Famiglia dei Luteoviridae - francescofiume.altervista.org · • Le ORF1 e ORF2 dell'RNA virale...

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Famiglia dei Luteoviridae Classificazione Gruppo IV (+ssRNA) Ordine non assegnato Famiglia Luteoviridae Generi appartenenti alla famiglia Luteoviridae 1. Enamovirus, specie tipo Pea enation mosaic virus 1 (PEMV) 2. Luteovirus, specie tipo Barley yellow dwarf virus (BYDV) 3. Polerovirus, specie tipo Potato leafroll virus (PLRV) 4. Generi non assegnati. a. Genere Enamovirus 1. Pea enation mosaic virus 1 b. Genere Luteovirus 1. Barley yellow dwarf virus-kerII 2. Barley yellow dwarf virus-kerIII 3. Barley yellow dwarf virus-MAV 4. Barley yellow dwarf virus-PAS 5. Barley yellow dwarf virus-PAV 6. Bean leafroll virus 7. Rose spring dwarf-associated virus 8. Soybean dwarf virus c. Genere Polerovirus 1. Beet chlorosis virus 2. Beet mild yellowing virus 3. Beet western yellows virus 4. Carrot red leaf virus 5. Cereal yellow dwarf virus-RPS 6. Cereal yellow dwarf virus-RPV 7. Chickpea chlorotic stunt virus 8. Cotton leafroll dwarf virus 9. Cucurbit aphid-borne yellows virus 10. Maize yellow dwarf virus-RMV 11. Melon aphid-borne yellows virus 12. Pepper vein yellows virus 13. Potato leafroll virus 14. Suakwa aphid-borne yellows virus 15. Sugarcane yellow leaf virus 16. Tobacco vein distorting virus 17. Turnip yellows virus d. Generi non assegnati 1. Barley yellow dwarf virus-GPV 2. Barley yellow dwarf virus-SGV

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Famiglia dei Luteoviridae

Classificazione Gruppo IV (+ssRNA)

Ordine non assegnato

Famiglia Luteoviridae

Generi appartenenti alla famiglia Luteoviridae

1. Enamovirus, specie tipo Pea enation mosaic virus 1 (PEMV)

2. Luteovirus, specie tipo Barley yellow dwarf virus (BYDV)

3. Polerovirus, specie tipo Potato leafroll virus (PLRV)

4. Generi non assegnati.

a. Genere Enamovirus

1. Pea enation mosaic virus 1

b. Genere Luteovirus

1. Barley yellow dwarf virus-kerII

2. Barley yellow dwarf virus-kerIII

3. Barley yellow dwarf virus-MAV

4. Barley yellow dwarf virus-PAS

5. Barley yellow dwarf virus-PAV

6. Bean leafroll virus

7. Rose spring dwarf-associated virus

8. Soybean dwarf virus

c. Genere Polerovirus

1. Beet chlorosis virus

2. Beet mild yellowing virus

3. Beet western yellows virus

4. Carrot red leaf virus

5. Cereal yellow dwarf virus-RPS

6. Cereal yellow dwarf virus-RPV

7. Chickpea chlorotic stunt virus

8. Cotton leafroll dwarf virus

9. Cucurbit aphid-borne yellows virus

10. Maize yellow dwarf virus-RMV

11. Melon aphid-borne yellows virus

12. Pepper vein yellows virus

13. Potato leafroll virus

14. Suakwa aphid-borne yellows virus

15. Sugarcane yellow leaf virus

16. Tobacco vein distorting virus

17. Turnip yellows virus

d. Generi non assegnati

1. Barley yellow dwarf virus-GPV

2. Barley yellow dwarf virus-SGV

2

3. Chickpea stunt disease associated virus

4. Groundnut rosette assistor virus

5. Indonesian soybean dwarf virus

6. Sweet potato leaf speckling virus

7. Tobacco necrotic dwarf virus

Nella famiglia Luteoviridae vi sono 33 specie, divise in 3 generi, più un quarto gruppo costituito da

generi non ancora assegnati.

Luteoviridae è una famiglia di virus RNA a singolo filamento positivo.

Le piante servono come ospiti naturali. Il nome della famiglia deriva dalla parola latina virga (asta),

in quanto tutti i virus di questa famiglia sono a forma di asta, bacilliformi.

I virus della famiglia Virgaviridae sono caratterizzati da unica proteina di replicazione simile alle

proteine alfa.

I virus dei Luteoviridae non sono avvolti dal pericapside e presentano una geometria sferica con

virioni di circa 25-30 nm di diametro, con una simmetria icosaedrica formata da 180 proteine della

coat protein (figura 1).

Figura 1 – Virione di forma icosaedrica (a destra) di Luteoviridae. A sinistra si osserva

lo spessore della proteina di rivestimento CP (coat protein) e un (+)ssRNA.

ssRNA (+) del genoma è monopartito, lineare, di 5,3-5,7 kb. I polerovirus ed enamovirus hanno un

VPg (viral protein genome) legato al terminale 5 '. Non esiste una struttura di poli (A) o simile a

tRNA al terminale 3' (figura 2).

L'RNA del virione è infettivo e funziona come genoma e come RNA messaggero. La polimerasi

virale è espressa da un frameshifting ribosomale alla fine di ORF1.

A seconda del genere, diverse proteine possono essere prodotte mediante la perdita di scansione.

Quest’ultima è un meccanismo utilizzato nella traduzione di cellule eucariotiche che consente per

40s subunità ribosomiali di bypassare il codone di avvio iniziale di AUG (adenina-uracile-guanina)

e di iniziare la traduzione in ulteriori codoni di inizio AUG a valle.

La traduzione in cellule eucariotiche secondo la maggior parte dei meccanismi di scansione si

verifica al codone di inizio AUG prossimale all'estremità 5 'di mRNA.

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Quando le subunità ribosomali specifiche 40S scansionano l'mRNA a partire dall'estremità 5',

possono incontrare un "contesto sfavorevole" attorno al codone iniziale. Di solito, la perdita di

scansione avviene a causa di una moltitudine di difetti che circondano questo "contesto

nucleotidico" del codone di partenza.

Figura 2 – Schema del genoma dei Luteoviridae.

La soppressione della terminazione del codone di arresto CP produce CP-RTD (CP esteso) e la

subunità capsidica essenziale per la trasmissione da parte di afidi vettori.

La replicazione citoplasmatica avviene attraverso le seguenti fasi:

• Penetrazione del virus nella cellula ospite.

• Perdita del rivestimento capsidico (uncoating) e rilascio del RNA genomico virale nel

citoplasma.

• Le ORF1 e ORF2 dell'RNA virale sono tradotte per produrre la proteina di fusione RdRp

(RNA-dependent RNA polymerase).

• La replica avviene nelle fabbriche virali citoplasmatiche (figura 3). Un genoma dsRNA viene

sintetizzato dall'ssRNA(+) genomico.

• Il genoma dsRNA viene trascritto/replicato, fornendo così mRNA virali/nuovi genomi

ssRNA(+).

• Espressione dei coterminali 3' sgRNA.

• Traduzione di questi sgRNA per produrre le proteine capsidiche, CP-RTD e proteine di

movimento.

• Assemblaggio del virus.

• La proteina di movimento virale probabilmente media il trasferimento tra cellule virali e cellule

dell'ospite.

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Figura 3 - Le fabbriche virali sono compartimenti intracellulari (inclusioni) che aumentano l'efficienza

della replicazione virale e lo proteggono dalle difese ospitanti. Le fabbriche virali possono

essere citoplasmatiche o nucleari e spesso derivano da una riconversione estesa di

compartimenti citoscheletrici e/o cellulari delle cellule ospiti.

Il viroplasma (figura 3) costituisce delle dense inclusioni elettroniche citoplasmatiche in cui

avviene la replicazione virale e l'assemblaggio. Queste sono prodote dai virus nucleo-cytoplasmic

large DNA (NCLDV) come i Poxviridae, Asfarviridae e Iridoviridae, virus dsRNA come i

Reoviridae ssRNA (-) e come i Filoviridae.

Le sferule (tutte quelle di colore marrone che vediamo nella figura 3) sono invaginazioni della

membrana di diametro di 50-400 nm, in cui avviene la replicazione virale. Possono apparire in

diversi componenti cellulari, avvolte a seconda del virus: Tymoviruses nei cloroplasti, Tombusvirus

nei perossisomi, Nodaviridae nei mitocondri, Togaviridae negli endosomi e lisosomi e Flaviviridae

nel reticolo endoplasmatico. Tutti questi virus hanno un intermediario replicativo dsRNA e possono

replicarsi in compartimenti isolati per essere nascosti dall'immunità cellulare innata di dsRNA.

Le vescicole della doppia membrana (DMV) sono strutture membranose derivate dal reticolo

endoplasmatico o Golgi aventi un diametro di circa 200-300 nm (figura 3). Sono prodotte dalle

famiglie dei Picornaviridae e Nidovirales, Arteriviridae e Coronaviridae. Questi virus producono

dsRNA intermedio durante la replicazione e possono replicarsi in compartimenti isolati per essere

nascosti ai sensori dsRNA dell’immunità cellulare. Le strutture DMV dei Nidovirales sono

collegate da una sola rete di membrane derivate da ER.

I tubi virali (figura 3 e figura 4) costituiscono una struttura a membrana derivata dall’apparato del

Golgi, in cui avviene la replicazione nel Bunyaviridae. I tubi sono chiusi all’assemblaggio e la loro

funzione può essere quella di collegare la replicazione virale e la morfogenesi all'interno delle

fabbriche virali.

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Figura 4 - Modello di struttura funzionale dei tubi virali integrati nella

fabbrica virale. I tubi virali si assemblano in associazione

con le membrane del Golgi, usando actina endogena e NSm

polimerizzata come impalcatura. I tubi si collegano alle

cisterne RER e ai mitocondri che forniscono i fattori

cellulari necessari per la replicazione virale e

l'assemblaggio. La polimerasi virale (L) si concentra nel

dominio globulare. L'RNA virale replicato (fase 1), viene

protetto dall'interazione con le molecole N, abbondanti

intorno alle membrane Golgi e nei tubi interni. Le molecole

N entrano nei tubi attraverso le loro aperture al citoplasma.e

con l'aiuto dell’actimiosina assemblano gli RNP e quindi si

spostano verso il citoplasma (fase 2), dove si legano ai

domini citoplasmatici delle glicoproteine virali (Gc/Gn),

concentrate nelle vicine membrane del Golgi. Nuovi eventi

(fase 3) portano a formare particelle virali che incorporano,

all'interno, alcune quantità di proteine delle impalcature di

NSm e di actina. Particelle virali immature assemblate

sono, quindi, pronte per la maturazione e per la loro

escrezione (fase 4).

Il perossisoma è un organello cellulare vescicolare di circa 0,5-1 µm di diametro, ubiquitario negli

eucarioti (ad eccezione degli eritrociti), separato dal citoplasma da una membrana (figura 5) che

contiene almeno 50 enzimi ossidativi. In generale i perossisomi sono considerati comparti

metabolici specializzati, contenenti enzimi in grado di trasferire idrogeno da diverse sostanze e

legarlo all'ossigeno per la formazione di perossido di idrogeno (H2O2). In una cellula epatica vi

possono essere fino a 600 perossisomi all'interno dei quali è a volte rintracciabile un nucleo denso

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che contiene vari enzimi come perossidasi, l'urato ossidasi, la catalasi, il D-amminoacido ossidasi.

Alte concentrazioni di urato ossidasi ne perossisoma possono formare una struttura cristallina

identificabile al microscopio elettronico come un’area più scura e densa.

Il numero dei perossisomi varia da cellula a cellula e sono abbondanti nelle cellule che svolgono

intense attività metaboliche e detossificanti come, ad esempio quelle del fegato.

I perossisomi furono identificati per la prima volta come organelli cellulari dal biochimico belga

Christian de Duve nel 1967 dopo che erano stati descritti nel 1954 dallo svedese Johannes Rhodin. I

perossisomi esercitano molte azioni che vanno dall'ossidazione degli acidi grassi a lunga catena

(detta beta-ossidazione), alla sintesi del colesterolo e degli acidi biliari nelle cellule epatiche, alla

produzione di plasmalogeni. Intervengono altresì nel metabolismo degli amminoacidi e delle purine

e prendono parte al processo di smaltimento dei composti metabolici tossici.

Figura 5 – Immagine al microscopio elettronico dei perossisomi.

I perossisomi elaborano al loro interno il perossido di idrogeno H2O2 (da cui presero il nome), a

seguito dei processi di ossidazione, catalizzati da vari enzimi (urato ossidasi, glicolato ossidasi,

amminoacido ossidasi) che per svolgersi necessitano di ossigeno molecolare (O2). Il perossido di

idrogeno è altamente reattivo ed ha azione ossidante per cui viene subito eliminato dall'enzima

catalasi (uno dei più rappresentati) che catalizza la seguente reazione:

2 H2O2 → O2 + 2 H2O

Dal catabolismo degli acidi grassi a lunga catena si formano perossido di idrogeno e acetil

coenzima A (acetil CoA). L'acetil CoA viene utilizzato dalla cellula per il proprio metabolismo. Il

perossido di idrogeno ha potere lesivo nei confronti di microrganismi ed interviene in alcuni

processi di detossificazione.

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Il perossisoma contiene una membrana che separa il citoplasma cellulare dalla matrice, la parte

interna dell'organello. La membrana non ha solo funzione di barriera ma contiene molte proteine,

così come la matrice, necessarie per il funzionamento complessivo del perossisoma.

L'assemblaggio del perossisoma sembra avvenire in tre fasi:

1. all'inizio viene formata la membrana (pare che vi siano coinvolte almeno tre proteine PEX3,

PEX16, PEX19.),

2. successivamente vengono inserite le proteine transmembrana,

3. vengono, infine, inserite le proteine della matrice.

I perossisomi vengono assemblati a partire da vescicole che si distaccano dal reticolo

endoplasmatico (RE) e sono in grado di replicarsi per fissione binaria, pur non contenendo

materiale genetico.

Le proteine dei perossisomi, chiamate peroxine, vengono prodotte nel citoplasma ed importate nello

stesso perossisoma tramite il riconoscimento di una sequenza consenso della proteina da parte di un

recettore presente sulla membrana del perossisoma. In seguito all’importazione delle proteine, il

perossisoma aumenta di dimensioni e, raggiunto un punto critico, si divide per fissione binaria.

Si è detto che la membrana del perossisoma deriva dalla membrana dal RE. Difatti proteine

perossisomali di membrana sono state ritrovate in particolari regioni del RE. Si è pensato

inizialmente ad un problema di contaminazione, ma con l'avvento di nuove tecniche si è verificato

che queste proteine si trovano su particolari strutture del RE, dette estensioni lamellari. Queste

strutture sono visibili al microscopio e da queste prendono origine delle strutture tubulo-sacculari

che daranno luogo a un compartimento detto reticolo perossisomale. Da questo gemmano i

perossisomi che importano proteine della matrice.

Tutte le proteine del perossisoma vengono precedentemente sintetizzate nel citoplasma e

successivamente vengono condotte alla loro destinazione finale. Al momento si conoscono due

sequenze segnale (PTS1 e PTS2 da peroxisomal targeting signal) che vengono utilizzate per

indirizzare le proteine al perossisoma. Tali sequenze sono riconosciute da recettori specifici, PEX5

per PTS1 e PEX7 per PTS2, che trasportano la proteina interessata al perossisoma dove altre

proteine vengono utilizzate per effettuare il trasporto transmembrana fino alla matrice.

Il cloroplasto è un tipo di organulo presente nelle cellule dei vegetali (figura 6). All'interno di

questi organuli si svolge il processo della fotosintesi clorofilliana: l'energia luminosa viene catturata

dai pigmenti di clorofilla (e non solo) e viene convertita in energia chimica (ATP e NADPH).

Figura 6 – Schema di un cloroplasto.

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Nonostante la loro importanza come agenti di malattie emergenti, la scala temporale ed i processi

evolutivi che formano l'aspetto di nuove specie virali sono in gran parte sconosciute.

Per affrontare queste problematiche, sono stati analizzati i processi evolutivi intra-e interspecifici

nella famiglia dei Luteoviridae.

Utilizzando il gene della proteina del capside di 12 membri della famiglia Luteoviridae , sono state

determinate le loro relazioni filogenetiche, i tassi di sostituzione dei nucleotidi, i tempi di origine

comune e modelli di speciazione.

Un’analisi multigenica associata ha permesso di dedurre la natura delle pressioni di selezione e la

distribuzione genomica degli eventi di ricombinazione.

Anche se i tassi di evoluzione, le variazioni e le pressioni di selezione variano tra i geni e le specie e

sono inferiori in alcune regioni sovrapposte del gene, tutte rientrano nell'ambito di quelle osservate

nei virus a RNA degli animali.

I punti di interruzione della ricombinazione sono comunemente osservati ai confini dei generi, ma

meno all'interno dei geni.

L’analisi dell'orologio molecolare ha suggerito che l’origine delle specie della famiglia dei

Luteoviridae, attualmente presenti in natura, si è verificata negli ultimi 4 millenni, con diversità

genetica intraspecifica che nasce negli ultimi cento anni.

La speciazione all’interno dei Luteoviridae può, quindi, essere associata all'espansione dei sistemi

agricoli.

Infine, l'analisi filogenetica ha suggerito che gli eventi di speciazione virale tendono a verificarsi

all'interno delle stesse specie di origine vegetale e del paese di origine, come è previsto se la

speciazione in natura è in gran parte simpatica, piuttosto che allopatrica.

L'endosoma è un corpo vescicolare, presente nella cellula, il cui compito è quello di partecipare

all'endocitosi, ovvero al meccanismo cellulare che permette il transito attraverso la membrana di

macromolecole e corpuscoli, le cui dimensioni non consentono l'ingresso attraverso i meccanismi

del trasporto di membrana.

L'interno del comparto endosomico si mantiene acido (pH 5-6) grazie alla pompa protonica

alimentata da ATP, presente nella membrana endosomica, la quale trasferisce protoni dal citosol al

lume. Questo compartimento funge da centrale di smistamento della via endocitica diretta verso

l'interno, proprio come il complesso di Golgi trans per la via secretoria diretta verso l'esterno.

L'ambiente acido ha un ruolo chiave nello smistamento, inducendo molti recettori a svincolarsi dal

loro bagaglio molecolare. Alcuni di questi usciranno per gemmazione come nel caso dei recettori

delle LDL (low density lipoprotein); altri finiranno nei lisosomi per essere degradati; altri ancora

subiranno un processo di transcitosi. Le proteine seguiranno il destino dei recettori rimanendoci

legate, altre finiranno degradate nei lisosomi, che poi è il destino della maggior parte del contenuto

endosomico. Resta ancora da capire in che modo le proteine dagli endosomi passino ai lisosomi. Si

ipotizza che il passaggio avvenga grazie a vescicole di trasporto o forse che gli endosomi stessi si

trasformino gradualmente in lisosomi.

L'endosoma corticale (o precoce) è una vescicola di 0,4-0,7 µm, situata nel citoplasma sottostante la

membrana plasmatica, con un pH interno pari a 6,0-6,2.

L'endosoma, infine, si divide in tardivo e precoce.

Precoce per via della grande vicinanza alla membrana plasmatica, mentre tardivo per la lontananza

dalla membrana plasmatica.

L’endosoma precoce si forma per trasformazione della vescicola rivestita in vescicola non rivestita

per perdita del rivestimento di clatrina. La clatrina è riciclata sotto la membrana plasmatica, mentre

la vescicola non rivestita si fonde con un endosoma a formare l’endosoma precoce (figura 7). Si

ricorda che la clatrina è una proteina esamerica, coinvolta nell’endocitosi mediata da recettori,

costituita da tre catene pesanti e da tre catene leggere, organizzate in una struttura a tre punte, detta

triskelion. I triskelion polimerizzano tra loro in modo da costituire un reticolo poliedrico formato da

unità esagonali e pentagonali; tale reticolo è presente, all’inizio dell’endocitosi, al di sotto delle

fossette rivestite e successivamente forma una gabbia che circonda le vescicole citoplasmatiche.

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Figura 7 – Schema di formazione dell’endosoma precoce,

Con la perdita dei recettori, l’endosoma precoce matura in endosoma tardivo, il quale fonde con i

lisosomi primari e diventa lisosoma maturo (figura 8).

Figura 8 - Schema di formazione dell’endosoma tardivo.

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I mitocondri, si ricorda, sono organelli cellulari presenti negli organismi eucarioti e sono

considerati la centrale energetica della cellula. Al loro interno avviene la respirazione cellulare, con

cui sono in grado di produrre grandi quantità di energia sotto forma di molecole di adenosina

trifosfato (ATP).

I mitocondri (figura 9), di forma allungata, con un diametro di 0,5-1 µm ed una lunghezza di 1-4

µm, assieme ai cloroplasti, sono gli unici organelli cellulari che contengono un proprio genoma (di

tipo procariotico). I mitocondri si riproducono all’interno della cellula in maniera indipendente.

I mitocondri si sono originati circa 1,5 miliardi di anni fa, in seguito ad una endosimbiosi avvenuta

tra i progenitori delle cellule eucariote con alcune cellule procariote in grado di utilizzare ossigeno

.

Figura 9 – Schema di un mitocondrio. Le creste mitocondriali hanno lo scopo di

aumentare la superficie di contatto, ai fini della respirazione cellulare.

Trasmissione dei Luteoviridae

Le specie dei Luteoviridae sono trasmesse dagli afidi in un modo circolativo e non propagativo.

A tal proposito si ricorda che i numerosi agenti patogeni (virus, batteri, micoplasmi, funghi,

protozoi e nematodi) possono essere trasmessi, alle piante ed animali, dagli insetti. Con la

trasmissione meccanica il patogeno è trasmesso attraverso il semplice contatto delle appendici

boccali, delle zampe, delle feci o del rigurgito dell’insetto (veicolo). La trasmissione è immediata,

ma di scarsa durata.

Con la trasmissione biologica: esiste un adattamento anche molto specifico fra il patogeno e

l’insetto vettore. Questi, dopo una fase di acquisizione e di latenza (o incubazione) risulta capace di

trasmettere la malattia nella fase di inoculazione, anche per un lungo periodo di tempo (persistenza).

Durante l‘incubazione il patogeno entra spesso in circolo nel vettore, penetrando nelle

sue ghiandole salivari, da dove può essere inoculato (trasmissione circolativa). L’interazione

biologica è così stretta che il patogeno può addirittura replicarsi (virus) o moltiplicarsi (batteri,

fitoplasmi) all’interno del vettore (trasmissione propagativa), potendo addirittura penetrare nelle

sue gonadi ed essere trasmesso ai suoi discendenti.

Ciò richiede che il virus venga acquisito attraverso il tessuto intestinale nell’emocele degli afidi e

quindi uscire attraverso i tessuti delle ghiandole salivari.

Questo processo è specifico per ogni specie di afidi e comporta un riconoscimento specifico del

virus da parte di componenti non identificati sulle membrane del tessuto intestinale e salivare.

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Il trasporto attraverso i tessuti è un processo di endocitosi/esocitosi. Le proteine strutturali del virus

sono coinvolte nel processo di trasmissione, con più domini che regolano il movimento e la

sopravvivenza del virus negli afidi e nel sistema virus-ospite.

Una modalità specifica di interazione tra virus e artropodi vettori è stata ampiamente descritta nei

virus delle piante nelle tre famiglie Luteoviridae, Geminiviridae e Nanoviridae, ma mai negli

arbovirus degli animali.

Si ricorda che gli arbovirus, secondo una classificazione ormai datata, sono un vasto gruppo di virus

appartenenti a famiglie diverse e che possono accrescersi negli artropodi e nei vertebrati. Sono i

responsabili di zoonosi, trasmesse occasionalmente agli uomini da artropodi vettori tramite una

puntura. Il termine deriva dall'acronimo di arthropod-borne viruses. Gli arbovirus sono virus a

RNA, appartenenti a diverse famiglie (Flaviviridae, Togaviridae, Bunyaviridae, Reoviridae,

Rhabdoviridae).

Dopo questo inciso, il precedente discorso riprende con l’affermazione che la cosiddetta

trasmissione non propagativa circolatoria contrasta con la trasmissione biologica classica degli

arbovirus degli animali, in quanto i virus corrispondenti attraversano le barriere cellulare vettoriali,

dal lume intestinale all’emolimfa e alle ghiandole salivari, senza esprimere nessuno dei loro geni e

senza replicare.

Monitorando la composizione genetica delle popolazioni virali durante il ciclo di vitale di Faba

bean necrotic stunt virus (FBNSV), genere Nanovirus, si dimostrano i cambiamenti genetici

riproducibili durante il transito del virus all'interno del corpo dell’afide vettore.

Questi cambiamenti non si adattano alla concezione che i virus attraversino semplicemente i corpi

dei loro artropodi vettori e suggeriscono interazioni più intime, mettendo in discussione l’attuale

comprensione della trasmissione circolativa, non propagativa.

La trasmissione dei virus può avvenire in modo:

1. non persistente,

2. semipersistente,

3. persistente.

Trasmissione non persistente. Sono le virosi stilettari, dette anche stylet borne, che contaminano

solo temporaneamente l’apparato boccale dell’afide e vengono eliminati con la muta o con ripetute

punture (figura 10).

Figura 10 – I virus a localizzazione epidermica si legano

alle parti distali degli stiletti con l’ingestione,

mediante una proteina-colla (helper) indotta

dal patogeno (A). Il virus è rilasciato in una

pianta sana con l’immissione di saliva (B).

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Sono i più comuni, in quanto sono facilmente prelevati dalle cellule epidermiche della pianta,

attraverso le punture di assaggio, che l’afide esegue per identificare il substrato di alimentazione

idoneo, e ospitati temporaneamente in microscopiche anfrattuosità presenti sulla superficie dello

stiletto.

Tali virosi sono tipiche degli afidi, che sono sprovvisti di sensilli gustativi sugli apici delle

appendici boccali ed effettuano punture di assaggio sulle potenziali piante ospiti.

Il contenuto delle cellule epidermiche e parenchimatiche viene inviato in prossimità della pompetta

salivare dove è analizzato dai sensilli.

Se il succo non contiene i fagostimolanti adatti, viene travasato nelle cellule punte e l’afide riprende

la ricerca di una pianta idonea.

Nel caso in cui la pianta sia infettata da un virus a localizzazione epidermica, l’afide lo assume

immediatamente in quanto i virioni aderiscono nella porzione distale degli stiletti. In questa fase i

Potyvirus (ma non i Cucumovirus) aderiscono agli stiletti a mezzo della proteina-colla (helper) che

la pianta è indotta a produrre dall’RNA virale.

Figura 11 - Virosi non persistenti della patata. PVY, Potato virus Y, in pieno campo (A) e

sintomi su foglia (B) e su tuberi (C). Virus A della patata (D).

Le particelle virali si distaccano grazie probabilmente all’azione di una proteasi. Il virus non ha

periodo di incubazione, ma l’infettività viene presto perduta per disattivazione od in seguito alla

muta.

Nella figura 11 sono rappresentate alcune virosi non persistenti con i relativi sintomi che

interessano la patata.

Trasmissione semi-persistente. Questo tipo di trasmissione è anche detta stomodeale (figura 12),

poiché i virioni aderiscono a mezzo della proteina helper all’intima dell’intestino anteriore

(stomodeo).

L’afide, dopo aver accettato la pianta come ospite, raggiunge con gli stiletti i fasci floematici, dove

il virus è localizzato e successivamente acquisito.

Anche in questo caso non c’è periodo di latenza, ma il periodo infettivo è superiore rispetto ai virus

non persistenti.

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Con la muta le particelle virali sono allontanate, insieme alla cuticola dello stomodeo. I

Caulimovirus, anche se hanno localizzazione stilettare, hanno caratteristiche di virus semi-

persistenti.

In questi virus un componente dell’helper (la proteina P2, una proteina estrinseca di membrana che

appartiene alla superfamiglia delle lipocaline e alla famiglia delle proteine che legano gli acidi

grassi, FABP, favorendone il trasporto attraverso la membrana cellulare) interagisce con un

recettore non glicosilato immerso nella chitina degli stiletti.

Figura 12 – Trasmissione semi-persistente stomodeale dei virus.

Trasmissione dei virus persistenti. I virus persistenti sono divisi in due categorie:

a. virus persistenti circolativi (che non si moltiplicano nel vettore) e

b. virus persistenti propagativi, che si moltiplicano nel vettore e possono essere trasmessi alla

discendenza (figura 13).

I virus si muovono all’interno del vettore dal lume intestinale all’emolinfa o ad altri tessuti (tessuto

nervoso), per giungere infine alle ghiandole salivari, da cui sono nuovamente inoculate nella pianta

durante l’alimentazione dell’insetto vettore.

I virus persistenti possono essere trasmessi alla pianta anche dopo essere stati inoculati

sperimentalmente nell’emocele dell’insetto vettore.

Nella trasmissione dei virus persistenti circolativi, il virus dopo essere stato assunto dal floema

raggiunge l’intestino e da quest’ultimo (in particolare l’intestino medio) passa nell’emocele,

raggiungendo, infine, le ghiandole salivari.

All’adesione e veicolazione attraverso i tessuti dell’ospite partecipa il capside virale. Sebbene

l’adattamento al vettore sia elevato, non vi è replicazione virale al suo interno. I tempi di latenza

vanno da qualche ora a 1-2 giorni, ma l’infettività, una volta manifestatasi, può durare molto a

lungo.

Luteoviridae, Geminiviridae e Nanoviridae sono le famiglie di virus trasmesse in maniera

circolativa. Questi virus hanno particelle icosaedriche in cui gli acidi nucleici sono contenuti in un

capside proteico senza involucro lipidico. Luteovirus e nanovirus sono trasmessi esclusivamente da

afidi, mentre i geminivirus sono trasmessi da aleirodidi e cicadellidi.

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Il movimento e/o la replicazione dei virus persistenti e propagativi nei loro insetti ospiti

richiedono specifiche interazioni per superare quattro principali barriere:

1. barriera dell'infezione dell’intestino medio;

2. disseminazione attraverso la fuoriuscita dall'intestino medio ed infezione delle ghiandole

salivari;

3. fuoriuscita dalle ghiandole salivari;

4. superamento della barriera dell’infezione transovarica.

Figura 13 – Schema di trasmissione dei virus persistenti e propagativi, per cui i

virus replicano (si moltiplicano) anche all’interno del vettore.

Interazione Luteoviridae-vettore. Il capside di rivestimento dei Luteoviridae consiste di due

proteine di rivestimento: una proteina di 22 kDa ed una proteina (ReadThrough) di 76 kDa. La

proteina RT contiene un dominio readthrough (RTD) di 54-kDa al terminale C che protrude

all’esterno del virione.

I Luteoviridae interagiscono nelle diverse specie con differenti proteine vettori per muoversi

attraverso l’intestino e le ghiandole salivari attraverso meccanismi geneticamente distinti (luciferasi,

ciclofillina, omologo del rack-1).

I Luteoviridae entrano nelle cellule epiteliali dell’intestino del vettore per endocitosi e ne

fuoriescono invadendo l’emocele per esocitosi.

Entrambe le proteine capsidiche sono implicate nella trasmissione del virus, ma la capacità del virus

di invadere esclusivamente l’intestino medio è sotto il controllo di RTD. Entrambe queste proteine

sono glicosilate ed il nucleo glucidico gioca un ruolo centrale nell’invasione delle cellule epiteliali.

La glicosilazione riveste anche un ruolo indiretto, prevenendo la degradazione del virus, grazie

all’interazione della regione glicosilata con la chaperonina simbionina prodotta dal batterio

simbionte Buchnera aphidicola.

Evoluzione a lungo termine dei Luteoviridae: speciazione dei virus.

15

Anche se i virus a RNA sono gli agenti più comuni di malattie emergenti, gli aspetti chiave della

loro evoluzione sono ancora solo parzialmente comprensibili. Questo è di importanza accademica e

pratica, poiché l'evoluzione del virus può compromettere le strategie di controllo delle malattie,

compresa la rapida generazione di genotipi in grado di eludere risposte immunitarie o di quelli che

sono resistenti agli antivirali o alla resistenza genetica delle colture.

La maggior parte delle nostre conoscenze sulla rapidità dell'evoluzione dei virus a RNA deriva

dallo studio dei virus animali, per i quali le stime dei tassi di sostituzione dei nucleotidi

normalmente rientrano in un ordine di grandezza di 1 x 10-3

sostituzioni nucleotidi per sito all'anno

(sub/sito/anno) e in gran parte riflettono il programma del tasso di mutazione.

Gli studi equivalenti sui virus a RNA dei vegetali hanno riportato tassi più eterogenei. I primi studi

suggerivano che alcuni virus a RNA dei vegetali si sviluppassero più lentamente dei virus a RNA

che infettano gli animali. Ad esempio, le stime del tasso di sostituzione dei nucleotidi nell'intervallo

di 1 x 10-6

a 1 x 10-8

sub/sito/anno Sono stati ottenuti per Turnip yellow mosaic virus e per alcuni

tobamovirus.

Al contrario, stime più recenti attuate mediante l’uso del metodo della coalescenza bayesiana,

applicato a sequenze con dati noti di campionamento e che hanno permesso la variazione dei tassi

tra le linee, hanno riportato tassi di sostituzione nello stesso range dei virus a RNA riguardanti gli

animali, suggerendo tassi relativamente elevati di mutazione, come previsto, data la natura

intrinsecamente incline all'errore della replicazione di RNA. Così, come le differenze di questi tassi

stimati, hanno una ragionevole spiegazione biologica, per la presenza di polimorfismi mutazionali

inferiori in lungo periodo, perché qualsiasi mutazione deleteria sarebbe stata rimossa, purificando la

selezione. In particolare, molti ostacoli della popolazione alla trasmissione consentirebbero

mutazioni deleterie ad alta frequenza, a causa di una forte deriva genetica. Alcuni effetti rendono

pericoloso estrapolare i tassi di lungo termine di un cambiamento evolutivo dall'analisi dei dati di

una sequenza intraspecifica. Differenze nella forza dell'evoluzione adattativa potrebbero anche

causare eterogeneità dei tassi, inclusi alcuni processi come la competizione per individui suscettibili

e la colonizzazione di nuove specie ospiti.

Anche se c'è un crescente numero di dati sui processi intraspecifici evolutivi nei virus delle piante a

RNA, compresi i tassi di sostituzione nucleotidica, vi è stata una negligenza generale dei modelli

evolutivi a lungo termine, compresi i fattori determinanti della speciazione virale.

La speciazione è un processo evolutivo grazie al quale si formano nuove specie da quelle

preesistenti. Il fenomeno opposto è l’estinzione.

Il concetto di speciazione, essenzialmente sviluppato da Ernst Mayr, risulta dalla selezione naturale

e/o dalla deriva genetica, che sono i due motori dell'evoluzione. Questo fenomeno è una delle

colonne portanti del neodarwinismo.

Le diverse modalità di speciazione possono essere classificate in due ampie categorie:

• la divergenza adattiva, che consiste nello sviluppo graduale e in tempi lunghi dell’isolamento

riproduttivo, sotto la spinta della selezione naturale,

• la speciazione improvvisa, che avviene bruscamente e riguarda in massima parte la nascita di

individui (di solito vegetali) con corredo cromosomico poliploide (tabacco, cotone, patata).

Eccezioni sono le recenti analisi del Potyviridae e dei Sobemovirus, i quali associarono la

speciazione virale con lo sviluppo dell'agricoltura (Fargette et al., 2008; Gibbs et al., 2008).

La divergenza adattiva include 4 differenti modalità di speciazione, associate al livello in cui le

popolazioni in speciazione si sono geograficamente isolate le une dalle altre:

speciazione allopatrica, prevede l’esistenza di barriere geografiche che, separando due popolazioni

di individui della stessa specie in due territori differenti (definiti isole), interrompono il flusso

genico della popolazione iniziale, portando alla diversificazione di due specie differenti.

L’isolamento geografico può essere legato alla presenza di barriere naturali preesistenti quali

montagne, deserti, mari, oppure essere il risultato di una modificazione ambientale (innalzamento

del livello del mare, deviazione di un corso d’acqua, costruzione di barriere artificiali). Quando due

popolazioni di individui della stessa specie si trovano in condizioni di isolamento, le nuove

16

condizioni ambientali favoriscono, per selezione ulteriori, cambiamenti genetici, per cui, se

l’isolamento persiste per un periodo sufficiente, la neo-specie non sarà più in grado di incrociarsi

con la popolazione di origine. L’esempio classico, da cui prende origine questa teoria, è quello dei

“fringuelli di Darwin”, osservati da Charles Darwin sulle isole Galapagos;

speciazione parapatrica, quando la divergenza avviene all’interno di popolazioni che non sono

totalmente isolate geograficamente, ma possiedono una ristretta zona di contatto. Le migrazioni tra

popolazioni sono, tuttavia, limitate poiché queste ultime si perpetuano all’interno di condizioni

ambientali differenti (per esempio gradienti climatici). La selezione naturale ha dunque un ruolo

importante in questa modalità di speciazione.

Se le due specie hanno acquisito completo isolamento riproduttivo possono sovrapporsi, in base alle

preferenza di habitat.

Se si sono sviluppate barriere di isolamento riproduttivo, ma non compatibilità ecologica, gli areali

si mantengono parapatrici.

Se non sono state acquisite barriere anti-ibridazione, si forma una zona di contatto che porta alla

formazione di ibridi, nei quali possono evolvere barriere post-copula;

speciazione peripatrica o speciazione per "effetto del fondatore", avviene quando un piccolo

numero di individui costituisce una nuova popolazione ai margini dell’areale della specie di origine,

ad esempio, colonizzando una piccola isola vicina alla costa. La nuova popolazione può

rapidamente evolvere in una nuova specie. A questo modello sono riferibili i casi di semi-specie,

circoli di specie, super specie;

speciazione simpatrica avviene quando due popolazioni non isolate geograficamente si evolvono

in specie distinte, grazie alla presenza di polimorfismo nel tempo. In questo caso la selezione

naturale gioca un ruolo cruciale nella divergenza delle popolazioni. Il fenomeno presenta, tuttora,

degli aspetti controversi, ma è stato ben documentato in alcuni casi, per esempio nei pesci di acqua

dolce della famiglia dei Ciclidi.

I principali studi in questo campo riguardano gli esperimenti sulla Drosophila. La speciazione

simpatrica può avvenire per formazione di una criptospecie, ossia di una popolazione non più

interfeconda con la specie di origine, a causa di alterazioni del cariotipo. Questo meccanismo può

rientrare tra le modalità di speciazione improvvisa.

La speciazione improvvisa o speciazione istantanea, è un processo che riguarda prevalentemente

gli organismi vegetali e si verifica in tempi brevi. Tipica causa è il fenomeno della poliploidia, che

consiste, come è noto, in un aumento del numero di cromosomi rispetto al normale assetto diploide.

La poliploidia può avvenire per:

• una non-disgiunzione dei cromosomi durante il processo mitotico o meiotico;

• un processo meiotico o mitotico avvenuto senza errori, ma senza la successiva citodieresi.

Pertanto, prendendo in esame un qualunque individuo diploide, si ha una situazione del genere:

o l'individuo effettua la meiosi;

o durante la meiosi, avviene una non-disgiunzione dei cromosomi: i gameti risulteranno quindi

diploidi;

o i gameti si incrociano tra loro: lo zigote risultante sarà tetraploide, ossia avrà un assetto

cromosomico doppio rispetto al suo ascendente originario, cioè rispetto all’organismo iniziale

preso in considerazione.

Tuttavia, la formazione di criptospecie avviene per lo più a livello di ibridi, cioè di individui frutto

dell’incrocio di due specie differenti e quindi sterili. Nel caso degli organismi vegetali, gli ibridi

sterili sopperiscono attraverso la riproduzione. Nel 2011 è stato documentato il caso di speciazione

simpatrica in organismi termofili

Nel contesto di virus a RNA, la speciazione allopatrica può essere considerata come la

diversificazione genetica che si verifica quando i virus salgono verso nuove specie ospitanti e,

successivamente, si evolvono in modo indipendente, come comunemente associato al processo di

emergenza virale. Al contrario, la speciazione simpatrica avrebbe luogo quando i virus si

diversificheranno all'interno di una singola specie ospitante, forse sfruttando diversi tipi di cellule

17

(Holmes, 2009). Nonostante l'importanza di questi processi per la comprensione della

macroevoluzione dei virus a RNA, i loro rispettivi ruoli sono attualmente sconosciuti.

Per comprendere meglio la natura dei processi evolutivi a lungo termine nei virus a RNA dei

vegetali, è stata intrapresa un’ampia analisi molecolare evolutiva della famiglia Luteoviridae, una

famiglia eterogenea di virus vegetali suddivisi in tre generi, Luteovirus, Polerovirus ed Enamovirus,

come detto all’inizio, contenenti rispettivamente cinque, nove ed una specie classificate, nonché una

serie di specie non classificate (Fauquet et al., 2005). I luteoviridi possiedono un genoma RNA a

singolo filamento di 5.600-6.000 nucleotidi (nt). Questi genomi possono ospitare cinque o sei ORF.

Il 5'–prossimale parzialmente sovrapponibile a ORF1 e ORF2 codifica le proteine P1 e P2, che sono

coinvolte nella replicazione del virus.

La bassa frequenza di –1 ribosomiale nella regione sovrapposta provoca la fusione di P1-P2 RNA

dipendente dalla proteina RNA polimerasi (RdRp). ORF3 codifica la proteina del capside (CP) e

contiene completamente ORF4, che non è presente negli Enamovirus ed è necessaria per il

movimento del virus nella pianta (proteina di movimento, MP). L’ORF5, che è necessaria per la

trasmissione da parte degli afidi (Brault et al., 2005; Gray e Gildow, 2003; Miller et al., 2002) ed è

anche coinvolta nel movimento del virus e nella limitazione del floema dei Luteoviridae (Peter et

al., 2009), è tradotto attraverso il codone terminatore di ORF3, esistente come un dominio di lettura

(RTD) fuso a CP. I membri del genere Polerovirus hanno una extra ORF0 supplementare nel

terminale 5' del genoma che si sovrappone parzialmente a ORF1. Il suo prodotto di traduzione (P0)

funge da repressore della risposta alla difesa dell’impianto di silenziamento RNA (Mangwende et

al., 2009; Pfeffer et al., 2002). Infine, alcune specie di Luteovirus hanno un ulteriore ORF6 con una

funzione sconosciuta nel terminatore 3' del genoma (Fauquet et al., 2005; Miller e Rasochova,

1997; Smith e Barker, 1999). Come conseguenza di questa particolare organizzazione genomica,

circa un terzo del genoma dei Polerovirus ed una frazione minore nel genoma dei Luteovirus sono

composte da regioni sovrapposte.

A causa della loro importanza agronomica, i dati della sequenza genica, insieme ad informazioni

sulla gamma degli ospiti e sulla distribuzione geografica, sono disponibili per un numero

relativamente elevato di membri della famiglia Luteoviridae. Tuttavia, fino ad oggi l’unico

Luteovirus per il quale sono stati stimati i tassi di cambiamento evolutivo è il Barley yellow dwarf

virus (BYDV). In questo caso, un’analisi dei tassi di sostituzione basati su RNA virale estratto da

esemplari di erbario ha prodotto stime tra i 6,2 x 10-4

e 9,7 x 10-5

sub/sito/anno (Malmstrom et al.,

2007). Allo stesso modo, solo una stima del punto in cui la diversità genetica è nata nella famiglia

Luteoviridae è stata rilevata, cioè circa 9.000 anni fa, forse associata al’'aumento di sviluppo

dell’agricoltura (Fargette et al., 2008). Tuttavia, solo un numero limitato di specie e sequenze di

Luteoviridae sono stato incluso in questa analisi.

Nessun studio ha ancora considerato i meccanismi della speciazione nella famiglia Luteoviridae.

La famiglia Luteoviridae rappresenta anche un set di dati utile per studiare altri due fenomeni

evolutivi: il pattern e le determinanti della ricombinazione, che sembra essere comune all’interno

della famiglia Luteoviridae (Gibbs, 1995; Miller et al., 2002; Moonan et al., 2000; Smith e Barker,

1999; Stevens et al., 2005) e le diverse dinamiche evolutive geniche con ORF sovrapposte. Esistono

ipotesi contrastanti sul fatto che le ORF sono utilizzate in modo così comune nei virus a RNA.

Secondo una certa visione, la sovrapposizione genica massimizza l’informazione genetica in

genomi più piccoli (Barrell et al., 1976; Jordan et al., 2000). In alternativa, è stato suggerito che la

sovrapposizione genica genera robustezza mutazionale (cioè la capacità di preservare i fenotipi,

malgrado il carico genomico mutazionale) a livello di popolazione (Belshaw et al., 2007; Elena e

Sanjua, 2005; Krakauer e Plotkin. 2002). Secondo questa ipotesi, la sovrapposizione genica genera

un’ipersensibilità a mutazioni deleterie, in quanto queste influenzano più di un gene.

Anche se questa ipersensibilità riduce la capacità di ciascun individuo a tamponare gli effetti della

mutazione, essa rappresenta un vantaggio selettivo per i genotipi di tipo selvatico, che poi aumenta

la robustezza a livello di popolazione (Elena e Sanjua, 2005; Krakauer e Plotkin. 2002). Come

conseguenza di questo elevato carico di mutazione deleteria, i virus a RNA con proporzioni più

18

grandi dei loro genomi presenti come ORF sovrapponibili, dovrebbero presentare bassi tassi di

sostituzione dei nucleotidi (Krakauer, 2000; Miyata e Yasunaga, 1978). Tale riduzione di tasso è

stata osservata in molti virus a DNA e RNA (Hughes et al., 2001; Hughes e Hughes, 2005; Pavesi,

2006; Zaaijer et al., 2007; Zhao et al., 2007), anche se solo alcuni studi hanno considerato, in

questo contesto, i virus a RNA patogeni dei vegetali (Guyader e Ducray, 2002; Ranjith-Kumar,

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