Federalismo fiscale Vendere il patrimonio pubblico, occhio a chi...

1
6 Venerdì 4 luglio 2008 ITALIA Federalismo fiscale Vendere il patrimonio pubblico, occhio a chi incassa Ridurre i debiti statali con le dismissioni locali è sacrosanto, ma occorre stare attenti a chi ne è titolare ::: GIANCARLO PAGLIARINI Il 27 giugno LiberoMercato ha dedicato tutta la pagina 3 al discorso del procuratore generale del- la Corte dei Conti Furio Pasqualucci, in occasione del giudizio della corte sul rendiconto generale del- lo Stato. Pasqualucci affermava: «Allo sforzo per la riduzione del debito può contribuire la graduale vendita del patrimonio pubblico che rappresenta valori attivi stimati in 1.800 miliardi, superiore al debito stesso». Magari! L’argomento della vendita del patrimonio pub- blico di solito viene discusso solo durante le cam- pagne elettorali, ma in questi giorni è tornato di at- tualità e sono sicuro che lo sarà ancora di più nei prossimi mesi: che sia la volta buona? Andiamo con ordine. Due anni fa, nel program- ma elettorale della Casa delle Libertà per le elezioni dell’aprile ’06, i circa trenta miliardi necessari per la “copertura finanziaria” dei vari progetti si ottene- vano ipotizzando di riuscire a dimezzare il debito pubblico in modo da poter ridurre del cinquanta per cento il costo degli interessi passivi. Quel programma era datato 24 febbraio e il gior- no dopo Isabella Bufacchi pubblicava sul Sole 24 ore i numeri del patrimonio pubblico che poteva essere valorizzato e venduto, precisando che «due terzi circa del patrimonio pubblico alienabile e va- lorizzabile è in mano ai governi locali (Regioni, Pro- vince e Comuni)». UNA PROPOSTA BIZZARRA Che gli enti locali debbano vendere i loro beni per ridurre il debito dello Stato centrale mi era sem- brato decisamente bizzarro. Il Sole 24 ore aveva identificato in totale circa 750 miliardi di euro: da dove sarebbero saltati fuori tutti quei soldi? Dario Di Vico accendeva le polveri della polemica ipotiz- zando una “nuova IRI” (Corriere della Sera del 3 aprile ’06: “Programma creativo. I conti secondo la casa delle libertà”). Tremonti replicava il giorno do- po (4 aprile: “Il patrimonio e il programma”), e in pochi giorni abbiamo letto dichiarazioni ed articoli di Fini , lo sconcerto dei Ds (“Ma il debito non si sa- na col Colosseo”), di Enrico Letta, Giuseppe Guari- no, Francesco Giavazzi , Massimo Mucchetti e di Michele Salvati, che sul Corriere della Sera del 10 aprile dopo aver definito le proposte di Tremonti «fantascienza finanziaria» aggiungeva che «si tratta solo di un disperato tentativo per non affrontare la dura realtà…». Poi ci sono state le elezioni e non si è più parlato della vendita del patrimonio pubblico. Fino all’ot- tobre del 2007: ci si stava già preparando alle nuove elezioni, e come per incanto l’argomento tornava di attualità. Visco sul Sole 24 ore del 9 ottobre scopriva che «L’Italia è chiaramente un paese in declino, da dieci anni cresce meno della media europea. È oberato di debiti ecc ecc . Il paese necessita di un messaggio di verità che sino a oggi le classi dirigenti, spaventa- te o inconsapevoli, non hanno saputo dare». Sono cose che anch’io ho detto per anni, e anche a Visco poi non è andata molto bene. Nella circostanza gli avevano dato del “Giacobino disperato”. Lo stesso giorno Veltroni diceva (Corriere della Sera del 9 ot- tobre) “Paese fermo, cura choc per il debito. Esiste la necessità di vendere il patrimonio immobiliare pubblico attraverso processi più efficaci”. Puntua- lissimo il giorno dopo Tremonti precisava sul Cor- riere «...quello che Veltroni dice oggi sta a pagina 16, punto 5, del nostro programma elettorale del 2006. Lo ricordo a memoria. L’ho scritto io». Verissimo. Lo ricordo a memoria anch’io, con qualche bri- vido. In quei giorni tutti i giornali hanno riportato i pro e i contro della riduzione del debito dello Stato alienando il patrimonio pubblico. Per brevità cito solo Oscar Giannino (10 ottobre: “La proposta di Veltroni sul debito pubblico vale un confronto” ) con un chiarissimo «...la proposta di un intervento energico sul debito pubblico, aggredito con mano- vre patrimoniali tanto di cessione che di messa a reddito è per noi musica...» e Michele Boldrin (www.noisefromamerika.org), un veneziano da sempre “controcorrente” che conosce il mondo e che ha scritto su LiberoMercato (17 ottobre ’07: “La- sciate in pace il debito pubblico”): «Io sono a favore di lasciare tutti i debiti in essere dove sono. Abbas- sarli vuol dire solo offrire ulteriore spazio ai gover- ni… per spendere ancora di più ed allegramente, facendo crescere il debito oggi e le tasse domani» . Devo dire che la storia recente del nostro paese purtroppo dà ragione a Boldrin, ed il bonus dell’eu- ro totalmente disperso nella spesa pubblica cor- rente anziché nella riduzione del debito è l’ultimo esempio della prevalenza di “cicale” nei palazzi del potere di Roma. Ma quei 70 miliardi di euro di inte- ressi passivi sul debito dello Stato centrale che dob- biamo pagare ogni anno pesano come macigni sulla qualità della vita dagli italiani. QUALCOSA BOLLE IN PENTOLA Veniamo ai giorni nostri. Per quanto riguarda la vendita del patrimonio pubblico il programma del PdL non è cambiato di una virgola: la settima “mis- sione”del nuovo partito di Berlusconi in pratica è la fotocopia del programma della CdL del 2006. Dun- que in questo Parlamento sia il capo della maggio- ranza che il capo dell’opposizione vogliono valo- rizzare ed alienare il patrimonio pubblico. Bene, fin qui nessun problema. Anzi! Che qualcosa di grosso stia bollendo in pentola è dimostrato dal fatto che nei giorni scorsi si è comin- ciato a parlare di “federalismo patrimoniale”. Con buona pace dei molti, compreso il sottoscritto, che pensano che esista solo la riforma federale, senza aggettivi. Così abbiamo imparato che oltre al fede- ralismo fiscale, a quello solidale, competitivo, diffe- renziato, sessuale, culturale, infrastrutturale, ades- so ci sono anche il federalismo patrimoniale, quel- lo demaniale e chi più ne ha più ne metta. Andiamo avanti e arriviamo al decreto numero 112 del 25 giugno. È un documento straordinario e tutti i suoi 85 articolo meritano di essere letti, uno per uno. Nel decreto si tocca quasi tutto: la riduzio- ne dei costi delle autorità indipendenti, la banda larga, l’efficienza dell’Amministrazione finanzia- ria, le disposizioni urgenti per Roma Capitale con l’anticipazione di 500 milioni, la pesca, le carte di identità, il nuovo “comitato strategico per lo svilup- po e la tutela all’estero degli interessi nazionali in economia”, l’Expo Milano 2015, l’aumento di capi- tale di Finmeccanica, il divieto per gli enti locali di stipulare contratti relativi agli strumenti finanziari derivati (meglio tardi che mai!)... e tantissime altre cose per molte delle quali si sentiva realmente il bi- sogno di un intervento legislativo. Tra di esse, ecco la “valorizzazione e l’alienazio- ne del patrimonio pubblico”, con l’articolo 58 del decreto, intitolato “Ricognizione e valorizzazione del patrimonio immobiliare di Regioni, Comuni e altri enti locali”. In estrema sintesi i punti più signi- ficativi di questo importantissimo articolo sono i seguenti: • le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri enti locali devono individuare i singoli beni immobili di loro proprietà e ricadenti nel territorio di loro com- petenza, che non sono strumentali all’esercizio delle loro funzioni istituzionali; • questi immobili sono suscettibili di valorizza- zione ovvero di dismissione; • su questa base Regioni, Comuni e altri enti lo- cali devono preparare un Piano delle alienazioni immobiliari e devono allegarlo al bilancio di previ- sione; • gli immobili inseriti nel piano sono classificati come patrimonio disponibile e se ne dispone espressamente la destinazione urbanistica; • la deliberazione del consiglio comunale di ap- provazione del Piano delle alienazioni costituirà variante allo strumento urbanistico generale, che non necessiterà di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle Province e delle Regioni. Semplice, geniale ed efficiente. Ma tutto questo significa tre cose. DETTO IN PAROLE POVERE Primo: il patrimonio “disponibile” identificato come richiesto dall’articolo 58 del decreto potrà es- sere conferito a fondi comuni di investimento im- mobiliare. Potrà essere “cartolarizzato”. L’articolo 58 richiama ben quattro volte articoli e commi del- la legge 23 novembre 2001 numero 410 (“disposi- zioni urgenti in materia di privatizzazione a valo- rizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento im- mobiliare”) . Arriveranno sicuramente soldi per le Regioni, per i Comuni e per gli enti locali. Bene... ma non vorrei che questa liquidità sia necessaria per bilanciare altri tagli di trasferimenti dallo Stato cen- trale o addirittura qualcosa di peggio. Secondo: devo confessare che le cartolarizzazio- ni, soprattutto quelle un po’ “forzate”, (mitica quel- la del primo governo Prodi sui crediti inesigibili dell’inps, ricordate?) non mi sono mai piaciute, perché spesso rappresentano un vero e proprio au- mento del debito pubblico non contabilizzato ma nascosto tra i “debiti fuori bilancio”. Infatti la rela- zione della Corte dei Conti che ha sollecitato la ven- dita del patrimonio pubblico ha anche evidenziato che «tale alienazione deve essere attentamente do- sata nel tempo e studiata in modo da conseguire ri- sultati migliori di quelli derivanti dalle recenti car- tolarizzazioni che a fronte di un portafoglio di 129 miliardi ha fruttato ricavi per 57,8 miliardi, con un rapporto ricavi/cessioni pari al 44,7%». Terzo: È molto probabile che questo operazione si collegherà alla riforma per il federalismo fiscale. I programmi elettorali della CdL (2006) e del PdL (2008) , che per quanto riguarda il capitolo “Finan- za pubblica” sono identici, evidenziano che il gros- so del patrimonio pubblico che può essere colloca- to e valorizzato sul mercato è dei governi locali (Re- gioni, Province, Comuni) e propongono un grande e libero patto tra Stato, Regioni, Province, Comuni, risparmiatori ed investitori. Un patto che a) realizzi il federalismo fiscale solidale, di cui all’art. 119 della Costituzione e b) riduca il debito dello Stato, im- mettendo sul mercato una quota corrispondente di patrimonio pubblico, che come abbiamo visto per la maggior parte non è dello Stato ma degli enti territoriali. NON UN RISCHIO MA UNA SOLUZIONE Il progetto è spiegato molto bene in una intervi- sta al futuro ministro Tremonti pubblicata da La- Padania il 3 ottobre ’07. Nella circostanza Tremonti aveva ragionato così: «Dato che la criticità di base della nostra finanza pubblica è il debito, solo un ar- bitraggio tra Stato ed enti locali, che hanno la parte più grossa dell’attivo pubblico vendibile ma non hanno potere fiscale proprio, può costituire non un fattore di rischio, ma all’opposto un principio di so- luzione del problema. In altri termini, il federalismo fiscale non è un ri- schio, ma una soluzione. È proprio questo, l’arbi- traggio tra i beni pubblici da immettere sul mercato - a vantaggio dell’economia dei territori- e il federa- lismo fiscale, che era parte costitutiva del nostro programma elettorale del 2006». A questo punto il giornalista Carlo Passera ha chiesto: «Dunque lei propone un patto: gli enti locali alienino parte del proprio grande patrimonio per ridurre il debito pubblico e in cambio ottengono il federalismo fi- scale». La risposta è stata: «Basterebbe mobilizzare in questo disegno una parte dell’attivo per abbatte- re una parte consistente del debito pubblico. In cambio, i governi locali avrebbero appunto il fede- ralismo fiscale e proprio attraverso il controllo de- mocratico diretto esercitato dai cittadini la spesa pubblica potrebbe prendere un corso più serio». Quel «in cambio» potrebbe significare che il Comu- ne di Milano dovrà vendere la parte del suo patri- monio che non è strumentale, come Palazzo Mari- no, all’esercizio delle funzioni istituzionali. Do- vrebbe vendere le sue cascine, oppure, giusto per fare un altro esempio, la galleria Vittorio Emanuele (se non fosse demaniale) , e dovrà usare i proventi di quelle vendite per ridurre i debiti. Non i suoi de- biti, ma quelli dello Stato centrale . “In cambio” di questo regalo allo Stato centrale, i milanesi avreb- bero il federalismo fiscale. È un testo che ho letto e riletto tante volte, sem- pre con la speranza di aver letto male e di non aver capito niente. Dall’inizio degli anni ’90 a oggi invece di fare le ri- forme abbiamo “tirato avanti” vendendo gran par- te dei beni dello Stato. Adesso, invece di fare la rifor- ma federale e trasformare la Repubblica italiana nella Repubblica Federale italiana, i “detentori del potere” (come li chiamava Gianfranco Miglio) for- se proporranno di vendere i beni degli enti locali per ridurre i debiti dello Stato centrale, che così po- trà ricominciare ad accumulare altri debiti. A mio giudizio in questo modo non faremmo altro che prolungare l’agonia del paese e garantire alla Casta altri anni di cinica gestione del potere. E quando non ci sarà più niente da vendere cosa faremo? www.giancarlopagliarini.it

Transcript of Federalismo fiscale Vendere il patrimonio pubblico, occhio a chi...

Page 1: Federalismo fiscale Vendere il patrimonio pubblico, occhio a chi …gen2007-mag2011.partecipami.it/files/Allegato 6 Luglio 4... · 2008. 12. 19. · lismo fiscale, che era parte costitutiva

6 Venerdì 4 luglio 2008 ITALIA

Federalismo fiscale

Vendere il patrimonio pubblico, occhio a chi incassaRidurre i debiti statali con le dismissioni locali è sacrosanto, ma occorre stare attenti a chi ne è titolare::: GIANCARLO PAGLIARINI

Il 27 giugno LiberoMercato ha dedicato tuttala pagina 3 al discorso del procuratore generale del-la Corte dei Conti Furio Pasqualucci, in occasionedel giudizio della corte sul rendiconto generale del-lo Stato. Pasqualucci affermava: «Allo sforzo per lariduzione del debito può contribuire la gradualevendita del patrimonio pubblico che rappresentavalori attivi stimati in 1.800 miliardi, superiore aldebito stesso». Magari!

L’argomento della vendita del patrimonio pub-blico di solito viene discusso solo durante le cam-pagne elettorali, ma in questi giorni è tornato di at-tualità e sono sicuro che lo sarà ancora di più neiprossimi mesi: che sia la volta buona?

Andiamo con ordine. Due anni fa, nel program-ma elettorale della Casa delle Libertà per le elezionidell’aprile ’06, i circa trenta miliardi necessari per la“copertura finanziaria” dei vari progetti si ottene-vano ipotizzando di riuscire a dimezzare il debitopubblico in modo da poter ridurre del cinquantaper cento il costo degli interessi passivi.

Quel programma era datato 24 febbraio e il gior-no dopo Isabella Bufacchi pubblicava sul Sole 24ore i numeri del patrimonio pubblico che potevaessere valorizzato e venduto, precisando che «dueterzi circa del patrimonio pubblico alienabile e va-lorizzabile è in mano ai governi locali (Regioni, Pro-vince e Comuni)».

UNA PROPOSTA BIZZARRAChe gli enti locali debbano vendere i loro beni

per ridurre il debito dello Stato centrale mi era sem-brato decisamente bizzarro. Il Sole 24 ore avevaidentificato in totale circa 750 miliardi di euro: dadove sarebbero saltati fuori tutti quei soldi? DarioDi Vico accendeva le polveri della polemica ipotiz-zando una “nuova IRI” (Corriere della Sera del 3aprile ’06: “Programma creativo. I conti secondo lacasa delle libertà”). Tremonti replicava il giorno do-po (4 aprile: “Il patrimonio e il programma”), e inpochi giorni abbiamo letto dichiarazioni ed articolidi Fini , lo sconcerto dei Ds (“Ma il debito non si sa-na col Colosseo”), di Enrico Letta, Giuseppe Guari-no, Francesco Giavazzi , Massimo Mucchetti e diMichele Salvati, che sul Corriere della Sera del 10aprile dopo aver definito le proposte di Tremonti«fantascienza finanziaria» aggiungeva che «si trattasolo di un disperato tentativo per non affrontare ladura realtà…».

Poi ci sono state le elezioni e non si è più parlatodella vendita del patrimonio pubblico. Fino all’ot -tobre del 2007: ci si stava già preparando alle nuoveelezioni, e come per incanto l’argomento tornavadi attualità.

Visco sul Sole 24 ore del 9 ottobre scopriva che«L’Italia è chiaramente un paese in declino, da diecianni cresce meno della media europea. È oberatodi debiti ecc ecc . Il paese necessita di un messaggiodi verità che sino a oggi le classi dirigenti, spaventa-te o inconsapevoli, non hanno saputo dare». Sonocose che anch’io ho detto per anni, e anche a Viscopoi non è andata molto bene. Nella circostanza gliavevano dato del “Giacobino disperato”. Lo stessogiorno Veltroni diceva (Corriere della Sera del 9 ot-tobre) “Paese fermo, cura choc per il debito. Esistela necessità di vendere il patrimonio immobiliarepubblico attraverso processi più efficaci”. Puntua-lissimo il giorno dopo Tremonti precisava sul Cor-riere «...quello che Veltroni dice oggi sta a pagina 16,punto 5, del nostro programma elettorale del 2006.Lo ricordo a memoria. L’ho scritto io». Verissimo.

Lo ricordo a memoria anch’io, con qualche bri-vido. In quei giorni tutti i giornali hanno riportato ipro e i contro della riduzione del debito dello Statoalienando il patrimonio pubblico. Per brevità citosolo Oscar Giannino (10 ottobre: “La proposta diVeltroni sul debito pubblico vale un confronto” )con un chiarissimo «...la proposta di un interventoenergico sul debito pubblico, aggredito con mano-vre patrimoniali tanto di cessione che di messa areddito è per noi musica...» e Michele Boldrin(www.noisefromamerika.org), un veneziano dasempre “controcorrente” che conosce il mondo eche ha scritto su LiberoMercato(17 ottobre ’07: “La -sciate in pace il debito pubblico”): «Io sono a favoredi lasciare tutti i debiti in essere dove sono. Abbas-sarli vuol dire solo offrire ulteriore spazio ai gover-

ni… per spendere ancora di più ed allegramente,facendo crescere il debito oggi e le tasse domani» .Devo dire che la storia recente del nostro paesepurtroppo dà ragione a Boldrin, ed il bonus dell’eu -ro totalmente disperso nella spesa pubblica cor-rente anziché nella riduzione del debito è l’ultimoesempio della prevalenza di “cicale” nei palazzi delpotere di Roma. Ma quei 70 miliardi di euro di inte-ressi passivi sul debito dello Stato centrale che dob-biamo pagare ogni anno pesano come macignisulla qualità della vita dagli italiani.

QUALCOSA BOLLE IN PENTOLAVeniamo ai giorni nostri. Per quanto riguarda la

vendita del patrimonio pubblico il programma delPdL non è cambiato di una virgola: la settima “mis -sione”del nuovo partito di Berlusconi in pratica è lafotocopia del programma della CdL del 2006. Dun-que in questo Parlamento sia il capo della maggio-ranza che il capo dell’opposizione vogliono valo-rizzare ed alienare il patrimonio pubblico. Bene, finqui nessun problema. Anzi!

Che qualcosa di grosso stia bollendo in pentola èdimostrato dal fatto che nei giorni scorsi si è comin-ciato a parlare di “federalismo patrimoniale”. Conbuona pace dei molti, compreso il sottoscritto, chepensano che esista solo la riforma federale, senzaaggettivi. Così abbiamo imparato che oltre al fede-ralismo fiscale, a quello solidale, competitivo, diffe-renziato, sessuale, culturale, infrastrutturale, ades-so ci sono anche il federalismo patrimoniale, quel-lo demaniale e chi più ne ha più ne metta.

Andiamo avanti e arriviamo al decreto numero112 del 25 giugno. È un documento straordinario etutti i suoi 85 articolo meritano di essere letti, unoper uno. Nel decreto si tocca quasi tutto: la riduzio-ne dei costi delle autorità indipendenti, la bandalarga, l’efficienza dell’Amministrazione finanzia-ria, le disposizioni urgenti per Roma Capitale conl’anticipazione di 500 milioni, la pesca, le carte diidentità, il nuovo “comitato strategico per lo svilup-po e la tutela all’estero degli interessi nazionali ineconomia”, l’Expo Milano 2015, l’aumento di capi-tale di Finmeccanica, il divieto per gli enti locali distipulare contratti relativi agli strumenti finanziariderivati (meglio tardi che mai!)... e tantissime altre

cose per molte delle quali si sentiva realmente il bi-sogno di un intervento legislativo.

Tra di esse, ecco la “valorizzazione e l’alienazio -ne del patrimonio pubblico”, con l’articolo 58 deldecreto, intitolato “Ricognizione e valorizzazionedel patrimonio immobiliare di Regioni, Comuni ealtri enti locali”. In estrema sintesi i punti più signi-ficativi di questo importantissimo articolo sono iseguenti:

• le Regioni, le Province, i Comuni e gli altri entilocali devono individuare i singoli beni immobili diloro proprietà e ricadenti nel territorio di loro com-petenza, che non sono strumentali all’eserciziodelle loro funzioni istituzionali;

• questi immobili sono suscettibili di valorizza-zione ovvero di dismissione;

• su questa base Regioni, Comuni e altri enti lo-cali devono preparare un Piano delle alienazioniimmobiliari e devono allegarlo al bilancio di previ-sione;

• gli immobili inseriti nel piano sono classificaticome patrimonio disponibile e se ne disponeespressamente la destinazione urbanistica;

• la deliberazione del consiglio comunale di ap-provazione del Piano delle alienazioni costituiràvariante allo strumento urbanistico generale, chenon necessiterà di verifiche di conformità aglieventuali atti di pianificazione sovraordinata dicompetenza delle Province e delle Regioni.

Semplice, geniale ed efficiente. Ma tutto questosignifica tre cose.

DETTO IN PAROLE POVEREPrimo: il patrimonio “disponibile” identificato

come richiesto dall’articolo 58 del decreto potrà es-sere conferito a fondi comuni di investimento im-mobiliare. Potrà essere “cartolarizzato”. L’articolo58 richiama ben quattro volte articoli e commi del-la legge 23 novembre 2001 numero 410 (“disposi -zioni urgenti in materia di privatizzazione a valo-rizzazione del patrimonio immobiliare pubblico edi sviluppo dei fondi comuni di investimento im-mobiliare”) . Arriveranno sicuramente soldi per leRegioni, per i Comuni e per gli enti locali. Bene... manon vorrei che questa liquidità sia necessaria perbilanciare altri tagli di trasferimenti dallo Stato cen-

trale o addirittura qualcosa di peggio.Secondo:devo confessare che le cartolarizzazio-

ni, soprattutto quelle un po’ “forzate”, (mitica quel-la del primo governo Prodi sui crediti inesigibilidell’inps, ricordate?) non mi sono mai piaciute,perché spesso rappresentano un vero e proprio au-mento del debito pubblico non contabilizzato manascosto tra i “debiti fuori bilancio”. Infatti la rela-zione della Corte dei Conti che ha sollecitato la ven-dita del patrimonio pubblico ha anche evidenziatoche «tale alienazione deve essere attentamente do-sata nel tempo e studiata in modo da conseguire ri-sultati migliori di quelli derivanti dalle recenti car-tolarizzazioni che a fronte di un portafoglio di 129miliardi ha fruttato ricavi per 57,8 miliardi, con unrapporto ricavi/cessioni pari al 44,7%».

Terzo:È molto probabile che questo operazionesi collegherà alla riforma per il federalismo fiscale. Iprogrammi elettorali della CdL (2006) e del PdL(2008) , che per quanto riguarda il capitolo “Finan -za pubblica”sono identici, evidenziano che il gros-so del patrimonio pubblico che può essere colloca-to e valorizzato sul mercato è dei governi locali (Re-gioni,Province, Comuni)epropongono ungrandee libero patto tra Stato, Regioni, Province, Comuni,risparmiatori ed investitori. Un patto che a)realizziil federalismo fiscale solidale, di cui all’art. 119 dellaCostituzione e b) riduca il debito dello Stato, im-mettendo sul mercato una quota corrispondentedi patrimonio pubblico, che come abbiamo vistoper la maggior parte non è dello Stato ma degli entiterritoriali.

NON UN RISCHIO MA UNA SOLUZIONEIl progetto è spiegato molto bene in una intervi-

sta al futuro ministro Tremonti pubblicata da La-Padania il 3 ottobre ’07. Nella circostanza Tremontiaveva ragionato così: «Dato che la criticità di basedella nostra finanza pubblica è il debito, solo un ar-bitraggio tra Stato ed enti locali, che hanno la partepiù grossa dell’attivo pubblico vendibile ma nonhanno potere fiscale proprio, può costituire non unfattore di rischio, ma all’opposto un principio di so-luzione del problema.

In altri termini, il federalismo fiscale non è un ri-schio, ma una soluzione. È proprio questo, l’arbi -traggio tra i beni pubblici da immettere sul mercato- a vantaggio dell’economia dei territori- e il federa-lismo fiscale, che era parte costitutiva del nostroprogramma elettorale del 2006». A questo punto ilgiornalista Carlo Passera ha chiesto: «Dunque leipropone un patto: gli enti locali alienino parte delproprio grande patrimonio per ridurre il debitopubblico e in cambio ottengono il federalismo fi-scale». La risposta è stata: «Basterebbe mobilizzarein questo disegno una parte dell’attivo per abbatte-re una parte consistente del debito pubblico. Incambio, i governi locali avrebbero appunto il fede-ralismo fiscale e proprio attraverso il controllo de-mocratico diretto esercitato dai cittadini la spesapubblica potrebbe prendere un corso più serio».Quel «in cambio» potrebbe significare che il Comu-ne di Milano dovrà vendere la parte del suo patri-monio che non è strumentale, come Palazzo Mari-no, all’esercizio delle funzioni istituzionali. Do-vrebbe vendere le sue cascine, oppure, giusto perfare un altro esempio, la galleria Vittorio Emanuele(se non fosse demaniale) , e dovrà usare i proventidi quelle vendite per ridurre i debiti. Non i suoi de-biti, ma quelli dello Stato centrale . “In cambio” diquesto regalo allo Stato centrale, i milanesi avreb-bero il federalismo fiscale.

È un testo che ho letto e riletto tante volte, sem-pre con la speranza di aver letto male e di non avercapito niente.

Dall’inizio degli anni ’90 a oggi invece di fare le ri-forme abbiamo “tirato avanti”vendendo gran par-te dei beni dello Stato. Adesso, invece di fare la rifor-ma federale e trasformare la Repubblica italiananella Repubblica Federale italiana, i “detentori delpotere” (come li chiamava Gianfranco Miglio) for-se proporranno di vendere i beni degli enti localiper ridurre i debiti dello Stato centrale, che così po-trà ricominciare ad accumulare altri debiti. A miogiudizio in questo modo non faremmo altro cheprolungare l’agonia del paese e garantire alla Castaaltri anni di cinica gestione del potere. E quandonon ci sarà più niente da vendere cosa faremo?

www.giancarlopagliarini.it