETTROMAGNETICA 6

richiesta che il campo E sia derivabile in ogni punto del dominio considerato,ipotesi che non era in conto per la sola validita del teorema di Gauss.Ricaviamoci la seconda equazione partendo dalla legge fondamentale dellamagnetostatica (Biot e Savart)

B(r) =µ0

∮l′Idl’×4r

| 4 r|3(1.5)

dove l′ e un circuito chiuso µ0 e la permeabilita magnetica nel vuoto.Applicando l’ operatore divergenza:

∇ ·B =µ0I

∮l′∇ · dl’×4r

| 4 r|3(1.6)

e utilizzando una nota proprieta dell’ operatore divergenza otteniamo:

∇ ·B =µ0I

∮l′[4r

| 4 r|3· (∇× dl’)− dl’ · (∇× 4r

| 4 r|3)] = 0 (1.7)

da cui la seconda equazione di Maxwell ∇ ·B(x, t) = 0.Ripetendo lo stesso ragionamento avendo riscritto la legge fondamentaledella magnetostatica utilizzando la densita di corrente J(r’)

B(r) =µ0

∫τ ′

J(r ’)×4r

4r3dτ ′ (1.8)

otteniamo la quarta equazione di Maxwell nel caso stazionario, nel vuoto:∇×B = µ0J.La terza equazione e nota come legge di Faraday-Neumann e descrive il motodel campo elettrico, mentre l’ ultima (legge di Ampere ) e equazione delmoto del campo magnetico.Queste quattro importantissime relazioni rappresentano la possibilita digenerare campi magnetici da campi elettrici e vicecersa.Ricordiamo che i vettori campo elettrico e campo magnetico possono esserescomposti in una componente trasversale e una longitudinale come segue:

E = EL + ET , (1.9)

B = BL + BT . (1.10)

Dimostriamo che cio che determina la dinamica del sistema sono le compo-nenti trasversali dei campi e per fare cio, utilizziamo la scomposizione incomponenti del campo elettrico nella prima equazione di Maxwell

∇ ·E = ∇ · (EL + ET ) (1.11)

Ma utilizzando la legge di Gauss avremo

∇ ·ET = 0 (1.12)

CAPITOLO 1. LA TEORIA ELETTROMAGNETICA 7

∇ ·E = ∇ ·EL = 4πρ (1.13)

Con procedimento analogo rispetto alla seconda equazione di Maxwell, arrivia-mo alla considerazione che la componente longitudinale del campo magneticoe solenoidale.

∇ ·BL = 0 (1.14)

ed essendo anche irrotazionale BL = 0 e quindi B = BT . Il campo magneticoha solo componente trasversa.Per quanto riguarda la densita di carica j(x, t), e importante ricordare cheessa soddisfa l’equazione di continuita ∇ · j + ∂ρ

∂t = 0.

1.2 I potenziali elettromagnetici

Il potenziale vettore del campo magnetico A e un campo vettoriale taleche il campo magnetico e uguale al suo rotore, ovvero:

B = ∇×A. (1.15)

Notiamo che considerando un vettore del tipo A′ = A +∇f in cui f euna qualsiasi funzione scalare, anche esso risulta un vettore potenziale.Quest’ ultima relazione e detta trasformazione di gauge.Per avere un vettore potenziale a divergenza nulla basta che sia∇2f = −∇·A.Le equazioni di Maxwell costituiscono un sistema di sei equazioni indipendentialle derivate parziali del primo ordine che legano fra loro le sei componenti delcampo elettrico e del campo magnetico e possono essere risolte analiticamentesolo in casi semplici. Ricorrere alle equazioni in termini di potenziale vettoreA e potenziale scalare V , che introdurremo in seguito, e vantaggioso inquanto riduce il numero di equazioni a quattro equazioni differenziali delsecondo ordine. Inoltre in questo modo le equazioni possono essere scritte informa disaccoppiata, ciascuna contenendo una sola delle funzioni incogniteAx,Ay,Az e V .Osserviamo che la seconda equazione di Maxwell ∇ · B(x, t) = 0 e validaanche in condizioni non stazionarie e possiamo definire (anche per una campomagnetico dipendente dal tempo) il potenziale vettore con la relazione

∇×A = B (1.16)

A = A(r, t) (1.17)

Ora, introduciamo questa definizione nella terza equazione di Maxwell etroviamo:

∇×E = −∂B∂t

= − ∂

∂t(∇×A) = −∇×

(∂A∂t

)(1.18)

∇×(E +

∂A

∂t

)= 0 (1.19)

CAPITOLO 1. LA TEORIA ELETTROMAGNETICA 8

Essendo quindi il vettore E + ∂A∂t irrotazionale, puo essere scritto come

gradiente di un potenziale scalare V

−∇V − ∂A

∂t= E (1.20)

Notiamo che, introdotti i potenziali, la seconda e la terza equazione diMaxwell (che sono tra l ’ altro le equazioni omogenee in cui non compaiono itermini noti di sorgente) risultano automaticamente soddisfatte:

∇ ·B = ∇ · (∇×A) = 0 (1.21)

(∇×E) +∂B

∂t= ∇×

(E +

∂A

∂t

)= ∇× (−∇V ) = 0 (1.22)

Quindi per la determinazione dei potenziali, verranno utilizzate le equazionidi Maxwell non omogenee:{

∇2V + ∂∂t(∇ ·A) = −ρ

ε

∇2A− εµ∂2A∂t2−∇

(∇ ·A + εµ∂V∂t

)= −µJ

(1.23)

ipotizzato ε e µ costanti e uniformi.Queste equazioni risultano pero ancora non disaccoppiate, al fine di arrivarea delle equazioni disaccoppiate, introduciamo le seguenti trasformazioni digauge: {

A→ A’ = A +∇ϕV → V ′ = V − ∂ϕ

∂t

(1.24)

dove ϕ e una funzione scalare nelle variabili r e t detta funzione di gauge.Una sua oppurtuna scelta permette di arrivare a un sistema di equazionidisaccoppiate, e la condizione perche cio avvenga e che i potenziai soddisfinola condizione di Lorenz:

∇ ·A + εµ∂V

∂t= 0 (1.25)

Quindi il sistema di equazioni elettrodinamiche diventa:{∇2A− εµ∂2A

∂t2= −µJ

∇2V − εµ δ2V∂t2

= −ρε

(1.26)

Quando i potenziali soddisfano la condizione di Lorenz si dicono apparte-nenti alla gauge di Lorenz.Da notare l’ analogia formale delle equazioni elettrodinamiche scritte intermine di potenziali appartenenti a questa gauge nel caso generale e leequazioni che descrivono il comportamento dei campi nel caso stazionario.

CAPITOLO 1. LA TEORIA ELETTROMAGNETICA 9

1.3 La gauge di Coulomb

Un’ altra importante condizione di gauge e data dalla gauge di Coulomb,con la condizione ∇ ·A = 0 (ovvero il potenziale vettore e solenoidale ) cheporta a un’ equazione di Poisson del tipo ∇2V = 4πρ.Infatti sostituendo la gauge nella (1.28), i potenziali V ed A soddisfano leseguenti condizioni:

∇2V = −ρε

(1.27)

∇2A − εµ∂2A

∂t2= εµ∇∂V

∂t− µJ

La prima di queste equazioni ha soluzione del tipo:

V (x, t) =

∫ρ(x’, t)

|x− x’|d3x’ (1.28)

essa rappresenta il potenziale di Coulomb istantaneo dovuto alla densita dicarica.La gauge di Coulomb viene utilizzata in genere in assenza di sorgenti (ρ =0,J = 0) e per questo e detta anche gauge di radiazione pura.In questo caso la seconda delle (1.27) diventa una semplice equazione delleonde.

1.4 Equazione delle onde elettromagnetiche

Riscriviamo le equazioni di Maxwell per un mezzo dielettrico illimitato,isotropo e omogeneo, supponendo che il mezzo sia ovunque elettricamenteneutro, ovvero che la sua ρ sia ρ = 0:

1)∇ ·E = 0 (1.29)

2)∇ ·B = 0

3)∇×E =∂B

∂t

4)∇×B = εµ∂E

∂t

e applichiamo il rotore alla terza equazione, ottenendo

−∇2E = ∇× ∂B

∂t= − ∂

∂t(∇×B) (1.30)

Ora valutando la derivata temporale della quarta equazione di Maxwell,arriviamo all’ equazione delle onde per il campo E:

∇2E = εµ∂2E

∂t2(1.31)

CAPITOLO 1. LA TEORIA ELETTROMAGNETICA 10

Applicando il rotore alla quarta equazione e con procedimento analogootteniamo le equazioni delle onde elettromagnetiche:{

∇2E = εµ∂2E∂t2

∇2B = εµ∂2B∂t2

(1.32)

la loro soluzione e rappresentata da onde che si propagano alla velocitav = 1√

εµ .

Notiamo che le equazioni elettrodinamiche scritte in termine di potenzialevettore e potenziale scalare, in assenza di sorgenti, coincidono con l’ equazionedelle onde. {

∇2A− εµ∂2A∂t2

= 0

∇2V − εµ∂2V∂t2

= 0(1.33)

Capitolo 2

Un fenomeno quantisticomacroscopico

Studiando il moto delle cariche elettriche che compongono corpi neutrimacroscopici, si osserva un’interazione dovuta ai campi elettromagneticifluttuanti generati dal movimento delle cariche, che inducono dipoli istan-tanei nelle molecole. L’ attrazione che ne risulta, detta di Van der Waals,quantisticamente, e conseguenza delle fluttuazioni di vuoto del campo elettro-magnetico. Essa si manifesta a brevi distanze di interazione (dell’ ordine deinanometri), distanza alla quale e possibile il passaggio di un fotone virtualeda un atomo a un altro. Cio che si verifica e che, anche a distanze maggiori,esiste un’ interazione non nulla che non e spiegabile tramite lo scambio diparticelle virtuali: la forza di Casimir-Polder.Essa dipende dalla polarizzabilita degli atomi, e di natura quantistica come l’ interazione di Van der Walls, ma a differenza di quest’ ultima e relativistica.L’ effetto Casimir di cui tratteremo e un’ ”estensione” al macroscopico dellaforza di Casimir-Polder: consiste nella presenza di una forza attrattiva tradue lastre piane e neutre perfettamente conduttrici nel vuoto.Storicamente, Casimir investigo le forze di van der Waals in stato colloidale,con la collaborazione di D. Polder, e il risultato porto alla forza di Casimir-Polder tra molecole polarizzabili, cui abbiamo accennato sopra.Piu tardi Lifshitz estese la ricerca a corpi macroscopici dielettrici, e arrivo aforze caratterizzate da una costante dielettrica ε0 [2]

F (a) = − π2

240

~ca4

ε0 − 1

(ε0 + 1)2φ(ε0)S (2.1)

In questa descrizione microscopica, il caso ideale con conduttori perfetti siottiene nel limite ε0 →∞, in cui si considera solo lo strato superficiale degliatomi in interazione con il campo elettromagnetico.

11

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 12

2.1 L’oscillatore armonico quantistico

Le radici dell’effetto Casimir possono essere ricercate nella relazione cherappresenta l’energia fondamentale di un oscillatore armonico E0 = ~ω

2 , chequindi risulta essere non nulla nello stato fondamentale.Osserviamo che esiste una forte analogia tra le equazioni che descrivono unoscillatore armonico e quelle che rappresentano un campo elettromagneticocon la stessa frequenza di vibrazione: in effetti la quantizzazione del campoelettromagnetico ha come base proprio lo studio quantistico di un oscillatorearmonico.Dall’hamiltoniana classica di un oscillatore armonico H = p2

2m + m2 ω

2q2, sipossono ridefinire momento e posizione in modo da avere una forma del tipoH = ω

2 (P 2 +Q2) che e piu comoda per introdurre coordinate complesse eper fattorizzare.[3]

H = zz∗ (2.2)

dove

z =1√2

(Q+ IP ), z∗ =1√2

(Q− IP ) (2.3)

Passando alla meccanica quantistica, e noto che l’hamiltoniana dell’ oscillatoreha forma analoga a quella del caso classico.In termini di operatori:

H =ω

2(P 2 + Q2) (2.4)

dove gli operatori P e Q hanno dimensione di√~.

Riassumiamo brevemente due delle varie rappresentazioni dell operatorehamiltoniano :

• nella rappresentazione in termini di posizione, abbiamo:

H =ω

2

(−~2 d2

dQ2+Q2

)(2.5)

Qψ(x, t) = xψ(x, t), Pψ(x, t) = −i~ ∂∂xψ(x, t) (2.6)

con soluzioni in termini di autofunzioni ψn(x) :

ψn(x, t) = e−iEnt~ ψn(x) (2.7)

e autovalori

En = ~ω(n+

1

2

)(2.8)

• utilizzando invece l’ operatore di posizione riscontriamo una situazionemolto simile. Avremo:

Pψ(p, t) = pψ(p, t), Qψ(p, t) = i~∂

∂pψ(p, t) (2.9)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 13

e gli autovettori dell’hamiltoniana avranno la forma (cf. [3]):

ψn(p) =( 1

2πp2c

) 14 1√

2n!e− p2

4p2cHn

( p√2pc

)(2.10)

dove Hn sono i polinomi di Hermite e pc il momento caratteristico percui vale p2

c = ~mω2 = 〈ψ0| P 2 |ψ0〉

• La rappresentazione in termini di energia, presenta una forma perl’hamiltoniana molto simile alla (2.2) del caso classico.Introduciamo a tale proposito gli operatori di creazione e di distruzione:

a =1√2~

(Q+ iP ), a† =1√2~

(Q− iP ) (2.11)

aa† =1

2

P 2 + Q2

~+

1

2I, a†a =

1

2

P 2 − Q2

~+

1

2I (2.12)

e l’hamiltoniana potra essere scritta come

H = ~ω(aa† − 1

2I)

= ~ω(N +

1

2I)

(2.13)

in cui abbiamo introdotto l’ operatore numero N = a†a, per cui valgono

le regole di commutazione [N , a] = −a, [N , a†] = a†, [a, a†] = I

La base in questa rappresentazione nello spazio di Hilbert e

H |ψn〉 = ~ω(n+

1

2

)|ψn〉 (2.14)

o ancheN |ψn〉 = n |ψn〉 (2.15)

Gli operatori di distruzione e creazione in tale base operano in questo modo:

a† |ψn〉 =√n+ 1 |ψn+1〉 , a |ψn〉 =

√n |ψn−1〉 , N |ψn〉 = n |ψn〉

(2.16)e gli autostati saranno scritti come:

|ψn〉 =(a†)n√n!|ψ0〉 (2.17)

2.2 Piani paralleli perfettamente conduttori.

Al fine di studiare l’effetto Casimir e utile rappresentare il campo elettro-magnetico come un sistema infinito di oscillatori armonici.Abbiamo gia notato, nelle sezione precedente, che l’ energia di vuoto dell’oscillatore armonico non e nulla, ma fornisce un contributo pari a ~ω

2 .

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 14

Da cio si deduce che per un sistema costituito da infiniti oscillatori, il campoelettromagnetico, porterebbe a un risultato divergente nel calcolo dell’ energiadi punto zero.Si pone il problema di rendere tale quantita osservabile: notando che inpresenza di condizioni al contorno il campo elettromagnetico cambia, in-contreremo una differenza di energie di punto zero (infinite) che risulterafinita e osservabile. Per fare cio, utilizziamo la gauge di Coulomb, riscrivendolo spettro del campo elettromagnetico nel caso di due piani perfettamenteconduttori, paralleli e infiniti di distanza a e a temperatura zero. Infattiquesta scelta delle condizioni al contorno ci permette di studiare l’ effettoCasimir come reazione del vuoto del campo elettromagnetico alle condizioniesterne in un caso abbastanza semplice.In generale l’interazione di superfici metalliche con il campo e molto piucomplessa del modello che proponiamo ma e possibile trattare il problemareale trattando la conduttivita finita del materiale e la sua superficie nonperfettamente liscia come piccole perturbazioni applicate al modello ideale.

La scelta della gauge di Coulomb, porta all’ equazione di d’ Alembertnon omogenea per il potenziale vettore e impone la sua trasversalita.

∇2A− 1

c2

∂2A

∂t2= 0 (2.18)

Le equazioni di Maxwell nel vuoto, impongono la trasversalita del campoelettromagnetico

E|| = 0 (2.19)

Porremo qui e di seguito c = 1 per comodita.La scelta della gauge ∇ ·A = 0 porta all’ espressione per il campo elettrico (in assenza di sorgenti esterne) E = −∂A

∂t e cio implica |A||| = 0.I piani conduttori ideali di lato L hanno una distanza a tale che a << Le vogliamo considerare i modi interni al volume L2a, considerando che perquanto discusso solo i modi trasversali daranno contributo all’ energia.In termini di componenti di Fourier abbiamo:

k ·A(ω,k) = k|| ·A||(ω,k) + k⊥ ·A⊥(ω,k) = 0 (2.20)

e quindi in queste condizioni risultera:

|k⊥ ·A⊥| = 0 (2.21)

Consideriamo le due seguenti possibilita per k⊥:

• k⊥ = 0; in tal caso valutando le relazione (2.20) e l’annullarsi dellacomponente longitudinale del potenziale vettore, la frequenza dell’ oscil-latore risulta ω = |k|||, ovvero, c’ e un’ unica direzione di polarizzazione.

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 15

• k⊥ 6= 0; in questo caso, l’unico modo per cui la (2.20) sia valida e chesi annulli la componente perpendicolare del potenziale vettore. Cioaccade se |k⊥| = nπ

a con n intero positivo e a distanza tra i due piani.In questo caso, avremo due possibili polarizzazioni indipendenti.

Fissiamo un valore per k|| e scriviamo la frequenza di oscillazione ωJ =√|k|2

considerando le due diverse direzioni di polarizzazione.

ωJ =

√|k|||2 +

n2π2

a2, (2.22)

dove l’ indice J e relativo ai modi normali del campo, J = (k1, k2, k3) che inpresenza di condizioni al contorno diventa J = (k||,

πna ).

Assegnare uno stato fondamentale di energia a ogni modo del campo, ciporta a considerare

E =~2

∑J

ωJ (2.23)

Vogliamo ora ricavare l’ energia di vuoto del sistema, e per fare cio sostituia-mo le espressioni di ωJ ottenute nei diversi casi discussi precedentementenella (2.23). Supponiamo di rendere infinita la superficie delle due lastreconduttrici mantenendo invariata la distanza a: cio implica che il termine‘longitudinale” della sommatoria sara sostituito da un integrale (i modi dioscillazione diventano infiniti).

E0(a) =~2

∑J

ωJ (2.24)

=~2

∑J

|kJ |

=~2

∫L2 d

2k||

(2π)2

[|k|||+ 2

∞∑n=1

√|k|||2 +

n2π2

a2

]

Questa espressione fornisce un contributo divergente.Il termine (2π)2 deriva dall’analisi complessa, utilizzando la seguente relazio-ne:

+∞∑i=1

f(xi) =1

2πi

∫Cf(x)

d

dxlogF (x)dx (2.25)

Al fine di giustificare l’ uso della (2.25), ricordiamo che una generica funzioneanalitica nell’intero piano complesso puo essere rappresentata nel seguente

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 16

modo :

f(z) = zmeg(z)∞∏n=1

(1− z

an

)ezan

+ 12

(zan

)2

+···+ 1m

(zan

)mn(2.26)

dove an sono zeri della funzione per cui vale limn→∞ an = 0, g(z) e unafunzione integrale e mn sono valori interi. Un corollario del precendente teo-rema garantisce che qualsiasi funzione meromorfa in tutto il piano complessopuo essere scritta come rapporto di due funzioni integrali; da qui possiamointrodurre il prodotto canonico

∞∏n=1

(1− z

an

)ezan

+ 12

(zan

)2

+···+ 1h

(zan

)h(2.27)

Esso rappresenta una funzione integrale e converge se viene rispettata lacondizione che la serie

∞∑n=1

(R/|an|)h+1

h+ 1(2.28)

converge per qualsiasi R di un disco uniforme e chiuso |z| ≤ R [11].Il termine h e l ’ intero piu piccolo per cui la (2.28) converge: il genus delprodotto canonico.Utilizzando la (2.27), la funzione sinπz puo assumere la seguente formula:

sinπz = πz∏n6=0

(1− z

n

)ezn (2.29)

Applicando la derivata del logaritmo ad entrambi i lati dell’ equazione (2.29)otteniamo:

π cotπz =1

z+∑n6=0

( 1

z − n+

1

n

)(2.30)

Da qui, sfruttando il secondo teorema integrale di Cauchy, per cui vale:

f(ξ) =1

2πi

∮+FD

f(z)dz

z − ξ(2.31)

rappresentiamo la 1z−ξ all’ interno come la derivata logaritmica di una fun-

zione g(z), rappresentata utilizzando i prodotti canonici. Applicando questeconsiderazioni al nostro caso, consideriamo un caso unidimensionale, intro-duciamo la funzione analitica F (x) e utilizziamo un percorso C in sensoanti-orario che contiene i poli relativi a F (xj) = 0.La somma

∑+∞i=1 f(xi) puo essere scritta utilizzando la (2.25). Assumia-

mo un campo elettromagnetico confinato in una scatola unidimensionale, escegliamo la nostra F (z) applicando le condizioni al contorno periodiche

F (k) = sin kL (2.32)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 17

dove k = nπL , con L come lato della scatola.

Quindi avremo :

= limL→∞

L

∫ +∞

−∞f(k)coth(kL)dk (2.33)

=L

∫ +∞

−∞f(k)dk.

In N dimensioni, la fattorizzazione prevede la comparsa di un termine (2π)N

al denominatore.L’espressione (2.24) puo essere regolarizzata in differenti modi. Nel suo arti-colo originale, Casimir utilizzo una funzione smorzante della frequenza ωJ incui compare un parametro δ che risulta rimovibile effettuando semplicementeil limite per δ → 0.Consideriamo ora l’espressione dell’ energia di vuoto nel caso in cui la distanzaa tra i due conduttori diventa infinita, ovvero il contributo di energia liberaricavato nello stesso volume, quantita che poi verra sottratta all’ energiainiziale.Avremo:

E0(∞) =~2

∫L2d2k||

(2π)2

∫ +∞

−∞

adkz2π

2√|k|||2 + k2

z (2.34)

=~2

∫L2d2k||

(2π)2

∫ ∞0

dy

√|k|||2 +

y2π2

a2.

avendo effettuato nell’ultimo passaggio il cambio di variabile kz = yπa ,

dkz = dy πaRicaviamo quindi la differenza dei due contributi per unita di superficie,utilizzando le coordinate polari nel piano d2k|| = 2πkdk:

E∗ =E0(a)− E0(∞)

L2(2.35)

=~

∫ ∞0

kdk

(k

2+

∞∑n=1

√k2 +

n2π2

a2−∫ ∞

0dy

√k2 +

y2π2

a2

)

La (2.35) risulta ancora divergente per k →∞.Dall’ osservazione che per lunghezze d’ onda minori dell’ ordine di grandezzaatomico non e realistico utilizzare un’approssimazione con conduttori idealiinfiniti, miglioriamo la nostra rappresentazione introducendo una funzionecut-off f(k) con il seguente comportamento:

f(k) =

{1, k ≤ km0, k >> km

(2.36)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 18

dove km e un valore finito di ordine inverso alle dimensioni atomiche.Definiamo z = a2k2

π per cui k = πa

√z e dk = 1

2(πza2

)−12πa2dz .

A questo punto effettuiamo il cambio di variabile :

~2π

∫ ∞0

1

2

√πz

a2

(πza2

)− 12π

a2dz[1

2

√πz

a2+π

a(∞∑n=1

√z + n2 −

∫ ∞0

dy√z + y2)

](2.37)

e utilizziamo la funzione cut-off:

E∗ =~π2

4a3

∫ ∞0

dz

[√z

2f(πa

√z)

(2.38)

+∞∑n=1

√z + n2 f

(πa

√z + n2

)−

∫ ∞0

dy√z + y2 f

(πa

√z + y2

)]Definiamo la funzione F :

F (q) ≡∫ ∞

0dz√z + q2 f

(πa

√z + q2

)(2.39)

tale che per q →∞ , F (q)→ 0.In termini di F (q) , la (2.32) diventa:

E∗ =~π2

4a3

[1

2F (0) + F (1) + F (2) + · · · −

∫ ∞0

dqF (q)

](2.40)

La convergenza assoluta della funzione f ci assicura la possibilita di passareda sommatorie a integrali, come accade nella (2.40).Infatti f ha la forma di un esponenziale, del tipo e−δωJ , in cui compare ilparametro δ, il cui limite a zero corrisponde alla scomparsa dell’ approssima-zione. La condizione δ > 0 assicura invece che il contributo di energia risultifinito.F (q) e una funzione liscia, cio ci permette di utilizzare la formula di Eulero-MacLaurin,che prevede la possibilita di approssimare integrali mediantesomme finite, per calcolare la differenza tra la somma e l’integrale [4]:

1

2F (0) + F (1) + F (2) + · · · −

∫ ∞0

dqF (q) (2.41)

=

p∑k=1

B2k

(2k)!(F 2k−1(n)− F 2k−1(0))

= − 1

2!B2F

′(0)− 1

4!B4F

′′′(0) + · · ·

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 19

dove i numeri di Bernoulli sono definiti come:

y

ey − 1=∞∑µ=0

Bµyµ

µ!(2.42)

Cambiamo l’ origine dell’ integrale (2.33);

F (q) =

∫ ∞q2

du√uf(π√u

a

)(2.43)

e quindi

F ′(q) = −2qf(π√u

a

). (2.44)

A questo punto imponiamo la condizione che f(0) = 1 e che tutte le suederivate f (n) si annullino all’ origine.Da cio si deduce che l’ unico termine non nullo nella (2.42) e F ′′′(0) = −4 equindi

E∗ = ~π2

4a3

[− 1

2!B2F

′(0)− 1

4!B4F

′′′(0) + · · ·

]=

~π2

a3B44! (2.45)

B4 = − 1

30(2.46)

E∗ = − π2

720

~a3

(2.47)

Il primo tentativo di misurare sperimentalmente la forza per unita di superficiee dovuto a Sparnay nel 1958, che tento di osservare l’ ampiezza della forza ela sua dipendenza dalla distanza posta tra le lastre, ma riscontro un erroredel 100%. [2]

F = − π2

240

~a4

(2.48)

Il segno meno corrisponde ad una forza attrattiva. Il risultato teorico e statoottenuto da Casimir nel 1948.[5]La teoria dei campi prevede la polarizzazione del vuoto in presenza di campiesterni: l’ energia di vuoto non nulla e caratteristica di questo effetto, edipende dalla forza del campo.Le condizioni al contorno possono essere valutate come un campo esternoconcentrato, quindi possiamo asserire che le condizioni al contorno materialipolarizzano il vuoto di un campo quantizzato e che la forza agente e ilrisultato della polarizzazione.Nel caso che abbiamo trattato, le nostre condizioni al contorno erano pianiideali e neutri, e l’ effetto della polarizzazione consisteva proprio nella forzadi Casimir. Un altro effetto relativo al vuoto quantistico e la creazione diparticelle dal vuoto in presenza di campi esterni. In questo tipo di effetti l’

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 20

energia e trasferita dal campo esterno alle particelle virtuali trasformandolein particelle reali.Questo tipo di fenomeno non avviene in presenza di condizioni al contornostatiche, ma nel caso di dipendenza dal tempo di quest’ ultime e di una forzarelativa all’ effetto Casimir dinamico, vi e creazione di particelle.Si puo fare una distinzione tra puri effetti di vuoto, come nel caso dell’ effettoCasimir, e effetti in cui il campo quantistico viene eccitato, e compaionoparticelle reali e virtuali.

2.3 Effetto Casimir in presenza di superfici semi-infinite

Nella sezione precedente abbiamo assunto che la permeabilita dielettricadei mezzi fosse infinita, ma nel caso reale abbiamo a che fare con unapermeabilita dielettrica dipendente dalla frequenza, ε(ω). Lishfitz studio laconfigurazione costituita da due semi-superfici divise da materiale dielettricoe separate da un gap [6]. In questo modo ottenne la rappresentazione dellaforza di Casimir in termini di ε(ω) dei vari mezzi.I risultati di Lishfitz sono generalizzabili per qualsiasi tipo di configurazionea piu superfici di qualsiasi materiale. Lishfitz considero i materiali dielettricicome mezzi continui caratterizzati da sorgenti fluttuanti casuali.In questa sezione partiremo direttamente dall’ energia di punto zero delcampo elettromagnetico. La teoria delle forze di fluttuazione quantisticain presenza di condizioni al contorno tra mezzi neutri e chiamata teoriamacroscopica di Van der Waals, e qui ricaveremo la sua formula principale.Consideriamo due dielettrici semi-infiniti separarti da una distanza d. Comeabbiamo detto precedentemente, le condizioni al contorno modificano ilcampo elettromagnetico. Al fine di arrivare ad una relazione per l’ energiadi punto zero, introduciamo il vettore D = εE, ricordando le condizioni alcontorno che implicano la continuita di f iz a z = 0 e z = d (cio si verificaperche all’ interfaccia di due mezzi dielettrici la componente normale delvettore dielettrico e la componente tangenziale del campo elettrico devonoessere continue, analogamente avviene per il campo magnetico ).Scriviamo l ’ energia di punto zero del campo elettromagnetico per unita disuperficie:

E∗

L2=

~2

∫dk||

(2π)2

∑J

(1)J + ω

(2)J

)(2.49)

dove l’ indice J e J = (k1, k2, k3) = (k||, k3) e dove abbiamo separato le ωrelative alle due diverse polarizzazioni, parallela e perpendicolare al pianocostituito da k|| e l’ asse z, scegliendo k|| parallelo all’ asse x.

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 21

z

x

ε(ω)

ε(ω)

Figura 2.1: configurazione in presenza di piani paralleli con permittivita ε(ω)

Scriviamo inoltre le soluzioni delle equazioni di Maxwell per il campoelettrico e il campo magnetico in forma esponenziale:

E(i)k||

(t, r) = f(i)(k||, z)ei(kxx+kyy)−iωt (2.50)

B(i)k||

(t, r) = g(i)(k||, z)ei(kxx+kyy)−iωt (2.51)

dove l’ indice i indica lo stato di polarizzazione. Scriviamo le equazioni delleonde per il campo elettrico e il campo magnetico (µ = 1):

∇2E(i)k||

(t, r)− ε

c2

∂2E(i)k||

(t, r)

∂t2= 0 (2.52)

∇2B(i)k||

(t, r)− ε

c2

∂2B(i)k||

(t, r)

∂t2= 0 (2.53)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 22

rispetto all’ asse z, sostituendo la (2.52) e la (2.53) nelle equazioni precedentiavremo:

d2f (i)

dz2−R2f (i) = 0 (2.54)

d2g(i)

dz2−R2g(i) = 0 (2.55)

dove abbiamo introdotto

R2 = k2|| − ε(ω)

ω2

c2(2.56)

k2|| = k2

1 + k22 (2.57)

L’ equazione differenziale (2.54), o analogamente la (2.55) ha soluzione deltipo:

fz = fz,1 = AeRz, se z ≤ 0 (2.58)

fz = fz,2 = BeR0z + Ce−R0z, se 0 ≤ z ≤ d (2.59)

fz = fz,3 = De−Rz, se z ≥ d (2.60)

con

R =

√k2|| − ε(ω)

ω2

c2, R0 =

√k2|| −

ω2

c2(2.61)

Imponiamo le condizioni di continuita a z = 0 e z = d per ∂fz∂z e εfz:

εfz,1(0) = εfz,2(0), εfz,2(d) = εfz,3(d) (2.62)

f ′z,1(0) = f ′z,2(0), f ′z,2(d) = f ′z,3(d) (2.63)

da cui risulta:εA = εB + εC (2.64)

εBeR0d + εCe−R0d = De−Rd (2.65)

RA = BR0 − CR0 (2.66)

R0BeR0d −R0Ce

−R0d = −RDe−Rd (2.67)

Ponendo il discriminante della matrice dei coefficienti del sistema lineareomogeneo cosı ottenuto uguale a zero, in modo da garantire l’ esistenza disoluzioni non nulle, si arriva all’ equazione:

D(ω) = e−R0d(ε(ω)R0 −R)2 + eR0d(ε(ω)R0 +R)2 (2.68)

Allo stesso modo le condizioni al contorno per fy edfydy portano ad un risultato

simile per la polarizzazione perpendicolare.Da qui, sfruttando il secondo teorema di Cauchy

f(ξ) =1

2πi

∮+FD

f(z)dz

z − ξ(2.69)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 23

in cui rappresentiamo la 1z−ξ all’ interno come la derivata logaritmica di una

funzione g(z), rappresentata utilizzando i prodotti canonici, utilizziamo laseguente formula per ricavare l’ energia di punto zero:

1

2πi

∫Czd

dzln g(z)dz (2.70)

Infatti, nel nostro caso, utilizzeremo una funzione della forma g(z) = sinπz,essendo

sinπz = πz∏n6=0

(1− z

n

)ezn (2.71)

e per cui la derivata logaritma di g(z) risulta essere una sommatoria ditermini del tipo 1

z−ξ . Nella nostra discussione, la funzione g(ωi) = D(ω).Infatti essa e una funzione che si annulla per ogni ωi dello spettro, comerichiesto dall’utilizzo della (2.70).Quindi sostituiamo la (2.68) nella (2.70), ricordando la (2.49):∑

J

ωJ =1

2πi

[∫ i∞

i∞ωd lnD(ω) +

∫C+

ωd lnD(ω)]

(2.72)

Dove C+ e il semicerchio superiore di raggio infinito del piano complessocon centro nell’ origine. Notiamo che D(ω) non presenta poli, da cio noncompare una somma nella (2.72). Valutiamo l’ integrale

∫C+

ωd lnD(ω), conle condizioni

limω→∞

ε(ω) = 1 (2.73)

limω→∞

dε(ω)

dω= 0 (2.74)

in tutte le direzioni del piano complesso di ω.Avremo:∫

C+

ωd[ln(e−R0d(ε(ω)R0 −R1)2 + eR0d(ε(ω)R0 +R)2

)](2.75)

In virtu della (2.73) e della (2.74) il suo contributo e infinito.

∫C+

ωd[ln(e−R0d(ε(ω)R0 −R1)2 + eR0D(ε(ω)R0 +R)2

)]

dωdω(2.76)

=

∫C+

ωd[lnD(ω)]

dωdω

e effettuando il limω→∞d[lnDω)]

dω , tenendo conto di tutte le dipendenze daω in R e R0 nel calcolo della derivata e delle (2.73) e (2.74), risulta∫

C+

ωd lnD(ω) = 4

∫C+

dω (2.77)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 24

Introduciamo una nuova variabile ζ = −iω nella (2.72).

∑J

ωJ =1

∫ −∞∞

ζd lnD(iζ) +2

π

∫C+

dζ (2.78)

effettuiamo il limd→∞D(ω) nella (2.76):

limd→∞

∑J

ωJ =1

∫ −∞∞

ζd lnD∞(iζ) +2

π

∫C+

dζ (2.79)

limd→∞

D = D∞ (2.80)

e sottraiamo questa quantita alla (2.72), rinormalizzando:(∑J

ωJ

)ren

= (2.81)

=∑J

ωJ − limd→∞

∑J

ωJ

=1

∫ −∞∞

ζd lnD(iζ) +2

π

∫C+

− 1

∫ −∞∞

ζd lnD∞(iζ)− 2

π

∫C+

(∑J

ωJ

)ren

=1

∫ −∞∞

ζd lnD(iζ)

D∞(iζ)(2.82)

Effettuando l’ integrazione per parti:(∑J

ωJ

)ren

=1

2πζ ln

D(iζ)

D∞(iζ)− 1

∫ −∞∞

dζ lnD(iζ)

D∞(iζ)(2.83)

=1

∫ ∞−∞

dζ lnD(iζ)

D∞(iζ)

Ora sostituiamo la quantita normalizzata cosı ottenuta nell’ energia di puntozero del campo, (2.49):

E∗

L2=

~2

∫dk||

(2π)2

∑J

(1)J + ω

(2)J

)(2.84)

=~

∫ +∞

0

2πkdk

(2π)2

∫ ∞−∞

dζ lnD(iζ)

D∞(iζ)

Ricordiamo che D(ωJ) e relativa sia alla frequenza (ωJ) dei modi polarizzatiparallelamente, sia a quelli perpendicolari.

Chiameremo Q1(iζ) = D(1)(iζ)

D(1)∞ (iζ)

e Q2(iζ) = D(2)(iζ)

D(2)∞ (iζ)

.

~(2π)2

∫ +∞

0kdk

∫ ∞0

dζ[lnQ1(iζ) + lnQ2(iζ)] (2.85)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 25

Introduciamo ora la variabile k2 = ζc (p

2 − 1)

~(2πc)2

∫ +∞

1pdp

∫ ∞0

ζ2dζ[lnQ1(iζ) + lnQ2(iζ)] (2.86)

L’ espressione (2.86) (o equivalentemente la (2.85)) esprime un contributofinito della densita di energia di Casimir.Ricaviamo da essa la forza di Casimir per unita di superficie tra i due semispa-zi, introducendo un nuovo cambio di variabieK = K(iζ) =

√p2 − 1 + ε(iζ) =

cζR(iζ)

F (d) = −∂E∗(d)

∂d(2.87)

= − ~2π2c3

∫ ∞1

p2dp

∫ ∞0

ζ3dζ

[[(K + εp

K − εp

)2e−2( ζ

c)pd − 1

]−1

+[(K + p

K − p

)2e−2( ζ

c)pd − 1

]−1]

A distanze comparabili con la lunghezza caratterisica di assorbimento deimetariali dielettrici (d << λ0), le equazioni (2.86) e (2.87) possono esserescritte in forma piu semplice, in cui compare la costante di Hamaker: [2]

H =3~8π

∫ ∞0

x2dx

∫ ∞0

dζ[(ε+ 1

ε− 1

)2ex − 1

]−1(2.88)

dove la variabile di integrazione utilizzata e x = 2pζdc , e la forza e la densita

di energia di Casimir diventano:

F = − H

6πd3, E∗ = − H

12πa2(2.89)

Esplicitando la seconda delle (2.89) otteniamo

E∗ = − ~32π2d2

∫ ∞0

∫ ∞0

dxx2[(ε(iω) + 1

ε(iω)− 1

)2ex − 1

]−1(2.90)

che, nel limite di conduttori perfetti, si riduce alla formula di Casimir

E∗(d) = − π2

720

~ca3. (2.91)

Notiamo infine che tali risultati sono stati ottenuti nel limite d << ~c(kBT ) ,

limite che esclude gli effetti di temperature diverse da quella di punto zero..Nel suo articolo originale, Lishfitz, calcolo i campi fluttuanti anche all’ internodei mezzi, oltre che nello spazio tra essi, introducendo un campo ‘random”

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 26

K nelle equazioni di Maxwell, la cui forma e prevista dalla teoria dellefluttuazioni elettriche di Rytov: [6]

Ki(x, y, z)Kk(x, y, z) = Aε′′(ω)δikδ(x− x′)δ(y − y′)δ(z − z′), (2.92)

A = 4~(1

2+

1

e~ωT − 1

)= 2~ coth

~ω2T

con ε = ε′ + iε′′, per poi porre K = 0 e ε = 1 nella zona vuota tra le duesuperfici. Utilizzando le condizioni al contorno per i campi, arrivo alla formadi D(ω) (2.68).

2.4 Calcolo della forza di attrazione

La relazione (2.87) merita una discussione riguardo la sua integrazione.Nel suo articolo originale, Lifshitz, calcolo la forza di attrazione sulla superficiedei due mezzi, trattandola come la componente del tensore calcolato dalleespressioni delle componenti dei campi magnetico e elettrico, integrando sututte le frequenze ω.

F =

∫ ∞0

Fωdω (2.93)

L’ integrazione in dω fu effettuata solo per valori positivi, valutando in segui-to il tensore come il doppio, in quanto il tensore calcolato dalle espressioniottenute dai campi elettromagnetici dovrebbe essere integrato su tutte lefrequenze [6].La rappresenazione di Fω come integrale rispetto a p fu ottenuta valutandoun cammino di integrazione per p nel suo piano complesso costituito dalsegmento (ωc , 0) dell’ asse reale e dall’ intero semiasse positivo immaginario.

Fω =~

4π2

∫p2dp

[[(K + εp

K − εp

)2e−2ipd − 1

]−1(2.94)

+[(K + p

K − p

)2e−2ipd − 1

]−1+

1

2

]+ c.c

Notiamo che la (2.94) presenta dei termini divergenti ω3 nel caso diintegrazione rispetto a ω, derivanti dall’ integrazione dei termini sotto radice

relativi a R =√k2|| − ε(ω)ω

2

c2, R0 =

√k2|| −

ω2

c2, anche se il contributo

rispetto a p risulta finito. Tali termini divergenti, pero, non dipendono dalladistanza d tra i due mezzi, e quindi non sono di interesse per lo studiodelle forze di attrazione tra le superfici e possono essere trascurati: infattisono rappresentativi della reazione del mezzo su se stesso al campo, e sonocompensati da un effetto simile sull’ altra faccia della superficie.E’ possibile studiare Fω come parte reale di un integrale di una funzione

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 27

analitica di p, valutando la (2.94) come una funzione analitica sull’ interopiano complesso di p: possiamo quindi cambiare cammini di integrazione.Riscriviamo Fω sostituendo a p il valore ωp

c e a K il valore ωKc (e omettendo

12).

F =~

2πc3×Re

∫ ∞0

∫p2ω3

[[(K + εp

K − εp

)2e−2( iω

c)pd − 1

]−1(2.95)

+[(K + p

K − p

)2e−2( iω

c)pd − 1

]−1]dpdω

In figura, riportiamo i cammini di integrazione per ω e per p:

ω p

Figura 2.2: cammini di integrazione di ω e p

Il termine e−2( iωc

) e oscillante, e cio rende complicata l’ integrazione della(2.95) per grandi distanze d.Cambiando cammini di integrazione nei piani complessi di ω e di p, e possibileintegrare la (2.95) su valori solo reali per quanto riguarda l’ integrazione inp e per valori solo immaginari in ω, in modo che l ’ esponente del termineoscillante risulti sempre reale.Analizziamo ora la trasformazione dei cammini attuata da Lifshitz, definen-do per comodita Qω e Qp il quadrante destro positivo dei piani complessirispettivamente di ω e di p.Spezziamo il cammino di integrazione di p in due parti, in cui una prevede chep va da 1 a 0 per valori reali, mentre l’altra fa percorrere valori immaginarida 0 a i∞. Portiamo, invece, il cammino di integrazione di ω dall’ asse realea quello immaginario. Da quest’ ultima scelta nasce la necessita di indagaresull’ esistenza delle singolarita dell’ integrando della (2.95) come funzione diω in Qω.

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 28

La funzione K = K(ω) =√p2 − 1 + ε(ω) presente nell’ integrale, comprende

ε(ω), che ha parte immaginaria ε′′ > 0 in tutto Qω eccetto sull’asse immagi-nario, dove si annulla.Quindi ε(ω) puo essere considerato reale e positivo, e ha andamento datodalla (2.73).Da cio, considerando p reali , K = K ′ + iK ′′ non si annulla in Qω e risultaK ′ > 0, K ′′ > 0.Valutiamo ora il denominatore delle funzioni integrande, per ricercare glieventuali poli, e per fare cio studiamo le seguenti equazioni:

K + εp

K − εp= e2ipωd

c (2.96)

K + p

K − p= e2ipωd

c

In Qω sappiamo che K ′,K ′′, ε′′ sono quantita positive, e per valori reali di prisulta ∣∣∣K + εp

K − εp

∣∣∣ > 1 (2.97)∣∣∣K + p

K − p

∣∣∣ > 1

∣∣∣e2ipωdc

∣∣∣ ≤ 1 (2.98)

per cui le equazioni (2.96) non hanno radici e l ’ integrando non ha singolaritain Qω, e il cammino di integrazione di ω puo essere sostituito con l’asseimmaginario.Ritornando alla seconda parte del cammino di p da 0 a i∞ sull’ asse imma-ginario, non e banale dimostrare che la funzione integranda della (2.95) nonpresenta poli in Qω. In questo caso, infatti, dovremo cambiare entrambi i

cammini di integrazione di ω e di p, essendo p =√

ω2

c2− k2||.

Ricordiamo che nell’ integrazione di funzioni di piu variabili complesse, in ge-nerale, possiamo cambiare contorni abbastanza facilmente: vogliamo sceglierei contorni al fine di evitare le eventuali singolarita, cio accade se invertiamosimultaneamente i cammini di integrazione nei quadranti Qω e Qp, per cui ωpercorre il semiasse immaginario e p il semiasse reale.Durante questa inversione, il prodotto iωp rimane reale e invariato, per cuiscegliamo la trasformazione

x = −iωp, (2.99)

(dall’ asse immaginario all’ asse reale, per x fissato)

ω =ix

p(2.100)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 29

(dall’ asse reale all’ asse immaginario per ω fissato).Notiamo che con questa scelta K puo annullarsi solo percorrendo simulta-neamente valori puramente immaginari di ω e di p , ma questa possibilita eesclusa dalla scelta dell’ inversione effettuata :Im(iωp) = 0, Re(iωp) < 0.Riportiamo in figura i nuovi cammini di integrazione:

ω p

Figura 2.3: cammini di integrazione di ω e p invertiti

Ora ci resta da escludere la presenza di radici per le (2.96) per valori dip in Qp al variare di x reale. E’ banale verificare la validita dellla secondadelle equazioni (2.96), mentre la prima richiede un’ analisi piu accurata:∣∣∣K + εp

K − εp

∣∣∣ > 1 (2.101)

con

K =

√ε

(ix

p

)− 1 + p2, ε(0) > 1, (2.102)

p =

√ω2

c2− k2|| =

√(ix

p

)2

− k2||

e ricordando che l’ andamento di ε(ω) e decrescente per ω → i∞ conlimx→∞ ε

(ixp

)= 1.

Dalla (2.102) e da quest’ ultima considerazione, possiamo ritenere possibileche la quantita (2.101) puo risultare minore di 1.Lifshitz, introdusse una relazione tra le variabili complesse p, ε,K, al fine diescludere le possibilita che ci siano radici della (2.101) in Qp.

K = −aεp (2.103)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 30

in cui a e un numero reale positivo. Questa relazione e verificata solo con lacondizione che la parte reale di ε e positiva (ε′ > 0).Notiamo che per valori grandi di p la (2.103) e la (2.102) prevedono che Kassuma valori reali negativi, essendo K = − 1

a , ma cio risulta impossibile.Allo stesso modo, vanno esclusi i valori per cui l ’ argomento di ε

(ixp

)puo

diventare minore di 0 o tendere all’ infinito, ovvero valori relativi a x→ 0 ex→∞.Torniamo alla (2.96)

K + εp

K − εp= e2ipωd

c (2.104)

e valutiamo il caso di piccole distanze d nel caso di x finiti: nel caso che ladistanza tende a 0, avremo che l ’ esponenziale della (2.96) dara 0, mentreil membro sinistro dell’ equazione puo tendere a 1 solo nel caso che p→ 0(questa caso viene escluso dalla condizione (2.103), come discusso) oppure chex→ 0 mantenendo finito il rapporto x

p ma anche questo caso e da escluderein quanto si avrebbe che il membro di destra dell’ equazione tenderebbe all’unita piu velocemente di quello di sinistra. Quindi possiamo dedurre cheper d → 0 la (2.104) non ha soluzioni. Valutiamo ora il caso di un valoregenerico della distanza. La funzione ε

(ixp

)e reale e positiva, con argomento

immaginario, e quindi il caso in cui si tenga conto dell’ asse immaginario dip va escluso in quanto si avrebbe una ε reale con un argomento reale.Dalle discussioni fatte, si puo dedurre che non ci sono soluzioni della (2.104)in Qp, e che i percorsi di integrazione della (2.87) in cui ω percorre solo valoriimmaginari e p solo i valori reali permettono il calcolo dell’ integrale unavolta nota la forma della funzione di permittivita dielettrica, introducendoω = iζ per i valori immaginari di omega:

F = − ~2π2c3

∫ ∞1

p2dp

∫ ∞0

ζ3dζ

[[(K + εp

K − εp

)2e−2( ζ

c)pd − 1

]−1(2.105)

+[(K + p

K − p

)2e−2( ζ

c)pd − 1

]−1]

In questo modo abbiamo ottenuto un integrale reale.

2.5 Il modello a plasma

In questo paragrafo analizzeremo un modello non ideale, valutando ladistanza d tra i due mezzi metallici da poche decine di micrometri allecentinaia di micrometri. In questo intervallo la frequenza dominante e quelladella luce visibile e dell’ ottica infrarossa [2] e la permittivita dielettrica hala seguente forma:

ε(ω) = 1−ω2p

ω2ε(iζ) = 1 +

ω2p

ζ2(2.106)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 31

dove e stata introdotta la frequenza di plasma:

ω2p =

4πNe2

m∗(2.107)

che e una grandezza peculiare dei metalli, in cui compare la densita deglielettroni di conduzione N e la loro massa effettiva m∗.Utilizziamo l ’ espressione della forza (2.87), effettuando il cambio di variabilex = 2ζpd

c e cambiando ordine di integrazione:

FP (d) =~c

32π2d4

∫ ∞o

x3dx

∫ ∞1

dp

p2

[[(K + pε)2

(K − pε)2ex−1

]−1+[(K + p)2

(K − p)2ex−1

]−1](2.108)

dove K(iζ) = K( icx2pd).Sviluppiamo rispetto a p le espressioni sotto integrale nella relazione cheesprime la forza di Casimir in potenze di α cosı definito:

α =ζ

ωp=

c

2ωpd

x

p=δ0

d

x

2p(2.109)

dove δ0 =λp2π e lo spessore di penetrazione delle oscillazioni del campo

elettromagnetico di punto zero all’ interno dei metalli e la permIttivitadiventa ε(ω) = 1+ 1

α2 . Ricordando le definizioni di K e di x, al quarto ordinei contributi risultano[(K + pε)2

(K − pε)2ex − 1

]−1=

1

ex − 1

[1− 4A

pα+

8A

p2(2A− 1)α2 (2.110)

+2A

p3(−6 + 32A− 32A2 + 2p2 − p4)α3

+8A

p4(2A− 1)(2− 16A+ 16A2 − 2p2 + p4)α4 +O(α5)

][(K + p)2

(K − p)2ex − 1

]−1=

1

ex − 1

[1− 4Apα+ 8A(2A− 1)p2α2 (2.111)

+ 2A(−5 + 32A− 32A2)p3α3

+ 8A(1 + 18A− 48A2 + 32A3)p4α4 +O(α5)]

con A = ex

ex−1 .Sostituendo la (2.110) e la (2.111) nella (2.108), si ottengono rispetto a pintegrali della forma

∫∞0 p−kdp con k ≤ 2 [2], mentre rispetto a x abbiamo

integrali di forma: ∫ ∞0

xmemx

(ex − 1)m+1dx. (2.112)

Il calcolo della forza di Casimir rispetto a questi integrali porta al risultato:

F (d) = F 0(d)[1− 16

3

δ0

d+ 24

δ20

d2− 640

7

(1− π2

210

)δ30

d3+

2800

9

(1− 163π2

7350

)δ40

d4

](2.113)

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 32

2.6 Analisi numerica

Il modello a plasma, non tiene conto del rilassamento degli elettroni diconduzione e della banda di assorbimento dei metalli. Inoltre la frequenza diplasma di alcuni metalli utilizzati in genere nell’ apparato sperimentale, comel’ oro e l’ alluminio, non sono determinate con precisione. Il modello di Drude,invece, considera il rilassamento degli elettroni di conduzione. In questo caso,la permittivita dielettrica lungo l’asse immaginario ha la seguente forma:

ε(iζ) = 1 +ωp

2

ζ(ζ + γ), (2.114)

in cui ωp = (2πc)λp

e la frequenza di plasma e γ e la frequenza di rilassamento.Abbiamo effettuato un’ analisi numerica utilizzando i valori ωp = 12.5eV eγ = 0.063eV per la (2.115), ricavando il grafico della permittivita in funzionedi ω, riportato di seguito per il modello di Drude e il modello a plasma.

0 2 4 6 8 100

5

10

15

20

25

ω(eV)

ϵ(ω

)

Figura 2.4: grafico della permittivita in funzione di ω per il modello di Drude,per il modello a plasma si ottiene un grafico quasi coincidente

I dati utilizzati sono relativi a un esperimento in cui e stato utilizzato l’alluminio [2].Abbiamo inoltre graficato l’ energia (2.90) per un dato valore della distanza,al variare di ω.Abbiamo riscontrato che i grafici ottenuti in confronto a quelli relativi al

CAPITOLO 2. UN FENOMENO QUANTISTICO MACROSCOPICO 33

modello di Drude, risultano molto simili.Si nota dai grafici che per valori piccoli della frequenza la permittivita tendea crescere asintoticamente, mentre per valori crescenti della frequenza, l’energia tende a diminuire avvicinandosi allo zero.

0 2 4 6 8 100.0

0.5

1.0

1.5

2.0

2.5

ω(eV)

f(ω)

Figura 2.5: grafico dell’ energia di punto zero in funzione di ω per il modellodi Drude, per il modello a plasma si ottiene un grafico quasi coincidente

Capitolo 3

Misurazioni della forza diCasimir

In questo capitolo tratteremo le basi degli esperimenti che sono statieffettuati per la misurazione della forza di Casimir, tenendo presente cheessa risulta misurabile per una distanza v 1µm e che risulta dell’ ordine digrandezza di 10−7N per un’ area di superficie di 1cm2. Il primo esperimentosulla forza di Casimir fu eseguito da Sparnay, che riporto un errore del 100%.

3.1 Basi sperimentali per la misurazione

I requisiti tecnici per la misurazione della forza di Casimir, devonoprevedere la possibilita di effettuare una buona misura della separazionetra le due superfici e la sensibilita richiesta per gli strumenti utilizzati nellamisurazione della forza e molto alta.Sparnay, scrisse che i requisiti per un buon esperimento prevedessero superficipiane completamente prive di impurita chimiche, e misurazioni riproducibilie precise della loro distanza, tenendo in conto anche della ruvidita dei mezzimetallici e della presenza di eventuali residui. Inoltre ritenne che dovevaessere ridotta al minimo la differenza di potenziale tra le due lastre: in effettii cavi per la messa a terra e i differenti materiali utilizzati, possono portarea una differenza di potenziale non richiesta, per cui e necessario misurare l’errore sistematico dovuto alla forza elettrostatica residua.Nella pratica, ottenere tutti questi accorgimenti per l ’ apparato sperimentalerisulta difficoltoso: ad esempio durante gli esperimenti che utilizzavanosuperfici di vetro o di quarzo, fu impossibile richiedere l ’ assenza di impuritachimiche, in quanto si osservo la formazione di gel dovuta alla reazione deimateriali all’ apparato sperimentale, per cui la forza misurata sulle superficisarebbe sta completamente modificata a distanze v 1, 5µm.I due esperimenti piu recenti e significativi effettuati con superfici metallichesono dovuti a Sparnay e ai due fisici van Blokland e Overbeek, piu tardi sono

34

CAPITOLO 3. MISURAZIONI DELLA FORZA DI CASIMIR 35

state sviluppate altre tecniche, di cui le piu recenti sono dovute a Lamoreauxcon l ’ utilizzo un pendolo a torsione e a Mohideen che invece utilizzo ilmicroscopio a forza atomica.Nei seguenti paragrafi analizzeremo piu in dettaglio i diversi casi.

3.2 Esperimento di Sparnay, 1958

L’ esperimento di Sparnay diede la prima indicazione di una forza attrat-tiva di Casimir tra due superfici metalliche, anche se non riuscı a ottenereinformazioni conclusive.Egli cerco di misurare la forza utilizzando un dinamometro con una sensibilitapari a (0.1− 1)× 10−3dyn.La capacitanza del sistema costituito dalle due lastre metalliche (dalla cuimisura venne ricavata l ’ estensione richiesta alla molla) fu calibrata utiliz-zando fili di tungsteno e platino.Tutto l ’ apparato, fu isolato dalle vibrazioni e e le superfici metalliche furonoisolate elettricamente dal resto della strumentazione e dall’ esterno.L’utilizzodella molla, porto a importanti difficolta per la valutazione della distanzatra le superfici.Sparnay, inoltre, ricavo che una differenza di potenziale tra i mezzi pari a17 mV era sufficiente per rendere impossibile la misurazione della forza eper questo motivo all’ inizio dell’ esperimento le due lastre vennero messe acontatto.Furono utilizzati tre set di superfici per le misurazioni, ovvero alluminio-alluminio, cromo-cromo e cromo-acciaio, cercando di ottenere il massimoallineamento per ogni set. Fu inoltre tenuto conto, che a causa della presenzadi particelle di residuo sulle superfici, la distanza tra le due lastre in “con-tatto” doveva essere di circa 0.2µm. Furono misurate forze repulsive nel setalluminio-alluminio e Sparnay ritenne che per eliminarle dalle misurazioniera necessario migliorare le impostazioni strumentali dell’ esperimento, richie-dendo maggiore accuratezza sia per la misura della distanza tra i due pianie per il parallelismo di essi, sia per la presenza di differenze di potenzialedovuto alle particelle residue sui metalli. Invece nel caso dei set cromo-cromoe cromo-acciaio si ottenne una misura della forza attrattiva, ma l’ incertezzasulle misure fu troppo rilevante per un riscontro effettivo con la teoria.

3.3 Esperimento di van Blokland e Overbeek, 1978

Van Blokland e Overbeek utilizzarono anch’ essi una molla bilanciataper misurare la forza tra una lente (quindi una superfice curva) e una lastracoperta di uno strato di 100 ± 5nm o 50 ± 5nm di cromo che poi sarebbestato ricoperto a sua volta con una pellicola di 1−2nm di ossido. Il vapore d’acqua fu utilizzato per ridurre le cariche sulle superfici. I problemi riscontrati

CAPITOLO 3. MISURAZIONI DELLA FORZA DI CASIMIR 36

in questo esperimento consistevano nella presenza di differenze di potenzialenon richieste tra le due lastre, e l’impossibilita di avere una buona misuradella distanza dei due mezzi, come nel caso dell’ esperimento di Sparnay.Si cerco di risolvere il primo di questi problemi, cercando il minimo dellaforza di Casimir come funzione di un potenziale applicato, che bilanciasse ledifferenze di potenziale. In effetti la loro misura diede un valore tra i 19 ei 20 mV,quantita che per una distanza di 400nm risulto uguale alla forzadi Casimir ricercata. Anche la presenza della superficie di cromo risultoproblematica, in quanto il cromo ha delle forti bande di assorbimento per600 nm, e per riprodurre sperimentalmente il modello di Lifshitz, la parteimmaginaria della funzione dielettrica corrispondente all’ assorbimento futrattata come un atomo di Lorentz, e le due bande sovrapposte furonotrattate come un unica banda di assorbimento. La forza dell’ assorbimentofu valutata come il 40% dellaforza totale. L’ incertezza sulle misure dellaforza fu del 25 % vicino ai 150 nm, e l’ accuratezza totale dell’ esperimentofu stimata del 50%.

3.4 Esperimento di Lamoreaux, 1997

L’ esperimento di Lamoreaux aprı una fase moderna delle misurazionedella forza di Casimir. Il suo apparato sperimentale, consisteva in un pendoloa torsione per la misura della forza, in una lente sferica, con un raggio di11.3± 0.1 cm e una superficie piana. Le due superfici furono ricoperte conuno strato di 0.5µm di rame, ricoperto a sua volta con 0.5µm di oro, tramiteevaporazione. La lente fu montata a un piezo, mentre la superficie piana aun braccio del pendolo a torsione. L ’ altro braccio della bilancia a torsionefu connesso al centro di due condensatori, in modo che l ’ angolo di torsionepotesse essere controllata mediante il potenziale tra i due condensatori, percui a ogni variazione dell’ angolazione corrispose una variazione della capacitatra di essi. La differenza di potenziale da applicare per bilanciare la differenzadi capacita, fu la misura della forza di Casimir. A causa dell’ applicazionedel potenziale dal piezo, la lente veniva spostato e durante l’ esperimento lemisurazioni furono divise in 16 step, in cui venivano variate sia le distanze,sia i potenziali applicati relativi alla misura dell’ angolazione della bilanciaa a torsione. La forza totale fu misurata con una distanza tra le superficientro i 10µm.L’ esperimento fu ripetuto modificando le variabili a ogni step e riporto valoridella forza elettrostatica residua e della distanza tra le superfici di contattotramite un fit tra il valore aspettato della forza di Casimir e la forza totalemisurata.La funzione di fit ha la forma seguente

Fm(i) = F TC (ai + a0) +β

ai + a0+ b (3.1)

CAPITOLO 3. MISURAZIONI DELLA FORZA DI CASIMIR 37

in cui Fm(i) e la forza totale misurata allo step i-esimo, F TC e la forzateorica di Casimir, a0 e un parametro di fit che tiene conto della separazioneassoluta di contatto tra le superfici, b e una costante e β rappresenta la forzaelettrostatica tra le superfici.La relazione tra la forza misurata sperimentaleFmC e quella teorica F Tc risulto:

FmC (ai) = (1 + δ)F Tc + b′ (3.2)

3.5 Esperimento di Mohideen, 1998

Grazie anche ai contributi e alle informazioni di esperimenti meno recenti,come quello di Sparnay che puntualizzo le problematiche del proprio apparatosperimentale, richiamando l’ attenzione ad esempio sulla necessita di utilizzaremateriali non reattivi chimicamente e il piu possibile privi di residui, Mohideenriuscı nel 1998 ad ottenere il risultato piu significativo per la misurazionedella forza di Casimr. Egli utilizzo il microscopio a forza atomica (AFM) eriporto una precisione statistica dell’ 1% per la distanza minore misurata.Il primo esperimento da lui effettuato, prevedeva un sistema costituito dauna sfera di polistirene di diametro di 200 ± 4µm, una trave a sbalzo,deifotodiodi e una sorgente laser.

sfera

lastra

piezo

laser

trave a sbalzo

fotodiodi

Figura 3.1: esperimento di Mohideen

La deflessione dellla trave a balzo e misurata grazia alla deflessione delraggio laser, la cui differenza di segnale e raccolta dai fotodiodi. La differenzadi segnale e calibrata da una forza elettrostatica. La sfera e montata sulla

CAPITOLO 3. MISURAZIONI DELLA FORZA DI CASIMIR 38

punta della trave a sbalzo metallica, quest’ ultima ricoperta di una stratodi argento. La trave, la sfera e la lastra sono a loro volta ricoperte di unostrato di 300nm di alluminio tramite evaporazione. La scelta dell’ alluminioe giustificata dal fatto che esso e molto riflettente per piccole lunghezze d’onda (e quindi si possono ottenere piccole distanze tra le superfici) e dal fattoche esso aderisce bene a diversi metalli. Inoltre l ’ alluminio ha un puntodi fusione basso. Durante l ’ esperimento, la lastra viene spostata verso lasfera con step di 3.6nm, e il segnale corrispondente che arriva ai fotodiodiviene misurato. Dai dati ricavati, si ottenne che per grandi separazioni trale superfici, si misuro un segnale lineare, dovuto al numero crescente diraggi laser deviati e captati dai diodi. Invece per separazioni che vanno dalcontatto tra le superfici e 350nm, i dati rappresentarono efficacemente laforza attrattiva di Casimir.

3.6 Conclusioni

L’ avvento della meccanica quantistica ha cambiato completamente ilconcetto di vuoto, postulando l ’ esistenza di un’ energia propria dello stesso.Il “vuoto” risulta, secondo questo modello, “pieno” di particelle virtuali chesi trovano in un continuo stato di fluttuazione, e quindi coppie di particelle eantiparticelle si creano dal vuoto e annichilendosi tornano in esso.Dal principio di indeterminazione, risulta chiaro che maggiore sara la fluttua-zione dell’ energia, minore sara l ’ intervallo di tempo in cui essa si verificheraprima di svanire.In questo lavoro di tesi abbiamo cercato di approfondire l’ effetto Casimir,un fenomeno di origine quantistica che ha effetti di carattere macroscopicoe che si manifesta imponendo opportune condizioni al contorno al campoelettromagnetico del vuoto quantizzato. Nel caso ideale, discusso nel secondocapitolo, la difficolta consisteva nel rendere finita l’ energia di punto zeroricavata. Cio e stato possibile considerando il contributo (divergente) dienergia ottenuto per una distanza infinita tra i due piani conduttori, sottrattoin seguito al contributo di energia di punto zero (anch’esso infinito) ricavatocon una distanza finita tra le due lastre.Nel caso in cui e stata tenuta in considerazione la permeabilita dielettrica deimateriali, abbiamo effettuato un percorso analogo, utilizzando sia in questomodello che in quello ideale, strumenti di analisi complessa che ci hannopermesso di riscrivere il contributo di energia in una forma integrale piu“comoda” al fine di avere un risultato non divergente.Dalla scrittura della formula per la forza di Casimir e risultato necessariofare alcune considerazioni sulla possibilita del calcolo dell’ integrale doppiocon cui si rappresenta la forza. In effetti la sua integrazione viene effettuatainvertendo simultaneamente i cammini di integrazione, ottenendo un percor-so puramente reale ed uno puramente immaginario per le due variabili di

CAPITOLO 3. MISURAZIONI DELLA FORZA DI CASIMIR 39

integrazione, al fine di valutare l’ integrale come parte reale di una funzioneanalitica sull’ intero piano complesso. Una volta fatta questa considerazionee possibilie calcolare l’ integrale conoscendo la forma della funzione permitti-vita dielettrica. Abbiamo inoltre brevemente discusso il modello a plasmaed effettuato un’ analisi numerica utilizzando quest’ ultimo e il modello diDrude, notando che i grafici della permittivita dielettrica in funzione dellafrequenza ottenuti nei due casi risultavano molto simili.

Capitolo 4

Appendice matematica

4.1 Funzioni olomorfe

Per definire una funzione olomorfa di una variabile complessa, e necessarioestendere il concetto di derivata a una funzione w = f(z) nella variabile zdefinita in un campo complesso A del piano complesso.Infatti indicando la variabile z = x+iy e w = u+iv (dove u e v sono parametrireali), la funzione w = f(z) potra essere rivista come una coppia ordinata difunzioni reali in variabili reali, u = u(x, y), v = v(x, y). Il concetto di limite(e quindi quello di continuita) deriva banalmente dall’ aver considerato lafunzione dipendente da variabili reali.Ora, per la derivazione, al fine di definire una derivata rispetto alla variabilez (e non rispetto alle variabili reali che porterebbero alla considerazionedelle variabili parziali in x e y ), costruiamo il limite rispetto alla variabilecomplessa z: una volta definito l’ incremento ∆z=∆x + i∆y dire che unafunzione f e derivabile in senso complesso nella variabile z, analogamenteal caso reale, vuole dire che esiste finito il limite del rapporto incrementalef(z+∆z)−f(z)

∆z per ∆z → 0. Tenendo conto del fatto che ogni funzionederivabile in un punto z e continua nello stesso punto e supponendo che f(z)sia derivabile in tutto il campo complesso A, la derivata f ′(z) sara una nuovafunzione in Ae ad ogni punto z ∈ A verra associato un suo valore.Quindi diremo che una funzione w = f(z) e olomorfa se e derivabile ( equindi continua ) in A e se la sua derivata f ′(z) e continua in A.Ma, essendo una funzione f(z) anche funzione delle variabili realix e y, quale la condizione per cui f(z) = f(x, y) risulta olomorfa?

Notiamo che se f(z) e olomorfa, essa e continua e che lim∆z→0f(z+∆z)−f(z)

∆z =

f ′(z) puo essere visto come lim(∆x,∆y)→(0,0)f(x+∆x,y+∆y)−f(x,y)

∆x+i∆y = f ′(x).

In particolare avremo per ∆y = 0 il lim∆x→0f(x+∆x,y)−f(x,y)

∆x = f ′(z) mentre

per ∆x = 0 il lim∆y→0f(x,y+∆y)−f(x,y)

∆y = if ′(z).

Quindi esistono le derivate parziali fx e fy e la relazione tra esse e fx = 1i fy

40

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 41

, nota come condizione di olomorfia.Abbiamo quindi dimostrato le seguenti condizioni necessarie:

• f e continua in A;

• f ha derivate parziali fx e fy continue in A;

• e valida la condizione di olomorfia o monogeneita secondo cui fx = 1i fy.

Per dimostrare che le suddette condizioni sono anche sufficienti applichiamoil teorema del differenziale totale, per cui:

f(z + ∆z)− f(z) = fx(x, y) ·∆x+ ifx(x, y) ·∆y + ω · |∆z| (4.1)

lim∆z→0

f(z + ∆z)− f(z)

∆z= lim

∆z→0[fx(x, y) + ω

|∆z|∆z

] = fx(x, y) (4.2)

ed essendo fx(x, y) continua per ipotesi, f(z) risulta olomorfa nel campoA.Notiamo inoltre che la condizione di olomorfia rimanda a una relazione trafunzioni realipartendo dal valutare f(z) = u(x, y) + iv(x, y) e quindi:

fx = ux + ivx, (4.3)

1

ify =

1

i(uy + ivy) = vy − iuy (4.4)

arriviamo alle importantissime condizioni di Cauchy-Riemann

ux = vy (4.5)

uy = −vx (4.6)

Elenchiamo ora alcune proprieta delle funzioni olomorfe:

• se abbiamo n funzioni olomorfe in un campo A, lo sara anche la lorocombinazione lineare

f(z) =n∑i=1

cifi (4.7)

e

f ′(z) =

n∑i=1

cif′i (4.8)

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 42

• se abbiamo n funzioni olomorfe fi nel campo A, lo sara anche lafunzione prodotto

f(z) =n∏i=1

fi (4.9)

e

f ′(z) =n∏i=1

f ′i (4.10)

• prese due funzioni olomorfe in A, la funzione f(z) = f1(z)f2(z) con f2(z)

diversa da 0 e olomorfa in B = A−N dove l’ insieme N e l ’ insiemedei punti di A in cui f2(z) = 0;

• siano w = f(z) e g(w) funzioni olomorfe definite nei campi complessiA e B, risultera olomorfa la funzione composta e la sua derivata:

Dg[f(z)] = g′[f(z)] · f ′(z) (4.11)

• se f(z) e olomorfa in A connesso e la sua derivata e identicamentenulla,la funzione e costante.

4.2 Olomorfia delle funzioni definite da serie dipotenze

Dimostriamo che una funzione f(z) =∑n

k=0 ak(z − zo)k e olomorfa nelcampo di convergenza |z − zo| < r in cui r e raggio di convergenza, r > 0 eche risulta f ′(z) =

∑∞k=1 kak(z − z0)k−1.

Un teorema assicura che la serie f(z) =∑n

k=0 ak(z − zo)k e la sua seriederivata f ′(z) hanno lo stesso campo di convergenza. Cio detto , tenendoconto che la funzione ak(z − z0)k e olomorfa e che z = x + iy, possiamovalutare le seguenti funzioni:

f(z) =∞∑k=0

ak(z − z0)k (4.12)

g(z) =

∞∑k=1

kak(z − z0)k−1 (4.13)

g(z) =

∞∑k=0

∂x[ak(z − z0)k] =

1

i

∞∑k=0

∂y[ak(z − z0)k] (4.14)

le funzioni f(z) e g(z) sono continue nel campo di convergenza, inoltre risultache la serie g(z) converge uniformemente in qualunque cerchio |z − z0| 6 ρcon 0 < ρ < r, quindi le serie che costituiscono l’ ultima delle tre formule

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 43

sopra scritte, convergono entrambe.Cio implica che f(z) ha derivate parziali in x e y in tale cerchio, ovverofx = g(z) e fy = ig(z).Esse ovviamente soddisfano la condizione di olomorfia, per cui abbiamodimostrato che in ogni punto del campo di convergenza (essendo ρ arbitrario)la funzione definita dalla serie di potenze e continua e dotata di derivateparziali che soddisfano la condizione di olomorfia.Dunque f(z) e olomorfa e risulta che g(z) = f ′(z).Iterando lo stesso tipo di ragionamento alla f ′(x) e alle serie derivate succes-sive, si arriva alla conclusione che la somma della serie

∑∞k=0 ak(z − z0)k e

una funzione olomorfa che ammette, all’ interno del campo di convergenza,derivate di ordine n:

fn(z) =∞∑k=n

k(k − 1) . . . (k − n+ 1)ak(z − z0)k−n (4.15)

Da un semplice cambio di variabili, si arriva alla forma di Taylor per leserie di potenze in cui i coefficienti sono dati da

an =fn(z0)

n!(4.16)

f(z) =∞∑k=0

fn(z0)

n!(z − z0)k. (4.17)

La serie∑k=+∞

k=−∞ ak(z − z0)k e detta serie bilatera di potenza.

La sua convergenza viene dedotta dalla convergenza delle due serie∑0

k=−∞ ak(z−z0)k e

∑∞k=0 ak(z − z0)k, in cui puo essere separata.

Il campo di convergenza di una serie bilatera e costituito dai punti internidi una corona circolare 1

q < |z − z0| < r di centro z0 e raggi 1q e r. La

convergenza della serie bilatera risulta uniforme in ogni corona circolareappartenente al campo di convergenza. Inoltre la somma della serie e unafunzione olomorfa di z nel campo di convergenza della serie (corona circolareaperta).

4.3 Teoremi di Cauchy

Definiamo l’ integrale complesso della funzione f(z) = f(x, y) nellavariabile z = x+ iy in un campo A. Ricordiamo a tale scopo la nozione dicurva generalmente regolare, definita come l’ unione di un numero finito dicurve regolari Γi! con i ∈ [1, n] e con equazioni parametriche: x = φ(t);y =ψ(t) ;ti−1 ≤ t ≤ ti. Ora, supposta l ’ esistenza di una curva generalmenteregolare C contenuta in A, fissiamo i due punti z0 e z1 come estremi della

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 44

curva e il verso dell’ integrale da z0 a z1 e definiamo l’ integrale complesso dif(z): ∫

C(z0,z1)f(z)dz =

∫C(z0,z1)

f(x, y)(dx+ idy) (4.18)

che in termini di equazioni parametriche sara∫C(z0,z1)

f(z)dz =

∫ b

af [φ(t), ψ(t)][φ′(t) + iψ′(t)]dt (4.19)

=n∑k=1

∫ tk

tk−1f [φ(t), ψ(t)][φ′(t) + iψ′(t)]dt

L’ ultima uguaglianza e valida tenendo conto delle componenti regolariΓi di C e della parametrizzazione.Banalmente, da questa ultima relazione possiamo dedurre che∣∣∣∣∣

∫C(z0,z1)

f(z)dz

∣∣∣∣∣ ≤M∫ b

a

√φ′2(t) + ψ′2(t)dt, (4.20)

in cui l’ ultimo integrale rappresenta la lunghezza l della curva e M e ilmassimo del modulo di f(z).In definitiva avremo ∣∣∣∣∣

∫C(z0,z1)

f(z)dz

∣∣∣∣∣ ≤Ml. (4.21)

Da notare che la funzione f(x, y) risulta in questo modo continua con le suederivate parziali e soddisfa la condizione di olomorfia.Da un noto risultato sugli integrali curvilinei , possiamo derivare il primoteorema di Cauchy:

Teorema 1 sia f(z) una funzione olomorfa nel campo A e D un dominioregolare contenuto in esso, allora risulta

∮±FD f(z)dz = 0, dove FD e la

frontiera del dominio.

Questo teorema ha vari enunciati fondamentali che enunciamo qui di seguito:

• sia f(z) una funzione olomorfa nel campo A e Γ1, Γ2 due curve A-omotope tra loro (possono essere trasformate con continuita l’ unanell’ altra restando in A) con i punti iniziali e finali coincidenti, alloravale:

∫Γ1f(z)dz =

∫Γ2f(z)dz;

• sia f(z) una funzione olomorfa nel campo A aperto e semplicementeconnesso e si fissi z0 ∈ A.Per ogni z ∈ A sia γz una curva regolare nelcampo che congiunge z0 con z e si ponga F (z) =

∫ 10 f(γz(t))γ

′z(t)dt,

allora F e olomorfa e F ′ = F .

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 45

La difficolta della dimostrazione del primo teorema di Cauchy sta nel verificarela continuita della parte reale e della parte immaginaria di una funzioneolomorfa f = u+ iv. Cercheremo di dimostrare il primo teorema di Cauchysenza utilizzare nessuna proprieta di continuita delle derivate parziali diu e v, ma sfruttando l’ olomorfia della funzione. Cio e stato fatto nelladimostrazione classica di Goursat: consideriamo il seguente triangolo Te calcoliamo

∮T f(z)dz =

∑4i

∮T0if(z)dz .

∣∣∣∮Tf(z)dz

∣∣∣ ≤ ∣∣∣ 4∑i

∮T0i

f(z)dz∣∣∣ ≤ ∣∣∣∮

T1

f(z)dz∣∣∣ (4.22)

dove l’ ultimo integrale e uno dei quattro percorsi per cui l’ integraleassume il massimo valore (cf. appunti di Analisi Complessa R.Figari).

T

T04

T02

T01T03

Ora, suddividiamo T1 ancora in 4 triangoli e iteriamo n- volte il procedi-

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 46

mento:∣∣∣∮Tf(z)dz

∣∣∣ ≤ 4n−1∣∣∣∮T1

f(z)dz∣∣∣ ≤ | 4∑

i

∣∣∣∮Ti

f(z)dz∣∣∣ ≤ 4n

∣∣∣∮Tn

f(z)dz∣∣∣

(4.23)Ovviamente avremo tutti triangoli (chiusi) contenuti progressivamente l’

uno nell’ altro, e il lemma di Cantor garantisce che in queste condizioni l’intersezione dei Ti e diversa dall’ insieme nullo.Definiamo g(z) = f(z)−(z−z0) e ricordiamo che l’ ipotesi che la funzione e olo-

morfa garantisce che per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 :∣∣∣f(z)−f(z0)

z−z0 − f ′(z0)∣∣∣ < ε

per 0 < |z − z0| < δ. Allora possiamo scrivere:∮Tn

f(z)dz =

∮Tn

[f(z0) + (z − z0)f ′(z0)]dz +

∮Tn

g(z)dz (4.24)

e l’integrale di tale funzione lungo un cammino chiuso risulta nulla appli-cando il teorema di Stokes.Dal primo, si puo derivare il secondo teorema di Cauchy:

Teorema 2 sia f(z) una funzione olomorfa nel campo A e D un dominio re-

golare contenuto in A, allora per ogni punto ξ ∈ D vale f(ξ) = 12πi

∮+FD

f(z)dzz−ξ

Da notare che la funzione f(z)dzz−ξ non risulta olomorfa nel campo A, mentre

lo e in A′, ottenuto eliminando il punto ξ da A.Per ovviare al problema che il dominio D non e contenuto in A′, consideriamouna circonferenza Γ di centro ξ, interna al dominio D, e definiamo D′ ildominio ottenuto da D escludendo i punti interni a Γ.Quindi, per il primo teorema di Cauchy, abbiamo:∮

FD′

f(z)dz

z − ξ= 0 (4.25)

La frontiera di D′ e composta dalla circonferenza Γ e dalla frontiera di D,per cui possiamo scrivere∮

FD′

f(z)dz

z − ξ+

∮−Γ

f(z)dz

z − ξ= 0 (4.26)

dove i segni della frontiera e della circonferenza derivano dal verso di percor-renza (il segno meno indichera senso antiorario).Quindi ne deriva ∮

FD′

f(z)dz

z − ξ=

∮+Γ

f(z)dz

z − ξ. (4.27)

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 47

Osservando il primo integrale sulla sinistra, notiamo che esso risultera indi-pendente dal raggio ρ di Γ, e quindi anche il secondo integrale ne risulteraindipendente. In questo modo possiamo valutare il limρ→0+

∮+Γ

f(z)dzz−ξ , per

il cui calcolo adottiamo le equazioni parametriche della circonferenza e ef-fettuiamo il cambio di variabile ξ = ξ + iη. Le equazioni che descrivono Γsaranno:

x = ξ + ρ cos t y = η + ρ sin t, con 0 ≤ t ≤ 2π (4.28)

e quindiz = x+ iy = ζ + ρeit, (4.29)

dz = dx+ idy = −ρ sin tdt+ iρ cos tdt = iρeitdt (4.30)

da cui possiamo rivedere l’ integrale su cui effettuiamo il limite come∮+Γ

f(z)dz

z − ζ=

∫ 2π

0

f(ζ + ρeit)dt

ρeit= i

∫ 2π

0f(ζ + ρeit)dt. (4.31)

Osservando che la funzione integranda e continua in t e in ρ negli intervalliche stiamo valutando, otteniamo che il limite sara semplicemente il valoreche l’ integrale assume perρ = 0, ovvero:

limρ→0+

∮+Γ

f(z)dz

z − ζ= i

∫ 2π

0f(ζ)dt = 2πif(ζ). (4.32)

Da quest’ ultima relazione possiamo dedurre la formula integrale di Cauchy:

f(ζ) =1

2πi

∮+FD

f(z)dz

z − ζ. (4.33)

Questa formula ci dice che, noti i valori di una funzione complessa sullafrontiera del suo dominio, la funzione rimane determinata in tutti i puntiinterni al dominio. Importante da notare che questo risultato non ha nessunanalogo nel campo delle funzioni di variabili reali.

4.4 Integrali di funzioni olomorfe

Consideriamo ora il campo A, in cui e definita la funzione f(z), sem-plicemente connesso. In questo caso e assicurato che la forma differenzialef(x, y)(dx+ idy) e esatta (questo risulta dal fatto che la relazione∂f∂y = ∂(iy)

∂xe sicuramente soddisfatta).Cio comporta che possiamo definire nel dominio una funzione F (x, y) = F (z),continua con le sue derivate prime, tale che Fx = f ;Fy = if .Risulta quindi ∫

C(z0.z1)f(z)dz = F (z1)− F (z0) (4.34)

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 48

ed in particolare∫C f(z)dz = 0 per ogni C chiusa in A , per cui l’ integrale

di f(z) su C diventa definito, e si puo scrivere∫ z1

z0

f(z)dz = F (z1)− F (z0) (4.35)

Fissiamo il punto z0 e lasciamo variare z1 nelcampo: in questo modo possiamovalutare l’ integrale

∫ z1z0f(z)dz che risulta essere una funzione di z.

Possiamo quindi scrivere F (z) = F (z0) +∫ z1z0f(z)dz.

Inoltre dalle relazioniFx = f ; Fy = if (4.36)

deriva

Fx =1

iFy (4.37)

ovvero F (z) e olomorfa in A ed e laprimitiva di f(z).A questo punto possiamo definire l’ integrale indefinito di A come la totalitadelle sue primitive:

F (z) + c = c+

∫ z1

z0

f(z)dz (4.38)

Possiamo osservare, come conclusione, che la considerazione di campi sem-plicemente connessi porta a una perfetta analogia di comportamento tra gliintegrali complessi di funzioni olomorfe e quelli di funzioni continue di unavariabile reale definite in intervalli.

4.5 Espressione dei coefficienti di una serie di po-tenze

Valutiamo come campo di convergenza di una serie di potenze un cerchioo una corona circolare, sappiamo che la sua somma e una funzione olomorfadotata di tutte le derivate:

f(z) =+∞∑

k=−∞ak(z − z0)k (4.39)

Da qui possiamo ricavare∮+Γf(z)(z − z0)−n−1dz =

+∞∑k=−∞

ak

∮+Γ

(z − z0)k−n−1dz (4.40)

avendo considerato la circonferenzaΓ di centro z0 orientata nel verso anti-orario. Parametrizzando la circonferenza (z = z0 + ρeit con 0 ≤ t ≤ 2π) si

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 49

ha ∮+Γ

(z − z0)k−n−1dz =

∫ 2π

0ρk−n−1ei(k−n−1)iρeitdt

= iρk−n∫ 2π

0ei(k−n)tdt =

{0, se k 6= 0

2πi se k = n(4.41)

Ovviamente cio descrive il fatto che l’ integrale al secondo membro nondipende dalla scelta della circonferenza(cio e dimostrabile anche utilizzandoil primo teorema di Cauchy).Osserviamo che nel caso di una serie unilatera i coefficienti possono esprimersianche come

an =f (n)(z0)

n!, (4.42)

da cui possiamo ricavare la relazione per le derivate parziali di qualsiasiordine n,

f (n)(z0) =n!

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)

n+1

, (4.43)

risultato dimostrabile anche utilizzando il secondo teorema di Cauchy .

4.6 Principali proprieta delle funzioni olomorfe diuna variabile complessa

Dimostriamo il seguente teorema:

Teorema 3 Sia f(z) olomorfa nel campo A con z0 ∈ A e sia C0 il cerchioaperto massimo centrato in z0, allora f(z) e sviluppabile in serie di potenzedi punto iniziale z0.

Sappiamo che per i coefficienti di una serie di potenze vale:

an =1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)

n+1

, n ∈ [0,∞],Γ ∈ C0 (4.44)

(C0 circonferenza di centro 0 ).Dobbiamo dimostrare che f(z) =

∑+∞k=0 ak(z−z0)k converge per ogni ξ → C0

e che la sua somma e f(ξ). Quindi scegliamo ξ ∈ Γ e consideriamo

+∞∑k=0

1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)n+1(ξ − z0) (4.45)

Definiamo ρ raggio di Γ e M massimo di |f(z)|, e osserviamo che la seriesara limitata dal termine

1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)n+1(ξ − z0) (4.46)

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 50

per cui converge.Ora ricaviamo che la somma della serie

∑+∞k=0 ak(z − z0)k e f(ξ);

a tale scopo riscriviamo l’ integrale in modo da far comparire un terminegeometrico:

1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)

(ξ − z0

z − z0

)kdz =

1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

(z − z0)

1

1− ξ−z0z−z0

dz

=1

2πi

∮+Γ

f(z)dz

z − ξ

e per il secondo teorema di Cauchy, l’ ultimo integrale e proprio f(ξ). Cvd.Da questo teorema deriva il fatto che all’ interno del cerchio la funzione edotata di tutte le derivate, per cui i coefficienti della serie an possono essere

scritti anche come an = f (n)(z0)n! .

Le funzioni olomorfe sono sempre rappresentabili in serie di Taylor, ma sololocalmente, ovvero in un opportuno intorno di z0 ∈ C. Altra proprieta dinotevole importanza per le funzioni olomorfe di una variabile complessa equella di poter esprimere le n- esime derivate della funzione come

f (n)(ξ) =1

2πi

∮+FD

f(z)dz

(z − ξ)n+1n ∈ [0,∞] (4.47)

per ogni ξ ∈ D dominio regolare nel campo A. Essa si dimostra semplicementederivando n volte la formula integrale di Cauchy

f(ξ) =1

2πi

∮+FD

f(z)dz

(z − ξ)n. (4.48)

4.7 Sviluppo di Laurent

Finora abbiamo tenuto conto solo dello sviluppo in serie unilatere, oravogliamo valutare gli sviluppi di una funzione olomorfa in serie bilatere, dettisviluppi di Laurent. Per fare cio, detta f(z) funzione olomorfa in un campoA e C0 una corona circolare aperta contenuta nel campo, si dimostra chef(z) e sviluppabile in serie bilatere di potenza in C0.Ammettendo che sia possibile scrivere all’ interno della corona f(z) =∑+∞

k=−∞ ak(z − z0)k, dobbiamo far vedere che questa serie ( per cui vale

ak = 12πi

∮+Γ

f(z)dz(z−z0)k+1 ,Γ ∈ C0 ) converge per ogni ξ ∈ C0e che la sua somma

e f(ξ).Per il calcolo dei coefficienti, valutiamo due circonferenze: Γ′′ (per ilcalcolo dei coefficienti con k > 0), scelta in modo che il punto ξ risulti al suointerno, e Γ′(per i coefficienti con k < 0), per cui ξ risulta esterno.Da qui, possiamo dividere la serie nel seguente modo:

+∞∑k=0

1

2πi

∮+Γ′′

f(z)dz

(z − z0)k+1(ξ−z0)k+

−∞∑k=1

1

2πi

∮+Γ′

f(z)dz

(z − z0)k+1(ξ−z0)k (4.49)

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 51

Entrambe le serie che compaiono nella formula precedente sono convergenti,quindi con ragionamento analogo a quelli gia visti in precedenza possiamoscrivere:

1

2πi

∮+Γ′′

f(z)dz

(z − z0)

+∞∑k=0

(ξ − zoz − z0

)kdz +

1

2πi

∮+Γ′

f(z)

(z − z0)

−∞∑k=0

(ξ − zoz − z0

)kdz

=1

2πi

∮+Γ′′

f(z)

(z − z0)

1

1− ξ−z0z−z0

dz +1

2πi

∮+Γ′

f(z)

(z − z0)

z−z0ξ−z0

1− z−z0ξ−z0

=1

2πi

∮+Γ′′

f(z)

z − ξdz +

1

2πi

∮+Γ′

f(z)

z − ξdz = f(ξ) (4.50)

L’ultimo passaggio risulta dall’ applicazione del secondo teorema diCauchy.

4.8 Funzioni armoniche di due variabili reali

La funzione olomorfa f(x) = f(x, y) soddisfa l’ equazione di Laplace adue variabili, che e una equazione a derivate parziali nell’ incognita U(x, y),ed f(z)e una sua soluzione complessa.

∂2U

∂x2+∂2U

∂y2= 0 (4.51)

Le soluzioni dell’ equazione di Laplace vengono dette funzioni armoniche esono continue insieme alle sue derivate parziali in un dato campo A.Quindiuna funzione olomorfa in A e anche armonica .Dalla condizione di olomorfiadiscende la seguente relazione per le derivate parziali di f , fxx + fyy = 0e ponendo f(z) = u(x, y) + iv(x, y) con u,v reali, avremo uxx + uyy = 0 evxx + vyy. Cio si traduce nel fatto che la parte reale e quella immaginariadi una funzione olomorfa sono funzioni armoniche reali. Inoltre esse sonolegate dalle note equazioni di Cauchy-Riemann : ux = vy, vx = −uy. Lefunzioni u e v sono chiamate funzioni armoniche coniugate (rispettivamentedi v e u ) ed un teorema garantisce l’ esistenza di una di esse in un camposemplicemente connesso in cui viene definita una funzione armonica.

4.9 Successioni e serie di funzioni olomorfe; teore-ma di Weierstrass

. Il teorema di Weierstrass fornisce una condizione sufficiente affinche illimite di una successione convergente di funzioni olomorfe, in un campo A, euna funzione olomorfa.Enunciamo il teorema:

CAPITOLO 4. APPENDICE MATEMATICA 52

Teorema 4 Se la successione di funzioni olomorfe, definite in A, fk(z) euniformemente convergente in ogni insieme chiuso e limitato di A, allora

f(z) = limk→∞ fk(z) e vale, per le derivate, f (n)(z) = limk→∞ f(n)k (z) con n

¿ 0 , relazione che si annulla in ogni insieme chiuso e limitato di A.

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