FÄK FEK FIK – LE TRE GIOVANI:: RASSEGNA STAMPA

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FÄK FEK FIK LE TRE GIOVANI WERNER SCHWAB Teatro Salauno Roma, 9 11 gennaio 2015 RASSEGNA STAMPA Ufficio stampa Marta Scandorza F/M PRESS

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FÄK FEK FIK – LE TRE GIOVANI – WERNER SCHWAB

Teatro Salauno

Roma, 9 – 11 gennaio 2015

RASSEGNA STAMPA

Ufficio stampa

Marta Scandorza – F/M PRESS

la Repubblica, introduzione allo spettacolo a cura di Rodolfo di

Giammarco – 09.01.2015

Trovaroma (la Repubblica) – anticipazione a cura di Rodolfo di

Giammarco

Repubblica.it – photogallery

http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/01/09/foto/fk_fek_fik_le_tre_gi

ovani_in_scena_al_teatro_sala_uno-104600360/1/#1

Lo scomodo drammaturgo austriaco Werner Schwab, a fine anni Novanta chiude lo spettacolo "Le

presidentesse" con tre pensionate, intrappolate in una cucina, alla fine libere di accomodarsi, come

anonime spettatrici, in una fila di platea. Proprio da qui inizia "Fäk Fek Fik, le tre giovani", lo

spettacolo curato da Dante Antonelli in scena al Teatro Sala Uno da venerdì 9 a domenica 11

gennaio, con il sostegno del Forum Austriaco di Cultura a Roma. Così le attrici Marta Badiluzzi,

Giovanna Cammisa e Arianna Pozzoli ricominciano da capo il lavoro delle pensionate, ma con lo

spirito della loro età, con la follia urlata della loro giovinezza emarginata, arrabbiata. E allora

l'Europa raccontata dalle tre giovani è un deserto senza scena, dove restano le minoranze, le

sottoculture, le comunità con i loro messaggi interrotti dai rumori gracchianti e assordanti dei

televisori, dalle immagini di un mondo che non concede ascolto, nemmeno alle voci che gridano più

forte. E così va in scena il ritratto, contemporaneo e sperimentale, di una generazione povera e

avara di denari e di passioni, costretta distesa sui materassi ad aspettare che il tempo scorra. (di

Stefano Petrella) - foto di Gabriele Savanelli

Repubblica.it – recensione a cura di Erika Favaro

http://cheteatrochefa-

roma.blogautore.repubblica.it/2015/01/10/nuovi-critici-fak-fek-fik-le-

tre-giovani-werner-schwab-e-f/

Fäk Fek Fik, le tre giovani è un rito dissacrante e provocatorio celebrato da sacerdotesse sfacciate.

Le tre vecchie, protagoniste delle Presidentesse del delirante Werner Schwab sono ora agili e

freschi corpi usciti da poco dall’adolescenza. Ricominciano da lì, dal testo dell’artista austriaco,

portando in scena un esperimento collettivo di drammaturgia postuma (curata da Dante Antonelli)

raccontando le loro banalità, fotografando verbalmente il mondo privo di significato e straripante

di idoli che le inghiotte.

Sono apparentemente superficiali, fingono di sentirsi invincibili grazie all’involucro di gioventù che

riveste la loro pelle elastica, dentro però custodiscono irrequietezze e bambini indesiderati.

La scena della Sala Uno è pressoché vuota: tre sedie, tre buste di plastica in cui soffocare o

vomitare, e tre bicchieri; gli oggetti che prendono in ostaggio lo spettatore sono, non a caso, gli

abiti che creano un tenue ma costante gioco di colori. Giallo, grigio e blu. È impossibile staccare gli

occhi da queste tre attrici (probabilmente) emozionate e sanguigne, che gridano, sanno

improvvisare, si rotolano a terra, fanno a pugni con l’aria, si spogliano per poi tornare in nuove

vesti.

È la generazione delle studentesse fuori sede, di chi mangia pasta di kamut e compra Peroni da

sessantasei. Liste delle spese un po’ pop un po’ lisergiche, parole che forse potevano ferire la

superficie arrivando un po’ più in fondo. Figlie che lavorano in nero, detraibili dall’Irpef, giovani

donne scosse da un’irrefrenabile esigenza di raccontarsi, di travolgere con le parole. Le storie si

accavallano, le voci si alternano e creano un flusso di canzoni e sfoghi ambientati nell’adesso, in

una Parigi bloccata dal terrore, in un locale in cui strafarsi di qualsiasi sostanza.

Un ordigno che deflagra come fa la primavera, queste tre giovani donne: Marta Badiluzzi, una

Maria che infila le braccia nei bagni intasati, una voce che non presenta stonature nemmeno tra la

rabbia e l’affanno. Arianna Pozzoli esile e ossuta, balla e affascina grazie ad una sensualità

nascosta, s’innamora perdutamente di Bergoglio, Wojtyla, uomini con i cognomi strani. Giovanna

Cammisa dog sitter conturbante e dagli occhi grandi, a completa disposizione delle diverse

personalità che incarna. Sono arrabbiate e testarde, pop star in rapido declino che ci lasciano sulle

note di una preghiera remixata.

La Platea – gennaio 2015

Intervista a Dante Antonelli a cura di Enrico Ferdinandi

Teatro e Critica – recensione a cura di Simone Nebbia

http://www.teatroecritica.net/2015/01/werner-schwab-mentre-tutto-

scivola/

La scrittura di Werner Schwab è frontale. L’autore austriaco ha costruito la propria carriera

drammaturgica, nella seconda metà del Novecento, calcando le trasformazioni del mondo

contemporaneo e sentendone i risvolti drammatici su di sé come individuo nella collettività; quel

sentimento ha prodotto parole vorticose, lava fuori dai denti. Prima di tutto sono le ambientazioni

il vero nodo, il contesto cupo entro cui certe vite instabili e corrose hanno avuto modo di crescere,

manifestare la propria aderenza alla società del tempo. E oggi? Al Teatro Sala Uno di Roma se lo

domanda Dante Antonelli, che di un testo di Schwab come Le presidentesse (contenuto in Drammi

fecali, Ubulibri) immagina una riscrittura degradante, in cui ogni parola – ormai lontana dal testo

ma non dalla maniera di Schwab – carica le attrici di un peso di responsabilità; ogni frase, sul filo di

una provocazione al limite che chiama in causa traffici di droga, povertà, una feroce critica alla

chiesa cattolica, senza di loro non può esistere, i tre personaggi originali – Grete, Erna e Mariedl –

sono ormai penetrati nel loro corpo, animano la saliva densa che zampillerà dalla loro bocca.

Fäk Fek Fik – Le tre giovani – Werner Schwab. Come tre lame uscite in un suono, le tre giovani,

rivivono la flessione esistenziale dell’autore. In loro prende vita ciò che la sta perdendo, la

gravidanza è in assonanza con la grave-danza del loro movimento intrecciato in quel contesto

sintetico: quante cose si possono nascondere nel corpo? Di quante ci si può disfare? «Io sono il mio

involucro», dirà ognuna di loro in diversi modi, con diverse parole. Ed è davvero questo uno dei

dilemmi della presente civiltà, il corpo che non conta più niente, ridotto in un progressivo,

cadenzato ribasso, fino a esaurirsi. È un corpo che stimola a oltrepassare il conformismo ma si

contiene a tradire necessità, eppure anche il corpo estremizza quell’urgenza intima (non a caso tra

i Drammi fecali) fino a perdere i contatti con la decenza. Che mondo è quello di Schwab? Ha

redenzione o solo martirio? Io, con la presenza ingombrante del mio corpo, sono il mio martirio?

Dante Antonelli, grazie anche all’ottimo rimando delle tre energiche attrici Marta

Badiluzzi, Giovanna Cammisa e la disinvolta Arianna Pozzoli, già segnalatosi con la sua visione

de La cocciutaggine di Rafael Spregelburd, compone uno spettacolo spoglio di scenografia ma

carico di intensità, vocato all’interpretazione e rispettoso di ogni lascito dell’opera, fin quasi a

esagerare nella “fedeltà del tradimento” compiuto incastonando le due volontà, dell’autore e del

regista. Egli compie così un’operazione di misura contemporanea, usa la visione di un testo per

tracciare le linee del proprio mondo, distende nel suono prodotto dalle parole di Schwab le proprie,

non meno violente, verso il tempo presente. Tutto questo ha bisogno di attrici che siano parti attive

e creative all’interno del progetto e capaci di intraprendere una discesa negli inferi della propria

degradazione, non semplici interpreti; a loro, cui forse si può consigliare una maggiore ricerca di

equilibrio nel loro spazio creativo interno al personaggio, spetta anche un finale vibrante: frontali si

mostreranno alla platea, consegneranno a chi le ascolta ciò che siamo anche noi, nessuno potrà

più dire di non esserne coinvolto; si volteranno di spalle, riprenderanno a ballare una preghiera

techno-dance, la sola possibile, ovviamente: sintetica.

Simone Nebbia

Teatro Sala Uno, Roma – gennaio 2015

FÄK FEK FIK – LE TRE GIOVANI – WERNER SCHWAB

da un’idea di Dante Antonelli

con Marta Badiluzzi, Giovanna Cammisa, Arianna Pozzoli

drammaturgia collettiva a cura di Dante Antonelli

ambiente scenico. Francesco Tasselli

ambiente sonoro. Samovar

costumi. Nina Ferrarese

gestione progetto. Annamaria Pompili

ufficio stampa. Marta Scandorza

foto. Gabriel Volver Savanelli

video. Francesco Tasselli

illustrazioni. Serena Schinaia

progetto grafico. Donato Loforese

Con il sostegno di Forum Austriaco di Cultura Roma / Österreichisches Kulturforum Rom

Lsd Magazine – recensione a cura di Andrea Gimbo

http://www.lsdmagazine.com/fak-fek-fik-le-presidentesse-di-werner-

shwab-tra-eternita-e-materia/20170/

Un lungo applauso e le luci in sala si riaccendono. Il pubblico stordito e affamato vuole capire,

conoscere, ogni retroscena di questapiece. Tra le poltroncine del teatro serpeggia il bisogno di

mettere ordine tra i tasselli scomposti e taglienti che hanno animato la scena. Una scena che il

regista Dante Antonelli ha saputo costruire con chirurgica precisione, grazie all’aiuto di tre

interpreti giovani e immense.

Martina Badiluzzi, Giovanna Cammisa e Arianna Pozzoli spingono l’ombra del loro malessere

sempre più in là sulla scena, accettando di mostrarsi anche nella loro intimità ferita e incattivita da

un mondo che le vuole rotte e sporche. Nella battuta finale, le Presidentesse (questo anche il titolo

originale della piece Die Präsidentinnen), al culmine di una catarsi che le ha salvate da un abisso,

avvertono lo spettatore della necessità di assolvere al loro ruolo sociale. Ogni azione, ogni

movimento sul palco, ogni gesto, pure il più scomposto, si carica di significati che solo in parte

possono essere chiariti con le battute e con la traccia che lo spettacolo vorrebbe rappresentare.

Uno spettacolo che celebra in maniera energica e mai banale, la frenesia intellettuale di Werner

Schwab, autore, compositore e vittima della sua arte. In FAK FEK FIK il ruolo dell’attore, come

semplice contenitore di messaggi, è svuotato in favore di una assoluta dedizione al pensiero che

anima questo lavoro. Non una semplice interpretazione, ma piuttosto un intimo collegamento con

il lucido, violento, necessario messaggio.

Accogliere uno spettacolo come FAK FEK FIK è cosa complessa, che richiede uno sforzo da parte

dello spettatore non marginale all’interno dell’economia della performance. L’azione, sviluppata

attraverso una serie di frammenti di memoria e filtrata attraverso una trama lessicale fittissima,

sviluppata in parte durante la stessa piece, è il frutto di un lavoro d’insieme accurato e

verosimilmente durissimo. La nudità dell’attrice è lo specchio di un malessere che non conosce cura

ma solo assunzione di responsabilità.

Teatrocult – recensione a cura di Giuseppina Pincardini

http://teatrocultrecensioni.blogspot.it/2015/01/fak-fek-fik-le-tre-giovani-warner-schwab.html

Roma - A teatro come in uno specchio. E così il pubblico, composto in gran parte da giovani, almeno nella replica cui abbiamo assistito, ha potuto vedersi rappresentare in tre giovani donne, che bene hanno espresso pensieri, desideri e frustrazioni dei nostri tempi, in un movimento scenico assai variato, dove, partendo dalla produzione drammaturgica di Werner Schwab, e in particolare da "Drammi Fecali", si è arrivati ad un'opera totalmente originale. Questa, infatti, prende spunto dalla chiusura del testo di Schwab "Le Presidentesse" e si sviluppa attraverso percorsi di vita assolutamente nuovi, incarnati nelle tre giovani attrici, Marta Badiluzzi, Giovanna Cammisa e Arianna Pozzoli. Tre storie apparentemente diverse, ma con radici comuni: il bisogno di dare senso e significato alla propria esistenza, a farla diventare "storia". Tra motivazioni mistiche sincere o pretestuose, il diritto ad una maternità che assai difficilmente trova spazio nella confusione e nelle ristrettezze dell'epoca attuale, e poi, il bisogno di essere amati, a dispetto di tutto e tutti, fino al punto di "inventarsi" un'amante che morirebbe al solo pensiero di perderci; inoltre, temi scottanti come il lavoro precario, la droga, la sperequazione economica sempre più forte... E allora, cosa conviene fare? Affidarsi al soprannaturale o contare esclusivamente sulle proprie forze e sulla propria ragione? Brevi accenni al nazismo (parole fortemente cadenzate in tedesco) bene esprimono che quella di oggi è solo in apparenza una democrazia: la globalizzazione ci impone regimi e stili di vita che non rispettano i nostri ritmi interiori così come i nostri corpi, bombardati da generi geneticamente modificati. Dov'è allora la vera libertà? Essa sta forse nella denuncia

rabbiosa di ciò che non va; o nella continuità della vita (l'annuncio di una gravidanza...), a dispetto di tutta l'indifferenza per essa che la folla ostenta? O, ancora, nella ostinata pervicace volontà di rintracciare il buono/il bello anche là dove mai si penserebbe (tra gli escrementi di un water otturato). O la vera libertà si potrebbe trovare nello spogliarsi di tutto ciò che si ha, anche dei desideri, in una forma/modalità quasi orientale? (Le tre giovani che ad un certo punto si spogliano dei loro abiti).

Sulla scena, insomma, troviamo tre anime prima ancora che tre corpi, ancor più "anime" quando si

denudano completamente, coraggiose nel mostrarsi senza alcuna ostentazione, solo come un

messaggio, una sorta di francescana protesta.

Ottime anche le musiche che hanno accompagnato lo svolgersi della rappresentazione, non come

semplice sottofondo, ma come "amplificatore" delle vibrazioni emotive delle tre giovani donne.

Tre giovani interpreti di grande valore che ci auguriamo di poter presto rivedere sulla scena. Ma

grande merito va anche e soprattutto all'ideatore di questo ingegnoso spettacolo, Dante Antonelli,

che ne ha curato la messa in scena e la drammaturgia con le attrici stesse, dando ad esso una

configurazione espressiva nuova ma comprensibile, "affratellandosi" nel vero senso della parola

con Werner Schwab in questa sofferta protesta verso i tempi attuali.

Gufetto Magazine - Intervista alle attrici e recensioni a cura di Rossella

Matassa

http://www.gufetto.it/teatro-interviste-roma/teatro-interviste/interviste-

teatro-roma/fak-fek-fik-al-teatro-sala-uno-sulle-orme-di-schwab

Nella quasi totale assenza di arredo scenografico, fatta eccezione per tre sedie di tipo diverso sul retro del palco, si compie un'urlata disanima del mondo pressoché tutto, il cui intento sembrerebbe essenzialmente quello di mettere in ridicolo le perversioni di una società malata di consumismo e superficialità, della quale sono vittime più agevoli soprattutto le nuove generazioni. Tre giovani donne, contemporaneamente presenti sul palco per l'intera durata della rappresentazione, si fanno eredi delle tre anziane a conclusione de “Le Presidentesse” dello stesso Schwab, incarnandone fastidi e sentimenti, pur nella volontà di dar vita ad una storia tutta personale. Ognuna delle tre è se stessa in varie declinazioni, al fine di comporre un mosaico di caratteri e situazioni diversificato, eppure accomunato da un medesimo tono di esposizione, da una medesima finalità di impatto sullo spettatore. Le tre attrici mantengono quasi sempre una posizione frontale, una a fianco dell'altra, scambiandosi solo talvolta di posto all'interno del trittico, sì da poter dare alternanza alle diverse vicende evocate. Incalzante la musica elettronica che le accompagna, divenendo in alcuni momenti parte stessa della recita, nel garantire ai corpi la possibilità di fissarsi in movimenti ipnotici, di rinforzo alla verbalizzazione. Lo spettacolo si esplica tutto nella totalità del parlato,

nell'urgenza di tirar fuori esistenze, emozioni, fastidi. Su di un palco che diviene quasi patibolo, Martina Badiluzzi, Arianna Pozzoli e Giovanna Cammisa mettono in scena la miseria di vite che vorrebbero essere altro, strette in una condizione di condanna dal quotidiano dover rappresentare una parte non propria, all'interno di contesti aziendali, familiari e sociali accomunati dalla stessa tara alienante. L'amore a tratti evocato non appare detenere più alcun potere redentore, non resta altro allora che immergersi nelle deiezioni, pur di ristabilire un contatto autentico con il mondo. Dietro le quinte…intervistiamo Martina Badiluzzi, Arianna Pozzoli e Giovanna Cammisa Rosella Matassa (RM): Qual è il senso che voi avete voluto dare a questo spettacolo mettendolo in scena? Giovanna: La follia, il godimento, la rappresentazione che è unita al nostro stesso linguaggio, quindi noi stesse fuse con il testo, un testo non scritto, che è in continuo divenire, anche in scena, perché buona parte del testo è improvvisato anche in scena. Martina: “Esporre ed incontrare se stessi è un lavoro, quindi incontra resistenza”, questa è la didascalia di Werner Schwab ed è il senso dello spettacolo. RM: È uno spettacolo intensamente parlato, ma con il chiaro intento di provocare. Conta di più l'emozione o il contenuto? Martina: Vanno di pari passo. Io parlo di me, della mia esperienza di lavoro per la Philip Morris, del compromesso che devo accettare per non dover chiedere soldi ai miei e fare l'attrice e fare carriera. Emozione e contenuto cavalcano la stessa onda. Arianna: È un esporsi totale, con carne, muscoli e cuore. Quando tu dici qualcosa che ti compromette, tu vuoi fare arrivare un messaggio, ma quel messaggio veicola necessariamente un'emozione, che poi cambia anche di volta in volta. RM: Come nasce questo progetto? Martina: Questo progetto nasce da un laboratorio che si chiama tuttora SCHLab, avviato nel novembre 2013 e che è tuttora aperto. Non siamo mai andati in scena insieme se non con una performance a Stromboli la scorsa estate nell'ambito del Festival di Teatro Eco Logico. Arianna: Il progetto va avanti con incontri puntuali durante l'anno, che durano settimane o mesi e che hanno l'intento di attraversare tutta la drammaturgia dei “Drammi fecali”. Siamo partiti con “Sovrappeso”,insignificante: informe, passando per “Sterminio”, per arrivare infine alle “Presidentesse”. Giovanna: Il gruppo è molto grande, è un collettivo artistico di circa venti persone, che si occupano della messa in scena, della drammaturgia, delle luci, del design, della tecnica, ognuno con un suo ruolo, ma ognuno partecipante al tutto. RM: Ci sarà un seguito a questa rappresentazione? Arianna: Sì, sicuramente. Martina: Il macroprogetto è di mettere in scena tutta la trilogia di Schwab. Questo è solo il via, che è stato reso possibile per gran parte grazie al sostegno del Forum Austriaco di Cultura. Un ringraziamento speciale alle attrici che si sono prestate alle nostre domande!

Teatrofax – recensione a cura di Gianfranco Quadrini http://www.teatrofax.it/2015/Entropie.pdf

Tribuna Italia – recensione a cura di Gabriele Di Donafrancesco http://www.tribunaitalia.it/2015/01/10/fak-fek-fik-corpi-messi-nudo/

ripreso anche nel blog Cultora

http://www.cultora.it/fak-fek-fik-corpi-messi-nudo/

Il pubblico fa il suo ingresso e tre giovani donne sostano di fronte a loro, in piedi, dando le spalle. Tre personaggi, forse di più, difficile capirlo, prendono forma nella scena come fantasmi di una coscienza dolorosa. Giovani donne ai margini della realtà morale, pronte a rivelarne le perversioni e i relitti che essa cerca di nascondere.

Questa è la squallida e dolorosa vita che Fäk Fek Fik mette in scena al teatro Sala Uno di Roma, con il sostegno del Forum Austriaco di Cultura a Roma. Uno spettacolo curato da Dante Antonelli, la cui scrittura del tutto originale comincia dove il lavoro di Werner Schwab finiva. Come continuazione virtuale del testo teatrale Le Presidentesse, sono ora giovani donne a succedere alle madri: una ragazza incinta, una ninfomane, una disoccupata, sono solo alcune delle personalità che nascono sulla scena. Nella totale assenza di elementi scenografici – all’infuori di tre sedie- vi è solo l’attore. Il suo personaggio è messo a nudo in una realtà fuori dallo spazio, quella della mente; si costruisce pian piano nell’oralità pura del parlato, dalla quale lo spettatore non può fuggire, fino a ritrovarsi avvolto. La parola cattura e tramuta la nostra interiorità nello scenario delle vicende, costringendo i nostri pensieri a scontrarsi dolorosamente con una realtà cruda e violenta. Siamo inermi di fronte ai corpi nudi, psicologicamente permeati da un universo sotterraneo, perturbante. Si è persi nel seguire gli ipnotici movimenti delle attrici, personalità eteree della memoria, la cui presenza scenica si rivela perfetta e di grande abilità: alienante, coordinata, precisa. Questa dilata il tempo e dà vita alle parole, rivelandone una materialità che ferisce e spaventa. Siamo allora spettatori dell’incubo morboso di una quotidianità schiacciata, malata e gettata nel feticismo consumista. I corpi nudi si trasformano in un grido: questo è quello che gli occhi hanno paura di vedere, pure lo ambiscono ed è solo questo l’individuo. La sua dignità violata è nel corpo, nella sua presenza fisica. Le tre attrici, Marta Badiluzzi, Giovanna Cammisa, Arianna Pozzoli, danno prova di grande bravura e professionalità attoriale. La presenza scenica si rivela fondamentale e ben articolata, incastrata nel muro dei beat elettronici della musica, fino a fondersi con essa, in un ritmo dalla ripetitività rituale e terribilmente moderna. Il ballo trova qui il

suo posto, trasformandosi in una negazione dell’individualità che inghiotte i personaggi in disperate monomanie.

Pare così di assistere ad uno schermo delirante, che trasmette orribili immagini spezzate, l’una sovrapposta all’altra, citando Ken Kesey: “too goofy and outlandish to cry about and too much true to laugh about”.

La Platea – recensione a cura di Fabio Montemurro

http://laplatea.it/index.php/teatro/recensioni/325-faek-fek-fik-le-tre-giovani.html

Così come Tarkovskij partendo dal finale di "Picnic sul ciglio della strada" dei fratelli Strugackij

girò "Stalker", allo stesso modo il laboratorio teatrale SCH.lab partendo dal finale del dramma

"Le Presidentesse" di Werner Schwab da vita improvvisando sul palco a "FÄK FEK FIK

Et de longs corbillards, sans

tambours ni musique,

Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir,

Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce,despotique,

Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.

(Spleen, I fiori del Male, Charles Baudelaire, 1857)

Quando sul finire degli anni '80 scrisse "Le Presidentesse" prima parte della triologia dei "Drammi

fecali", il drammaturgo austriaco Werner Schwab poneva sul palco con sarcasmo e dissacrazione

tre figure femminili non più giovani e ai margini di una società ipocrita, piena di miseria, sogni

infranti e barlumi di speranza accecati dal pungente odore dell'alcool...

Dal finale di quest'opera, dove le tre presidentesse sono sostituite da tre giovano donne, muove i

passi il progetto pedagogico e di ricerca SCH.lab, ad opera di Dante Antonelli, Daniele Sterpetti e

Duncan 3.0

Tre giovani donne, Erna, Grete e Maria, si muovono alternano e sovrappongono all'interno di una

scenografia scarna dove anche la colonna sonora che le accompagna, eseguita live, è ai limiti del

minimalismo elettronico.

Tre giovani donne che si mostrano al pubblico e mettendosi a nudo raccontano e rievocano, con un

linguaggio fatto di parole onomatopee urla gesti corporalità, fatti, situazioni, episodi della loro vita

ai margini di una società di rinnegati che, afflitta dalla disperazione, viene traghettata sempre più

al largo da droga alcool ed illusioni e che spinta nell'abisso dalla sua stessa sofferenza individuale

finisce per affogare con tutti i suoi desideri, speranze, aspettative. Si trovano lì, nella propria

materia interiore e fecale mentre col passare degli istanti, percepiscono di trovarsi n quella che

sembra l'anticamera di un limbo infernale, più che nella vita di esseri umani.

Quella che ne traspare è la disperazione viscerale di una gioventù italiana, ma anche europea e

addirittura mondiale, un tagliente ritratto dei giorni d'oggi.

E' la voce delle minoranze culturali, l'urlo dei troppi emarginati e di chi è stato etichettato come

disadattato, grida che troppo spesso non sentiamo perché la voce del padrone si fa giorno dopo

giorno più forte... l'agonia di tutti noi, costretti dalla perpetua violenza psicologica che ci avvolge e

permea a continui compromessi che ci rendono vittime di troppe frustrazioni che si ripercuotono su

ogni aspetto della vita di tutti i giorni che siano essi sociali, religiosi o sessuali.

Alla fine non ci resta niente, niente di niente, neanche i sogni, perché, il nero vessillo dell' Araldo

dell'inferno di ognuno di noi, penserà ad offuscarli ancor prima che possono farci intravedere un

timido barlume nelle nostre lunghe notti senza tempo.

La voce d’Italia – recensione a cura di Michele Galasso

http://voceditalia.it/articolo.asp?id=108936&titolo=Fak%20Fek%20Fik%20-%20Le%20tregiovani%20-%20Werner%20Schwab&imm=0

Nouvelle Vague Magazine – recensione a cura di Matteo Lucchi

http://www.lanouvellevague.it/archives/fak-fek-fik-la-rabbia-e-la-sofferenza-al-sala-uno-di-roma/27661/

È andato in scena al Teatro Sala Uno di Roma Fäk Fek Fik, le tre giovani di Dante Antonelli con il sostegno del Forum Austriaco di Cultura Roma. Ispirato dal lavoro e dalle opere di Werner Schwab, punto d’inizio dello spettacolo è proprio nella conclusione de “Le Presidentesse”, uno scritto del drammaturgo austriaco. Sul palcoscenico Marta Badiluzzi, Giovanna Cammisa e Arianna Pozzoli.

Un’Italia ed un’Europa vuote e ipocrite, destinate a finire in mano a delle generazioni incompetenti, distaccate dalla realtà ed irrimediabilmente corrotte. Da queste basi le tre attrici possono cominciare la loro rappresentazione. Illusioni, falsi moralisti e poveri ingenui vengono quindi portati sul palcoscenico in modo aspro e senza veli. La società non concede più errori, essere giovani è un orribile delitto e non più una fonte di novità. E mentre diamo la caccia al diverso e allo sconosciuto reclamando un posto d’onore per l’Italia nel mondo, nulla si muove per difendere le nuove generazioni dal lavoro in nero dei ristoranti e delle pizzerie. Meglio illuderli con sogni irrealizzabili e desideri impossibili da soddisfare. Tutto in nome di un’idea di società che sempre più si distacca dalla realtà. Si vuole passare per evoluti ma guardiamo con sospetto chi è diverso.

Immensi centri commerciali oscurano le menti di migliaia di persone con le loro luci e i loro colori instaurando in loro una tremenda illusione di benessere, che va poi a cadere una volta tornati a fare i conti a casa.

Cerchiamo di rimanere fedeli alle tradizioni, alle nostre certezze e a ciò che siamo in grado di fare ma la verità è che “la pizza l’hanno creata in Egitto”.

Commovente grazie all’intensità della recitazione, lo spettacolo si muove come critica non solo alla società attuale ma anche a quella che verrà creata con queste basi. Rappresentazione indimenticabile grazie alla performance delle tre attrici protagoniste che, con i loro volti e le loro splendide voci, danno vita alla rabbia e alla sofferenza di chi, come loro, dovrà prendersi la responsabilità di guidare questo mondo.

Sophia della Notte – recensione di Alessandro Gorgoni

http://sophiadallanotte.com/2015/01/21/le-giovani-di-schwab/

Al Sala Uno di Roma è stato presentato il progetto di Dante Antonelli sui Drammi Fecali di Schwab, autore austriaco che ha costruito le sue opere analizzando il degrado del cambiamento della società e della cause sul suo corpo. Fäk Fek Fik-le tre giovani- Werner Schwab è un progetto di drammaturgia collettiva che parte da dove finiva il testo Le Presidentesse in cui tre anziane donne discutono del degrado collettivo verso cui la società si sta dirigendo guidata dalle poco sapienti mani della nuove generazioni troppo prese a sognare, a illudersi. “Tre donne giovani e belle interpretano Le Presidentesse con esasperata, cinica e urlata cattiveria” con queste parole si chiudeva il testo dell’autore austriaco, quasi un desiderio che Dante e le le giovani attrici esaudiscono.

In scena troviamo queste giovani donne, preparate attrici, che vomitano addosso al pubblico le incongruenze del vivere quando si è trattati da giovani eterni, della vacuità dei rapporti consumati in una notte, della volontà di responsabilità tarata sul Kamut e birra, continuando idealmente quel discorso iniziato da Schwab.

Un’operazione graffiante, elegante, coraggiosa, curata dalla sapienza di questo giovane regista, che già dal suo saggio di diploma all’accademia S. D’amico si era fatto notare scegliendo di mettere in scena “La cocciutaggine” di Rafael Spregelburd.

Le tre ragazze galleggiano nella musica elettronica creata da Samovar in un vortice di emozioni e paure legate alla loro situazione. Sensuali, porche, vuote, spacciatrici, incinte, conoscono o immaginano di conoscere uomini con cognomi “papali”. Non si riesce a comprende mai, durante la performance, se siano davvero tre o se sia la proiezione di un’unica coscienza intenta a guardarsi intorno e dentro si se, auto-valutandosi cercando un posto nell’abisso egoistico della vita quotidiana, spietata come il corpo nudo che mostrano, prima di vestirsi nuovamente e reimmergersi nella cancrena vitale della loro esistenza.

Contemporaneo, vivo, violento, questo è uno spettacolo che non lascia scampo, l’analisi umana è tanto profonda da attraversare lo spettatore facendogli vivere uno stato d’animo piuttosto che assistere passivamente. Un teatro vivo, affascinate e dirompente nel quale si sente chiaramente il bisogno narrativo.