Fede come "meditatio" ed attività pastorale

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Marco Martini FEDE COME “MEDITATIO” ED ATTIVITA’ PASTORALE EDIZIONI ISSUU.COM

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SCUOLA FONDAMENTALE DI FORMAZIONE TEOLOGICA DIOCESANA “ANTONIO MARIA PUCCI”- SEDE DI VIAREGGIO (LUCCA). ANNO ACCADEMICO 2011/12 - SEMINARIO “CULTURA E FEDE”. ANNO DELLA FEDE 11 OTTOBRE 2012/24 NOVEMBRE 2013. LETTERA APOSTOLICA “MOTU PROPRIO” PORTA FIDEI 11 OTTOBRE 2012: ANALISI DEI PUNTI 7/9. TITOLO DELLA RELAZIONE SEMINARIALE: FEDE COME ‘MEDITATIO’ ED ATTIVITA’ PASTORALE. DOCENTE DEL CORSO: PROF. P. LUIGI PELLEGRINI. ELABORATO REDATTO DAI CANDIDATI (IN ORDINE ALFABETICO): GRAZIA MORIANI, MARCO MARTINI, STEFANIA PEZZINI, SUOR ANITA PAZINATO (STUDENTI DEL III ED ULTIMO ANNO DI CORSO). DICEMBRE 2011/MARZO 2012 INTRODUZIONE: FEDE COME TESTIMONIANZA CONSAPEVOLE. CAPITOLO I. UNA LIBERA SCELTA DI OBBEDIENZA: FEDE E SPERANZA. CAPITOLO II. IL POPOLO DI DIO NELLA STORIA. CAPITOLO III. IL POPOLO DI DIO NEL CONCILIO VATICANO II. CAPITOLO IV. UNITA’ NELLA DIVERSITA’. CAPITOLO V. FEDE COME IMPEGNO PASTORALE. CAPITOLO VI . FEDE E PREGHIERA. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE .

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Marco Martini

FEDE COME “MEDITATIO” ED

ATTIVITA’ PASTORALE

EDIZIONI ISSUU.COM

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SCUOLA FONDAMENTALE DI FORMAZIONE TEOLOGICA DIOCESANA “ANTONIO MARIA PUCCI”- SEDE DI VIAREGGIO

(LUCCA). ANNO ACCADEMICO 2011/12 - SEMINARIO “CULTURA E FEDE”.

ANNO DELLA FEDE 11 OTTOBRE 2012/24 NOVEMBRE 2013. LETTERA APOSTOLICA “MOTU PROPRIO” PORTA FIDEI

11 OTTOBRE 2012: ANALISI DEI PUNTI 7/9 .

TITOLO DELLA RELAZIONE SEMINARIALE: FEDE COME ‘MEDITATIO’ ED ATTIVITA’ PASTORALE .

DOCENTE DEL CORSO: PROF. P. LUIGI PELLEGRINI. ELABORATO REDATTO DAI CANDIDATI (IN ORDINE ALFABETICO):

GRAZIA MORIANI, MARCO MARTINI, STEFANIA PEZZINI, SUOR ANITA PAZINATO (STUDENTI DEL III ED ULTIMO ANNO DI CORSO).

DICEMBRE 2011/MARZO 2012

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INTRODUZIONE: FEDE COME TESTIMONIANZA CONSAPEVOLE. Il periodo compreso tra l’11 ottobre 2012 ed il 24 novembre 2013 è stato dichiarato “anno della fede” dal Papa Benedetto XVI. Gia il Papa Pio IX, nel discorso di apertura del Concilio Vaticano I (1870, questo Concilio Ecumenico è stato aperto “sine die”, quindi non è mai stato chiuso, ed è uno dei due soli concili ecumenici di tutta la storia della Chiesa), in risposta al clima scientifico e positivista dominante alla fine del Risorgimento, aveva affermato che “Sebbene la fede sia superiore alla ragione, non vi può essere nessun vero dissenso, poiché Dio, che rivela i misteri della fede e la infonde in noi, è lo stesso che ha infuso il lume della ragione nell’animo umano”.1 Circa due secoli e mezzo prima, un insigne uomo di scienza, pienamente riabilitato da Giovanni Paolo II, vale a dire Galileo Galilei, aveva affermato lo stesso principio: tra scienza e fede non è possibile alcun contrasto, anche se parlano lingue differenti, poiché entrambi i linguaggi, quello letterale, della scienza, e quello allegorico, delle Scritture, sono legittimati da Dio2. Avere fede significa anche fidarci della Chiesa: dobbiamo fidarci della Chiesa perché ci affidiamo alla Chiesa. Infatti, solo fidandoci della Chiesa si può trasmettere la nostra fede agli altri3. Noi crediamo che Gesù Cristo, nato ebreo sotto l’imperatore Tiberio, è il Figlio di Dio, Unigenito e fatto Uomo. Disceso dal cielo, si è incarnato ed ha fondato la sua Chiesa su Pietro, che è la roccia, la pietra, che simboleggia la forza con cui la Chiesa deve combattere quella “dittatura del relativismo” sulla quale ha sempre molto insistito Benedetto XVI come la principale fonte dell’apatia e dello smarrimento di valori morali, tanto dominante nel mondo di oggi. Avere e professare la fede significa annunciarla testimoniarla: a questo compito sono chiamati innanzitutto i vescovi, convocati in un apposito concilio in occasione del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II (fu aperto l’11 ottobre 1962 e concluso l’8 dicembre 1965, il giorno dell’Immacolata). Nel corso dell’anno della fede bisogna indirizzare il nostro culto in modo particolare verso Maria, alla quale la Lumen Gentium ha dedicato un intero capitolo: Maria, “sede della Sapienza” e tempio dello Spirito, unisce Dio e l’uomo, è tra gli umili ed i poveri, sceglie la via del nascondimento, come dimostrato dalla scarsità di notizie che abbiamo su di Ella, sotto la Croce è madre di tutti coloro che credono, è segno di speranza ed icona, modello per la Chiesa, è madre sofferente, occupa una posizione subordinata al “Figlio-Dio”, dal quale attende la salvezza. Maria attende la salvezza da Gesù Cristo, ma coopera anche con la salvezza nella sua funzione materna4. Maria rappresenta quindi il punto d’incontro tra Dio e uomo, fra teologia ed antropologia, tra “fides” et “ratio”, per usare il titolo della nota enciclica di Giovanni Paolo II. Alla figura di Maria si connettono i temi della sofferenza, del dolore e della morte: conforto e supporto del sofferente è la Fede in Cristo, unico baluardo per trovare

1 Cfr. Discorso di apertura di Sua Santità Pio IX al Concilio Vaticano I, 1870. 2 Cr. Galileo Galilei, Lettere copernicane, 1616. 3 Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 422. 4 Cfr. Lumen Gentium, VIII, 53, 55/63, 67/68, Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II.

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forza e Speranza: si pensi all’esperienza di dolore di Maria ai piedi della croce, cantata anche da un grande poeta umbro del XIII secolo, Jacopone da Todi, nella laude “Donna de Paradiso”, meglio nota come “Pianto della Madonna”.5 In questo anno sono auspicabili convegni e grandi raduni sulla dottrina della Chiesa cattolica: l’anno della fede dovrà essere quindi, per tutti i credenti, un impegno a

1. approfondire i documenti del Concilio Vaticano II; 2. conoscere il Catechismo della Chiesa cattolica.

In modo particolare, sarà questo un impegno dei candidati al sacerdozio. Particolare attenzione sarà dedicata alle omelie e tutti, nessuno escluso, saranno chiamati a rinnovare la propria professione di fede. Un altro obiettivo di quest’anno sarà quello di proseguire nell’intento ecumenico, la cui importanza è stata ampiamente sottolineata dagli atti conciliari e viene annualmente testimoniata dai raduni internazionali, ad esempio, della comunità di Taizé organizzata da frère Roger. La fede è un dono di Dio che dev’essere comunicato al mondo: si deve organizzare il culto per chiedere perdono a Dio per i peccati contro la fede. Il Papa ha chiamato all’appello in primo luogo i vescovi e poi tutti i sacerdoti, ma anche gli operatori laici nelle diocesi e nelle parrocchie. Tutti sono dunque tenuti a meditare sulla propria fede: obiettivo del Papa è quello di rendere i cattolici più consapevoli della loro fede, perché solo con tale consapevolezza è possibile una testimonianza autentica, un “Umanesimo integrale”, per usare il titolo di una celebre opera del filosofo neotomista francese Jacques Maritain. In questa direttiva, nell’ambito del seminario “Cultura e Fede”, a noi studenti della Scuola Fondamentale di Formazione Teologica Diocesana “Antonio Maria Pucci” di Viareggio, è sembrato opportuno rispondere all’appello del Sommo Pontefice analizzando i punti 7, 8, 9 della lettera apostolica “motu proprio” Porta fidei 11 ottobre 2012. In particolare, nel I capitolo (“Una libera scelta di obbedienza: Fede e Speranza”) i analizzeranno i concetti cristiani di Amore come Agape e di Fede come libero atto di obbedienza a Dio. Nel II capitolo (“Il popolo di Dio nella storia”) si passerà in rassegna, sia pure a grandi linee, la storia della Chiesa e nello specifico il rapporto tra chierici e laici nella storia, rapporto inizialmente difficile, ma che è andato via via migliorando nel corso del tempo; ampio spazio, in proposito, sarà dedicato alla “teologia del laicato”. Il III capitolo (“Il popolo di Dio nel Concilio Vaticano II”) è sempre dedicato alla Chiesa, ma intende prendere in considerazione la funzione della Chiesa negli Atti del Concilio Vaticano II°, con particolare attenzione alla Lumen Gentium. Il successivo IV capitolo (“Unità nella diversità”) riguarderà il rapporto della Chiesa con le altre Chiese non cattoliche, con i non cristiani e con gli agnostici e sedicenti atei, per ricercare il senso dell’Ecumenismo appunto come “unità nelle differenze”.

5 Cfr. Jacopone da Todi, “Donna de Paradiso” o “Pianto della Madonna”, in Laudes del XIII secolo.

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Il V capitolo (“Fede come impegno pastorale”) concentrerà la sua attenzione sulla funzione della Chiesa, intesa come totalità di chierici e laici, nel mondo. Il VI ed ultimo capitolo (“Fede e preghiera”) studierà i rapporti della Fede con le altre due virtù teologali, Speranza e Carità, e della fede con la ragione. In proposito, sarà tenuto presente il punto di vista agostiniano. Nella conclusione (“Considerazioni conclusive: Ora et labora!”), infine, si cercherà di rispondere all’appello della lettera pontificia sottolineando l’importanza della sintesi tra attività di preghiera ed azione pratica nel mondo.

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CAPITOLO I. UNA LIBERA SCELTA DI OBBEDIENZA: FEDE E SPERANZA. L’Amore (“Agape”, nel senso di amore cristiano, dono disinteressato di sé, e non nel senso pagano di “Eros”, che è l’amore ebbro e indisciplinato dei Greci6) di Cristo verso di noi è la forza che ci spinge ad amare gli altri: per promuovere questo amore è necessario un rinnovato e consapevole impegno di tutta la comunità ecclesiastica, dai vescovi, ai presbiteri, ai laici. In questo senso si comprende, nell’ambito della teologia dogmatica, la “teoria della circolazione trinitaria”: l’Amore di Dio verso il suo Unico Figlio Gesù Cristo è il Logos (termine greco che corrisponde all’ebraico “Ruàh” nell’Antico Testamento, lo Spirito di Dio che aleggia sulle acque), il Verbo, lo Spirito Santo di cui ci parla San Giovanni7. Il Figlio obbedisce liberamente al Padre e riceve il Suo Amore, che gli è stato consegnato per donarlo, a sua volta, agli uomini con il Suo sacrificio estremo sulla Croce; questo Amore deve poi, dagli uomini, tornare a Dio. Lo Spirito Santo è il “vento dell’Amore” che ciclicamente scende dal Padre al Figlio e dal Figlio agli uomini per tornare infine al Padre. Dio è quindi Amore, dà Amore e chiede Amore. E’ proprio sul tema dell’amore che insiste il significativo testo di Eraldo Tognocchi8: il buon samaritano (Cristo) porta la persona soccorsa in un albergo, non in casa propria: non è questo un gesto di esteriore ”freddezza”, perché l’albergo è l’immagine della Chiesa universale, luogo di accoglienza universale, ed amare la persona soccorsa (il prossimo) significa amare Dio. Questo è l’esempio tangibile dell’amore cristiano (“agape” ). La Chiesa, nel senso latino di “Ecclesia”, è l’assemblea di tutto il popolo di Dio, e la chiamata universale di Dio rivolta, proprio perché universale, a tutto il mondo, non a dei singoli individui. La Chiesa contiene in sé questa esperienza comunitaria di popolo: non sarebbe autentica una fede rivolta a singole coscienze. La risposta è però singola, come si evince dal “Credo”: “io credo” è infatti l’incipit della “Professione di Fede”. Nelle lingue anglosassoni, come l’inglese “Church” o il tedesco “Kirche” la derivazione etimologica è diversa: i due termini derivano entrambi da “Kiriakè”, dal greco “Kyrios”, che significa “Signore”. “Kiriakè” significa quindi “di proprietà del Signore”. La Chiesa è quindi l’insieme di coloro che decidono di stabilire liberamente una signoria al di sopra di loro: ecco come la fede si può definire una libera scelta di obbedienza a Dio. Non c’è contraddizione in questo connubio di termini ”libera” e “obbedienza”, come si comprende già dall’Antico Testamento9. Nel Libro della Genesi si legge infatti: “Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, e non provavano vergogna. Adamo ed Eva erano infatti liberi perché obbedienti a Dio. Successivamente si legge: “Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Adamo ed Eva provavano adesso vergogna, dopo aver commesso il peccato originale, perché non sono più liberi, ma appunto schiavi del peccato10. Adamo, disobbedendo a Dio, non compie solo un’azione di disobbedienza, ma si leva contro la sua stessa natura umana: l’uomo era troppo

6 Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas est, Enciclica programmatica. 7 Cfr. Giovanni, Prologo del Vangelo., cit. 8 Cfr. E. Tognocchi, Un viaggio nell’amore, Cittadella Editrice, Assisi, 2005

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“piccolo e limitato” per poter mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male. Anche San Paolo arriverà paradossalmente ad affermare che si sente libero perché è Dio che agisce in lui, quindi perché non si sente più sé stesso! La fede di Cristo verso il Padre, che si traduce in questa “libera scelta” di obbedienza, è la stessa che il cristiano deve avere verso Cristo: la fede pienamente vissuta include già la speranza, che è la certezza che la vita di ognuno di noi è nelle mani di Dio; non è quindi attesa, la speranza, ma certezza, anche se non è una certezza razionale (perché non siamo in grado di comprendere l’imperscrutabile mente divina); è quella certezza che ci insegna Maria, la madre di Gesù Cristo, come emerge in numerosi luoghi dei Vangeli, in cui afferma di voler seguire le parole del Figlio, anche se non le capiva, è la certezza della fede. Fede e Speranza si implicano quindi vicendevolmente: l’uomo senza fede, anche se coltissimo, è quindi solo un disperato, un uomo senza speranza, appunto; in questo senso è esemplificativo il caso di Giuda Iscariota, che si impicca dopo aver tradito il suo Maestro ed aver ricevuto i trenta denari, ma il suo peccato mortale, verso il quale non c’è salvezza, non è il tradimento di Cristo con il noto bacio nell’orto dei Getsemani, ma la perdita della speranza nella misericordia infinita di Dio, la perdita della speranza verso il perdono. La condizione umana è inficiata dal peccato: in questo contesto la Pasqua acquista un significato catartico, di resurrezione della carne e di remissione dei peccati11.

9 Cfr. Libro della Genesi, II, 25. 10 Cfr. Libro della Genesi, III, 10. 11 Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n° 10.

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CAPITOLO II. IL POPOLO DI DIO NELLA STORIA. Per “Chiesa” va quindi inteso l’intero “popolo di Dio”, compresi anche i laici, e non quindi solo i religiosi, anche se ogni ‘settore’ di questo popolo ha delle funzioni specifiche, come il Concilio Vaticano II ha esplicitamente chiarito e come ha recentemente ribadito Sua Santità Benedetto XVI. Il laico è un membro del popolo di Dio: già nell’Antico Testamento con il termine “laòs” si intende “popolo di Israele”, distinto dalle genti, cioè le nazioni, considerate inferiori rispetto al popolo di Dio. Il “laòs” è quella parte di popolo non addetta a particolari compiti liturgici,e quindi inferiore ai sacerdoti ed ai profeti, ma superiore a tutte le altre genti12. Ancora nell’Antico Testamento si legge che il sacerdote ha “pane consacrato”, non “ordinario”13. Un papiro di Strasburgo del 120 a. C. chiama “laikà” le bestie da soma, utilizzate per lavorare: il termine indica quindi una classe di subalterni, di inferiori.La dizione “Teologia del laicato”, nata poco prima del Concilio Vaticano II, è oggi già superata14. Il rischio della teologia del laicato è stato quello della dispersione, anche se ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione sui laici; la teologia del laicato si è poi sviluppata dagli anni ’50 agli anni ’80 del secolo scorso. L’attenzione sui laici c’era già in precedenza, ma “esplode” solo con il Concilio Vaticano II. Il termine “laico” non significa “ateo” o “contro la religione”, ma solo “non religioso” e non va confuso con il termine “profano”, che vuol dire “davanti al tempio” (non all’interno del tempio, “ol” in ebraico significa “profano”). Profano significa quindi “non sacro”, ma non “contro il sacro”15. Nel corso della storia, tuttavia, non mancarono contrasti tra chierici e laici: Ezechiele accentua la separazione tra sacro e profano16 ed anche in San Giovanni17 ed in Aurelio Agostino18 i due termini sono presentati come antitetici. In Giovanni chi non fa parte del popolo di Dio è guardato con sospetto (non è così nei Sinottici): Giovanni accentua così la separazione tra popolo di Dio e mondo19. Nei Sinottici, invece, non esiste più la separazione tra chi è dentro o fuori del tempio, perché Dio si è incarnato: esiste la separazione tra cristiani e non cristiani, ma tutti i cristiani fanno parte del popolo di Dio (laòs), tutta la Chiesa è il popolo di Dio20. Nei secoli delle persecuzioni (I/III sec. d. C.) il sacerdozio è fortemente gerarchico, e nel 313, con l’Editto di Milano, da parte dell’imperatore Costantino, il cristianesimo diventa religione di Stato: è il periodo della Patristica. Il mondo diventa cristiano ed il contrasto si sposta all’interno della Chiesa, tra a)sacerdoti e monaci da un lato e

12 Cfr. Libro dell’Esodo, XIX, 24 e cfr. Libro di Geremia, XXVI, 7, dall’Antico Testamento. 13 Cfr. Libro di Samuele, XXI, 5. 14 Cfr. Y. M. J. Congar, Per una teologia del laicato, 1956. 15 Cfr. M. Eliade, Il sacro e il profano, a cura di E. Fadini, Boringhieri, Torino, 1979 e cfr. Trattato di storia delle religioni, Boringhieri, Torino, 1988, volume doppio. 16 Cfr. Libro di Ezechiele, XLVIII, 15, dall’Antico Testamento. 17 Cfr. Giovanni, Libro dell’Apocalisse. 18 Cfr. A. Agostino, De civitate Dei. 19 Cfr. Giovanni, Vangelo, cit. 20 Cfr. Vangeli di Matteo, Marco, Luca.

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b)laici dall’altro; il pericolo è ora rappresentato dal paganesimo e da un ritorno al giudaismo21. Nel Duecento e nel Trecento nascono le Confraternite, ma l’ideale di vita cristiana proposto è quello monastico. I laici vengono considerati negativamente. La Chiesa medievale presta attenzione ai nobili, perché se questi saranno educati ai precetti di vita cristiana, saranno dei buoni principi e dei buoni re22. Infine, nel lungo periodo compreso tra il Concilio di Trento (1545/1563) ed il Concilio Vaticano II (1962/1965), il rapporto tra chierici e laici è andato progressivamente migliorando, anche a causa della sempre crescente crisi vocazionale. Già con le scoperte geografiche comincia a nascere una nuova visione del rapporto tra laici e chierici, ed anche le donne, con l’istituzione dei nuovi ordini, cominciano ad essere inserite nella vita della Chiesa, ma solo con il Concilio Vaticano II le donne possono, ad esempio, insegnare teologia (prima era impensabile). Nel 1870 s’interrompe il Concilio Vaticano I, aperto nel 1967: il Papa perde il potere temporale. Nel 1867 era intanto nata anche la “Società della gioventù cattolica italiana”, futura “Azione Cattolica”. Il teologo Karl Raner, nel Novecento, affermò che tutta la Chiesa ha una dimensione di laicità, perché i laici fanno parte del popolo di Dio. Già nel 1951, nel 1957 e nel 1967 si erano tenuti 3 concili sul laicato; il Papa Paolo VI il 6 gennaio 1967 istituì un “Pontificio Consiglio per i laici”, e definì tale Consiglio uno strumento insostituibile per l’educazione dei laici; questo Consiglio nacque prima come una istituzione provvisoria, a partire dal 1977 diventò un istituto definitivo: è questo un frutto del Concilio Vaticano II, che, sancendo l’ingresso dei laici e delle donne nella Chiesa, ha, in un certo senso, “rivoluzionato” la vita stessa della Chiesa, che viene infatti, anche graficamente, rappresentata non più come una “piramide”, ma come una “mensa”.

21 Su queste problematiche cfr. A. C. Bouquet, Breve storia delle religioni, a cura di M. Cenerini, Mondatori, Milano, 1979; M. Simon-A. Benoit, Giudaismo e cristianesimo, a cura di A. Giardina, Laterza, Roma-Bari, 1978; E. Schweizer-A. Dìez Macho, La Chiesa primitiva. Ambiente, organizzazione e culto, a cura delle Suore Benedettine di Civitella San Paolo, Paideia, Brescia, 1980; P. C. Bori, La Chiesa primitiva, Queriniana, Brescia, 1982. 22 Cfr. M. D. Knowless-D. Obolensky, Nuova storia della Chiesa. Il medio evo (600/1500), vol. II, a cura di A. M. Berti, Marietti, Milano, 1980.

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CAPITOLO III. IL POPOLO DI DIO NEL CONCILIO VATICANO II. Il capitolo II della Costituzione Dogmatica Lumen Gentium del Concilio si apre con una citazione dagli Atti degli Apostoli23 , in cui Pietro annuncia la conversione del centurione romano, e quindi pagano, Cornelio: Dio, nel suo popolo, “accoglie chi lo teme e pratica la giustizia”. E’ infatti un pagano, e non un ebreo, a riconoscere, nella sanguinante nudità di Cristo, il Figlio di Dio24: coloro che riconoscono per primi Gesù sono sempre i non Ebrei, come nel caso appunto del centurione romano o della samaritana25. La legge di Gesù Cristo non è scritta su tavole di pietra, ma nei cuori delle genti: è la “circoncisione del cuore”26. Il popolo di Dio ha una missione da compiere, che Cristo, capo del popolo, gli ha affidato: la legge dell’amore, amare Cristo come Lui ci ha amati27. Il popolo di Dio è definito, nella Lumen Gentium, “popolo messianico”28. Cristo, “Luce del mondo e Sole della terra, è inviato a tutto il mondo”29. Si distinguono, in proposito, due forme di sacerdozio30:

1. il sacerdozio ministeriale (ordinato) e 2. il sacerdozio comune o esistenziale, al quale è chiamato ogni battezzato.

Questo non va confuso con il “sacerdozio universale dei credenti”, di tradizione luterana, in base al quale non esiste la gerarchia ed ogni credente è libero di interpretare liberamente le Sacre Scritture (è questa infatti la teoria luterana del “libero esame delle Scritture”). I due sacerdozi sono tra loro complementari in quanto lo Spirito Santo garantisce l’infallibilità dell’atto di fede dell’universalità dei fedeli31. L’universalità della Chiesa si esprime, ad esempio, con l’opera delle missioni, per promuovere l’inculturazione o incarnazione della fede, che penetra nelle specifiche culture, pur rimanendo Una; la Chiesa è disponibile ad uno scambio di doni e di esperienze con altre Chiese, altri popoli: in questo consiste anche l’esser cattolici, la cattolicità si può sintetizzare nell’ “unità nella diversità”, ed è la stessa Cattedra di Pietro a tutelare ed a garantire la legittima varietà. Tutta l’umanità è incorporata al popolo di Dio: proprio in questo si spiega il senso della Chiesa come “ecclesia”, appunto “assemblea” (dal verbo greco “ecclaleo” che significa “chiamare”). Sono chiamati a far parte del popolo di Dio anche cristiani non cattolici, seguaci di altre religioni, agnostici o sedicenti atei32.

23 Cfr. Atti degli Apostoli, X, 34-35. 24 Cfr. Cfr. E. Tognocchi, Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato? La preghiera di Gesù sulla croce, edizioni “Il dialogo”, Marina di Pietrasanta, 2008 e cfr. Marco, Vangelo, XV, 39. 25 Cfr. Giovanni, Vangelo, IV, 7/30. 26 Cfr. Libro di Geremia, XXXI, 31. 27 Cfr. Lumen Gentium, II, 9c. 28 Ibid. 29 Ibid. 30 Ibid., II, 10. 31 Ibid., II, 12. 32 Ibid., II, 13.

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In quest’ottica acquista valore quanto afferma don Eraldo Tognocchi33, che rilegge la parabola del figliol prodigo incentrandola sulla figura del Padre misericordioso (che è Gesù Cristo, simbolo dell’Agape, l’amore cristiano) e non sul figlio. Il figlio maggiore, rimasto a casa, è interessato all’eredità, alla casa, alla terra, si dimostra ipocrita ed egoista e si comporta come un operaio mal pagato, mal ricompensato, è la negazione dell’ “Agape”, cioè dell’Amore cristiano. Anche il figlio minore è uscito di casa ed ha abbandonato e tradito il Padre, per poi tornare a casa e chiedere al Padre la sua parte di eredità. Anche lui è un egoista. Il Padre, che è Cristo-Dio, che rappresenta l’ Agape, il Vero Amore, vorrebbe che il figlio maggiore, identificato da Tognocchi nel popolo ebraico, si prendesse cura del figlio minore, identificato dall’autore nei Greci e nei popoli pagani. Per questo nella Lumen Gentium sono chiamati a far parte del popolo di Dio tutti i popoli della terra, e non solo i cristiani. La “nobiltà” di un popolo consiste nello sforzo di condivisione dei beni, non di accumulo. Sono questi i temi su cui insiste Tognocchi, quelli del Perdono e della Redenzione, inscindibili dall’Amore cristiano (“Agape”) e dalla Fede34. Da notare che nel Vangelo di Luca, qui riletto da Tognocchi, non avviene alcuna riconciliazione tra i due fratelli. Anche Giovanni afferma che soltanto con la “A-Kenosi”, cioè la “spogliazione” dei propri beni, il cristiano incontra Dio.

33 Cfr. E. Tognocchi, La parabola del Padre misericordioso che insegna la misericordia ai suoi figli, edizioni Massarosa, Massarosa, 2008. 34 Ibid.

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CAPITOLO IV. UNITA’ NELLA DIVERSITA’. In questa “unità nella diversità” le parole più esigenti e severe della Lumen Gentium sono rivolte ai cattolici: da notare, in proposito, che in una prospettiva pre-conciliare sarebbero invece state destinate ai non cattolici. Non si salva infatti chi rimane nella Chiesa in modo passivo, bisogna essere nella Chiesa “con il cuore” e non solo “con il corpo”, perché la decisione di stare nella Chiesa è frutto di una Grazia ricevuta, verso la quale è però necessario un gesto di responsabilità35. La Chiesa, inoltre, s’impegna nel dialogo con i protestanti e gli ortodossi che “hanno in onore la Scrittura”36. Per quanto riguarda i non cristiani, la Chiesa s’impegna in un cammino di dialogo innanzitutto con gli Ebrei, poi con i musulmani, infine con tutti coloro che ricercano comunque Dio: con gli Ebrei e gli islamici i cattolici hanno innanzitutto in comune il monoteismo, ma la Chiesa s’impegna nel dialogo anche con tutti coloro che ricercano Dio e non l’hanno ancora “scoperto”, in quanto in tutte le coscienze agisce lo Spirito di Dio. Il dono che Dio ci offre è il pane che dev’essere condiviso, non moltiplicato, come afferma lo studio di Tognocchi37, che reinterpreta il noto miracolo della moltiplicazione dei pani restituendo il giusto valore all’espressione greca usata nel vangelo marciano: “Klasis ton artou” è infatti lo “spezzamento”, la “frazione” dei pani, la “moltiplicazione dei pani” è invece un atto miracoloso di fronte al quale il cristiano non può far altro che prenderne atto, senza poter reduplicare questa esperienza nella propria vita. Lo spezzamento o divisone dei pani è la divisione dei beni, con la quale Cristo si dimostra veramente un Dio Padre, che insegna ai propri figli ciò che realmente possono e devono fare, in quanto cristiani, e non ciò che è impossibile per loro. Nella Chiesa primitiva, quando i cristiani si recavano nelle Domus ecclesiae per celebrare l’eucarestia, dicevano infatti di voler partecipare allo “spezzamento”, intendendo la partecipazione alla messa ed alla comunione38. Il testo di Tognocchi si chiude con una citazione dal Vangelo di Luca: la Chiesa deve “forzare ad entrare” ed a sedersi alla sua mensa i poveri e gli storpi, la Chiesa può salvare sé stessa solo se invita alla sua mensa tutti i poveri. Questo è il senso cristiano di Amore inteso come “Agape”, indiscutibilmente connesso con la virtù teologale della carità. Nello “spezzamento” o “frazione” dei pani c’è quindi anche il senso della salvezza comunitaria: per Tognocchi ci si salva tutti insieme. La parabola dello spezzamento è una grande lezione sulla virtù teologale della Carità, che è a sua volta fondata sull’ Amore. Amore significa:

1. amore di Dio; 2. amore del prossimo.

35 Ibid., II, 14. 36 Ibid., II, 15. 37 Cfr. E. Tognocchi, La moltiplicazione o spezzamento dei pani nel Vangelo di Marco, edizioni “Il dialogo”, Marina di Pietrasanta, 2005. 38 Cfr. P. Coda, Dio tra gli uomini. Breve cristologia, edizioni P.M.; cfr. anche E. Schweizer-A. Dìez Macho, La Chiesa primitiva,…, cit.; cfr. anche P. C. Bori, La Chiesa primitiva…, cit.

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Giovanni afferma che non si può amare Dio se non ama il prossimo: l’amore del prossimo senza quello divino è semplice erotismo. Dio ci ama per primo dona all’uomo la forza necessaria per riamarlo. Questo comandamento dell’amore è la “buona novella” (“eù-vanghelion” in greco significa proprio buona = eù e novella = vanghelion). E’ un amore unico, quello di Dio per noi, Dio ci ama disinteressatamente, in senso assoluto. San Tommaso d’Aquino, insigne teologo e massimo esponente della filosofia Scolastica medievale, nella Summa Theologiae39 afferma che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Al Santo viene infatti data la Grazia di capire l’amore non corrisposto, l’amore disinteressato, non “ri-amato”, con la “notte oscura”. Anche l’estasi è un dono di Dio, è la totale immersione nell’amore di Dio, come ci testimoniano San Francesco e Padre Pio, dopo aver ricevuto le stigmate, ed anche madre Teresa di Calcutta. Anche San Matteo afferma “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”40, perché amando i nemici si manifesta al mondo l’amore di Dio. Ma la Santità non è un’astrazione, è compito di ogni cristiano aspirare alla santità: San Paolo addirittura dichiarò che i termini “santo” e “cristiano” sono sinonimi. In proposito, Sant’Ireneo affermò che “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo possa diventare Dio”: quando l’uomo sfida Dio compie il peccato mortale per eccellenza, ma per Sant’Ireneo diventare come Dio significa partecipare alla vita trinitaria.

39 Cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae. 40 Cfr. Matteo, Vangelo, V, 43/45.

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CAPITOLO V. FEDE COME IMPEGNO PASTORALE. Nei confronti di coloro che invece negano volontariamente Dio, la Chiesa s’impegna con l’opera delle missioni, che riguarda tutta la Chiesa41. Per quanto riguarda i vescovi, che, come ha recentemente ricordato Benedetto XVI, sono i primi responsabili della missione della Chiesa, si distinguono due “generazioni”:

1. secondo la generazione “storica” o “orizzontale” dell’episcopato, il ministero dei vescovi affonda le proprie radici nei 12 apostoli e nella cosiddetta successione apostolica: i vescovi sono i diretti discendenti degli apostoli42;

2. secondo invece la generazione “spirituale” o “verticale” dell’episcopato, il ministero dei vescovi deriva e dipende dalla congregazione episcopale.

I vescovi sono i primi responsabili della missione della Chiesa perché rappresentano la “pienezza del sacerdozio” nei tre livelli di consacrazione e di ordinazione, ovvero:

1. diaconale; 2. presbiterale; 3. episcopale43.

L’episcopato ha una natura collegiale: il vescovo non è ordinato come singolo, ,a come membro di un collegio: i vescovi comunicano tra loro e con il Vescovo di Roma, cioè il Sommo Pontefice, che ascolta i vescovi e rappresenta l’unità della diversità44. Ai vescovi competono tre compiti:

1. insegnare (docenti); 2. santificare (sanctificandi); 3. governare (docenti).

I vescovi sono definiti “araldi della fede” (“fidei praecones”) e “dottori autentici” (“doctores authentici”): i fedeli devono ascoltare i vescovi, anche se questi non godono dell’infallibilità pontificia “ex cathedra”; il Papa, infatti, quando parla “ex cathedra” in questioni di morale e fede, come ha decretato la dogmatica, è infallibile perché gode dell’assistenza dello Spirito Santo. I fedeli devono osservare un “religioso rispetto” di fronte alle parole del vescovo, che annuncia e custodisce la Parola di Cristo45. Il vescovo santifica46 con l’eucarestia: l’eucarestia, ovunque venga celebrata, è sempre diretta dal vescovo e fa sempre riferimento al vescovo. Il vescovo santifica quindi con

1. l’eucarestia, ma anche con 2. la sua personale preghiera, con 3. l’attività pastorale, ed, in casi estremi, con

41 Ibid., II, 16/17. 42 Ibid., III, 19/20. 43 Ibid., III, 21. 44 Ibid., III, 22. 45 Ibid., III, 25. 46 Ibid., III, 26.

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4. il sacrificio estremo della propria vita, come è stato di esempio il vescovo Romero in Sud America. “Testimone”, in greco, si dice appunto “martire”, e le vesti rosse del vescovo ricordano proprio il sangue del martirio di Cristo.

La comunità episcopale dà al vescovo una potestà immediata sulla comunità che presiede: i vescovi hanno una potestà che gli è propria e non in quanto “vicari del Papa”47. I presbiteri48 hanno il compito di:

1. predicare il Santo Vangelo, 2. curare i fedeli e 3. celebrare il culto,

mentre ai diaconi spetta il “servizio”, come si deduce dal termine49. I laici sono i non religiosi, non ordinati, tra di essi non vi è una gerarchia, ma i laici hanno comunque l’importantissima funzione di cercare Dio nei vari affari del mondo: testimoniano Dio nelle loro varie professioni ed attività nel mondo, cercano quindi il Regno di Dio trattando le cose temporali50. Tuttavia, adempiere ai doveri sociali, come ci insegna la teologia morale51, per un cristiano non è sufficiente per adorare Dio: è necessario il culto. Culto e vita morale sono inscindibilmente congiunti, perché il culto esige anche l’adempimento dei doveri morali. Il culto verso Dio è un atto di adorazione ed onore obbligatorio perché Dio ci ha donato la salvezza. L’etica cristiana è infatti diversa da quella classica, greca, il cui unico scopo era quello di formare il buon cittadino, fedele alle leggi della “Polis”, la “Città-Stato”52. Nel suo impegno nelle attività temporali, il cristiano, lavorando le cose, gli oggetti, li modifica: trova qui riscontro l’immagine biblica del coltivare, del dare frutto, dell’essere “operai nella vigna del Signore”, come ha affermato lo stesso Benedetto XVI appena eletto al soglio pontificio. Ma il cristiano non deve neppure interessarsi troppo alle cose mondane, distraendosi da quelle divine, come si afferma nella Gaudium et Spes53. E’ questo anche il caso di Marta e Maria nei Vangeli, rappresentanti la vita attiva e quella contemplativa. Il messaggio cristiano vuole che l’uomo lavori nel mondo per vedervi i limiti e portarvi la sua impronta: il credente deve prendere consapevolezza dei limiti delle cose terrene impegnandosi nelle cose terrene stesse.

47 Ibid., III, 27. 48 Ibid., III, 28. 49 Ibid., III, 29. 50 Ibid., IV, 31/33. 51 Cfr. Ch. A. Auber, Compendio di teologia morale, edizioni Paoline, Firenze; cfr. anche Sacrosantum Concilium, Costituzione “senza aggettivo” del Concilio Vaticano II. 52 Ibid. 53 Cfr. Gaudium et Spes,34, Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II.

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CAPITOLO VI . FEDE E PREGHIERA. La fede è un dono gratuito che Dio fa a tutti gli uomini e che dev’essere, a sua volta, comunicato con gioia. La fede è la risposta umana alla rivelazione divina54, come ci insegna la teologia fondamentale, e richiede quindi un impegno, da parte dell’uomo. E’ l’abbandono totale dell’uomo a Dio che non va però inteso come un abbandono “passivo”, bensì come un cammino infinito dell’uomo verso Dio, un percorso gioioso, che richiede però impegno e costanza: Abramo è l’esempio della fede assoluta. Per avere fede bisogna innanzitutto essere quieti e sereni “come un bimbo svezzato”55 Per questo la fede necessita di essere alimentata. La fede si alimenta innanzitutto con la preghiera, individuale e comunitaria: su questo punto ha insistito particolarmente Sant’Agostino. Se la preghiera è costante, la speranza tende costantemente a diventare certezza: la fede è infatti il totale abbandono a Dio. Il filosofo di Ippona affermava infatti che la fede si rafforza credendo (era solito dire che “i credenti si fortificano credendo”), perché solo in tal modo riscopre gradatamente la sua origine e la sua forza in Dio. Nel nostro cammino di fede, che è gioioso, come si è detto, ma anche difficile al tempo stesso, possiamo incontrare momenti di oscurità ed incomprensione, ma non di dubbio: questa è stata infatti l’atteggiamento di Maria quando ha visto il figlio sulla croce, non capiva, ma non dubitava nemmeno, e spesso, nei Vangeli si dice che Maria non comprende le parole del Figlio, ma lo segue perché ha fede. La fede è un atto di libera volontà umana56, non una costrizione: la volontà è libera anche nella fede, perché Dio ci ha creati liberi. Per noi cattolici, la fede, a differenza dei protestanti, sia luterani che calvinisti, è alimentata dalle opere, ed in questo senso trova ampio spazio le altre due virtù teologali, speranza e carità; inoltre la fede è alimentata dai sacramenti, dalla preghiera, dallo studio della teologia, dalla vita comunitaria, ossia dalla Chiesa: ecco come si recupera il significato latino di “ecclesia”, cioè “assemblea”. L’uomo di fede è un uomo di Chiesa, cioè di comunità, anche se la fede è un atto individuale di libera volontà. La Chiesa infatti, come sacramento di salvezza o sacramento del regno di Dio, è il fondamento di tutti i sacramenti57. La prima comunità a cui Dio si rivolse fu il popolo d’Israele. La comunità aiuta il fedele nel suo cammino e la preghiera comunitaria è quindi un ausilio fondamentale per la fede. Negli Atti del Concilio Vaticano II58 è infatti scritto che la preghiera intesa come riflessione sulla parola di Dio aiuta tantissimo la fede. Sant’ Aurelio Agostino, vescovo di Ippona e principale esponente dei Padri della Chiesa (il movimento della “Patristica”), riteneva che non ci fosse contraddizione tra fede e ragione, in quanto la fede, la teologia, dà sostegno, forza, contenuto alla ragione, e la ragione, con lo strumento della filosofia, illumina la fede: “Credo ut

54 Cfr. L. Fanin, Come leggere “il Libro”. Lineamenti di introduzione biblica, Il Messaggero, Padova.1993. 55 Cfr. “Salmo 131”, in Libro dei Salmi, in Antico Testamento. 56 Cfr. Dignitatis humanae,10, Dichiarazione del Concilio Vaticano II. 57 Cfr. Lumen Gentium, … cit., I, 5; VII, 48. 58 Cfr. Dei Verbum, 21, Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II.

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intelligam et intelligo ut credam” (“Credo per comprendere e comprendo per credere”)59. In un momento storico di grandi cambiamenti, sottolinea il Pontefice Benedetto XVI nella sua lettera apostolica pontificia, si devono intensificare, a qualsiasi livello, lo studio e la riflessione sul Santo Vangelo e sugli Atti Conciliari, e questo è compito innanzitutto dei vescovi di tutto il mondo, ma non solo: è dovere di ogni credente che voglia ritenersi tale, sia questo un sacerdote o un laico, perché solo in questo lavoro di approfondimento e di meditazione è possibile testimoniare e trasmettere la fede alle future generazioni. Per questo, afferma il Papa, è necessario avere una Chiesa culturalmente più preparata ad affrontare le sfide che la società costantemente ci pone. A fondamento della nostra meditazione c’è la vita eterna, Cristo ci dice infatti che ci “preparerà un posto” in Paradiso. La Chiesa fa proprie le parole che Gesù Cristo invia ad ognuno di noi. Non siamo chiamati a vivere limitatamente a questa vita terrena, come recitiamo nel “Credo” (Professione di Fede coniata in seno al Concilio di Nicea del 325). Per il cristiano, che unisce la propria morte a quella di Gesù, la morte è un passaggio necessario affinché inizi la vita eterna. Di fronte alla persona morente, la Chiesa invia un annuncio festoso e delicato al tempo stesso: l’ingresso alla “vera vita” sarà accolto dagli angeli, dalla Madonna e da Gesù Cristo. Per questo la Chiesa non rinuncerà mai, anche a costo di apparire “impopolare”, ad annunciare l’apertura alla Grazia, e questo è ribadito dal Papa Benedetto XVI nella lettera che accompagna il presente “Motu proprio”, mediante l’assegnazione di compiti specifici per ogni componente del popolo di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica si pronuncia anche sul “giudizio particolare” che ognuno di noi riceverà al momento della conclusione della propria vita terrena. Due sono, in proposito, le esperienze possibili: 1) l’apertura alla Grazia; 2) il rifiuto della Grazia. A ciascuno, dopo la morte, sarà data la giusta retribuzione in base alla fede ed alle opere. Il povero Lazzaro ed il ladrone sulla Croce si sono aperti alla Grazia ed alla Misericordia divine perché il Cielo, nella dimensione escatologica della Chiesa (ossia la visione relativa ai fini ultimi della vita umana), è il fine ultimo dell’uomo, è la comunità di tutti i Beati che vivono in Cristo, perché è il Cielo che Cristo si ha aperto con la Sua morte e la Sua Resurrezione. La “Porta della Fede”, che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa, è sempre aperta per noi ed acquista significato solo in questa dimensione escatologica, che è completamente diversa da quella terrena: non saranno premiati coloro che hanno inseguito la carriera, anche ecclesiastica (e ciò è stato recentemente ricordato dal Papa), ma i poveri, “le prostitute ci passeranno avanti”, come affermò infatti Gesù. In questo contesto trova valore un luogo di purificazione con il fuoco come il Purgatorio che, lungi dalla descrizione operata dalla fantasia poetica di Dante Alighieri, è un appunto un “fuoco purificatore”, “rigeneratore”, e non di eterna pena. In questo senso acquistano la comunione per i defunti, le offerte e le elemosine, come segni di “compartecipazione”: già nell’antichità, agli altari laterali delle grandi basiliche, si trovavano animali sacrificati.

59 Cfr. A. Agostino, Confessioni.

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE : “ORA ET LABORA” ! Per questo, sostiene il Vescovo di Roma, è stato necessario istituire un “Anno della Fede”, nel quale bisogna approfondire la liturgia, ed in particolare la celebrazione dell’Eucarestia, che rappresenta il vertice a cui tende tutta l’azione della Chiesa, come si precisa nel Concilio Vaticano II60. In Avvenire del 28 gennaio 2012 si legge infatti che la Fede è il cuore dell’Ecumenismo, pertanto l’anno della Fede richiede la partecipazione di tutto il popolo di Dio61. La professione di fede non dev’essere però “astratta”, separata dalla realtà concreta, ma deve trovare riscontro nella testimonianza quotidiana che ogni cristiano cattolico è tenuto a dare. Ad esempio, la recitazione del “Credo” serve proprio a ricordarci costantemente l’impegno che abbiamo preso con il battesimo. Nella “professione di fede” è infatti ribadito il fondamento della nostra fede nella Chiesa cattolica, della quale dobbiamo fidarci ed alla quale ci affidiamo perché Essa è quella salda roccia che trova il suo fondamento direttamente in Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio. Questo è un caposaldo che il credente non deve mai dimenticare, nemmeno quando dorme “con il corpo”62, poiché dovrà vegliare “con il cuore”. L’universalità della Chiesa trova un riferimento antropologico nella stessa croce di Cristo, che rappresenta infatti l’unione tra l’alto ed il basso, cioè il cielo e la terra, e tra la destra e la sinistra, quindi il passato ed il presente. L’albero della croce è un’immagine molto ricorrente, non soltanto nella tradizione ebraico-cristiana, ma anche nelle antiche civiltà orientali: è l’ “axis mundi”, di cui ci parla Mircea Eliade63. Spesso si trova tale “axis mundi”, che congiunge cielo e terra, negli obelischi o in alte costruzioni di pietra, come le croci celtiche. Ma soltanto nella tradizione cristiana, la croce si fa persona. Ai piedi della croce troviamo spesso, nelle iconografie, il teschio, che storicamente rappresenta il teschio di Adamo, e dal punto di vista teologico simboleggia invece il teschio dell’uomo, rinnovato dal sangue e dall’acqua che sgorgano dal costato di Cristo; anche nell’interpretazione paolina, la montagna, colpita da Mosè con il suo bastone, dalla quale esce l’acqua per dissetare il popolo ebraico, che si lamentava della sete sofferta nel deserto dopo la fuga dall’Egitto, corrisponde, nel Nuovo Testamento, al costato di Cristo, dal quale esce il sangue del suo martirio con il quale ha redento l’Umanità. In quest’ottica si colloca il testo di Tognocchi64 a riguardo dell’interpretazione del Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” L’interpretazione più semplicistica e “letterale” vede qui il lamento del Figlio sofferente abbandonato dal Padre. Ma quando Gesù muore si squarcia il velo del tempio: Dio non è più separato dall’uomo, è un “Dio con noi” (“Emanuele” si dice nella lingua ebraica), insieme agli uomini. Dio è in realtà sulla croce: rimane incomprensibile per gli Ebrei ed i non

60 Cfr. Sacrosantum Concilium, 10, Costituzione “Senza aggettivo” del Concilio Vaticano II. 61 Cfr. Avvenire, 28/01/2012. 62 Cfr. A. Agostino, Omelia sulla redditio symboli. 63 Cfr. M. Eliade, Il sacro e il profano,…,cit. 64 Cfr. E. Tognocchi, Dio mio,… cit.

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cristiani l’idea di un Dio che muore, come resta inconcepibile il fatto che Dio entri nella storia e la redima, in quanto la storia è caduca e temporale e Dio non può essere storicizzato, come è impensabile il fatto che Dio possa aver avuto un figlio, in quanto verrebbe meno l’unicità di Dio. E’ il Dio del Nuovo Testamento, il Cristo-Dio che si rivela nella sua sanguinante nudità, è l’apice della Rivelazione. Nella fase conclusiva della sua Lettera Apostolica, il Papa ci ha spiegato che per Fede gli Apostoli lasciarono ogni cosa per seguire il loro Maestro, andarono nel mondo e fondarono la prima comunità, seguendo gli insegnamenti del loro Maestro. Sempre per Fede, uomini e donne hanno confessato la bellezza di seguire Gesù, per Fede anche noi viviamo nel nostro presente e nella nostra storia. Nel mondo attuale la Fede impegna ognuno di noi a diventare segno vivo, testimonianza della presenza di Cristo nel mondo65. Infine, ricordiamo le parole dell’epistolario paolino: quando siamo deboli, dobbiamo trovare la nostra forza nel Signore, perché è Lui l’unica nostra forza66.

65 Cfr. Benedetto XVI, Porta Fidei 11 ottobre 2012, “motu proprio”, capp. 13/14, libreria editrice vaticana, Città del vaticano, novembre 2011. 66 Cfr. Paolo di Tarso, II Lettera ai Corinzi, XII, 10, in Epistolario paolino, in Nuovo Testamento.

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BIBLIOGRAFIA:

A) FONTI PRIMARIE. • Agostino A., Confessioni; • Agostino A., De civitate Dei; • Agostino A., Omelia sulla redditio symboli; • Atti degli Apostoli, dall’Antico Testamento; • Avvenire, n° di sabato 28/01/2012. • Benedetto XVI, Deus Caritas est, Enciclica programmatica; • Benedetto XVI, Porta fidei 11 ottobre 2012, “motu proprio”, libreria editrice

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del XIII secolo; • Libro dell’Esodo, dall’Antico Testamento; • Libro della Genesi, dall’Antico Testamento; • Libro di Ezechiele, dall’Antico Testamento; • Libro di Geremia, dall’Antico Testamento; • Libro di Samuele, dall’Antico Testamento; • Luca, Vangelo; • Lumen Gentium, Costituzione Dogmatica del Concilio Vaticano II; • Marco, Vangelo; • Matteo, Vangelo; • Paolo di Tarso, Epistolario, in Nuovo Testamento; • Pio IX, Discorso di apertura del Concilio Vaticano I, 1870, libreria editrice

vaticana, Città del Vaticano; • Sacrosantum Concilium, Costituzione “senza aggettivo” del Concilio Vaticano

II; • Tommaso d’Aquino, Summa theologiae.

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Benedettine di Civitella San Paolo, Paideia, Brescia, 1980; • Simon M. – Benoit A., Giudaismo e cristianesimo, a cura di A. Giardina,

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misericordia ai suoi figli, Edizioni Massarosa, Massarosa 2008; • Tognocchi E., Un viaggio nell’amore, Cittadella Editrice, Assisi, 2005.

INDICE: CAPITOLI TITOLI PP. Introduzione: Fede come testimonianza consapevole. 2 I. Una libera scelta di obbedienza: Fede e Speranza. 5 II Il popolo di Dio nella storia. 7 III Il popolo di Dio nel Concilio Vaticano II. 9 IV. Unità nella diversità. 11 V. Fede come impegno pastorale. 13 VI. Fede e preghiera. 15 Considerazioni conclusive:

“Ora et labora!” 17

Bibliografia: A) Fonti primarie. 19 Bibliografia: B) Letteratura critica. 20 Indice: =================================== 20