Faivre Antoine - L'esoterismo cristiano dal XVI al XX secolo

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ANTOINE FAIVRE L'ESOTERISMO CRISTIANO DAL XVI AL XX SECOLO

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ANTOINE FAIVRE

L'ESOTERISMO CRISTIANO DAL XVI AL XX SECOLO

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AVVERTENZA

Questo saggio di Antoine Faivre è stato pubblicato alle pp. 77-135 della Storia delle reli-gioni a cura di Henri-Charles Puech (vol. 12: Esoterismo, spiritismo, massoneria, traduzione di Maria Novella Pierini), Laterza, Roma-Bari, 1977 [titolo originale: Histoire des Religions, Li-brairie Gallimard, Paris, 1970].

Senza entrare nel merito del lavoro, che merita in ogni caso di essere letto indipenden-temente dai criteri d’impostazione e dai giudizi dell’Autore, sui quali ciascuno è in grado di formulare le proprie eventuali riserve, va segnalato che l’edizione italiana non è esente da errori imputabili a scarsa competenza della traduttrice in una materia decisamente spe-cialistica. Per rispetto al testo ci siamo limitati a segnalarne soltanto alcuni - i più vistosi - in nota a piè di pagina, contrassegnata con l’acronimo N.d.C.

Per lo stesso motivo, ancorché assai tentati di farlo, ci siamo astenuti dal correggere la traduzione dei sostantivi franc-maçon e franc-maçonnerie, frequentemente resi con gli anti-quati ed errati francesismi frammassone e frammassoneria in luogo dei più corretti ed usuali libero muratore e libera muratoria.

Il Curatore

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1. INTRODUZIONE

Stando al Vocabolario del Lalande1, la parola «esoterico» (o «acroamatico») designa in primo luogo l'insegnamento che si impartisce, nelle Scuole antiche, ai discepoli perfettamente istruiti; si chiama invece «essoterico» l'insegnamento pubblico e popolare. Metaforicamente, l'esoterismo è la dottrina secondo la quale una scienza non deve essere volgarizzata, ma trasmessa soltanto a certi adepti conosciuti e scelti in considerazione delle loro qualità. Infine, nella storia moderna, la parola è spesso diventata sinonimo di occulto, di occultismo (termine inventato nel XIX secolo), per appli-carsi alla magia, alle varie forme di mantica, alla kabbala.

Questa definizione, sebbene non troppo rigorosa, ha tuttavia il vantaggio di suggerire l'idea che esista un ambito specifico e di vasta estensione di cui si intuiscono i molteplici confini comuni con altri campi esplorati più a fondo da quelle che si sogliono definire le scienze umane. E risulta im-mediatamente chiaro come questo ambito si riferisca, in ultima analisi. a tutte le forme di religione. La nozione di «essoterico», contrapposta ad «esoterico», sembra spesso avere una connotazione peggiorativa se assume il significato di fissazione, oggettivazione; essa caratterizzerebbe l'allegoria in contrapposizione al simbolo; la lettera al posto dello spirito; la scolastica, la teologia, il diritto ec-clesiastico in luogo dell'inesauribile significato spirituale. Per altro verso, i due termini, inscindi-bilmente connessi, non espri. mono se non la dialettica del nascosto e del palese; il linguaggio sim-bolico, ben lungi dall'essere in ogni caso destinato a celare al volgo le conoscenze, serve spesso a rendere chiaro all'intuizione quel che il ragionamento da solo non riuscirebbe a cogliere.

Come spianare un terreno così complicato? Può essere un espediente - utile comunque a livello metodologico - chiamare «esoterista» il pensatore, cristiano o meno, che pone l'accento su tre punti: analogia, teosofìa, Chiesa interiore, e che, a seconda del temperamento, ne sottolinea ora l'uno ora l'altro.

Il fascino dell'occulto si spiega in genere con la fede nella legge particolarmente poetica dell'ana-logia, in forza della quale tra le cose e gli esseri esistono dei rapporti necessari, intenzionali, non necessariamente di natura spaziale o temporale. Il simile agisce sul simile; si spiegano così sia la magia sia la conoscenza che può aiutarci a cogliere lo «spirito delle cose»: conoscere il mondo, si-gnifìca conoscere Dio, la cui natura costituisce una rivelazione progressiva; per questa via, la scien-za acquista un signifìcato religioso. La teosofìa, che attribuisce tutto il suo valore alla legge dell'a-nalogia - è chiaro che non si tratta qui della Società Teosofìca della signora Blavatsky - oscilla tra la ricerca dei numeri, l'interpretazione profonda delle Scritture e la mistica pura. Quest'ultima esclude in parte la teosofìa; il contrasto è ancor più accentuato nel pansofo, il quale - secondo la defìnizione del Peuckert - va dalle cose verso Dio, mentre il teosofo va da Dio verso la natura concreta. Usiamo il termine nella sua accezione generale; i pensatori menzionati in questo capitolo sono teosofì, ossia persone che insistono su quei punti della dottrina o del dogma che l'essoterismo delle Chiese costi-tuite tende a tralasciare o a passare sotto silenzio; essi vogliono invece delucidare questi punti sia attraverso la loro diretta riflessione, sia attraverso l'intima illuminazione, che risulta o da una ricerca personale o da un'iniziazione. La mistica speculativa dà al teosofo la certezza di ricevere insieme la conoscenza e l'ispirazione; ponendosi piuttosto la domanda quid sit Deus che non quella an sit Deus, egli inserisce le proprie osservazioni in un sistema che tiene conto di una cosmogonia, di una

1 Il cosiddetto Vocabolario è presumibilmente il Dictionnaire des Athées anciens et modernes di Sylvain Maréchal,

aumentato dei due supplementi di Joseph Jérôme Lefrançois de Lalande (1732-1807), autore a sua volta della ben nota voce su La Franc-Maçonnerie redatta per l'Encyclopédie di Diderot e D'Alembert. Nel Dictionnaire, alla voce «É-gyptiens» (p. 79 dell’ediz. di Bruxelles, 1833), è riportata una citazione di Diderot, tratta dalla Encyclopedie, sulla di-stinzione tra teologia esoterica e teologia essoterica (N.d.C.).

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cosmologia, di un'escatologia. Per esempio, le idee di emanazione, di caduta originale, di androgi-neità, di sofìa, di reintegrazione rientrano nei temi favoriti dei teosofì. Si tratta sempre di un'ascesi che conferisce a volte il loro vero signifìcato a pratiche quali l'alchimia o la teurgia. L'elemento gnostico, per parte sua, pone l'accento sull'esistenza e l'importanza degli spiriti intermedi tra l'uomo e Dio: sephirot, Idee platoniche, Elohim, virtù, potenze, sono altrettante parole che si riferiscono probabilmente a un medesimo archetipo; raramente, però, si tratta di uno gnosticismo analogo a quello di Menandro, Saturnino o Marcione, secondo i quali l'universo è stato creato da un demiurgo; è piuttosto uno gnosticismo monista simile a quello di Basilide o di Valentino. Il Male non ha il va-lore ontologico del Bene, è accidentale; prima che cadesse anche lui, Adamo era stato creato, come l'universo, per fungere rispettivamente da carceriere e da prigione per l'angelo prevaricatore onde ricondurlo alla resipiscenza. In questo capitolo, le parole «teosofia», «esoterismo», hanno spesso lo stesso significato.

Che cos'è, infine, la Chiesa interiore? Per il seguace di dottrine esoteriche, le barriere confessio-nali hanno ben poca importanza, poiché egli insiste su concetti che, essendo scarsamente sviluppati dalle Chiese, non sono o quasi di natura tale da dividerle. Paradossalmente, ma come diretta conse-guenza, si assiste spesso al crearsi di obbedienze diverse - società segrete, massoneria mistica, ecc. - come reazione contro le Chiese. La teosofia cristiana si pone spesso in funzione di mediazione, per definizione e per ragioni evidenti connesse alla stessa natura del Cristo; ma non tollera l'irrigidi-mento né la mediazione degli uomini. L'anima umana, in quanto di origine divina, può avvicinarsi di nuovo a Dio; il centro dove Dio risiede è questa stessa anima, così che l'unione è immanente nel-l'uomo. L'insegnamento esoterico lascia spazio all'idea di «tradizione», più o meno conservata o perduta, che è possibile recuperare o per effetto di un'illuminazione interiore, o grazie ad iniziazioni che contengono preziosi tesori di conoscenza o sono veicoli di potenze sovrannaturali. L'iniziazione è inseparabile dalla Rigenerazione, che dipende da una gnosi più che da una Chiesa. Infine, l'esote-rismo insiste spesso sull'imminente distruzione della Chiesa materiale, ma profetizza sovente l'av-vento del regno della Chiesa invisibile.

Queste definizioni non bastano ad esaurire una realtà storica complessa e diffusa. Cerchiamo di completarle con tre avvertenze. In primo luogo, non si tratta qui di fare la storia della stregoneria, della magia, dell'astrologia, della mantica, ecc.: questi temi vengono ripresi solo quando questo o quel pensatore di cui si parla li inserisce in un contesto teosofico. In secondo luogo, quel che si chiama «esoterismo» in un paese, corrisponde spesso a un insegnamento piuttosto diffuso altrove. Per esempio, l'idea di Sophia, o di Saggezza Divina, sembra avere connotazione esoterica più in Occidente che tra i cristiani d'Oriente, che hanno maggior consuetudine con tale concetto. Bisogne-rebbe anche ricordare l'esicasmo, molto noto in Oriente, e la sua «filocalia» («amore della bellez-za»), la sua «preghiera del cuore»; Gregorio Palamas, nel XIV secolo, insegna questa tecnica, che rientra anch'essa nella gnosi, in cui corpo e materia sono riabilitati allo stesso titolo che nell'alchi-mia spirituale; anche le Omelie spirituali dello pseudo-Macario affermano che il corpo, l'anima e lo spirito costituiscono un unico organismo disgregato dal peccato. E gli esempi potrebbero moltipli-carsi. Da ultimo, come l'«esoterismo» non andrebbe confuso con tutto ciò che è meraviglioso o oc-culto, occorre anche distinguere «esoterismo cristiano» e «sette cristiane»; è evidente che possiamo trovare elementi teosofici più o meno numerosi presso i catari, i Templari, in molte sette protestanti e persino nelle grandi Chiese: ma la teosofia non basterebbe a definire questi raggruppamenti. Si può soltanto dire che i pensatori di cui ci occupiamo, dediti alla ricerca di una verità che va oltre i dogmi ufficiali, sono spesso sospettati per questo di eresia. Non possiamo dimenticare che le rifles-sioni di Maestro Eckart, di Niccolò Cusano, sulla divinità, la sua essenza, le sue manifestazioni, so-no di natura teosofica, cosa che, per esempio, non si potrebbe dire degli scritti di san Tommaso né del tomismo in generale.

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2. DALLE ORIGINI AL XVI SECOLO

Le principali Chiese cristiane tendono in genere a negare l'esistenza di un esoterismo in seno al cristianesimo primitivo, donde la diffidenza con la quale considerano gli scritti di certi Padri, quali Clemente Alessandrino e Origene. È tuttavia legittimo affermare che il ruolo dell'elemento esoterico è molto importante prima di Costantino, cioè fino al 312. In questo periodo, ad Alessandria, nel punto di incontro della cultura egiziana, ebraica e greca, si sviluppa un esoterismo cristiano; al tem-po stesso, la tradizione cristiana d'Oriente, che non sarà toccata né dalla scolastica né dalla Riforma, conserverà nella sua struttura ufficiale una metafisica e una tradizione, nelle quali, molto più che in Occidente, si fonderanno esoterismo ed essoterismo. Grosso modo, tre concezioni fondamentali dominano questa fase, che va dalle origini al XVI secolo: lo gnosticismo, il neoplatonismo, l'alchi-mia.

La gnosi, contemporanea ai primissimi secoli del cristianesimo, tende a identificare la salvezza con la conoscenza; è una forma di teosofia. Lo gnostico si trova «gettato» in un mondo assurdo, ma-teriale, al quale si sente «estraneo». Ma questa presa di coscienza, legata alla sua personale illumi-nazione, gli consente di conoscere, o di «riconoscere», la necessità o addirittura gli strumenti della salvezza. Il carattere soggettivo della gnosi suscita innumerevoli riflessioni che attingono al fondo stesso dell'inconscio collettivo. D'altra parte, la gnosi si inserisce nella teosofia tradizionale, nel senso che pone l'accento sulla nozione di tempo attraverso lo schema: creazione, caduta, Redenzio-ne. Ma se ne differenzia spesso, nella misura in cui gli capita di considerare la natura come sostan-zialmente malvagia. Ci sono, peraltro, parecchie gnosi. Non è qui il caso di delineare la storia dei primi gnostici (Simon Mago, Menandro, Basilide, Valentino, Marcione, ecc.); ci limitiamo ad af-fermare che si rintracciano elementi gnostici nella maggior parte delle principali correnti dell'esote-rismo cristiano.

Il fondatore del neoplatonismo è indubbiamente Ammonio Sacca, cristiano d'origine, maestro a-lessandrino di Plotino. Entrambi vivono nel III secolo. Plotino impartisce a Roma un insegnamento raccolto da Porfirio e basato sull'emanazione. Il neoplatonismo diventa teurgia con Giamblico e Giuliano l'Apostata; ritrova parte della sua purezza con Proclo, il fondatore della scuola di Atene, chiusa nel 529 con un editto di Giustiniano; ma la dottrina di questa scuola si diffonde, assumendo una forma cristiana, negli scritti leggendariamente attribuiti a Dionigi l'Areopagita da Atti XVII, 34; tali scritti esercitano una grande influenza, che arriverà a rafforzare gli scritti dello stesso sant'Ago-stino (De vita beata, 386). I trattati dello pseudo-Dionigi (I nomi divini, La teologia mistica, La ge-rarchia celeste) ricordano molto Proclo. Giovanni Scoto Eriugena, nel IX secolo, ne fornisce una versione latina che influenzerà tutto il pensiero medievale. Nel De divisione naturae, Scoto Eriuge-na accoglie l'emanazione di Plotino, spingendone fino alle ultime conseguenze il sistema secondo cui procedono le emanazioni; egli delinea un grandioso affresco - cosmogonico, cosmologico, esca-tologico - molto vicino a quello delle ulteriori teosofie, in cui l'accento poggia sulla deificazione dell'uomo, sull'idea della reciproca interpenetrazione tra uomo e natura. Nel II e III secolo, Clemen-te Alessandrino commenta il Verbo valendosi delle elaborazioni greche pagane sul Logos. Dopo di lui, sempre ad Alessandria, Origene approfondisce la concezione neoplatonicheggiante e cristiana del Verbo. Entrambi mescolano gnosi e ortodossia in un originale sincretismo che farà scuola.

Quanto all'alchimia, essa salda in genere così intimamente la materia allo spirito, la sperimenta-zione alla preghiera, che il suo contenuto va largamente al di là delle definizioni che se ne potrebbe-ro proporre. Nel II e III secolo, i testi gnostici pagani leggendariamente attribuiti a Ermete Trisme-gisto - soprattutto il Corpus Hermeticum - forniranno all'ermetismo cristiano molte delle sue temati-che fondamentali. Alessandria, punto di incontro di diverse culture, è dunque la culla della nostra Arte Regia, già molto in auge in quella zona dal II al IV secolo, con maghi come Zosimo, Maria

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l'Ebrea, Sinesio, Olimpiodoro. Il neoplatonismo uscito dalla scuola di Alessandria, più o meno commisto a cette forme di gnosticismo cristiano, conferisce all'alchimia occidentale la sua fisiono-mia quasi definitiva, nonché i temi essenziali: nobilitazione dei metalli, che tendono a trasformarsi in oro, con l'alchimia che ne accelera il processo naturale; vittoria sulle malattie, prolungamento della vita; felicità in seno a Dio, identificazione con l'anima del mondo; in breve: rigenerazione del-l'uomo e della natura, cui occorre restituire la dignità perduta in seguito alla caduta (vedi Romani VIII, 19-22). Con i suoi simboli fondamentali, la scienza di Ermete appare intimamente mescolata con l'astrologia e con l'aritmosofia; esistono rapporti di analogia tra i metalli e gli astri; tre sostanze (sale, zolfo, mercurio) e quattro elementi compongono l'universo. Dopo essere stata alessandrina, l'alchimia diventa bizantina; grazie agli Arabi, raggiunge l'Occidente, attraverso la Spagna (soprat-tutto nel X secolo, sotto il califfato di Cordova), poi con le Crociate. È il periodo dello straordinario teosofo Sohrawardi, il cui metodo, tutto interiore, rimane spirituale. A partire dal XII secolo, l'al-chimia diventa di moda in Occidente e continuerà ad esserlo fino ai tempi moderni. Nel XII secolo compare un nuovo scritto attribuito a Ermete, la Tavola smeraldina (molto più antica, ma molto meno conosciuta per l'innanzi), che diventa il breviario degli alchimisti. Essa ricorda in particolare che: «Tutto quello che è in alto è come tutto quello che è in basso; tutto quello che è in basso è co-me tutto quello che è in alto, onde si compie il miracolo dell'Unità»; unità, della quale si dice: «la sua potenza è integrale se si converte in terra». Gli scritti teosofici di Arnaldo di Villanova e quelli che furono attribuiti a Raimondo Lullo annunciano la letteratura esoterica del XIV secolo, di cui il Romanzo della rosa di Guglielmo de Lorris e Giovanni di Meung resta una degli esemplari più bel-li; questo testo deve molto a Gioacchino da Fiore e presenta più di un punto in comune con l'opera di Dante. La Ricerca del Graal (XII e XIII secolo), il cui sfondo «storico» resta pagano, ma di cui i monaci rendono cristiano il messaggio spirituale, ripercorre le tappe di una ricerca iniziatica, cui Chrétien de Troyes e Wolfram von Eschenbach conferiscono una veste letteraria, l'uno nel Perceval (verso il 1180), l'altro nel Parzival (verso il 1203); si tratta anche di uno dei temi salienti del «ciclo arturiano» e dei romanzi cortesi del Medioevo; d'altro lato, sono particolarmente evidenti i suoi rap-porti con l'alchimia spirituale. Ad essa va aggiunta, per la sua influenza congiunta, la dottrina di Gioacchino da Fiore, il cui Vangelo Eterno preannuncia un'èra storica retta dallo Spirito Santo; ne-gli ambienti gioachimiti più tardi saranno in molti ad aspettare un papa angelico. Dopo il matemati-co alchimista Ruggero Bacone, il misterioso Nicolas Flamel, i cui seguaci sostengono che avesse trovato la pietra filosofale, inaugura l'apogeo dell'alchimia in Europa, nel XV secolo. Accanto a lui vanno ricordati Bernardo da Treviso, George Ripley, Thomas Norton e, soprattutto, Basilio Valen-tino, la cui opera fu stampata soltanto nel 1602. A partire da questo momento, diventa sempre più difficile distinguere alchimia, teosofia e kabbala. Nel 1317, sotto Giovanni XXII, la bolla Spondent pariter condanna l'alchimia, ma la stampa ne moltiplica i libri. Naturalmente, tale letteratura non sempre è molto teosofica: per buona parte essa è destinata ai «soffiatori», ai ricercatori preoccupati soltanto delle trasformazioni o dei fenomeni. Ma, nella maggior parte dei casi, gli autori menzionati si interessano alla alchimia spirituale, cioè al simbolismo dell'arte ermetica. Non se ne è ancora scritta la storia dettagliata, che sarà possibile solo quando si potrà disporre di una bibliografìa esau-riente e scientifìca.

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3. IL XVI SECOLO

Intorno a Paracelso

La Riforma impone un nuovo sforzo all'esoterismo cristiano, poiché l'esigenza cui risponde è si-mile a quella di qualsiasi forma di esoterismo; si ambisce alla lettura dei testi rivelati, senza il peso di alcuna autorità, con l'aiuto dei lumi dello Spirito Santo. D'altro canto, la scomparsa delle gerar-chie sacerdotali, delle liturgie tradizionali, provoca spesso in reazione una sete di mediazioni tra l'individuo e l'Eterno, un desiderio che si esprime con la formazione di nuove gerarchie, all'interno di società segrete o durante i rapporti con gli spiriti angelici. Magia e teurgia sono molto diffuse nel XVI secolo, molto più che nel XV. Alchimia e teosofia diventano quasi sinonimi. Tipica ci sembra l'opera di Giovanni Agostino Panteo, un prete veneziano, autore dell'Ars transmutationis metallicae, nella quale studia l'alchimia con metodi cabbalistici. In margine a questa tendenza, merita un cenno il provenzale Michel de Nostredame, detto Nostradamus, un astrologo protetto da Caterina de' Me-dici, autore delle famose Centurie profetiche, anche per le innumerevoli esegesi che circondano questo libro, oscuro quanto sorprendente.

Gerolamo Cardano, nato a Pavia, medico, matematico, fa parte di quegli spiriti sempre curiosi che utilizzano fonti e metodi della medicina, ma la cui ansia di conoscenza resta tipica del Rinasci-mento. Accusato di magia, ottiene protezione dal papa; ha lasciato libri ricchi di aneddoti e di rifles-sioni filosofiche. Giovanni Tritemio ci interessa ancora di più. Nato a Treviri, autodidatta, egli im-prime un notevole splendore al suo convento di Spanheim, vicino a Kreuznach. Ai suoi studi esote-rici si aggiungono, sembra, doti medianiche e addirittura profetiche; al cospetto di numerosi corti-giani, egli avrebbe evocato la moglie defunta dell'imperatore Massimiliano. Gran parte delle sue opere (Opera historica, Opera spiritualia) è postuma. Egli si interessa molto di angelologia, specie dei nomi degli angeli, del modo di evocarli. A differenza del Cardano, resta un uomo del Medioevo.

La figura più importante di questo periodo è certamente quella di Paracelso, un insigne teosofo; o, meglio, pansofo, in quanto cerca di scoprire il creatore guardando le creature, di trovare il centro del Tutto guardando il Tutto; un simile avvio approda non solo alla magia naturalis ma anche a una scienza che diventa subito oggettiva. Teofrasto Bombast von Hohenheim, detto Paracelso, nato a Einsiedeln, in Svizzera, allievo del Tritemio, acquista una grande reputazione di medico a Basilea; rompe ben presto con i metodi medievali, il che gli attira consistenti inimicizie; egli, tuttavia, re-spinge solamente i metodi, perché continua a mantenersi fermamente nel solco della tradizione al-chimistica, di cui si serve per lo studio della materia, per la ricerca spirituale, per la realizzazione soprannaturale. Ragionando per analogia, scopre alcuni dei princìpi fondamentali dell'omeopatia, di cui caldeggia l'impiego nella forma di medicamenti a base di metalli. Paradossalmente, si deve in larga misura alla sua influenza se la chimica comincia a distinguersi nettamente dall'alchimia, sem-pre più riservata agli approcci spirituali. Secondo quest'individuo sorprendente, Dio ci ha assegnato due fiaccole: quella della natura e quella della grazia; Paracelso studia soprattutto la prima. Dio ha riposto nelle erbe, nelle piante, nei germi una potenza che noi dobbiamo scoprire e utilizzare. Gli angeli possiedono una forza che l'uomo ha perduto, ma che può ritrovare nella natura, poiché Dio vuole essere conosciuto nelle sue opere. Oltre al corso degli astri, questo medico studia anche gli spiriti elementari - ninfe, silfidi, salamandre, gnomi - che egli distingue accuratamente dagli angeli decaduti; ritroviamo gli Elementargeister nel Conte di Gabalis (1660) dell'abate Montfaucon de Villars, così come nel romanticismo tedesco, in quanto rientrano in un patrimonio mitologico che Paracelso non ha certo inventato, ma che ha sistematizzato. In Paracelso troviamo una vitalità, una linfa che fanno spesso difetto nei suoi colleghi in fatto di scienze segrete. Molto meno libresco di Tritemio o di Agrippa, egli non esita a parlare del folklore del suo paese; il suo neoplatonismo cri-

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stiano gli serve da sfondo, sul quale pullula un pittoresco universo di una poeticità tutta tedesca. Prima di ogni altra cosa, egli vede il mondo con gli occhi dell'alchimista. A partire dalla fine del se-colo, si delinea sulla scia di Paracelso una figura, quasi al margine e in contrasto: il mago nero in-carnato da Johannes Faust, un personaggio ben presto entrato nella leggenda grazie al Volksbuch (1587); per lui, però, non si può parlare di esoterismo.

Citiamo ancora Leonard Thurneysser, Leonardo Fioravanti - medico di Bologna, uno dei pochi seguaci di Paracelso in Italia - e Gerard Dorn. Quest'ultimo, discepolo non solo di Paracelso, ma an-che di Tritemio, sembra meno mistico di quanto non sia invece avido di conoscenze; il suo atteg-giamento contrasta con quello del famoso Valentino Weigel, che deve molto a Paracelso e influenza considerevolmente il suo tempo. Ma Weigel, ben poco teosofo, sembra ancor meno pansofo. Sulla scia di Paracelso, il medico Samuele Siderocrater, di Bretten, amico del Dorn, pubblica nel 1585 una Cyclopaedia paracelsica christiana, respingendo l'insegnamento degli antichi a favore di due lihri: la Bibbia e il signatum insegnato da Paracelso. Più di un tratto di questa dottrina si ritrova nel-la Fama dei Rosacroce.

I cabbalisti cristiani del Rinascimento

In ebraico, kabbala significa «tradizione». La cabbala è il movimento attraverso cui si è espressa la mistica ebraica, specialmente tra il XII e il XVII secolo. Peraltro, la mistica cabbalistica si carat-terizza meno per l'unione con la divinità che per l'aspirazione alla conoscenza del mondo, delle sue origini, della sua fine: una conoscenza che si acquisisce con la contemplazione e l'illuminazione, grazie alla trasmissione di una rivelazione primordiale. La cabbala - una gnosi che indica agli adepti la via interiore della divinità - si presenta, dunque, come una tradizione esoterica, una teosofia, u-n'ermeneutica. La precedono alcuni scritti fondamentali che risalgono probabilmente al V o al VI secolo (Sepher Yetsira, o Libro della formazione; Grande palazzo e Piccolo palazzo). Ma il primo testo della cabbala propriamente detta, il Bahir, fa la sua comparsa intorno al 1180 nel Sud della Francia; lo segue, verso la fine del XIII secolo, lo Zohar o Libro dello splendore, il cui autore, se-condo la tradizione, sarebbe Rabbi Simeon Bar Yochai, che visse nel II secolo e del quale non si è conservata nessuna opera sicura; la critica storica, che colloca lo Zohar intorno al 1270, considera tale opera come una compilazione di Mosè di Leon. Per capire l'influenza ebraica sulla cristianità nel XVI secolo bisogna tener presente come al periodo giudeo-babilonese (dal I al X secolo) segua, per il popolo di Mosè, il periodo spagnolo, fino al 1492; in quell'anno, il decreto di espulsione de-termina un'ondata migratoria dalla Spagna e un esodo culturale verso l'Italia; il periodo polacco ri-guarderà soprattutto i secoli XVIII e XIX.

La cabbala cristiana si risolve nell'indagare la Scrittura con i metodi dei cabbalisti ebrei, ma ag-giungendo alla fede ebraica la credenza in Gesù, figlio di Dio. Si tratta, dunque, di trovare nella cabbala argomenti in favore del cristianesimo, o di provare il cristianesimo con gli stessi metodi de-gli Ebrei. Molto prima del Rinascimento, Raimondo Lullo, che trascorse la giovinezza alla corte di Aragona, si è ispirato - stando ad alcuni storici - ai metodi cabbalistici di Abulafia. Si trovano medi-tazioni sul nome di Dio in quattro lettere in Mosè Sefardi, convertitosi nel 1106 e diventato Pietro Alfonso; il tema, ripreso da Gioacchino da Fiore, è diffuso soprattutto dal Pugio Fidei di Raymond Martin, composto nel 1278, ma pubblicato soltanto nel 1651 da Joseph de Voysin. Lo stesso Arnal-do di Villanova aveva parlato del Tetragrammaton. Un altro tema è la profezia di Elia, per la quale il mondo durerà seimila anni. Citiamo ancora, nel XV secolo, Guglielmo di Sicilia, alias Flavio Mi-tridate, che ha come allievi Pico e Reuchlin, e Paolo di Heredia, autore dell'Epistola Secretorum, che avrà una grande influenza perché Galatino la utilizzerà nel De Arcanis. È appunto in seguito al-l'espulsione dalla Spagna che si cerca di «cabbalizzare» in un contesto cristiano. In I talia, spesso nello stesso entourage dei pontefici, ci si compiace di circondarsi di rabbini. A Firenze, Elia del Medigo appare come il più celebre di quegli ebrei che fanno conoscere l'ebraismo, insieme a nozio-ni cabbalistiche, a Pico della Mirandola e a Marsilio Ficino; il cardinale Egidio da Viterbo traduce i principali testi: Zohar, Sepher Yetsira, ecc. Ma nel 1553, mentre si fa sentire l'influenza della Con-troriforma, l'intolleranza prende piede: gli Ebrei vengono rinchiusi nei ghetti. Da allora, l'attrazione

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del frutto proibito spinge talvolta i cristiani ad assaporare la cabbala per cercarvi, al di fuori delle Chiese, certi temi di riflessione; spesso la parola cabbala perde il suo vero significato per indicare delle ricette magiche, degli scambi di lettere.

Pico della Mirandola preannuncia il rinnovamento della cabbala nel Rinascimento. Nella sua ce-lebre Oratio de hominis dignitate (1486) si mescolano diverse filosofie o gnosi; vi si insegna che «nessuna scienza ci fornisce un maggior numero di prove della divinità di Cristo della magia e della cabbala»; egli pubblica poi l'Heptaplus (1488), «commentario dell'opera, esegesi esoterica, del Ge-nesi». Tredici delle sue novecento Conclusiones Philosophicae Cabbalisticae et Theologicae sono condannate da Innocenzo VIII, ma la sua influenza continua a crescere. In Germania, Giovanni Reuchlin, che conobbe la cabbala ebraica attraverso Pico, subì gli strali di Leone X. Le sue opere (De Verbo Mirifico, 1494, e soprattutto De arte cabbalistica, 1517) contengono un'informazione meno enigmatica di quella delle Conclusiones. Ancor più dei suoi allievi Corrado Pellicanus, Paolo Fagius e Sebastiano Münster, il convertito Paolo Ricius, medico di Massimiliano e poi di Ferdinan-do, proporrà la sua traduzione parziale del Sa'are Orah o Porta Lucis (1515) ai curiosi di arittmoso-fia, di esegesi cabbalistica, dei nomi divini.

Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim resterà, forse, il mago più celebre del XVI secolo. Nato a Colonia, medico di Luisa di Savoia - la madre di Francesco I - riesce a sfuggire ai tribunali ecclesia-stici; storiografo, archivista di Carlo V e amico di Tritemio, muore a Grenoble dopo aver trascorso una vita itinerante non priva di onori. Nel De occulta philosophia (1510), l'opera più caratteristica della letteratura magica dell'inizio del Rinascimento, egli studia la cabbala unitamente alla magia e all'alchimia; si tratta di un'opera destinata ad aiutarci a scoprire i misteri celati nei numeri ebraici. Agrippa si interessa ai nomi degli angeli; mescola nelle sue elaborazioni 'vari apporti pitagorici, in-daga i segreti della natura e della vita. L'aspetto pratico del libro, malgrado i suoi atteggiamenti filo-sofici, lo apparenta alla letteratura magica del suo tempo, diversa dal pensiero italiano più segnato dall'idealismo neoplatonico; ecco perché il Ficino non ha quasi nessun seguace in Germania, tranne Reuchlin. Bisogna aspettare Paracelso per imbattersi in un grande teosofo. L'ultimo libro di Agrip-pa, De incertitudine scientiarum, sembra quello di uno scettico ritornato alla docta ignorantia. Di Giovan Battista Della Porta si può dire che, nonostante la sua scarsa inclinazione per la cabbala, rientri tra i continuatori di Agrippa, del quale riprende alcuni temi essenziali - sulla magia naturale e sugli scongiuri - nella Magia naturalis, sive miraculis rerum naturalium (Anversa 1558). Infine, va ricordata la grande influenza esercitata dall'antologia di Giovanni Pistorius di Nidda, nel 1587, Artis cabalisticae tomus unus, Pistorius, un medico consigliere del margravio di Bade-Durlach, pubblica in questa opera gli scritti di Reuchlin e di Ricius, una traduzione del Sepher Yetzira, i Dialoghi d'a-more di Leone l'Ebreo, insieme ad alcuni testi di Burgonovo. Anche Scaligero, alias Paolo Scali-chius, che scrive nella seconda metà del secolo, pratica il lullismo e la cabbala.

Ma è in Italia che la cabbala conosce la sua età dell'oro. Abbiamo già ricordato il Della Porta. Ludovico Lazzarelli, che si dice discepolo di Giovanni

Mercurio, un personaggio strano e misterioso, scrive il Crater Hermetis. Sotto l'influenza di Pico della Mirandola, Marsilio Ficino si riferisce di frequente alla cabbala, mentre l'ebreo portoghese Leone l'Ebreo, emigrato in Italia dal 1492, compone in italiano i Dialoghi d'amore, imbevuti di ne-oplatonismo, che eserciteranno un'influenza duratura. Agostino Giustiniani, un patrizio genovese, si interessa «ai settantadue nomi divini in latino e in ebraico»; ma egli è soprattutto l'autore di un sal-terio poliglotto in cinque lingue (1516), che ebbe grande risonanza specialmente per i numerosi sco-lii che trascrivono per la prima volta in latino testi dello Zohar. Pietro Galatino, un francescano di Otranto, riprende la maggior parte di questi testi nel De arcanis catholicae veritatis (1516), l'opera cabbalistica più diffusa nel Rinascimento; i suoi trattati sulla Chiesa costituita, destituita, restituita, il suo Commentario dell'Apocalisse sono disseminati di esoterismo cabbalistico nonché di profezie. Il cardinale Egidio da Viterbo, un genio di cultura universale, scrive numerosi libri, senza pubblica-re nulla durante la sua vita; il suo Libellus è un alfabeto mistico, mentre la sua Scechinah intende rivelare la cabbala con i suoi sephirot e i suoi nomi divini. Francesco Giorgio da Venezia, autore del De harmonia mundi, dedicato nel 1525 a Clemente VII e seguito nel 1536 dai Problemata censurati

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a Roma, lascia un'opera curiosa in questo campo, ma molto bella, grazie alla poesia analogica che ne costituisce il tratto saliente; insieme a quelle di Pico, di Reuchlin e del Galatino, rappresenta una delle principali fonti della cabbala cristiana contemporanea o posteriore. Profezie, interpretazioni delle lettere, sephirot, si ritrovano in Jacopo Brocardo, un veneziano molto originale, un profeta vi-sionario del quale il Bayle ha narrato talune avventure; egli ha scritto Mystica et prophetica libri genesis interpretatio (1581).

In Francia, Jacques Lefèvre d'Étaples pubblica fin dal 1505 il Crater Hermetis del Lazzarelli, e il lionese Symphorien Champier, nel 1518, presenta al pubblico francese la cabbala nei Pronostics, mentre Jean Thénaud, un francescano di Angoulême, espone in versi a Francesco I l'essenza della cabbala. Il nome più celebre in Francia resta quello di Guillaume Postel, un personaggio notevole per l'influenza del suo pensiero e per l'importanza qualitativa della sua opera, rimasta in gran parte inedita. Postel, una delle figure più curiose del Rinascimento, nato a Barenton, nella diocesi di A-vranches, autodidatta, maestro di scuola a tredici anni, acquista assai presto una tale notorietà da es-sere inviato in missione a Costantinopoli, nel 1536. Egli scongiura Francesco I perché si trasformi onde diventare il principe che regnerà sull'universo e che avrà sede a Gerusalemme; quindi si reca a piedi a Roma, in pieno inverno, per predicarvi la concordia universale. Seguendo l'esempio del Ga-latino, si crede il papa angelico, tanto che Ignazio di Loyola lo allontana dalla Compagnia di Gesù, in cui Postel aveva ricevuto gli ordini. L'ispirato raggiunge Venezia nel 1549; vi incontra, in un o-spedale, una devota illetterata, la Madre Giovanna; costei gli spiega lo Zohar, profetizza il papa an-gelico e afferma di possedere la «chiave di David». Alla Madre Giovanna egli dedica la sua opera La vergine veneziana. Nel 1552, Postel subisce l'«immutazione», una crisi in occasione della quale riceve la «sopravveste» che lo trasforma in Caino restituito, il figlio della Novella Eva. L'ultima parte della sua vita è altrettanto pittoresca; ora in prigione, ora confinato come pazzo, ora professore di cosmografia a Parigi, egli pubblica alcuni libri, mentre prosegue la collaborazione alla poliglotta di Anversa tramite i suoi discepoli Guy e Nicolas Le Fèvre de la Broderie. Postel pone l'accento su un millenarismo attraverso il quale l'uomo dovrebbe ritrovare parte delle sue facoltà precedenti la caduta. Alle tre età gioachimite, egli ne sostituisce quattro: legge della natura, legge scritta, legge della grazia e legge della Concordia. Lo spirito del Messia si è incarnato di nuovo nella Madre Gio-vanna, mentre egli, Postel, uomo «restituito», comprende tutti i segreti nascosti dopo la costituzione del mondo. La sua traduzione dello Zohar sembra molto più personale che fedele. Egli pubblica nel 1552 una delle sue opere maggiori, Restitutio rerum omnium conditarum. I due principali discepoli di Postel sono Guy Le Fèvre de la Broderie e suo fratello Nicolas, i quali collaborarono alla poli-glotta di Anversa. Soprattutto il primo, un millenarista illuminato, grande poeta direttamente ispira-to dalla cabbala, sarà letto da Gérard de Nerval. Con Postel o con altri illuminati come Tycho Bra-he, l'autore dell'Enciclia dei segreti dell'eternità, interpreta esotericamente la comparsa della cometa del 1572; pur essendo innanzi tutto l'interprete di Postel, traduce anche dal latino l'Armonia del mondo di Francesco Giorgio da Venezia, l'Heptaplus di Pico, i Tre libri della vita del Ficino. Meno frenetico di Postel, Guy non è per nulla meno profondo. Blaise di Vigenère, invece, si ispira sia al Burgonovo sia al Postel; divenuto celebre e per il suo Trattato delle cifre o segreta maniera di scri-vere, e per la qualità delle sue traduzioni, spesso preferite a quelle dell'Amyot, il Vigenère si rivela soprattutto come un alchimista, un astrologo, un cabbalista che scrive coro rettamente e con chia-rezza. Infine, la Quintessenza (1594) e la Sestessenza (1595) di Giovanni Demons sono espressioni tipiche di questa corrente di pensiero.

Se è vero che è dalla Spagna che si diffonde la grande moda dell'apologetica che utilizza la cab-bala, va però detto che, dopo l'espulsione del 1492, gli Spagnoli cessano quasi di coltivare questa scienza tradizionale. Il suo sviluppo sembra molto tardivo in Inghilterra; certamente, sia John Colet sia John Fisher si ispirano all'Heptaplus di Pico; ma conviene ricordare soprattutto John Dee, più mago alchimista che teosofo o mistico, che trafficava con gli spiriti; solo nel XVII secolo, peraltro, si può parlare veramente di cabbala cristiana in Inghilterra.

Non la finiremmo più se volessimo ricordare tutte le influenze che questi cabbalisti hanno eserci-tato sui loro contemporanei. Risultano precise in Giordano Bruno, nella notevole opera di Antonio

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Ricciardi, autore dei Commentaria symbolica (Venezia 1591) sugli angeli e sulle lingue, nonché in Pierre Leloyer (Quattro libri degli spettri, Angers 1586). È risaputo che la letteratura più nota fa spesso riferimento alla cabbala. Rabelais la menziona, scherzandoci sopra. Essa serve di tanto in tanto come rema d'ispirazione a Maurice Scève, a Ronsard e, all'inizio del secolo successivo, a Clo-vis Hesteau de Nuysement. Per finire, Spinoza le dovrà, probabilmente, le sue nozioni di natura na-turans e di natura naturata.

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4. IL XVII SECOLO

I cabbalisti cristiani

Il significato della parola cabbala si va sempre più estendendo. Nel 1608, Benedetto Figulus, nel Rosarium novum olympicum, insiste sull'interpretazione dell'alchimia in termini di cabbala. Hein-rich Khunrath si richiama a questa scienza, ma insieme ad altre autorità che egli cita al medesimo titolo. Il suo Amphitheatrum sapientiae aeternae (1609), che presenta numerosi commentari sofio-logici in forma di quadri simbolici, resta uno dei libri fondamentali dell'esoterismo occidentale; uno di questi quadri, divenuto famoso, rappresenta un alchimista che lavora a un tempo nel suo «orato-rio» e nel suo «laboratorio». Nel 1651, il Pugio Fidei, già ricordato, consultato anche da Pascal, te-stimonia l'interesse francese per la cabbala. Nei Paesi Bassi, Abraham von Frankenberg, autore di una biografia di Böhme, ripubblica la Clavis absconditorum di Postel; ha letto gli scritti di Agrippa, del Della Porta, dello Scaligero e annuncia l'imminente ritorno del Messia. È il periodo delle compi-lazioni e delle polemiche; il cugino di Vigenère, Claude Duret, pubhlica un Tesoro della storia delle lingue (1613), una grossa compilazione di mille pagine, un terzo delle quali è dedicato alla cabbala, mentre Jean-Pierre Camus propone un'enciclopedia analoga in una serie di Diversità, apparse fin dal 1609. Ricordiamo il convertito Filippo d'Aquino, autore di un'Interpretazione dell'albero della cabbala (1625) e il suo allievo Gilbert Gaulmin, il quale scrisse un De vita et morte Mosis (1629), che sarà letto da Eliphas Levi. È anche il periodo in cui il padre Marin Mersenne combatte la cabba-la cristiana, o meglio l'uso che pretendono di farne i Rosacroce; le sue Observationes (1632) con-cernenti i Problemata di Francesco Giorgio da Venezia sono significative; vi si trova la condanna di Fludd e di Postel. Ma Jacques Gaffarel, appassionato di ebraico e di occultismo, difende la cabbala e dedica a Richelieu i suoi Abdita divinae cabalae mysteria (1625); nelle sue Curiosità inaudite egli tratta a lungo di astrologia. Nello stesso periodo, Polycarpe de la Rivière, un religioso della Grande Certosa, corrispondente di Gassendi e di Pereisc, lascia degli scritti che ne attestano l'infatuazione per la cabbala cristiana.

Il mago Franziskus Mercurius Van Helmont, figlio del non meno celebre Johan Baptist Van Helmont, e Knorr von Rosenroth, sono due filosofi influenti presso il conte palatino Cristiano Au-gusto. Knorr, consigliere di corte, pubblica a Salzbach la sua celebre Cabala denudata (1677); tale opera contiene una traduzione parziale dello Zohar in latino, abbonda di riflessioni teosofiche, ri-prende la fiaccola dei Reuchlin, dei Pistorius; servirà come breviario cabbalistico per le generazioni future. Infine, il padre Atanasio Kircher, la cui opera pullula di citazioni tratte da varie lingue, in-tende stabilire un'affinità tra Pitagora, i misteri greci, la cabbala ebraica e l'esoterismo arabo. Kir-cher rimarrà una fonte d'ispirazione per molti ricercatori di scienze occulte. Oltre al Mundus subter-raneus (1665-1678), all'Arithmologia (1654), egli ha scritto anche l'Oedipus aegyptiacus (1652-1654), che contribuirà notevolmente a suscitare, e poi a diffondere, una moda «egiziana», della qua-le il XVII secolo conoscerà l'apogeo con Cagliostro, l'inventore della Massoneria «egiziana».

In Inghilterra, bisogna ricordare Henry Ainsworth, autore di Annotazioni sul Pentateuco. Wil-liams Alabaster pubblica nel 1633 Ecce sponsus venit e lo Spiraculum tubarum seu fons spiritua-lium. Giacomo Bonaventura Hepburn, uno scozzese cattolico nonché grande cultore di ebraico, è l'autore della celebre Virga aurea (1616), da lui dedicata a Paolo V; l'opera fu riedita nel XIX seco-lo, con un calendario magico attribuito a Tycho Brahe. Francesco Bacone, ovvero Bacone di Veru-lamio, diffida della cabbala, nonostante la sua Nuova Atlantis contenga accenni interessanti; vi ri-torneremo a proposito dei Rosacroce. Robert Fludd, che subisce l'influenza di costoro, fa conoscere la cabbala in Inghilterra; deve le sue conoscenze a Pico, Burgonovo, Vigenère, Reuchlin; egli tratta, nel Summum bonum quod est verum magiae, cabalae, alchymiae (1629), della «vera cabbala», ossia

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Bereschit e Mercava, che occorre distinguere da una cabbala superstiziosa, chiamata Gematria, No-tarica, Temurah.

La cabbala occidentale, infatti, è diventata ben presto una moda e ha perduto la sua purezza. Per comprenderla meglio occorrerebbe studiare da vicino i fondi a stampa e i manoscritti ancora poco sfruttati che testimoniano una collaborazione intensa tra ebrei e cristiani nella cultura ebraica. Que-sta corrente di idee, promossa da Pico e che Mersenne ha cercato di interrompere, non ha ancora cessato di stupirci e di istruirci.

I Rosacroce

Dei Rosacroce e della società rosacrociana si comincia a parlare all'inizio del XVII secolo, nono-stante il simbolo della Rosa e della Croce esistesse da molto prima. Tutto ha inizio nel 1614, a Cas-sel, con un manifesto in tedesco dal titolo: Comune e generale riforma di tutto il vasto mondo, se-guito della Fama Fraternitatis del lodevole ordine della Croce di Rosa, rivolto a tutti i sapienti e capi d'Europa. Insieme a una breve risposta, ad opera di Haselmayer. Questo testo, poetico ma po-co originale, messo insieme prendendo a prestito da varie traduzioni e compilazioni, costituisce una satira delle riforme sociali e morali; proclama che la redenzione non avviene dal di fuori ad opera delle Chiese, ma dall'interno, con la religione del cuore o con lo slancio mistico. La Fama, una let-tera aperta ai sapienti e ai «cuori fedeli», riassume la vita di un personaggio mitico, Cristiano Ro-senkreutz, mago e grande viaggiatore, il quale avrebbe dimorato a Damasco per poi rientrare in Germania e fondarvi un chiostro di esoteristi. Nel 1604, cento anni dopo la sua morte, se ne scopre la tomba, che contiene delle formule magiche e consigli e norme di vita; la Fama descrive tutto ciò avvalendosi di termini derivati dai grandi mistici dei secoli precedenti. Il manifesto lancia un appel-lo ai sapienti d'Europa, chiede loro di farsi conoscere, ma non rivela, però, l'identità degli autori. La «risposta» di Haselmayer, mitico fìrmatario impregnato di escatologia, annuncia l'età dello Spirito. Nel 1615, la Fama viene ripubblicata a Francoforte insieme a una Confessione della fraternità, cioè con una difesa dalle accuse di eresia o di intenti politici sovversivi; al tempo stesso, la Confessione promette segreti meravigliosi, quali la salute, la giovinezza, o il rapporto con gli spiriti. Dio comu-nicherà agli uomini, prima della fìne del mondo, la luce e lo splendore di Adamo, perduti nella ca-duta. Tutto questo ricorda sia le confraternite alchimistiche del XV secolo sia i temi più diffusi del-l'epoca: regno dello Spirito, rigenerazione interiore, apocalisse, ecc. Queste pubblicazioni sono se-guite, nel 1616, da un sorprendente libretto in tedesco, edito a Strasburgo, Le nozze chimiche di Cri-stiano Rosenkreutz, anno 1454. Molto bella e ricca di simbolismo profondo, questa descrizione ini-ziatica del difficile cammino della salvezza attraverso l'illuminazione e l'estasi resta una delle opere più importanti dell'esoterismo cristiano. Riassumiamo i recenti lavori di Paul Arnold su questi scritti e sul loro ordine.

Johann Valentin Andreae, luterano di Tubinga, nominato diacono nel 1614, ne è sicuramente l'autore, fin dal 1604; è quasi altrettanto certo che gli si possa attribuire anche la paternità dell'idea dei Rosacroce, del mito di Rosenkreutz e, quindi, del famoso manifesto. Si è dato il nome di «cena-colo di Tubinga» ai personaggi che sono all'origine di tutto questo, cioè Andreae, Christoph Besold e Tobias Hess. Il carattere di ludibrium, di piacevolezza, inseparabile da tutta la faccenda, non può sorprendere da parte di Andreae, che sa maneggiare la malizia e il mito. Nonostante il fatto che, dal 1615 ai giorni nostri, falsari di professione e deliranti adulatori abbiano continuato a imbrogliare le piste, si può sostenere che tra il 1614 e il 1620 non vi fu un'«associazione dei Rosacroce»; vi fu so-lamente un giuoco di intellettuali desiderosi di spingere la gente a ripiegarsi su se stessa. Che un si-mile giuoco potesse degenerare in abbondante polemica non desta quasi meraviglia, se si pensa al turbamento di un'epoca così tormentata; che sia poi di natura esoterica, è una cosa che appare natu-rale in un periodo nel quale si pubblicano - fatte le debite proporzioni - tanti trattati d'alchimia quan-ti romanzi oggi. Andreae si distacca dal suo piccolo gruppo fin dal 1616, ma il mito, una volta vara-to, continua a svilupparsi. Raggruppamenti più o meno torbidi, interessati dal tema e dal motto «Rosacroce», si costituiscono qua e là; accade così che, in un mattino d'agosto del 1623, i parigini possano leggere sui muri di certi incroci dei curiosi manifesti affissi da qualche burlone: alcuni

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«Fratelli della Rosa-Croce», che soggiornano «visibili e invisibili» in quella città, si vantano di in-segnare mille meraviglie a quanti lo meritano. Da questo momento, tutto quel che verrà attribuito alla «Rosa-Croce» non avrà più nulla a che vedere né con Andreae, né con il cenacolo di Tubinga.

Poco tempo dopo questo divertimento letterario, nel 1617, Andreae crea le «Unioni cristiane»; molto più mistico che esoterico, questo movimento non fa che riprendere le idee contenute nei due primi manifesti; esso sorge con la collaborazione di importanti personalità, quali Johann Gerhardt, Jacob Hainlin e Wilhelm Schickard. Gerhardt, influenzato dall'Arndt e avversario del gesuita Bel-larmino, resta una delle principali figure della Chiesa luterana; gli amici di Tubinga sono, d'altra parte, anch'essi ostili ai gesuiti, pur mantenendo una posizione molto aperta nei confronti del catto-licesimo. Poco dopo la Fama, Hainlin diventa amico di Keplero; in seno al gruppo di Tubinga, Schickard, ebraista di talento, si specializza nella cabbala e nell'astrologia. L'associazione Rosa-Croce non era stata che un mito, laddove le «Unioni cristiane», volte a preparare l'avvento del Cri-sto, tentano realmente di impiantarsi, almeno fino al 1629, data in cui Andreae comincia a rinuncia-re al suo progetto di instaurare una società evangelica.

L'ispiratore di queste iniziative di Andreae - manifesto e Unioni Cristiane - è senza dubbio Tommaso Campanella, discepolo di Telesio. Egli è detenuto a Napoli dal 1599 al 1626 e vi compo-ne vari trattati. Verso il 1613 consegna al suo uomo di fiducia, Tobia Adami, amico di Andreae, il manoscritto della sua Città del sole, un'utopia ispirata all'opera di Tommaso Moro (Thomas More); vi scrive come un «senso interno», un sentimento o intuizione, ci permetta di conoscere le cose di-vine; Wilhelm Wense, amico di Andreae e di Adami, propone di battezzare «Città del sole» l'Unio-ne cristiana che Andreae sogna di creare. Andreae la fonda insieme all'amico Christoph Besold, che predica anch'egli l'idea della divinità dell'anima umana, già insegnata dallo pseudo-Dionigi e pre-sente in Eckhart e Ruysbroeck, ma condannata sia dalla Chiesa romana sia da quella riformata. D'al-tra parte, abbiamo visto come Gioacchino da Fiore, insieme a Tommaso da Kempis, fosse il model-lo di Cristiano Rosenkreutz; probabilmente va anche colta l'influenza di Ruysbroeck, il cui Orna-mento delle nozze spirituali ricorda singolarmente le Nozze chimiche. I redattori dei manifesti hanno attinto all'esoterismo escatologico più diffuso in Occidente dopo il XII secolo. Dobbiamo ancora aggiungere il concetto di emanazione, divulgato dallo Sepher Yetsira, e quello dell'amore unificante dello Spirito Santo, inteso come «legame»; queste idee si trovano nei mistici medievali ispirati dallo pseudo-Dionigi o da Mario Vittorino; non si discostano molto dal concetto alchimistico di medium tra lo stabile, l'essenza eterna, e il relativo, la creazione peritura. Michael Maier sviluppa questo simbolismo nella sua alchimia rosacrociana (Cantilenae intellectuales de phoenice redivivo, 1622). Eckhart e Ruysbroeck avevano chiamato «figli occulti» o «nascosti in Dio» gli uomini impegnati sulla via della perfezione: la Fama, la Confessione lo seguono passo passo; questa semplice metafo-ra farà nascere la falsa credenza negli Invisibili, in una società occulta. Analogamente, la metafora dell'Apocalisse sulla Pietra scintillante produce un'abbondante letteratura sulla pietra filosofale; ma il significato vero della Pietra dei Sapienti non è sempre stato colto nel senso spiegato da Ruysbro-eck nell'Amore o la pietra scintillante. Infine, Johannes Arndt, addentro nella tradizione alchimisti-ca, è il padre spirituale del cenacolo di Tubinga; anche lui aveva subito l'influenza di Tommaso da Kempis, di Eckhart, di Ruysbroeck, di Tauler e soprattutto di Valentino Weigel, che aveva posto così spesso l'accento sulla luce interiore e sulla presenza di Dio in noi. Il libro di Arndt, Vier Bücher vom wahren Christenthum (Quattro libri della vera cristianità) (1610), costringe l'autore ad abban-donare il Brunswick e ad esiliarsi in Prussia; Arndt ha come amico Andreae, suo discepolo spiritua-le.

Un certo numero di pensa tori assumono con zelo la difesa dei Rosacroce. Poco ci importa che abbiano avuto il torto di credere nell'esistenza di questa presunta associazione; sta di fatto che, al-l'occasione, hanno espresso concezioni filosofiche interessanti. Tra questi, il teosofo Michael Maier, medico di Rodolfo II e poi di Maurizio di Nassau, ha scritto Arcana arcanissima (1614); attento alla precisione dogmatica, egli introduce nella dottrina degli amici di Tubinga, prevalentemente preoc-cupati dell'esaltazione mistica, una logica, una teosofia elaborate, ma in gran parte estranee all'es-senza del movimento dei Rosacroce. In Inghilterra, dove il XVII secolo è principalmente contrasse-

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gnato dall'apogeo dell'alchimia e dall'influenza delle idee rosacrociane, Robert Fludd, originario della contea di Kent, si segnala con un Trattato apologetico (1617) destinato a difendere la società dei Rosacroce contro i suoi avversari; come già Maier, Fludd approfitta della polemica per difende-re le proprie intuizioni, imbevute di cabbala. Contrariamente a quanto si è sostenuto, Fludd non è mai stato l'organizzatore del movimento in Inghilterra. In Francia, nello stesso anno, l'alchimista Michel Potier dedica ai Rosacroce il suo Nuovo trattato sulla pietra filosofale.

Ci si è sbizarriti nel ricercare tracce rosacrociane in certi personaggi illustri. Cartesio non ha mai fatto parte di un'associazione che si richiamasse ai Rosacroce. Francesco Bacone, che certi sognato-ri hanno voluto identificare con Shakespeare, pretendendo che fosse un «Rosacroce», ha scritto No-va Atlantis (1625). Questo bel romanzo iniziatico, il cui stile e la cui concezione sono stati certa-mente infuenzati dal viaggio di Cristiano Rosenkreutz, ci narra come i naufraghi guidati da una cro-ce celeste raggiungano l'isola di Bensalem, in cui trovano una società iniziatica ideale. Perché nega-re che la parentela sia soltanto di natura letteraria? Si è anche voluto scorgere del rosacrocianesimo in Leibniz e in molti altri personaggi; un giuoco sterile, perché nel XVII secolo l'esoterismo monista caratterizza la filosofia di quasi tutti i pensatori.

Jakob Böhme e i suoi discepoli

Si è potuto dire, del pensiero di Böhme, che vi si esprime un'alchimia spirituale. Non c'è da stu-pirsi, solo che si pensi come la scienza di Ermete non cessi di reclutare proseliti all'inizio del XVII secolo, spesso nella più pura tradizione paracelsiana. Figulus, un pansofo francone, autore della Pandora magnalium naturalium aurea (1607) insegna che vi sono tre libri: quello della natura (ma-crocosmo), quello dell'uomo (microcosmo) e la Bibbia. Egli preannuncia la Fama, ricordando Para-celso o Siderocrater. Tuttavia, per Aegidius Gutman (Offenbarung göttlicher Mayestät) (Rivelazio-ne della Maestà divina) (1619), il signatum paracelsiano ha minore importanza della Bibbia. Analo-ghe considerazioni si ritrovano nella Basilica Chymica (1608) di Oswald Croll. Un'importanza simi-le attribuita alla Bibbia non può sorprenderci in terra protestante. All'inizio del secolo, a Praga, tutti gli alchimisti sono sicuri di essere bene accolti alla corte di Rodolfo II. I due Van Helmont, già ri-cordati a proposito della cabbala, sono abbastanza noti. Il padre, Giovanni Battista, resta celebre per le sue teorie sull'alcale dalle meravigliose proprietà dissolventi; rientra anche tra i primi chimici che individuarono l'esistenza dei gas; i suoi libri riuniscono in una vasta sintesi l'alchimia sperimentale e l'ermetismo spirituale. Il figlio Franziskus Mercurius è autore del Kurtzer Entwurf des eigentlichen Naturalphabets (Breve abbozzo dell'alfabeto della natura) (Sulzbach 1667), nonché di altri lavori sull'Apocalisse; i suoi Paradoxaldiskurse (1691) riguardano il microcosmo-macrocosmo; ricchi di un'intuizione profonda sull'immaginazione creatrice, avrebbero influenzato Goethe; anch'essi deb-bono molto al filosofo di Görlitz.

Jacob Böhme è il principe degli esoteristi cristiani. La vita di questo semplice calzolaio di Gor-litz, nella Slesia, avrebbe dovuto scorrere senza storia, divisa tra la bottega e lo scrittoio. Purtroppo, Böhme, fino alla fine dei suoi giorni, resta vittima delle persecuzioni della Chiesa riformata, che gli vieta di scrivere, così che i suoi libri circolano manoscritti clandestinamente. Dopo Aurora (1612), primo abbozzo della sua dottrina, con Von den drei Principien (Sui tre princìpi) (1619), De Triplici Vita hominis (1620), il suo pensiero, anche se non completamente esplicato, sembra compiuto; gli ulteriori libri, i suoi capolavori - De signatura rerum (1621), Mysterium Magnum über Genesis (1623), Questiones Theosophicae (1624) - rappresentano i suoi maggiori titoli di vanto.

Da vero teosofo, egli cerca quello che è ancora nascosto, quello di cui le scritture parlano poco: l'essenza di Dio - o piuttosto la sua esistenza -, gli angeli, la caduta, ecc. Nel crogiuolo del pensiero di Böhme tutto si fonde in un insieme armonioso e complesso: Paracelso, Sebastian Franck, Schwenckfeld, l'alchimia, l'astrologia, il neoplatonismo ed anche un po' di quella cabbala che i suoi intimi amici - specialmente Balthazar Walter - conoscono bene. Avendo scoperto nella cabbala al-cune delle immagini mistiche che andava cercando, Böhme diventa a propria volta una fonte indi-retta del cabbalismo. Egli rappresenta indubbiamente il punto di arrivo di molte avventure intellet-tuali, ma sostanzialmente deve poco ai suoi predecessori; del resto, si proclama ispirato direttamen-

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te. Il mondo inteso come una manifestazione personale di Dio, l'intuizione secondo cui ogni ele-mento spirituale poggia su un fondamento corporeo, l'affermazione che l'uomo, prima della caduta, possedeva un corpo spirituale, che ogni forma di vita si fonda su una metafisica della contraddizio-ne, che la conoscenza offre una via di salvezza: questi i temi essenziali della sua filosofia cosmica; sono temi inseparabili da quella che è la sua preoccupazione costante: annunciare il rinnovamento del mondo, la nascita della vera Chiesa attesa per la fine dei tempi.

Dio, simile ad un punto, ha bisogno di una circonferenza per esistere; il mondo esprime la Figu-ra della divinità. L'originalità del Böhme consiste nel sottrarsi alla concezione latina, neoplatonica e medievale (cioè piuttosto statica) di questa divinità, nel cui seno egli scopre una lotta appassionata tra opposti princìpi: prima dell'Essere viene l'Ungrund, libertà primordiale senza fondamento, ossia assoluta nel senso di ab-solutum; dunque, non è la ragione, ma il principio irrazionale che si pone alla base dell'essere. Böhme conferisce una base religiosa al volontarismo della metafisica tedesca; per primo, sembra, nella storia del pensiero occidentale, egli pone la libertà come fondamento del-l'essere. Quella è fuoco eracliteo, mentre l'essere è libertà fissata, fuoco spento. Questo teosofo ri-fiuta di ammettere come entità suprema la Deitas di Eckhart, perché sfugge ad ogni divenire; distin-gue, invece, un'opposizione polare, una sintesi dei contrari all'interno dell'uomo e all'interno di Dio, il quale - mai in esse, ma sempre in fieri - «vede» nella Sophia il mondo possibile; allora, l'immagi-nazione divina desidera, genera magicamente la natura temporale. Sophia consente allo stesso Dio di conoscersi nella sua molteplicità, di proiettare un'immagine di sé diversa da sé; la Saggezza Di-vina si presenta come uno specchio, cosicché la trinità si completa in un quarto termine. Questo schema organicistico, magico, vitalistico, rinnova la sofiologia occidentale.

Senza Lucifero, per colpa del quale il Male è comparso nell'Universo, l'uomo non esisterebbe af-fatto, giacché Dio lo ha creato per sostituire gli angeli decaduti; il Genesi descrive, dunque, una se-conda creazione, un'azione riparatrice, organizzatrice. Adamo era androgino, «vergine maschio»; la caduta lo scinde in due, lo chiude nella Materia, che significa un arresto nel progresso del Male: ec-co perché la vita organica rappresenta un bene in sé; gli angeli non sono disincarnati, il possesso di un corpo rappresenta come una forma di perfezione; i dèmoni non possono crearsi un corpo, donde la ragione dei loro tormenti. Poiché Lucifero non possiede un involucro sensibile soggetto alla suc-cessione, non si darà per lui l'apocatastasi. Non sono l'anima o lo spirito a giungere alla salvezza, ma è l'uomo nella sua interezza Dio stesso è dotato di una vita organica. Alla fine dei tempi, la bel-lezza degli esseri di questa terra continuerà a rallegrare eternamente gli abitanti dei cieli. I tempi e la storia non sono affatto privi di senso, giacché hanno permesso a Dio di rivelare più compiutamente; il mondo materiale, detto del «terzo principio», svolge una funzione non meno essenziale nella na-tura divina e nella struttura dell'universo, al pari degli altri due princìpi. Del resto, la forma esteriore di un corpo, il suo stesso colore, sono già «linguaggio », espressione di un'essenza; ogni essere «parla» attraverso le sue qualità; il mondo intero non è altro che parola di Dio, similitudine, Figur, espressione della sua immaginazione creatrice, poiché la volontà e l'immaginazione (nel senso eti-mologico di Ein-Bildung), vera magia, creano le cose, la loro essenza. L'aritmosofia di Böhme resta inseparabile dalle sue considerazioni. Limitiamoci ad osservare l'idea secondo cui ciascuna delle sette forme o Quellgeister manifesta un aspetto dell'Essere, esiste dall'eternità. Sono i giorni del Genesi. Come nella musica ci sono le sette note, così l'Universo esiste solo grazie a queste sette for-ze. Nelle prime tre - mondo del Fuoco - si manifesta il Dio geloso, quello della Legge; nelle altre tre - mondo della Luce - si manifesta il Dio d'amore, il Figlio. Lo Spirito Santo si esprime nella settima forma, che unisce le altre sei, come lo stesso centro della stella a sette punte. Si capisce come i rap-porti tra Böhme e la cabbala siano originali e complessi; si scoprono rassomiglianze tra l'En Soph ebraico e il Mysterium Magnum di Böhme; tra la sua nozione di «collera di Dio» come origine del Male, e la rottura dell'equilibrio Rigore-Clemenza dei cabbalisti. Böhme è probabilmente il primo a parlare, in Occidente, dei centri psichici dell'uomo.

Con Böhme, infine, le elaborazioni sull'androginia cominciano realmente a costituire uno degli aspetti essenziali dell'antropologia cristiana. Gesù rappresenta per lui il prototipo stesso dell'andro-gino: quest'idea, inseparabile dalla sofiologia, implica la credenza in una «coppia celeste» non priva

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di una qualche volontà sessuale. Leone l'Ebreo, già menzionato, aveva contribuito a diffondere que-st'idea. Stando ai nostri teosofi, Iside, Sophia, la Vergine Maria, rivelano sempre un aspetto femmi-nile in seno alla divinità, ossia un'incarnazione che conferisce spesso alla donna un ruolo messiani-co. Pensiamo alla fidanzata di Novalis, a Quirinus Kuhlmann e Maria Angelika, a Guillaume Postel e alla Madre Giovanna... Ma se il platonismo concepiva il ristabilirsi dell'unità attraverso l'unione sessuale, i teorici dell'androginia trascendono tale concezione; essi intendono passare dai sensi allo spirito per ritrovare una totalità originaria, un'integrazione spirituale e corporea, il «corpo» inteso questa volta nel senso di Leib e non di Körper.

Il sistema di Böhme contribuisce alla formazione di una coscienza spirituale nella Germania del XVII secolo, in un paese allora in piena crisi. D'ora in poi, e per alcuni decenni, ci si accosterà alla pansofìa e alla teosofìa nello spirito di Böhme, Böhme il teosofo, Weigel il maestro di mistica: ecco i due grandi nomi della speculazione cristiana del XVII secolo.

L'influenza esercitata da Jacob Böhme fu considerevole, Angelus Silesius, alias Johann Schef-fler, legato a Frankenberg che fu amico e biografo del calzolaio della Slesia, è considerato a giusto titolo un geniale poeta, depositario di parte dell'eredità di Böhme e di Paracelso; luterano diventato cattolico, egli è più propenso alla teosofìa che alla pansofìa, forse per l'inf1uenza della sobrietà wei-geliana; il suo Pellegrino cherubico resta uno dei più bei poemi mistici della letteratura tedesca.

Quirinus Kuhlmann, nato a Breslavia, bruciato vivo a Mosca dopo aver condotto una vita erra-bonda, professa un esasperato orientamento chiliastico; il suo sistema è caratrerizzato da una strana mistica del corpo e del sangue «celesti», Johann Georg Gichtel, nato a Ratisbona, elabora e insegna una sofìoiogia, confermata da visioni, che si basa sulla dottrina di Böhme. Nel 1699 egli diventa lo «sposo spirituale della Vergine Sophia», La sua comunità separatista dei Fratelli della Vita Angeli-ca, che si propongono di ritrovare lo stato dell'uomo precedente la caduta, ha lasciato profonde trac-ce nella storia del pietismo. Essa esiste tuttora in Germania, Gichtel ripubblica le opere di Böhme nel 1682; le lettere di questo discepolo, pubblicate da Gottfried Arnold, verranno lette abbondante-mente dalle sette dei teosofì e nelle Logge massoniche; alla sua morte, Johann Wilhelm Ueberfeld assume la guida dei gichteliani, Gottfried Arnold, che fu dapprima pietista sotto l'influenza di Spe-ner, è il teologo che ha esposto con maggiori particolari il tema dell'Adamo androgino, un tema che egli ha reso inseparabile dalla dottrina sofìologica, Per lo storico, egli resta sopratrutto l'autore della voluminosa Un-partheyische Kirchen- und Ketzerhistorie (Storia imparziale della Chiesa e delle e-resie), Le sue speculazioni teologiche, come quelle di Jane Lead, Gichtel o Thomas Bromley, sono inseparabili dalle sue esperienze di visionario.

Poiret e la signorina Bourignon si collegano al böhmismo, anche se l'influenza quietista è stata prevalente; d'altra parte, quietismo ed esoterismo vanno piuttosto spesso insieme. Le loro opere co-noscono una notevole diffusione specialmente in Inghilterra. Pierre Poiret, un pastore calvinista na-to a Metz, vive a lungo ad Amburgo e in Olanda, pubblica opere della signora Guyon e di Antoinet-te Bourignon, di Lille. Quest'ultima, che aggiunge al böhmismo le proprie esperienze di tipo quieti-sta, elabora una teosofìa originale, fornendo molti particolari sulla natura dell'androginia adamitica. Poiret e la signorina Bourignon, come la maggior parte dei discepoli di Böhme, aggiungono alla dottrina di questi un elemento millenaristico e chiliastico più accentuato che non il maestro; d'altro canto, un buon numero di seguaci si discosta dall'ispiratore per quanto riguarda l'eternità delle pene, sostenuta da Böhme e negata dalla maggior parte dei suoi allievi.

L'Inghilterra è il primo paese a salutare con entusiasmo la fìlosofìa tedesca, in anticipo sulla Francia, che a propria volta la farà riscoprire alla Germania un secolo dopo. Non si aspetta la morte del teosofo per diffondere oltre la Manica estratti delle sue opere in numerose copie manoscritte. John Sparrow, traduttore fedele, e, nello stesso periodo, i fratelli Hotham, apostoli della Chiesa inte-riore, testimoniano di questa attività, che culmina poco dopo il 1624. Il circolo dei fìladelfì, o Phi-ladelphian Society, fondato a Londra alla fìne del secolo, si propone di raccogliere i vari ispirati di tutte le confessioni cristiane per realizzare l'ecumenismo preannunciato per la fìne dei tempi. Sul continente, l'influenza del circolo si fa sentire nelle opere di Gottfried Arnold e di August Hermann Francke. I fìladelfì intendono mettere in pratica il böhmismo a tutti i livelli. John Pordage, un sacer-

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dote della Chiesa anglicana, nato a Londra, alchimista ed astrologo, impegnatissimo nell'interpreta-zione del Genesi, riceve il 3 gennaio 1651 straordinarie illuminazioni, che danno vita al «behemeni-smo» e, più tardi, alla Philadelphian Society. Verso il 1668, Pordage incontra Jane Lead, che bene-fìcia dell'apparizione di Sophia; dai quarantasette anni fìno alla morte, ella gode di continue illumi-nazioni. I due contraggono un'unione spirituale libera dai vincoli della carne, una prassi caratteristi-ca in seno all'associazione. Predicano l'apocatastasi, forse influenzati in questo dai seekers, una setta che propaganda la Chiesa interiore e la Terza Dispensa, o annuncio imminente del regno dello Spi-rito. Al movimento seeker può essere accostato Thomas Tryon, un pitagorico cristiano interessato all'astrologia, all'alchimia, alla teosofia böhmiana: anche lui beneficia di apparizioni di Sophia. Nel 1694, dopo la morte di Pordage, Francis Lee, un insigne erudito, incontra Jane Lead e ne diventa il figlio adottivo, il segretario e, in pratica, l'editore, mentre il visionario Richard Roach, un ecclesia-stico anglicano, redige strane opere sui tempi e il ritorno del Cristo. La Società propriamente detta costituisce, in certo senso, l'essoterismo del behemenismo; essa dura soltanto dal 1697 al 1704, sen-za che Pordage abbia potuto assistere alla nascita del raggruppamento; continua però a sopravvivere nell'ombra, riunendo nella forma «behemenista» alcuni fedeli in riunioni molto riservate. I rapporti tra gli adepti e la Chiesa d'Inghilterra permangono fluidi a causa delle divergenze tra i dirigenti del-la setta; mentre Lee, al modo dei pietisti tedeschi, professa il principio dell'Ecclesiola in Ecclesia, Tane Lead vuole che la Società si separi dall'anglicanesimo. Per concludere, una forte componente pietista e il simbolismo alchimistico pressoché costante contraddistinguono questi pensatori. Nei primi anni del XVIII secolo, böhmisti tedeschi guidati da Johann Kelpius si stabiliscono in Pen-nsylvania. Anche tra gli shakers bisognerebbe cercare tracce di filadelfi, ma si tratta in questo caso di una di quelle innumerevoli sette protestanti, il cui studio non riguarda più l'esoterismo vero e proprio.

Dionysius Andreas Freher, nato a Norimberga, amico di Gichtel, di Poiret e dei filadelfi, arriva in Inghilterra nel 1694, per restarvi fino alla morte. Egli sostiene l'eternità delle pene e ispirerà Wil-liam Law con i suoi numerosi scritti, che rappresentano una delle più chiare e più fedeli esposizioni sistematiche del böhmismo. Prima di lasciare l'Inghilterra, dobbiamo citare altri nomi. Sotto l'in-fluenza di Paracelso e di Böhme, si tenta di saldare sempre più fede e conoscenza. Sono probabil-mente i neoplatonici di Cambridge quelli che meglio riescono a realizzare tale sintesi, mediante la quale il sapere diventa fede, in quanto l'essere religioso si sente chiamato a diventare un ricercatore in Dio. L'essere faustiano - nell'accezione di Goethe - sta per fare la sua comparsa in Europa. Henry More, esponente autorevole ed eloquente di questa tendenza, teosofo nel senso più puro del termine, unisce alla sua cultura una conoscenza diretta ed immediata dell'assoluto, della realtà ineffabile na-scosta dietro le apparenze sensibili. In lui si ritrovano temi esoterici correnti, quali ad esempio: la dottrina delle corrispondenze, le tecniche contemplative per la realizzazione spirituale, la superiorità dell'illuminazione intuitiva sul ragionamento discorsivo. More tenta di raccogliere in una sintesi armoniosa Cartesio e Platone, la cabbala e il razionalismo, il vitalismo neoplatonico e la nuova fisi-ca. Ma ai «corpuscoli meccanici» di Cartesio egli contrappone le «monadi», proclama l'esistenza di uno «spirito di natura» o anima del mondo che guida i processi naturali secondo la volontà divina. Il grande Newton, che si è ispirato a lui, sostenitore della «divinità dello spazio assoluto», è appassio-nato di esegesi apocalittica, di alchimia. L'alchimista Thomas Vaughan (Magia Adamica, 1650), a-lias Eugenius Philalethes, raccoglie l'insegnamento di Agrippa. Fratello gemello del poeta Henry Vaughan, resta celebre sia per la sua polemica con Henry More, sia per le sue elaborazioni sulla Luce divina. Tra i discepoli di More, cioè tra i «platonici di Cambridge», ricordiamo altri tre nomi. Ralph Cudworth, teorico del «mediatore plastico», o anima universale mediante la quale Dio rimane attivo in tutta la creazione senza esservi immanente; Joseph Glanvill, avverso ad Aristotele e alla Scolastica, cultore di metafisica (Sadducismus triumphatus, 1681); l'origenista George Rust, teorico - come More e Glanvill - della preesistenza delle anime e della loro caduta. Tra i poeti, vanno ricor-dati Donne e Milton. John Donne, il «poeta metafisico», ha letto Pico, Reuchlin, Francesco Giorgio da Venezia e altri esoteristi. Quanto al sistema religioso sul quale si basa il grandioso affresco del Paradiso perduto di Milton, esso poggia su un'illuminazione teosofica. Milton ha sicuramente letto

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Jacob Böhme. Oltre alla visione di una Notte increata, di un caos primordiale, entrambi hanno in comune l'idea che Dio desideri esprimersi, il che spiega la creazione dell'universo; ma non si può parlare di creazione ex nihilo, in quanto questa partecipa della stessa essenza divina, è «emanazio-ne». In quest'opera ritroviamo le nozioni cabbalistiche dell'En Soph e della dottrina del Tsimtsum, laddove Milton fa dire a Dio: «I uncircumscribed myself retire». Si può parlare di sostanziale moni-smo, poiché tutto è eterno ed è possibile passare senza soluzione di continuità dagli oggetti materiali agli angeli.

Guardiamoci, tuttavia, da accostamenti troppo arditi al campo letterario. Si potrebbero trovare molte opere ricche di un esoterismo latente, per esempio anche tra i racconti di Perrault; ma rag-giungeremmo il più delle volte il mito allo stato puro, l'archetipo, invece della teosofia o dell'esote-rismo propriamente detti.

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5. IL XVIII SECOLO

Per il XVIII secolo, normalmente si parla di illuminismo; ma l'illuminismo fa la sua comparsa soprattutto a partire dagli anni cinquanta, almeno nella sua forma originale. Postel, Pico, Reuchlin, Böhme, non hanno quasi smesso di avere successori. Da un lato, la prima metà del secolo coincide con l'opera del conte Nikolaus Ludwig von Zinzendorf, maestro dei Fratelli moravi, fondatore della Comunità di Herrnhut; l'insegnamento di Zinzendorf si ispira spesso alla tradizione trasmessa dagli esoteristi cristiani. Dall'altro lato, questo periodo è caratterizzato da alcune opere importanti. La Berleburger Bible (dal 1726 al 1742) diffonde la dottrina dell'androgino originario negli ambienti pietistici e in quasi tutta l'Europa spiritualista. È contemporanea al libro di Douzetemps (Il mistero della Croce, 1732), un trattato dal simbolismo edificante, un libro di preghiere influenzate dal quie-tismo, scritto da un protestante francese rifugiatosi in Germania. È anche il periodo di Saint-Georges de Marsais, del quale riparleremo, e di Georg von Welling, alias Salwigt, che nel 1735 pubblica il suo celebre Opus mago-cabbalisticum et theosophicum. Questo libro ebbe numerose e-dizioni; mezzo secolo più tardi sarà tra i testi mediante i quali il giovane Goethe si inizia alle scien-ze occulte sotto la direzione della signora Klettenberg. Come Paracelso, Welling si interessa agli spiriti elementari. Si proclama cristiano sino al punto di respingere la cabbala ebraica, pur commen-tando il Genesi nel medesimo stile dei cabbalisti. Questo pansofo insegna i segni in un linguaggio spesso alchimistico; non ignora né la negromanzia né la teurgia e spiega come ci si debba difendere dai dèmoni. La Theo-Philosophia Theoretico-Practica (1711) del suo predecessore Samuel Richter (alias Sincerus Renatus) sembra altrettanto importante per la storia delle idee dell'Opus di Welling. Per le sue speculazioni alchimistiche, il suo orientamento böhmista, le sue teorie sull'immaginazio-ne, sulla natura intesa come rivelazione permanente, questo libro è senza dubbio - insieme a quello di Welling - una delle due opere classiche dell'ermetismo nel XVIII secolo in Germania.

Nel periodo che precede la Rivoluzione francese e in quello successivo, l'illuminismo non con-quista soltanto cristiani; tuttavia, questi costituiscono la maggioranza. Le stesse affinità spirituali li accostano ad altri pensatori nutriti esclusivamente di pitagorismo o di cabbala ebraica. Fabre d'Oli-vet, Court de Gébelin, Cagliostro, costituiscono, al pari dei teosofi cristiani, la viva fonte cui attin-gerà il romanticismo. Tutti, o quasi, però, presentano maggiore affini tà con la filosofia romantica tedesca che con le altre correnti «romantiche» francesi o inglesi, per esempio. In questo periodo, in-somma, la teosofia è presente e diffusa dappertutto. Più di un passo del grande Herder sarebbe de-gno dei cabbalisti cristiani del Rinascimento, mentre Schiller scrive nella Thalia (1787) delle pagine dal titolo Theosophie des Julius.

Teosofi che si occupano soprattutto di mistica speculativa

Hector de Saint-Georges de Marsais, nato a Parigi, si stabilisce ben presto a Barleburg, dove pubblica le sue opere (Spiegazione dei primi tre capitoli del Genesi, 1738; Della Magia divina, 1739). Influenzato sia dal quietismo sia dalla filosofia di Böhme, egli insegna una pittoresca geogra-fia celeste, che ricorda qua e là quella di Swedenborg. Marsais guida spiritualmente Federico di Fleischbein, che lo sostituisce nel 1755 alla testa di una comunità di valdesi. Alla morte di Flei-schbein, Dutoit-Membrini trasferisce la sede della setta da Barleburg a Losanna, per rafforzarne la direzione. Dutoit-Membrini, una grande figura del cristianesimo nel cantone di Vaud, deve il suo risveglio spirituale alla lettura della Guyon. La sua Filosofia divina (1793) propone un sistema complesso, originale e tradizionale insieme, nel quale si sente a volte l'influenza di Swedenborg e di Saint-Martin.

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Johann Caspar Lavater, pastore di Zurigo, è una figura strana ed affascinante. La sua devozione si distingue per l'attaccamento incondizionato e appassionato alla figura di Cristo, al corpo carnale e mistico del Gesù storico. Egli si mostra forse più interessato alle manifestazioni soprannaturali di quel che non sia un teosofo autentico. Mentre crede nel millennio come in una realtà teologica, non parla quasi per nulla della caduta, ma preferisce discettare all'infinito sullo stato dell'uomo nella vita futura o sull'esaudimento delle preghiere. La sua voluminosa corrispondenza ne testimonia le rela-zioni, estese a tutta l'Europa e a qualsiasi classe sociale, ma ne prova anche l'eclettismo. Del resto, egli non disporrà mai di un sistema ben definito; mentre la sua vita è quella di un mistico, il suo ruolo risulta quello di un geniale divulgatore. Anche se a renderlo celebre sono bastati i Frammenti fisiognomici (1775-1788), egli ha anche scritto interessanti Sguardi sull'eternità (1768-1778).

Johann Heinrich Jung-Stilling, educato pietisticamente, figlio di un sarto di Nassau-Siegen, ri-siede a Strasburgo nel 1770 e vi stringe amicizia con Goethe e Herder. Dapprima medico, poi pro-fessore di economia politica (ad Heidelberg, a Marburgo), dedica l'ultimo terzo della sua vita ad o-pere escatologiche, pur moltiplicando i contatti con gente di diverse condizioni, alla quale predica il ritorno del Signore, l'aritmosofia apocalittica, i vantaggi della preghiera. Egli ha lasciato un'abbon-dante corrispondenza, insieme a un gran numero di opere (Das Heimweh, 1794; Scenen aus dem Geisterreiche, 1795). Jung-Stilling incontra Alessandro I nel giugno del 1814; la sua influenza sullo zar illuminato, ancorché meno profonda, non è meno durevole di quella della signora de Krüdener. Interessato più all'escatologia che alla cosmogonia, attribuisce grande importanza agli angeli e ai dèmoni, ma anche agli astri, strumenti della potenza divina in terra.

Johann Friedrich Oberlin, pastore del Ban-de-la-Roche, vicino Schirmeck, esercita anch'egli una grande influenza in vari ambienti; si distingue per un apostolato di natura accentuatamente teosofi-ca. La signora de Krüdener, dopo un soggiorno presso di lui, esce trasformata, più convinta che mai della missione di cui si sente investita. Egli è un amico di Jung-Stilling, un lettore di Swedenborg; interessato come loro ai rapporti dell'uomo con gli angeli o con i defunti, schematizza le dimore ce-lesti in quadri disegnati e dipinti.

La duchessa di Borbone, madre del duca d'Enghien, Grande Maestra delle Logge di Adozione, ha lasciato scritti che testimoniano un interessante pensiero teosofico. Il suo salotto accoglie alla rinfusa una quantità di illuminati; Saint-Martin compone l'Ecce Homo secondo le sue intenzioni, per stornarne l'interesse un po' troppo spiccato per le scienze occulte. Altri suoi maestri sono la Guyon e Dutoit. L'influenza spirituale di Julie de Krüdener è molto più vasta. Rimasta vedova molto presto, appassionata di misticismo, percorre l'Europa alla ricerca di illuminati. Il 4 giugno 1815, ricevuta con la figlia a Heilbronn dallo zar Alessandro, lo interessa alla sua missione e alla Chiesa interiore. In luglio, a Parigi, vuole indurlo a creare una nuova Chiesa «rigenerata»; sotto questo aspetto, appa-re, se non l'ispiratrice del testo della Santa Alleanza, perlomeno l'istigatrice dell'atto. Sappiamo co-me questo sogno di teocrazia mistica, del regno di Cristo attraverso l'unione delle Chiese, fallisca ben presto; ritenuto eccessivamente mistico da Metternich, si trasforma nella Quadruplice Alleanza, un semplice patto d'intervento.

Ed ecco altri pensatori, con sistemi più compiuti. In primo luogo William Law, uno dei pochi il-luminati inglesi del XVIII secolo, forse l'unico mistico che l'anglicanesimo abbia prodotto. Law si dedica principalmente all'esegesi dei libri di Böhme; egli mette in primo piano il processo spirituale della rigenerazione, per quanto sia in realtà piuttosto un mistico stricto sensu che non un teosofo. La sua dottrina non è affatto ricalcata pedissequamente su quella del filosofo teutonico: attraente ed o-riginale, essa se ne distingue in più punti. I continuatori inglesi di Law sviluppano il pensiero dei cabbalisti cristiani e di Böhme sovrapponendovi esperienze cattoliche, quietiste e talvolta sweden-borghiane; ricordiamo l'irlandese Henry Brooke e il cabbalista neoplatonico Richard Clarke.

Pochi teosofi hanno raggiunto la notorietà di Emmanuel Swedenborg, nato a Stoccolma, morto a Londra, una figura notevole per più di un aspetto. Poeta, organista, dotto, era destinato a lasciare un nome nella storia della scienza, anche se non si fosse per nulla occupato di esoterismo. A partire dal 1743, dei sogni premonitori e simbolici ne determinano la vocazione, al punto che, a cominciare dagli Arcana coelestia (1749), le sue opere teosofiche si vanno susseguendo; Kant, che critica que-

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sto libro nei Sogni di un visionario (1766), ne approfitta per sviluppare le proprie idee sui limiti del-la metafisica. Swedenborg somiglia meno a un'anima contemplativa che a uno spirito osservatore e analitico; più a un geografo delle sfere celesti che a un mistico che descriva visioni beatifiche. Egli cerca nessi organici, vitali, tra l'uomo e la divinità; presenta il proprio insegnamento come una «ri-velazione»; afferma di essere stato prescelto dal Signore per spiegare agli uomini il significato spiri-tuale della parola divina. L'origine del Male va ricercata nell'essere umano; la caduta corrisponde a una progressiva degradazione dell'umanità traviata dai sensi. La sua cosmogonia occupa una posi-zione originale nella storia dell'esoterismo cristiano; i mondi spirituale e temporale sono popolati unicamente dagli uomini: non vi sono angeli direttamente creati da Dio, perciò non vi sono angeli decaduti. Nel mondo degli spiriti, ogni essere umano finisce per assumere il proprio volto interiore, rivelando la sua vera natura. Ogni entità naturale, rappresentazione di un'entità spirituale, tende allo stadio di «corpo spirituale», una nozione che Oetinger, un discepolo fedele di Swedenborg, conside-rerà fondamentale. Il visionario svedese descrive spesso il mondo celeste, la dimora dei giusti, dove pretende di essersi aggirato a lungo. Egli ne dipinge le città, le case, i musei. Come accade sulla ter-ra, gli uomini che vi risiedono hanno bisogno di alloggio, di nutrimento, di vestiario. Ma il nostro mondo materiale è soltanto la rappresentazione del nostro mondo spirituale. La teoria swedenbor-ghiana degli «influssi», la sua concezione delle corrispondenze e dei «gradi celesti», hanno avuto una grande risonanza; sembra che nessun altro mistico abbia esercitato sulla letteratura francese del XIX secolo un'influenza altrettanto profonda di quella dell'autore della Nuova Gerusalemme e degli Arcana coelestia. Balzac, Baudelaire, Nerval, George Sand gli debbono molto; ma anche Strindberg e molti altri tra i maggiori scrittori.

Friedrich Christoph Oetinger, il Mago del sud, è considerato il padre della teosofia cristiana in Svevia. Influenzato da Knorr von Rosenroth e da Böhme, ma anche dalla cabbala ebraica, e in par-ticolare dal lurianesimo, egli ha un sentimento molto acuto dell'incarnazione e del teandrismo. A suo avviso, in cielo continueremmo ancora a godere le gioie corporali. Dio e il mondo si intreccia-no; tutto nell'aldilà deve avere una forma; la corporeità rappresenta il termine delle vie di Dio. Si comprende come mai Oetinger si occupi molto di alchimia o sviluppi largamente il tema dell'andro-gino primordiale. Primo traduttore di Swedenborg in tedesco, egli eserciterà un'influenza sia su Ba-ader sia su Schelling. Il suo pensiero si diffonderà fino in Russia, cumè accadrà per il suo compa-triota e maestro Johann Albrecht Bengel, che ha lasciato molti scritti escatologici sul regno futuro.

Nato ad Amboise, Louis Claude de Saint-Martin legge assai presto Abbadie e Burlamaqui, quin-di si dedica agli studi giuridici, che tuttavia non porta avanti. Nel 1765, il duca di Choiseul gli ottie-ne un brevetto di sottotenente nel reggimento di Foix, allora di stanza a Bordeaux, dove Martinès de Pasqually si era stabilito l'anno prima. Dopo essergli stato presentato, Saint-Martin entra nell'ordine degli Eletti-Cohen. Il maestro, la dottrina, i rituali teurgici forniscono definitivamente a Saint-Martin gli elementi essenziali della sua filosofia. Appassionato di scienze occulte, egli lascia l'eser-cito nel 1771 per dedicarsi alla sua vocazione e per fare per vari mesi il segretario di Martinès.

L'inizio della sua attività letteraria comincia con il distacco da Martinès. Nel 1773-1774 egli soggiorna a Lione, presso Willermoz, e vi scrive la sua prima opera, Degli errori e della verità, che divulga l'illuminismo tra il pubblico più vasto. In seguito, egli diffonde la propria dottrina nei salot-ti; quando appare il suo libro, nel 1775, Saint-Martin, che risiede a Parigi, diventa il «filosofo sco-nosciuto», soprannome con il quale sarà noto ai posteri. Il Quadro naturale (1782) riprende gli in-segnamenti della prima opera. Dopo qualche anno, Saint-Martin si allontana dalla massoneria fran-cese e dalla teurgia per orientarsi verso una via sempre più «interiore». Egli non partecipa alla Con-venzione di Wilhelmsbad (1782), rifiuta di recarsi a quella dei filaleti (1784-1785). Ciononostante, viene ordinato Cavaliere Benefattore della Città Santa nel 1785, perché desidera partecipare alla Società degli Iniziati di Lione, che riceve gli insegnamenti da un misterioso Agente Sconosciuto. Il suo soggiorno a Strasburgo (1788-1791) gli consente di incontrare la signora di Böcklin e Friedrich Rudolf Saltzmann, che gli rivelano la filosofia di Jacob Böhme.

Dopo l'Uomo nuovo e l'Ecce homo, pubblicati nel 1792, egli scrive soprattutto sotto l'influenza di Böhme, di cui studia la lingua per conoscerne meglio la dottrina. Nello stesso periodo inizia la sua

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bella corrispondenza con il teosofo di Berna, Anton Kirchberger. Saint-Martin elabora altre opere, tra le quali il Ministero dell'Uomo-Spirito, indubbiamente la più perfetta, che concilia il meglio de-gli insegnamenti di Böhme e di quelli di Martinès. In questo periodo completa e pubblica traduzioni delle opere di Böhme. Muore ad Aulnay, poco dopo avere incontrato Chateaubriand nella Vallée-aux-Loups.

La corrispondenza e i libri di Saint-Martin dimostrano come egli non abbia mai cessato di rima-nere fedele agli insegnamenti di Martinès e come non abbia mai negato né il valore né l'efficacia della teurgia cohen: piuttosto, a un certo punto, egli ha semplicemente ritenuto di non averne più bi-sogno. La filosofia di Saint-Martin, molto vicina a quella di Böhme, non deve nulla in pratica a quella di Swedenborg. Nell'esprimere in modo esauriente e preciso i temi essenziali di qualsiasi eso-terismo, il Filosofo sconosciuto appare veramente come l'erede del pensiero tradizionale dell'Occi-dente. Saint-Martin sviluppa una sofiologia e un'aritmosofia salde, mai astratte, inscindibili dall'idea di rigenerazione espressa con il fervore di una altissima elevazione spirituale. Egli descrive a lungo le conseguenze della caduta, ne deduce la parte fondamentale della sua cosmologia, indica i rimedi mediante i quali l'uomo e la natura intera potrebbero rigenerarsi; questa è la preoccupazione costan-te di Saint-Martin, che vuole «spiegare le cose mediante l'uomo, e non l'uomo mediante le cose». Le sue idee sulla Rivoluzione francese, analoghe a quelle di Joseph de Maistre che le esprime quasi contemporaneamente, sono quelle di un convinto teocrate; egli però vede in questo cataclisma un castigo provvisorio, mandato dalla Provvidenza e ben meritato a causa della decadenza dei troni e degli altari. Il suo stile originale, solido, melodioso, gli consente di ben figurare tra i migliori prosa-tori francesi; sotto questo profilo, l'Uomo di desiderio (1790) rimane il capolavoro di un genere di cui la lingua francese offre rari esempi; bisognerà attendere prima Lamennais e poi Paul Claudel per ritrovarne la forza, il sapore, la qualità. Inoltre, l'influenza di Saint-Martin sulla filosofia romantica tedesca fu profonda e durevole. Tale è l'uomo nel quale Joseph de Maistre scorgeva «il più istruito, il più saggio e il più elegante dei teosofi».

Di Friedrich von Hardenberg, alias Novalis, si può dire che sia il più geniale, il più poetico e il più suggestivo dei teosofi tedeschi del suo tempo. Questo pensatore, uno dei personaggi più celebri della letteratura tedesca, si fidanza nel 1795 con Sophie von Kühn, dell'età di tredici anni. Lei muo-re due anni dopo. Questo avvenimento accentua il misticismo dello scrittore; egli sopravvive poco più di quattro anni alla sua amata, che tende ad identificare con Sophia, la Saggezza Divina. Novalis possiede il senso dell'analogia, dell'unità universale. Prima di Baudelaire, egli canta le corrispon-denze tra i cinque sensi, nonché la Tenebra, o sintesi mistica tra il giorno e la notte. Con l'aiuto della scienza e della teosofia, attraverso la poesia, egli cerca una formula universale, capace di conferire all'umanità conoscenza e potenza. Meglio dei romantici del suo tempo, egli celebra la Luce, ele-mento creatore del mondo fisico, simbolo di una coscienza superiore futura, di una riunificazione metafisica dei contrari. Aritmosofo dalle intuizioni sorprendenti, egli rivela i rapporti magici tra le cose; profeta, visionario, egli esprime le sue idee molteplici, ma coerenti, in forma di aforismi, di apoftegmi declamatori (Grani di polline, 1798), di romanzi iniziatici (Heinrich von Ofterdingen, 1800, I discepoli a Sais, 1798) o di poemi incomparabili (Inni alla notte, 1800). L'intera sua opera vede la luce tra il 1797, data della sua visione presso la tomba di Sophie, e la sua morte, avvenuta quattro anni dopo. Novalis presenta più di un punto in comune con Friedrich Wilhelm Schelling, il cui Von der Weltseele esprime un'identità della natura e dello spirito; secondo Schelling, per il quale «la materia è spirito in stato di sonnolenza», due forze, l'una agente l'altra connettiva, si spartiscono la natura.

Karl von Eckartshausen, di Monaco, sembra spiritualmente molto vicino a Novalis. Con la sua scienza dei numeri, egli tenta di risolvere l'opposizione kantiana tra noumeno e fenomeno, di effet-tuare la sintesi di tutte le conoscenze. Cabbalista, egli si nutre alle fonti più tradizionali della cabba-la cristiana ed ebraica. Nella maggior parte delle sue opere espone le sue intuizioni teosofiche in tema di cosmogonia, di antropologia, di Chiesa interiore, di magnetismo animale, di escatologia millenarista fondata sull'aritmosofia. L'autore della Nube sul santuario (1802) esercita un'influenza

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profonda in Russia al tempo di Alessandro I, che ne legge le opere. L'influenza spirituale di Eckar-tshausen, vivissima nel XIX secolo, è ancora sensibile ai giorni nostri.

Franz von Baader, anch'egli di Monaco, venuto un po' più tardi, uno dei principali filosofi tede-schi, si interessa prestissimo al pensiero di Böhme, al punto che l'amico August Wilhelm von Schlegel lo chiama «Boehmius redivivus», un appellativo per nulla usurpato. Professore all'univer-sità di Monaco, Consigliere delle miniere, dotato di spirito pratico, egli mantiene rapporti stretti con la corte russa, in particolare con Alessandro I e con il ministro A. N. Galitzin. La sua opera, compo-sta soltanto di articoli occasionali, di trattati, di corsi, è dispersa; per fortuna, dobbiamo al suo di-scepolo e biografo Franz Hoffmann la pubblicazione delle opere complete in dieci volumi, tra il 1851 e il 1860. Baader dedica la propria vita alla teosofia cristiana; vi si appassiona e contribuisce notevolmente a far conoscere il pensiero di Böhme, che gli fornisce i temi essenziali di riflessione. Descrivere il pensiero di Baader è un po' come descrivere quello di Böhme; ma Baader, al di là del-le sicure affinità in fatto di cosmogonia, cosmologia e antropologia, si sofferma con maggiore insi-stenza sui problemi dell'androginia, della Sophia, delle successive cadute, del sacrificio, del magne-tismo, dell'amore. Egli subisce anche l'influenza di Saint-Martin, il cui pensiero gli è noto tramite il Magikon (1784) di Johann Friedrich Kleuker, prima di approfondire e di diffondere in Germania il messaggio del Filosofo sconosciuto. A Baader va accostato il visionario del Württemberg, Michael Hahn, teosofo, sofiologo, teorico dell'androginia, fondatore di una comunità tuttora esistente. Sul piano letterario, la sua originalità consiste nell'aver distribuito in numerosi poemi le sue concezioni teosofiche, un po' come Angelus Silesius prima di lui. Ricordiamo infine che le elaborazioni di quei cristiani che annunciano il terzo regno, la rigenerazione della terra e dell'umanità, saranno tradotte in chiave laica dal pensiero hegeliano-marxista. Si tratti di Bengel o di Oetinger, di Schelling o di Hegel, si ha sempre a che fare con l'età dell'oro; le idee democratiche tedesche debbono all'esoteri-smo cristiano quanto debbono alla Rivoluzione francese, al punto che lo stesso marxismo resta in-triso di elementi religiosi e messianici.

Teosofi che fanno molte concessioni alla massoneria mistica

La frammassoneria ha le sue origini nelle confraternite dei tagliatori di pietra, nelle gilde, delle vere e proprie corporazioni professionali i cui membri, soprattutto dopo il XVI secolo, diventano sempre meno «attivi» e sempre più «speculativi»; questo significa che i membri di tali associazioni non vengono più reclutati tra gli operai, gli architetti, i capimastri. All'inizio del XVIII secolo, la Massoneria diventa esclusivamente speculativa. A Londra, nel 1717, si costituisce un'organizzazio-ne, unificata alla fine sotto il nome di Grande Loggia; è l'atto di nascita della moderna Massoneria, le cui Costituzioni, redatte da James Anderson, vengono pubblicate nel 1723. Ben presto, in Francia e in Germania non ci si accontenta più dei tre gradi inglesi, chiamati «bleus» (apprendista, compa-gno, maestro), ma a questi se ne sovrappongono molti altri; è questa che prende il nome di Masso-neria «scozzese», sicuramente introdotta dal seguace di Fénelon, André Michel de Ramsay, autore del famoso discorso del 1738. I titoli, i rituali degli alti gradi servono immediatamente a propagare le idee esoteriche; essi corrispondono adeguatamente al gusto dell'epoca per le scienze occulte.

Esistono evidenti rassomiglianze fra i simboli della Massoneria «speculativa» e i temi dei mani-festi dei Rosacroce o del simbolismo dei templari, anche se questo non serve a provare nulla per quanto riguarda la derivazione del movimento. Accontentiamoci, per modestia e buon senso, di ri-conoscervi l'universalità di certi archetipi, insieme al riflesso di una letteratura alchimistica ed eso-terica molto diffusa. Purtroppo, per più di due secoli, taluni falsificatori hanno voluto dimostrare l'e-sistenza di ordini che erano soltanto immaginari. Nel 1751, il barone di Hund fonda la sua Stretta Osservanza dei Templari. che ha molto successo, ma la cui parentela con l'Ordine del Tempio deri-va da un'invenzione pura e semplice. Naturalmente, la letteratura rosacrociana conosce una revivi-scenza con i Rosacroce d'Oro, un'altra obbedienza massonica tedesca molto influente nella seconda metà del secolo; interessata all'alchimia, trova eloquenti teorici o «storici» nelle persone di Sincerus Renatus (già menzionato) e, più tardi, di Hermann Fictuld. Le loro opere, al pari delle Geheime Fi-

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guren (1785) - un capolavoro d'alchimia spirituale ornato di stampe a colori - non conservano, in realtà, gran che di comune con l'originario fenomeno rosacrociano, quello della Fama.

Johann Georg Schwarz diffonde nelle logge russe delle dottrine mutuate dai rosacrociani tede-schi; tornato dalla Convenzione di Wilhelmsbad, ricco di nuove idee, egli fa conoscere nel paese degli zar la dottrina «martinista», un termine impiegato in ragione degli aspetti comuni sia al wil-lermozismo sia ai lavori del Saint-Martin. Nel 1784, Nicolas Novikov sostituisce Schwarz in que-st'apostolato; giornalista, editore, egli espone nelle logge il pensiero saint-martiniano. Dal 1792 al 1801, Novikov è imprigionato per ordine di Caterina II, ma il suo Chrysomander (1783), dedicato a Paolo I, esprime i sogni dei rosacrociani di Mosca: l'alchimia è destinata a conferire nuovi doni ai «santi zar», tramiti tra il cielo e la terra. Alessandro I subirà l'influenza degli esoteristi russi, tanto che, durante il suo regno, A. F. Labzin traduce i libri di Eckartshausen e di Jung-Stilling. Il senatore moscovita I. V. Lopušin si associa a questo genere di iniziative; egli fonda nelle province delle Logge massoniche, sulla base delle idee di Novikov e, come quest'ultimo, pubblica un gran numero di testi teosofici. La sua opera Alcuni aspetti della Chiesa interiore (1791), tradotta in parecchie lingue, appare in francese nel 1799; essa tratta dell'androginia, della Rigenerazione; esorta a scopri-re in tutti gli esseri «l'immagine della santa Trinità, tramite la trinità che essa stessa ha tracciato nel-la natura»; infine, fedele alla tradizione dell'esicasmo, insegna la tecnica delle preghiere.

Nel resto d'Europa pullulano le sette. Karl von Haugwitz cerca di imprimere alla Massoneria un indirizzo sostanzialmente cristiano, specificamente pietista, con i suoi Fratelli della Croce. Zacha-rias Werner si appassiona all'esoterismo massonico sotto l'influenza di Ernst C. F. Mayr; quest'ulti-mo è segretario particolare del ministro di Federico Guglielmo II, Johann Christoph von Wöllner, membro influentissimo dei Rosacroce d'Oro, che hanno convertito il successore di Federico II alla teurgia, collocando l'illuminismo sul trono di Prussia. Il capolavoro di Werner, I figli della Valle (1803-1804), un riassunto delle dottrine occultiste dell'epoca, rigurgita di simboli massonici. Come Novalis, da lui considerato un santo, Werner vorrebbe restaurare il cattolicesimo primitivo; il suo sogno è creare un nuovo Ordine di Templari onde raggiungere lo scopo. Più eclettico, Louis de La Forest Divonne, una figura suggestiva, traduttore di William Law, editore di Dutoit, è amico di Madame de Stael e di Saint-Martin. Per anni egli viaggia in Europa, facendosi accogliere in seno a varie società segrete, specie tra quelle degli Illuminati di Avignone. Questi ultimi si sono raccolti sotto l'influenza di uno dei più strani personaggi del secolo, Antoine Joseph Pernety, che aveva ac-compagnato Bougainville nelle isole Malvine prima di servire Federico II in qualità di bibliotecario. A Berlino Pernety fa la conoscenza dello starosta polacco Grabianka, che gli presenta l'abate di Morveau, detto Brumore, il quale gli rivela l'esistenza di un misterioso personaggio chiamato Elia Artista. Basandosi sulle teorie di Swedenborg, Pernety istituisce il suo Rito Ermetico, che si rifà alla teurgia nell'interrogare la Parola Santa, una specie di ipostasi dell'Intelligenza suprema. Pernety la-scia poi Berlino, nel 1783, per istituire il suo rito ad Avignone.

Dobbiamo ancora soffermarci su Martinès de Pasqually e Willermoz. Il primo, di oscura origine, compare all'improvviso nel 1754, intraprende una carriera di taumaturgo e soprattutto di teurgo e si impone immediatamente come accorto teosofo e mago dotato di poteri miracolosi. La sua dottrina, del cui carattere cristiano non c'è da dubitare, pretende di rappresentare la chiave per qualsiasi co-smologia escatologica. Rassomiglia a quella di Böhme, nonostante sia certo che Martinès non abbia mai letto neanche una riga del filosofo tedesco; si avvicina anche alla cabbala di Isaac Luria. Marti-nès insegna una teosofia e una teurgia; basate su un minuzioso rituale, le operazioni consentono al discepolo di mettersi in contatto con entità angeliche. La sua dottrina incontrerà un singolare suc-cesso, ma il risultato operativo rimarrà sempre riservato ai soli iniziati. Il Trattato della reintegra-zione degli esseri di Martinès, inedito fino al 1899, base dottrinale della sua teosofia e della sua teurgia, è stato composto fin dal 1771. Saint-Martin ne divulga l'insegnamento, esclusivamente dal punto di vista della forma teosofica, mentre Willermoz ne ricava una filosofia ad uso dei Massoni.

Quest'ultimo è anch'esso un personaggio singolare. Setaiolo di Lione, Jean-Baptiste Willermoz, iniziato alla dottrina di Martinès fin dal 1767, fonda a Lione un capitolo della Stretta Osservanza dei Templari (S.O.T.) tedesca proprio nell'anno della morte di Martinès. Nasce così il sistema dei Cava-

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lieri Benefattori della Città Santa (o C.B.C.S.), istituiti da Willermoz con l'aiuto dei Massoni alsa-ziani Friedrich Rudolf Saltzmann, Jean e Bernard de Turckheim; esso comprende due classi segrete, i Profeti e i Grandi Profeti2, che assommano l'essenziale del pensiero di Martinès; si diffondono so-prattutto in Francia e in Italia. In ultima analisi, Willermoz ha ottenuto che i quadri della S.O.T. ser-vissero all'insegnamento dei Cohen. Willermoz, venuto a contatto con Ferdinando di Brunswick e con il principe Carlo di Hesse-Cassel, svolge insieme a loro un ruolo essenziale al Convegno di Wilhelmsbad nel 1782, una vera e propria arena in cui si fronteggiano mistici e razionalisti; il «clan» di Willermoz trionfa, almeno apparentemente. Nel 1784, Willermoz fa la conoscenza di Ca-gliostro, allora di passaggio a Lione; i due, però, non si intendono affatto, certamente per la scarsa sensibilità di Cagliostro nei confronti del cristianesimo. Il lionese fu a lungo considerato - e alcuni lo considerano tuttora - un Fratello bene addentro alla materia dell'occultismo e depositario dei più grandi misteri.

Il segretario di Martinès, Pierre Fournié, pretende di aver avuto il beneficio di molte visioni. Egli ha scritto Quel che siamo stati, quel che siamo, quello che saremo (1801), un'opera ispirata al pen-siero di Martinès reso in chiave cattolica, che rivela anche l'influenza di Böhme, di Law, della Gu-yon, di Swedenborg e di F. A. Mesmer. Il già ricordato Friedrich Rudolf Saltzmann, di Strasburgo, ha lasciato una quindicina di libri che attingono alla maggior parte delle correnti della teosofia cri-stiana, in particolare al böhmismo, e parlano soprattutto di escatologia. Quanto al principe Carlo di Hesse-Cassel, non esiste, si può dire, obbedienza massonica nella quale non lo si incontri. Presso di lui, a Schleswig, muore il famoso Saint-Germain, nel 1783. L'insegnamento ricevuto dai Fratelli I-niziati d'Asia, un ordine occultista e massonico fondato da Hans Heinrich von Ecker-und-Eckhoffen, gli consente di vedere apparire in pieno giorno figure, segnali luminosi - almeno così e-gli afferma - che utilizza come fonte di oracoli. Lavater viene a Copenhagen nel 1793 per rendersi direttamente conto dei prodigi di questa «Scuola del nord». La corrispondenza del principe con Wil-lermoz dura circa quaranta anni e rappresenta una delle fonti più ricche di notizie sull'illuminismo.

Più celebre, Joseph de Maistre, frammassone, si forma dapprima alla fonte di Lione, direttamente presso Willermoz. Certamente sarebbe impossibile considerare de Maistre soltanto un martinista; le sue Serate di Pietroburgo (1821) appaiono molto discoste dall'illuminismo; egli è però profonda-mente influenzato dall'insegnamento dei C.B.C.S., fino alla fine dei suoi giorni; non ha mai cessato di approfondire i dogmi valendosi delle tradizioni teosofiche.

Nell'arte e nelle opere di immaginazione si troveranno chiaramente molte tracce di esoterismo. Oltre al Diavolo innamorato, di Jacques Cazotte (1772), alcune opere (Wilhelm Meister, 1795; Faust, 1806; la Teoria dei colori, 1810) ci ricordano che Goethe ha subito l'influenza di Welling e di Gottfried Arnold. Il Flauto magico di Mozart (1791) rivela preoccupazioni più specificamente massoniche. Quanto a William Blake, egli ha attinto a più di una fonte. Privo di un sistema, è troppo originale per essere teosofo; l'esoterismo gli serve semplicemente di cornice per le sue fantastiche-rie.

2 Traduzione errata: nell'originale francese Profès e Grands Profès, da tradurre in italiano come Professi e Gran

Professi (N.d.C.).

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6. IL XIX SECOLO

L'esoterismo cristiano aveva subito la concorrenza dell'influenza neopagana con Cagliostro, Fa-bre d'Olivet o altri cultori di conoscenze esotiche; all'inizio del XIX secolo, l'orientalismo dilaga in Europa, dove ci si familiarizza con i testi egiziani ed indiani. Dopo il 1815, il declino della fede, l'importanza crescente del magnetismo prima e poi dello spiritismo, infine l'attualità senza prece-denti conosciuta dalle scienze e dall'ateismo, ridimensionano ulteriormente il numero degli esoteri-sti cristiani. La frammassoneria, elemento caratteristico di questo sviluppo, rinnega sempre più e-splicitamente le proprie origini spiritualistiche, perlomeno in Francia e in Italia. Naturalmente, con-tinuano ad esserci dei teosofi; perlopiù, rimangono isolati, ma, paradossalmente, la loro influenza sulla letteratura diventa più profonda che mai.

A Erlangen, un collega di Schelling, Gotthilf Heinrich von Schubert, traduce un libro di Saint-Martin; egli scrive anche una delle migliori opere del romanticismo tedesco - Symbolik des Traumes (Simbolica dei sogni) (1814), dopo aver pubblicato le sue Vedute sull'aspetto notturno delle scienze naturali (1808). Verso la fine della sua vita, Schelling, influenzato da Oetinger, continua a procla-mare l'unità della natura, sia che si tratti della materia organica, sia che si tratti della conoscenza. Il suo contemporaneo, Carl Gustav Catus, un pittore di talento, medico di fama, uno dei teorici del mi-to romantico dell'inconscio, ha lasciato pagine che spesso ricordano Swedenborg. Justinus Kerner, poeta ed occultista, studia i casi di possessione demoniaca. Johann Jakob Wirz sembra più vicino a Böhme. Tessitore di Basilea, egli fonda la comunità dei nazareni, che si ispira a concezioni connes-se all'androginia; ben presto i suoi circoli si moltiplicano in varie province tedesche. Oltre alle lette-re spirituali di Wirz, la sua sorprendente opera Zeugnisse und Erfahrungen des Geistes (Testimo-nianze ed esperienze dello spirito) (l863-1866) descrive le rivelazioni del visionario. Nel filosofo teutonico, la sofiologia mostrava già tratti mariologici; con Wirz, la mariologia assume un'impor-tanza ancora maggiore: pochi protestanti parlano dell'ascensione corporea della Vergine con altret-tanta forza di convinzione. Wirz, come Böhme, pone l'accento sul fatto che l'uomo ha trascinato la natura nella sua caduta. Il russo Vladimir Soloviev, che si ispira anche lui alle concezioni di Böhme e di Baader, proclama che Sophia costituisce l'elemento essenziale del cristianesimo ortodosso.

Il böhmismo conosce una reviviscenza in Inghilterra nella prima metà del secolo, per effetto del diffondersi della filosofia tedesca post-kantiana; ma il calzolaio di Görlitz appare troppo mistico, o meglio troppo metafisico per riscuotere oltre Manica un successo paragonabile a quello di Sweden-borg. Nel 1867 viene fondata in Inghilterra la «Società Rosacrociana in Anglia»; alcuni dei suoi membri, tra i quali il mago Samuel L. Mathers, cognato di Henri Bergson, se ne distaccano per dar vita a un'organizzazione ancora più in grado, secondo loro, di praticare le vie attive della magia; na-sce così, nel 1887, la «Golden Dawn in the Outer», che avrebbe assegnato un ruolo preminente ai riti operativi. La Golden Dawn pretende di essere fedele all'ideale e all'insegnamento dei Rosacroce del XVII secolo. I suoi riti sono abbastanza conosciuti grazie alla rilevante opera di uno dei suoi membri, l'inglese Israel Regardie: The Golden Dawn (1937-1940), un'autentica summa di teurgia cabbalistica, che contiene sviluppi sul simbolismo della Rosa e della Croce. D'altro canto, i fondato-ri attingono spesso alla tradizione dei cabbalisti cristiani, specialmente a quella di Knorr von Rosen-roth; ma il loro insegnamento non si ricollega propriamente alla tradizione cristiana, dal momento che si interessano maggiormente alla cabbala ebraica o all'antico Egitto. Annie Besant, il cui nome è inscindibile dalla Società Teosofica, fonda a propria volta un Tempio della Rosacroce, nel 1912: siamo però ben lungi dal cristianesimo. Negli ultimi anni del secolo, Arthur Edward Waite, più inte-ressato alla teosofia cristiana, pubblica «The Unknown World», una rivista di filosofia mistica e di alchimia; autore di un'opera su Saint-Martin, storico dell'esoterismo, egli ha svolto una funzione tut-t'altro che irrilevante nella Massoneria del suo tempo. The Perfect Voice (1881) di Anna Kingsford,

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dove però si parla meno del Cristo storico che del «Cristo principio», ottiene abbastanza successo da meritare una traduzione francese (La Voix parfaite ou le Christ ésotérique, 1891), con prefazione di Edouard Schuré, presentata da Maria de Mariategui - alias lady Caithness - nella sua rivista «L'Aurore», che accoglie alla rinfusa gli scritti teosofici provenienti da tutti i lidi, sia orientali sia occidentali.

In Francia, Pierre Simon Ballanche, nonostante sia di Lione, non è stato minimamente sfiorato dal willermozismo. Scrittore notevole - i suoi libri gli valgono, infatti, l'ingresso nell'Accademia -, apostolo di un misticismo interiore, questo teosofo cristiano si occupa essenzialmente di palingene-si, di rigenerazione, di androginia; sarebbe arduo farlo rientrare nello schema di un sistema, giacché egli non ne elabora nessuno in modo compiuto. Dimostra un vivo interesse per il politeismo, ma re-sta fedele alla propria religione, e in questo consiste la sua originalità. Ballanche fa anche parte di un gruppo di ferventi teosofi fondato nel 1804 da Claude-Julien Bredin e André-Marie Ampère, chiamato Società Cristiana.

C'è di tutta evidenza un elemento messianico nelle utopie sociali dell'inizio del secolo, soprattut-to in quelle del padre Enfantin, che sovrappone al sansimonismo una vera e propria mistica religio-sa. Negli anni Quaranta, Louis de Tourreil ha addirittura la pretesa di completare il cristianesimo: la sua dottrina della fusione o interpenetrazione degli esseri preannuncia un'era nuova: essa ricorda, secondo la migliore tradizione, come ogni spirito presupponga un corpo. Gli anni Venti conoscono una reviviscenza swedenborghiana con Jean-Jacques Bernard, le cui Operette teosofiche (1822) cer-cano di conciliare martinismo e swedenborghismo. Accanto a Bernarel, vanno ricordati Guillaume Oegger, Édouard Richer e, porticolarmente, Le Boys des Guays, che tenta di organizzare una Chie-sa swedenborghiana in Francia. Bisogna però aspettare Alphonse Louis Constant, alias Eliphas Le-vi, per trovare un pensatore la cui influenza si è ritenuto fosse paragonabile a quella di Agrippa. Nel Dogma e rituale dell'Alta Magia (1856) e poi nella Storia della Magia (1860) egli si rivela un vi-sionario fecondo e un divulgatore di talento. Con lui l'occultismo - è il primo a ricorrere a questo termine in francese - investe il pubblico più largo, soprattutto gli spiriti più fragili, i disincantati, i romantici impenitenti. Nonostante il taglio popolare dei suoi scritti, Levi si rifà alla teosofia tradi-zionale e specialmente alla cabbala cristiana. Ma le nozioni che sovrappone a quest'ultima sono di natura tale da suscitare scandalo nei ricercatori seri; quando poi assume le vesti dello storico, le confusioni e gli errori si moltiplicano. Dobbiamo tuttavia riconoscergli doti di poeta, a volte genia-le, anche quando descrive la sua evocazione di Apollonio di Tiana, nel 1854.

A partire dal 1860, in Francia, si manifesta, per influenza di Levi, un crescente interesse per l'e-soterismo; tale interesse, tuttavia, tende sempre più a distaccarsi dal cristianesimo. Ad. Franck (La Cabbala, 1843), P. L. B. Drach (Dell'armonia tra la Chiesa e la Sinagoga, 1844), avevano già pre-cisato l'interesse del pubblico per l'orientalismo ebraico. Edouard Schuré, senza nulla dovere alla signora Blavatsky, tenta una fusione tra le maggiori tradizioni, nei Grandi iniziati (1889). Questo libro, che riscuote tuttora un certo successo, sembra più vicino al movimento simbolista che ai lavo-ri di Papus o di Guaita. Schuré lascerà cadere questo sincretismo. Qualche anno dopo la sua prefa-zione al libro di Anna Kingsford, questo seguace della Chiesa protestante scriverà anche un libro il cui solo titolo (Dalla Sfinge a Cristo) rivela i suoi interessi dominanti. Alcuni pensatori ambiscono fortemente a non distaccarsi dalle fonti religiose dell'esoterismo. Remy Brück, nato in Lussembur-go, propone un'interpretazione ciclica, aritmosofica, dei principali eventi storici e il belga Charles Lagrange, un pensatore di genio, riprende queste teorie con maggiore ampiezza; entrambi si dichia-rano convinti cristiani.

Iniziato all'occultismo cristiano da Levi, Stanislas de Guaita esalta la «tradizione cristiana»; nato in Lorena, amico di Maurizio Barrès, da lui iniziato al martinismo, curioso di alchimia ma intossica-to dagli stupefacenti, egli muore prematuramente; autore del Tempio di Satana (1891), sostiene la sinarchia, che rappresenterebbe l'avvento di uno spiritualismo che culmina nel regno di Dio. In que-sto spirito, Guaita fonda, nel 1889, «l'ordine cabbalistico della Rosa-Croce», di cui sono membri Papus e Péladan. Quest'ultimo se ne separa fin dal 1890, dopo aver dato vita a una società dissiden-te, l'«Ordine della Rosa-Croce, del Tempio e del Graal», detto anche la «Rosa-Croce cattolica». Jo-

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séphin Péladan, nel tentativo di rinnovare il cattolicesimo evidenziandone l'esoterismo che vi è con-tenuto, fonda l'occultismo sullo stesso cattolicesimo. Questo scrittore di pregio si abbandona, pur-troppo, a stramberie verbali che lo fanno cadere nel ridicolo. Il dottor Gérard Encausse, alias Papus, esercita una notevole influenza. Egli non riesce a convincere gli storici della cabbala, ma è un auto-re fecondo, originale, un Balzac dell'occultismo. Poco dopo la pubblicazione del suo Trattato ele-mentare di scienze occulte (1888) crea, nel 1891, l'ordine martinista, che recluta assai presto alcuni aderenti nei vari paesi del mondo, consente l'inserimento delle donne con assoluta parità di diritti rispetto all'uomo e rivendica una duplice discendenza iniziatica ininterrotta che risale a Saint-Martin. La sua rivista, «L'iniziazione» (1888-1914) accoglie la maggioranza degli esoteristi e man-tiene legami molto stretti con gli ambienti letterari del simbolismo.

Questo secondo «martinismo» si contrappone al materialismo trionfante e all'occultismo essen-zialmente pratico degli spiritisti. Accoglie alchimisti quali François Jollivet-Castelot (La vita e l'a-nima della materia, 1894) in un periodo in cui la scienza di Ermete conosce, appunto, un rinnovato interesse, grazie alle traduzioni o alle intelligenti esposizioni simboliche di Albert Poisson (Studi sulla filosofia ermetica, 1891); Jollivet-Castelot, peraltro più sincretista che realmente cristiano, col-tiva l'alchimia insieme al suo celebre amico August Strindberg, la cui Sylva sylvarum rivela molte preoccupazioni di ordine esoterico; nessuno dei due scinde l'alchimia dall'astrologia o dalla cabbala.

Altre società vorrebbero mantenere accesa la fiaccola delle pretese tradizioni e difendere l'auten-ticità di alcune «rivelazioni» individuali. A Paray-le-Monial, un centro dell'esoterismo cristiano, fondato nel 1871, lo «Hieron», pubblica numerosi testi fino al 1914 e si occupa di cabbala e di teo-sofia cristiana. In un contesto molto diverso, Pierre Eugène Vintras, che si ritiene la reincarnazione del profeta Elia, si sente chiamato a preparare il regno del Paraclito; merita di essere menzionato per la segreta liturgia che egli ha confidato ai suoi discepoli, ma il vintrasismo rimane piuttosto una set-ta che una società esoterica. Questo rilievo vale anche per Joseph Antoine Boullan, eretico teorico della Riparazione o reversibilità dei peccati, sacerdote i cui stranissimi costumi imbarazzano ancora gli amanti dell'occultismo. Un'obbedienza templare assai pittoresca, l'ordine d'Oriente, fa la sua comparsa all'inizio del XIX secolo. Fabré-Palaprat, uno dei suoi organizzatori, aspira, nientemeno, a fondare una nuova religione, una specie di cristianesimo razionalista; per istituire il nuovo culto, si rivolge all'abate Châtel, uno spirito privo di equilibrio, un prete rinnegato, che insedia la sua chiesa templare nel 1831. A quell'epoca, in molte associazioni massoniche si continua a prestar credito alla leggenda templare secondo la quale esisterebbe una derivazione ininterrotta dall'ordine del Tempio alla Massoneria. Eliphas Levi, Stanislas de Guaita ed altri ancora seguono Friedrich Schlegel che ha appoggiato la tesi dell'esoterismo templare. Saint-Yves d'Alveydre (Missione degli Ebrei, 1844; Missione dei Francesi, 1887) difende questa invenzione, che accosta alla «sinarchia», cioè al sogno della sua vita, una combinazione armoniosa di spirituale, di esecutivo e di economia orientata; per lui, il Tempio avrebbe costituito il primo tentativo serio volto a instaurare una sinarchia in Europa.

Un cartista, Jules Doinel, gode nel 1888 di una visione dell'Eone Cristo che lo consacra vescovo gnostico e gli conferisce altresì il titolo di barone di Montségur. Doinel si sente immediatamente in dovere di fondare la «Chiesa gnostica», una specie di «gnosi restaurata» su basi sofìologiche, la cui dogmatica deve parecchio al catarismo, alle dottrine di Simon Mago, ai miti valentiniani. Si tratta, al tempo stesso, di un sistema di Massoneria mistica. Uno dei primi accoliti, l'abate Rocca, discepo-lo di Saint-Yves d'Alveydre, apre la campagna per la riconciliazione delle diverse confessioni reli-giose tramite l'interpretazione esoterica dei dogmi; nel 1889, Rocca pubblica il Glorioso anniversa-rio, in cui disserta sul «mistero dell'Eterno mascolino-femminino, o Androgino celeste, la Vergine Madre, la Sophia dei Teosofì e il Cristo esoterico». Improvvisamente, però, Doinel rompe con la sua stessa setta, contro la quale mette in guardia nel Lucifero smascherato (1895), un curioso tratta-to di occultismo pubblicato con lo pseudonimo di Jean Kostka. Fabre des Essarts, uno storico dell'e-soterismo, sostituisce Doinel alla testa di questi nuovi valentiniani, finché quest'ultimo, con un altro voltafaccia, rientra tra i fratelli. Louis-Sophrone Fugairon (Catechismo della Chiesa gnostica spie-gato, 1899) e Jean-Baptiste Bricaud di Lione (Catechismo gnostico, 1907) espongono i dogmi di questo movimento, interessante più per le sue dottrine che non per il numero degli adepti, reclutati

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soprattutto nel Mezzogiorno. Insieme all'abate Rocca, Albert Jounet dirige la rivista esoterica e simbolista l'«Étoile» (1889-1895), nella quale i due tentano di operare una sintesi tra la cabbala tra-dizionale e il messianismo socialisteggiante. Nel 1893 Jounet passa al cattolicesimo. Ricordiamo anche, in questo scorcio di secolo, le riviste «Voile d'Isis»3 e, soprattutto, «Haute Science».

Le influenze, le convergenze, emergono in gran numero sul piano letterario, talché conviene li-mitarsi solo ad alcuni tra i nomi più celebri. L'opera di Sénancour rivela un attento studio delle tra-dizioni. Balzac scrive Seraphita (1834), influenzato sia da Swedenborg sia da Saint-Martin. L'esote-rismo traspare anche in Consuelo ( 1854) di George Sand e più chiaramente in Nerval, di cui l'Aure-lia (1853) e Le Chimere (1854) preannunciano le concezioni di Baudelaire sulle corrispondenze. È noto che, nello stesso periodo, Victor Hugo, consacrato da Gesù Cristo in persona tramite la tavola di Guernesey, predica il Vangelo del Futuro dopo aver scritto la Fine di Satana (1854); dopo le Contemplazioni (1856), i mistici lo riconoscono realmente come uno dei loro. Sicuramente Parsifal (1877-1882) va considerata una opera cristiana; e Richard Wagner, che deve molto alla leggenda del Graal, appare uno dei precursori della scuola simbolista. D'altra parte, i seguaci di quest'ultima si rivolgono più volentieri verso l'esoterismo tradizionale che verso l'occultismo, dal momento che l'idea di analogia si presenta loro come il denominatore comune dell'esoterismo e del simbolismo. Abbiamo già ricordato Strindberg. Un profeta cristiano - o luciferiano - Léon Bloy, esprime il pro-prio sentimento del mistero escatologico, della corrispondenza invisibile degli esseri e delle cose in romanzi in cui il monarchismo si associa stranamente al socialismo. Huysmans, dopo avere studiato il satanismo, si rivolge al cattolicesimo, pur conservando il senso del mistero; egli è però più artista che teosofo. In Mallarmé, si ritrovano alcuni dei temi più ricorrenti, come in Villiers de l'Isle-Adam, in Rimbaud, ecc. Occorrerebbe citare tutti i poeti simbolisti, al cui proposito gli studiosi cominciano a definire gli stretti rapporti con l'esoterismo.

3 Nell'edizione italiana, erroneamente, «Voile d'Isises» (N.d.C.).

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7. IL XX SECOLO

II XX secolo, più del precedente, segna un regresso non tanto dell'esoterismo in generale, quanto piuttosto della sua ispirazione cristiana. In proporzione, i suoi esponenti diventano più rari; lo spiri-to sincretistico, che si veniva ormai manifestando da più di un secolo, modifica profondamente la tradizione occidentale, i cui contorni perdono molta della loro precisione.

Da Soloviev a Berdiaev, la filosofia religiosa russa calca l'accento sull'androginia, da cui deriva una metafisica dell'amore e una sofiologia. Laici entrambi, rimangono liberi delle proprie opinioni. Serghiej Bulgakov, invece, un vecchio marxista divenuto prete nel 1917, entra in contrasto con la Chiesa ortodossa. La scala di Giacobbe (1929), Il Verbo incarnato (1943), il Paraclito (1946), che identificano la Saggezza con l'anima del mondo incarnata in Gesù, intendono assegnare al cristiane-simo una dimensione essenzialmente escatologica. Nikolaj Berdiaev, uno scrittore laico che si col-lega a questa tendenza, rimarrà forse il più grande filosofo dell'esoterismo cristiano del XX secolo. Pensatore geniale, egli reinterpreta la teosofia böhmista, facendone intravedere ai contemporanei la portata di costante attualità. Berdiaev insiste sui dati sofiologici ed escatologici della tradizione; al tempo stesso, questo spirito abbastanza versatile riesce a parlare del comunismo in opere che i filo-sofi non possono più ignorare. L'autore del Senso della storia (1923) appare inoltre l'esponente le-gittimo dei tentativi ecumenici dei nostri tempi. Tra le due guerre, un bulgaro, Peter Deunov, racco-glie molti discepoli; egli insegna sia una specie di yoga cristiano, sia una dottrina secondo la quale la Provvidenza chiama il popolo slavo a svolgere un ruolo messianico. Disperso nell'Europa occi-dentale all'avvento del comunismo bulgaro, il deunovismo deve alcuni tratti all'eredità del bogomi-lismo. Maggiormente interessato alla aritmosofia e alla cabbala, Boris Muraviev propone al pubbli-co di lingua francese un saggio monumentale, Gnosis (1961-1965), una trilogia che commenta la tradizione esoterica dell'ortodossia orientale.

In Olanda, una Scuola Internazionale della Rosa-Croce o Lectorium Rosicrucianum, ispirantesi ai catari, al Graal e alla Rosacroce d'Oro, pretende di essere custode di antichi misteri cristiani e pubblica libri di iniziazione mistica. Non si tratta affatto della reincarnazione della leggenda rosa-crociana nel mondo contemporaneo; tale leggenda ha un'estensione considerevole a partire dagli Stati Uniti, con l'A.M.O.R.C. (Antiquus Mysticusque Ordo Rosae Crucis). Stabilitasi inizialmente a New York, la sede internazionale di questa società - organizzata nel 1909 da Harvey Spencer Lewis - venne trasferita a San José (California), dove si trova attualmente. L'Ordine si rifà molto vagamen-te all'ideale iniziatico dei «Rosacroce» del XVII secolo; mentre la discendenza resta indimostrabile, l'Ordine vanta vari collegamenti: Philadelphian Society nel XVII secolo, Golden Dawn, iniziazioni ricevute in Egitto dallo stesso Spencer Lewis. Oltre ai lavori rituali collettivi, l'insegnamento com-prende una pedagogia che tende a sviluppare la personalità spirituale dei singoli membri, i quali conseguono la propria iniziazione per corrispondenza; essi debbono lavorare nel proprio oratorio privato (sanctum), meditando su alcuni simboli. Nonostante i termini Rosae Crucis, questo esoteri-smo resta più «cristico» che non propriamente cristiano, dal momento che gli adepti sono liberi di non credere nella divinità di Gesù, che viene semplicemente presentato come il più grande dei Mae-stri, come l'iniziato che ha raggiunto la perfezione umana. Secondo le sue stesse dichiarazioni, l'A.M.O.R.C. avrebhe oggi raggiunto al livello mondiale un effettivo di un milione di membri. In Inghilterra, Aleister Crowley, un poeta geniale, un occultista sospetto di satanismo, riceve un'inizia-zione presso la «Golden Dawn» fin dal 1898, prima di fondare a propria volta, nel 1905, una obbe-dienza rivale: l'Astrum Argentinum. Fieramente anticristiano, egli cerca di sopprimere gli elementi cristiani che la Golden Dawn conteneva, pur conservando il simbolismo rosacrociano, compresa la leggenda della tomba di Christian Rosenkreutz.

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Le pubblicazioni esoteriche si moltiplicano in Germania fino al 1933, raggiungendo un pubblico eccezionalmente vasto ed influenzando le arti in un modo sottile e profondo; dopo quella data, ces-sano quasi del tutto. I romanzi del viennese Gustav Meyrink risultano particolarmente rappresenta-tivi di questa moda che precede il nazismo: Il Golem (1915), Il domenicano bianco (1921) attingono a qualsiasi tradizione, soprattutto alla cabala. È vero che tali opere non sono per nulla specificamen-te cristiane. Per contro, Rudolf Steiner, nato a Kraljavec, rompe fin dal 1913 con la Società teosofì-ca della Blavatsky, in quanto per lui l'«avvenimento del Golgota» appare come l'avvenimento cen-trale dell'intera storia della terra. Si può considerare Steiner come un esoterista cristiano, anche se il suo insegnamento, impartito attraverso innumerevoli conferenze ed articoli, deve molto all'Oriente e divulga la dottrina dell'incarnazione del karma. Si può dire che un tedesco su due riceva più o meno l'insegnamento di Steiner, nel periodo che è anche quello del poeta Stephan George, il cui pensiero, pervaso di esoterismo, che esalta e l'ellenismo olimpico e la cristianità del Medioevo, deve a Rim-baud o ai simbolisti talune delle ispirazioni migliori.

In Francia, la tradizione rosacrociana continua ad appassionare gli animi. L'A.M.O.R.C. vi conta circa 70.000 aderenti nel 1970. Dopo la prima guerra mondiale, la strana Fraternità dei Polari, che pretende di essere una riapparizione della vera Rosa-Croce, si fonda su di un metodo oracolare del quale si è eretto a teorizzatore l'occultista Zam Bothiva. Da parte sua, la «Chiesa gnostica» ha con-tinuato a fare proseliti; nel 1913 diventa la Chiesa ufficiale dell'ordine martinista, secondo un ac-cordo rinnovato nel 1968. Negli anni Venti, le interpretazioni demenziali del cavaliere Le Clément de Saint-Marcq sulla trasmissione apostolica e l'eucarestia ricongiunge incontestabilmente l'autore alla tradizione gnostica cosiddetta «licenziosa»; in Belgio, il Club Eucharistica, in Francia i disce-poli di Maurice Braive spingono codeste teorie fino alle conseguenze estreme. Ma lo studio dei più seri raggruppamenti iniziatici consente di seguire meglio il perdurare di una tradizione. Nella Mas-soneria, la Grande Loggia Nazionale di Francia (G.L.N.F.), nata nel 1910 in seno al Grande Oriente, resta la sola obbedienza che possa considerarsi «regolare» in questo paese; essa pratica tre riti spiri-tualisti, tra cui il rito scozzese rettificato di ispirazione willermoziana. Questa frammassoneria muta a poco a poco l'idea che il pubblico si era fatta dei «fratelli tre punti»; d'altra parte, il padre Michel Riquet in Verso e Controverso4 (1969) ha risolto un certo numero di falsi problemi, soprattutto quello della scomunica. «Le Symbolisme», una delle migliori riviste esoteriche francesi, si orienta sempre di più verso lo studio della Massoneria esoterica e soprattutto del rito scozzese rettificato.

Nell'ambito dei martinisti, Yvon Leloup, alias Sedir, sembra uno dei migliori pensatori dell'am-biente papusiano. Si rifà anche lui all'ideale rosacrociano; fondatore del movimento e del bollettino «Les Amitiés Spirituelles» che si continua a pubblicare, egli calca l'accento sulla messa a nudo del proprio io più intimo, sulla preghiera, sulla meditazione dei simboli. La sua attività di mago e di scrittore si fa notare soprattutto dopo la prima grande guerra (Il sermone della montagna, 1921), come quella di Georges Descormiers, cioè Phaneg, fondatore dell'«Amichevole Intesa Evangelica», la cui diffusione, discreta ma decisa, continua ad influire sugli «uomini di desiderio». Paul Vulliaud, che dapprima seguì Péladan e pubblicò Ballanche, è uno storico di talento ma è un detrattore del «martinismo». Vulliaud lascia un'opera scientifica (La chiave tradizionale dei Vangeli, 1936), che non gli impedisce di riferirsi alle sue personali credenze (La fine del mondo, 1952); poco prima del 1914, questo pensatore, che si ricollega alla scuola mistica di Lione, dirige la rivista «Entretiens i-déalistes» e vi collabora in modo regolare scrivendo, col suo amico Fernand Divoire, numerosi arti-coli nei quali entrambi si mostrano continuatori della più pura tradizione esoterica cristiana. L'abate Emmanuel Barbier attacca Vulliaud nelle Infiltrazioni massoniche nella Chiesa (1910), un'opera tendenziosa e poco solida, ma tipica di certe preoccupazioni del cattolicesimo in quel periodo. Vi si pubblica una traduzione dello Zohar (1906-1911) di Jean de Pauly; un evento capitale, poiché quel testo è ormai alla portata del grande pubblico. Del pari, il Manuale bibliografico di scienze psichi-che o occulte (L.M.J. Caillet, 1913) dimostra l'interesse di questo pubblico per l'esoterismo. L'Ordi-ne Martinista fondato da Papus continua a reclutare adepti, sparsi in molti paesi. Nella sua attuale

4 Si tratta più esattamente del seguente saggio: Baylot J., Riquet M., Les Francs-Maçons: dialogue entre Michel Ri-quet et Jean Baylot, Collection «Verse et Controverse», Éditions Beauchesne, Paris, 1968 (N.d.C.).

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forma, è stato «ridestato» nel 1952, data nella quale la sua rivista, «Initiation» - talvolta interessante - ha cominciato a riapparire. La dottrina di questo periodico, che riflette quella dell'Ordine, rimane vaga ma sembra avvicinarsi a poco a poco al cristianesimo puro più che all'insegnamento saintmar-tiniano. Nel 1942, Robert Ambelain ha restituito «forza e vigore» all'ordine degli Eletti-Cohen, at-tualmente diretto dal pittore italiano Ivan Mosca. Ambelain ha scritto una quantità di opere di cab-bala, di astrologia, di geomanzia, ecc. (Il martinismo, 1946; L'alchimia spirituale, 1961); fino al 1966 egli si richiama alla dottrina cristiana, per poi respingerla nei suoi successivi lavori. Meno po-lemico di Vulliaud e meno occultista di Ambelain, Louis Charbonneau-Lassay, un archeologo di grido, approfondisce i significati e i simboli del cristianesimo (Il bestiario del Cristo, 1940).

Dopo la Seconda guerra mondiale, Georges de Saint-Bonnet, fondatore dell'«Unitismo », tenta una sintesi delle diverse tradizioni, in cui vuole integrare l'opera di Georges Gurdjieff, lo yoga e l'induismo. Contemporaneamente, Henri Durville propone un analogo sincretismo con il suo Ordine Eudiaco, un insegnamento iniziatico che non lascia da parte il magnetismo, la medicina psico-naturista, i sortilegi, gli incantesimi, ecc. Il famoso Schuré, negli ultimi suoi anni, si è accostato alla fede cristiana, ma il suo esempio non è più seguito quasi da nessuno. Il più grande pensatore esote-rico del XX secolo resterà forse René Guénon; nonostante il suo breve passaggio in epoca giovanile nell'ordine martinista e nella «Chiesa gnostica», nonostante alcuni lavori dedicati alla pura tradizio-ne occidentale (collaborazione alla rivista «Regnabit»; il Simbolismo della Croce, 1931; Appunti sull'esoterismo cristiano5, 1954) Guénon non si rifà al cristianesimo: la sua rivista, «Studi tradizio-nali», accoglie tuttavia molti collaboratori che si proclamano cristiani. Raymond Abellio, che si in-teressa di gnosi e di cabbala, si dedica sostanzialmente all'esoterismo e all'aritmosofia, senza però confessare la sua fede in Cristo; egli spinge molto a fondo la riflessione filosofica (La struttura as-soluta, saggio di fenomenologia genetica, 1965). Il percorso di Teilhard de Chardin, che ha perlo-meno letto Schuré, si discosta radicalmente da quello dei teosofi, anzi si colloca all'opposto di que-sti. Teilhard elimina dal proprio sistema l'idea della caduta originale: egli si dedica ad una delle più importanti operazioni di demistificazione che si siano mai tentate, laddove il teosofo non può che basarsi sul mito in quanto tale. Questo grande mistico, questo straordinario poeta riprende apparen-temente le idee di Gioacchino da Fiore sull'avvento di un terzo regno; in lui però queste idee diven-tano irriconoscibili, dal momento che egli sostituisce a una rivelazione dall'alto verso il basso il concetto di un'evoluzione biologica o scientifica dal basso verso l'alto. Il suo lineare universalismo confonde scienza e progresso, intelligenza e spiritualizzazione, ma ha comunque rappresentato un contributo a far passare Roma dal Medioevo al XIX secolo.

Naturalmente, l'alchimia continua sempre ad avere i propri seguaci. Ricordiamo solamente, per la Francia, il nome dell'enigmatico Fulcanelli (Il mistero delle cattedrali, 1926), di cui non si è an-cora riusciti a scoprire la vera identità. Il suo allievo, Eugène Canseliet (Alchimia, 1964) prolunga una tradizione purissima, come Claude d'Ygé (Nuova assemblea dei filosofi chimici, 1954) o André Savoret (Che cos'è l'alchimia, 1947). Troviamo testi di alchimia spirituale in certe riviste di buon livello, come «Atlantis», una delle poche che conservino l'eredità del passato. Non rientrano in que-sta categoria la rivista «Planète» né le collane collegate ad essa, in quanto rappresentano una corren-te sincretista che tende verso un materialismo esteso; esse soddisfano in questo modo la richiesta di quanti cercano un filo di Arianna che li guidi attraverso le tradizioni di tutti i paesi. Con il progresso della nostra conoscenza della storia, l'arte, la letteratura, la filosofia vanno acquistando un carattere di maggiore universalità; l'angoscia degli uomini di oggi si volge spesso verso le religioni più anti-che; ma il rifiuto di riconoscersi in una precisa tradizione, la confusione tra psichico e spirituale, tra religione e magia, la rozzezza di un pubblico curioso in particolare dei fenomeni, il successo dell'e-lemento fantastico, l'influenza crescente delle dottrine orientali spiegano la scarsa fortuna dell'esote-rismo cristiano in senso stretto, mentre ne favoriscono l'abbandono. Inoltre, anche quando si tratti della tradizione occidentale, troviamo ben pochi esoteristi di rilievo e molti più autori preoccupati invece di dimostrare, con metodi spesso assai discutibili, il carattere continuativo di certe tradizioni

5 Raccolta postuma di articoli, pubblicata con il titolo Aperçus sur l'ésotérisme chrétien, Éditions Traditionnelles, Paris, 1954, e in italiano come Sull'esoterismo cristiano, Luni, Milano, 1995, traduzione di Pietro Nutrizio (N.d.C.).

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iniziatiche - gnostiche, templari, massoniche, ecc. - o di provare con mezzi pieni di fantasia l'esi-stenza di ipotetiche filiazioni o affiliazioni. Infine, l'abbandono della tradizione mitologica in certi ambienti protestanti e quello di millenarie tradizioni liturgiche presso i cattolici conferiscono alle Chiese una fisionomia sempre più essoterica.

In campo letterario, in sede filosofica, l'esoterismo cristiano ha, del resto, impresso il proprio se-gno su un certo numero di grandi pensatori del XX secolo. Miloscz, un poeta di genio, è - come il suo predecessore William Blake - troppo originale per essere annoverato tra gli autori «tradiziona-li». Si potrebbero riscontrare inoltre precise influenze in T. S. Eliot, Pierre Reverdy, R. M. Rilke o anche in Paul Claudel, Jacques Maritain, Louis Massignon. Oggi, i lavori di Henri Corbin ci con-sentono non solo una comprensione e un approccio più sicuro alle teosofie islamiche, ma chiarisco-no a fondo la nostra conoscenza dello stesso esoterismo cristiano. C'è forse bisogno di ricordare René Nelli e il gruppo di studi catari? Sarebbe necessario allora descrivere le molteplici forme in cui si esprime attualmente l'interesse per le sette o le eresie.

La ricerca pluridisciplinare è destinata a definire sempre meglio i concetti, a moltiplicare le mo-nografie, a tener conto dei dati sociologici, ecc.; d'altro canto, però, la comprensione degli avveni-menti spirituali dell'esoterismo non è più possibile a prescindere da un'ermeneutica che riporti co-stantemente al livello dell'archetipo, in quanto il significato ha un suo valore intrinseco, indipenden-temente da qualsiasi spiegazione si possa, e si debba, attribuirgli; in quanto tale, il significato non potrebbe venir cristallizzato in una semplice interpretazione letterale, né essere racchiuso in una sto-ria ritenuta superata.

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SOMMARIO

AVVERTENZA del Curatore 2

1. INTRODUZIONE: Significato della parola «esoterico». Il fascino dell'occulto. La legge dell'analogia. La teosofia. La Chiesa interiore. Difficoltà di esaurire una realtà storica complessa e diffusa. Le avvertenze.

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2. DALLE ORIGINI AL XVI SECOLO: Esposizione delle tre concezioni fondamentali dominanti in questa fase: lo gnosticismo, il neoplatonismo, l'alchimia.

5

3. IL XVI SECOLO: Intorno a Paracelso: La Riforma impone un nuovo sforzo all'esoterismo. G. A. Panteo. Nostradamus, G.

Cardano. L'opera di G. Tritemio. La figura più importante di questo periodo, Paracelso. La linea dei seguaci di Paracelso.

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I cabbalisti cristiani del Rinascimento: La cabbala, movimento attraverso il quale si è espressa la mistica ebraica, tradizione esoterica, teosofia e ermeneutica. Scritti fondamentali precedenti la cabbala. I primi testi della cabbala. Influenza ebraica sulla cristianità del XVI secolo La cabbala cristiana. I cabbalisti del XV se-colo. Pico della Mirandola preannuncia il rinnovamento della cabbala nel Rinascimento. G. Reuchlin, Paolo Ricius e i suoi discepoli. Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, il più celebre mago del XVI secolo. Pisto-rius. Scaligero. L'età dell'oro della cabbala in Italia: Della Porta, Lazzarelli, Marsilio Ficino, Leone l'Ebreo, A. Giustiniani, P. Galatino, Egidio da Viterbo, Francesco Giorgio da Venezia, G. Bracardo. La cabbala in francia: J. Lefèvre d'Étaples, S. Champier, J. Thénaud; Guillaume Postel, una delle figure più curiose del Rinascimento; i suoi discepoli G. e N. Le Fèvre de la Broderie; B. de Vigenère, J. Demons. Situazione della cabbala in Spagna prima e dopo l'espulsione degli Ebrei; sviluppo molto tardivo in Inghilterra. Influenza dei cabbalisti sui loro contemporanei.

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4. IL XVII SECOLO:

I cabbalisti cristiani: Espansione della parola «cabbala». Periodo di compilazioni e di polemiche: nei Paesi Bassi; presso il conte palatino Cristiano Augusto; in Inghilterra. Evoluzione della cabbala occidentale.

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I Rosacroce: Il manifesto di Cassel (1614). Ripubblicazione della Fama con una Confessione della Fra-ternità. Le nozze chimiche di Cristiano Rosenkreutz, anno 1454 di Johann Valentin Andreae. Il «cenacolo di Tubinga». Insorgenza di raggruppamenti più o meno torbidi. Andreae crea le «Unioni cristiane»; principali personalità del movimento. Tommaso Campanella ispiratore delle iniziative di Andreae. La Città del sole. Fonti dei manifesti. Pensatori a difesa dei Rosacroce, concezioni filosofiche da essi espresse. Apogeo del-l'alchimia e influenza delle idee rosacrociane in Inghilterra. In Francia Michel Potier. Il XVII secolo, la filo-sofia di quasi tutti i pensatori caratterizzata dall'esoterismo monista.

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Jakob Böhme e i suoi discepoli: Il pensiero di Böhme espressione di una alchimia spirituale. I proseliti della scienza di Ermete al XVII secolo. Jakob Böhme principe degli esoteristi cristiani. I temi essenziali del-la sua filosofia cosmica. Böhme e il rinnovamento della sofiologia occidentale. L'aritmosofia di Böhme. O-riginalità e complessità dei rapporti di Böhme con la cabbala. Egli è il primo a parlare, in Occidente, dei centri psichici dell'uomo. Le elaborazioni sull'androgino: uno degli aspetti essenziali dell'antropologia cri-stiana. Böhme il teosofo, Weigel il maestro di mistica, i due grandi nomi della speculazione cristiana del XVII. secolo. Considerevole l'influenza di Böhme: A. Silesius, Q. Kuhlmann, J.-C. Gichtel, G. Arnold, Poi-ret e la signorina Bourignon. Entusiasmo in Inghilterra: la Philadelphian Society, il movimento dei seekers (dei böhmisti tedeschi si stabiliscono in Pennsylvania), D. A. Freher, i neoplatonici di Cambridge. H. More e i suoi discepoli. Il campo letterario.

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5. IL XVIII SECOLO: Comparsa dell'illuminismo nella sua forma originale verso il 1750. Nel corso del-la prima metà del secolo l'opera e l'insegnamento di Zinzendorf, la Berleburger Bible, Il mistero della Cro-ce, Saint-Georges de Marsais, G. von Welling e il suo celebre Opus mago-cabbalisticum et theosophicum. I pensatori conquistati dall'illuminismo, la teosofia presente e diffusa dappertutto.

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Teosofi che si occupano soprattutto di mistica speculativa: Saint-Georges de Marsais e la comunità di valdesi; J. C. Lavater, figura strana ed affascinante. J. H. Jung-Stilling e la sua influenza. Grande influenza di J. F. Oberlin. La duchessa di Borbone, il suo salotto. Grande ascendente spirituale di Julie de Krüdener. I pensatori dai sistemi più compiuti: W. Law e i suoi continuatori inglesi; E. Swedenborg, figura notevole per più di un aspetto, sua influenza sulla letteratura francese; F. C. Oetinger, il Mago del sud; L. C. de Saint-Martin, influenza di Martinès de Pasqually e degli Eletti-Cohen sulla sua filosofia; la sua opera letteraria. Novalis il più geniale e il più suggestivo dei teosofi tedeschi del suo tempo; K. von Eckartshausen; F. von Baader, uno dei principali filosofi tedeschi; M. Hahn.

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Page 37: Faivre Antoine - L'esoterismo cristiano dal XVI al XX secolo

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Teosofi che fanno molte concessioni alla massoneria mistica: Origini della frammassoneria. Nascita del-la moderna Massoneria. La Massoneria «scozzese». Ordini e fili azioni tendenti a giustificare evidenti ras-somiglianze fra i simboli della Massoneria «speculativa» e i temi dei manifesti dei Rosacroce o del simbolo dei Templari. I Rosacroce d'Oro. In Russia J. G. Schwarz, N. Novikov, 1. V. Lapusin. Nel resto d'Europa pullulano le sette: Z. Werner, L. de la Forest Divonne, A. J. Pernéty. Particolare importanza di Martinès de Pasqually e di J. B. Willermoz. P. Fournié, R. Saltzmann, K. von Hessen-Kassel. J. de Maistre. Le tracce dell'esoterismo nell'arte e nelle opere di immaginazione.

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6. IL XIX SECOLO: Conseguenze dell'orientalismo, del declino della fede, dell'importanza crescente del magnetismo e successivamente dello spiritismo, dell'attualità della scienza e dell'ateismo. La situazione in Germania. Il russo W. Soloviev. In Inghilterra reviviscenza del böhmismo: la Societas Rosicruciana in Anglia; The Golden Dawn in the Outer; Annie Besant; A. E. Waite; The Perfect Voice. In Francia il teosofo cristiano P. S. Ballanche. Elemento messianico nelle utopie sociali dell'inizio di secolo. Reviviscenza swe-denborghiana negli anni Venti. A. L. Constant (Eliphas Levi) visionario fecondo e divulgatore di talento. Crescente interesse dei Francesi per l'esoterismo, con tendenza sempre più spiccata a distaccarsi dal cristia-nesimo. Tentativo di E. Schuré di operare una fusione tra le maggiori tradizioni con il suo libro I Grandi I-niziati. R. Brück, Ch. Lagrange. S. de Guaita esalta la "tradizione cristiana». Péladan. Notevole influsso di Papus. Personalità importante di questo secondo «martinismo» che si contrappone al materialismo trionfan-te e all'occultismo essenzialmente pratico degli spiritisti. Società che vorrebbero conservare pretese tradi-zioni o difendere l'autenticità di alcune «rivelazioni» individuali, lo «Hieron»; P. E. Vintras; J. A. Boullan; l'ordine d'Oriente; leggenda di una derivazione ininterrotta dall'ordine del Tempio alla Massoneria. Doinel e il suo movimento. Innumerevoli influenze e convergenze sul piano letterario, alcuni tra i nomi più celebri.

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7. IL XX SECOLO: Notevole regresso dell'ispirazione cristiana dell'esoterismo. Da Soloviev a Berdia-ev, la filosofia religiosa russa calca l'accento sull'androginia, derivazione di una metafisica dell'amore e di una sofiologia; S. Bulgakov; P. Deunov; B. Muraviev. In Olanda il Lectorium Rosicrucianum ispirantesi simultaneamente ai catari, al Graal e alla Rosacroce d'Oro. Numerose propaggini della leggenda rosicrucia-na nel mondo contemporaneo; l'Antiquus Mysticusque ordo Rosae Crucis negli Stati Uniti. Grande incre-mento delle pubblicazioni esoteriche in Germania fino al 1933; Steiner e il suo insegnamento. In Francia la tradizione rosicruciana continua ad appassionare gli animi; raggruppamenti iniziatici più seri; Y. Leloup tra i migliori pensatori dell'ambiente papusiano; G. Descormiers, P. Vulliaud e la sua opera; condizioni attuali dell'ordine martinista e dell'ordine degli Eletti·Cohen; Ambelain; L. Charbonneau-Lassay. I tentativi di G. de Saint-Bonnet e di H. Durville. R. Guénon. R. Abellio. Teilhard de Chardin. I seguaci dell'alchimia. Il se-gno lasciato dall'esoterismo cristiano sulla letteratura e sulla filosofia.

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BIBLIOGRAFIA 35