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famiglia, risorsa decisiva

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angelo scola

famiglia risorsa decisiva

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prefazione

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il rapporto tra i milanesi e il loro ar-civescovo è del tutto particolare. la

figura del successore di ambrogio inter-preta la laboriosità, l’orgoglio, la diver-sità meneghina, il senso di appartenen-za di una comunità, meglio di qualsiasi istituzione laica. la milano flagellata dalla guerra dovette molto al coraggio di schuster e alla dignità solenne, ma popo-lare, del suo ruolo per potersi risollevare preparando la liberazione; quella della ricostruzione e del boom economico non inaridì nel miraggio della ricchezza grazie al segno evangelico cristallino della parola di montini; quella dei contrasti sociali, e dell’affiorare dei primi sintomi della crisi economica, venne temperata dallo spiri-to del dialogo di un uomo di pace come giovanni colombo. il magistero di marti-ni restituì ai milanesi il coraggio di reagire alla sfida del terrorismo, alla diffusione dell’odio e dell’egoismo, e preparò la città

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al tormentato passaggio a una società po-stindustriale multietnica e multireligiosa. gli anni di Tettamanzi ci hanno insegna-to a riscoprire la centralità della persona, spesso priva di volto e immersa nella soli-tudine, e a ricostruire la gerarchia dei valo-ri in una comunità invecchiata e lacerata da dubbi e paure.

angelo scola è da pochi mesi arcive-scovo di milano. l’eredità che raccoglie è prestigiosa, ma difficilmente potrebbe essere meno gravosa. con il pensiero pro-babilmente rivolto ai suoi predecessori, all’ingresso in città, le sue prime parole sono state: «Ho bisogno di voi, di tutti voi, per poter svolgere nella gioia questo gra-voso compito». Una frase che mi ha col-pito e che sinceramente non mi aspettavo di ascoltare. l’immagine del patriarca di venezia mi era parsa austera e qualche volta persino distaccata. l’avevo osser-vato da vicino nelle riunioni del consiglio d’amministrazione della fondazione cini: attento, preparato, con un piglio che, se non apparisse poco rispettoso, definirei

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manageriale. Qualcosa di simile avvenne alla fine del ’79, quando, all’improvviso, giovanni Paolo ii nominò lo sconosciu-to biblista martini. a molti milanesi lo studioso gesuita apparve all’inizio un po’ troppo prigioniero della sua dimensione professorale. ma ci ricredemmo presto. anche montini sembrava algido e, a trat-ti, persino inespressivo. non dimenticherò mai, avendo servito da chierichetto quella messa, l’impressione che ci fece quando visitò, in una caldissima estate milane-se, la parrocchia di san nazaro in Brolo. noi giovani e anziani sudavamo anche per l’emozione; lui sembrava avvolto in un’altra dimensione, anche termica. da Papa, montini diede una sola intervista. ad alberto cavallari che, per descriverne il tormento di uomo, si soffermò a lungo sul movimento delle mani, asciutte, scarne, che il Pontefice quasi tentava di nascon-dere sotto il tavolo.

il buon pastore sa sempre sorprendere i fedeli. e ancora di più i cittadini laici che a messa non vanno, ma sanno che c’è sem-

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pre un sacerdote disposto ad ascoltarli. scola ci ha stupito, soprattutto per quel riferimento alla gioia. ma come? non c’è nulla di cui gioire in momenti così difficili. eppure la fede è gioia; la partecipazione ai destini di una comunità, dentro e fuori una chiesa, è gioia. senza quello spirito aperto, quel sentimento generoso, non vi è nulla. nessun progetto, nessun risul-tato. Perché è gioia lavorare bene, fare il proprio dovere di cittadini, condividere le sofferenze degli altri, aiutare il prossimo. e, allora, ecco il pastore che invita a non perdersi e a «non perdere di vista dio», che vorrebbe prendere per mano il suo gregge e sollevarlo dal peso dell’incertezza, che non dimentica l’importanza dell’impegno civile e politico e ama ricordare come la sua vocazione sia nata durante una visita in parrocchia del cardinale schuster: «lo vidi stare immobile in ginocchio per molto tempo e mi fece capire che cosa volesse dire partecipare nella vicinanza all’affetto di cristo».

scola auspica «un cammino in comune

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nell’interesse dei più deboli e degli emar-ginati» e da intellettuale della chiesa cita Paolo vi: «in lui era ben chiara una con-vinzione: un cristianesimo che non investa tutte le forme di vita quotidiana, cioè che non diventi cultura, non è più in grado di comunicarsi».

il pensiero corre, in particolare, alle «generazioni intermedie», che si sento-no sopraffatte dal «mestiere di vivere» e si allontanano inesorabilmente da un percorso di principio. come per papa montini vale il «venite e ascoltate». vale rendersi vicini a uomini e donne «in tutti gli ambiti della loro esistenza», portare conforto «nel travaglio della mutazione inedita» che si è prodotta dopo la cadu-ta dei muri, «della convulsa transizione in cui siamo immersi, che ha nel male oscuro della cosiddetta crisi economica, finanziaria e politica la sua palese espres-sione».

in questo libro il cardinale scola, «il ve-scovo preso a servizio dal popolo santo di dio», raccoglie gli articoli dedicati alla

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famiglia sul «messaggero di sant’anto-nio» tra il 2011 e il 2012. Pagina dopo pagina, il teologo che cita sì i vangeli, ma anche i Sonetti di shakespeare, don gius-sani e Testori, e il cui motto episcopale è Sufficit gratia tua, ci aiuta a capire l’amore vero e maturo, «il bell’amore che non è a buon mercato», quel sentimento intenso che esiste e va coltivato con cura, proprio come fanno le coppie buone e semplici le quali festeggiano anni di vita insieme e chiedono una benedizione speciale piena di gratitudine. il senso del futuro, la dif-ferenza sessuale, il valore della conviven-za, l’individualismo e la precarietà delle relazioni affettive, il pudore e la castità, che «non è la virtù del divieto», le fami-glie di fronte al dolore, il dono di un figlio, il significato di essere genitori, quindi le prospettive dell’affido e dell’adozione, il favor vitae. i temi, gli slanci e le infelicità di quell’umanità nascosta che riesce a coniugare virtù teologali (fede, speranza e carità) e virtù cardinali (prudenza, giu-stizia, fortezza, temperanza). come scola

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ha spiegato in una recente intervista con aldo cazzullo, pubblicata sul «corriere», «sarebbero belle virtù anche per un poli-tico».

Ferruccio de Bortoli

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Gennaio 2011

amore non è amore se…

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l’amore, quello vero, esiste: io l’ho incontrato. mentre lo scrivo vedo

già le vostre facce, quelle dei più vecchi (la mia generazione, per intenderci). facce perplesse, smarrite, anche scandalizzate: ma quale amore? oggi le parole sposo e sposa non si usano più – se non nei ca-taloghi di moda o presso le agenzie che organizzano eventi e cerimonie… –, è più facile che si parli di compagno o di com-pagna. il matrimonio è un bene in via di estinzione, sostituito dalle convivenze o, più sbrigativamente, dalle «storie». di fa-miglia si parla ancora, ma mi sembra un puzzle con i pezzi intercambiabili!

leggo sui maggiori quotidiani le dichia-razioni di intellettuali famosi: l’amore è un diritto – dicono – e come tale deve essere garantito a tutti. riguarda la sfera privata, e inviolabile, dell’individuo: ognuno lo vi-ve come vuole, con chi vuole, finché vuole. È ora di farla finita con un’idea di fami-

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glia ormai decotta, non più al passo con i tempi, la nostra legislazione si aggiorni: non possiamo essere il fanalino di coda d’europa.

ne sento parlare i giovani: i toni spaval-di e il linguaggio disinibito non riescono a nascondere la confusione (i loro pun-ti di riferimento? le vicende degli ultimi eroi televisivi o il Grande Fratello). gli occhi spesso già disincantati conservano però, a dispetto del cinismo o dell’indifferenza di noi adulti, un fondo di speranza, limpida, che non si rassegna a morire. Pretendo-no, anche senza dirlo magari neppure a se stessi, che l’amore sia una cosa seria, totale, per sempre.

«Amore non è amore se viene meno quando l’altro si allontana». Parole sospette, direte voi, che puzzano di candele. e invece ap-partengono ai Sonetti di shakespeare, uno dei più grandi conoscitori dell’umano di tutti i tempi, uno che ne ha scandagliato tutte le pieghe, anche quelle più oscure e nascoste. la fedeltà non è un accessorio opzionale dell’amore, che può esserci ma

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anche non esserci. non è un accidente, direbbero i filosofi scolastici, ma appar-tiene alla sostanza dell’amore. ne è un connotato costitutivo. «Vi sfido – ripeto spesso ai miei giovani – a trovare anche solo uno tra voi che, quando dice alla ragazza di cui è veramente innamorato “ti amo”, non aggiunga, apertis verbis o almeno come segreta speranza, “per sempre”».

c’è una differenza, che sulla distanza viene fuori nettamente, tra chi si ferma al-la pura passione (tanto bruciante quanto fugace) e imbocca decine di sentieri inter-rotti e chi, a fianco della persona ama-ta, pur tra mille inciampi e cadute dolo- rose, sceglie l’amore effettivo e percorre la strada iniziata con passione fino alla fine.

Quasi ogni domenica, durante la visita pastorale che sto facendo da più di cin-que anni nella mia diocesi, mi capita di incontrare coppie di sposi che festeggiano quaranta, cinquanta e anche sessant’an-ni di matrimonio e vengono a chiedermi una benedizione speciale che innalzi a dio