Facoltà d i Scienze Matematiche, Fisiche e N aturali Corso ... importanza nel campo...

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Univer Facoltà di Scie C Diagra dell’am Relatore Prof. Valerio Boz Correlatore Prof. Giuseppe G An rsità degli Studi di Salern enze Matematiche, Fisiche e Corso di Laurea in Fisica TESI DI LAUREA amma colore-magnitudin mmasso aperto NGC 663 Candi zza Giuseppin Matr. 552/ Grella nno Accademico 2011/12 no e Naturali ne 33 idato na Lotano /000013

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Università degli Studi di Salerno

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e N

Corso di Laurea in Fisica

Diagramma colore

dell’ammasso aperto NGC 6633

Relatore

Prof. Valerio Bozza

Correlatore

Prof. Giuseppe Grella

Anno Accademico

Università degli Studi di Salerno

i Scienze Matematiche, Fisiche e N

Corso di Laurea in Fisica

TESI DI LAUREA

Diagramma colore-magnitudine

dell’ammasso aperto NGC 6633

Candidato

Valerio Bozza Giuseppina Lotano

Matr. 552/

Giuseppe Grella

Anno Accademico 2011/12

Università degli Studi di Salerno

i Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

magnitudine

dell’ammasso aperto NGC 6633

Candidato

Giuseppina Lotano

/000013

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Indice

I

Indice

Introduzione 1

1. La classificazione stellare e i diagrammi H-R ....................... 1 1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard ............... 3 1.2 Interpretazione fisica degli spettri stellari: la metallicità......... 7 1.3 Il diagramma Hertzsprung-Russell ...................................... 8 1.4 Il sistema M-K .................................................................. 11 1.5 Luminosità e colore come funzione della classe spettrale e il ruolo degli ammassi ....................................................... 12 2. Gli ammassi stellari 13

2.1 Formazione e caratteri generali di un ammasso .................... 13

2.2 Diagrammi H-R di un ammasso .......................................... 16 2.2.1 Evoluzione di un ammasso aperto e la gap di Hertzsprung ............................................................ 16 2.2.2 Il punto di turn-off di un ammasso aperto ................... 18 2.2.3 Confronto tra gli ammassi aperti e gli ammassi Globulari ................................................................. 21 2.3 Stima dell’età di un ammasso aperto .................................. 23 2.4 Ammassi aperti o galattici: descrizione e classificazione ........ 24 3. L’ammasso NGC 6633 26

3.1 L’ammasso aperto NGC 6633 ............................................. 26 3.2 Fotometria: il cielo notturno e gli effetti del seeing ............... 27 3.2.1 Il cielo notturno ....................................................... 28 3.2.2 Effetti del seeing ..................................................... 29 3.3 Fotometria: aspetti pratici ................................................. 30 3.4 Rivelatori CCD .................................................................. 32 3.5 Lo studio sperimentale di NGC 6633 ................................... 33 3.5.1 La strumentazione dell’Osservatorio ........................... 33 3.5.2 Fasi del lavoro sperimentale ...................................... 34 3.5.3 Acquisizione dati ...................................................... 34 3.5.4 Analisi dati .............................................................. 38 3.6 L’articolo di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis ................. 41 3.7 Conclusioni ...................................................................... 44

Appendice 45

A1 La magnitudine ...................................................................... 45 A2 Il colore ................................................................................ 46

Bibliografia 48

Ringraziamenti 49

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Introduzione

1

Introduzione

La nostra Galassia contiene numerosi agglomerati di stelle. Tra questi, gli ammassi aperti giocano un ruolo fondamentale nella comprensione dell’Universo. La formazione stellare è un processo costante che caratterizza tali oggetti stellari ed è, di conseguenza, determinante l’apporto che forniscono alla teoria dell’evoluzione stellare. Inoltre, il loro studio è essenziale per la determinazione delle luminosità di alcuni tipi spettrali, poiché in essi si trovano stelle la cui luminosità può essere calibrata localmente. La distribuzione spaziale degli ammassi fornisce anche informazioni importanti sulla struttura del disco Galattico.

Determinare le temperature effettive di ogni stella di un ammasso tramite un’analisi degli spettri stellari è piuttosto complicato. Risulta più semplice ottenere i loro indici di colore (B-V), tramite i quali si costruisce un diagramma colore-magnitudine. Tali diagrammi permettono di testare molti aspetti della teoria dell’evoluzione stellare. Stimando, infatti, le tracce evolutive di stelle di masse diverse, con la stessa composizione chimica dell’ammasso, è possibile rappresentare la posizione di ogni campione sul diagramma H-R quando i modelli raggiungono l’età dell’ammasso. Si hanno così informazioni importanti sulle scale dei tempi relative all’evoluzione stellare.

Il lavoro sperimentale che abbiamo effettuato ha preso in esame l’ammasso aperto NGC 6633. L’acquisizione di immagini in filtro V e in filtro B delle stelle, effettuata tramite il telescopio del Dipartimento di Fisica dell’Università di Salerno, e la loro successiva elaborazione, ci ha permesso di ottenere un diagramma colore-magnitudine dell’ammasso.

La tesi segue un approccio lineare, tipico del metodo scientifico, e presenta uno schema ben definito.

Si parte, nel capitolo 1, con argomenti prettamente teorici e generali. L’introduzione della classificazione stellare tramite la ben nota sequenza spettrale di Harvard e l’interpretazione fisica degli spettri permettono di avere un quadro chiaro dei parametri essenziali per lo studio delle stelle. Agli spettri sono direttamente collegati la luminosità e il colore di una stella, come si vede dai diagrammi Hertzsprung-Russell e dai diagrammi colore-magnitudine.

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Introduzione

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Il capitolo 2 entra nel merito dell’argomento trattato. Gli ammassi stellari sono descritti nei loro caratteri generali. Si spiega in modo dettagliato la classificazione e l’evoluzione nel tempo, sottolineando la straordinaria importanza nel campo dell’astrofisica di tali oggetti celesti. Fondamentali, a tale scopo, risulteranno essere il diagramma colore-magnitudine e i concetti legati alla gap di Hertzsprung, al punto di turn-off e all’isocrona di un ammasso. Essenziale è anche il confronto con gli ammassi globulari.

Infine, il capitolo 3 descrive la parte sperimentale del lavoro, ovvero la fase più importante e dinamica. Gli aspetti peculiari della fotometria e i problemi annessi sono affrontati nei primi paragrafi e ci portano direttamente nel vivo dello studio effettuato. Le fasi che ci hanno visti impegnati sono state molteplici e tipiche del lavoro scientifico. L’acquisizione e l’analisi dei dati in primis ne sono stati il punto fondamentale. I metodi e i risultati sono riportati in modo dettagliato. A seguire il confronto con i risultati di uno studio analogo, riportati in un articolo di Jeffries et al (“Membership, metallicity and lithium abundances for solar-type stars in NGC 6633”), ci ha permesso di tirare le somme dell’intero lavoro, portandoci alle conclusioni.

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard

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Capitolo 1

La classificazione stellare e i diagrammi H-R

1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard

Quando parliamo di una stella, siamo interessati a sapere di quale tipo si tratti, ovvero se è giovane o vecchia, se è rossa o blu, se emette nella banda dell’infrarosso o dei raggi X e così via. Per ottenere una risposta a domande di questo tipo, è necessario confrontare la stella in questione con altre ben note: si raggruppano le stelle in classi, in base alle proprietà osservate ed, in tal modo, si ottengono le relazioni richieste. E’ dunque necessario avere schemi di classificazione opportuni.

Le osservazioni stellari necessitano, essenzialmente, di due funzioni: lo spettro, ovvero l’intensità di radiazione in funzione della lunghezza d’onda, e la sua curva di luce, ovvero l’intensità di radiazione in funzione del tempo. In realtà, la maggior parte delle stelle ha curve di luce piuttosto costanti che non forniscono informazioni rilevanti (eccezioni sono date da tutte le classi di stelle variabili e dalle pulsars, che presentano variazioni evidenti di luminosità nel tempo); di conseguenza gli spettri restano essenziali per le classificazioni stellari.

Ci sono due modi per ottenere informazioni di natura astrofisica dagli spettri:

• L’analisi spettrale • La classificazione spettrale

Per quanto riguarda l’analisi spettrale, dobbiamo ricordare che, quando esaminiamo la luce emessa da una stella attraverso uno spettrografo, osserviamo un continuo brillante di radiazione sul quale si sovrappongono linee di assorbimento (e, occasionalmente, linee di emissione). La distribuzione di energia nel continuo e il profilo delle linee sono determinate dalle condizioni fisiche nell’atmosfera stellare, quali la temperatura, la densità, l’abbondanza degli elementi chimici, il campo magnetico e così via. Quindi, da un’opportuna analisi di questi caratteri, possiamo ricavare un dettagliato quadro fisico della struttura e della composizione degli strati esterni di una stella. In modo sintetico, i dati essenziali necessari per un’analisi spettrale sono la descrizione della variazione di frequenza del continuo (ottenuta tramite gli indici di colore) e la descrizione del profilo delle linee (ottenuta tramite la determinazione dello spessore equivalente di ogni linea).

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard

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Per quanto riguarda la classificazione spettrale, si tratta sostanzialmente di raggruppare spettri che hanno strutture simili tra loro, senza considerarne, in prima istanza, il significato fisico. In principio, si potrebbe utilizzare l’intero spettro, ma in pratica se ne considera solo quella parte trasmessa attraverso l’atmosfera terrestre.

Si definiscono delle categorie scegliendo le stelle standard con caratteristiche spettrali ben definite e distinte tra loro. Di conseguenza, ogni categoria avrà uno spettro caratteristico determinato dalla stella standard che lo definisce e, dunque, un unico tipo spettrale del sistema in questione. E’ possibile classificare ogni stella rispetto ai campioni ottenuti, confrontando il suo spettro con le stelle standard. Riusciamo, in definitiva, ad ottenere un opportuno schema di classificazione che ci assicuri la catalogazione richiesta. Una volta che il sistema sia stato ben definito, si può introdurre una calibrazione in termini di parametri fisici, quali temperatura, composizione e così via. A quel punto, si può dire che, se qualche stella è di un certo tipo spettrale, le proprietà relative a quel determinato tipo possono essere associate ad essa senza ulteriori analisi.

Dunque il tipo spettrale fornisce una descrizione concisa sia dello spettro sia delle proprietà fisiche di una stella. Nel 1817 Joseph Fraunhofer notò che stelle diverse avevano spettri differenti tra loro e li classificò in base ad uno schema. A seguire, nel 1860, Secchi, Huggins e Vogel divisero le stelle in quattro classi spettrali. Il primo grande passo verso il sistema attuale avvenne all’Osservatorio di Harvard, nel 1890: sotto la direzione di Pickering, Williamina Fleming pubblicò un catalogo di 10000 stelle divise in tipi spettrali, denotati dalle lettere maiuscole dell’alfabeto A, B, C e così via, in base allo spessore delle linee di assorbimento dell’idrogeno.

Qualche anno dopo, un’altra assistente di Pickering, Annie Jump Cannon, perfezionò il sistema inserendo nuove lettere e la suddivisione decimale dei tipi spettrali. Riuscì, in questo modo, a catalogare 225000 stelle e tali classificazioni furono pubblicate sotto il nome di Henry Draper Catalog. Tenendo conto degli stati di ionizzazione degli elementi chimici visibili tramite lo spessore delle righe e dei dati fotometrici, la sequenza spettrale definitiva di Harvard, O,B,A,F,G,K,M, risultò essere sostanzialmente una sequenza di temperatura decrescente, dalle stelle blu molto calde di tipo spettrale O a quelle più fredde di tipo M.

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard

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In seguito, a tale sequenza, vennero aggiunte le lettere R, N ed S per tener conto di stelle di differente composizione chimica.

L’ulteriore suddivisione numerica prevista per ogni lettera divide gli spettri con cifre da 0 a 9 (ad esempio A0…A9), seguendo sempre la sequenza di temperatura decrescente. Le stelle che cadono all’inizio della sequenza sono dette di tipo “early”, quelle che cadono alla fine di tipo “late”.

La classificazione spettrale di Harvard era basata sulla temperatura, ma non aveva basi fisiche consistenti. Furono l’avvento della meccanica quantistica e della teoria di ionizzazione di M.Saha nel 1920 a rendere possibile un’analisi quantitativa; nel 1925 Cecilia Payne nel suo libro Stellar Atmosphere fornì finalmente un’interpretazione teorica della sequenza di Harvard e scoprì il ruolo determinante dell’idrogeno nell’Universo.

Sappiamo che le linee di assorbimento si hanno quando un atomo assorbe un fotone con l’energia necessaria affinché un elettrone compia una transizione da un’orbita interna ad una più esterna. Viceversa, le linee di emissione si hanno nel processo inverso, quando un elettrone compie una transizione da un’orbita esterna ad una interna e un fotone trasporta l’energia persa dall’elettrone. Di conseguenza, la lunghezza d’onda del fotone dipende dall’energia degli orbitali coinvolti nelle transizioni. Per ottenere una spiegazione fisica, bisogna ricorrere alla meccanica statistica per sapere in quali orbitali si possano trovare con maggiore probabilità gli elettroni e quale sia il numero di atomi nei vari stati di ionizzazione.

In definitiva, la distinzione tra gli spettri di stelle con diverse temperature è dovuta agli elettroni che occupano i diversi orbitali atomici nell’atmosfera stellare. Può essere piuttosto complicato interpretare i dettagli riguardanti la formazione delle righe spettrali, poiché gli elettroni possono essere in uno qualsiasi degli orbitali e in un qualsiasi stato di ionizzazione, denotato da un numero romano che segue l’elemento in questione. Ad esempio, HI e He I indicano, rispettivamente, l’idrogeno e l’elio neutro; He II indica l’elio ionizzato una sola volta e così via. La classificazione di Harvard definitiva ottenuta da Cannon è riportata in Tabella 1, in cui sono descritti i caratteri principali che definiscono i vari tipi spettrali.

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.1 La classificazione stellare e la sequenza di Harvard

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Tipo spettro Descrizione Temperatura

superficiale

Esempi

O Stelle molto calde blu-

bianche con poche

linee: forti linee di

assorbimento di He I e

He II

Da 40000 °C a 35000

°C

γ Velorum

ξ Puppis

B Stelle molto calde da

bianco- blu(B0) a

bianche (B9). Niente

righe di emissione, ma

righe di assorbimento

dominanti

dell’idrogeno e dell’elio

Da 25000 °C per B0 fino

a 12000 °C per B9

Rigel

A Stelle bianche: spettri

dominanti dalle righe

dell’idrogeno. Le linee

di assorbimento di Ca II

diventano più intense

8000 °C - 10000 °C Sirio, Vega, Altair

F Stelle giallo-bianche. Le

linee del Ca II si

rafforzano, mentre

quelle di Balmer

diventano più deboli.

Linee di assorbimento

di metalli neutri (Fe I,

Cr I)

6000 °C – 7500 °C

Procione, Polare

G Stelle gialle. Spettri di

tipo solare. Le linee di

Ca II diventano più

forti. Le linee di Fe I e

di altri metalli più

neutri diventano più

forti.

5000 °C - 6000 °C Capella (gigante)

Sole (nana)

K Stelle arancioni fredde.

Le linee del Ca II, H e K

diventano più forti a

K0, diventando più

deboli a seguire. Spettri

dominati da linee di

assorbimento

metalliche

3500 °C – 5000 °C Arturo, Aldebaran,

Polluce

M Stelle rosse molto

fredde rosso-arancioni.

Spettri dominati da

bande di assorbimento

molecolari, specie

dell’ossido di titanio

(TiO)

3000 °C – 3400 °C Mira Ceti, Betelgeuse,

Antares, Proxima

Centauri

Tabella 1: Classificazione spettrale di Harvard

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.2 Interpretazione fisica degli spettri stellari: la metallicità.

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1.2 Interpretazione fisica degli spettri stellari: la metallicità.

La struttura di un’atmosfera stellare, e quindi la distribuzione di energia emessa da una stella, è determinata da tre parametri atmosferici:

1) la temperatura effettiva

���� ≡ � �����

� (1.1)

dove σ è la costante di Stefan-Boltzmann, L la luminosità totale e R il raggio della stella. Teff è una misura della temperatura del gas che forma la maggior parte dell’atmosfera stellare. 2) la gravità di superficie

� ≡ �� (1.2)

dove G è la costante gravitazionale e M la massa stellare. La gravità superficiale fissa il gradiente di pressione nell’atmosfera e determina la densità delle linee spettrali formate.

3) la composizione chimica dell’atmosfera che determina la variazione in frequenza dell’opacità del materiale stellare e il relativo spessore delle linee spettrali delle differenti specie atomiche presenti. In prima approssimazione, la composizione chimica di una stella vicina al Sole può essere caratterizzata dall’abbondanza degli elementi pesanti calcolati rispetto all’idrogeno. L’elemento più importante è il Fe, poiché le stelle che presentano un’abbondanza di Fe tendono ad essere più ricche di elementi più pesanti dell’elio. Nel tener conto di questo fenomeno si parla di metallicità di una stella per indicarne la composizione chimica completa. Le abbondanze dei vari elementi presenti in una stella sono riportate generalmente rispetto ai valori solari. Ad esempio, l’abbondanza di ferro, denotata [Fe/H], è definita come:

���/�� ≡ ����� ��(��)�( ) �!"�##$ − ����� ��(��)�( ) �&'#� (1.3)

In modo simile, l’abbondanza di un elemento diverso dal ferro, espresso come [O/Fe], si definisce come:

�(/��� ≡ ����� � �())�(��)�!"�##$ − ����� ��())���)�&'#� (1.4)

In generale -3<[Fe/H]<0. I rapporti del tipo [O/Fe] coprono un intervallo più ristretto, il che vuol dire che stelle povere di Fe sono generalmente povere anche di altri metalli. Di conseguenza è utile definire dei parametri (X,Y,Z), che danno la frazione relativa all’abbondanza di idrogeno (X), elio (Y) e altri elementi chimici (Z).

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.3 Il diagramma Hertzsprung-Russel

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1.3 Il diagramma Hertzsprung-Russell

Sebbene le relazioni stellari che legano luminosità, temperatura, massa, raggio, in pratica quelle relative ai parametri intrinseci di una stella, forniscano un’idea di insieme dell’intervallo di variabilità delle caratteristiche stellari, informazioni più significative si possono ottenere esaminando la correlazione esistente tra tali grandezze. Ciò emerge dalla costruzione di un diagramma, noto come “diagramma di Hertzsprung-

Russell” o diagramma H-R. La sua origine risale agli studi effettuati nel 1910 da Ejnar Hertzsprung e Henry Norris Russell sulle relazioni tra le magnitudini assolute e i tipi delle classi spettrali delle stelle osservabili. Il diagramma H-R fornisce uno dei test più importanti per la teoria dell’evoluzione stellare e per l’esplorazione della storia dell’intera Galassia.

Nella sua forma originale, il diagramma H-R era un grafico della magnitudine visuale assoluta e del tipo spettrale, ma attualmente si utilizzano varianti in cui il tipo spettrale discreto è sostituito da una coordinata continua. Dal punto di vista sperimentale, la forma più utile è il diagramma colore-magnitudine (CM), che è un grafico di un colore rispetto alla magnitudine assoluta (per stelle di distanza nota) o rispetto alla magnitudine apparente (per stelle che sono tutte alla stessa distanza). Dal punto di vista teorico, la forma più conveniente del diagramma H-R è un grafico di Teff rispetto al log(L/L0), detto diagramma H-R teorico. Ma quali furono i presupposti che portarono alla nascita di tali diagrammi?

La sequenza di Harvard aveva portato allo sviluppo di una teoria dell’evoluzione stellare fondamentalmente errata. Si osservò che le stelle di tipo O alla fine della sequenza tendono ad essere più luminose e calde di quelle di tipo M. Inoltre, la relazione massa-luminosità mostrava che le stelle di tipo O sono più massive di quelle di tipo M. La conclusione fu quella di pensare che le stelle, invecchiando, si raffreddano: una stella nasce di tipo O, giovane e brillante e, invecchiando, perde parte della propria massa a mano a mano che brucia il suo carburante; di conseguenza si raffredda e diventa meno luminosa, fino a diventare una stella rossa, vecchia. Ancora oggi una traccia di questa teoria rimane nella denominazione di stelle di tipo “early” e “late”. In seguito a questa teoria, Hertzsprung pensò che dovesse esserci una relazione tra la magnitudine assoluta e la classe spettrale di una stella. Dopo l’analisi di stelle i cui valori suddetti erano ben noti, confermò tale relazione ma rimase sorpreso dalla scoperta che stelle di tipo G coprissero un intervallo ampio di magnitudini nonostante fossero, appunto, della stessa classe spettrale. Contemporaneamente Russell, in modo del tutto indipendente

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Capitolo 1

1.

dal suo collega, arrivò alle stesse conclusioni e pubblicò i suoi risultati in un diagramma, nel qualee la classe spettrale su quello orizzontale. A partire da questo, ne furoin seguito pubblicate H-R (magnitudine e classe spettrale) sostituisce l’indice di colore alla classe spettrale

Figura 1: diagramma H

Figura 2

La maggior parte delle stelle rappresentate cadeobliqua che va dalle stelle di tipo O nella parte superiore sinistra fino a quelle di tipo M nella parte inferiore destra. Questa banda è detta SEQUENZA PRINCIPALE

Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H1.3 Il diagramma Hertzsprung-Russel

9

dal suo collega, arrivò alle stesse conclusioni e pubblicò i suoi risultati in un diagramma, nel quale vi era la magnitudine assoluta sull’asse verticale e la classe spettrale su quello orizzontale. A partire da questo, ne furoin seguito pubblicate altre versioni, fino ad arrivare al noto diagramma

(magnitudine e classe spettrale) (figura 1) e alla versione in cui si sostituisce l’indice di colore alla classe spettrale (figura 2).

: diagramma H-R nella sua versione originale

Figura 2: diagramma colore-magnitudine

elle stelle rappresentate cade all’interno di una banda obliqua che va dalle stelle di tipo O nella parte superiore sinistra fino a quelle di tipo M nella parte inferiore destra. Questa banda è detta SEQUENZA PRINCIPALE, nella quale cade circa l’80% di tutte le stelle.

La classificazione stellare e i diagrammi H-R

dal suo collega, arrivò alle stesse conclusioni e pubblicò i suoi risultati in vi era la magnitudine assoluta sull’asse verticale

e la classe spettrale su quello orizzontale. A partire da questo, ne furono fino ad arrivare al noto diagramma

la versione in cui si

R nella sua versione originale

all’interno di una banda obliqua che va dalle stelle di tipo O nella parte superiore sinistra fino a quelle di tipo M nella parte inferiore destra. Questa banda è detta

, nella quale cade circa l’80% di tutte le stelle.

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.3 Il diagramma Hertzsprung-Russel

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In alto a destra, fuori dalla sequenza principale, cadono stelle dette GIGANTI, mentre in basso a sinistra ci sono le NANE BIANCHE.

Il passo più complesso per la costruzione di un diagramma come quello appena descritto è la determinazione della distanza di ogni stella, al fine di poter calcolare la magnitudine assoluta a partire da quella apparente.

La conoscenza del diagramma CM può essere migliorata dallo studio degli AMMASSI STELLARI. La nostra Galassia contiene molti agglomerati di stelle, che includono una grande varietà di tipi stellari. In generale, non conosciamo la distanza di un ammasso, quindi non possiamo ottenere un diagramma CM in cui compaia la magnitudine assoluta. C’è da dire, però, che molti ammassi sono sufficientemente piccoli rispetto alla distanza che ci separa da loro da poter ritenere valida l’assunzione che tutte le stelle dell’ammasso siano alla stessa distanza dall’osservatore. Di conseguenza, la differenza tra magnitudine assoluta e apparente sarà la stessa per ogni stella, così, per un ammasso, il diagramma CM si ridurrà ad un grafico di magnitudine apparente rispetto all’indice di colore. Infatti, come vedremo, i caratteri di un diagramma CM di un ammasso tendono ad essere più marcatamente definiti di quelli di un normale gruppo stellare. L’assenza di errori dovuti alle indeterminazioni nelle distanze delle stelle riduce la dispersione nelle sequenze stellari di un ammasso rispetto a quello delle sequenze di stelle vicine. Inoltre, emerge il fatto che l’omogeneità delle proprietà stellari di un ammasso permette la rappresentazione in una regione piuttosto ristretta e definita del diagramma CM.

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.4 Il sistema M-K

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1.4 Il sistema M-K

Con il lavoro di E. Hertzsprung e H.N. Russell, divenne evidente che stelle di un dato tipo spettrale potevano avere luminosità molto differenti tra loro e questo fatto implicava che esse potessero avere raggi e densità atmosferiche differenti. Dunque è necessario introdurre un secondo parametro per la descrizione completa di uno spettro. Un sistema a due dimensioni, il sistema M-K, fu sviluppato da Morgan, Keenan e Kellerman (1943). In aggiunta alla classe spettrale, assegnarono cinque classi di luminosità, con numeri romani da I a V. In termini fisici, una classe di luminosità stellare riflette la misura esterna della stella e la densità atmosferica e si collega quindi alla sua gravità superficiale. Il sistema di classificazione MK è quello attualmente usato. I tipi spettrali del sistema MK sono essenzialmente quelli della sequenza di Harvard. Le classi di luminosità sono riportate in Tabella 2.

Tipo Descrizione

I a – 0 Supergiganti estreme

I a Supergiganti luminose

I ab Supergiganti moderate

I b Supergiganti meno luminose

II Giganti brillanti

III Giganti normali

IV Sub- giganti

V Nane

Tabella 2: classi di luminosità

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Capitolo 1 La classificazione stellare e i diagrammi H-R 1.5 Luminosità e colore come funzione della classe spettrale e il ruolo degli

ammassi

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1.5 Luminosità e colore come funzione della classe spettrale e il

ruolo degli ammassi

Come già detto, la classe di luminosità MK è un’indicazione della luminosità della stella. L’intervallo delle luminosità associate ad una data classe varia con il tipo spettrale; dunque la classificazione spettrale MK è necessaria per estrarre informazioni di luminosità dallo spettro di una stella.

Figura 3: dipendenza combinata della luminosità e della classe spettrale

La figura 3 fornisce un’indicazione della dipendenza combinata della luminosità dalla classe spettrale e dalla classe di luminosità: ad un dato tipo spettrale, stelle di ogni classe di luminosità cadranno nell’intervallo compreso tra una o due magnitudini sulla curva in figura. Dal momento che il tipo spettrale MK è fortemente correlato con l’indice di colore B-V, e la classe di luminosità MK è connessa con la luminosità, la classificazione completa MK di una stella fornisce un’idea corretta della posizione della stella sul diagramma colore-magnitudine.

Gli ammassi giocano un ruolo importante nella determinazione delle luminosità di certi tipi spettrali, poiché in essi si trovano stelle la cui luminosità può essere calibrata localmente (utilizzando la parallasse trigonometrica) e anche stelle che non possono essere studiate vicino al Sole. Dal momento che tutte le stelle in un dato ammasso sono alla stessa distanza, la conoscenza della luminosità di una stella qualsiasi nell’ammasso fornisce in linea di principio una buona stima della luminosità delle altre stelle dell’ammasso.

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.1 Formazione e caratteri generali di un ammasso

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Capitolo 2

Gli ammassi stellari

2.1 Formazione e caratteri generali di un ammasso

La nostra Galassia contiene numerosi agglomerati di stelle. Lo studio degli ammassi stellari (o cluster) ha giocato un ruolo determinante nello sviluppo e nella comprensione dell’Universo. Gli ammassi presentano numerose variazioni per quanto riguarda la compattezza della loro struttura, la luminosità e la metallicità. Ne esistono due tipi:

• Ammassi globulari: compatti, luminosi e poveri di metalli • Ammassi aperti: poco compatti, meno luminosi e più ricchi di

metalli

Figura 4: Ammasso globulare M80

Figura 5: Ammasso aperto delle Pleiadi

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.1 Formazione e caratteri generali di un ammasso

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Ma da quali tipi di stelle è composto un ammasso?

Le stelle nascono dal mezzo interstellare (polveri e gas); attraverso i venti stellari gran parte del materiale torna al mezzo interstellare tramite l’emissione di nebulose planetarie o tramite l’esplosione di supernovae. La materia espulsa, comunque, si è arricchita di elementi più pesanti tramite le reazioni nucleari che governano la vita di una stella. Di conseguenza, quando si forma una nuova generazione di stelle, questa possiede una concentrazione più alta di elementi pesanti rispetto alle sue antenate. Questo processo ciclico di formazione stellare, morte e rinascita è evidente nelle variazioni di composizione stellare.

E’ generalmente accreditata l’ipotesi che l’Universo si sia formato circa 13.5 miliardi di anni fa in seguito al Big Bang e che l’idrogeno e l’elio siano stati essenzialmente gli unici elementi prodotti dalla nucleosintesi avvenuta durante l’esplosione primordiale. Di conseguenza, le prime stelle formate erano estremamente povere di metalli (con il termine metalli si intendono tutti gli elementi più pesanti dell’elio). A seguire, le successive generazioni stellari avevano concentrazioni sempre maggiori di elementi più pesanti, fino ad arrivare a stelle ricche di metalli per le quali Z ≈0.03. Le stelle povere di metalli sono dette di POPOLAZIONE

II e sono principalmente stelle rosse luminose vecchie in un ambiente privo di gas e polveri. Le stelle più ricche di metalli sono dette di POPOLAZIONE I: si tratta di giovani stelle blu luminose accompagnate da polveri e gas.

Le classificazioni in POPOLAZIONI I E II sono dovute alle loro identificazioni originarie con gruppi distinti dal punto di vista cinematico nella nostra Galassia. Le stelle di Popolazione I hanno velocità rispetto al Sole più basse di quelle di Popolazione II; inoltre le stelle di Popolazione I si trovano principalmente nel disco della Via Lattea, mentre quelle di Popolazione II sono sia sopra sia sotto il disco. Solo in seguito gli astronomi hanno analizzato le differenti composizioni chimiche delle due popolazioni, ricavandone informazioni preziose sulla formazione e sull’evoluzione della Via Lattea.

Alcuni degli elementi pesanti trovati nelle stelle sono prodotti solamente nelle esplosioni di supernova che sono lo stadio finale della vita di molte stelle. Quindi, la presenza di questi elementi in una stella indica che la stella debba contenere materiale sintetizzato dalle supernovae in una generazione stellare precedente. La differenza tra le abbondanze di metalli nelle due popolazioni stellari si riconduce ancora una volta ad una differenza di età. Una stella che si è formata tardi nella storia di una galassia sarà composta da materiale che è stato processato da generazioni precedenti di stelle, ed avrà quindi generalmente grande

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.1 Formazione e caratteri generali di un ammasso

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abbondanza di metalli (stelle di popolazione I). Di contro, una stella che si è formata molto prima sarà stata prodotta dal materiale le cui abbondanze chimiche sono molto più vicine alla composizione primordiale dell’Universo, con una percentuale molto bassa di metalli, e dunque la stella apparterrà alla popolazione II.

Durante il collasso di una nube molecolare, si ha un processo di frammentazione a cascata. Questo processo porta alla creazione degli ammassi stellari, composti da decine o centinaia di stelle. Ogni membro di un dato ammasso è nato dalla stessa nube, nello stesso istante, e tutti hanno la stessa composizione. Quindi, il teorema di Vogt-Russell, enunciato come segue:

“La massa e la composizione di una stella ne determinano in modo

univoco il raggio, la luminosità e la struttura interna, così come la sua

evoluzione successiva”.

suggerisce che le differenze negli stati evolutivi tra le varie stelle dell’ammasso sono dovute esclusivamente alle loro masse iniziali. Gli ammassi di Popolazione II estrema si sono formati quando la Galassia era molto giovane, dunque sono gli oggetti più vecchi della Via Lattea e contengono molte stelle. Si parla, in questo caso, di AMMASSI

GLOBULARI. Essi forniscono informazioni fondamentali sull’età dell’Universo, sulla comprensione della struttura Galattica e sul modo in cui si è formata la Via Lattea.

Gli ammassi di POPOLAZIONE I tendono ad essere più piccoli e più giovani e sono detti AMMASSI GALATTICI o APERTI.

Come già accennato in precedenza, i diagrammi H-R degli ammassi possono essere costruiti in maniera auto-consistente senza la conoscenza dell’esatta distanza. Dal momento che le dimensioni tipiche di un ammasso sono piccole rispetto alla distanza che lo separa dalla Terra, si avrà un errore trascurabile se si assume che tutti i membri dell’ammasso siano alla stessa distanza. Di conseguenza, riportare in un grafico la magnitudine relativa piuttosto che quella assoluta equivale a introdurre uno shift sul grafico equivalente alla posizione della singola stella. Mettendo insieme la sequenza principale osservata e quella calibrata sulla magnitudine assoluta, si determina la distanza dell’ammasso dall’osservatore. Questo metodo di determinazione della distanza è detto fitting di sequenza principale. Piuttosto che determinare le temperature effettive di ogni membro di un ammasso tramite un’analisi dettagliata degli spettri stellari, è molto più semplice ottenere i loro indici di colore (B-V), per la costruzione di un diagramma colore-magnitudine.

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2 Diagrammi H-R di un ammasso

2.2.1 Evoluzione di un ammasso aperto e la gap di Hertzsprung

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2.2 Diagrammi H-R di un ammasso

Gli ammassi e i relativi diagrammi H-R associati permettono di testare molti aspetti della teoria dell’evoluzione stellare. Stimando, infatti, le tracce evolutive di stelle di masse diverse, con la stessa composizione chimica dell’ammasso, è possibile graficare la posizione di ogni campione sul diagramma H-R quando i modelli raggiungono l’età dell’ammasso. La curva che congiunge queste posizioni è detta isocrona. Il numero relativo di stelle in ogni punto dell’isocrona dipende sia dal numero di stelle nei diversi intervalli di masse che dal tasso differente di evoluzione durante ogni fase. Dunque, i conteggi stellari in un diagramma colore-magnitudine possono fornire indicazioni sulle scale dei tempi coinvolte nell’evoluzione stellare. 2.2.1 Evoluzione di un ammasso aperto e la gap di Hertzsprung

Analizziamo l’evoluzione di un ammasso aperto seguendo il diagramma colore-magnitudine di un ammasso aperto doppio, h e χ Persei, riportato in figura 6.

Figura 6: diagramma CM dell’ammasso aperto h e χ Persei

Sono evidenti le giganti rosse e le stelle di massa piccola appartenenti alla pre-sequenza principale. Nel diagramma è evidente anche la completa assenza di stelle nella zona che va dalle stelle massive che stanno lasciando la sequenza principale e le poche giganti rosse. È altamente improbabile che questo diagramma rappresenti una veduta incompleta, dal momento che le stelle mancanti nell’intervallo suddetto sono quelle più luminose dell’ammasso. In realtà, tale mancanza è la

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.1 Evoluzione di un ammasso aperto e la gap di Hertzsprung

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prova dell’evoluzione rapida che avviene dopo che le stelle hanno lasciato la sequenza principale. Questa struttura, nota come gap di

Hertzsprung, è una caratteristica comune dei diagrammi colore-magnitudine di ammassi giovani, ovvero degli ammassi aperti. Nel 1942 Schönberg e Chandrasekhar avevano trovato teoricamente che l’idrogeno brucia tanto più rapidamente quanto più la stella é luminosa e di massa elevata. Quando una certa percentuale di idrogeno si é trasformata in elio, la stella lascia la sequenza principale. A quel punto la stella diventa più luminosa e meno blu e poi, passando rapidamente per una fase in cui non é in equilibrio, diventa una gigante rossa. Questa teoria spiega:

· la parte alta, incurvata, della sequenza principale, formata appunto dalle stelle che se ne stanno staccando;

· il gruppo delle giganti rosse;

· la gap di Hertzsprung

Quando il nucleo della stella che ha esaurito l’idrogeno supera il limite (o massa) di Schönberg-Chandrasekhar (definito come il limite superiore che può raggiungere la massa costituita dalla materia degenere capace di opporsi al collasso gravitazionale. Il suo valore corrisponde a 1.4 M

�), si

ha la gap vista in figura 6, tipica degli ammassi aperti.

Si può, così, interpretare sinteticamente il diagramma H-R degli ammassi aperti. In principio, tutte le stelle si trovano sulla sequenza principale, tranne quelle di piccola massa, in basso a destra, che ancora non l'hanno raggiunta. Col passare del tempo, le stelle di massa più elevata si staccano per diventare giganti rosse. Poiché le stelle più luminose evolvono più rapidamente, abbiamo poche probabilità di osservare una stella durante quel breve intervallo della sua vita in cui passa dalla sequenza principale alla regione delle giganti rosse. Ciò spiega perché non si trovi quasi nessuna stella nella gap di Hertzsprung. Dato che l'evoluzione é più lenta a più basse luminosità, la gap si assottiglia con l’aumentare dell’età dell'ammasso. Negli ammassi più vecchi la gap é totalmente assente. Dalla posizione da cui le stelle migrano dalla sequenza principale verso la regione delle giganti rosse, é possibile dunque calcolare l’età dell'ammasso. Cosa accade dopo che una stella é passata attraverso lo stadio di gigante? Questo lo possiamo dedurre dai diagrammi H-R dei più vecchi ammassi conosciuti, come M67 e degli ammassi globulari. In questi casi appare un nuovo ramo, che non é presente in nessuno degli ammassi più giovani: il ramo orizzontale corrispondente alle variabili RR Lyrae(vedi figura 7).

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.2 Il punto di turn-off di un ammasso aperto

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Figura 7: Ammasso globulare M3

Così, le luminose stelle blu che una volta popolavano la parte superiore della sequenza principale di un vecchio ammasso sono prima diventate supergiganti rosse. In seguito, quando l'elio é diventato la loro più importante sorgente di energia, esse si sono trasferite a sinistra, nella regione delle RR Lyrae. Infine, dopo una successione di eventi, le stelle raggiungono lo stadio finale, diventando, a seconda della loro massa, nane bianche, stelle di neutroni o, forse, buchi neri.

2.2.2 Il punto di turn-off di un ammasso aperto

I diagrammi H-R forniscono informazioni sullo stato evolutivo dell’ammasso in questione. La profondità di un ammasso aperto è molto minore della distanza dell’ammasso stesso dalla Terra: ci si aspetta, dunque, che la sequenza nel diagramma CM sia piuttosto definita. I diagrammi di questo tipo sono di più facile costruzione rispetto a quelli degli ammassi globulari, in quanto la natura diffusa di questi sistemi permette di evitare la confusione che impedisce la fotometria stellare. Di contro, però, bisogna essere abili a minimizzare gli effetti della contaminazione stellare dovuta alle stelle di campo presenti sul piano Galattico. Questo può essere fatto selezionando le stelle appartenenti all’ammasso in base alla loro cinematica oppure prendendo solo quelle stelle i cui colori siano consistenti con gli oggetti arrossati dalle polveri presenti tra noi e l’ammasso stesso. Una volta che si è tenuto conto delle difficoltà sopra descritte, la sequenza principale di un ammasso aperto appare simile a quella riportata in figura 8.

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.2 Il punto di turn-off di un ammasso aperto

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Figura 8: diagramma CM dell’ammasso aperto NGC 4755

Si può notare che la sequenza è molto estesa, fino ad arrivare alle stelle blu in alto. La presenza di stelle massive e di vita breve indica che alcune stelle dell’ammasso sono molto giovani. Inoltre, la netta delineazione della sequenza implica che tutte le stelle sono di età molto simile tra loro, dal momento che nessuna delle stelle meno massive con tempi di vita più lunghi sulla sequenza principale ha già iniziato a spingersi verso il ramo delle giganti. Verso la parte inferiore della sequenza principale, essa diventa più spessa, con una tendenza delle stelle ad andare verso il rosso. Lo spessore di tale sequenza non può essere attribuito ad errori di osservazione, ma è una conseguenza dell’età giovane del sistema. Prima infatti che le stelle raggiungano la sequenza principale, esse evolvono dal lato destro del diagramma colore-magnitudine lungo tutta la sequenza, con stelle di massa minore che impiegano più tempo per fare questa transizione. E’ da notare che la disposizione diversa di queste stelle nel diagramma CM implica che esse non si sono formate simultaneamente, poiché stelle differenti con le stesse masse sono evolute in modo diverso tra loro.

L’invecchiamento graduale dell’ammasso conduce, in sintesi, al seguente processo: le stelle più massive e meno abbondanti arriveranno per prime sulla sequenza principale, evolvendo rapidamente. Prima che le stelle di massa minore abbiano raggiunto la sequenza principale, quelle più grandi sono già arrivate nella regione delle giganti rosse, subendo probabilmente anche un’esplosione di supernova.

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.2 Il punto di turn-off di un ammasso aperto

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La breve scala di tempi in cui le stelle passano attraverso lo stadio di giganti indica che le sequenze di evoluzione finale nel diagramma CM sono scarsamente popolate, con una gap di Hertzsprung molto pronunciata.

Per confrontare i diagrammi CM di differenti ammassi, dobbiamo metterli su una stessa scala di magnitudine assoluta. La calibrazione della scala può essere fatta più facilmente rispetto ad un ammasso globulare, dal momento che esiste un grande numero di stelle vicine con parallasse trigonometrica nota, che hanno metallicità molto simili a quelle delle stelle dell’ammasso. La natura estensiva della sequenza principale degli ammassi aperti risulta essere sicuramente utile per il fitting, dal momento che si ha a disposizione un ampio intervallo di colori e magnitudini.

Figura 9: sequenze di un gruppo di ammassi nel diagramma CM, traslati tutti sulla stessa scala di magnitudine assoluta

La figura 9 riporta una sequenza per alcuni ammassi scelti. Nonostante la sequenza possa, ad un primo impatto, sembrare molto simile per tutti gli ammassi, il carattere più evidente nella figura è il diverso punto di turn-off per ogni ammasso; per alcuni si ha anche una brusca interruzione della sequenza principale. In realtà, le differenze tra le sequenze possono essere attribuite a una differenza di età tra gli ammassi aperti.

Dal momento che i tempi di vita del nucleo che brucia idrogeno sono inversamente proporzionali alla massa, l’evoluzione dell’ammasso fa sì che il punto di turn-off sulla sequenza principale, definito come il punto

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.3 Confronto tra gli ammassi aperti e gli ammassi globulari

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dove le stelle dell’ammasso lasciano la sequenza principale, diventa più arrossato e meno luminoso nel tempo. Di conseguenza, è possibile stimare l’età di un ammasso dal punto più alto della sua sequenza principale.

Se si osserva la figura 9, si può notare che l’ammasso globulare M67 non presenta la gap di Hertzsprung. Questo è una prova che tale gap è presente solo negli ammassi aperti più giovani. Come già detto, per masse con valori inferiori a 1.25 M

�, la rapida fase di contrazione

collegata al limite di Schönberg-Chandrasekhar è molto meno pronunciata. Di conseguenza, i diagrammi colore-magnitudine di ammassi globulari vecchi con punti di turn-off vicini a 1 M

� presentano

distribuzioni continue di stelle che arrivano fino alla regione delle giganti rosse.

2.2.3 Confronto tra gli ammassi aperti e gli ammassi globulari

La varietà di punti di turn-off degli ammassi aperti è in forte contrasto con quello che accade per gli ammassi globulari. La struttura tipica di un ammasso globulare è riportato nella figura 10, mentre in figura 11 è riportato un diagramma CM di alcuni ammassi.

Figura 10: diagramma CM di un ammasso globulare

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.2.3 Confronto tra gli ammassi aperti e gli ammassi globulari

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Figura 11: diagramma CM composito di vari ammassi

Come si evince dalla figura 10, il ramo delle sub giganti di un ammasso globulare è molto stretto e confina con la sequenza principale in un punto di turn-off ben definito. Questa struttura indica che tutte le stelle che sono originariamente sulla sequenza principale proprio sopra il punto di turn-off si stanno allontanando da tale sequenza, evolvendo. Questo implica che le stelle dell’ammasso globulare hanno essenzialmente la stessa età. L’assenza di un numero significativo di stelle che evolvono dalla sequenza principale sotto il punto di turn-off indica che l’ammasso non contiene stelle più vecchie di quelle presenti sul punto di turn-off. La nitidezza delle sequenze osservate pone forti limiti sull’intervallo di tempo in cui gli ammassi globulari si sono formati. Se le stelle si fossero formate in un arco di tempo molto lungo, i rami delle sub-giganti e delle giganti rosse sarebbero composti dalla sovrapposizione di isocrone di età differenti. Dal momento che la posizione di questi rami, specie di quello delle sub-giganti, si sposta in modo significativo con l’età, la strettezza di queste strutture nei diagrammi CM degli ammassi globulari vincola il periodo di formazione stellare di tali sistemi a non più del 2% dell’età dell’intero ammasso (Stetson 1993). La posizione dei rami delle sub-giganti e delle giganti rosse dipende dalla metallicità dell’ammasso: la figura 11 mostra come queste sequenze si spostino verso destra nel diagramma CM e come il ramo delle sub-giganti diventi sempre più piatto spostandosi da ammassi poveri di metallo ad ammassi ricchi di metallo.

Dunque, in definitiva, mentre i diagrammi degli ammassi aperti possono mostrare andamenti estremamente diversi, gli ammassi globulari, invece,

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.3 Stima dell’età di un ammasso aperto

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sono più o meno tutti simili tra loro: a dimostrare il fatto che, mentre i primi possono avere le età più diverse (alcuni, come l’ammasso di Orione, sono ancora in formazione, mentre altri, come M67, hanno età di diversi miliardi di anni), i globulari, viceversa, hanno tutti un’età estremamente veneranda, dell’ordine di oltre dieci miliardi di anni.

2.3 Stima dell’età di un ammasso aperto

Dal momento che la posizione del punto di turn-off scende lungo la sequenza principale, la magnitudine assoluta del punto di turn-off, MV(TO) fornisce la misura diretta dell’età dell’ammasso. Quantitativamente, Bergbusch e VandenBerg (1992) hanno trovato che MV(TO) è collegata all’età dell’ammasso, t, e alla metallicità, [Fe/H], tramite:

MV(TO)= 2.70 log(t/Gyr)+0.30[Fe/H]+1.41 (2.1)

Per estrarre l’età dell’ammasso da questa equazione, determiniamo la magnitudine apparente del punto di turn-off; poi troviamo la distanza dell’ammasso, tramite un fitting della sequenza principale, e la usiamo per calcolare la magnitudine assoluta del punto di turn-off. Infine misuriamo la metallicità dell’ammasso dagli spettri. Applicando l’equazione (2.1) agli ammassi aperti riportati in figura 9, si ottiene una stima dell’età che va da 1 Myr fino a 10 Myr.

Il vasto intervallo di età in cui sono compresi gli ammassi aperti implica che essi sono in continua formazione nel disco della Galassia. Mermilliod (1980) costruì un database degli ammassi compresi fino a 750 pc dal Sole. Si accorse che la densità degli ammassi più vecchi era più bassa di quelli giovani. Questo fatto potrebbe essere interpretato come la prova evidente che l’efficienza con cui si formano nuovi ammassi è aumentata notevolmente negli ultimi miliardi di anni. Ma è stato visto che gli ammassi aperti non sono strutture robuste e massicce: essi possono essere frammentati quando si scontrano con le nubi molecolari presenti nel disco Galattico (Spitzer 1958). Se si ritiene valida quest’ultima ipotesi, la minore presenza di ammassi vecchi può essere dovuta proprio a questi incontri. L’evidenza in favore di questa idea è arrivata dall’osservazione che gli ammassi vecchi si trovano in linea di massima a distanze molto grandi dal centro galattico e dal piano galattico, dove questo tipo di incontri sono meno probabili. Ciò ha consentito a questi ammassi vecchi di resistere abbastanza da poter essere osservati da noi [van den Bergh e McClure (1980)].

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.4 AMMASSI APERTI o Galattici: descrizione e classificazione

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Ulteriori prove di questa ipotesi sono fornite da studi delle proprietà morfologiche degli ammassi aperti in funzione dell’età. Janes e Phelps (1994) hanno trovato che mentre il 49% degli ammassi aperti vecchi nel database di Lynga (1987) sono, nella classificazione di Trumpler, di classe r (si tratti di ammassi composti da più di cento stelle. Vedi, a tale proposito, paragrafo 2.4), solo il 18% degli ammassi più giovani cade nella medesima classe. Inoltre gli ammassi più vecchi cadono nelle classi di concentrazione più elevate (I e II), mentre solo il 62% degli ammassi giovani ha gradi di concentrazione così alti. Di conseguenza lo scenario sarebbe il seguente: poiché gli ammassi più poveri e meno concentrati al centro sono meno gravitazionalmente legati, essi non riescono a superare gli incontri con le nubi molecolari e, dunque, non raggiungono età avanzate.

Una volta che l’ammasso si è dissolto dopo l’incontro, si avranno membri appartenenti ad esso che “ricorderanno” ancora la direzione in cui si stava muovendo nel momento della sua frammentazione, e continueranno a seguire orbite simili nella Galassia, anche se essi non sono più legati gravitazionalmente tra loro. Sono stati osservati, infatti, gruppi di stelle in movimento che hanno velocità e metallicità simili anche se ricoprono una vasta area del cielo.

2.4 Ammassi aperti o galattici: descrizione e classificazione

Non tutti gli agglomerati di stelle nella Via Lattea presentano una struttura definita, ma hanno bassa simmetria e perdono la caratteristica concentrazione centrale degli ammassi globulari. Per questo motivo si parla di ammassi aperti. Diversamente dagli ammassi globulari, gli ammassi aperti sono fortemente localizzati verso il piano della Via Lattea e, per tali motivo, sono anche chiamati ammassi Galattici. Il loro aspetto piuttosto frammentato ne rende più complessa l’individuazione; inoltre, essendo vicini al piano Galattico, tendono ad essere facilmente oscurati dalle polveri e dalla densità stellare. Di conseguenza, il catalogo di Messier cataloga solo 27 ammassi aperti. Tuttavia, essi sono sistemi intrinsecamente abbondanti: il database compilato da Lynga nel 1987 è composto da 1200 ammassi, che coprono solo una parte della Via Lattea. Gli ammassi aperti cadono in un largo intervallo di luminosità e morfologia, variando da ammassi di luminosità totale pari a MV ≈ -3 fino ad arrivare a sistemi di molte centinaia di stelle di MV ≈ -9. Generalmente ricoprono diametri molti ampi e, poiché osserviamo esemplari vicini, essi occupano vaste regioni di cielo e, quindi, angoli di diversi gradi. Le densità di questi sistemi sono più alte delle stelle di campo e arrivano fino a 103 stelle per pc-3. I sistemi a densità più basse vengono detti associazioni e si distinguono per la presenza di stelle di tipo inusuale.

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Capitolo 2 Gli ammassi stellari 2.4 AMMASSI APERTI o Galattici: descrizione e classificazione

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Le proprietà di un ammasso aperto possono essere riassunte nella classificazione di Trumpler (Trumpler, 1930) che specifica:

• Il grado di concentrazione con un numero romano I…IV, dove i numeri più piccoli indicano concentrazioni più elevate.

• L’intervallo di luminosità delle stelle misurato su una scala da 1 a 3, dove i numeri più piccoli indicano un intervallo di luminosità minore.

• La ricchezza, specificata con p (sistema povero, contenente meno di 50 stelle), m (sistema moderato, composto di 50/100 stelle) o r (sistema ricco, composto da più di 100 stelle).

• Si aggiunge la lettera n alla classificazione se c’è un’emissione diffusa intorno alle stelle dell’ammasso.

La presenza di un’emissione diffusa intorno alle stelle negli ammassi aperti è in aperto contrasto con la nitidezza dell’emissione degli ammassi globulari. Questa nebulosità proviene dalla luce stellare riflessa dai granelli di polvere nell’ammasso; la polvere è accompagnata da materiale gassoso e, di conseguenza, da questo fatto si ha che gli ammassi aperti contengono un mezzo interstellare piuttosto significativo. Questa osservazione delinea un’ulteriore differenza tra i due tipi di ammassi: gli ammassi aperti contengono stelle blu, luminose e questo implica che tali sistemi si siano formati più recentemente rispetto agli ammassi globulari, che risultano invece privi di alcuni tipi stellari e, di conseguenza, sono più vecchi. Il gas presente negli ammassi aperti è in realtà materiale che non è stato convertito in stelle. La formazione stellare è dunque un processo dinamico e costante in questi sistemi. Anche lo studio della loro metallicità fornisce una prova dell’origine relativamente recente; studi spettrali forniscono valori

-0.75<[Fe/H]<0.25.

Gli ammassi aperti hanno giocato un ruolo chiave nella comprensione dell’astronomia galattica. La presenza di stelle blu ha permesso l’indagine di stelle di massa grande. La distribuzione spaziale degli ammassi aperti fornisce inoltre un test della struttura del disco Galattico e, dal momento che si crede che molte delle stelle nel disco della Via Lattea siano nate negli ammassi aperti, le proprietà di questi sistemi forniscono indicazioni sull’intero disco.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.1 L’ammasso aperto NGC 6633

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Capitolo 3

L’ammasso NGC 6633

3.1 L’ammasso aperto NGC 6633

L'ammasso aperto NGC 6633 contiene circa una trentina di stelle blu, brillanti. E' abbastanza esteso, ma non molto concentrato e, proprio per questo, l'osservazione migliore deriva da uno strumento a campo largo. Nelle notti senza Luna può essere visto anche ad occhio nudo, ma il fatto che intorno a questo ammasso non ci sia niente di particolarmente brillante lo rende difficilmente scovabile. Le stelle sono di magnitudine 8 e 9, la magnitudine complessiva è di 4.6. La sua forma tende ad allungarsi da Nord-Est a Sud-Ovest con maggiore concentrazione verso la fine. E’ stata stimata un’età di 660 milioni di anni.

NGC 6633 fu scoperto dall’astronomo svizzero Phylippe Loys de Chéseaux negli anni 1745-46. Fu riscoperto in modo indipendente da Caroline Herschel il 31 luglio 1783. Suo fratello William lo incluse nel suo catalogo col nome H VIII.72. Questo oggetto è inserito in molte liste, come No.11 nella Paul Ahnert's Easy Object List, nella SAC 110 Best NGC List, ,nella John Caldwell's List,, nella RASC's Finest N.G.C. Objects Objects list, e nella Astronomical League's Deep Sky Binocular Club List.

Le coordinate astronomiche dell’ammasso sono: A.R.: 18:27:18 Declinazione: Nord 6:31:0 [epoca J(2000.0)]

Figura 12: Ammasso NGC 6633. [Osservatorio di Palomar]

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.2 Fotometria: il cielo notturno e gli effetti del seeing

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3.2 Fotometria: il cielo notturno e gli effetti del seeing

Ma come possiamo ottenere informazioni dalle stelle? La fotometria misura il flusso ricevuto da un oggetto celeste, ovvero la radiazione elettromagnetica che esso emette. La misura del flusso, messa in relazione con la distanza dell’oggetto osservato, può fornire informazioni sulla temperatura, sulle dimensioni e sulle altre proprietà fisiche delle stelle.

I corpi celesti emettono radiazione elettromagnetica. In teoria, potremmo misurare la distribuzione spettrale completa di questa radiazione. A seguire, potremmo determinare l’energia ricevuta in termini del flusso per intervallo di frequenza o di lunghezza d’onda sull’intero spettro.

In pratica, però, la misura delle distribuzioni assolute di energia risulta molto complessa, per due motivi. Per prima cosa, bisogna conoscere la risposta della strumentazione usata per le osservazioni. Inoltre, frequenze differenti di energia elettromagnetica penetrano l’atmosfera terrestre a diverse profondità. Di conseguenza, in determinati intervalli di frequenza, le osservazioni possono essere fatte solo in siti particolari o nello spazio.

Quindi, per ottenere la distribuzione assoluta di energia di un oggetto celeste, è necessario combinare i dati ottenuti da vari strumenti ma, come accade spesso, mancano quelli relativi ad un dato intervallo di frequenza.

Per molti scopi, fortunatamente, non abbiamo bisogno di trovare la distribuzione completa di energia di un oggetto; basta avere l’energia totale ricevuta da un rilevatore in un intervallo definito di frequenze, ovvero il flusso di radiazione integrato f misurato in unità di W m-2, contenuto in un intervallo di frequenze ∆ν. In particolare, possiamo usare i rivelatori come le CCD per misurare la luminosità apparente degli oggetti in varie bande nella regione dello spettro dell’ottico e dell’infrarosso. Si parla, in questo caso, di fotometria astronomica.

Esistono delle difficoltà legate alla fotometria. Per prima cosa, il cielo non è mai completamente scuro. Inoltre l’atmosfera non è del tutto trasparente. Questi due fattori influenzano notevolmente le osservazioni.

Analizziamo nel dettaglio le problematiche che si presentano.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.2.1 Il cielo notturno

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3.2.1 Il cielo notturno

La luminosità del cielo notturno senza luna è data principalmente da quattro contributi:

• Il calore prodotto da processi fotochimici nell’alta atmosfera. Questa componente ha uno spettro molto irregolare, ma è più evidente a lunghezze d’onda maggiori. La sua intensità varia da punto a punto nel cielo in modo irregolare, mentre in media aumenta dalla latitudine di 20° fino a 70° di un fattore 2. La fluttuazione in magnitudine è di circa il 20% in un intervallo di tempo di circa dieci minuti. In molti osservatori, questa componente è aumentata dalle linee di radiazione del mercurio e del sodio dalle luci stradali presenti nelle città vicine.

• La luce zodiacale, che è luce solare dispersa dal materiale particolato nel sistema solare.

• Stelle deboli e non risolte nella nostra Galassia. • Luce extragalattica diffusa, proveniente da galassie distanti,

deboli, non risolte.

Le proporzioni relative delle varie componenti elencate e l’intensità totale prodotta dalla somma di tutti i fattori dipendono dal sito osservativo e dalle longitudine e latitudine galattica ed eclittica. In linea generale, la luce zodiacale è la fonte maggiore di luminosità, seguita dalla componente termica e dalla luce extragalattica diffusa. Messi insieme, questi contributi portano sulla superficie della Terra più luce di tutte le stelle risolte, nebulose e galassie messe insieme.

Il cielo notturno è piuttosto rosso; ha un indice di colore (B-V) =0.9, simile a quello di una galassia debolmente rossa. Il cielo è più scuro di un fattore che varia con la lunghezza d’onda e la distanza dall’eclittica. Nella banda V questo fattore può essere dell’ordine di 1.5 mag, mentre il fattore aumenta al crescere della lunghezza d’onda. La fotometria effettuata dallo spazio è relativamente facile da correggere per quanto riguarda la luminosità del cielo notturno, poiché il riscaldamento dell’aria, che varia molto rapidamente nel tempo e nello spazio, non contribuisce ai dati spaziali.

La luce del cielo, a causa della sua natura fotonica, produce rumore che rende più difficile individuare il segnale stellare. Non è importante la quantità di segnale che ci perviene dalla stella, ma il rapporto tra questo ed il rumore presente. Dunque, o si aumenta il segnale (maggiore è il diametro del telescopio, maggior è l’intensità del segnale raccolto) o si diminuisce il rumore (più è scuro il cielo, più diminuisce il rumore).

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.2.2 Effetti del seeing

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I primi passi nella riduzione delle osservazioni fotometriche delle immagini sono riportati sinteticamente a seguire (in seguito verranno affrontati in maniera più dettagliata):

• Determinare la sensibilità di ogni pixel del dispositivo che forma l’immagine

• Misurare l’attenuazione delle immagine verso i bordi del campo visuale del telescopio, cioè la vignettatura del campo. Il processo di correzione di questi errori è chiamato flat-fielding, e gli errori associati a questo processo dominano solitamente l’errore finale.

Una volta effettuato il flat-fielding, bisogna sottrarre il contributo del fondo cielo dal flusso misurato in ogni regione del cielo. Questo contributo sarà in generale più grande dell’oggetto stesso. Inoltre, la luminosità del cielo nel punto in cui si trova l’ammasso non può essere misurata direttamente. Per ottenerla, è necessario estrapolarla dai dintorni del cielo vuoto. E’ dunque preferibile usare un rivelatore che copra l’area più ampia possibile di cielo, specialmente se l’oggetto celeste in questione ha un diametro angolare grande.

3.2.2 Effetti del seeing

Senza l’atmosfera, i raggi di luce proveniente dalle stelle arriverebbero al telescopio tutti paralleli l’uno all’altro ed il telescopio focalizzerebbe questi raggi in una piccola zona, detta disco di Airy (non si tratta esattamente di un punto, a causa degli effetti della diffrazione). Il passaggio dei raggi luminosi attraverso i pochi chilometri di atmosfera mescola i raggi stessi, causando la perdita del loro esatto parallelismo. La turbolenza dell’aria sopra il telescopio causa, quindi, un movimento delle immagini che provoca fluttuazioni nella fase del fronte d’onda entrante nel telescopio. Risulta un’immagine stellare più simile ad un globo di luce che non ad un’immagine netta. Nel 1970 A. Labeyrie si accorse che il pattern di luce prodotto da una stella nel fuoco di un grande telescopio è composto da puntini o macchie. Ogni macchia è un’immagine stellare indipendente. In un’esposizione permanente più lunga di una frazione di un secondo, tutte queste macchie si sovrappongono per produrre un’unica macchia luminosa. Si dice, in questo caso, che l’immagine è stata rovinata dal fenomeno del seeing, e ci si riferisce all’intero spessore della macchia preso a metà del punto massimo come il seeing. Più precisamente, gli astronomi distinguono il seeing in base al FWHM angolare, che rappresenta la dimensione angolare dell’immagine stellare a livello della metà del picco. La tecnica dell’interferometria a macchie prevede che si ottengano un gran numero di esposizioni brevi del campo. Un’esposizione individuale è così breve che il pattern a macchie non si muove in modo

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.3 Fotometria: aspetti pratici

30

apprezzabile e, quindi, contiene informazioni sulla misura angolare della stella. D’altra parte, anche quando la stella rappresentata è poco brillante, il numero di fotoni in un’esposizione individuale non è grande e, di conseguenza, la qualità dell’immagine ottenuta è molto bassa. Comunque, mettendo insieme informazioni di un gran numero di esposizioni, si compensa la bassa qualità delle singole immagini.

Uno degli effetti del seeing è quello di influire sulla fotometria di oggetti stellari. Il seeing è caratterizzato dalla point-spread function (PSF) P(d) che fornisce la densità di probabilità che un fotone colpisca il dispositivo che forma l’immagine nel punto che è spostato del vettore d rispetto al punto che sarebbe colpito in assenza di seeing. Se, in assenza di seeing, la luminosità superficiale nella posizione R’ nel rivelatore è It (R’), allora la luminosità misurata nel punto R sarà:

*$++(,) = / 01,23(, − ,2)*"(,′) (3.1)

In pratica la PSF rappresenta la forma di un’immagine CCD di una sorgente di luce puntiforme. La PSF ideale dovrebbe avere simmetria circolare e può essere rappresentata in un diagramma come il flusso rispetto al raggio di una stella. La forma di una PSF reale trattata dal seeing è più complessa e può essere approssimata da una zona centrale di tipo gaussiano e da un grande alone che segue una legge di potenza. La dimensione angolare è caratterizzata dalla FWHM (Full Width at Half Maximum) che rappresenta il diametro compreso tra i punti dove il flusso decade a metà rispetto al suo valore massimo.

3.3 Fotometria: aspetti pratici

La misura del flusso di una stella è dunque influenzata da diversi fattori che non permettono la cosiddetta fotometria assoluta. Potrebbe sembrare, in prima istanza, che la fotometria risulti piuttosto semplice: si utilizza un sensore (nello specifico una CCD) con un supporto di filtri disposto anteriormente, che seleziona la banda spettrale legata all’intervallo di lunghezze d’onda della stella di cui vogliamo rilevare il flusso. Si potrebbe pensare di puntare il telescopio in direzione della stella, misurare il numero di unità (fotoni) che il sensore registra ogni secondo, poi trovare l’energia corrispondente alle unità registrate e ricavare l’energia ricevuta dalla stella. Ma risulta arduo, se non impossibile, risalire al flusso di una stella direttamente dai conteggi di unità del sensore.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.3 Fotometria: aspetti pratici

31

La prima ovvia complicazione è data dal fatto che il sensore non rivela realmente ogni singolo fotone, di conseguenza è necessario introdurre una correzione per la misura di fotoni. Se si considera un telescopio riflettore, bisogna considerare che l’area di raccolta della luce non è data solo dallo specchio, ma anche lo specchio secondario e la relativa struttura di sostegno bloccano la luce. Inoltre, dobbiamo ricordare che gli specchi dei telescopi sono esposti agli agenti atmosferici e che ogni vetro del sistema ottico assorbe una certa quantità di luce, in relazione alla lunghezza d’onda. Infine, l’estinzione atmosferica crea ulteriori complicazioni.

Come possiamo allora con buona affidabilità misurare il flusso di una stella? L’idea chiave consiste nel misurare il flusso dell’oggetto incognito unitamente al flusso di un gruppo di stelle (le cosiddette stelle

standard), il cui flusso è già stato accuratamente misurato. Misurando il nostro oggetto nonché la stella standard, possiamo esprimere il flusso della nostra stella in funzione del flusso di quest’ultima. Molti dei fattori citati sopra, dai problemi legati alle ottiche fino all’efficienza quantica del CCD, non alterano il rapporto tra il flusso incognito della stella e quello delle stelle standard, dato che intervengono in misura uguale su di essi.

Dal momento che l’atmosfera assorbe parte dei fotoni, e un’altra parte di essi non viene rivelata dai telescopi, non misuriamo in realtà direttamente il flusso fν della stella. Misuriamo invece:

5 ≡ / 56�6�6,7089� (3.2)

dove Tν è la trasmissione dell’atmosfera, Fν è la trasmissione del filtro utilizzato per restringersi ad un particolare intervallo di frequenze e Rν è l’efficienza del telescopio, ovvero Rν = energia rivelata/energia incidente.

1) La trasmissione dell’atmosfera segue la legge �6 ∝ �;$, dove < è proporzionale alla densità della colonna d’aria lungo la linea di osservazione. Ovviamente è minore allo zenith e aumenta all’orizzonte.

Si definisce:

massa d’aria ≡ </<� dove <� è il valore di < allo zenith.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.4 Rivelatori CCD

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2) Per un’atmosfera parallela al piano, la massa d’aria = sec z, dove z è la distanza dalla zenith dell’oggetto osservato. In definitiva l’estinzione atmosferica produce un’attenuazione della luce stellare in accordo alla legge (3.3).

m(z)=k secz + cost (3.3)

dove k è una costante e m(z) è la magnitudine stellare osservata alla distanza dallo zenith z.

3) La trasmissione del filtro Fν si può determinare facilmente, scegliendola a piacere per misurare l’energia contenuta in un intervallo di lunghezze d’onda definite. Molti sistemi fotometrici usano differenti filtri, e bisogna sempre specificare quale banda si sta utilizzando per il filtro quando si fornisce un valore di magnitudine apparente. Un grafico di Fν e della lunghezza d’onda sarà caratterizzato da una gobba, ovvero una lunghezza d’onda effettiva o centrale =��� , e uno spessore laterale.

4) L’efficienza strumentale ,6 è composta dall’efficienza del sistema ottico del telescopio e la sensibilità del ricevitore di fotoni stesso. Data la difficoltà della determinazione di questi due fattori, è necessario calibrare il sistema misurando la sua risposta ad una sorgente di luminosità nota. In generale, si tratta di una stella standard, la cui luminosità è molto difficile da determinare. Per tale motivo conosciamo la luminosità relativa delle stelle molto meglio di quella assoluta.

3.4 Rivelatori CCD

Un rivelatore digitale rivela fotoni e restituisce in uscita un numero linearmente proporzionale al numero di fotoni incidenti sulla superficie dello stesso. Un CCD (Dispositivo ad accoppiamento di carica) è un rivelatore che può registrare un’immagine bidimensionale. E’ composto da un chip di silicio sensibile alla luce, diviso in un gran numero di parti indipendenti, chiamate pixel. Il CCD rivela quanta luce cade sui pixel e fornisce un’immagine digitale, che consiste di una matrice di numeri, uno per pixel. Ciascun numero è legato alla quantità di luce che incide su quel pixel. Esiste una quantità che tiene conto dell’efficienza del CCD, la cosiddetta efficienza quantica. Essa indica la frazione di fotoni incidenti, effettivamente rivelati dal CCD.

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Capitolo 3

3.5 3.5.1

3.5 Lo studio sperimentale

Il lavoro sperimentale nell’acquisizione di immagini al telescopio delle stelle appartenenti all’ammasso NGC 6633diagrammi colore-magnitudine ottenuti hanno permesso della sequenza principale dell’ammasso e del ramo delle giganti rosse.risultati ottenuti sono stati messi a confronto con quelli pubblicati nell’articolo “Membership, metallicity and lithium abundances” di Jeffries, Totten, Harmer e Deldella metallicità e delle caratteristiche peculiari di NGC 6633.

3.5.1 La strumentazione dell’

Figura 13: Osservatorio dell’Università degli Studi di Salerno

Le osservazioni astronomiche sono state effettuate presso ldel Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di SalernoL’Osservatorio ha le seguenti (Lat. 40°46'30''N, Lon. 14°47'20''E

La cupola (Sirius University Observatory

Il telescopio è un CELESTRON C

La montatura permette di avere una precisioneal grado.

La CCD è una SBIG ST14’x11’, grazie ad un riduttore focale a f/7.9.focheggiatore elettronicoJohnson, dei filtri O-spettroscopia.

Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5 Lo studio sperimentale di NGC 6633

3.5.1 La strumentazione dell’Osservatorio

33

Lo studio sperimentale di NGC 6633

Il lavoro sperimentale che abbiamo condotto è consistitonell’acquisizione di immagini al telescopio delle stelle appartenenti

NGC 6633. Tramite fotometria in filtro V e in filtro B, i magnitudine ottenuti hanno permesso l’individuazione

della sequenza principale dell’ammasso e del ramo delle giganti rosse.risultati ottenuti sono stati messi a confronto con quelli pubblicati nell’articolo “Membership, metallicity and lithium abundances” di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis. L’articolo, pubblicato nel 2002, è uno studio della metallicità e delle caratteristiche peculiari di NGC 6633.

La strumentazione dell’Osservatorio

Osservatorio dell’Università degli Studi di Salerno

astronomiche sono state effettuate presso ldel Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di SalernoL’Osservatorio ha le seguenti

Lon. 14°47'20''E).

(Sirius University Observatory) ha un diametro di 6.7 m.

è un CELESTRON C-14 (diametro 0.35 m, f/11).

permette di avere una precisione di puntamento

G ST-2000XM con 1600x1200 pixel. Il campo

x11’, grazie ad un riduttore focale a f/7.9. La CCD è dotatafocheggiatore elettronico e di un portafiltri con un sistema UBVRI

-III e H-alpha, e di un reticolo di diffrazione per la

che abbiamo condotto è consistito nell’acquisizione di immagini al telescopio delle stelle appartenenti

ramite fotometria in filtro V e in filtro B, i l’individuazione

della sequenza principale dell’ammasso e del ramo delle giganti rosse. I risultati ottenuti sono stati messi a confronto con quelli pubblicati nell’articolo “Membership, metallicity and lithium abundances” di Jeffries,

iyannis. L’articolo, pubblicato nel 2002, è uno studio della metallicità e delle caratteristiche peculiari di NGC 6633.

Osservatorio dell’Università degli Studi di Salerno

astronomiche sono state effettuate presso l’Osservatorio del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Salerno.

coordinate:

) ha un diametro di 6.7 m.

14 (diametro 0.35 m, f/11).

di puntamento inferiore

campo visivo è La CCD è dotata di un

filtri con un sistema UBVRI alpha, e di un reticolo di diffrazione per la

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.2 Fasi del lavoro sperimentale

3.5.3 Acquisizione dati

34

3.5.2 Fasi del lavoro sperimentale

Le fasi fondamentali del nostro lavoro possono essere schematizzate come segue:

1. Acquisizione dati

• Riduzione • Allineamento e media delle immagini • Fotometria

2. Analisi

• Matching stellare • Grafico CMD (grafico colore-magnitudine) con calibrazione sulla

stella SAO 123493 • Isocrona • Individuazione del ramo delle sub-giganti • Stima dell’errore

3.5.3 Acquisizione dati

Analizziamo le varie immagini (o frame) che si acquisiscono al telescopio e i relativi utilizzi.

Light frame (fotogramma dati)

Si tratta dell’immagine dell’oggetto che riprendiamo. Dopo aver puntato il telescopio nella direzione di interesse, si apre l’otturatore per consentire alla luce di cadere sul CCD. Dopo un certo tempo di posa, si effettua la lettura. Il CCD funziona sul principio dell’integrazione; il segnale si accumula con il tempo. Il tempo di integrazione (o di posa) è controllato da un otturatore. L’obiettivo è quello di ottenere un’immagine della sorgente con il miglior rapporto segnale rumore (S/N) possibile. Poiché il segnale è composto di fotoni, c’è una quantità di rumore associata al conteggio stesso dei fotoni, che è impossibile evitare del tutto. Raccogliendo un numero maggiore di fotoni, possiamo migliorare il rapporto S/N, sapendo che il segnale varia linearmente con il tempo, il rumore varia come la radice quadrata del tempo.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.3 Acquisizione dati

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Dark frame (fotogramma di buio)

Il light frame non è ancora il numero effettivo di fotoni incidenti su ciascun pixel. Bisogna sottrarre una componente di offset (bias) e una componente di dark current. Vediamo brevemente di cosa si tratta. Se eseguiamo un’integrazione del CCD per un certo tempo senza che la luce lo colpisca, ci sarà un rumore associato a quel segnale causato dall’eccitazione termica degli elettroni nel CCD. Questo è chiamato il segnale di buio o semplicemente dark, che va sottratto all’immagine.

Flat frame (fotogramma piatto)

Se il CCD viene illuminato in maniera uniforme, non si genera lo stesso segnale su ogni pixel. Disuniformità sono causate da una leggera differenza nelle dimensioni di ogni pixel e da piccole variazioni dello spessore del silicio lungo il chip. Bisogna tener conto anche di granelli di polvere e della vignettatura. Per correggere queste variazioni è necessario esporre il CCD ad una luce uniforme e vedere come si presenta il segnale (e di conseguenza l’immagine). Il fotogramma, chiamato flat, viene quindi utilizzato per correggere queste disuniformità.

Bias frame (fotogramma di bias)

Se leggiamo il CCD senza alcuna integrazione, ovvero considerando un’esposizione con zero secondi di posa, ci sarà un segnale di bias, dovuto al rumore elettronico del sensore. Anche questo segnale deve essere misurato e sottratto alle immagini che registriamo.

Figura 14: Andamento dei vari tipi di segnale

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.3 Acquisizione dati

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Le fasi essenziali nel trattare un’immagine ripresa con il CCD sono le seguenti:

1) Si prende un certo numero di light frame con ciascun filtro.

2) Si prende un certo numero di dark frame (con lo stesso tempo di integrazione utilizzato per gli oggetti). Facciamo la mediana pixel per pixel dei dark frame. Otteniamo il master dark frame.

3) Si prendono dei flat con ciascun filtro, puntando il telescopio sul cielo del crepuscolo. Ma quanto deve essere lungo il tempo d'integrazione per ottenere un buon flat-field frame? Sicuramente dobbiamo evitare di saturare il sensore. Facciamo la mediana di un certo numero di flat -field frame. Otteniamo il master flat-field frame. I dark devono essere sottratti anche ai flat, se la corrente di buio non è trascurabile nell’intervallo del tempo di posa. In questo caso, i dark associati ai flat sono detti darkflat e la loro media è detta masterdark dei flat. A seguire, sottraiamo il masterdark dei flat al masterflat. Il livello nel segnale dei flat è arbitrario, dipende da quanto era luminoso il cielo nel momento in cui sono stati acquisiti. Abbiamo bisogno delle informazioni di differenze di segnale attraverso il chip. Quindi normalizziamo il segnale in modo tale che il segnale medio in ciascun pixel sia 1. Ciò si ottiene dividendo per il segnale medio.

4) Si sottrae il masterdark dalle immagini dell’oggetto osservato. Quindi si divide per il flat normalizzato.

I fotogrammi acquisiti, nel nostro caso, sono elencati di seguito:

• N° 5 fotogrammi raw (light frame) dell’ammasso in filtro V con tempi di posa di 1 minuto ciascuno

• N° 5 fotogrammi raw (light frame) dell’ammasso in filtro B con tempi di posa di 1 minuto ciascuno

• N° 5 fotogrammi di dark con tempi di posa di 1 minuto ciascuno • N° 5 fotogrammi flat in filtro V • N° 5 fotogrammi flat in filtro B • N° 5 fotogrammi di darkflat

1) I fotogrammi di dark sono stati sottratti ai fotogrammi raw. L’operazione è stata ripetuta sia per il filtro V che per quello B.

,>?@ = ,?@ − A?@

dove ,>?@ è l’immagine finale dell’ammasso ottenuta sottraendo il rumore.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.3 Acquisizione dati

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2) Ai fotogrammi di flat sono stati sottratti i darkflat. L’operazione è stata ripetuta sia in filtro V che in filtro B.

�>?@ = �?@ − A�?@

dove �>?@ è il flat a cui è stato sottratto il rumore.

3) Il passaggio successivo è stato quello di normalizzare il segnale di flat:

�>?@⟨�?@⟩

dove ⟨�?@⟩ è il segnale medio di flat.

4) L’immagine finale del nostro oggetto sarà dunque l’immagine raw, ottenuta sottraendo il rumore di dark divisa per il flat normalizzato:

D?@ =,>?@�>?@⟨�>?@⟩

dove D?@ è l’immagine finale del nostro oggetto.

A questo punto dell’elaborazione, abbiamo ottenuto, in definitiva, N°5 immagini dell’ammasso in filtro V e N°5 immagini in filtro B. Si è fatta una media delle cinque immagini, dopo averle allineate. La composizione delle immagini in filtro B e di quelle in filtro V ha fornito un’immagine a colori dell’ammasso, riportata in figura 15.

Figura 15: Ammasso NGC 6633

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.4 Analisi dati

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La fotometria di apertura è stata fatta col programma CCDSoft. Essa consiste nel sommare il valore degli ADU dei pixel che si trovano all’interno di un cerchio di raggio fissato, centrato su ciascuna stella. Il raggio di apertura è stato scelto uguale alla FWHM delle stelle dell’immagine, che risultava essere pari a 10 pixel. Questa scelta consente di massimizzare il rapporto segnale-rumore. Il CCDSoft ha generato un file di testo .SRC per ciascuna delle due immagini. Ogni file contiene una tabella, nella quale ogni riga corrisponde ad una stella. Per ogni stella il file riporta le coordinate (x,y), la magnitudine strumentale e la FWHM, oltre ad altre informazioni che non utilizziamo.

L’elaborazione successiva è stata fatta utilizzando il programma Mathematica. I file .SRC ottenuti per il filtro V e per il filtro B sono stati importati dal programma. Siamo arrivati alla parte vera e propria dell’analisi dati.

3.5.4 Analisi dati

Per costruire il diagramma colore-magnitudine è stato necessario trovare la corrispondenza tra le stelle di un file .SRC e quelle dell’altro file .SRC. Per prima cosa, abbiamo individuato la stella più luminosa, in ciascuno dei due file, riscontrando una differenza tra le coordinate (x,y). Questo offset è stato sottratto alle coordinate di tutte le stelle del secondo file .SRC, al fine di riallineare le due immagini. A questo punto, per ogni stella del primo file, abbiamo cercato nel secondo file la stella che distasse di meno da quella del primo, in modo da ottenere la corrispondenza tra tutte le stelle del primo e del secondo file (matching

stellare). Per ogni stella abbiamo ottenuto, quindi, le magnitudini strumentali nei filtri B e V. Per calibrare le nostre magnitudini abbiamo utilizzato la stella di riferimento SAO 123493, le cui magnitudini apparenti sono mV=8.29 e mB=8.52. Questo ci ha permesso di rappresentare tutte le stelle nel piano [B-V, V].

Il passo successivo è stato quello di calcolare l’isocrona, per poterla integrare nel grafico CMD e verificare l’andamento dei dati ottenuti. Il programma di riferimento utilizzato per il calcolo è: IAC-STAR synthetic

color-magnitudine diagram computation alghoritm.

I parametri utilizzati per il calcolo sono presi dai valori riportati nell’articolo, riguardanti l’ammasso NGC 6633:

metallicità Z= 0.02, età dell’ammasso = 600 Myr

Il grafico finale CMD completo di isocrona è riportato in figura 16.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.4 Analisi dati

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Figura 16: Grafico sperimentale CMD completo di isocrona

Figura 17: Grafico CMD completo di isocrona ottenuto da Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis nel loro studio su NGC 6633. Gli oggetti di cui è stata fatta la spettroscopia sono rappresentati da quadrati, quelli che sono considerati appartenere all’ammasso sono rappresentati da quadrati riempiti. La linea rappresenta un’isocrona arrossata.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.5.4 Analisi dati

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Osservando la figura 16, si evince la presenza di una stella del ramo delle sub-giganti. La stella in questione è SAO 123496, di classe spettrale A2, di mV =8.21 e mB = 8.95.

Riportiamo in figura 18 un’immagine dell’ammasso che evidenzia le stelle utilizzate nel diagramma colore-magnitudine ottenuto.

Figura 18: Immagine a colori dell’ammasso NGC 6633 che mette in evidenza le stelle considerate per la costruzione del diagramma CM ottenuto sperimentalmente. La freccia in giallo evidenzia la sub-gigante SAO 123496, quella in rosso la stella SAO 123493, usata per la calibrazione.

In figura 19, è riportato un grafico dell’errore poissoniano associato al diagramma CM ottenuto: è rappresentato sia l’errore in banda V che quello in banda B.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.6 L’articolo di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis

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Figura 19: Errore associato al diagramma CM in banda V in banda B

3.6 L’articolo di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis

Gli autori hanno effettuato osservazioni spettroscopiche e fotometriche di NGC 6633.

Le osservazioni spettroscopiche riguardano stelle di tipo spettrale F, G e K dell’ammasso NGC 6633, ovvero stelle di tipo solare che, negli ammassi aperti, sono importanti per lo studio dell’evoluzione e delle scale di tempo di molti fenomeni fisici. Ad esempio, gli ammassi delle Pleiadi e delle Iadi sono stati ampiamente studiati e hanno fornito informazioni determinanti sull’emissione di raggi X e le abbondanze superficiali di litio. Gli autori, utilizzando anche i risultati di un precedente articolo di Jeffries (1997), hanno ritenuto che lo studio di NGC 6633, un ammasso con età molto vicina alle Pleiadi e alle Iadi, potesse fornire informazioni importanti, visto che ogni ammasso ha un suo proprio momento angolare, che ne influenza il comportamento successivo, e differenti abbondanze di elementi chimici.

Dagli spettri hanno individuato una decina di stelle di tipo solare, incluso un sistema binario a corto periodo. Sono state considerate anche le circa 30 stelle studiate da Jeffries in precedenza.

Studi di NGC 6633 hanno stimato la metallicità dell’ammasso, risultando inferiore a quella di altri ammassi di riferimento della stessa età. Schmidt (1976) ha stimato anche una distanza di 348 pc, Cameron (1985) di 336 pc. Il catalogo Lynga (1987) utilizza come valori di riferimento medie

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.6 L’articolo di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis

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pesate di differenti studi, fornendo in definitiva [M/H] = -0.11, un’età di 630 Myr, una distanza di 312 pc e un valore E(B-V)=0.17.

La fotometria dalla quale hanno selezionato le stelle dell’ammasso è presa dallo studio descritto da Jeffries (1997) e Harmer (2001). Si tratta di esposizioni brevi (10 s) e lunghe (200 s) nei filtri B, V, I.

Entrando nel merito del lavoro, il diagramma [B-V, V] è stato fatto su stelle che vanno da V=10.5 (la saturazione nelle esposizioni ha limitato la fotometria a tale valore) fino a V≈20, utilizzando un algoritmo di Naylor (1998) che genera diagrammi colore-magnitudine degli ammassi aperti.

Il diagramma riportato in figura 17 utilizza un’isocrona arrossata e la scelta dei campioni spettroscopici è stata fatta anche in base alla distanza dalla sequenza principale di riferimento: si è scelto come criterio una distanza pari a ±0.5 in V. Il criterio non è stato selettivo in maniera assoluta, specie nelle regioni limite del diagramma, dove molte stelle sono chiaramente fuori dalla sequenza principale. In realtà, c’è un’unica stella (J104) che risulta essere più di una magnitudine al di fuori della sequenza principale.

Gli autori hanno selezionato le stelle di NGC6633 scegliendo quelle che hanno una velocità radiale simile alla velocità media dell’intero ammasso. Il criterio di selezione è stato il seguente: la velocità radiale media pesata di una stella deve rientrare entro un intervallo di 2σ della velocità media dell’ammasso, dove σ è la somma quadratica dell’errore sulla velocità radiale e della dispersione prevista di ≈1 km s-1 di un ammasso aperto. Dunque, in pratica, sono state scelte stelle che rientrassero in un intervallo di ±5 km s-1 rispetto alla velocità media dell’ammasso, stimata essere pari a -28 km s-1. Gli autori dichiarano di non aver certamente osservato tutte le possibili stelle dell’ammasso, almeno per V>15; sicuramente per V<18 il catalogo fotometrico è completo al 97%. L’incompletezza non è di per sé un problema, lo è maggiormente il fatto di includere stelle non appartenenti all’ammasso, poiché la presenza di taluni oggetti esterni può influenzare la stima della presenza di litio. La contaminazione purtroppo resta un problema, poiché il moto proprio molto ridotto dell’ammasso ne rende difficile una valutazione più precisa che potrebbe essere di aiuto. Una valutazione più accurata delle velocità radiali permetterebbe, inoltre, una scrematura maggiore dei campioni spettroscopici, ma, a causa della dispersione intrinseca dell’ammasso, si otterrebbe, di contro, anche l’eliminazione di stelle appartenenti ad esso. Gli autori hanno verificato che la metallicità è inferiore a quella di ammassi di età simile, come le Iadi e il Presepe. Ne è stata fatta sia una stima spettroscopica che una fotometrica. La prima ha fornito un valore di [Fe/H]=-0.096±0.081.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.6 L’articolo di Jeffries, Totten, Harmer e Deliyannis

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La stima fotometrica della metallicità di NGC 6633 è fortemente legata all’arrossamento. Il fattore correttivo di arrossamento E(B-V) è stato stimato essere 0.165 ± 0.011, dove 0.011 è una stima dell’errore associato al colore intrinseco di ogni stella dell’ammasso.

Utilizzando tale valore, si è ottenuto [Fe/H]=-0.04±0.10. Vale la pena spiegare brevemente come è stata fatta la correzione sull’arrossamento delle stelle.

Sono state utilizzate le relazioni trovate in studi precedenti sull’ammasso:

E(B-V) =E0 (B-V) [1-0.08 (B-V0)] (3.4)

E(F;GH)E(I;F) = J��1 + 0.06(P − Q)� + 0.014S(P − Q)� (3.5)

dove (B-V)0 è il colore intrinseco, E0 (B-V) è l’eccesso di colore per una stella con (B-V)0=0 e C0 è il valore relativo ad una stella con (B-V)0=0

I valori utilizzati sono stati i seguenti:

E(V-IC) è calcolato dalla (3.5)

C0 =1.29 ± 0.04

(B-V)0≈0.6

Avendo determinato l’arrossamento dell’ammasso e la sua metallicità, gli autori hanno infine stimato la distanza tramite un fitting di sequenza principale. Il modello di sequenza principale di NGC 6633 è stato generato utilizzando i calcoli teorici di Siess, Dufour & Forestini (2000), assumendo un età dell’ammasso di 600 Myr. Il modello empirico di riferimento è quello delle Pleiadi, dunque va sottolineato che la distanza calcolata è strettamente relativa ad una distanza assunta per le Pleiadi. Dunque, in definitiva, utilizzando la metallicità fotometrica (-0.04± 0.10), la distanza di NGC 6633, relativa ad una distanza delle Pleiadi di 118 pc, è di (358 ± 40) pc.

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Capitolo 3 L’ammasso aperto NGC 6633 3.7 Conclusioni

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3.7 Conclusioni

Il lavoro sperimentale risulta essere in buon accordo con i risultati dell’articolo, come si evince dalle figure 16 e 17. L’intervallo di magnitudini in cui ricadono le stelle osservate è diverso nei due casi: 8<V<16 nel nostro caso, 10<V<20 nel caso dell’articolo. Gli autori hanno avuto la possibilità di arrivare a magnitudini più spinte, essendo questo ovviamente legato all’utilizzo di siti osservativi migliori e di ottiche più avanzate.

Il diagramma colore-magnitudine ottenuto rispecchia piuttosto bene l’isocrona. Esiste un problema legato alla contaminazione dell’ammasso. Purtroppo, la regione di cielo in cui si trova NGC 6633 è molto affollata. La situazione è evidente in entrambi i grafici, maggiormente nel caso dell’articolo. La figura 17, infatti, rende evidente la presenza di molte stelle non appartenenti all’ammasso, specie nella parte inferiore del grafico. Sicuramente, il guadagno in magnitudini degli autori è stato contrastato dalla presenza di una maggiore contaminazione di materiale stellare. Se si osserva la figura 16, si evince che, anche nel nostro caso, a magnitudini comprese nell’intervallo tra 14 e 16, c’è una presenza piuttosto forte di stelle non appartenenti all’ammasso.

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Appendici A1 La magnitudine

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Appendici

A1 La magnitudine

La luminosità apparente delle stelle (flusso di energia o energia ricevuta nell’unità di tempo e per unità di area) si misura in termini della loro magnitudine apparente. Gli astronomi greci divisero le stelle in sei gruppi di magnitudini equidistanti tra loro in luminosità. Le stelle più luminose erano di prima magnitudine, mentre quelle più difficili da vedere ad occhio nudo erano di sesta magnitudine. Studi successivi hanno evidenziato il fatto che differenze uguali di luminosità percepite dall’occhio corrispondono a uguali rapporti di energia radiante; questo vuol dire che la risposta dell’occhio allo stimolo della luce è di tipo logaritmico rispetto all’intensità. Quindi, se m1 e m2 denotano le magnitudini assegnate alle stelle con flussi di energia f1 e f2, si avrà:

m1 –m2 = -k log10 �� �� (1.1 A)

dove il segno meno permette di associare valori numerici più piccoli alle stelle più luminose.

Studi fotometrici nel diciannovesimo secolo mostrarono che stelle di sesta magnitudine sono circa cento volte più deboli di quelle di prima magnitudine. Dunque, seguendo la proposta di N. Pogson, si definì un sistema di magnitudini in cui una differenza di 5 magnitudini corrisponde esattamente a un fattore di cento nel rapporto dei flussi di radiazione. Quindi, poiché f1/f2 = 100, m2-m1=5. Quindi, il valore di k dell’equazione precedente è pari a 2.5 e si ottiene, in definitiva:

m1 –m2 = -2.5 log10 �� �� (1.2 A)

oppure

� �= 10;�.�(T ;T) (1.3 A)

E’ da notare che m1-m2 = 0.921 loge (f2/f1), così che la scala definita dagli antichi Greci era essenzialmente basata sul logaritmo naturale. In particolare, se (f1/f2) = 1+∆f è vicina all’unità (∆f <<1), si avrà:

∆m≡m2 –m1 ≈1.086 ∆f (1.4 A)

cioè la differenza di magnitudine tra due oggetti (se piccola) è uguale alla piccola differenza delle loro luminosità relative.

Segue dall’equazione (1.3 A) che la differenza di una magnitudine corrisponde al rapporto tra i flussi di 100.4 ≈2.512, e 2.5 magnitudini corrispondono a un rapporto tra i flussi di 10.

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Appendici A2 Il colore

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Il flusso di energia che riceviamo sulla Terra da un oggetto celeste dipende sia dalla sua luminosità intrinseca che dalla sua distanza. Se F è il flusso ricevuto quando l’oggetto è a distanza D, il flusso f che riceveremmo se l’oggetto fosse a distanza d è dato dalla legge (1.5 A).

5 = �UV�1� (1.5 A)

Ovviamente, più lontano è un oggetto più ci apparirà poco luminoso e, per ottenere informazioni sulla sua luminosità intrinseca, dobbiamo tener conto delle differenti distanze che ci separano dagli oggetti in questione. Definiamo quindi la magnitudine assoluta M come la magnitudine apparente che un oggetto dovrebbe avere se fosse localizzato ad una distanza standard D. Dalle equazioni (1.2 A) e (1.5 A), otteniamo:

W −X =−2.5��� ���� = 5��� �VU� (1.6 A)

La quantità (m-M) è chiamata modulo di distanza dell’oggetto. Se conosciamo m e d, riusciamo ad ottenere immediatamente M dall’equazione (1.6 A). Viceversa, se conosciamo m e M, ricaviamo d.

A2 Il colore

Supponiamo di avere un sistema fotometrico con diverse bande di filtri a lunghezze d’onda differenti. Prendendo la differenza in magnitudine misurata in due bande differenti, possiamo formare un colore, o indice di colore.

Il sistema fotometrico usato oggi è basato sul sistema UBV (Ultravioletto- Blu-Visibile) di Johnson & Morgan (1953)

Le lettere corrispondono a diversi filtri:

U per ultravioletto, B per blu, V per visuale

Le lunghezze d’onda centrali dei filtri sono, pressappoco, le seguenti: U: 3600 Angstrom B : 4400 Angstrom V: 5500 Angstrom La banda passante è di circa 1000 A per ciascun filtro nel sistema a banda larga UBV. Ad esempio, il filtro B lascia passare la luce compresa tra 3900 Angstrom e 4900 Angstrom. Un altro sistema usato è quello a cinque colori, il sistema UBVRI (dove R sta per rosso e I sta per infrarosso).

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Appendici A2 Il colore

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Si definiscono le magnitudini nella banda di ciascun filtro. Ad esempio mV

(o anche solo V) rappresenta la magnitudine con il filtro V. Il colore di un oggetto è correlato alla variazione del flusso in funzione della lunghezza d’onda. Usando filtri a banda larga, come gli UBV, si definisce l’indice di colore come la differenza tra le magnitudini misurate in due diversi colori. In pratica: B-V= mB-mV (2.1 A)

definisce l’indice di colore come B-V. Quale informazione ci dà B-V circa l’indice di colore di un oggetto? Dalla definizione (1.1A), si vede che una differenza di magnitudini corrisponde ad un rapporto di flusso. Il rapporto è rappresentato dal flusso nella banda B rispetto a quello nella banda V per lo stesso oggetto, invece di due oggetti distinti: B-V =mB-mV= -2.5 log10 (fB/fV) +k (2.2 A) dove fB è la media del flusso con il filtro B e fV la media del flusso con il filtro V, mentre k è una costante, che compare nell’equazione per il modo in cui è stato definito il punto di zero del sistema dei colori. Si potrebbe pensare che se si ha B-V = 0,00, allora fB = fV, ma non è questa la definizione data. Storicamente, gli astronomi hanno selezionato un gruppo di stelle di tipo A (inclusa Vega), ed hanno definito il colore medio di queste stelle in modo da avere tutti i colori uguali a 0,00. Per una stella A, fB non è mai uguale a fV, in tal modo risulta necessario introdurre una costante non nulla, nella equazione (2.2 A), per far sì che il colore risulti pari a 0,00. Così il colore B - V di Vega risulta 0,00, praticamente per definizione. Il colore B-V del Sole, più rosso di Vega, è circa 0,67. Valori di B-V inferiori a 0,00 indicano semplicemente oggetti più blu di Vega.

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Bibliografia

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Ringraziamenti

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Ringraziamenti “...a volte deve pur succedere che nell’avventura d’un libro riuscito o nell’esistenza d’uno scrittore fortunato, ci sia stato qualcuno, un poco in disparte, che non lascia passare la frase inesatta o debole che per stanchezza vorremmo lasciare; qualcuno capace di rileggere con noi fino a venti volte, se è necessario, una pagina incerta [...]; qualcuno che ci sostiene, ci approva, alle volte ci contraddice; che partecipa con lo stesso fervore alle gioie dell’arte ed a quelle della vita [...]; e non è né la nostra ombra né il nostro riflesso e nemmeno il nostro complemento, ma se stesso; e ci lascia una libertà divina ma, al tempo stesso, ci costringe ad essere pienamente ciò che siamo.” (Marguerite Yourcenar)

Durante questo percorso di studi così affascinante e intenso, ma anche pieno di difficoltà e qualche amarezza, è stato fondamentale il supporto che ho ricevuto dalle persone vicine a me.

Potrei dire che la caparbietà e la mia voglia di andare avanti, nonostante tutto, siano stati essenziali per arrivare alla fine di un percorso non semplice. Non nego che a volte lo sconforto e la stanchezza siano stati acerrimi nemici contro i quali ho dovuto combattere. Anzi, a dir la verità, queste “battaglie mentali” più volte mi hanno vista perdente.

Due forti motivazioni mi hanno permesso di andare avanti. In primis, l’amore indiscusso per la conoscenza: non potrei farne a meno, sarebbe come negare una parte di me stessa.

Secondo motivo, ma non meno importante, la voglia di non deludere chi ha creduto in me sin dall’inizio. Ho sempre pensato che se non ci sentiamo compresi ed amati, difficilmente possiamo essere quello che siamo.

E qui potrei iniziare con un lungo elenco. Ma vale la pena fare le cose per bene.

Grazie al Professor Bozza per la disponibilità immensa che mi ha dato e per la “divina libertà” di espressione che mi ha lasciato. Ha rispecchiato in pieno, lungo tutto il cammino di questo lavoro, l’idea che ho del Fisico ideale. Competenza, creatività e...passione, passione e ancora passione.

Un grazie particolare va ai miei genitori: hanno creduto in me e mi hanno fatta sentire costantemente una persona migliore, probabilmente anche molto più di quello che, in realtà, io sia.

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Ringraziamenti

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Grazie a mia sorella, sempre discreta, mi ha fatto sentire la sua presenza nei momenti più difficili.

Grazie di cuore a Samantha, Amica di infanzia, Amica oggi, Amica sempre. Questo percorso di studi condiviso con lei è stato per me una fonte costante di crescita e confronto. Il sostegno, la comprensione, la presenza...Cose impagabili che solo un’Amicizia come la sua avrebbe potuto darmi.

Un grazie immenso va a Simona: senza il suo sostegno, la sua fiducia incondizionata, il suo sentirmi dire sempre, anche nei momenti più bui, “sono fiera di te”, senza tutto ciò, oggi non sarei quella che sono. Le mie insicurezze e fragilità sono ancora lì, ma adesso, grazie a lei, ho più forza per affrontarle.

Grazie alle mie Amiche, sostegno impagabile in molti momenti.

Infine, grazie ai miei nonni, di cui porto la loro parte più bella dentro di me. Due di loro mi hanno lasciata poco prima di questo evento per loro così importante. Ed è a loro che dedico questo giorno.