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6 Fallimenti del mercato e intervento pubblico Che cosa vedremo in questo capitolo? I principali obiettivi dell’intervento pubblico: efficienza sociale ed equità. I casi in cui il mercato non conduce all’efficienza sociale: i cosiddetti fallimenti del mercato (esternalità, beni pubblici, monopolio). Le modalità di intervento pubblico: l’imposizione di tasse o l’emanazione di provvedimenti normativi. Se l’intervento dello stato può sempre aggiustare le cose. In tempi recenti, in molti paesi ci si è affidati sempre più al mercato come meccanismo di allocazione delle risorse. Privatizzazioni, deregolamentazioni di industrie, riduzione della spesa pubblica e del gettito fiscale e, in generale, una significativa limitazione dell’intervento pubblico in materia economica sono misure adottate diffusamente, non soltanto da governi conservatori, ma anche da governi di centro e di centro-sinistra. In Europa, ad esempio, i primi anni novanta sono stati caratterizzati da una diffusa opera di riequilibrio dei conti pubblici pressoché in tutti i paesi, al fine di avvicinarsi ai requisiti fissati a Maastricht per l’ammissione al progetto di moneta comune, e tuttora l’esigenza di mantenere il disavanzo pubblico entro determinati limiti condiziona la dimensione della spesa pubblica. Nonostante la crescente fiducia nel mercato, non sempre questo funziona come meccanismo di allocazione efficiente delle risorse. Sebbene le nostre società siano sempre più ricche e prospere, i fiumi, i laghi e i mari sono inquinati, le strade congestionate e spesso invase dai rifiuti, le nostre vite sono dominate dagli interessi delle grandi imprese e la qualità di molti dei prodotti che acquistiamo è scadente. Lo stato, quindi, svolge tuttora un molo fondamentale nell’economia: dalla costruzione e manutenzione delle strade, alla fornitura di servizi importanti come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico e il sistema giudiziario; dalla protezione sociale sotto forma di pensioni e altre forme di assicurazione sociale, alla tutela della concorrenza e alla regolamentazione delle imprese. In questo capitolo studiamo i principali casi di «fallimenti del mercato» (parr. 1-3). Vedremo quindi come l’intervento dello stato possa porre rimedio a tali fallimenti (parr. 4-6). Infine, ci chiederèmo se sia meglio un maggiore o un minore intervento pubblico. Per decidere il livello ottimo di intervento pubblico, è innanzitutto necessario identificare i vari obiettivi sociali che tale intervento si prefigge di raggiungere. I due obiettivi principali identificati dagli economisti sono la massimizzazione del benessere sociale o efficienza sociale e l’equità. Il benessere sociale va qui inteso à la Marshall come la somma dei surplus netti di tutti gli individui (consumatori e produttori) appartenenti alla società considerata (che sono quindi valutati su un piano di parità). Equità. Molti sostengono che il libero mercato non è in grado di realizzare una distribuzione equa delle risorse, visto che permette ad alcune persone di vivere nel lusso sfrenato mentre costringe altre alla miseria più nera. 11 significato di equità è, come ovvio, una questione ampiamente dibattuta 135

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Fallimenti del mercato e intervento pubblico Che cosa vedremo in questo capitolo? I principali obiettivi dell’intervento pubblico: efficienza sociale ed equità. I casi in cui il mercato non conduce all’efficienza sociale: i cosiddetti fallimenti del

mercato (esternalità, beni pubblici, monopolio). Le modalità di intervento pubblico: l’imposizione di tasse o l’emanazione di

provvedimenti normativi. Se l’intervento dello stato può sempre aggiustare le cose.

In tempi recenti, in molti paesi ci si è affidati sempre più al mercato come meccanismo di allocazione delle risorse. Privatizzazioni, deregolamentazioni di industrie, riduzione della spesa pubblica e del gettito fiscale e, in generale, una significativa limitazione dell’intervento pubblico in materia economica sono misure adottate diffusamente, non soltanto da governi conservatori, ma anche da governi di centro e di centro-sinistra. In Europa, ad esempio, i primi anni novanta sono stati caratterizzati da una diffusa opera di riequilibrio dei conti pubblici pressoché in tutti i paesi, al fine di avvicinarsi ai requisiti fissati a Maastricht per l’ammissione al progetto di moneta comune, e tuttora l’esigenza di mantenere il disavanzo pubblico entro determinati limiti condiziona la dimensione della spesa pubblica. Nonostante la crescente fiducia nel mercato, non sempre questo funziona come meccanismo di allocazione efficiente delle risorse. Sebbene le nostre società siano sempre più ricche e prospere, i fiumi, i laghi e i mari sono inquinati, le strade congestionate e spesso invase dai rifiuti, le nostre vite sono dominate dagli interessi delle grandi imprese e la qualità di molti dei prodotti che acquistiamo è scadente. Lo stato, quindi, svolge tuttora un molo fondamentale nell’economia: dalla costruzione e manutenzione delle strade, alla fornitura di servizi importanti come l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’ordine pubblico e il sistema giudiziario; dalla protezione sociale sotto forma di pensioni e altre forme di assicurazione sociale, alla tutela della concorrenza e alla regolamentazione delle imprese. In questo capitolo studiamo i principali casi di «fallimenti del mercato» (parr. 1-3). Vedremo quindi come l’intervento dello stato possa porre rimedio a tali fallimenti (parr. 4-6). Infine, ci chiederèmo se sia meglio un maggiore o un minore intervento pubblico. Per decidere il livello ottimo di intervento pubblico, è innanzitutto necessario identificare i vari obiettivi sociali che tale intervento si prefigge di raggiungere. I due obiettivi principali identificati dagli economisti sono la massimizzazione del benessere sociale o efficienza sociale e l’equità. Il benessere sociale va qui inteso à la Marshall come la somma dei surplus netti di tutti gli individui (consumatori e produttori) appartenenti alla società considerata (che sono quindi valutati su un piano di parità). Equità. Molti sostengono che il libero mercato non è in grado di realizzare una distribuzione equa delle risorse, visto che permette ad alcune persone di vivere nel lusso sfrenato mentre costringe altre alla miseria più nera. 11 significato di equità è, come ovvio, una questione ampiamente dibattuta

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anche in politica. Sebbene in genere la destra, la sinistra e il centro abbiano visioni anche molto diverse in materia, è largamente condivisa l’idea che lo stato abbia il dovere di ridistribuire il reddito dai ricchi ai poveri attraverso il sistema fiscale e i trasferimenti pubblici, e forse anche di garantire ai poveri forme di protezione sociale, quali ad esempio un salario minimo e un sussidio di disoccupazione. Pur non volendo trascurare l’importanza del dibattito sull’equità, che tuttavia riguarda più la sfera politica, ci concentriamo in questo capitolo sull’obiettivo dell’efficienza sociale, vale a dire sulla massimizzazione del benessere sociale. Efficienza sociale. Se i benefici marginali sociali (BMGS,) di produrre (o consumare) un bene eccedono i corrispondenti costi marginali sociali (CMGS), allora diciamo che è socialmente efficiente produrre (o consumare) quel bene in misura maggiore. Ad esempio, se i benefici che si ottengono da un maggior numero di autostrade eccedono l’incremento di costo ad esso collegato, allora è socialmente efficiente costruire più autostrade. In altri termini tale operazione aumenta il benessere sociale. Se al contrario i costi marginali sociali di produrre (o consumare) un bene eccedono i benefici marginali sociali, allora è socialmente efficiente produrne (o consumare) di meno. Se i benefici marginali sociali di un ‘attività sono uguali ai costi marginali sociali, allora il livello attuale di produzione (consumo) è socialmente ottimale e non va modificato. Quindi, per massimizzare il benessere sociale, bisogna: produrre (consumare) di più se BMGS> CMGS, produrre (consumare) di meno se BMGS, < CMGS, mantenere la produzione (il consumo) al suo livello se BMGS, = CMGS,

L’efficienza sociale costituisce un esempio di efficienza allocativa: la migliore allocazione delle risorse tra usi alternativi. Nella realtà economica, il mercato conduce raramente all’efficienza sociale in modo spontaneo: i benefici marginali sociali di molti beni non uguagliano i corrispondenti costi marginali sociali. In parte ciò è dovuto all’esistenza di esternalità, in parte al basso grado di concorrenza dei mercati, in parte alla mancanza di informazioni sia da parte degli acquirenti che dei venditori e in parte al fatto che l’aggiustamento dei mercati verso l’equilibrio richiede tempo, data la frequente rigidità dei fattori di produzione nel breve periodo. In questo capitolo analizzeremo questi fallimenti del mercato e vedremo che cosa può fare lo stato per correggere la situazione. Illustreremo anche perché lo stesso stato può non riuscire a raggiungere l’efficienza sociale.

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1. ESTERNALITÀ E BENI PUBBLICI Che cosa succede se ci sono mercati incompleti? 1.1. Esternalità Il mercato non conduce all’efficienza sociale se le azioni di produttori e consumatori hanno effetti diretti sul benessere di altri individui, oltre che sul loro, senza che il mercato ne possa tenere conto. Tali effetti sono noti come esternalità: si tratta di effetti collaterali su terzi dovuti all’attività di produzione o di consumo. Le esternalità possono essere positive o negative. Quando altre persone ottengono effetti benefici da una certa attività, si parla di esternalità positive; quando invece ne subiscono gli effetti indesiderati, si parla di esternalità negative. Quindi i costi complessivi per la società (i cosiddetti costi sociali) della produzione di un bene sono dati non solo dai costi privati sostenuti dai produttori tua anche dalle esternalità negative della produzione. Allo stesso modo, i benefici totali per la società (i benefici sociali) dovuti alla produzione di quello stesso bene sono dati non solo dai benefici privati netti dei consumatori ma anche dalle esternalità positive generate nel consumo. Esistono quattro principali tipi di esternalità: esternalità di produzione, positive e negative, esternalità di consumo, positive e negative. Un’economia di mercato in genere non riesce a raggiungere l’efficienza sociale. Vi sono diversi tipi di fallimento del mercato;questi ultimi forniscono una delle principali motivazioni per l’intervento pubblico in economia. Le esternalità sono costi o benefici esterni di cui il mercato non tiene conto. Quando si presentano, un’economia di mercato non riesce a raggiungere spontaneamente l’efficienza sociale. 1.1.1. Esternalità negative di produzione (CMGS > CMG) Quando un’azienda chimica scarica rifiuti in un fiume o inquina l’aria, la comunità sopporta dei costi aggiuntivi rispetto a quelli privati sostenuti dall’impresa stessa per svolgere la sua attività. Il costo marginale sociale (CMGS,) della produzione eccede quindi il costo marginale privato (CMG). Graficamente, la curva CMGS sta al di sopra della curva CMG. Ciò viene mostrato nella figura 6.la, in cui si assume che l’impresa operi in un mercato perfettamente concorrenziale e sia quindi price-taker (con una curva di domanda orizzontale). L’impresa massimizza il proprio profitto in corrispondenza di q1, il livello di output per cui il prezzo è uguale al costo marginale (cap. 5, par. 2). Il prezzo rappresenta la cifra che i compratori del bene sono disposti a pagare per averne un’unità in più (se non lo fosse non lo comprerebbero) e riflette quindi il loro beneficio marginale. Ipoti2ziamo che non siano presenti esternalità derivanti dal consumo e che quindi il beneficio marginale per i consumatori coincida con il beneficio marginale sociale (BMGS,). L’output socialmente ottimo, quello che massimizza il benessere sociale, è q2, in corrispondenza di p (cioè BMGS) = CMGS. L’impresa, tuttavia, produce q1 che è superiore all’ottimo sociale, in quanto, nel decidere quanto produrre per massimizzare il suo profitto, prende in considerazione solo i suoi costi privati e non anche le esternalità generate. Vi è un eccesso di produzione dal punto di vista dell’efficienza sociale. Il problema delle esternalità negative di produzione si verifica nelle economie di mercato perché, ad esempio, alcune particolari risorse naturali non possono essere oggetto di proprietà privata; non si possono prevedere diritti di proprietà sull’aria o sull’acqua dei fiumi e proprio per questo non si può impedire che vengano utilizzati illegalmente come discarica. L’incompletezza dei mercati genera le esternalità; spetta all’autorità pubblica neutralizzarle. Altri esempi di esternalità negative di produzione sono: la distruzione di flora e fauna causata da un’agricoltura estensiva, le piogge acide causate dai fumi del carbone e i rifiuti radioattivi delle centrali nucleari.

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1.1.2. Esternalità positive di produzione (CMGS, <CMG) Si consideri un’impresa di trasporti che investe nella formazione dei propri autisti. Ogni anno alcuni autisti già formati si dimettono per andare a lavorare per le imprese concorrenti. E chiaro che queste ultime, non avendo sostenuto il costo di formazione del nuovo personale, avranno costi inferiori a quelli dell’impresa considerata. La società nel suo complesso trae beneficio dell’avvenuta formazione (inclusi gli stessi autisti che hanno in tal modo acquisito abilità vendibili sul mercato del lavoro) anche se l’impresa che ha investito non ne trae vantaggio. Il Costo marginale sociale della formazione è quindi inferiore al costo marginale privato dell’azienda. Nella figura 6. lb, la curva CMGS è più bassa della curva CMG. Il livello di output (il numero di autisti già formati) è q1, determinato dalla condizione p = CMG, ed è inferiore all’ottimo sociale, q2, che si ha quando p = CMGS. Un altro esempio di esternalità positiva di produzione è dato dalle spese in ricerca e sviluppo. Se altre imprese hanno accesso ai risultati della ricerca, allora chiaramente i benefici si estendono oltre l’impresa che la finanzia. Poiché l’impresa prende in considerazione soltanto i benefici privati, sceglierà un livello di ricerca inferiore a quello socialmente ottimo. Un ulteriore esempio di questo tipo è dato dagli effetti positivi sulla qualità dell’aria di un’impresa che svolge un’opera di riforestazione. 1.1.3. Esternalità negative di consumo (BMGS < BMG) La figura 6.2a mostra la funzione del beneficio marginale dell’uso di un’automobile (BMG) e il suo prezzo (il costo della benzina e il «logoramento» per chilometro) per un individuo. Il beneficio marginale diminuisce all’aumentare della distanza percorsa. La distanza ottima percorsa è pari a q1 chilometri, che corrisponde al punto in cui il beneficio marginale (BMG) del nostro ipotetico automobilista è uguale al prezzo (p). Se infatti il beneficio marginale relativo al consumo di un bene o di un servizio misurato in termini di ammontare massimo che si è disposti a pagare per ogni sua unità eccede il prezzo, il consumatore vorrà consumarne di più. Se invece il beneficio marginale è inferiore al prezzo, il consumatore vorrà consumarne di meno. Il livello ottimo di consumo nell’esempio dell’automobilista è stabilito dalla condizione BMG = p in q1 chilometri. Ma l’utilizzo dell’automobile dà luogo a esternalità negative quali gli scarichi, il traffico, il rumore, ecc., che riducono il beneficio marginale dell’intera società legato all’uso delle automobili rispetto al

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beneficio marginale privato dell’automobilista. Quindi la curva BMG è sempre inferiore alla curva BMG. Assumendo che non ci siano esternalità nella produzione, e che pertanto il costo marginale sociale coincida con il prezzo, il benessere sociale sarà massimo nel punto in cui BMGS, = p, cioè per una distanza percorsa pari a q2, inferiore rispetto alla distanza percorsa dall’automobilista q1. Quindi, quando ci sono esternalità negative nel consumo, il livello effettivo di consumo sarà troppo elevato dal punto di vista sociale. Altri esempi di esternalità negative nel consumo includono gli effetti sulle altre persone dell’ascolto di musica ad alto volume in luoghi pubblici, del consumo, fumo e dei rifiuti solidi urbani.

1.1.4. Esternalità positive di consumo (BMGS > BMG) Quando alcuni viaggiano in treno e non in automobile, altri beneficiano della riduzione del traffico, degli scarichi e del numero di incidenti sulle strade. Quindi il beneficio marginale sociale del trasporto su rotaia è maggiore del beneficio marginale privato per il singolo viaggiatore. In altre parole, il trasporto ferroviario presenta esternalità positive. In tal caso la curva BMGS, della figura 6.2b è superiore alla curva BMG e il livello di consumo socialmente ottimo (q2) è superiore al livello effettivo (q1). Quindi, in presenza di esternalità positive nel consumo, il livello effettivo di consumo è troppo basso rispetto all’ottimo sociale. Altri esempi di esternalità positive nel consumo sono dati dagli effetti positivi sugli altri dell’uso di deodoranti o del ricorso alle vaccinazioni. Nel caso di esternalità positive, dunque, la quantità prodotta e consumata sarà troppo bassa rispetto all’ottimo sociale. Nel caso di esternalità negative, la quantità prodotta e consumata sarà troppo alta. In entrambi i casi le soluzioni di mercato non portano all’uguaglianza tra BMGS e CMGS. Si noti che queste argomentazioni sono state sviluppate in un contesto di concorrenza perfetta, con prezzi stabiliti dal mercato e dati sia per i consumatori che per i produttori. Le esternalità, tuttavia, possono essere presenti anche in mercati di concorrenza imperfetta o di monopolio. 1.2. Beni pubblici Esiste una categoria di beni per i quali le esternalità positive sono talmente elevate rispetto ai benefici privati che il libero mercato, sia esso perfetto o imperfetto, non li produce. Essi sono noti come beni pubblici. Ne sono esempi i fari, i marciapiedi, le dighe, le fognature pubbliche, i pubblici

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servizi come la polizia e persino l’attività dello stato. I beni pubblici hanno due importanti caratteristiche: la non-rivalità nel consumo e la non-escludibiità. • Se consumiamo una tavoletta di cioccolato, questa non potrà essere consumata da nessun altro. Se, invece, camminiamo lungo un marciapiede o godiamo dei benefici dell’illuminazione pubblica, non impediamo ad altri di fare altrettanto. Questa caratteristica è nota come non-dualità nel consumo. I beni pubblici hanno benefici marginali sociali di gran lunga superiori ai corrispondenti benefici privati. Questa loro caratteristica li rende socialmente desiderabili, ma non profittevoli dal punto di vista privato. Ad esempio, nessuno in città sarebbe disposto a pagare da solo per rifare il fondo stradale nella via in cui abita, poiché il beneficio privato sarebbe troppo basso rispetto al costo. Eppure il beneficio sociale di tutti quelli che ci passano sarebbe di gran lunga superiore. • Se contribuisco a costruire una diga che protegga la mia casa da un’inondazione, arrecherò un beneficio anche ai vicini che non vi hanno contribuito, poiché non posso impedire che traggano anch’essi vantaggio dalla diga. Questa caratteristica di non-escludibilità fa sì che gli individui conseguano comunque dei vantaggi e quindi abbiano l’incentivo a non contribuire al pagamento. Le persone che ottengono vantaggi dall’utilizzo di beni pubblici senza aver contribuito sono definite «free-rider». A livello sociale si pone il problema di evitare, o almeno limitare, tale comportamento. Quando i beni hanno queste due caratteristiche, il libero mercato non li produce. Solo lo stato, dunque, o imprese private finanziate dal governo possono essere disposti a produrre beni pubblici. Si noti che non tutti i beni e servizi prodotti dal settore pubblico rientrano comunque nella categoria di beni pubblici: ad esempio, l’istruzione e la sanità sono forniti dal governo, ma possono anche essere, e in alcuni casi lo sono, forniti dal settore privato.

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2. IL POTERE MONOPOLISTICO COME CAUSA DI FALLIMENTO DEL MERCATO Quali problemi generano le grandi imprese? Ogni qualvolta i mercati sono imperfetti, sia che si tratti di monopolio, di monopsnio1, o di qualche altra forma di concorrenza imperfetta, BMG, non sarà uguale a CMGS, anche in assenza di esternalità. Prendiamo il caso del monopolio. Un monopolista produce una quantità inferiore all’output socialmente efficiente (fig. 6.3). Come già noto (cap. 5, par. 3), la sua curva di domanda è decrescente, per cui il ricavo marginale è inferiore al ricavo medio, a sua volta uguale al prezzo. Il profitto del monopolista è massimo quando il ricavo marginale uguaglia il costo marginale, quindi in corrispondenza dell’output q1 e del prezzo P1 nella figura 6.3. Ma poiché il prezzo è superiore al ricavo marginale, in equilibrio il prezzo deve essere anche superiore al costo marginale. Se non ci sono esternalità, il prezzo coincide con il beneficio marginale sociale e il costo marginale privato con quello sociale e quindi l’output socialmente efficiente sarà q2, dove BMGS = p = CMG,. Poiché q2 > q1, il monopolista produce meno dell’ottimo sociale.

2.1. Perdita di benessere sociale dovuta al monopolio 2.1.1. Surplus del consumatore e del produttore Per analizzare la perdita di benessere associata al monopolio usiamo i concetti di surplus del consumatore e del produttore. Il surplus netto del consumatore (definito nel cap. 2, par. 7.3) è il beneficio complessivo (o «utilità») derivante dal consumo di un dato bene al netto della spesa totale. Il surplus del produttore è dato dal profitto. I due concetti vengono illustrati nella figura 6.4 nella quale è illustrata un’industria che può operare alternativamente in concorrenza perfetta o in monopolio alle stesse condizioni di costo. Surplus del consumatore. In concorrenza perfetta l’industria produrrà un output Qc al prezzo pc, dove CMG = p = RME, cioè si posizionerà nel punto a. Come sappiamo, il surplus lordo del consumatore è dato dall’area sotto la curva di domanda — la somma di tutte le aree da 1 a 7. Questo perché ogni punto sulla curva di domanda indica l’ammontare massimo che il consumatore è disposto a pagare per ottenere quella data unità del

1 Per monopsonio si intende la situazione di mercato in cui c’è un unico soggetto che domanda un bene. Monopolio dal lato della domanda, quindi.

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bene, vale a dire il beneficio marginale del consumo del bene. L’area sotto la curva di domanda quindi rappresenta il totale di tutti questi benefici marginali, da un livello di consumo nullo fino a Qc, cioè il beneficio totale di tutti i consumatori. La spesa totale dei consumatori è pcQc (area 4+5+6+7). Il surplus netto del consumatore si ottiene come differenza tra il surplus lordo e la spesa totale: in altre parole, il triangolo formato dall’area 1+2+3. Surplus del produttore. Il surplus del produttore, o profitto, è la differenza tra il suo ricavo totale e il suo costo totale. Il costo totale è l’area sotto la curva CMG, supponendo che non vi siano costi fissi (area 6+7). Infatti ogni punto sulla curva del costo marginale indica quanto costa produrre l’ultima unità. L’area sotto la curva CMG quindi mostra tutti i costi marginali dal punto in cui l’output è nullo fino a Qc, cioè il costo totale. Il ricavo totale è uguale alla spesa dei consumatori e quindi uguale a PC QC (area 4+5+6+7). Il surplus del produttore è quindi l’area tra il prezzo e la curva CMG (area 4+5). Benessere sociale. Il benessere sociale, che comprende sia il surplus del consumatore che quello del produttore, è l’area tra la curva di domanda e la curva CMG, come indicato dall’area ombreggiata 1+2+3+4+5.

2.1.2. Effetti del monopolio sul benessere sociale Cosa accade quando l’industria opera in regime di monopolio? L’impresa produce in corrispondenza del livello di output per cui CMG = RMG, quindi Qm al prezzo pm; essa si posiziona nel punto b sulla curva di domanda. Il ricavo totale è pmQm (area 2+4+6). Il costo totale è l’area sotto la curva CMG (area 6). Il surplus del produttore, quindi, è dato dall’area 2+4. È chiaramente maggiore del surplus in concorrenza perfetta, dal momento che l’area 2 è maggiore dell’area 5: i profitti di monopolio sono maggiori dei profitti di concorrenza perfetta. Il surplus netto del consumatore, tuttavia, è molto minore. Con un consumo pari a Qm, il surplus lordo dei consumatori è dato dall’area 1+2+4+6, mentre la spesa è data dall’area 2+4+6. Il surplus netto è semplicemente la differenza tra le due aree, vale a dire l’area 1. Mentre in concorrenza perfetta l’area 2 era parte del surplus netto del consumatore, in monopolio essa è parte del profitto del monopolista. Il benessere sociale in monopolio è quindi costituito dalle aree 1+2+4 ed è inferiore rispetto al caso di concorrenza perfetta. La monopolizzazione dell’industria ha generato

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una perdita di benessere pari alle aree 3+5. Il guadagno del produttore è inferiore alla perdita del consumatore. Tale riduzione di benessere è detta perdita secca. 2.2. Conclusioni Come abbiamo visto, l’esistenza di imprese con potere di mercato può anche generare vantaggi sociali, quali il migliore sfruttamento delle economie di scala e maggiori investimenti in ricerca e sviluppo, che possono compensare la perdita netta di benessere appena descritto (cap. 5, par. 3.4). Sarebbe ideale per la società che le imprese fossero abbastanza grandi da poter beneficiare di economie di scala, ma allo stesso tempo venissero persuase o indotte a non aumentare il prezzo rispetto al costo marginale in assenza di esternalità, in modo da produrre nel punto in cui p = CMG.

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3. ALTRI FALLIMENTI DEL MERCATO In quali altri modi può fallire il mercato? 3.1. Ignoranza e incertezza In concorrenza perfetta, per ipotesi, i consumatori, le imprese e i fornitori dei fattori produttivi conoscono esattamente costi e benefici di ogni attività e sanno fare calcoli di ottimizzazione. Invece nel mondo reale c’è sempre un elevato grado di ignoranza e incertezza, per cui gli individui non sono in grado di uguagliare benefici e costi marginali. Alcuni beni di consumo durevole vengono acquistati poche volte nella vita. Le automobili, le lavatrici, i televisori rientrano in questa categoria. Quando i consumatori non sono a conoscenza della qualità dei beni prima dell’acquisto, si trovano in una posizione contrattuale di debolezza. In tal caso la pubblicità può anche essere ingannevole, convincendo i consumatori del fatto che un dato bene abbia certi benefici che in realtà non ha. Le imprese spesso non conoscono le opportunità di mercato, i prezzi e i costi dei rivali, oppure non possono osservare la produttività dei lavoratori. Molte decisioni economiche sono basate su aspettative di condizioni future. Poiché il futuro non può mai essere noto con certezza, saranno prese molte decisioni che a posteriori risulteranno sbagliate. In alcune situazioni è possibile ottenere informazioni attraverso il mercato. Esistono agenzie che raccolgono e vendono informazioni. In tal caso bisogna decidere se conviene sostenere il costo per ottenere l’informazione per assicurarsi i benefici legati all’informazione stessa. Purtroppo non sempre si può giudicare l’affidabilità o la rilevanza dell’informazione che si acquista. 3.2. Immobilità dei fattori e inerzia Anche in mercati di concorrenza perfetta i fattori produttivi potrebbero reagire con ritardo a variazioni della domanda e dell’offerta. Il lavoro, ad esempio, potrebbe essere poco mobile, sia in termini geografici che tra settori, dando luogo a situazioni di eccesso di domanda con salari elevati o di eccesso di offerta con la creazione di extraprofitti. Potrebbe trascorrere molto tempo prima di arrivare all’equilibrio di lungo periodo. E quindi possibile che l’economia si trovi in costante stato di disequilibrio: via via che gli individui rispondono ai segnali di mercato e si muovono verso l’equilibrio, quest’ultimo si sposta per altri motivi e l’ottimo sociale non è mai raggiunto. In situazioni di monopolio o monopsonio, il problema è reso più grave: le imprese o, ad esempio, i sindacati possono erigere barriere per impedire l’entrata di nuove imprese o fattori di produzione e proteggere quindi le proprie posizioni di potere. Il problema dell’inerzia. Può volerci molto tempo perché gli individui reagiscano a variazioni del contesto economico in cui operano. In tal caso l’economia può avere difficoltà a raggiungere l’efficienza sociale. 3.3. Protezione degli interessi individuali 3.3.1. Soggetti dipendenti da volontà altrui Non sempre gli individui prendono personalmente le proprie decisioni economiche. Essi dipendono spesso da decisioni altrui. I genitori decidono per i figli, ciascun partner per l’altro, gli adulti per gli anziani, i manager per gli azionisti, ecc. Il libero mercato risponderà a queste decisioni, siano esse buone o cattive, siano esse prese nell’interesse dei soggetti dipendenti oppure no. Tuttavia, lo stato potrebbe considerare necessario offrire tutela a coloro che, volenti o nolenti, dipendono dalle decisioni prese da altri in loro vece.

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3.3.2. Il problema principale-agente Il problema appena descritto non è altro che un esempio di una situazione più generale definita dagli economisti come problema principale-agente. Nelle moderne economie complesse un individuo (il principale) può realizzare un certo obiettivo, o può realizzarlo più facilmente, solo attraverso l’azione di un altro (l’agente). Ad esempio, se vogliamo andare in vacanza, è più facile rivolgersi a un’agenzia di viaggi che non organizzarsi personalmente. Allo stesso modo, se vogliamo acquistare una casa, conviene rivolgersi a un’agenzia immobiliare. Si tratta di agenzie che, grazie alle loro conoscenze specifiche, possono far risparmiare tempo ed energie (e che esemplificano i benefici della specializzazione e della divisione del lavoro). Anche le imprese assumono individui con conoscenze e abilità specifiche per svolgere determinati compiti. Esse si rivolgono spesso a società di consulenza o comprano i servizi di imprese specializzate, come le agenzie pubblicitarie. Lo stesso vale per i dipendenti delle imprese, che possono essere considerati agenti dei loro datori di lavoro, ma anche dei loro dirigenti. I giovani manager sono agenti dei manager più anziani, i quali sono agenti dei dirigenti, che a loro volta lo sono degli azionisti. Spesso nelle grandi imprese si trova una catena complessa di relazioni principale-agente. L’esempio classico è dato dalle grandi società per azioni in cui, si sostiene, tende a esservi un conflitto di interessi tra i proprietari dell’impresa (gli azionisti), che sono i principali, e coloro che la controllano (i manager), che sono agenti degli azionisti. Dal momento che l’agente ha i propri obiettivi egoistici, non necessariamente in linea con quelli del principale, anch’essi egoistici, queste relazioni presentano un pericolo intrinseco per il principale: c’è informazione asimmetrica tra le due parti. L’agente conosce particolari rilevanti dal punto di vista economico che il principale non conosce — e infatti, è proprio la competenza specifica dell’agente che motiva il suo impiego. Il pericolo dunque è che l’agente approfitti ditale vantaggio informativo per fare i propri interessi e non quelli del principale. Ad esempio, l’agenzia immobiliare che cerca di venderci una casa potrebbe non informarci che i vicini sono rumorosi o che il proprietario è disposto ad accettare un prezzo molto più basso; un commerciante di automobili usate potrebbe non dirci della ruggine presente sul fondo dell’auto o della sua storia di inaffidabilità. Cosa può fare il principale per ovviare al problema? Per risolverlo è necessaria la presenza di due elementi: il principale deve avere qualche strumento per controllare la performance dell’agente (ad

esempio, un’impresa potrebbe chiedere ad alcuni esperti esterni all’impresa di controllare l’operato del suo management);

l’agente deve avere l’incentivo ad agire nell’interesse del principale (ad esempio, lo stipendio di un manager potrebbe essere strettamente correlato alla redditività dell’impresa).

In un mercato concorrenziale, gli interessi dei manager e degli azionisti di solito coincidono. I manager devono garantire l’efficienza dell’impresa per affrontare la concorrenza, altrimenti potrebbero perdere il posto di lavoro. Tuttavia, in condizioni di monopolio o di oligopolio, dove sono spesso presenti extraprofitti, gli interessi degli azionisti e dei manager possono essere contrapposti. Sarà dunque interesse degli azionisti istituire meccanismi di incentivo che assicurino che i loro agenti, i manager, perseguano l’obiettivo della massimizzazione del profitto. 3.3.3. Decisioni economiche inappropriate Lo stato potrebbe intervenire qualora ritenesse che gli individui debbano essere protetti dagli esiti indesiderati delle proprie decisioni economiche (ad esempio quando in un libero mercato gli individui consumano troppe cose dannose per la loro salute). E possibile scoraggiare il fumo e il consumo di bevande alcoliche, imponendo tasse sul tabacco e sull’alcol. In casi più estremi, si possono combattere alcune attività, come la prostituzione, alcuni tipi di gioco d’azzardo, la vendita e il consumo di droghe, dichiarandole illegali. D’altra parte, lo stato può intervenire quando ritiene che gli individui consumino una quantità troppo bassa di beni da cui trarrebbero benefici, come

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l’istruzione, l’assistenza sanitaria e le attività sportive. Tali beni sono noti come beni di merito. Il governo li può fornire gratuitamente oppure ne può finanziare la produzione. 3.4. Fino a che punto gli economisti possono consigliare il governo? Non è obiettivo dell’economia formulare giudizi sull’importanza relativa dei diversi obiettivi sociali. Essa può solo permettere di confrontare, dal punto di vista dell’efficienza individuale e sociale, diversi strumenti per raggiungere dati obiettivi. In primo luogo, quindi, occorre che tali obiettivi siano identificati in modo chiaro dalle autorità di politica economica. In secondo luogo, essi devono essere quantificabili in modo da poter confrontare l’impatto delle diverse politiche su un dato obiettivo e quindi la loro efficacia nel raggiungerlo. Alcuni obiettivi, come la crescita del reddito nazionale e le variazioni nella distribuzione del reddito, sono relativamente facili da quantificare. Altri, come il benessere della comunità, sono invece praticamente impossibili da misurare. E anche per questo motivo che l’economia tende a concentrarsi sugli strumenti che permettono di raggiungere un ristretto gruppo di obiettivi facilmente misurabili. Il pericolo implicito in questo modo di procedere è che gli economisti diano troppo peso al raggiungimento di alcuni obiettivi, trascurandone altri importanti. Alcuni obiettivi sociali possono entrare in conflitto tra loro. Ad esempio, l’efficienza economica può essere incompatibile con una maggiore uguaglianza tra i cittadini. Nel caso di simili trade-off l’economista può solo chiarire tutti gli effetti, sia desiderati che indesiderati, di una data politica e lasciare che le autorità decidano se i benefici in termini di un obiettivo compensino i costi da sostenere in termini di un altro obiettivo. Quando ci sono più politiche alternative, gli economisti possono confrontare l’efficacia relativa ditali diverse politiche e pronunciarsi sull’alternativa migliore. In tal caso è possibile affermare che la politica A è preferibile alla politica .6 perché i suoi benefici sono superiori ai costi che genera in termini di tutti gli obiettivi dichiarati. D’altra parte, se le stesse due politiche alternative risultano rispettivamente le migliori alternative possibili per due obiettivi diversi, tutto ciò che l’economista può fare è illustrare la situazione e lasciare la decisione all’autorità. Nella società si manifestano «trade-off» tra obiettivi economici. Ad esempio l’obiettivo dell’efficienza può entrare in conflitto con quello dell’equità sociale. È un esempio di costo-opportunità: il costo di raggiungere un obiettivo può implicare il sacrificio di un altro. L’esistenza di tali trade-off implica che le autorità di politica economica non possano raggiungere tutti gli obiettivi ma debbano scegliere quali perseguire e a quali rinunciare.

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4. INTERVENTO PUBBLICO: TASSE E SUSSIDI Tasse e sussidi risolvono il problema delle esternalità? In che modo lo stato può far fronte ai fallimenti del mercato? A un estremo, può sostituirsi completamente al mercato, fornendo direttamente beni e servizi. Una filosofia compatibile con l’economia di mercato, invece, è quella di indurre i soggetti privati, quali i produttori, i consumatori o i lavoratori, a comportarsi in un certo modo, ricorrendo a tasse, sussidi, leggi e autorità di regolamentazione. Esaminiamo ora queste forme di intervento pubblico. 4.1. L’uso di tasse e sussidi Lo strumento preferito da molti economisti è costituito da tasse e sussidi. Tali strumenti hanno due effetti principali: a) promuovono un più elevato benessere sociale modificando il livello e/o la composizione di produzione e consumo; b) permettono una redistribuzione del reddito. Concentriamoci qui sul primo obiettivo, lasciando invece a corsi più specialistici lo studio del secondo. La presenza di imperfezioni nei mercati impedisce la massimizzazione del benessere sociale: il beneficio marginale sociale (BMGS,) non uguaglia il costo marginale sociale (CMGS). Ne risulta che, dal punto di vista sociale, occorre modificare il livello di output. E’ possibile utilizzare tasse e sussidi per correggere queste imperfezioni, seguendo essenzialmente il seguente approccio: prevedere l’imposizione di tasse sui beni prodotti in quantità eccessiva e quella di sussidi sui beni prodotti in quantità insufficiente. 4.1.1. Tasse e sussidi per correggere le esternalità La regola in questo caso è semplice: per correggere l’esternalità lo stato deve imporre una tassa uguale alla differenza tra costo marginale sociale e costo marginale privato, ovvero accordare un sussidio uguale alla differenza tra beneficio marginale sociale e beneficio marginale privato. Se, ad esempio, un’azienda chimica emette fumi nocivi, inquinando in tal modo l’atmosfera, essa genera un’esternalità negativa per chi respira quei fumi. Il costo marginale sociale della produzione chimica eccede quindi il costo marginale privato per l’impresa: CMGS>CMG. Questo caso è illustrato nella figura 6.5. Il costo marginale dell’inquinamento (l’esternalità) è dato dalla distanza verticale tra le curve CMG e CMGS. Per semplicità, si assume che l’impresa sia price-taker e che dunque produca q1 dove p = CMG (l’output che massimizza il suo profitto); in tal modo essa però non tiene conto del costo dell’inquinamento che impone alla società. Imponendo una tassa t per ogni unità prodotta pari al costo marginale dell’inquinamento imposto sulla società, lo stato riesce a internalizzare efficacemente l’esternalità. L’impresa dovrà pagare una somma pari al danno sociale dovuto all’esternalità negativa che genera. Essa ora sceglierà di produrre la quantità q2, vale a dire l’output socialmente ottimo in corrispondenza del quale BMGS=CMGS,. Questo tipo di tassa è nota come tassa di Pigou, dal nome dell’economista inglese che per primo propose questa manovra correttiva nel corso degli anni venti. 4.1.2. Tasse e sussidi per correggere il monopolio Se l’aspetto del monopolio che il governo intende affrontare è dato dagli extraprofitti dell’impresa, allora può imporre una tassa in somma fissa (lumpsum) sul monopolista, vale a dire una tassa indipendente dalla quantità prodotta o dal prezzo praticato. Una tassa in somma fissa, a differenza di una tassa proporzionale alla quantità prodotta (tassa specifica) o al ricavo dell’impresa (tassa ad valorem), provoca un aumento dei costi fissi dell’impresa e, di conseguenza, non influisce sul suo costo marginale e sulla quantità prodotta dal monopolista. Dato che il monopolista produce una

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quantità inferiore all’output socialmente efficiente, lo stato dovrebbe concedergli un sussidio specifico, in modo da incoraggiare una maggiore produzione. Tuttavia, per evitare un ulteriore aumento dei profitti del monopolista, si potrebbe accompagnare il sussidio specifico con una tassa in somma fissa. In tal modo viene corretta la distorsione sulla quantità prodotta dovuta al monopolio, senza però provocare un contestuale aumento dei profitti del monopolista.

4.2. Vantaggi di tasse e sussidi La ragione per cui molti economisti prediligono le tasse e i sussidi come strumenti per correggere le imperfezioni del mercato (specialmente le esternalità) è che essi sono compatibili con un’economia di mercato. Tale soluzione, infatti, costringe le imprese a internalizzare i costi sociali delle proprie attività. Inoltre presenta anche il vantaggio di essere flessibile e rapidamente aggiustabile secondo la dimensione del problema: quanto maggiore è la differenza tra costo marginale sociale e costo marginale privato, tanto maggiore sarà l’ammontare della tassa. Tale sistema ha anche il pregio di indurre comportamenti desiderabili nel lungo periodo. Ad esempio, le imprese costrette a pagare una tassa per le loro pratiche inquinanti sono incoraggiate a individuare tecnologie più accettabili dal punto di vista sociale. La tassa agisce quindi anche come incentivo a ridurre l’inquinamento nel lungo periodo: quanto più l’impresa riesce a ridurre l’inquinamento che genera, tanto minore sarà l’ammontare di tasse che dovrà pagare. Allo stesso modo, quando lo stato sussidia attività che danno luogo a esternalità positive, le imprese hanno incentivo ad aumentarne il livello. 4.3. Svantaggi di tasse e sussidi Impossibilità di imporre tasse o sussidi diversi. Ogni impresa produce diversi tipi e livelli di esternalità e opera in presenza di diversi gradi di concorrenza imperfetta. Dal punto di vista amministrativo sarebbe molto difficile e costoso, se non addirittura impossibile, imporre a ciascuna impresa la sua aliquota specifica particolare (o concedere un particolare sussidio specifico). Anche nel caso dell’inquinamento, sarebbe necessario utilizzare diverse aliquote per ciascuna impresa che inquina, quando è possibile misurarne le emissioni, differenziate anche in base alla capacità dell’impresa di assorbire l’inquinamento senza scaricarlo all’esterno e al numero di persone danneggiate. L’uso congiunto di tasse in somma fissa e di sussidi specifici al fine di correggere le distorsioni del monopolio su quantità prodotta e profitti il più delle volte risulta impraticabile. Dato che le curve dei costi e dei ricavi sono sostanzialmente diverse da un’impresa all’altra, bisognerebbe ancora

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utilizzare diversi livelli di tassazione e di sussidio per impresa. Per amministrare un sistema fiscale così complesso, il governo dovrebbe assumere un esercito di ispettori. Difficoltà nel determinare tasse e sussidi. Anche se lo stato decidesse di imporre una tassa diversa da impresa a impresa uguale al suo costo marginale esterno, sarebbe comunque difficile misurare tali costi e accertare la responsabilità della singola impresa. Il danno causato dalle piogge acide a laghi e foreste ha destato preoccupazione sin dall’inizio degli anni ottanta. Ma quanto grave è tale danno e quanto durano i suoi effetti? Qual è il suo costo monetario effettivo? Chi sono i responsabili? A queste domande è necessario rispondere con precisione. E perciò impossibile fissare in modo equo la tassa sull’inquinamento, ad esempio, di una centrale elettrica a carbone. Nonostante questi problemi, è pur sempre possibile far pagare alle imprese per le emissioni che producono. Ad esempio, esse potrebbero pagare il fumo prodotto dalle loro ciminiere in proporzione all’inquinamento da esse realizzato. Sebbene la misura ditale proporzione sia imprecisa, legare la tassazione al danno sociale prodotto rappresenta pur sempre un modo per internalizzare l’esternalità.

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5. INTERVENTO PUBBLICO: LEGGI E REGOLAMENTAZIONI Lo stato dovrebbe impedire il comportamento scorretto delle grandi imprese? 5.1. Leggi che vietano o che regolamentano situazioni o comportamenti non desiderabili. Spesso le leggi sono utilizzate per correggere le imperfezioni del mercato. Tali leggi sono principalmente di tre tipi: leggi che proibiscono o regolamentano comportamenti che generano esternalità negative, leggi che scoraggiano le imprese dal fornire informazioni false o fuorvianti e leggi che regolamentano monopoli e oligopoli o che ne impediscono la costituzione. 5.1.1. Vantaggi delle restrizioni legali • Sono solitamente semplici, di facile comprensione e spesso relativamente facili da amministrare. In questo modo, ad esempio, è possibile vietare o limitare numerose attività inquinanti. • Quando si ritiene che il pericolo legato a una serie di comportamenti (ad esempio, l’uso di diversi composti chimici inquinanti) sia molto serio, o quando la sua entità non è ancora nota, potrebbe essere molto più sicuro vietarli per legge invece di ricorrere alla tassazione. • Quando è necessario decidere in fretta si può realizzare un piano di emergenza. Ad esempio, in una città come Atene è stato ritenuto più semplice vietate o limitare l’uso di automobili private durante i periodi di emergenza da inquinamento da smog che tassarne l’uso. • Dal momento che i consumatori, che hanno un’informazione incompleta, sono contrattualmente deboli, le leggi che li proteggono possono rendere illegale la vendita di prodotti non sicuri o di scarsa qualità, o la pubblicità ingannevole. 5.1.2. Svantaggi delle restrizioni legali Il problema principale è che le restrizioni legali tendono ad essere armi piuttosto deboli senza un meccanismo che assicuri l’osservanza delle norme. Se, ad esempio, un’impresa fosse costretta a ridurre gli scarichi di un composto chimico inquinante in misura pari a 20 tonnellate la settimana, essa non avrebbe alcun incentivo a farlo, a meno che non vi sia un’autorità di controllo che applichi forti penalità in caso di inosservanza. Al contrario, se viene imposta una tassa sugli scarichi, quanto più l’impresa riduce le emissioni, tanto meno tasse dovrà pagare. La tassazione specifica genera quindi un incentivo continuo a ridurre l’inquinamento e a migliorare la sicurezza della tecnologia. 5.2. Istituzioni preposte alla regolamentazione Invece di ricorrere al debole strumento delle restrizioni legali per vietare o limitare diverse attività, si può seguire un approccio più sottile che prevede l’istituzione di agenzie di regolamentazione. Una volta identificati i possibili casi di intervento (ad esempio, potenziali casi di inquinamento, di informazioni ingannevoli odi abuso di potere monopolistico), l’autorità di regolamentazione dovrebbe condurre un’inchiesta e preparare una relazione con i risultati ottenuti dall’indagine e le sue proposte di intervento. Potrebbe anche essere investita del potere di rendere esecutive le sue decisioni. In quasi tutti i paesi industrializzati esistono istituti di regolamentazione nei principali settori dei servizi di pubblica utilità (come ad esempio in Italia l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni). Un altro esempio è dato dalle autorità antitrust che operano a tutela della concorrenza sui mercati. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato è stata istituita in Italia nel 1990 e si occupa di indagare i casi di violazione della concorrenza, nella forma di intese, abusi di posizione dominante, concentrazioni e pubblicità ingannevole. Il vantaggio delle autorità di regolamentazione rispetto alle restrizioni legali è che le prime sono in grado di applicare la filosofia del caso per caso, tenendo conto di tutte le circostanze specifiche, con

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il risultato che può essere individuata più facilmente la soluzione appropriata. I problemi di questo approccio, tuttavia, sono che: a) le indagini possono essere costose e richiedere molto tempo; b) solo pochi casi possono essere esaminati con il necessario approfondimento; c) le imprese incriminate possono promettere di tenere un comportamento corretto senza che l’istituto di regolamentazione possa effettivamente controllare l’implementazione delle restrizioni comminate.

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6. ALTRE FORME DI INTERVENTO PUBBLICO Quali altri strumenti sono a disposizione dello stato? 6.1. Estendere 11 contenuto del diritto di proprietà Una causa dei fallimenti del mercato è data dalla natura del diritto di proprietà. Se qualcuno scarica dei detriti nel vostro giardino, la legge sicuramente vi protegge. È il vostro giardino, la vostra proprietà, pertanto potete pretendere che i detriti siano rimossi. Se tuttavia qualcuno scarica un ammasso di detriti nel proprio giardino, ma confinante con il vostro, cosa potete fare? La vista dalla vostra finestra potrebbe esserne compromessa, ma non avete alcun diritto di proprietà sul giardino confinante. Il diritto di proprietà definisce chi ha la proprietà, gli usi che si possono fare di un particolare bene, i diritti altrui e le modalità di trasferimento. Estendendo il contenuto ditale diritto, è possibile impedire che altri impongano costi aggiuntivi al proprietario, o obbligarli a indennizzarlo se lo fanno. Tuttavia, in molti casi questo tipo di soluzione è del tutto impraticabile. Lo è quando gli individui colpiti sono molti e subiscono un leggero svantaggio, specialmente se i costi indesiderati vengono imposti da un gruppo numeroso di persone. Ad esempio, se fossi disturbato da camion rumorosi che passano vicino casa, non sarebbe possibile negoziare con ciascuna compagnia di trasporti coinvolta. Cosa potrei fare se volessi impedire che i camion passino lungo la strada dove abito, ma il mio vicino preferisse far pagare loro un pedaggio? L’estensione del diritto di proprietà diventa una soluzione praticabile quando le persone che impongono costi sono poche, facilmente identificabili e responsabili di costi sociali ben definiti. In questo modo potrebbe essere approvata una legge in materia di riduzione dell’inquinamento acustico che mi permetta di impedire ai vicini di ascoltare radio ad alto volume, di organizzare feste rumorose o di turbare in altri modi la quiete della mia casa. Dovrei essere io, parte lesa, a denunciare questi reati all’autorità competente; potrei rinunciare a sporgere denuncia qualora mi venga offerta un’adeguata compensazione. Ma anche in casi in cui sono coinvolte poche persone potrebbe presentarsi il problema dell’azione legale. La parte lesa che ha l’onere della prova deve sostenere costi e dedicare tempo per intraprendere l’azione legale, e poiché quest’ultima non è gratuita, chi è ricco si trova in posizione avvantaggiata, anche perché può ingaggiare i migliori avvocati. Quindi, anche se ho il diritto di citare in giudizio un’impresa di grandi dimensioni che scarica rifiuti tossici vicino a casa mia, potrei non avere i mezzi per vincere la causa. Si pone infine la questione dell’equità. L’estensione del diritto di proprietà privata può favorire le persone più ricche (che tendono ad avere più proprietà) a spese di quelle povere, Il proprietario di una tenuta di campagna potrebbe non gradire che vi passino degli estranei; tuttavia, un’eventuale estensione dei diritti di proprietà in modo da escludere il loro passaggio determina effettivamente un incremento del benessere sociale? È certamente possibile risolvere le questioni di equità modificando il contenuto del diritto di proprietà, ma in modo diverso rispetto a quanto finora indicato. Si potrebbero estendere proprietà pubbliche come parchi, spazi aperti, biblioteche ed edifici storici. La proprietà dei ricchi potrebbe essere redistribuita ai poveri, nel qual caso la questione non riguarderebbe tanto i diritti che la proprietà conferisce, quanto piuttosto la variazione della proprietà stessa. 6.2. Maggiore informazione Quando il fallimento del mercato è dovuto a un’asimmetria informativa, la fornitura diretta di informazioni da parte del governo odi un ‘agenzia pubblica può correggere tale distorsione. Un esempio è rappresentato dagli uffici di collocamento che forniscono informazioni sui posti di lavoro disponibili, contribuendo a un miglior funzionamento del mercato del lavoro e aumentando l’elasticità dell’offerta di lavoro. Altri esempi sono costituiti dalle informazioni fornite ai consumatori — ad esempio, sugli effetti del fumo o sull’assunzione di alcuni alimenti — o anche le

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statistiche ufficiali su prezzi, costi, occupazione, andamenti delle vendite, ecc., che consentono alle imprese di pianificare l’attività con maggior certezza. 6.3. Fornitura diretta di beni e servizi Per quanto riguarda beni e servizi pubblici, come strade, marciapiedi, illuminazione pubblica e difesa nazionale, il mercato può fallire completamente e non garantirne affatto la fornitura. In questo caso lo stato, gli enti locali o le agenzie pubbliche dovrebbero assumersi l’incarico di fornire direttamente tali beni ai cittadini, oppure pagare imprese private per farlo al posto loro. I cittadini pagherebbero l’utilizzo di tali beni o servizi attraverso l’imposizione fiscale, a livello sia centrale che locale. Ma in che quantità dovrebbero essere forniti i beni pubblici? Come si può identificare il livello di domanda pubblica o di pubblico bisogno? I consumatori dovrebbero pagare interamente quanto consumato? Analizziamo il caso di un bene pubblico puro: una volta che questo viene fornito, il costo marginale di ogni unità aggiuntiva è nullo. Prendiamo l’esempio di un faro: una volta costruito e funzionante, non bisogna sostenere alcun costo per permettere a una nave in più di beneficiarne. Anche se fosse possibile far pagare alle navi ciascun passaggio, non sarebbe comunque socialmente desiderabile. Se non vi sono esternalità negative collegate al passaggio di una nave, infatti, il costo marginale sociale è zero. Quindi BMGS = CMGS in corrispondenza di un prezzo uguale a zero. Zero è quindi il prezzo socialmente efficiente. Come ci si dovrebbe regolare nel caso della costruzione di un nuovo bene pubblico, come una nuova strada o un nuovo faro? Come fa lo stato a prendere una decisione razionale? In questo caso il costo marginale non è zero: nuove strade e nuovi fari richiedono denaro per essere costruiti. La soluzione è identificare tutti i costi e benefici del progetto per la società ed effettuarne una valutazione complessiva. Questo metodo è noto come analisi costi-benefici. Esso viene impiegato per valutare la desiderabilità di molti progetti pubblici. Se i benefici sociali del progetto eccedono i costi sociali, allora la sua realizzazione aumenta il benessere sociale. Lo stato, però, potrebbe decidere di fornire direttamente anche beni e servizi che non sono beni pubblici puri (ad esempio, la sanità e l’istruzione). Ci sono quattro motivi per cui tali beni sono forniti gratuitamente o sotto costo. Giustizia sociale. La società potrebbe ritenere che tali beni non debbano essere forniti in base alla capacità di acquisto, ma di diritto, in base alla necessità individuale. Forti esternalità positive. Persone diverse dal consumatore potrebbero beneficiare del bene o del servizio; ad esempio, se una persona con una malattia infettiva viene curata, altri avranno il vantaggio di non essere contagiati. Un servizio sanitario gratuito, quindi, contribuisce a combattere la diffusione delle malattie. Individui dipendenti da decisioni altrui. Se l’istruzione non fosse gratuita e quindi la sua qualità dipendesse dal denaro speso, e se i genitori potessero decidere quanta acquistarne, allora la qualità dell’istruzione dei figli dipenderebbe non soltanto dal reddito dei genitori, ma anche da quanto essi sono interessati all’educazione dei figli. Il governo potrebbe quindi scegliere di fornire istruzione gratuita per proteggere i ragazzi dal comportamento di cattivi genitori. Simili argomentazioni valgono nel caso della fornitura gratuita di medicinali e cure dentistiche a tutti i bambini. Ignoranza. I consumatori potrebbero non rendersi conto del beneficio effettivo che trarrebbero da un dato bene. Se dovessero pagare, potrebbero decidere erroneamente di non utilizzare quel bene. La fornitura gratuita di cure mediche può persuadere le persone a consultare i medici prima che un sintomo diventi serio.

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7. PIÙ O MENO INTERVENTO PUBBLICO? Lo stato può aggiustare sempre le cose? L’intervento pubblico per rimediare ai fallimenti del mercato può a sua volta creare dei problemi. Il non intervento («laissez faire») o un intervento molto limitato non sono giustificati dalla fiducia nel mercato, ma piuttosto dal fatto che i problemi generati dall’intervento pubblico in genere sono maggiori dei problemi che esso vuole risolvere. 7.1. Effetti negativi dell’intervento pubblico Eccessi di domanda ed eccessi di offerta. Intervenendo per fissare i prezzi a livelli diversi da quelli di equilibrio, lo stato crea eccessi di domanda o di offerta (si veda cap. 3, par. 6). Se il prezzo viene fissato al di sotto del livello di equilibrio, ci sarà un eccesso di domanda. Ad esempio, se l’affitto di case popolari è fissato al di sotto del livello di equilibrio al fine di fornire case ai poveri, la domanda sarà superiore all’offerta. In questo caso lo stato dovrà ricorrere al razionamento, alle liste di attesa, ecc., o garantire ad alcuni un trattamento preferenziale. Oppure ancora potrà decidere di adottare un sistema basato sull’ordine di arrivo, o permettere la formazione di code. E molto probabile che in queste situazioni si formi il mercato nero. Se invece il prezzo è fissato a un livello superiore all’equilibrio, ci sarà un eccesso di offerta. Ad esempio, se il prezzo di generi alimentari è superiore al livello di equilibrio per sostenere i redditi degli agricoltori, l’offerta eccederà la domanda. Il governo allora potrebbe decidere di comprare l’eccedenza, di venderla a prezzo inferiore su un altro mercato o di adottare una politica delle scorte; alternativamente potrà razionare i produttori consentendo loro di produrre solo una data quota. Scarsa informazione. Lo stato può non conoscere tutti i costi e i benefici delle sue politiche. Potrebbe voler genericamente perseguire gli interessi dei consumatori o della società nel suo complesso e allo stesso tempo non essere a conoscenza dei desideri dei cittadini o interpretare male il loro comportamento. Burocrazia e inefficienza. L’intervento dello stato genera costi amministrativi. Quanto più ampio e dettagliato è l’intervento, tanto maggiore è il numero di persone e la quantità di risorse necessarie. Tali risorse possono essere male utilizzate. Mancanza di incentivi di mercato. Se l’intervento pubblico indebolisce le forze di mercato o ne limita gli effetti (attraverso sussidi, prezzi o salari garantiti, ecc.), può altresì rimuovere utili incentivi. Ad esempio, i sussidi potrebbero consentire a imprese inefficienti di sopravvivere; l’assistenza sociale potrebbe scoraggiare l’impegno individuale, Il mercato sarà anche imperfetto, ma tende a ricompensare l’impegno e incoraggiare l’efficienza fornendo all’individuo più efficiente remunerazioni maggiori. Variazioni della politica pubblica. Variazioni troppo frequenti delle modalità d’intervento pubblico nell’economia possono danneggiare le industrie. Infatti, è difficile per le imprese pianificare la propria attività senza poter prevedere le aliquote, i sussidi, i prezzi, i salari minimi, ecc. Assenza di libertà individuale. L’intervento dello stato riduce la libertà degli individui nel prendere decisioni economiche. Non tanto perché il perseguimento degli interessi individuali porta al benessere collettivo, quanto per la desiderabilità in sé della massima libertà degli individui nel perseguire i propri interessi con la minima interferenza pubblica, essendo tale minimo confinato all’imposizione di leggi che proteggano la vita, la libertà e la proprietà privata. 7.2. Vantaggi del libero mercato Nonostante i mercati siano in realtà lungi dall’essere perfetti, essi presentano comunque vantaggi rispetto alla fornitura o alla regolamentazione pubblica.

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Aggiustamenti automatici. L’intervento dello stato richiede un apparato amministrativo. Al contrario, un’economia di mercato dà luogo ad aggiustamenti automatici, sebbene imperfetti, in seguito a variazioni della domanda e dell’offerta. Vantaggi dinamici del capitalismo. La possibilità di ottenere elevati profitti di monopolio o di oligopolio incoraggerà i capitalisti a investire in nuovi prodotti e in nuove tecniche di produzione. All’inizio i prezzi potrebbero essere elevati, ma i consumatori trarranno beneficio dalla vasta scelta di prodotti. In più, se i profitti sono consistenti, nel mercato prima o poi entreranno nuove imprese, dando luogo a un’intensificazione della concorrenza. Un elevato grado di concorrenza anche in monopolio e oligopolio. Anche se a prima vista un’industria sembra essere altamente monopolistica, alcune pressioni concorrenziali possono operare come risultato dei seguenti fattori: il timore che profitti eccessivamente elevati possano incoraggiare nuove imprese a entrare

nell’industria (ipotizzando che il mercato sia contendibile); concorrenza da parte di industrie strettamente collegate (ad esempio, trasporto su strada e

trasporto su rotaia, elettricità e gas); la minaccia di concorrenza dall’estero; l’equilibrio dei poteri di mercato. Spesso produttori grandi e potenti vendono ad acquirenti

altrettanto grandi e potenti. Ad esempio, il potere dei produttori di detersivi di aumentare il prezzo dei detersivi in polvere è controbilanciato dal potere dei supermercati di ottenere il prodotto a prezzi inferiori. Dunque in parte il potere di mercato dei produttori viene neutralizzato;

la concorrenza per il controllo dell’impresa sui mercati finanziari (cap. , par. 3.4).

7.3. Più o meno intervento pubblico in un’economia di mercato? Il dibattito tra i fautori dell’intervento pubblico e i suoi detrattori non permette di giungere a una conclusione chiara per le seguenti ragioni: sono coinvolte molte questioni morali, sociali e politiche che non possono essere affrontate

con gli strumenti dell’analisi economica. Ad esempio, si potrebbe sostenere che la libertà di svolgere un’attività imprenditoriale in assenza di regolamentazioni pubbliche sia desiderabile di per sé. Questo punto di vista può essere dibattuto sul piano etico, ma non si può dimostrare che sia totalmente sbagliato (o corretto);

in linea di principio, la questione dell’opportunità dell’intervento pubblico potrebbe essere risolta valutando costi e benefici dell’intervento stesso. Tuttavia, tali costi e benefici, anche nel caso in cui fossero identificati, sono di difficile se non impossibile misurazione, specialmente quando i costi sono sostenuti da persone diverse da quelle che ne ottengono i benefici e specialmente quando sono presenti esternalità;

spesso l’effetto di più o meno intervento pubblico non può essere previsto: ci sono troppi elementi incerti.

Nonostante questo, gli economisti possono dare contributi rilevanti all’analisi dei problemi del mercato e degli effetti dell’intervento pubblico.

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