Facciamo i conti con il futuro dell’Italia ebraica - Moked · La prima volta della grande corsa...

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Un giornale di carta offre occasioni di approfondimento e di comprensione, emozioni che non sono paragonabili a nessuna altra esperienza di lettura. E offre soprattutto la possibilità di accompagnarci, di passare di mano in mano, di essere donato, di essere custodito, di essere proposto all’attenzione dei nostri amici e dei nostri cari. Per questo al lettore chiediamo aiuto e un gesto d’amicizia. E non solo 30 euro all’anno, il prezzo dell’abbonamento. Chiediamo un impegno. Perché carta canta. E un giornale libero e autorevole può crescere ed essere tutelato solo grazie al sostegno dei suoi lettori. Carta canta, il momento di scegliere è ora Un giornale libero e autorevole può vivere solo grazie al sostegno dei suoi lettori Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461 euro 3,00 n. 2 - febbraio 2017 | שבט5777 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO Un ricordo del grande pensatore e sociologo polacco e del suo testamento spirituale: “Stiamo disimparando le abilità sociali e siamo ingabbiati in un mondo fittizio. Il vero dialogo non può esistere fra persone che si danno ragione a vicenda”, a pag. 29 Sergio Della Pergola/ a pag. 23 BAUMAN: I SOCIAL CI AVVELENANO Facciamo i conti con il futuro dell’Italia ebraica www.moked.it DIRITTI UMANI David Bidussa STATI UNITI Francesco Lucrezi CONTINUITÀ Franca Formiggini Anav STORIA Rosanna Supino RICORDO Giorgio Mortara OPINIONI A CONFRONTO ------------------------------------ PAGG. 23-26 --------------------------------- SHABBAT YITHRÒ 18 FEBBRAIO 2017 MILANO 17.22 18.37 | FIRENZE 17.30 18.31| ROMA 17.27 18.29| VENEZIA 17.23 18.24 Un valore necessario Un valore minacciato Un’evoluzione sociologica inquietante emerge dalla quarta inchiesta elaborata in collaborazione con l’Istituto SWG. Cresce il numero degli italiani che si allontanano da una percezione consapevole e matura della Memoria della Shoah. È necessario combattere l’idea che si propaga di un evento ancorato al passato e non all’oggi, che va circoscritto nel ricordo per la sua valenza formativa, ma che rischia di perdere vitalità rispetto alla nostra vita quotidiana e al presente. / pagg. 6-7 DOSSIER MEMORIA VIVA Una corsa verso il domani Enea Riboldi Sopravvissuto alla Shoah, alle guerre di Israele, alla strage di Monaco, Shmuel Ladany a Roma ha corso per la Memoria. Nelle pagine di sport il racconto di chi gli è stato accanto e lo ha accompagnato fra la gente in una giornata entusiasmante e indimenticabile. / pagg. 34-35 La prima volta della grande corsa Run for Mem, il concerto che riporta alla luce le musiche degli internati a Ferramonti, il dossier dedicato alla Memoria della Shoah e al continuo lavoro di rinnovare il ricordo, di farne un presidio della società civile e un patrimonio di tutti. / pagg. 15-22 Giorgio Albertini Nessuna risposta scontata, innumerevoli domande. Il direttore del Museo e Memoriale di Auschwitz Piotr Cywinski racconta perché al suo lavoro non c’è e non può esserci una fine. Ma per rispettare il passato bisogna vincere la sfida con il futuro. / pagg. 12-13 non serve più a nulla 23% 22% 21% 11% 2017 2016 2015 2014

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Un giornale di carta offre occasioni di approfondimento e di

comprensione, emozioni che non sono paragonabili a

nessuna altra esperienza di lettura. E offre soprattutto la

possibilità di accompagnarci, di passare di mano in mano,

di essere donato, di essere custodito, di essere proposto

all’attenzione dei nostri amici e dei nostri cari. Per questo al

lettore chiediamo aiuto e un gesto d’amicizia. E non solo 30 euro

all’anno, il prezzo dell’abbonamento. Chiediamo un impegno.

Perché carta canta. E un giornale libero e autorevole può crescere

ed essere tutelato solo grazie al sostegno dei suoi lettori.

Carta canta, il momento di scegliere è ora Un giornale libero e autorevole

può vivere solograzie al sostegno

dei suoi lettori

Pagine Ebraiche – mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane - Anno 9 | Redazione: Lungotevere Sanzio 9 – Roma 00153 – [email protected] – www.paginebraiche.it | Direttore responsabile: Guido Vitale Reg. Tribunale di Roma – numero 218/2009 – ISSN 2037-1543 | Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46) Art.1 Comma 1, DCB MILANO | Distribuzione: Pieroni distribuzione - v.le Vittorio Veneto, 28 - 20124 Milano - Tel. +39 02 632461

euro 3,00

n. 2 - febbraio שבט | 2017 5777

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

Un ricordo del grande pensatore e sociologo polacco e del suotestamento spirituale: “Stiamo disimparando le abilità sociali esiamo ingabbiati in un mondo fittizio. Il vero dialogo non puòesistere fra persone che si danno ragione a vicenda”,

a pag.29

Sergio Della Pergola/a pag. 23

BAUMAN: I SOCIAL

CI AVVELENANO

Facciamo i conti con il futuro dell’Italia ebraica

www.moked.it

DIRITTI UMANIDavid Bidussa

STATI UNITIFrancesco Lucrezi

CONTINUITÀFranca Formiggini Anav

STORIARosanna Supino

RICORDOGiorgio Mortara

OPINIONI

A CONFRONTO------------------------------------ PAGG. 23-26 ---------------------------------

SHABBAT YITHRÒ 18 FEBBRAIO 2017MILANO 17.22 18.37 | FIRENZE 17.30 18.31| ROMA 17.27 18.29| VENEZIA 17.23 18.24

Un valore necessarioUn valore minacciato

Un’evoluzione sociologica inquietante emergedalla quarta inchiesta elaborata in collaborazione

con l’Istituto SWG. Cresce il numero degli italiani che siallontanano da una percezione consapevole e maturadella Memoria della Shoah. È necessario combatterel’idea che si propaga di un evento ancorato al passatoe non all’oggi, che va circoscritto nel ricordo per lasua valenza formativa, ma che rischia di perderevitalità rispetto alla nostra vita quotidiana e alpresente. / pagg. 6-7

DOSSIER MEMORIA VIVA

Una corsa verso il domani

Enea

Rib

oldi

Sopravvissuto alla Shoah, alleguerre di Israele, alla strage di

Monaco, Shmuel Ladany a Roma hacorso per la Memoria. Nelle paginedi sport il racconto di chi gli è statoaccanto e lo ha accompagnato fra lagente in una giornata entusiasmantee indimenticabile. / pagg. 34-35

La prima volta della grande corsa Run for Mem, il concerto che riporta alla luce

le musiche degli internati a Ferramonti, il dossier dedicato alla Memoria della

Shoah e al continuo lavoro di rinnovare il ricordo, di farne un presidio della

società civile e un patrimonio di tutti. / pagg. 15-22

Gio

rgio

Alb

ertin

i

Nessuna risposta scontata,innumerevoli domande. Il

direttore del Museo e Memoriale diAuschwitz Piotr Cywinski raccontaperché al suo lavoro non c’è e nonpuò esserci una fine. Ma perrispettare il passato bisogna vincerela sfida con il futuro. / pagg. 12-13

non serve più a nulla

23%

22%

21%

11%

2017

2016

2015

2014

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VALORITrasmettere e affermare i valori dell’identItà ebraica, at-

tribuendo al rabbinato italiano un ruolo di autorevole

guida spirituale e alle cariche elettive delle istituzioni

ebraiche italiane la responsabilità di parlare con auto-

revolezza e con una voce alta e forte alla pubblica opi-

nione e alle Istituzioni del Paese.

CULTURACreare strumenti efficaci e moderni di approfondimento

e di formazione di cultura e identità ebraica. Diffondere

la cultura ebraica, rafforzando la consapevolezza della

presenza della minoranza ebraica nella Penisola sin dal-

l’antichità e la conoscenza della cultura ebraica da parte

della cittadinanza.

ESSERE EBREIDiffondere l’immagine positiva dell’essere ebrei raccon-

tando l’esperienza gioiosa di chi vive la propria identità

come un profondo arricchimento spirituale e culturale.

APERTURA ALLA SOCIETÀComunicare con la società circostante in maniera attiva ed

efficace, raccogliendo il consenso e la solidarietaà di ampie

componenti della popolazione, anche sollecitando la desti-

nazione dell’ottoxmille all’Unione delle Comunità Ebraiche

Italiane. Propagare e far conoscere i

valori sociali ebraici, come l’assistenza

e la tutela dei diritti delle fasce più deboli

della popolazione anche sollecitando il contributo del cin-

quexmille alle Comunità e alle Istituzioni sociali.

PLURALISMOOffrire opportunità di espressione alla realtà ebraica ita-

liana in tutta la sua complessità e varietà, favorendo un

sereno confronto fra idee, identità e culture diverse, po-

nendo come solo confine alla libertà di espressione il ri-

spetto dell’identità di ciascuno.

COMUNICAZIONERealizzare mezzi di comunicazione efficaci mediante un im-

pegno proporzionato e intelligente delle risorse, utilizzare

i mezzi di comunicazione per raccogliere simpatie e risorse.

Informazione e cultura, le nostre regole

Se senti il bisogno di un modo diverso di fare in-

formazione e di fare cultura, se guardi con inte-

resse ai valori, alla storia bimillenaria, alle spe-

ranze degli ebrei italiani, questo giornale è il tuo

giornale. Se credi che il simbolo di tutte le iden-

tità minoritarie sia anche la migliore difesa di

una società aperta dove ogni diversità e ogni mi-

noranza sia accolta e vissuta come una crescita

di valore, il giornale dell’ebraismo italiano do-

vrebbe starti a cuore.

Nelle prossime settimane l’edizione a stampa di

Pagine Ebraiche raggiungerà solo i lettori abbo-

nati. Sostenere un abbonamento sarà la migliore

maniera di leggerlo, ma anche la migliore garan-

zia di difesa della libertà d’espressione di profes-

sionalità per un giornale che ha la vocazione di

essere aperto a tutti e di rappresentare al tempo

stesso un’identità forte. E con il giornale del-

l’ebraismo italiano Pagine Ebraiche, il lettore con-

tinuerà a ricevere il giornale di cronache comu-

nitarie Italia Ebraica e il giornale ebraico dei bam-

bini DafDaf.

La carta stampata che finisce nelle mani del let-

tore per noi è preziosa e insostituibile, ma rap-

presenta solo una parte dell’impegno che attende

ogni giorno la redazione giornalistica dell’Unione

delle Comunità Ebraiche Italiane. E lo stesso Pa-

gine Ebraiche è sempre a portata di mano anche

nelle edizioni elettroniche diffuse via web, sulle

applicazioni “paginebraiche” per smartphone e

tablet, sull’applicazione dedicata nel mondo di

Facebook. Ecco alcuni altri servizi garantiti al let-

tore e realizzati dalla redazione: Rassegna stampa

• Ufficio stampa e assistenza alla Presidenza •

Praticantato giornalistico formazione e lavoro

per i giovani (otto esperienze di praticantato già

convalidate dall’Ordine dei giornalisti) • Forma-

zione e corsi di aggiornamento per tutti i gior-

nalisti italiani (la redazione è accreditata come

ente formatore dai ministeri competenti e dal-

l’Ordine nazionale dei giornalisti) • Laboratori di

lavoro giornalistico e di studio (Trieste e Venezia:

Redazione aperta; Roma: Etica dell’informazione;

Firenze: Economia e mercato del lavoro; Torino:

Jewish State of the Net; Milano: Grafica e creati-

vità) • Iniziative culturali, interventi e diffusione

straordinaria per lo sviluppo della Community nei

grandi appuntamenti di raccordo e incontro (fra

gli altri, Torino Salone del Libro, Mantova Festi-

valetteratura, Bologna Children’s Book Fair, Lucca

Comics, Pordenonelegge, Gorizia èStoria, Trento

Festival Economia, Ferrara Internazionale, Venezia

Biennale, Torino Spiritualità, Milano Bookcity) •

Ricerca sociologica e strategica e analisi delle

tendenze e degli orientamenti della società ita-

liana e della Community • Portale dell’ebraismo

italiano www.moked.it e sito istituzionale UCEI

www.ucei.it • Azione vigilata e responsabile sui

social network • Ogni giorno, con la sola sosta

dello Shabbat e delle solennità ebraiche, nuovi

notiziari in rete (sei notiziari quotidiani e setti-

manali online: Bokertov, per il commento della

rassegna stampa e delle notizie del giorno, Pagine

Ebraiche 24, il notiziario generale di metà gior-

nata, Pagine

Ebraiche Inter-

national, il

notiziario

plurilingue,

Sheva Melamed,

dedicato al mondo

della scuola e del-

l’educazione, Sheva Eretz, dedi-

cato alla società israeliana fuori

dagli stereotipi della propaganda e

del conflitto, Sheva Idee, dedicato ai

grandi temi del dibattito).

Per abbonarsi: www.moked.it/pagine-

braiche/abbonamenti/

Per informazioni e contributi:

[email protected]

/ P2 POLITICA / SOCIETÀ

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

Informazione, un lavoro a tutto campo

u Nelle immagini alcune occasioni di incontro di

Pagine Ebraiche con il mondo dell’informazione, i

festival culturali, i tanti lettori affezionati. En

ea R

ibol

di

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POLITICA / SOCIETÀ / P3

www.moked.it

pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Il momento di scegliere, diprendere in mano il futuro delgiornale dell’ebraismo italiano,cari lettori, è adesso. Pagine Ebraiche, che haraggiunto decine di migliaia divoi spesso in distribuzionegratuita, già a partire dalleprossime settimane saràinviato solo a chi vorràsottoscrivere unabbonamento. Il progetto di dare la dignità,l’efficacia, la concretezzadella carta stampata algiornale dell’ebraismoitaliano prosegue. Ma da

subito i costi industriali distampa e distribuzione dovranno essere sostenuti dal

contributo di 30 euro all’anno che chiediamo ai lettori dibuona volontà. Non sarà facile, ovviamente, raggiungerel’elevato livello di diffusione toccato in passato, ma con ilvostro aiuto potremo forse vantare un successo ancora piùsignificativo. Quello di costruire, in una stagione non facile,iniziative ebraiche che si sostengano senza gravare sullerisorse sempre più esigue e sempre più insufficienti delleistituzioni ebraiche italiane. In questi anni abbiamocostruito il luogo dove ebrei italiani di origini, idee esensibilità diverse possano incontrarsi, stare assieme,dialogare e rispettarsi a vicenda sentendosi a casa. Ancora

di più abbiamo aperto lo spazio dove possono incontrarsiebrei italiani e tanti altri cittadini che non sono iscritti auna Comunità ebraica ma guardano con interesse e conpassione alla storia, agli ideali e alla testimonianzabimillenaria dell’ebraismo italiano. Cittadini che voglionoconoscere, capire, far parte della community dell’ebraismoitaliano. E, in definitiva, con la loro amicizia sono la fasciadi protezione attorno a una antichissima minoranza checostituisce il certificato di garanzia perché la società in cuiviviamo possa essere sempre arricchita da tante minoranzee dal valore della diversità.Continuiamo a stare assieme, continuiamo a testimoniaredi un modo nuovo e diverso di fare informazione e diosservare la vita e il mondo. Continuiamo a fare giornali dicarta che lascino qualcosa di tangibile nelle mani dellettore, entrino nelle case della gente che non vuolesmettere di pensare, di discutere, di conoscere, di criticare.Certo, chi lo desidera potrà continuare a leggere PagineEbraiche, così come il giornale di cronache comunitarieItalia Ebraica e il giornale ebraico dei bambini DafDaf dalloschermo di un computer, sulle applicazioni destinate aitablet e agli smartphone, nello sfogliatore elettronicointerno al mondo di Facebook. Pratico, economico,immediato. Ma la verità è che un giornale di carta offreoccasioni di approfondimento e di comprensione,emozioni che non sono paragonabili a nessuna altraesperienza di lettura. E offre soprattutto la possibilità diaccompagnarci, di passare di mano in mano, di esseredonato, di essere custodito, di essere propostoall’attenzione dei nostri amici e dei nostri cari. Per questo al lettore chiediamo aiuto e un gesto diamicizia. E non solo 30 euro all’anno, il prezzodell’abbonamento. Chiediamo un impegno. Perché cartacanta. E un giornale libero e autorevole può crescere solograzie al sostegno dei suoi lettori.

ORIZZONTI INTERNAZIONALI E ISRAELE

Conoscere e comunicare con le realtà ebraiche di tutto

il mondo, a cominciare da Israele, Stati Uniti e principali

comunità europee.

Controbattere alla politica dei mass media tesa a rap-

presentare di Israele un volto esclusivamente e peren-

nemente conflittuale, esaltandone la vera realtà, fatta

di società civile, di cultura, di economia, di ricerca, di

tutela alle categorie più deboli, di capacità di integra-

zione fra persone diverse per origine e provenienza geo-

grafica.

Raccordarsi con la comunità degli italiani in Israele, svi-

luppando progetti comuni e mantenendo un dialogo fatto

di comprensione e solidarietà costantemente aperto.

STORIA E MEMORIAFavorire la conoscenza della storia ebraica, non come

materia accademica, ma come strumento indispensabile

per la conoscenza della realtà contemporanea. Riaffer-

mare la Memoria in quanto valore ebraico di vigile e at-

tiva testimonianza e la Shoah come monito per la salva-

guardia dei diritti di tutti.

LAICITÀ E TUTELA DELLE MINORANZE

Difendere e rafforzare i diritti civili e coltivare strategie

comuni con le altre minoranze. Difendere la laicitaà dello

Stato e delle istituzioni, la libertà d’espressione e di ri-

cerca, la separazione fra poteri politici e poteri spirituali

e gli equilibri costituzionali che caratterizzano le società

democratiche.

INTEGRAZIONE E RISPETTO DELLE REGOLE

Riaffermare il ruolo della minoranza ebraica come sigillo

di garanzia e contributo essenziale per costruire una so-

cietà aperta, solidale, giusta. Ma contemporaneamente

dimostrare ed esigere il più rigoroso rispetto delle regole

del vivere comune e delle leggi vigenti.

GIOVANIOffrire ai giovani ebrei italiani spazio di espressione e di

confronto e una visione positiva e consapevole della vita

ebraica. Dare spazio a nuove forme espressive più vicine

alla loro sensibilità.

Carta canta: è il momento di scegliereUn appello ai lettori: difendiamo assieme il giornale dell’ebraismo italiano

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“È con gesti come questo, di por-tata potremmo dire storica, che ilpassato fa pace con il presente eil presente con il passato. È unaconciliazione che unisce e che ciimpegna a proseguire il dialogo eil confronto, sotto il nome dellacultura e della convivenza civilefra popoli e persone”.Così il vicepresidente dell’Unionedelle Comunità Ebraiche ItalianeGiulio Disegni, intervenuto a Pa-lermo in occasione della convegno“Siciliani senza Sicilia. Ebrei di Si-cilia in terra d’altri” durante il qualeè stata ufficialmente annunciata ladecisione dell’arcivescovado di Pa-lermo di concedere alla realtàebraica locale (sezione della Co-munità di Napoli), in comodatod’uso gratuito, un oratorio di pro-prietà ecclesiastica. Una data, quel-la dell’annuncio, dai forti risvoltisimbolici. Cadeva infatti in quelleore il 524esimo anniversario dal-l’espulsione degli ebrei dalla Sicilia.La struttura concessa da monsi-gnor Corrado Lorefice è l’Oratoriodi S. Maria del Sabato, che sorgenell’area un tempo occupata del-l’antica zona ebraica della “Guz-zetta” e della “Meschita”.

Un fatto così commentato in unanota congiunta dalla presidenteUCEI Noemi Di Segni e dalla pre-sidente della Comunità ebraica na-poletana Lydia Schapirer: “La con-cessione di uno spazio di proprietàdell’arcivescovado di Palermo aduso di preghiera e studio per laneonata sezione ebraica nel capo-luogo siciliano rappresenta un fattostorico. Una concreta testimonian-za di risveglio e di rinascita ebraicaa oltre 500 anni dagli infamantieditti di espulsione che misero fine,anche nel sangue, a secoli di pre-

senza e impegno sul territorio. Pa-lermo si afferma e si pone al centrodi un intenso dialogo multicultu-rale e di esempio per tutto il Me-diterraneo”. Di Segni e Schapirer hanno inoltreaffermato: “Non possiamo che es-sere commosse e orgogliose perquesto importante riconoscimento,che avviene negli stessi giorni incui due nuove sezioni, in direttarelazione con la Comunità ebraicadi Napoli, vedono la luce: Palermo,appunto, e Sannicandro Garganico.Si tratta di un passo che rappre-

senta la maturazione di una profi-cua rete di relazioni già avviate neltempo e di immensa portata sto-rica che ci auguriamo possa avereun impatto molto significativo nelfuturo del Meridione ebraico”. Aperto dai saluti del vicepresidenteUCEI Disegni e del maskil dellaComunità ebraica di Napoli ArielFinzi, il convegno ha visto tra glialtri gli interventi di Pierpaolo Pin-has Punturello, rappresentante perl’Italia dell’associazione Shavei Isra-el; della storica Serena Di Nepi;del vicario episcopale Raffaele

Mangano, intervenuto a nome dimonsignor Lorefice. Importantel’impegno assunto dal vicesindacodi Palermo, Emilio Arcuri, che haassicurato che i lavori di ristruttu-razione dell’oratorio saranno a ca-rico dell’amministrazione cittadina.A moderare l’iniziativa Rita Cala-brese dell’Università di Palermo.Tra i presenti Gadi Piperno, delprogetto Meridione UCEI, e Mi-chael Freund di Shavei Israel.Nella circostanza il vicepresidentedell’Unione ha osservato: “Desi-dero qui ringraziare anche gli ami-ci palermitani che tanto hanno fat-to per giungere a questo momentoe in particolare Evelyne Aouateche da anni si prodiga per far co-noscere la cultura e le tradizioniebraiche nella città di Palermo eche ha voluto da tempo una sedee un luogo per riunire gli ebrei pa-lermitani ma anche chi a Palermoe in Sicilia viene per ragioni di la-voro o di turismo. E con lei rin-grazio l’ISSE – Istituto Siciliano diStudi Ebraici e l’organizzazioneShavei Israel con i quali l’Unionedelle Comunità Ebraiche Italianesarà lieta di collaborare come inpassato anche per il futuro”.

/ P4 POLITICA / SOCIETÀ

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

L’approvazione del Bilancio pre-ventivo per il 2017, votato con ilfavore della larghissima maggio-ranza dei presenti, ha segnato ilavori del Consiglio dell’Unionedelle Comunità Ebraiche Italianesvoltosi a Roma a metà gennaio. Il documento, presentato all’assisedall’assessore alle Finanze GuidoGuetta, prevede sacrifici econo-mici “dolorosi, ma inevitabili”. Unadecisione, è stato spiegato, che siè resa necessaria anche alla lucedella flessione della raccolta del-l’Otto per Mille destinata all’Unio-ne e registrata nell’ultimo eserci-zio. Fra i diversi provvedimentianche la decisione di restringerel’edizione a stampa del giornaledell’ebraismo italiano PagineEbraiche ai soli abbonati paganti,evitando di distribuire la pubbli-cazione automaticamente a tuttigli iscritti a una Comunità ebraica.Il giornale, che continuerà in fu-turo comunque a essere disponi-bile in tutte le sue versioni elet-troniche per tablet, smartphone enell’applicazione dedicata all’in-

terno del mondo di Facebook, do-vrebbe così conquistare un equi-librio economico coprendo icosti industriali di stampa e di-stribuzione sulla base degli ab-bonamenti raccolti.La revisione delle spese haportato inoltre alla sospensio-ne temporanea di alcuni pro-getti dedicati alla Formazione,quali Think Thank e YeUd,mentre è considerevolmenteridotto il finanziamento chel’Unione verserà per il 2017 al-la Fondazione Centro di Do-cumentazione Ebraica Con-temporanea di Milano.Tra la novità di questo Bilan-cio, l’accantonamento di unaquota (compresa tra i 150milae i 200mila euro) che sarà de-dicata a una campagna di co-municazione mirata sull’Ottoper Mille. Investimento, si pre-vede, che dovrà essere accor-dato per almeno tre anni.Guetta ha quindi invitato almassimo senso di responsabilitàe alla massima capacità di conte-

nimento delle spese. Altri tagli, hainfatti spiegato, potrebbero ren-

dersi necessari. L’idea è comunquedi sottoporre l’andamento di bi-

lancio a una verifica semestralecosì da poter individuare, nel caso,

ulteriori correttivi da adottare.“Voglio che sia chiara una co-sa, quello che votiamo ogginon è un documento di indi-rizzo politico” ha quindi sot-tolineato l’assessore primache l’assise si esprimesse nelmerito. Dopo l’approvazionedel Bilancio, il Consiglio èpassato ad analizzare le ri-chieste di finanziamento peri seguenti progetti delle Com-missioni: I progetti “Strutturadi base” e “Ulpan on line”della Commissione Scuola,Giovani e Formazione. Il pro-getto “Orientamento, espe-rienze di lavoro, occupazio-ne” della Commissione Wel-fare. Il progetto “Giubileo de-gli Ebrei di Libia” della Com-missione Cultura. Il progettodi un canale web destinatoalla raccolta di video elabo-rato dalla Commissione Sup-

porto alle Comunità. Tutti i pro-getti sono stati approvati.

Tra i temi che hanno segnato lariunione anche un denso confron-to sul tema “Identità e presenzaebraica, quale scenario per il fu-turo?” con interventi di numerosiConsiglieri e di alcuni addetti ailavori. Ad aprire la sessione un in-quadramento generale del profes-sor Sergio Della Pergola, tra i mas-simi esperti di demografia al mon-do, che ha permesso di coglieredifferenze e analogie tra le varieComunità anche in relazione aifenomeni avvenuti a livello macroin questi ultimi decenni. Fenomeniche hanno cambiato, tra le altre,la realtà di Israele ma soprattuttoil volto della Diaspora: i tassi dinatalità e il tema dei matrimonimisti, ha spiegato Della Pergola,sono soltanto alcune delle que-stioni che stanno modificando ilmondo ebraico.“Identità e futuro” le parole chiaveindividuate dal rabbino capo diRoma Riccardo Di Segni, che haparlato sia di emergenza demo-grafica che di emergenza qualita-tiva del modo in cui da alcuni vie-

Palermo, l’annuncio che scrive una nuova pagina

u Nell’immagine a destra

l’intervento del vicepresidente

UCEI Giulio Disegni a Palermo, a

sinistra la chiave dell’oratorio

messo a disposizione

dall’arcivescovado e che

diventerà in futuro una sinagoga.

Bilancio 2017, le scelte del ConsiglioLa massima assise dell’ebraismo italiano, riunita a Roma, vara una pesante revisione delle spese

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“Oggi più che mai l’Europa ha lanecessità, anzi meglio dire l’urgen-za, di ritrovarsi unita nei valori chel’hanno ispirata e che hanno por-tato alla sua attuale strutturazionee organizzazione. Siamo nati perdifendere in ogni sede la libertà, lasolidarietà, i diritti e la dignitàdell’uomo. E dobbiamo difenderlioltre i confini del proprio paese diprovenienza, in una prospettiva direale e fattiva collaborazione”. È quanto sottolineava l’onorevoleAntonio Tajani in una intervista aPagine Ebraiche, poche settimaneprima di essere eletto presidentedel Parlamen-to Europeo.Eleione che,ha detto lap r e s i d e n t eUCEI NoemiDi Segni inuna nota, “èmotivo di gran-de orgoglio esoddisfazione per tutto il paese”.Un ruolo di grande responsabilitàe guida in un momento non sem-plice per le sorti del nostro conti-nente, è stato inoltre osservato, an-che perché atteso da molte sfide

interne “ma anche di influenzadell’intero quadro geopolitico in-ternazionale”. Una sfida quantomai viva mentre ci avviciniamo al

sessantesimoanniversariodei Trattati diRoma, ap-puntamentosu cui - haa f f e r m a t oancora DiSegni - “tuttisiamo chia-

mati a riflettere ea concorrere con impegno per lacostruzione di uno spazio europeodi vita e di sicurezza”. Nell’intervista a Pagine EbraicheTajani ha inoltre rilevato: “Aggres-sioni, violenze, attentati: i primi a

pagare un caro prezzo al terrori-smo islamico sono stati gli ebreid’Europa, ma tanti in principionon hanno voluto vedere. Moltiad esempio hanno voltato losguardo dall’altra parte dopo i tra-gici fatti di Tolosa, Bruxelles e Co-penaghen, tanto per fare qualchenome. C’è stato chi si è sforzatoin tutti i modi di non capire qualefosse la vera matrice dell’attentatoall’Hypercasher di Parigi, sceltonon certo per un caso dal jihadistache vi ha portato morte e sangue.La mia convinzione è che oggi piùche mai abbiamo bisogno di creareoccasioni di confronto e dialogotra le religioni, ma al tempo stessodi rafforzare la nostra capacità direpressione e depotenziamento diogni minaccia”. Se si vorrà agire in modo incisivo,le sue parole, servirà innanzituttochiarezza. “Ritengo urgente unapiù netta distinzione tra chi ha ef-fettivamente bisogno del nostroaiuto perché in fuga da persecu-zioni e atrocità, e chi invece tentaillegalmente di penetrare nel no-stro continente. C’è bisogno di unmaggior controllo e di una miglio-re strategia, soprattutto in Italia”.

POLITICA / SOCIETÀ / P5

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Cento anni di una leggenda del cinema: Kirk Douglas, all’ana-

grafe Issur Danielovitch Demsky. Per festeggiare l’importante

traguardo il disegnatore Michel Kichka ha voluto omaggiarlo

così, ricordando alcuni suoi ruoli in film western che hanno

fatto la storia del grande schermo.

Il filo diretto con Sky Sport, media partner dell’iniziativa, che ha

curato vari collegamenti dal Portico d’Ottavia e che con la collabo-

razione della redazione giornalistica dell’Unione ha preparato un am-

pio speciale. Molteplici programmi di approfondimento e telegiornali

sulle reti Rai e Mediaset. Agenzie stampa, carta stampata, siti web,

radio. Molti milioni gli italiani che hanno seguito Run For Mem, la

corsa tra Storia e Memoria organizzata dall’Unione delle Comunità

Ebraiche Italiane con il supporto di Maratona di Roma e Maccabi Italia

e sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del World

Jewish Congress.

Enti, associazioni, gruppi podistici, comunità religiose. Realtà inter-

nazionali come l’European Jewish Congress. In oltre un migliaio hanno

raccolto l’invito della presidente UCEI Noemi Di Segni a indossare tuta

e scarpini e ad attraversare i luoghi della Memoria capitolina al fianco

di Shaul Ladany, sopravvissuto sia a Bergen Belsen che all’azione ter-

roristica di matrice palestinese ai Giochi Olimpici di Monaco ‘72. Da

Largo 16 Ottobre a Via Tasso, da Via Urbana a San Bartolomeo all’Isola:

un colpo d’occhio imponente, nelle strade della città ferita (ma non

sconfitta) dal nazifascismo.

Diversi gli spazi che trovate su questo giornale dedicati a Run For

Mem. Alcuni spunti di riflessione nel dossier Memoria viva, che apre

proprio con il messaggio di della corsa. O ancora la voce di alcuni pro-

tagonisti, che ci hanno lasciato una testimonianza. I presidenti dei

due enti sostenitori, Enrico Castrucci (Maratona di Roma) e Vittorio

Pavoncello (Maccabi Italia). L’ex maratoneta Franca Fiacconi, testi-

monial dell’iniziativa assieme a Ladany. Il sottosegretario Sandro Gozi,

che ha rappresentato le istituzioni anche a passo di marcia e corsa.

Il giornalista Andrea Schiavon, che ha raccontato la storia di Ladany

nell’avvincente biografia Cinque cerchi e una stella (Add editore).

Una corsa per la vita

Tajani, le parole a Pagine Ebraiche

ne vissuto il proprio ebraismo. Daparte del rav, che ha fornito alcunidati relativi alle principali criticità(tra cui il calo vistoso delle nasciterispetto agli Sessanta e Settantadel secolo scorso), è arrivato l’in-vito a prendere atto dei fenomeniin tutta la loro grandezza e ad in-tervenire con strumenti più ag-giornati e organizzati. Le principalidifficoltà sono state analizzate an-che dal professor Gabriel Levi, cheha comparato la realtà numericadell’ebraismo italiano di pochi de-

cenni fa con quella odierna. Undrastico calo, molti problemi aper-ti. Una via d’uscita però ci sarebbe:è nella Torah, dice il professore.Ma in una Torah condivisa, nonper “pochi ma buoni”. L’invito alla leadership UCEI dellostorico sociale delle idee DavidBidussa è a guardare le reltà piùvicine all’Italia, a stringere alleanze,a rafforzare relazioni e progettua-lità. È pressante la sfida di ripensareil nostro ruolo, afferma lo stu-dioso. Ma questa crescita non può

avvenire da soli, con le esigue for-ze numeriche di cui disponel’ebraismo italiano. Serve una retesempre più estesa. Serve una ca-pacità reale di andare oltre le fron-tiere. Introdotti dal sociologo EnricoFinzi, sono poi intervenuti con al-cune riflessioni diversi esponentidel Consiglio. Queste le domandeposte da Finzi: “Abbiamo un fu-turo? Come pensiamo di averequella propositività che ci spingein quella direzione?”.

100 anni di una leggenda

© K

ICH

KA

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/ P6 POLITICA / SOCIETÀ

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

La Memoria della Shoah costitui-

sce un patrimonio inestimabile a

presidio della società democrati-

ca, aperta e progredita in cui vo-

gliamo vivere. Non si tratta di un

valore caro solo agli ebrei italiani.

Si tratta di un valore che potrà

sopravvivere e dispiegare tutta

la sua forza solo se condiviso

dall’intera società italiana.

E la società italiana risponde, par-

tecipa, condivide, si impegna a

volte lasciando testimonianze di

enorme significato. Basti pensare

all’enorme interesse e all’entusia-

stica partecipazione che ha susci-

tato la prima edizione della corsa

Run for Mem, che ha portato mol-

tissimi cittadini a correre insieme,

a prescindere dalle origini cultu-

rali, etniche e religiose, verso il

futuro della Memoria e verso una

Memoria partecipata e condivisa,

una Memoria viva. Ma non tutta

la società italiana si muove coe-

rentemente in questo senso, e i

dati contenuti nel quarto rilievo

sulla percezione degli italiani nei

confronti della Memoria curato

dal prestigioso istituto di ricerche

SWG con il contributo della reda-

zione giornalistica dell’Unione

delle Comunità Ebraiche Italiane,

mettono in luce e confermano

evoluzioni preoccupanti su cui sa-

rebbe bene tenere desta l’atten-

zione. In una prima anticipazione

del rapporto appena concluso,

che fa riferimento al sentimento

degli italiani nel gennaio 2017, e

che sarà illustrato nei dettagli sul

prossimo numero del giornale

dell’ebraismo italiano Pagine

Ebraiche, si trova la conferma che

il valore della Memoria è ben con-

solidato nella società italiana, ma

anche, al tempo stesso, che si

tratta di un valore minacciato da

inquietanti nuovi orientamenti.

L’indagine fa riferimento ai dati

raccolti dall’Istituto di ricerca nel

quadriennio 2014-2017 su campio-

ni rappresentativi attraverso ri-

velazioni realizzate mediante col-

legamento telematico (metodo-

logia Cawi) effettuate fra il 12 e

il 22 gennaio di ogni anno. La sta-

gionalità dei rilievi è determinata

dall’intento di ascoltare i segnali

che provengono dall’opinione

pubblica nei giorni in cui si ritiene

sia maggiormente esposta alla

produzione culturale, educativa

e informativa riguardo al Giorno

della Memoria. I campioni sono

stati composti di anno in anno da

un numero variabile dai 1000 ai

1200 soggetti rappresentativi del-

la popolazione italiana. Le doman-

Memoria, valore necessario, valore minacciato

Il raddoppio di coloro che pensano che non serva più a

nulla è il dato più inquietante e il vero misuratore della

percezione della Memoria da parte dell’opinione pubbli-

ca. Inquietante perché segna un progresso e si consolida

di anno in anno, attribuendo ai rilievi statistici, operati

per quattro anni a una distanza di 12 mesi uno dall’altro,

una credibilità di molto rafforzata. Inquietante perché

segna una forte progressione, raggiunge il raddoppio in

48 mesi e rappresenta ormai circa un quarto della po-

polazione.

Da tenere presente anche la crescita dell’affermazione,

gravissima, secondo la quale il Giorno della Memoria ser-

virebbe “solo agli ebrei”. Dallo zoccolo di partenza del

15 per cento nel 2014 siamo ora al 17 per cento nel 2017.

Un’affermazione che disconosce la realtà dei fatti. La

Memoria, in effetti, serve alla società italiana, alla de-

mocrazia, alla tutela dei valori e dei diritti che ci fanno

tutti cittadini e tutti esseri umani. Gli ebrei non hanno

purtroppo bisogno di una legge dello Stato per ricorda-

re. Interessanti anche i rilievi più specifici che cercano

di identificare i motivi percepiti dell’utilità attribuibile

al Giorno della Memoria. Gli indicatori dimostrano tutti

un lieve regresso e l’affermazione “aiuta a mantenere

viva l’attenzione” passa dal 90 per cento di condivisione

all’85 per cento. Ovviamente resta una larghissima mag-

gioranza di italiani che si sentono coinvolti. Ma si tratta

di un numero che di anno in anno va riducendosi.

Ricordare è “un atto dovuto”? La

percentuale di coloro che condivi-

dono questa affermazione scende

dal 45 al 37 per cento. Così come

appare in forte calo l’indicatore di

coloro che pensano che si tratti di

un atto “necessario”. In maniera

speculare raddoppia (dall’8 al 16

per cento) chi ritiene che si tratti

di un atto “retorico” e chi ritiene

(dal 5 al 9 per cento) che si tratti

di un atto “inutile”. In sensibile cre-

scita, ma solo apparentemente in

controtendenza, chi ritiene che si

tratti di un atto “formativo”. Re-

legare al mondo della scuola un va-

lore può infatti costituire uno dei

processi di dissociazione di deter-

minate categorie di cittadini che

non sono più disposte a farsene ca-

rico in prima persona, tendono a

negare l’universalità e la quotidia-

nità della Memoria e preferiscono

neutralizzare questo elemento cir-

coscrivendolo nel contesto delle

istituzioni educative.

non serve più a nulla

è una questione che riguarda solo gli Ebrei

aiuta a non dimenticare

ciò che è successo

dovuto

formativo

necessario

giusto

retorico

inutile

aiuta a formare le coscienze

aiuta a mantenere viva l’attenzione

su queste problematiche

Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria che è stato istituito per ricordare gli Ebrei, i Rom e tutti coloro che sono

morti per mano dei nazisti nei campi di concentramento. Indichi quanto è d’accordo rispetto con ciascuna delle

seguenti affermazioni (% di risposte molto o abbastanza d’accordo al netto delle risposte «non so»)

Secondo lei, ricordare il genocidio degli Ebrei e delle altre vittime del nazismo attraverso il Giorno della Memoria è?

(% di risposte affermative)

232221

11

171616

15

8481

8486

858787

90

9091

9394

3739

4245

4338

4239

2632

3332

2530

2425

1612

138

977

5

n 2017 nn 2016 nn 2015 nn 2014

n 2017 nn 2016 nn 2015 nn 2014

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POLITICA / SOCIETÀ / P7

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

“I dati - spiegano i ricercatori

di SWG - fanno riferimento al-

le rilevazioni condotte nel

quadriennio 2014-2017, su

campioni rappresentativi di

propri communiter, attraver-

so rilevazioni cawi effettuate

nel periodo compreso tra il 12

e il 22 gennaio di ogni anno.

I campioni 2014, 2015, 2017

sono composti da 1000 sog-

getti; il campione 2016 è com-

posto da 1200 soggetti rap-

presentativi della popolazione

italiana maggiorenne”.

“Le domande sono state inse-

rite all’interno di indagini più

ampie che comprendevano

anche altre tematiche di tipo

sociale, politico e di costume.

Obiettivo generale dell’inizia-

tiva è produrre un monitorag-

gio annuale della percezione

che gli italiani hanno del fe-

nomeno, verificandone la co-

noscenza spontanea e solleci-

tata, la percezione di rilevan-

za e il grado di coinvolgimen-

to”.

“La lettura trasversale dei da-

ti - questa l’analisi - evidenzia

come, al di là delle oscillazioni

sul ricordo diretto del signi-

ficato della data del 27 gen-

naio, (a questo riguardo va ri-

cordato che il dato 2017 po-

trebbe essere stato influenza-

to dalla risalto dato dalla

stampa, nei giorni della rile-

vazione delle attività promos-

se dall’UCEI in occasione delle

ricorrenza) il dato tendenziale

confermi la progressiva ero-

sione del significato profondo

attribuito a questa giornata”.

Per quanto minoritaria, la

percentuale di chi attribuisce

a questa iniziativa un valore

unicamente retorico è rad-

doppiata in quattro anni,

mentre si è sensibilmente ri-

dotta la quota di chi lo defi-

nisce necessario o dovuto.

“Il Giorno della Memoria sta

lentamente scivolando verso

una accezione essenzialmente

formativa e scolastica, cor-

rendo il rischio di essere vis-

suto sempre meno come un

qualcosa di coinvolgente e si-

gnificativo. Un evento anco-

rato al passato e non all’oggi,

che va ricordato per la sua va-

lenza formativa, ma che ri-

schia di perdere di vitalità ri-

spetto al presente”.

Il dato forse più difficile da interpretare riguarda la

percezione dell’antisemitismo. Qui il sondaggista che

cerca di ottenere indicazioni credibili non può ovvia-

mente avventurarsi e mettere l’interrogato di fronte

a una domanda diretta. A nessuno viene quindi chiesto

direttamente se si sente antisemita, ma si cerca di far

proiettare al campione sociologico un’immagine da

attribuire più asetticamente all’opinione pubblica in

generale. Il problema è molto complesso e richiede-

rebbe ovviamente indagini più approfondite, mentre

in questo caso viene evocato a margine di un ragio-

namento sulla percezione della Memoria.

In ogni caso è possibile notare una tendenza alla cre-

scita graduale di coloro che tendono a negare senti-

menti antisemiti nell’ambito della società italiana. E

tutto ciò di fronte a un’evoluzione che ha lasciato in-

tendere come in questi ultimi anni la società italiana

non potesse considerarsi completamente esente da

tendenze globali molto presenti soprattutto nell’area

europea di una crescita dell’antisemitismo. Un dato

che forse sarebbe azzardato denunciare come nega-

zione irresponsabile o colpevole della realtà, ma che

deve comunque essere tenuto d’occhio.

Chiedere al singolo di interpretare una tendenza presente nella società

in cui vive è una delle strategie disinibitorie più comunemente uti-

lizzate dai sondaggisti. Attribuire agli altri quello che noi stessi vor-

remmo dire ma che siamo restii a dichiarare perché ci vergogniamo

a farlo è la strada più facile per dire quello che davvero abbiamo in

mente. Il campione sociologico interrogato attribuisce alla percezione

collettiva della società italiana un ridotto coinvolgimento nei con-

fronti delle iniziative istituzionali sulla Memoria. E questo indicatore

è in sensibile ascesa. Il calo della percezione del valore riguarda tutte

le sfumature della percezione (molto, abbastanza, per niente). Il mo-

mento della verità è quando proiettiamo i nostri sentimenti sulla col-

lettività evitandoci l’imbarazzo di un’affermazione diretta.

LA RICERCA

2017

2016

2015

2014

Secondo lei gli italiani si sentono, verso la celebrazione del Giorno

della Memoria, molto, abbastanza, poco o per nulla coinvolti?

(% al netto dei «non so»)

Secondo lei oggi in Italia esiste ancora molto, abbastanza, poco o per niente un sen-

timento antisemita?

(% al netto dei «non so»)

E lei personalmente, quanto si sente coinvolto?

(% al netto dei «non so»)

Ed ecco l’altra faccia della medaglia. Quando, dopo aver espresso in

maniera disinibita la propria opinione attribuendola all’insieme della

società, allo stesso quesito si deve rispondere in prima persona, le

cose cambiano radicalmente. Quando dobbiamo uscire allo scoperto

siamo tutti più civili, o almeno vogliamo cercare di sembrarlo. Ma

per l’analisi sociologica il problema resta. Anche in questo caso, e no-

nostante tutto, infatti, la tendenza alla perdita della percezione del

valore della Memoria resta e l’erosione si conferma comunque. Chi

alla vigilia del Giorno della Memoria si sente di affermare apertamente

che percepisce poco o per nulla questa data sale così dal 35 al 42 per

cento in 48 mesi. Chi sostiene di percepirla “molto” cala dal 19 al 14

per cento.

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

325

5

5

7 35 58

34 61

36 59

63

2017

2016

2015

2014

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

336

4

7

7 40 53

37 56

34 61

61

2017

2016

2015

2014

n molto nn abbastanza nn poco/per niente

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

4414

17

14

19 46 35

44 42

44 39

42

de sono state inserite all’interno

di indagini più ampie che com-

prendevano anche altre temati-

che di tipo sociale, politico e di

costume. “Obiettivo generale

dell’iniziativa – specifica SWG – è

produrre un monitoraggio annua-

le della percezione che gli italiani

hanno del fenomeno, verificando-

ne la conoscenza spontanea e sol-

lecitata, la percezione di rilevanza

e il grado di coinvolgimento”. Il

dato maggiormente inquietante,

fra i tanti che la ricerca compren-

de, è il raddoppio in quattro anni

degli italiani manifestamente

ostili al lavoro sulla Memoria sta-

bilito dalla legge dello Stato. Ad

affermare che “Il Giorno della Me-

moria “non serve più a nulla” era

l’11 per cento della popolazione

nel 2014 e sarebbe il 23 per cento

nel 2017. Si tratta di un fenomeno

inquietante e purtroppo da pren-

dere molto sul serio, costante-

mente in crescita e costantemen-

te confermato da quattro anni di

rilievi. Un’espressione che va ben

al di là dello scetticismo generico,

ma che rappresenta una forma di

ostilità alla cultura e alla coscien-

za della Storia e della Giustizia ca-

pace di coinvolgere quasi un

quarto della pubblica opinione.

Certo, resta una larga maggioran-

za di cittadini che non condivide

affermazioni del genere, ma ac-

contentarsene sarebbe molto pe-

ricoloso. La velocità e l’ampiezza

della progressione, infatti, parla-

no chiaro e non sono rassicuranti.

Un segnale che deve essere preso

in carico dalle istituzioni, ebrai-

che e non ebraiche, deve essere

tenuto costantemente presente

da chi lavora sul fronte dell’edu-

cazione, della ricerca storica e

della Memoria. E un segnale che

pone tutti i cittadini consapevoli

di fronte alla scelta chiara riguar-

do alla società futura in cui vo-

gliamo vivere. Oggi più che mai

combattere per affermare ogni

giorno la Memoria viva, per lan-

ciare la Memoria verso il futuro

con lo stesso slancio con cui un

gruppo di bambini ha aperto a

Roma la grande corsa Run for

Mem, è una sfida che, ebrei o non

ebrei non fa differenza, accomuna

tutti i cittadini di buona volontà.

Correre uniti verso il futuro e

riaffermare ogni giorno la Memo-

ria viva è la sfida ineludibile che

questi tempi hanno marcato su

ogni pagina della nostra agenda.

g.v.

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Sono molti i politici e i giornalistiche negli ultimi tempi hanno af-fermato che il numero di ebrei chestanno lasciano l’Europa è in au-mento, e che si tratta di un datodrammatico. Ma è vero? Dal 2000 i dati sulla migrazioneebraica verso Israele mostrano dif-ferenze evidenti tra due gruppi dipaesi europei. Il trend presente inFrancia, Italia e Belgio evidenzianumeri che vanno dalle due voltee mezzo (per il Belgio) alle sei vol-te e mezzo i dati medi relativi alperiodo compreso tra il 1976 e il2015. Nel Regno Unito, in Ger-mania e in Svezia non si registranovariazioni statisticamente signifi-cative. Molte ricerche portateavanti negli ultimi decenni hannostudiato e analizzato la popolazio-ne ebraica europea, cercando dicapire e raccontare quanto sia fortela percezione di un pericolo oquanto, al contrario, gli ebrei inEuropa si sentano al sicuro. L’ultimo lavoro di Daniel Staetsky,intitolato “Are Jews leaving Euro-pe?”, ha un approccio differente:analizza le reazioni degli ebrei eu-ropei a ciò che succede intorno aloro. Staetsky - Senior ResearcherFellow dell’Institute for Jewish Po-licy Research di Londra - ha scelto

Europa, movimenti senza fughe / P8 ORIZZONTI

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

Fake news, notizie false, bufale.

Il 2016 sembra essere stato l’an-

no in cui se n’è compresa portata

e pericoli: capaci di influenzare

processi politici, avvelenare i le-

gami sociali, istigare alla violenza

fisica. E il 2017 sarà segnato con

ogni probabilità dalla stessa que-

stione. Sul banco degli imputati

nelle ultime settimane è salito in

particolar modo Facebook, data

la capacità del social network

fondato da Mark Zuckerberg di

favorire la diffusione tra gli

utenti di qualunque tipo di link,

senza alcun controllo sull’effet-

tivo contenuto.

L’occasione però potrebbe essere

anche quella di occuparsi di quel-

la che è forse la più pervasiva e

pericolosa falsa notizia di tutti i

tempi, e cioè la negazione della

Shoah. E tuttavia, mentre Goo-

gle, il colosso dei motori di ricer-

ca, avrebbe promesso di agire in

questo senso lavorando sui pro-

pri algoritmi, un museo ebraico

negli Stati Uniti denuncia scenari

potenzialmente ancora più in-

quietanti: indirizzare un utente

che fa ricerche sul tema della

Shoah al proprio sito tramite la

pubblicità del sistema Google Ad-

Words, costa ben due dollari a

click. Andando con ordine, nelle

ultime settimane molti hanno se-

gnalato come non solo la stringa

di ricerca made in Mountain View

proponga già dopo aver digitato

le prime lettere la domanda “did

the Holocaust happen?” (“la Sho-

ah è avvenuta?” – provare per

credere, basta arrivare alla fine

della parola ‘the’ per vederla tra

i suggerimenti), ma che i primi

siti della lista dei risultati siano

aberranti pagine negazioniste.

Così Google si è impegnato a cor-

rere ai ripari:

“I risultati delle nostre ricerche

sono un riflesso del contenuto

del web. Questo significa che tal-

volta rappresentazioni spiacevoli

di argomenti sensibili possono

influenzarli. Essi non riflettono

ciò che Google pensa o crede –

come società, noi diamo grande

valore a diversità di prospettive,

idee e culture” ha dichiarato un

portavoce. “Gli utenti ricercano

una varietà enorme di argomenti

– circa il 15 per cento di tutte le

ricerche che troviamo ogni gior-

no sono nuove. Per questa ragio-

ne le parole che appaiono nel-

l’auto-completamento (delle do-

mande) possono essere inaspet-

tate o spiacevoli. Facciamo del

nostro meglio per evitare termi-

ni offensivi, riconducibili alla por-

nografia o all’odio, ma ricono-

sciamo che l’auto-completamen-

to non è una scienza esatta e sia-

mo sempre al lavoro per miglio-

rare i nostri algoritmi”.

Negli stessi giorni, un articolo del

Guardian, citando il lavoro del

William Breman Jewish Heritage

Museum di Atlanta, ha racconta-

to però anche un altro aspetto,

più oscuro e materialistico, che

riguarda il problema delle ricer-

che su Google e del negazioni-

smo, quello economico, ipotiz-

zando che il motore di ricerca

Il 2017 nel segno della lotta alle bufale online

u Le bufale online sono diventate una vera preoccupazione, arrivando a

poter influenzare l’elettorato di alcuni paesi. Ma prima, c’è un’altra

bufala molto pericolosa che corre sul web e che ancora non si è riusciti a

fermare: quella negazionista. Ora nuovi provvedimenti potrebbero

rendere più difficile la vita a quel mondo antisemita che ancora cerca di

negare la Shoah.

7

6

5

4

3

2

1

0

1976

1978

1980

1982

1984

1986

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1990

1992

1994

1996

1998

2000

2002

2004

2006

2008

2010

2012

2015

1992

Dato

an

nu

o r

isp

ett

o a

lla m

ed

ia 1

976-2

015

Regno Unito

Italia

Francia

Germaniae Austria

Belgio

Paesi scandinavi

Source: Central Bureau of Statistics, Israel; American Jewish Year Book, Graham (2011). See Appendix for details.

u Migrazione annua verso Israele rispetto al dato medio della migrazione verso Israele relativo al perioso 1976-

2015. Il dato medio corrisponde a 1, e il grafico evidenzia di quanto il dato annuale si discosta dalla media. È

evidente la similarità fra i paesi considerati fino al 2000, con dati che vanno dalla metà a due volte il valore medio.

di basarsi sui comportamenti, dalui ritenuti più affidabili come mi-sura di opinioni e atteggiamenti. Imovimenti migratori sono un ele-mento molto rilevante nella de-mografia ebraica: gli ebrei tendonoa spostarsi da un paese all’altro, siacome risposta ai mutamenti dellecondizioni economiche che al cli-

ma politico. Se non si sentonobenvenuti in Europa, molto sem-plicemente, se ne vanno. In Europa sono due i processi ri-levanti, da un punto di vista ebrai-co: la trasformazione demografica,dovuta principalmente ai movi-menti migratori significativi pro-venienti da Medio Oriente, Africa

e Asia, interroga i concetti stessidi integrazione e di acculturazione.In contemporanea una ripresa delragionamento sul passato colonialedel continente e la nascita e suc-cessiva crescita dell’estremismoislamico hanno portato al tentativo- sia intellettuale che anche moltocarico di emotività a volte ecces-

siva - di comprendere il significatodi una trasformazione così impor-tante e di capire a cosa può por-tare, e quali saranno le trasforma-zioni anche future delle istituzionie delle tradizioni europee. Le co-munità ebraiche, indipendente-mente dal loro grado di religiositào di impegno stanno cercando dicomprendere l’impatto delle tra-sformazioni in atto, in un processoche non è preso alla leggera, e chepreoccupa non poco ogni mino-ranza, vulnerabile per definizione.La scelta di Staetsky è di analizzarei dati della migrazione ebraica ver-so Israele relativamente a sei paesieuropei - Belgio, Francia, Germa-nia, Italia, Svezia e Regno Unito -scelti perché vi risiede quasi il 70per cento della popolazione ebrai-ca europea totale e il 7 per centodella popolazione ebraica mondia-le. Si tratta di paesi che sono pro-fondamente appartenenti alla cul-

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ORIZZONTI / P9

www.moked.it

pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

guadagni sulla popolarità dei siti

antisemiti e negazionisti. Già per-

ché indirizzare un utente che fa

ricerche sul tema della Shoah al-

la propria pagina tramite la pub-

blicità del sistema Google Ad-

Words, costa all’istituto due dol-

lari a click. Una cifra altissima,

per chi ha familiarità con il fun-

zionamento del sistema.

“Non possiamo permetterci di fa-

re troppa pubblicità perché è

molto costosa. E lo è, perché è

molto popolare. È così che fun-

ziona: si paga di più per pubbli-

cizzare le scarpe Nike di quelle

di un altro brand. Questo è lo

stesso. È un tema caldo, e quello

che mi disturba è che un sito ne-

gazionista è lì in cima ai risultati.

È nauseante, assolutamente nau-

seante” ha sottolineato il diret-

tore comunicazione del Museo,

David Schendowich.

Se il museo può comunque avva-

lersi di uno specifico contributo

di Google volto proprio a finan-

ziare no profit e enti educativi

perché possano promuovere i lo-

ro contenuti sul web, c’è da chie-

dersi come mai “fare pubblicità”

presso gli utenti che cercano pa-

role legate alla Shoah sia così co-

stoso (a grandi linee, nel sistema

di Google AdWords, il costo di

ogni click è determinato in base

a quanto siano disposti a pagare

gli inserzionisti perché il proprio

sito compaia con visibilità nei ri-

sultati degli utenti che ricercano

quei particolari termini scelti).

Google ha decisamente negato,

ricordando anche come il proprio

interesse sia offrire risultati au-

torevoli e che sono diverse le sue

iniziative per evitare che siti di

bufale e odio prevalgano, inclusi

i fondi messi a disposizione dello

stesso Museo Breman.

Tuttavia, dopo alcune settimane

da quando il motore di ricerca

ha promesso di intervenire, il pri-

mo risultato digitando la doman-

da “did the Holocaust happen” ri-

mane uno dei più perversi siti ne-

gazionisti del mondo. I rappre-

sentanti di Google spiegano che

ci vuole tempo. L’interrogativo è

quanto tempo rimanga. Perché i

catastrofici risultati di un web

senza responsabilità sono sem-

pre più profondi.

Rossella Tercatin

tura europea, e che condividonola sfida posta dalla crescente di-versità sia culturale che religiosa.Per di più si tratta di paesi in cuila percezione dell’antisemitismo èstata recentemente monitorata, co-sì da avere a disposizione sia i datisull’esposizione all’antisemitismoche sul livello di preoccupazionerelativa allo stesso.I dati sui fenomeni migratori che

coinvolgono la popolazione ebrai-ca sono documentati in manieramolto precisa. Il primo passaggioè quindi stato un confronto attentofra i dati più recenti sull’emigra-zione ebraica dall’Europa versoIsraele e le informazioni preesi-stenti, che risalgono al 1948, rac-colte da un paese che, sin dalla suafondazione, si è dimostrato attentoe molto ben attrezzato per gestire

i dati sia statistici che demografici.Sono evidenti, dai dati raccolti, duepicchi di migrazione in corrispon-denza della creazione dello Statodi Israele e dopo la Guerra dei SeiGiorni. Ma se vogliamo definireun esodo come - secondo lo studio- una migrazione del 30 per centodella popolazione, allora è possibiledire con certezza che non sta suc-cedento nulla del genere. In Belgio,

Francia e Italia fra il 2010 e il 2015circa il 4 per cento della popola-zione ebraica è andata a vivere inIsraele, mentre per Germania, Re-gno Unito e Svezia il dato non su-pera l’1,7 per cento, si tratta di unacifra molto diversa da quella for-bice 25/50 per cento consideratoarilevante in un’ottica comparatista.Il vero punto di debolezza dell’ana-lisi presentata, secondo l’autore, è

che non sono noti i dati relativialla migrazione verso gli Stati Uni-ti, il Canada o altrove. Nè, in realtà,sono ancora state raccolte e ana-lizzate sufficienti informazioni sucoloro che provano a trasferirsi inIsraele e decidono, per i motivi piùsvariati, di fare ritorno al paesed’origine.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

Guardando Israele da fuori

Le storie di figli che usurpano i padriabbondano nei testi antichi. Nel Ta-nakh c’è Avshalom, che si dichiara re,muove guerra al genitore David, ar-rivando, in un atto di sfregio alquantoedipico, a coricarsi pubblicamente conle concubine di lui. Nella mitologiagreca Crono detronizza il padre Uranoper poi vedersi detronizzato dal figlioZeus. Ora, se sono questi i miti fon-danti della civiltà occidentale, un mo-tivo ci sarà. Quello dei figli, letterali emetaforici, che provano a fare le scar-pe ai genitori è un pattern ricorrentenel comportamento umano, una for-ma di hybris comune nella vita privata, così come negli affari e nella cosa pubblica. La politica israeliananon fa eccezione. Che Naftali Bennet, il giovane e brillante leader di HaBait Hayehudi, sotto sotto puntassea fare concorrenza a Benjamin Netanyahu lo si sospettava già da tempo, ma nelle ultime settimane è di-ventato più evidente: sfruttando un dossier recente, per esempio, Bennett ha accusato i vertici delgoverno e dell’esercito (cioè, indirettamente, anche il suo capo, Bibi) di «eccessiva rigidità» durante l’ope-razione Tzuk Eytan; poi ha fatto circolare sondaggi secondo cui, se ci fosse lui alla guida del partito, ilLikud stravincerebbe le elezioni. Oggi Netanyahu, uno dei leader più longevi nella storia di Israele, si trovain una situazione in cui la minaccia politica non arriva più dall’opposizione, cioè da sinistra, ma dall’internodel suo stesso campo, ovvero da destra. Chi sta provando a metterlo alle corde è un suo ex pupillo:Bennett infatti un tempo era un fedelissimo di Netanyahu, praticamente una sua creatura, prima chedecidesse di fondare un altro partito. Le anime candide evitino di storcere il naso: sognare di prendere ilposto dei padri fa parte della natura umana, e la storia tende a ripetersi.

Anna Momigliano

Bibi, Bennett e il futuro

u Il grafico confronta il numero medio di migranti dai paesi selezionati verso Israele nel

2014-2015 con il numero di ebrei che dovrebbero partire per ridurre la popolazione ebraica

del paese di un terzo, ossia il livello di migrazione che ha caratterizzato la Germania nazista.

Il numero medio attuale è indicato dalla linea rossa, mentre gli istogrammi in blu

rappresentano i numeri necessari all'esodo ipotizzato.

u Il grafico mostra uno scenario ipotetico, ossia cosa succederebbe se il dato sulla

migrazione verso Israele restasse quello del 2014-2015. Francia e Italia perderebbero l'8 e il

7 per cento della propria popolazione ebraica, il Belgio ne perderebbe il 5 per cento, la

Svezia poco meno del 2 per cento mentre la riduzione della popolazione ebraica britannica

sarebbe intorno all'1 per cento, e quella tedesca dello 0,7 per cento.

10

9

8

7

6

5

4

3

2

1

0

8%

7%

5%

1,8%

1,1%0,7%

30.000

25.000

20.000

15.000

10.000

5.000

0

26.125

16.225

6.490

Francia Italia Belgio Svezia Regno Unito Germania Francia ItaliaBelgio SveziaRegno Unito Germania

Rid

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8251.5401.650

6.587

555 134 223 338

44

n Numero di migranti necessario a ridurre la popola-zione ebraica nazionale di un terzon dato medio relativo al periodo 2014-2015

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Noam Bar Levy è laureato inScienze e storia del Medio Orienteall’Università Tel Aviv e in urba-nistica all’Università Ebraica di Ge-rusalemme. Assistente di due par-lamentari di Avodà alla Knesset eportavoce di Stav Shafir “la rossa”,ha curato un progetto per la rego-lamentazione delle condizioni edei prezzi degli immobili in affitto,cruccio per molti giovani israeliani.Oggi lavora nel “Innovation Team”della municipalità Tel Aviv – Yafodedicandosi al tema dei rifugiati edei lavoratori stranieri.

Noam, anzitutto puoi darci il punto

della situazione?

La maggior parte dei lavoratoristranieri sono richiedenti asilo, diquesti i più provengono dal Cornod’Africa. Per un certo periodo ognigiorno arrivavano rifugiati attra-verso il Negev. Israele non sapevache cosa fare. Li si accettava, ve-nivano portati in centri di deten-zione e dopo qualche mese liberaticon un biglietto per Tel Aviv. Edov’è la stazione centrale degli au-tobus a Tel Aviv? Nel zona suddella città. Così arrivavano in unquartiere già povero e lì si instal-lavano.

Sappiamo che i rapporti tra i resi-

denti di questa zona e i lavoratori

stranieri/richiedenti asilo non sono

dei migliori…

Si è creata una grande tensione trai richiedenti e gli abitanti del sudTel Aviv che si sono trovati a es-sere minoranza nel loro quartiere.Improvvisamente hanno visto tut-to trasformarsi. Le insegne dei ne-gozi in lingue sconosciute, alimentiafricani. A questo bisogna aggiun-gere il problema demografico,strutturale a Israele. Comunque so-no convinto che la questione cen-trale sia di ordine economico: lazona sud era già problematica pri-ma e non poteva che esserlo di piùcon l’arrivo di nuovi poveri.

Certo ci sono i problemi sociali. Ma

le istituzioni come hanno reagito a

questa situazione?

Penso alla Germania, lì lo Stato haadottato nel passato recente (finoai nuovi provvedimenti dell’ottobre2016) un metodo preciso, i richie-denti ricevono lo status di rifugiato.Israele non può permetterselo. Al-lo stesso tempo Israele ha firmatola Carta Internazionale e dato che

il Sudan e l’Eritrea sono qualificaticome stati pericolosi non può re-spingere i richiedenti. Quindi il ri-chiedente non riceve lo statuto dirifugiato e allo stesso tempo nonviene rimandato indietro. Sui do-cumenti è scritto: “infiltrato rego-

lare senza permesso di lavoro”. Èintervenuta la Corte Suprema conuna sentenza che sostanzialmentediceva: “non è permesso agli infil-trati di cercare lavoro”, ma anche– sulla base di un’altra norma-: “èproibito alla polizia di imporre ai

proprietari il licenziamento di in-filtrati”.

Gli effetti di questa situazione li ve-

diamo nelle cucine di ogni locale di

Tel Aviv. Oltre ai richiedenti ci sono i

loro figli, eventualmente nati in

Israele…

Ogni anno la municipalità di TelAviv deve inserire i bambini dei ri-chiedenti asilo nelle scuole mater-ne e come reazione i genitori re-sidenti ritirano i loro bambini. Direcente la municipalità ha decisodi aprire una scuola secondaria aifigli dei richiedenti. Ci sono statemanifestazioni dei residenti controquesta decisione che concentravatutti i figli dei profughi in un’unicazona, in più assegnandole una po-sizione privilegiata, vicino al parco.Così la municipalità ha cercato unaltro luogo, dovendo allo stessotempo attenersi alla sua policy cheè quella di individuare una strut-tura prossima alla zona di residen-za degli utenti. Hanno individuatouna scuola che è un vero statussymbol dell’alto livello d’istruzioneper gli olim russi i quali vi man-dano i loro figli anche quando abi-

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraicheERETZ

Sei Giorni: il 2017segna un anno

denso di anniversari tondi e signi-ficativi per la storia di Israele. Dalprimo documento con cui il go-

verno di Sua Maestà britannica,l’allora potenza mandataria, espres-se il suo favore alla creazione diun focolare ebraico nella terra do-ve per millenni gli ebrei avevano

aspirato a tornare, all’atto intrapre-so dalla comunità internazionalecon cui lo Stato venne effettiva-mente a esistere, fino al momentoche significò la riconquista ebraica

del Kotel, il Muro occidentale delTempio di Gerusalemme, dellaCittà Vecchia, dei quartieri est dellacittà, e con essi della Cisgiordania,dal 1948 in mano alla Giordania. È proprio quest’ultimo evento aessere considerato ancora oggi unosnodo (o nodo) essenziale del di-battito in Israele e fuori per quantoriguarda i rapporti con i palestinesi.Comincia così infatti il suo con-trollo politico e militare sui territoricontesi, o Giudea e Samaria. Co-mincia così anche la nascita inquelle zone di nuclei abitati da cit-tadini israeliani di religione ebraica,generalmente noti come insedia-menti. L’idea di Zimmerman è quella didare voce ai protagonisti veri, trop-po spesso “ridotti al silenzio” per-ché rappresentati da chi non li rap-presenta davvero, “nel caso dei pa-lestinesi e dell’Autorità palestinese”,oppure da chi ha la tendenza acontrapporre alle accuse infamantirivolte a Israele “i suoi successi tec-nologici, o le spiagge di Tel Aviv,”senza ascoltare chi è sul campo edunque rispondere in modo ade-guato. La ragione per cui, secondo Zim-merman, entrambe le parti non

Tel Aviv e la sfida dell’integrazione

“Quando viene organizzata una‘Apartheid Week’ in una università,e gli attivisti in favore di Israele ri-spondono con una ‘Hummus We-ek’, non soltanto non prendono inconsiderazione i 450mila abitantiche vivono da questo lato della Li-nea Verde, ma addirittura minanola credibilità di tutto lo Stato ebrai-co”. Sono parole forti quelle pro-nunciate da Avi Zimmerman, di-rettore dell’American Friends ofAriel, organizzazione che offresupporto allo sviluppo dell’omo-nimo centro situato all’altezza diTel Aviv ma circa 20 chilometri aest della Linea Verde. Parole chemirano a lasciare il segno e a mo-dificare i parametri del dibattitosulla questione israe-lo-palestinese, attra-verso il lancio diun’iniziativa sul mo-dello dei famosi TedTalks, la no profitamericana nata perdiffondere idee attra-verso brevi e potentidiscorsi. Cento anni dalla di-chiarazione Balfour, settanta dalvoto delle Nazioni Unite sulla Par-tizione, cinquanta dalla Guerra dei

“Insediamenti, dobbiamo parlarne”

u Avi Zimmerman, direttore dell’American Friends of Ariel, organizzazione che sostiene

l’omonimo insediamento nella West Bank, ha lanciato un progetto volto a parlare della vita

proprio negli insediamenti, cercando di superare diffidenze e ostilità del grande pubblico.

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tano in zone lontane, spesso fuorida Tel Aviv.

Quindi la municipalità ha potuto uti-

lizzare la policy della vicinanza per

riservare ai figli dei richiedenti asilo,

che risiedevano nella zona, un posto

nelle scuole invece che agli olim rus-

si, che risiedevano lontano?

Non solo. Oltre a questa policy,che permette di dire “tel avivimprima di tutti”, c’è anche il dirit-to–dovere dei ragazzini, vincolanteper le istituzioni, ad essere inseritinelle strutture. Così hanno decisoche dall’anno prossimo i figli deirichiedenti asilo saranno assegnatia quella scuola.

Ora però raccontaci qualcosa del tuo

lavoro specifico in questo ambito.

Il progetto si occupa della convi-venza delle diverse comunità: con-vivere, non per forza amarsi. Se-condo noi si deve fare in modoche le diverse comunità stiano be-ne in quanto tali, dopo si può la-vorare alla convivenza. A questoscopo abbiamo chiesto alle diversetipologie di popolazione i servizidi cui sentivano di aver bisogno.Per quanto riguarda i profughi, ilprincipale problema è rappresen-

tato dagli adolescenti: dopo l’orarioscolastico non hanno attività e fi-niscono in strada. Questi adole-scenti imparano l’ebraico, studianocos’è il sionismo e la storia del-l’ebraismo. Si formano come israe-liani e poi a 18 anni che cosa suc-cede? Non entrano in Zahal. Ilconflitto identitario è grande, a ciòsi aggiungono le condizioni di po-vertà. Abbiamo proposto alla mu-nicipalità di organizzare dei centri

sportivi e ricreativi, per fare attivitàdi gruppo, dalle gite all’aiuto neicompiti a casa. Non possiamo ri-solvere il loro problema di identitàdal punto di vista politico ma pos-siamo dare un significato alla lorovita, fornire una cornice dentro laquale si sentano di appartenere.

Mentre per quanto riguarda le ne-

cessità dei residenti?

La necessità più grande è quella

della sicurezza. L’idea è di formaregiovani che aiutino gli anziani auscire, affinché non si sentanoestranei nelle proprie strade e ne-gozi. Inoltre è necessario un ragio-namento più complesso. Tel Avivguarda a se stessa come metropoli.L’immigrazione è un fenomeno co-mune di tutto il mondo occiden-tale, quindi si tratta di trasformarela cosa da negativa in positiva. Unpunto di partenza è la cultura cu-

linaria, qualcosa che tutti possonoamare, attraente proprio per la suadiversità. Guardiamo a New York,cos’è successo lì? Le culture stra-niere, ad esempio quella cinese,sono diventate un punto di forzadella metropoli, ci siamo detti: “bonaase China Town beTel Aviv”[facciamo una China Town a TelAviv].

Cosimo Nicolini Coen

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017 ERETZ

L’appuntamento cardine del pro-

gramma per il Giorno della Me-

moria in Israele è quello di Yad

Vashem, organizzato dall’Amba-

sciata italiana, che, come ci tie-

ne a sottolineare l’ambasciatore

Francesco Maria Talò, è l’unica

fra le rappresentanze diploma-

tiche a tenere un evento per

onorare il 27 gennaio proprio al

Museo della Shoah di Gerusalem-

me. A intervenire, il presidente

della Hevrat Yehude’ Italia Be-

Israel (punto di riferimento de-

gli italiani di Israele) Sergio Della

Pergola, il direttore della Stam-

pa Maurizio Molinari, e alcuni ra-

gazzi dell’organizzazione Giova-

ne Kehillà, che hanno riflettuto

sul significato del concetto di

Memoria e di Testimonianza per

le nuove generazioni. Numerosi

i momenti dedicati al ricordo dei

crimini nazi-fascisti in tutta

Israele. Ad inaugurarli, è stata

la serata “Fuggire, nascondersi,

salvarsi a Firenze durante la

Shoah” svoltasi al Museo Eretz

Israel di Tel Aviv, con la parteci-

pazione del sindaco del capoluo-

go toscano Dario Nardella. “Noi

fiorentini abbiamo sempre ama-

to Bartali il campione e i suoi

trionfi. Tuttavia vi posso assicu-

rare che dopo aver scoperto i

meriti di Bartali l’uomo, lo amia-

mo ancora di più. E saremo sem-

pre riconoscenti alla comunità

ebraica e a Israele per averci

permesso di scoprirlo” ha tra

l’altro sottolineato Nardella,

rendendo onore all’impegno del

grande ciclista riconosciuto da

Yad Vashem come Giusto tra le

Nazioni.

L’incontro ha poi fornito l’occa-

sione di ascoltare le note dei

“Violini della Speranza” recupe-

rati dai campi di sterminio e ri-

portati alla musica dal liutaio

Amnon Weinstein. Introdotti

dall’addetta culturale dell’am-

basciata Elena Loewenthal han-

no poi portato la testimonianza

delle storie personali e familiari

degli anni della persecuzione Al-

do Baquis e David Cassuto, en-

trambi di origine fiorentina. Tra

le iniziative per il Giorno della

Memoria anche la proiezione del

film Kapò di Gillo Pontecorvo a

Haifa, promossa dall’Istituto di

Cultura italiana della città.

Al Museo Eretz, note di testimonianzaú– KOL HA-ITALKIM

hanno l’opportunità di esprimersi“è il fatto che la comunità inter-nazionale da molto tempo ha de-ciso di procedere verso una solu-zione di due Stati e la conversa-zione sul tema prende di conse-guenza questa forma. E tutti pen-sano di poter risolvere la questioneal posto di israeliani e palestinesisenza interpellarli. Ma questa co-mune lamentela può offrire ancheun’opportunità, quella di condivi-dere lo stesso rimedio”. Il rimedio,o almeno parte di esso, sono pro-prio i Talk17, “un esperimento so-ciale per riconfigurare il paradig-ma”, coinvolgendo gli abitanti dellazona, israeliani e palestinesi, of-frendo loro una possibilità di farsiascoltare dal mondo. Tra i videocaricati entro la fine di gennaio,oltre a quello dello stesso Zimmer-man, anche la testimonianza diSheikh Omer Salem, accademicoamericano-egiziano e fondatoredell’organizzazione interreligiosaIbn Rushd Institute for Dialogue,che nel suo intervento spiega inparticolare come il popolo ebraicovenga descritto e considerato nelCorano e percepito dai musulmanioggi, e quello del rabbino YehudaHaKohen, che si definisce un “at-tivista per la pace alternativo” so-stenendo tanto la presenza ebraicanei Territori quanto il dialogo coni palestinesi, ma a livello di vicini

e cittadini piuttosto che di leaderpolitici. Certo i Talk17 non sonol’unica iniziativa che si propone diriflettere sulla direzione del discor-so politico e aspirazionale intornoalla questione israelo-palestinese.Qualche mese fa per esempio, ungruppo di intellettuali, tra cui loscrittore David Grossman, avevaproposto un appello per ‘SalvareIsraele - Fermare l’Occupazione’:“La nostra migliore speranza peril futuro - la via più sicura per si-curezza, pace e prosperità - risiedein una soluzione del conflitto israe-lo-palestinese negoziata che portiall’istituzione di uno Stato palesti-nese indipendente vicino a Israele”,si legge nel documento, che de-nuncia le conseguenze dello statusquo sulla vita dei palestinesi e peri principi morali a cui si richiamalo Stato ebraico, chiamando al-l’azione anche le comunità ebrai-che della Diaspora. Approccicompletamente opposti, un solopunto in comune: cinquant’annidopo il 1967, il suo esito è unaquestione sentita, considerata es-senziale, da affrontare. Se questosarà sufficiente a creare una basedi confronto anche fra componentidiverse in seno alla società d’Israeleche tante volte fatica a dialogarecon se stessa, potrebbe rivelarsi lavera domanda per il 2017.

r.t.

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraicheINTERVISTA

ria viene

fatto un

grande lavoro in ambito scolastico.

Lei ha fatto parte del Consiglio del

Centro internazionale per l’Educazio-

ne su Auschwitz e l’Olocausto. Cosa

ne pensa?

La difficoltà maggiore per i sistemiscolastici è avere presente in ognimomento che la memoria, l’edu-cazione alla memoria può funzio-nare solamente in un quadro sto-rico, non è legata solo all’educa-zione civica, o a un sistema filoso-fico. Deve permettere di arrivarea cogliere con chiarezza il raporto

fra la Shoah e l’oggi. E il pericoloche non si riesca a trasmetterne ilsenso ci sarà sempre. La memorianon è un miracolo.

Inoltre va ricordato che sono ormai

pochi coloro che possono racconta-

re Auschwitz, e in un tempo non lon-

tano non ci saranno più neppure lo-

ro. Cambierà tutto?

No, questo non lo credo. E non lodico per sminuire il loro ruolo, an-zi. I testimoni hanno fatto tuttoquello che era umanamente pos-sibile. Hanno raccontato, scritto,ripetuto la loro storia così tante

volte e in così tante maniere chela loro scomparsa definitiva saràcertamente un momento di pas-saggio, ma non sarà un rischio perla memoria della Shoah. Abbiamolibri, filmati, trascrizioni, documen-tazione di ogni genere. Non c’ènessuna possibilità di ignorarequello che è stato. Né di dimenticarlo.

Lavorare ad Auschwitz significa an-

che - lo racconta in Non c’è una fine

- compiere ogni giorno le scelte che

altrove potrebbero essere normale

amministrazione, ma che per lei cer-

to non sono mai banali.

C’è una tensione costante fra quel-lo che io credo in tutta onestà siameglio fare e il senso enorme diresponsabilità per decisioni chenon posso prendere da solo. Maalla fine la responsabilità è mia.

Non c’è una fine non è la sua prima

pubblicazione.

No, ma con questo libro - che è ilprimo tradotto in italiano - ho cer-cato di fare una cosa diversa, ossiadi raccontare come vive e che pro-blemi si pone una persona comeme che ogni mattino si alza e, perlavoro, va ad Auschwitz. E si oc-cupa anche di molte cose cui nor-malmente non si pensa.

Parla della quotidianità?

Esattamente. La vita quotidianaad Auschwitz è molto particolare.È un Luogo che ho visto in tutti isuoi aspetti, di giorno e di notte,col sole e con la pioggia, col caldoe nel gelo. Ho passato molte orecamminando per il campo.

Non è difficile?

Sì. Lo è.

È diventato meno difficile?

No. Pensavo, in effetti, forse anchesperavo che si arrivasse a trovareuna qualche forma di quotidianità.Che col tempo diventasse più fa-cile. Credevo si potesse arrivare auna normalità. Ad Auschwitz in-vece non esiste. E credo non possaesistere.

Aveva poco più di trent’anni, nel 2006 quando ha assunto la respon-sabilità di dirigere il Memoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, dopoesserne stato per lungo tempo segretario. Piotr Cywinski, che è statopresidente dell’Associazione degli intellettuali cattolici di Varsavianonchè ambasciatore dell’Anno internazionale del dialogo intercul-turale nel 2008, è membro del Consiglio polacco di cristiani ed ebreie dal 2005 al 2014 ha avuto anche il ruolo di direttore del Consigliodel Centro internazionale per l’Educazione su Auschwitz e l’Olocausto.L’impegno è quasi una tradizione familiare: suo padre, filosofo, atti-vista dell’opposizione democratica, è stato un rappresentante attivodel dialogo tra cattolici e laici in Polonia, e del Kik, la rete dei Club diintellighenzia cattolica di cui era parte anche Tadeusz Mazowiecki,noto anche per la sua lotta a xenofobia e antisemitismo, diffusi nelsuo paese anche tra le fila della Chiesa. Non c’è una fine. Trasmettere

la memoria di Auschwitz (pubblicato come Epitafium, nel 2012) eda poco uscito per Bollati Boringhieri è il suo primo li-bro tradotto in italiano.

ú–– Ada Treves

Il primo pensiero, al giungere diPiotr M.A. Cywinski, nato nel ‘72a Varsavia, laureato in Storia a Stra-sburgo e da dieci anni direttore delMemoriale e Museo di Auschwitz-Birkenau, è che davvero sia neces-sario avere le spalle larghe per reg-gere a una simile enorme respon-sabilità. Barba rossa, lungo cap-potto nero che rende ancora piùimponente il suo aspetto, questogigante gentile indossa vestiti co-modi, poco formali, e porta ai piedienormi scarpe da montagna. È unuomo pacato, dall’eloquio lento,che prima di rispondere si prendetutto il tempo neces-sario. Silenzi anchelunghi, con lo sguar-do rivolto a terra, acercare le parole perrisposte mai banaliné scontate. Piotr Cywinski si sta-va riprendendo dauna brutta influenza, ma la deci-sione di venire lo stesso a Milanol’ha presa anche perché “oltre alpiacere di presentare il mio librocon persone così interessanti vo-levo vedere il Binario 21, un luogodi cui avevo sino ad ora solo sen-tito parlare”. E il luogo, in effetti,colpisce anche il “direttore di Au-schwitz”, così come tutti coloroche visitano il Memoriale dellaShoah di Milano, dove a turbareancora di più arriva regolare il ru-more dei treni che arrivano e so-prattutto che partono dalla Stazio-ne Centrale.

Memoria: a gennaio molto se ne par-

la, e nonostante ciò troppo spesso

viene scritta con la M maiuscola per

essere contemporaneamente svilita

e svalutata. Si sente la necessità di

mettere dei punti fermi. Su cosa

possiamo contare, davvero? Cosa

manca?

Abbiamo certamente due cose: iracconti dei testimoni, e l’autenti-cità del Luogo, una parola per laquale ho scelto l’iniziale maiuscola.Dobbiamo tenere lo sguardo versoil passato, per non dimenticarequello che è stato, e contempora-neamente proiettarci con un ribal-tamento verso il futuro. La memo-ria non ha senso se non muove,se non commuove, se - soprattutto- non rende più responsabili.

All’avvicinarsi del Giorno della Memo-

“Ad Auschwitz non c’è mai una fine”Nessuna risposta scontata: sono molte le domande e i dubbi con cui si confronta il direttore, Piotr Cywinski

Piotr CywinskiNON C’È UNAFINE BollatiBoringhieri

Dalle mie conversazioni e dai racconti delle

guide so che i visitatori chiedono di frequente

come fosse possibile che le vittime della Shoah

percorressero le ultime poche centinaia di me-

tri con tale calma. Perché non indietreggia-

rono? Perché non provarono a scappare? Per-

ché non si batterono? Queste domande sono

solitamente poste in buona fede da giovani

che cercano di immaginare come avrebbero

reagito loro in una situazione del genere. Ep-

pure, queste domande, come nessun’altra,

provocano nei sopravvissuti un’irritazione in-

volontaria e sconfinata, rivelando la massima

mancanza di comprensione.

È impossibile comprendere il tragico destino

degli ebrei durante la Shoah se non si pren-

dono pienamente in considerazione due po-

tenti alleati al servizio delle SS nella realizza-

zione del loro piano. Il programma della So-

luzione Finale prevedeva che le persone avreb-

bero lasciato le loro case, le loro proprietà, il

loro quartiere, sarebbero salite su carri be-

stiame, ne sarebbero scese, avrebbero percor-

so le ultime poche centinaia di metri, si sa-

rebbero svestite e avrebbero varcato la porta

ermetica della camera a gas senza battersi né

opporre resistenza. E lo avrebbero fatto in

massa, come pecore. Al tempo, il problema

maggiore per i tedeschi era la guerra. Con la

guerra in corso, l’apparato necessario di ter-

rore, violenza e forza brutale non poteva es-

sere impegnato nel procedimento della Shoah.

Le unità dovevano essere schierate al fronte.

Perciò vennero utilizzate altre due forze, forse

ancora più potenti e spietate. Erano ben in-

dirizzate e molto efficaci.

La prima forza, collaboratore silenzioso, era

la famiglia. Per quanto possibile, i trasporti

erano organizzati in modo da contenere fa-

miglie intere. Non era una coincidenza e non

Quando i valori positivi furono degradati e complici

Gio

rgio

Alb

ertin

i

Page 13: Facciamo i conti con il futuro dell’Italia ebraica - Moked · La prima volta della grande corsa Run for Mem, il concerto che riporta alla luce le musiche degli internati a Ferramonti,

diano, dopo migliaia di visite, im-provvisamente crollano. Così. Sen-za un motivo apparente.

Questo libro quindi vuole essere un

messaggio anche per loro?

Non so se voglio dare un messag-gio. Si tratta semplicemente di unatestimonianza. È il mio modo dirispondere alle tantissime doman-che che mi vengono rivolte in con-tinuazione, ogni giorno.

Che genere di domande?

È impossibile raccontarle tutte: siva dal semplice ma impossibile“Come fai?” all’altrettanto impen-sabile “Cosa farai dopo?”. C’è chimi chiede perché conserviamo lestrutture del campo, e chi vuolesapere perché non le restauriamocompletamente. Altri mi chiedonose la mia è una vocazione.

È una vocazione?

Non saprei come definirla. Forsemissione. Forse. È difficile trattarecome vocazione qualcosa chesommerge, una cosa su cui non sipuò essere all’altezza.

In italiano il suo libro si intitola Non

c’è una fine. Trasmettere la memoria

di Auschwitz. Il titolo originale era

Epitafium.

Sì, è anche il titolo dell’ultimo ca-pitolo, in cui racconto che in unadiscussione sull’ipotesi di modifi-care l’esposizione principale la stu-diosa della Shoah Havi Dreyfusschiese solo: “Cosa ci sarà alla finedell’esposizione? Come sarà la fi-ne?”. Rispondo che non c’è una fi-ne. Non può essercene una. Sareb-be una soluzione troppo semplice.Inoltre non saprei dove una finepotrebbe essere collocata. Non c’è una fine.

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017 INTERVISTA

ú– DONNE DA VICINO

Racheli Racheli Langford è una neuroscien-ziata israeliana trentaquattrennefondatrice di JFriends. A Londra,dove vive da qualche tempo, è statainvitata a cena un venerdì sera: trachiacchiere e canti è nata l’idea dicreare un network dedicato a gio-vani imprenditori e professionistiebrei con il motto “Love life, lovefriends, love Shabbat” e l’obbiettivodi riunire intorno alla tavola del Sa-bato persone eterogenee per prove-nienza, formazione e osservanza maaccomunate dal desiderio di condi-videre la loro identità ebraica e met-tere in rete le esperienze lavorative.Il primo passo è stato la ricerca divolontari disponibili ad aprire leloro case e facilitare le conoscenzereciproche. Nell’area di GoldersGreen, in cui vivono molte famiglieebraiche, le serate hanno rapida-mente assunto cadenza settimanale.Gli iscritti al progetto sono oggioltre duemila.

Da cosa nasce cosa, le gite nelle ca-pitali europee sono diventate getto-natissime: a Roma ha avviato unacollaborazione con Delet, ad Am-sterdam con Moishele House e, na-turalmente, in Israele. La giornata lavorativa di Racheliscorre su tutt’altri binari: è specia-lizzata nell’analisi della strutturadel cervello e delle sue cellule. Parladegli studi che hanno valso il Nobela Rita Levi Montalcini, da lì è par-tita per approfondire alcuni aspettimeno conosciuti e pubblicare il suoprimo libro “Wanted: A Knight inShining Armour” apparso in in-glese nel 2009. Sceglie parole sem-plici, frasi brevi, parla lentamentescandendo i termini più ostici,vuole far partecipe chi è digiuno dineuroscienze, spiegare, testare lesue conoscenze sui profani. Dallamamma Jocelyn, ricercatrice di fi-sica quantistica, ha ereditatol’amore per la vita di laboratorio eper i microscopi, ride divertita e ag-giunge: “Sai cosa la univa a miopapà? La passione per il vetro.” Sìperché il papà è Jeremy Langford,un noto scultore che utilizza il vetroper realizzare opere di grande im-patto emotivo come il Memorialedella Shoah, accanto al Kotel a Ge-rusalemme.

ú–– Claudia De BenedettiProbiviro dell’Unionedelle ComunitàEbraiche Italiane

Ci sono anche altri che vi lavorano.

Ogni giorno.

Appunto. E ci sono guide - sonoal momento 286, lavorano in circa

20 lingue diverse - che dopo ma-gari quindici anni di lavoro quoti-

era semplicemente il risultato del fatto che il

viaggio cominciava sempre dalla porta di una

casa di un ghetto o di una città. Dietro ogni

porta viveva una famiglia. Ma non è questo il

motivo per cui gli ebrei venivano spesso tra-

sportati fino alla fine, nei campi, riuniti in nu-

clei familiari. La selezione delle persone abili

al lavoro schiavo si presentava solo nella pe-

nultima fase, praticamente sulla soglia della

camera a gas. Organizzare trasporti per fami-

glie richiedeva che l’intero procedimento fosse

gestito in maniera efficiente. Ma l’idea era dia-

bolicamente semplice. Gli adulti più forti non

avrebbero mai messo in atto alcuna forma di

resistenza, non si sarebbero ribellati e non

avrebbero combattuto se fossero stati accom-

pagnati dai loro bambini piccoli e dai genitori

anziani. In circostanze così, le fughe individuali

non avevano senso. Nessuno avrebbe lasciato

i propri bambini in un carro bestiame diretto

verso una destinazione ignota. Nella storia

della Shoah, ogni qual volta divampò la rivolta,

fu sempre in situazioni in cui la famiglia non

c’era più, quando le persone rischiavano solo

la propria vita, quando non c’era niente – e

soprattutto nessun’altra vita – da perdere. Fa-

cendo i loro ultimi passi, anche se erano sane

e forti, le persone entravano nella camera a

gas con i neonati in braccio, con i figli più gran-

di aggrappati al loro fianco, oppure sorreg-

gendo i genitori anziani e infermi. Aiutavano

i bambini a svestirsi. Appaiavano insieme le lo-

ro piccole scarpe. Si concentravano per calma-

re i loro bambini terrorizzati, non per opporre

resistenza, cospirare, scappare o combattere.

Intere famiglie venivano assassinate insieme.

Sì, perché quello era l’unico modo possibile per

farlo. L’altro alleato, forse ancora più potente

del primo, era la speranza. Alle persone che

temono il peggio è sufficiente gettare un bri-

ciolo di speranza ogni tanto. Nelle situazioni

di estremo pericolo la maggior parte delle per-

sone perde la capacità di analizzare lucidamen-

te la propria condizione. Questa è la ragione

per cui ai soldati si insegna a non pensare ma

ad agire istintivamente. Le persone minacciate,

inconsciamente tendono ad aggrapparsi feb-

brilmente a tutto, e non riescono così a rico-

noscere il vero pericolo. Era sufficiente sugge-

rire la più sottile punta di speranza per far sì

che la ingigantissero oltre ogni proporzione e

modificassero la loro percezione della realtà.

Anche le persone più testarde ingannavano sé

stesse. Gli incentivi alla speranza venivano for-

niti deliberatamente. Le SS dicevano loro:

«Viaggerete verso est, lì lavorerete, portate le

vostre cose più essenziali». «Fate un segno di

riconoscimento sul vostro bagaglio, così là vi

sarà più facile ritrovarlo». «Sbrigatevi, dovete

ancora lavarvi, ci sarà del tè caldo ad aspet-

tarvi». «Appaiate le vostre scarpe, così non le

perderete». «Avete ricevuto tutti la saponetta

e l’asciugamano?» Persino mentre entravano

nella camera a gas potevano effettivamente

vedere (false) docce. Poi la porta veniva chiusa,

ed era troppo tardi. Piotr Cywinski

Gio

rgio

Alb

ertin

i

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraicheCULTURA EBRAICA

u בהדי כבשי דרחמנא למה לךCON LE COSE NASCOSTE DI D.O, TU CHE C’ENTRI?

Torno sul tema della fiducia nel futuro che come è noto, ha molteplici terreni per

essere misurata. Uno di questi, nel mondo occidentale è ad esempio il tasso di fertilità.

Fra i Paesi sviluppati Israele è fra le posizioni più alte in una classifica di ben 195 nazioni,

con 2,75 figli per donna. Solo per dare la misura, l’Italia è al 180° posto e si attesta

ancora peggio se si considera il tasso di natalità che non raggiunge le 9 nascite per

1000 abitanti. Tra le cause che determinano una brusca riduzione della propensione

ad avere figli, hanno un certo peso le incertezze economiche così come le guerre e i

conflitti. Da questo punto di vista mi lascia felicemente stupito come Israele, che

pure convive con la sempre più aggressiva minaccia BDS e il terrorismo, si avvicini a

una cifra di quasi 20 nuovi nati. Nella scelta di metter su famiglia, una dose di fede o

almeno di speranza verso il futuro non deve mancare neppure tra chi insicurezze ap-

parentemente non dovrebbe averne per la solida posizione sociale o lavorativa di cui

gode. Ed invece è consueto incontrare ai vertici della società e nelle posizioni chiave

personaggi che non hanno figli magari per aver assecondato ambizioni di carriera. Il

Talmud racconta di un re d’Israele lambito da tali preoccupazioni.

Nel trattato di Berachot, si narra del re Hizqiyah, malato e senza figli che tentava di

autogiustificarsi asserendo di avere profeticamente visto che la sua prole sarebbe stata

scellerata. Il profeta Isaia gli risponde duramente con la frase: “Che c’entri tu con i

disegni segreti del Misericordioso. Ti ha dato un comandamento, mettilo in pratica, e

Lui farà le Sue valutazioni”. Il profeta gli predice anche che il decreto era stato ormai

pronunciato in Cielo, egli non avrebbe avuto parte nel mondo futuro per questa grave

trasgressione. Ma il re d’Israele non getta la spugna e non si rassegna, gli chiede sua

figlia in sposa, fiducioso che i meriti lo proteggeranno in extremis. Ma questa è una

storia senza un lieto fine. Hizqiyahu aveva fatto predizioni esatte, guarisce si, ma no-

nostante il lignaggio della consorte, diede al mondo tanti figli fra cui Menashè tra i

peggiori re che la Giudea conobbe, colui che istituì nel Paese culti idolatri e prestò il

fianco alle più bieche pratiche fino all’assassinio e all’incesto. In alcune tra le più belle

Ketubbot italiane del XVIII secolo è rappresentato il disegno di un uomo con in mano

metaforicamente un rastrello nell’intento di seminare a cui è congiunta la scritta di

Kohelet (11:6) (Nell’immagine al centro della pagina): “Al mattino spargi la tua semenza

e alla sera non ti fermare”, il verso finisce con le parole “perché non sai quale sarà as-

sennato, questo o quello o anche tutti e due”. Dedico queste righe al mio amico David

Sciunnach in occasione della nascita della sua settima figliola Tanya Simchà. “La saggezza

ha eretto la casa, piantata saldamente su sette colonne” (Prov. 9:1).

Amedeo Spagnoletto

sofer

ú– COSÌ DICE LA GENTE… כדאמרי אינשי

Il tempo è denaro ú– STORIE DAL TALMUDu IL BET DIN DI ROMAHanno insegnato i nostri Maestri: È scritto nella Torah “Tzedeq tzedeq tirdof” (la

giustizia, la giustizia inseguirai) (Deut. 17:2). Che significa la ripetizione della parola

“giustizia”? Vuol dire che si deve ricercare un Bet Din (Tribunale) che sia di ottimo

livello, come quello di rabbi Eliezer a Lod e quello di rabban Yochanan ben Zakkai a

Beror Chail. E a proposito di questa cittadina, è stato insegnato: Se si sente il rumore

del mulino a Burne, è segno che lì ci sarà una milà all’ottavo giorno dalla nascita,

come se il mulino annunciasse a voce alta “È passata la settimana del figlio, è passata

la settimana del figlio”. Infatti, un decreto governativo dell’impero romano vietava

agli ebrei di fare la circoncisione e dovendo farla di nascosto avevano stabilito quel

segno convenzionale. E se si vede la luce della lampada di giorno a Beror Chail,

questa viene a indicare che “C’è un banchetto, c’è un banchetto”, ossia un matri-

monio: infatti, il governo romano aveva imposto che le spose dovessero passare la

prima notte di matrimonio con il governatore, e quindi anche in questo caso scelsero

un segno in codice.

Hanno insegnato i nostri Maestri: “La giustizia, la giustizia inseguirai”. Vuol dire che

si deve andare a cercare le sedi dei Tribunali dove si riuniscono i Saggi, come quello

di rabbi Eliezer a Lod, quello di rabban Yochanan ben Zakkai a Beror Chail, quello di

rabbi Yehoshua a Peqi’in, quello di rabban Gamliel a Yavne, quello di rabbi Aqiva a

Bene Beraq, quello di rabbi Mattia a Roma, quello di rabbi Chanania ben Teradion a

Sikhni, quello di rabbi Yose a Tzippori, quello di rabbi Yehuda ben Betera a Netzivin,

quello di rabbi Yehoshua a Pumbedita, nella Diaspora babilonese, quello di rabbi Ye-

huda haNasi a Bet Shearim, e quello dei Saggi del Grande Sinedrio nell’Aula adiacente

il Santuario di Gerusalemme.

(Adattato dal Talmud Bavlì, Sanhedrin 32b, con il commento di Rashì e altri)

Gianfranco Di Segni

Collegio rabbinico italiano

ú–– Rav Alberto Moshe Somekh

Il 24 agosto scorso l’orologio della torre diAmatrice si è fermato, ma non alle 3.36, l’orain cui il terremoto è cominciato. Le sue lan-cette segnavano invece le 3,38: due minutipiù tardi. Se teniamo conto del fatto che lascossa sismica si è protratta per 142 secondi,comprendiamo ciò che è accaduto: l’orologioha fatto del suo meglio per resistere per tuttala durata della scossa stessa finché, stremato,ha dovuto arrendersi. L’orologio di Amatriceci insegna che il tempo altro non è che lacapacità di resistere al male. La Torah, ag-giungo io, è strettamente legata al tempo.La Torah è un codice di istruzioni su comeresistere al male.Analizzando il problema del male Maimo-nide lo descrive essenzialmente non comeuna realtà a se stante, bensì come mancanzadi bene. “Non si può affermare che D. sia lacausa diretta del Male! Al contrario, tutte leSue azioni costituiscono il bene assoluto...Tutti i mali sono privazioni, cui non si collegaalcuna azione, se nonnel senso… che D. pro-duce la materia con lanatura che le è propria,perennemente associataalla corruzione: il chela rende causa di ognimale”. Maimonide indi-vidua tre specie di malinel mondo, due dellequali sono sotto la di-retta responsabilitàdell’uomo: i mali chegli uomini si infliggono vicendevolmente co-me la tirannia e le malattie, che in gran partesarebbero la conseguenza dei nostri vizi edeccessi. Una terza categoria di mali soprav-viene all’uomo per la natura stessa della ma-teria, che è soggetta a nascita e corruzione:un esempio di questa categoria che non di-pende dal nostro comportamento sono, nellesue parole, proprio gli sprofondamenti delsuolo (Moreh Nevukhim 3, 10-12). C’è mododi intervenire in tutto ciò? Certamente. Unodei significati della ricorrenza di Tu Bi-Shvat,il “capodanno degli alberi”, è legato alla ri-scossione delle decime che aveva applica-zione pratica solo ai tempi del Bet ha-Miq-dash. La prima decima (ma’asser rishon) an-dava annualmente destinata ai Leviti, chenon avevano un territorio dal quale derivarebenefici materiali ma erano legati per il lorosostentamento alle donazioni altrui. La se-conda decima (ma’asser shenì) era dovutain alcuni anni al mantenimento economicodella città di Yerushalaim. Gli agricoltori era-no tenuti a portare un decimo dei loro fruttia Yerushalaim e consumarli entro le mura.Salvo il caso in cui la loro residenza fossemolto distante dalla città, in base a criteristabiliti dalla Tradizione Orale: in tal casoavevano il permesso di “riscattare la decima”trasferendo la qedushah dalla frutta a unasomma di denaro corrispondente. Si sareb-bero impegnati a spendere quest’ultima aYerushalaim.

La Torah scrive testualmente: “Se il camminosarà troppo lungo per te così che tu non pos-sa trasportare quella decima e perché il luogodove l’Eterno tuo D. avrà scelto di far risie-dere il Suo Nome sarà molto distante da te,anche in considerazione del fatto che il S.tuo D. ti avrà benedetto (con prodotto trop-po abbondante per essere trasportato), allorala riscatterai in cambio di denaro coniato estringendolo in mano andrai al luogo chel’Eterno tuo D. avrà scelto. Impiegherai ildenaro per comprare tutto ciò che il tuo ani-mo desidera…” (Devarim 14,25 sgg.).Il No’am Elimelekh dà di questo brano un’in-terpretazione parzialmente allegorica. Se ilBet ha-Miqdash è stato distrutto e non haipertanto la possibilità di raggiungerlo por-tando là le tue decime e pur tuttavia il tuoprodotto è abbondante, sappi che forse pro-prio questo deve spingerti a riflettere: nonpensare solo al denaro che stringi in mano!Dàgli un conio, dàgli una forma sacra, dàgliuna qedushah! Dedica quel denaro a inve-stimenti che lo vedano impiegato non al ser-

vizio di ciò che il corpodesidera, bensì di “ciòche l’anima desidera”.Risparmia cifre ai pia-ceri della vita e desti-nale in tzedaqah, al ser-vizio del prossimo chesoffre; al servizio, nelnostro caso, delle vitti-me del terremoto.Le grandi catastrofi na-turali non hanno forseuna spiegazione causa-

le ma hanno certamente una spiegazione fi-nale: ci vogliono insegnare i valori dell’umanasolidarietà intesa, in termini ebraici, cometzedaqah e ghemilut chassadim, che è ancorapiù grande. La tzedaqah, insegnano i nostriMaestri, si pratica con il denaro, mentre laghemilut chassadim con il denaro e con l’aiu-to di tutta la persona. La tzedaqah è verso ivivi, mentre la ghemilut chassadim è indi-rizzata tanto verso i vivi che verso i morti.Quando il Bet ha-Miqdash fu distrutto e nonfummo più in grado di portarvi né decime,né sacrifici, Rabbì Yehoshua’ piangeva ama-ramente strappandosi le vesti in segno di lut-to ed esclamava: “Maledizione a noi, perchéecco è in rovina il luogo dove i peccati diIsrael sarebbero stati perdonati”. Rabban Yo-chanan ben Zakkay lo consolava: “Non es-sere troppo triste. Ora abbiamo un altro mo-do per farci perdonare i nostri peccati: laghemilut chassadim”. D’ora innanzi nelle no-stre donazioni il nostro prossimo avrebbe inun certo senso preso il posto del S.B.: il no-stro prossimo in quanto creato a immagineDivina. Ora comprendiamo anche la relazione esi-stente fra la prescrizione delle decime e lericorrenze annuali come Tu bi-Shvat, chescandiscono il tempo che passa. Il tempo èdenaro, sentenzia un proverbio: mettiamole nostre fortune economiche al servizio dichi resiste al male. E che il S.B. ci benedicae ci protegga tutti.

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“Scrivete, ragazze mie. Vi capisco benissi-

mo. Ma non siate arrabbiate con me per-

ché vi rispondo in modo così poco appas-

sionato. Il mio sangue si è guastato ma la

mia anima è ancora pura. Scrivete, figliole,

il più possibile, perché per me è una con-

solazione. Con tutto il mio amore”. Sono

le parole che Aba Tarłowski, sopravvissuto

ai lager nazisti, scrive nel 1945 alle figlie

di alcuni amici a un mese dalla sua libera-

zione. Parole cariche di dolore ma anche

di una ricerca intensa di un contatto uma-

no per poter ricominciare la vita interrot-

ta, spezzata dalla violenza. E questa ten-

sione verso il futuro che si ritrova nelle

iniziative protagoniste di questo dossier

dedicato alla Memoria viva. A cominciare

da Run For Mem, la corsa non competitiva

tenutasi a Roma a metà gennaio e a cui

centinaia di persone hanno voluto parte-

cipare: “Desideriamo affermare la vita –

dichiarava Noemi Di Segni, presidente

dell’Unione delle Comunità Ebraiche Ita-

liane, ente che insieme all'associazione

Maccabi Italia e alla Maratona di Roma ha

organizzato l'evento – che continua nono-

stante tutto e nonostante tutti i popoli

che hanno cercato nei secoli di sterminare

ebrei così come altre popolazioni, con ge-

nocidi e massacri”. “La vita continua e con

questa va trasmessa la forza di sopravvi-

vere, di vivere e di avere il coraggio di rac-

contare quanto accaduto affinché non si

ripeta mai più”, la chiosa della presidente.

Ad essere un simbolo di questa “vita che

continua”, Shaul Ladany, testimonial di

Run For Mem: sopravvissuto a Bergen Bel-

sen, sopravvissuto all'attacco terroristico

palestinese alla delegazione olimpica

israeliana di Monaco '72, Ladany ha supe-

rato le controversie della vita di corsa,

senza fermarsi di fronte agli ostacoli. Mar-

ciatore professionista, Ladany ha fatto sua

una filosofia che Andrea Schiavon (autore

del libro Cinque cerchi e una stella. Shaul

Ladany, da Bergen-Belsen a Monaco '72)

ha sintetizzato in queste parole: “Soprav-

vivere è un caso, rivivere è una scelta”. Tra

chi è rimasto ostinatamente aggrappato

alla vita, vi sono coloro che, di fronte alla

persecuzione, risposero continuando a col-

tivare le proprie passioni, in particolare

la musica. È quanto raccontano Viviana

Kasam e Marilena Cittelli Francese con il

loro Concerto della Memoria, giunto alla

quarta edizione, che attraverso le note re-

stituisce dignità a musicisti che, nei campi

di concentramento e internamento come

quello di Ferramonti, continuarono a scri-

vere di musica e a guardare al futuro.

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

a cura di Daniel ReichelDOSSIER /Memoria viva

Un Giorno per correre verso il nostro futuro

IL CONCERTO

La musica di Ferramonti

La storia poco conosciuta del campo di interna-mento di Ferramonti di Tarsia, dove transitarono mi-gliaia di ebrei, raccontata attraverso le note.

IL PROGETTO DELLO YAD VASHEM

Parole dei sopravvissuti

Centinaia di sopravvissuti ai lager scrissero a fami-gliari, amici, conoscenti dopo la propria liberazione.Lo Yad Vashem ha raccolto le loro lettere

IL PROGETTO STOLPERSTEINE

Le pietre del ricordo

Da Roma a Venezia, da Milano fino al piccolo co-mune di Ostra Vetere, in provincia di Ancona. Tor-nano anche quest'anno in Italia le pietre d’inciampo.

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

DOSSIER /Memoria vivaFerramonti, la musica sogno di libertà Il campo di internamento di Ferramonti, in Calabria, è poco noto al grande pubblico. Un concerto ne riscopre la storia

“Quando ci internarono in Calabria”Due testimonianze raccontano la vita a Ferramonti. Diversa da quella di molti altri campi di internamento in Italia

“È sorprendente notare come intutto il mondo la musica persegui-tata stia portando ad una nuovageografia della Storia della musica:nuovi repertori musicali, confrontiprima impensabili tra musicisti,compositori e tradizioni, ineditiaccostamenti di sonorità, di forme,di generi e di stili, continue sco-perte, nuove energie artistiche.Tutto ciò impone domande im-portanti. Come è possibile conci-liare espressione artistica e priva-zione della libertà individuale, se-gnata dalla deportazione, dall'omi-cidio, dall'internamento, dall'esilio,dal folle e indelebile marchio del-l'antisemitismo?”. A porsi questointerrogativo, il musicologo Raf-faele Deluca che ha dedicato gran-de impegno alla storia musicale diFerramonti. Un luogo poco notoagli italiani ma dove transitarono,fra il giugno 1940 e il settembre‘43, più di 3mila ebrei stranieri eapolidi e, in numero ridotto, altriinternati stranieri. L’intera vicendadi questo campo di internamentoin provincia di Cosenza è tornataprotagonista grazie al grande con-certo che Viviana Kasam e Mari-

lena Citelli Francese hanno orga-nizzato all’Auditorium Parco dellaMusica di Roma in occasione delGiorno della Memoria. “SerataColorata” il titolo di questa inizia-tiva che intreccia arte e Memoria,sviluppata su un progetto proprio

di Raffaele Deluca e promossadall’Unione delle Comunità Ebrai-che Italiane con il patrocinio dellaPresidenza del Consiglio dei Mi-nistri. La zona su cui sorse il campo diFerramonti era povera e malarica.

Eppure, nono-stante la man-canza di liber-tà, la carenza dicibo e le malat-tie, qui (come, del resto, negli altriquasi cinquanta “campi del duce”,

allora distribuiti nella Penisola) gliinternati venivano trattati in modoumano. Per questo, gli internatidel campo, in particolare gli ebrei,conservarono un ricordo general-mente positivo dei loro “carcerie-ri” (Paolo Salvatore, Mario Frati-celli, Gaetano Marrari); come puredei contadini dei dintorni edegli abitanti dei paesi vicini (Tar-sia, Bisignano, Santa Sofia), cheavevano avuto l’opportunità di co-noscere e del cappuccino inviatodal Vaticano a vivere nel campo:padre Callisto Lopinot, un missio-nario di origine alsaziana. Così a Ferramonti furono possibiliattività artistiche e musicali. Nelcampo, in particolare, erano inter-

nati moltimusicisti, al-cuni dei qualisarebbero di-venuti moltonoti nel do-poguerra.Tra essi, iltrombettistaOscar Klein,

il direttore d’orchestra Lav Mirski,il pianista Sigbert Steinfeld, il can-

“Nella nostra casa romana, nell'ambito della nostra famiglia, sentire parlare del campo di concentramento di Ferramonti era cosa normale”. Araccontarlo Beniamino Lazar, i cui genitori – scappati dall'Austria a causa delle persecuzioni, arrivarono nel Nord d'Italia, dove furono presidai nazisti e mandati nel campo di Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza. Vienna, Zagabria, Nizza Monferrato le tappe della fuga diErnesto Lazar e Anny Schiff Lazar, poi arrestatasi con la cattura e con la deportazione nel campo calabrese. Un luogo di cui i due coniugiparlarono ai figli: “Ci parlavano dell'umanità dei carcerieri, di parte della dirigenza, della popolazione calabrese”. Dei secondi Lazar ricorda “ildirettore del campo Fraticelli e il maresciallo Marrari”, di cui si parla nelle testimonianze dei due coniugi presenti in queste pagine.

A Nizza Monferrato ci avvisarono che ci avrebbero

condotti nel campo di Ferramonti, una località vi-

cino a Tarsia. Eravamo in Calabria. Alcuni internati,

che ci aiutavano a scaricare i bagagli, ci tranquil-

lizzarono in parte, dicendo che il campo, anche se

era costruito su modello di quelli tedeschi, non era

come Auschwitz o Dachau, ma era pur sempre un

campo di concentramento. Capimmo subito, osser-

vando i loro volti e le loro espressioni che sia il di-

rettore de/luogo, il dottor Fraticelli, sia il mare-

sciallo Marrari, erano delle persone buone, dispo-

nibili, gentili che, anche durante un periodo così

triste come quello, non persero mai la loro umanità.

Comunque eravamo molto impauriti, il nostro fu-

turo ci appariva sempre più incerto. Le donne e gli

uomini erano sistemati in baracche diverse. Facem-

mo una prima fila per essere registrati, dopo una

seconda dove ci diedero dei sacchi che dovevamo

riempire di paglia, delle coperte e dei lenzuoli grigi

e pieni di buchi che sistemammo su delle brande.

In ogni baracca eravamo circa trentasei persone. Il

campo era circondato dal filo spinato e controllato

da miliziani ben armati. La mattina e la sera ci riu-

nivano e facevano l’appello, dovevamo prontamen-

te rispondere “Presente!”. Ci consegnavano quindi

la razione di pane giornaliera, mentre l’acqua da

bere la dovevamo prendere dalla fontana che si tro-

vava nella parte centrale del campo. C’erano barac-

che dove erano sistemati i gabinetti e altre dove

si trovavano i lavatoi.

Ernesto Lazar

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Il Suo grande Nome sia magnificato e santificato[il pubblico risponde: Amèn]nel mondo che ha creato secondo la Sua volontà;e realizzi il Suo regno durante la vostra vita e neivostri giorni e durante la vita di tutta la casa di Israele,presto e in un tempo vicino. E dite Amèn[il pubblico risponde: Amèn, sia benedetto il Suogrande Nome per l’eternità e l’eternità di eternità.Sia benedetto]e lodato e glorificato ed innalzato e magnificato edesaltato ed elevato e celebrato il Nome del Santo,benedetto Egli sia[il pubblico risponde: Amèn]al di là di tutte le benedizioni, le lodi, i canti e leconsolazioni che si dicono nel mondo. E dite Amèn[il pubblico risponde: Amèn]Colui che stabilisce la pace nelle Sue altezze,Egli con la Sua misericordia stabilisca la pace pernoi e per tutto Israele. Amèn[il pubblico risponde: Amèn]

ú–– Noemi Di Segni

“Un concerto che attraverso le note musicali e l’arte ci trasporta, ci commuove, ci tormenta e ci fa ri-

flettere sul nostro futuro”. Così la presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di

Segni sottolinea il senso della quarta edizione del Concerto della Memoria, promosso dall’UCEI “nella

convinzione che oggi la narrazione di quanto accaduto nel passato debba trasformarsi in azione, e andare oltre l’ascolto, affinché si possa

considerare il futuro un sogno da voler vivere”. Nello spiegare il senso dell’evento, parte del programma delle iniziative legate al 27 gennaio,

Di Segni ricorda come il ruolo delle Memoria sia fortemente ancorato all’attualità: “Purtroppo, il presente rischia sempre più di somigliare a

questo terribile passato - afferma - Si ripetono le prime avvisaglie di quanto accaduto non più di 70 anni fa. Risuonano di nuovo i primi tamburi

d’allarme, e noi non possiamo permettere che la nostra Europa si trasformi ancora una volta in un luogo di estremo dolore”.

“Attraverso le musiche del passato, le canzoni composte e suonate nel Campo di Ferramenti, la ricerca ovunque e comunque di un’identità e

la strenua difesa della vita e dei valori più essenziali, vogliamo insieme scrivere le note del nostro comune futuro”, l’appello lanciato dalla

presidente dell’Unione e diretto al pubblico presente al concerto così come a tutta la società civile.

ú–– Viviana Kasam e Marilena Cittelli Francese, ideatrici e organizzatrici del Concerto della Memoria

Per il quarto anno consecutivo abbiamo organizzato il Concerto della Memoria e ogni anno ci siamo

dette: “Una storia così non la troveremo mai più”. Come ricreare l’emozione dei violini che accompa-

gnarono la fuga e la detenzione nei lager? O lo struggimento delle note composte nelle baracche di Au-

schwitz, di Buchenwald, di Theresienstadt e suonate davanti alle camere a gas? E chi potrebbe eguagliare il senso etico di Toscanini, che

diresse un concerto a Tel Aviv nel1936 per salvare la vita ai musicisti ebrei perseguitati dai nazisti, e non volle che gli fosse rimborsato

nemmeno il viaggio? E invece quest’anno abbiamo scoperto Ferramonti. Una pagina infame della storia italiana, quella dei 48 campi di con-

centramento istituiti dal Duce, che è stata cancellata dalla memoria collettiva degli italiani “brava gente”, ma anche, paradossalmente, un

esempio della generosità del nostro Sud, terra di accoglienza, di integrazione e di scambio culturale. Ferramonti, con la sua musica scritta e

suonata per dimenticare le privazioni, l’ingiustizia e la durezza della persecuzione, e per “colorare” di emozioni la vita del campo. Qualche

attimo di oblio, per fingere di essere ancora là, dove la vita era allegra e piena di speranza. È questo che ci racconta “Serata Colorata”: l’aspetto

salvifico della musica. Quando la dignità umana viene umiliata, quando il futuro sembra perduto, quando l’individualità è cancellata, la musica

restituisce speranza, orgoglio, senso alla vita. La musica, linguaggio universale di fratellanza, deve insegnarci, in questo momento storico in

cui di nuovo sorgono muri e tanti rifiutano aiuto ai perseguitati trincerandosi dietro l’egoismo del proprio benessere, che ognuno di noi può

e deve fare qualcosa, e che la nostra anima deve suonare all’unisono con l’anima del mondo.

“Note, anima del mondo”

“Ascoltiamo il passato”

Nel campo eravamo circa duemila

persone: ebrei, cattolici antifascisti,

protestanti, cinesi e molti zingari,

un miscuglio umano confinato in

questo luogo malsano e paludoso,

pieno di topi, cimici, pidocchi, zan-

zare e malaria. Infatti nonostante

il chinino che prendevamo ogni

giorno, abbiamo avuto tutti la ma-

laria. Avevamo anche una cucina

pubblica kasher che però passava

solo pasta e ceci. Chi aveva denaro

poteva acquistare, tramite la mili-

zia, frutta ed altro cibo. Anche i

contadini, che rimanevano fuori dal

campo, vendevano i loro prodotti o

li scambiavano con vestiti e scarpe.

Il 4 luglio 1943, Ernesto ed io ci spo-

sammo: la nostra giovinezza, il no-

stro amore e la nostra forza erano

superiori alla paura e al terrore del-

la morte, forse volevamo sfidare il

destino. Fu una cerimonia povera,

ma toccante. Un sarto mi aveva

confezionato un tailleur con un len-

zuolo bianco; un cinese mi aveva

verniciato della stessa tinta gli zoc-

coli, mi ero fatta persino un cappel-

lo con una veletta ed il maresciallo

Marrari mi aveva regalato delle

margherite bianche per rispettare

la tradizione. Un grande taled (man-

to rituale ebraico) era tenuto da

quattro bastoni ed il cielo faceva da

scenario, mentre tutti gli internati

partecipavano alla nostra gioia. Se-

guì un piccolo “rinfresco” nella ba-

racca con insalata russa, pane vec-

chio, il dolce al miele fatto da mia

madre e, poiché eravamo in Italia,

non poteva mancare una bottiglia

di vino che ci avevano regalato.

L’umile ricevimento fu più gradito

di un sontuoso pranzo. Ero felice,

anche se mi mancavano mio padre

e tutti i parenti deportati ed Erne-

sto era preoccupato perché non

aveva, da tempo, nessuna notizia

dei suoi, speravamo in un avvenire

pieno di pace e di libertà. Purtroppo

pochi giorni dopo, proprio sopra di

noi, ci fu una battaglia aerea tra

americani e tedeschi. Molte bombe

caddero sulle baracche, molte per-

sone perirono, anche una mia gio-

vane amica che si era sposata da

meno di un mese.

Anny Schiff Lazar

tante Paolo Gorin, il compositoreIsko Thaler e il pianista Kurt Son-nenfeld, giovane ebreo viennese,che sperava di espatriare negli StatiUniti, ma venne arrestato a Milanoe inviato a Ferramonti.Spesso nel campo venivano orga-nizzati concerti musicali, sia stru-mentali che corali, e spettacoli divario tipo, cui gli internati detteroil nome di “Serate Colorate”, doveil jazz, il cabaret, l’operetta domi-navano la scena. Di tutta questaricchezza musicale si era quasi per-sa traccia, finché Armida Locatelli,erede e per anni assistente di Son-nenfeld, non si presentò un giornoal Conservatorio di Milano conuna scatola di spartiti manoscrittiche aveva ricevuto in eredità. Era-no le musiche scritte ed eseguitea Ferramonti, ma anche fotografie,diari, lettere. Materiali raccolti daDeluca che spiega: come i musi-cisti del campo “segregati dal re-gime fascista nell'internamento incui scontarono senza colpa i de-litti della guerra e dell'odio raz-ziale, dimostrano la capacità su-periore dell'uomo di trascendereil significato della vita attraversola musica, in tutte le multiformiespressioni di stili, di strumenti,di generi che hanno caratterizzatola loro personale tensione artistica,anche nella valle malarica del fiu-me Crati”.

u Tra i musicisti rinchiusi nel campo di internamento di Ferramonti, Kurt Sonnenfeld. A 18 anni Sonnenfeld,

nato a Vienna nel 1921, era già sfuggito a due retate della polizia, ma nel 1940 subì l’arresto definitivo a

Milano e la detenzione forzata, per settimane, nell’isolamento del carcere di San Vittore. Alla prigionia

seguì la lunga notte della deportazione, durata quattro anni, a quasi mille chilometri di distanza da Milano,

in una direzione opposta a quella dei genitori (morti intrappolati nelle Gaswagen), nel Sud dell’Italia, a

Ferramonti. Qui, nonostante tutto, continuò a dare seguito alla sua passione: musicò e compose (come

dimostra il testo di “Kaddish”, qui riportato) diversi lavori.

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

DOSSIER /Memoria vivaRun for Mem, correre verso il nostro domani La gara non competitiva Run For Mem ha raccolto a Roma un fiume di persone in un evento fatto di Memoria e di sport

Un grande successo di contenuti,ma anche un notevole exploit dicomunicazione. Decine di articoli,servizi, interviste. La media par-tnership con Sky Sport, che insie-me alla redazione giornalisticadell’Unione ha predisposto un am-pio speciale televisivo su Sport &Memoria. Un racconto approfon-dito dell’iniziativa attraverso lemolteplici opportunità offerte dalmondo dell’informazione. Milioni di occhi puntati in tuttaItalia su Run For Mem, la corsatra Storia e Memoria organizzatail 22 gennaio scorso dall’Unionedelle Comunità Ebraiche Italianecon il sostegno di Maccabi Italiae Maratona di Roma e sotto l’egidadella Presidenza del Consiglio deiMinistri.Enti, associazioni, gruppi podistici,comunità religiose. In oltre un mi-gliaio hanno raccolto l’invito a in-dossare tuta e scarpini e ad attra-versare i luoghi della Memoria ca-pitolina. Da Largo 16 Ottobre aVia Tasso, da Via Urbana a SanBartolomeo all’Isola: un colpod’occhio imponente.

Tutti al fianco di Shaul Ladany, ilgrande testimonial, l’uomo che èsopravvissuto almeno due volteall’inferno: a Bergen Belsen, dovearrivò bambino dopo un lungoviaggio dai Balcani. E inoltre aMonaco ‘72, i Giochi macchiatidal sangue degli atleti israeliani

trucidati al Villaggio Olimpico.“Si cade, ci si fa male; ci hanno fat-to cadere, ci hanno fatto male, manoi ci alziamo e ricominciamo acorrere. Ricominciamo a vivere.Come singoli, come popolo, comecollettività, come italiani, come eu-ropei. Oggi noi non siamo soli -

corrono assieme a noi tante per-sone che portano con sé il lorocredo e la loro religione” dichiarala Presidente UCEI Noemi Di Se-gni nel corso della cerimonia diapertura dell’evento, sul palco al-lestito a pochi passi dalla lapide incui si commemora il rastrellamen-to degli ebrei romani. Riflessioni condivise tra gli altri daEnrico Castrucci, presidente dellaMaratona di Roma, e dal presiden-

te del Maccabi Italia Vittorio Pa-voncello. Riflessioni fatte inoltreproprie anche dall’altra testimonialdell’evento, l’ex maratoneta FrancaFiacconi (che nel ‘98 vinse a NewYork). Sul palco il vicesindaco Lu-ca Bergamo, invitato dal Consi-gliere UCEI Hamos Guetta a por-tare un contributo, dona una me-daglia commemorativa dell’eventoa Ladany. A ridosso della partenzainvece il sottosegretario Sandro

Ferrara-Fossoli-Auschwitz sola

andata. Un biglietto costato la

vita a circa 150 ebrei ferraresi,

vittime designate, tra la fine del

‘43 e l’inizio del ‘44, della folle so-

luzione finale nazista.

Di dieci di loro il pubblico può

ora conoscere i nomi, i volti e le

storie, grazie all’installazione

“TOUCH”, promossa dal Museo

Nazionale dell’Ebraismo Italiano

e della Shoah (MEIS) e dall’Istitu-

to di Storia Contemporanea di

Ferrara, con il patrocinio della

Comunità ebraica di Ferrara.

L’allestimento (visitabile fino al

28 febbraio), curato dai fotografi

Piero Cavagna e Giulio Malfer

presso il Museo (Via Piangipane

81, a Ferrara), vuole far com-

prendere come la tragedia della

Shoah si componga di tante vi-

cende individuali brutalmente

spezzate. A dare voce ai prota-

gonisti dell’installazione sono le

loro biografie, narrate in prima

persona, e i ritratti, ricoperti da

inchiostro termo-cromico nero,

ma non per questo consegnati al-

l’oblio: toccandone la superficie

scura, il calore delle dita dei vi-

sitatori li riporta alla luce, alme-

no temporaneamente.

Ricompare così Silvio Magrini,

presidente della Comunità ebrai-

ca di Ferrara fino al ‘43. Preleva-

to dai repubblichini mentre è in

cura all’ospedale Sant’Anna, vie-

ne trasferito a Fossoli, poi depor-

tato e ucciso ad Auschwitz. Ac-

canto a lui c’è la moglie, Alberti-

na Bassani Magrini, patronessa

dell’asilo e della scuola della Co-

munità. Sperando di riuscire a

raggiungere Silvio in Polonia e di

trovarlo ancora vivo, Albertina

si lascia arrestare, ma non so-

pravvive ad Auschwitz.

L’ingegnere Silvio Finzi e il socia-

lista Renato Castelfranchi sono

uniti nel tragico segno della “lun-

ga notte del ‘43”. Dopo il rastrel-

lamento del 15 novembre, Finzi

finisce al carcere di Via Piangipa-

ne, al Tempio di Via Mazzini, a

Fossoli e infine ad Auschwitz, da

cui non tornerà più. Proprio co-

me Castelfranchi.

E come l’elettricista Lindo Saral-

vo. Sua mamma, Zaira Melli, è in-

vece tratta in arresto nella casa

di riposo israelitica di Via Vittoria

79, caricata su un camion e por-

tata a Bologna, nei sotterranei

di un convento, dove la attende

una morte per freddo e stenti.

Ha solo 20 anni, Amelia Melli. Se

la frontiera svizzera la respinge,

a spalancarsi sono le porte del

penitenziario di Ferrara e di

quello femminile di Portomag-

giore, in cui la sua brevissima esi-

stenza viene stroncata da una

dissenteria acuta. Ancora più

giovane è Marcello Ravenna, 15

anni. Nemmeno lui riesce a var-

care il confine e viene catturato.

Supera la selezione ma, mentre

sale sul camion per Monowitz,

una SS cambia idea e lo manda

alle camere a gas di Auschwitz-

Birkenau. Quando le manette si

chiudono ai suoi polsi, anche per

la pediatra Maria Zamorani Fos-

soli è l’anticamera di Auschwitz

e di una fine atroce.

Dopo la prigionia a Firenze, per

Germana Ravenna e la madre

Marcella scatta la deportazione.

E quando potrebbe saltare giù

dal treno per Auschwitz e forse

salvarsi, Germana rinuncia, per

non abbandonare la mamma.

Daniela Modonesi

Touch, quando il passato è tangibile Da Roma a Venezia, da Torino fi-

no al piccolo comune di Ostra Ve-

tere, in provincia di Ancona. So-

no tornate anche quest'anno a

segnare la topografia delle città

italiane le Stolpersteine, le pie-

tre d'inciampo realizzate dall'ar-

tista tedesco Gunter Demning. E

per la prima volta in assoluto,

tra le città coinvolte c'è stata

Milano, dove il 19 gennaio sono

state poste le prime sei pietre a

iniziare da quella dedicata al pa-

dre della Testimone della Shoah

Liliana Segre, Alberto, deportato

insieme alla figlia ad Auschwitz,

da dove non fece più ritorno. Al-

tre ne arriveranno nei prossimi

anni, ha promesso il comitato

promotore del progetto a Mila-

no, di cui fanno parte tra gli altri

la Comunità ebraica di Milano, il

Memoriale della Shoah Binario

21 e il Centro di documentazione

ebraica contemporanea (Cdec).

Se a Milano è stata una prima as-

soluta, a Roma le pietre d'in-

ciampo sono invece un appunta-

mento consolidato, arrivato al-

l'ottava edizione. Nella Capitale

u È partita da Largo 16 ottobre la corsa Run For Mem, in cui sono stati

toccati alcuni luoghi della Memoria ebraica e non della Capitale

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Protagonista della salvaguardia cul-turale in anni di barbarie. Funziona-rio dell’allora Soprintendenza, diret-tore delle collezioni di Palazzo Pitti,vittima delle Leggi razziste promul-gate dal fascismo, clandestino ope-ratore per la libertà del Paese e perl’integrità del suo patrimonio artisti-co. Conoscitore, fautore e mecenatedell’arte contemporanea. Questa lachiave della mostra dedicata a Gior-gio Castelfranco (1896-1978) “cura-tore, mecenate e difensore d’arte”inaugurata alla vigilia del Giorno del-la Memoria presso la Sala del Cami-no della Gallerie delle Statue e dellePitture degli Uffizi. Curata da Clau-dio Di Benedetto e fortemente volutadal direttore del museo EikeSchmidt, la mostra (visitabile fino al26 febbraio) approfondisce il rappor-to tra Castelfranco e l’arte contem-poranea e il legame che lo stesso in-trattenne con Giorgio De Chirico,del quale fu, oltre che amico, anchemecenate e collezionista. In esposi-zione, in prestito da Casa Siviero, cisono quindi tre opere: Alexandros,Ritratto di Elide e Ritratto di MatildeForti, che di Castelfranco fu la mo-

il progetto, curato da Adachiara

Zevi e organizzato dall’associa-

zione Arteinmemoria, ha portato

all'apposizione di oltre 250 pie-

tre corrispondenti ad altrettanti

nomi di chi fu ucciso dalla mac-

china della morte costruita dai

nazifascisti. L’idea di Demnig,

spiegano gli organizzatori, risale

al 1993 quando l’artista è invita-

to a Colonia per una installazio-

ne sulla deportazione di cittadini

rom e sinti. All’obiezione di

un’anziana signora secondo la

quale a Colonia non avrebbero

mai abitato rom, l’artista decide

di dedicare tutto il suo lavoro al-

la ricerca e alla testimonianza

dell’esistenza di cittadini scom-

parsi a seguito delle persecuzio-

ni naziste: ebrei, politici, militari,

rom, omosessuali, testimoni di

Geova, disabili. Con un segno

concreto e tangibile ma discreto

e antimonumentale, a conferma

che la memoria deve costituire

parte integrante della nostra vi-

ta quotidiana. Sceglie dunque il

marciapiede prospiciente la casa

in cui hanno vissuto i deportati

e vi installa altrettante “pietre

d’inciampo”, sampietrini del tipo

comune e di dimensioni stan-

dard (10x10 cm.). Li distingue so-

lo la superficie superiore, perché

di ottone lucente. Su di essa so-

no incisi: nome e cognome

del/lla deportato/a, età, data e

luogo di deportazione e, quando

nota, data di morte”.

Oltre alle Stolpersteine, molte

altre sono state le iniziative che

hanno caratterizzato gli appun-

tamenti legati al giorno della

Memoria. Da segnalare tra que-

sti, la mostra “16 ottobre 1943.

La razzia”, a cura di Marcello

Pezzetti: importante infatti il

fatto che sia esposta al Memo-

riale della Shoah Binario 21 per-

ché costituisce il segno di una

nuova collaborazione tra due en-

ti che hanno un ruolo centrale

nella didattica della Shoah in Ita-

lia: il Memoriale appunto e la

Fondazione del Museo della Sho-

ah di Roma, promotore della mo-

stra stessa. A sottolineare que-

sto primo passo verso altre col-

laborazioni future, sia il vicepre-

sidente di Binario 21 Roberto Ja-

rach sia il presidente della Fon-

dazione Mario Venezia, presenti

all’inaugurazione della mostra,

che rimarrà esposta nello Spazio

Mostre Bernardo Caprotti del

Memoriale fino al 13 aprile.

Castelfranco il mecenate Agli Uffizi la storia di un uomo che difese l’arte dalla bruttura fascista

Gozi si scalda, pronto a coprirel’intera distanza del percorso lun-go: dieci chilometri in tutto. Tragli ex sportivi al via ci sono ancheil bronzo olimpico Elisa Rigaudo,l’ex ottocentista Andrea Giocondì,il pugile Mirko Carbotti.I vertici della Comunità ebraicaromana, gli ambasciatori OferSachs e Oren David, World JewishCongress e European Jewish Con-gress, i rappresentanti delle forzedell’ordine, tutti i podisti: ogni sin-gola parola è ascoltata con parte-cipazione. Ladany ha la massima

attenzione su di sé. Decine di tac-cuini e di telecamere lo inseguonoin ogni suo movimento, tutti vo-gliono conoscere la sua storia, lesue sensazioni, le sue impressioni.Ne ha viste tante, in gara e nellavita. Ma l’emozione è forte comein poche altre circostanze. “Avver-to una grande responsabilità” diceprima di partire a una giornalistache lo intervista. “È stato bello,molto toccante” afferma invecedopo il traguardo, un’ora dopo,con al fianco il suo biografo e ami-co Andrea Schiavon (Cinque cer-chi e una stella, add editore). Si-gnificativa tra le altre l’adesionedel ministro dello Sport, Luca Lot-ti, che ha inviato agli organizzatoriun messaggio di apprezzamentoper le finalità della corsa.

Adam Smulevich

Stolpersteine, scolpire il ricordo nelle pietre

glie. “Una mostra piccola, ma parti-colarmente significativa. Queste treopere sono infatti ciò che rimanedella collezione di 35 De Chirico cheCastelfranco fu costretto a vendereper far emigrare la famiglia dall’Italia.I quadri in esposizione esprimonoinoltre il Castelfranco collezionistae mecenate in un luogo in cui è statofunzionario e in mezzo a opere cheha contribuito a recu-perare quale Monu-ment Man” spiega DiBenedetto a PagineEbraiche.L’arte per esprimerevalori forti, che unisco-no. L’arte al serviziodella collettività. Temiche stanno molto acuore sia a Di Benedet-to che al direttore Schmidt. “La mo-stra dedicata a Castelfranco - spiegaquest’ultimo - è solo una nuova tap-pa di un percorso che vogliamo cheprosegua nel tempo. Abbiamo ini-ziato nel 2016 con una giornata distudi dedicata a Cesare Fasola, chesorvegliò il patrimonio degli Uffizi edella Comunità ebraica fiorentina

durante la guerra. Continueremo neiprossimi mesi, anche fuori dalla cor-nice del Giorno della Memoria. Stia-mo lavorando ad esempio a un’ini-ziativa che unisca Firenze e Mau-thausen e che prossimamente an-nunceremo. Nel gennaio del prossi-mo anno posso inoltre già anticipareche dedicheremo un’iniziativa algrande Carlo Levi”. Storici, archivisti,

enti. Tante le personecoinvolte in questolavoro di approfondi-mento tra Arte, Storiae Memoria, tra cui laConsigliera UCEI Sa-ra Cividalli. In ricordodi Castelfranco, insie-me alla mostra, si èanche svolta una qua-lificata giornata di

studi che ha coinvolto, oltre agli Uf-fizi, la Regione Toscana, la Comunitàebraica, la Harvard University-VillaI Tatti, l’Istituto storico della Resi-stenza in Toscana, il Centro di Do-cumentazione Storico-Etnografica(CEDSE). Ad intervenire ancheLaura Forti, assessore alla Culturadella Comunità ebraica.

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DOSSIER /Memoria viva

Prendere in mano carta e pennaper testimoniare al mondo e a sestessi di essere vivi. Nonostante tut-to, nonostante la Shoah. Per darevoce a un dolore in realtà impos-sibile da raccontare, che nessunopuò capire. Ma anche per scrivereper cercare di ricostruire quel tes-suto sociale distrutto dalla perse-cuzione, per riagganciarsi alla vitae alla famiglia, per gioire – non sen-za cupi pensieri – di essere liberi.Sono solo alcuni degli elementi chesi ritrovano nelle lettere inviate dasopravvissuti alla Shoah all’indo-mani della loro liberazione e delcui valore fondamentale aveva par-lato in un incontro al Memorialedella Shoah di Milano – Binario 21(organizzato dall'Associazione Figlidella Shoah) la direttrice dell’Isti-tuto internazionale di ricerca delloYad Vashem di Gerusalemme IaelNidam Orvieto. Allora era stato an-nunciato il progetto di raccogliereall'interno di un volume alcune diqueste testimonianze scritte daebrei sopravvissuti, in cerca di fa-migliari, amici, conoscenti vicini e

lontani, ancora vivi. Ora il progettoprende forma anche in Italia conla collaborazione tra Yad Vasheme Rizzoli, in cui sono state raccoltee tradotte decine di queste lettere. Per gli ebrei in generale la libera-zione non coincise con euforia, fuun momento in cui si svilupparonosentimenti complessi, dilemmi in-teriori che emergono chiaramente

dai messaggi raccolti dallo Yad Va-shem in questi anni e appartenentiai sopravvissuti. Impressionano lalucidità di analisi di coloro che, vit-time, si trovarono a riflettere sullatragedia. Come Hugo Falksensteinche nel febbraio 1945, ad Au-schwitz, scrive: “Non vi è nella sto-ria nessun campo di battaglia, nes-suna catastrofe di queste propor-

zioni e mai nella storia così tantimilioni di persone sono stati ster-minati in uccisioni di massa inun’area così relativamente piccolacome qui. Con gli occhi della miaanima vedo già i memoriali monu-mentali delle nazioni che hannoperso i migliori dei loro figli. […]Devo anche raccontare che spe-cialmente i meno educati o le mas-

se, nella loro attuale miseria tendo-no verso un nuovo odio contro gliebrei”. “Dolore, speranza, voglia ditornare alla vita, un tentativo diriagganciarsi alla normalità con ilrimorso di essere sopravvissuti, so-no i tanti sentimenti che emergonodalle lettere – spiegava Orvieto –Queste ultime rappresentano uncodice culturale da interpretare”.

“Caro amico, io sono vivo ma gli altri?”Lo Yad Vashem ha raccolto le lettere inviate dopo la liberazione dai sopravvissuti, tra dolore e voglia di ricominciare

Cosa fu realmente “il campo modello” di TerezinQuesto libro si apre con una delle vicende più agghiac-

cianti della Shoah, il tentativo da parte di Hitler di creare

a Praga un “Museo della razza estinta”, in cui raccogliere

reperti – libri, oggetti, documenti, opere d’arte – che do-

cumentassero la vita e la cultura degli ebrei dopo la loro

distruzione. Il museo doveva sorgere nel luogo dove si

trovava e si trova tuttora il Museo ebraico, fondato al-

l’inizio del secolo, accanto all’antico cimitero, lasciato a

questo scopo intatto dai nazisti. Un progetto, sottolinea

l’autrice, Maria Teresa Milano, che derivava direttamente

dai musei etno-antropologici volti a documentare civiltà

scomparse o semi-scomparse, se non fosse che in questo

caso chi raccoglieva i reperti era anche l’autore della di-

struzione. Il percorso del libro si dipana poi nella narra-

zione della storia degli ebrei nell’area boema, per passare,

dopo un breve capitolo che introduce alla Shoah raccon-

tando l’occupazione nazista della Cecoslovacchia, a cen-

trare il discorso su Terezín e sul campo modello di The-

resienstadt, il ghetto di Terezín. Un ghetto creato per ac-

cogliere ebrei “privilegiati”, simile ad un campo di con-

centramento se non fosse per le specificità che dai campi

di concentramento lo distinguono: la presenza dei bam-

bini, la vita culturale, la musica. E “privilegiato” è un ter-

mine difficile da usare, dato che, come nel caso del Museo

della razza estinta e degli studiosi ebrei che avevano avu-

to il compito di organizzarne le collezioni, tutti spediti

nelle camere a gas di Auschwitz alla fine del loro lavoro,

anche da qui partivano i convogli che portavano ad Au-

schwitz quei bambini, quei musicisti, quegli scrittori, que-

gli “ebrei privilegiati”. Il confronto fra l’esperimento del

ghetto modello di Terezín e il Museo della razza estinta

è nel libro evidente: il procedimento mentale è molto si-

mile, ed è di tutte le aberrazioni e gli orrori del nazismo

forse il più difficile da comprendere. È vero che per secoli,

a cominciare dai maya e dagli aztechi, i missionari cristiani

avevano raccolto i reperti delle civiltà distrutte e impa-

rato la lingua di popolazioni la cui cultura cercavano al

tempo stesso di cancellare, ma almeno quei missionari

avevano cercato di mantenere in vita quelle popolazioni.

La mano che raccoglieva i reperti e quella che pianificava

lo sterminio fisico era adesso la stessa.

Terezín, una cittadina fortificata a circa settanta

chilometri da Praga, era costituita da due distinti

luoghi, la Piccola Fortezza,

che dal 1940 al 1945 manter-

rà le funzioni di carcere per

oppositori politici, e la Gran-

de Fortezza, divenuta tutta

intera il ghetto a partire nel

1941. E se a Varsavia, a Lodz, ovunque, i ghetti

erano creati dai nazisti recintando uno spazio all’interno

della città, qui era la città che divenne ghetto. Terezín

diventa così Theresienstadt, posta sotto il diretto con-

trollo delle SS, e destinata già poco dopo la sua creazione

all’internamento di ebrei anziani e cosiddetti “privilegiati”

(grandi invalidi di guerra, decorati in guerra, ecc.). Nel

mese di settembre del 1942 gli ebrei internati a There-

sienstadt sono quasi sessantamila. La mortalità è alta e

viene costruito un crematorio capace di incenerire due-

cento corpi al giorno. Nel 1943, diventerà un ghetto mo-

dello, con finalità essenzialmente di propaganda. In quat-

tro anni, fino al 1945, vi furono internate 140.000 persone,

di cui 15.000 bambini. I sopravvissuti furono 3.800, di cui

142 bambini.

Anna Foa

(brano tratto dall’introduzione al libro Terezin di MariaTeresa Milano, Effatà editore)

Maria TeresaMilanoTEREZÍN Effatà Editrice

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versità per vincere l’odio". Saran-

no quindi onorati Raif Badawi,

Lassana Bathily, Hamadi ben Ab-

desslem, Etty Hillesum e Pinar

Selek con la dedica di un albero

e un cippo, alla presenza dei fa-

miliari o dei testimoni.

Il quarto e ultimo punto della

proposta didattica prevede

una visita speciale al Giardino dei

Giusti nella mattinata dell’11 no-

vembre dedicata alla figura di

Vàclav Havel, leader della Rivo-

luzione di Velluto e primo presi-

dente della Repubblica Ceca. Per

l’occasione sarà presente Michael

Zantovsky, direttore della Biblio-

teca Vaclav Havel di Praga.

Intanto Gariwo e il suo presiden-

te Gabriele Nissim – oltre ad pro-

muovere il ciclo di appuntamenti

al Teatro Franco Parenti di Mila-

no su “La crisi dell’Europa e i Giu-

sti del nostro tempo” - continua-

no ad impegnarsi per la promul-

gazione anche in Italia di una leg-

ge che istituisca la Giornata dei

Giusti, già riconosciuta a livello

europeo. Un momento che, spie-

ga Nissim, servirà a sostenere la

didattica della Memoria attraver-

so l'esempio positivo dei Giusti.

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Aperto a fine dicembre, il Museo della Shoah di Città del Guatemala è il primo museo dedicato allastoria della Shoah in America Centrale. Ha un programma chiaro: insegnarne la storia, educare le nuove

generazioni, imparare dal passato per impedire che si commettano in futuro le stesse atrocità. E,ancora, vuole promuovere la tolleranza tra esseri umani e combattere per un futuro migliore,

senza violenza. Si tratta in un certo senso an-che di una risposta a un recente cambiamentodel curriculo guatemalteco che rende obbli-gatorio inserire nel curricolo delle scuole su-periori, lo studio della Shoah. Il fondatore, pa-dre Patrick Desbois, professore del Center forJewish Civilization alla Georgetown University è presidente di una associazione che

si dedica a identificare e commemorare i siti luogo di esecuzioni di massa di ebrei e rom durante la seconda guerra mondiale, Yahad in Unum.“In un paese dove la violenza è quotidiana - ha dichiarato - , insegnare le conseguenze dell’indifferenza può essere il fattore di cambiamentonecessario a una società violenta”. E Marco Gonzalez, curatore del museo nonché direttore di Yahad in Unum, ha aggiunto che per il Guatemala“La conoscenza della Shoah per questo paese potrà essere anche una maniera per riuscire ad affrontare la propria storia e per capire a cosapuò portare la violenza”. La prima mostra temporanea, allestita parallelamente alla collezione permanente che è ancora in via di definizione,si intitola “Memories of the Holocaust Through Art” ed espone il lavoro dell’israeliana Mira Maylor, sul tema dei confini e dell’intolleranza.

Anche quest’anno, l'associazione

Gariwo – Giardino dei Giusti ha

riproposto alle scuole di ogni or-

dine e grado il progetto didatti-

co “Adotta un Giusto”. La propo-

sta, articolata su quattro punti

principali, prevede le visite al

Giardino dei Giusti di Milano, per

avvicinare gli studenti in modo

attivo alla tematica dei Giusti at-

traverso la scelta di una figura

esemplare onorata al Monte Stel-

la. Il secondo punto riguarda

il bando di concorso “Adotta un

Giusto”. I ragazzi sono stati chia-

mati a produrre elaborati arti-

stici e letterari (a partire dalla

frase “C’è un albero per ogni uo-

mo che ha scelto il bene”), a com-

piere un percorso di ricerca sul

mondo dei Giusti e a concretiz-

zare il risultato dell’apprendi-

mento nell’opera presentata per

il concorso (scaduto lo scorso 13

gennaio).

Il terzo punto della proposta di-

dattica prevede la Cerimonia al

Monte Stella di Milano il 15 mar-

zo 2017, in occasione della Gior-

nata europea dei Giusti (6 mar-

zo), che avrà per tema “I Giusti

del dialogo. L’incontro delle di-

Ricordi futuri 2.0 è il suggestivo ti-tolo della mostra aperta presso il Po-lo del ‘900 di Torino organizzata,sotto l’Alto Patrocinio del Parlamen-to Europeo, dal Museo Diffuso dellaResistenza. Curata da Ermanno Te-deschi, ha avuto il patrocinio anchedella Fondazione Arte Storia e Cul-tura Ebraica a Casale Monferrato enel Piemonte Orientale,e dell’Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane.La collaborazione conComunità ebraica di To-rino, Archivio delle Tra-dizioni e del CostumeEbraici Benvenuto e Alessandro Ter-racini e Archivio Storico della Cittàdi Torino è la riprova di quanto isuoi contenuti siano stati ritenuti ri-levanti dalle maggiori organizzazioniebraiche locali e nazionali. La mo-stra, dedicata alla memoria dellaShoah e alla sua rielaborazione nel-l’arte contemporanea, si rapporta an-che alla memoria che lega ogni uo-

mo alle proprie origini e tradizioni.Il percorso espositivo offre allo spet-tatore una doppia chiave di lettura:da un lato la testimonianza di chiha vissuto direttamente la deporta-zione - sono presenti interviste, do-cumenti dell’epoca, filmati, fotografiee oggetti di vario genere - e la rie-laborazione della memoria, la sua

attualizzazione attra-verso opere d’arte con-temporanea. Molti gliartisti rappresentati, cheattraverso pittura, scul-tura e fotografia rap-presentano momenti

ed episodi legati alla memoria. Dalleinterviste ai figli di sopravvissuti alleopere di artisti israeliani che raccon-tano la storia della loro famiglia alleopere di chi non ha legami diretticon la storia del popolo ebraico mache ha scelto di lavorare sulla me-moria e sulla sua rielaborazione,molti sono i modi in cui il curatoreha scelto di rappresentare un possi-

bile ponte tra testimone diretto e vi-sitatore. Oltre alla installazione mul-timediale costituita da due binari suiquali scorrono documenti e imma-gini che raccontano la vita delle fa-miglie prima della Shoah, un’altravideo-installazione mostra immaginidella vita quotidiana. La musica, sim-bolicamente rappresentata da unviolino ritrovato in un campo di ster-minio, è quella ritrovata dal maestroFrancesco Lotoro che nell’Enciclo-pedia KZ Musik raccoglie tutta laproduzione musicale creata tra il1933 e il 1945 da musicisti di ogniestrazione e provenienza nei campidi prigionia, di concentramento e disterminio.

Gariwo e la lezione dei giusti di oggi e di ieri

L’arte del ricordo futuroA Torino, l’arte contemporanea aiuta a comprendere la Memoria

La riflessione sulla Shoah arriva in Guatemala Il primo museo nell’America Centrale dedicato al genocidio

u Ritratto di Primo Levi dell’artista Francesca Leone, esposto alla

mostra Ricordi futuri 2.0 al Museo Diffuso della Resistenza di Torino

fino al 28 febbraio MEMORIES OF THE HOLOCAUST

THROUGH ARTwww.museodelholocausto.org.gt/en/

27 gennaio - 9 marzo 2017 RICORDI FUTURI 2.0Polo del ‘900, Torinowww.museodiffusotorino.it

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Recentemente ho avuto occasionedi partecipare in collegamento daGerusalemme a un importante eutile scambio di vedute organizza-to dalla Presidente insieme alConsiglio dell’Unione delle Comu-nità Ebraiche Italiane, con il con-tributo di esperti e leader spiritua-li dell’ebraismo italiano. Il temadel dibattito era il futuro dell’iden-tità ebraica in Italia. Di questodialogo vorrei in primo luogo sot-tolineare la qualità dell’approfon-dimento e la civiltà dello scambio,anche nella rappresentazione diidee differenti. Di questi tempinon è poco. Ricapitoliamo alcuni dei principalidati demografici per l’Italia. Se-condo l’anagrafe dell’UCEI, allafine del 2014 gli iscritti alle comu-nità ebraiche erano 23.901. Esat-tamente 50 anni prima, alla finedel 1964, il numero degli iscrittiera 29.184. La diminuzione com-plessiva è stata di 5.283 iscritti,pari al 18%. Vi è chi esprime pre-occupazione per queste tendenzedemografiche che sono in realtàmolto più profonde se si considerache negli ultimi 50 anni sono im-migrati in Italia dall’estero alme-

no 5.000 ebrei che avrebbero dovu-to far crescere la popolazioneebraica. La perdita reale è quindidi oltre 10.000. Nella sola Comu-nità di Roma si è avuto un au-mento dell’11%, contro una perdi-ta del 38% nel complesso di tuttele altre comunità: a Milano -26%,a Firenze -38%, a Livorno -45%,a Venezia -49%, a Torino -51%, aTrieste -53%, a Genova -62%, e nel complesso dellealtre 13 comunità più pic-cole -45%. Fra queste ulti-me, la comunità più vir-tuosa è quella di Meranoche è in pari rispetto a 50anni fa (39 iscritti), segui-ta da Verona (-2%) e daPadova (-18%). All’ultimoposto Mantova con -67%.Nel 1964, il 40% di tuttigli ebrei italiani vivevanoa Roma, nel 2014 tale per-centuale era aumentata a54%. Di fronte a simili da-ti è appropriato chiedersi:che fare? Dal dibattito delConsiglio dell’UCEI hotratto dieci conclusioni chevorrei qui sommariamente ripor-tare.1. Eroismo. Va innanzituttoespresso il pieno apprezzamentonei confronti dei volontari che avolte con vero eroismo dedicano illoro tempo e le loro energie alla ge-stione dei problemi comunitari.Ciò è reso sempre più difficile dalla

congiuntura economica negativamentre le ultime espressioni di vo-to popolare creano crescente incer-tezza sul futuro politico dell’Italiae del mondo.2. Shoah. Una delle critiche solle-vate nei confronti del discorso co-munitario corrente è l’eccesso dimemoria della Shoah. Crea a volteun senso di saturazione l’alternar-

si incalzante del 27 gennaio, Gior-no internazionale della Memoria;del 10 di Tevet, giorno del Kaddishper le persone la cui sepoltura èignota; del giorno della Shoah chein Israele in primavera precede diuna settimana Yom Ha’atzmaut; edel 16 ottobre che è diventato ilgiorno della memoria degli ebrei

italiani. Ma non dimentichiamoche la Shoah ha distrutto gran par-te dell’ebraismo italiano e in parti-colare le sue elite culturali, accade-miche, professionali e rabbiniche.Ciò è avvenuto attraverso l’ucci-sione di migliaia e l’emigrazione dimolte altre migliaia. Non dimenti-chiamo che quello di oggi è unebraismo italiano impoverito irre-

versibilmente.3. Ebraismo globale. Inuna visione globale delmondo ebraico, esistonodue tendenze principali:l’ascesa della comunitàebraica nello Statod’Israele, grazie a immi-grazione e soprattuttoincremento naturale, eun declino complessivodelle comunità ebraichedella Diaspora causatoda invecchiamento e as-similazione. Le grandimigrazioni internazio-nali hanno adeguato lapresenza ebraica ai cen-tri maggiori di sviluppoeconomico mondiale in

Occidente. Al contrario del passa-to, la presenza ebraica oggi è ingran parte sepiegata dalla sotto-stante infrastruttura economica-tecnologica. Entro 15-20 anni gliebrei in Israele potrebbero costitui-re la maggioranza dell’interoebraismo mondiale. È necessariorendersi conto di queste tendenze

e trarre le dovute conseguenze ri-guardo alla distribuzione globaledelle responsabilità e delle risorse.4. Dov’è l’Italia? Nel contesto del-la crescente globalizzazione, va in-teso senza illusioni e con realismoil ruolo dell’Italia nei confronti dialtri paesi. È triste doverlo ricono-scere, ma l’Italia è oggi un paeseestremamente arretrato e in crisirispetto a molte altre realtà delmondo occidentale. Nella situazio-ne contemporanea di libertà dimovimento e di crescente transna-zionalismo, la presenza ebraica èsempre più associata alle condizio-ni offerte dal mercato e dalla poli-tica. Se l’Italia non è competitiva,non ci si deve sorprendere se ilpubblico ebraico guarda altrove, inparticolare i giovani. Se l’Italianon fa figli, che sono funzione diottimismo e risorse economiche,tanto meno ciò avverrà nella co-munità ebraica.5. Frontiere identitarie. A causadell’alta e crescente frequenza deimatrimoni misti, in Italia e nelmondo diviene sempre maggiore ildilemma identitario ebraico: da unlato le scelte di appartenenza omeno da parte degli individuicoinvolti, dall’altro le scelte di in-clusione o di esclusione da parte dichi ha gli strumenti giuridici perfarlo. Nell’odierna realtà sociode-mografica è finita la dicotomia cheè a lungo esistita fra ebrei e non-ebrei ed esistono

“Tutti gli esseri umani nascono li-beri ed eguali in dignità e diritti.Essi sono dotati di ragione di co-scienza e devono agire gli uni versogli altri in spirito di fratellanza”. Èl’articolo 1 che apre la Dichiarazio-ne universale dei diritti umani, fir-mata il 10 dicembre 1948 a Parigi(nell’immagine Eleanor Roosveltcon il documento). Una dichiara-zione che, nella memoria pubblica,è rimasto a lungo in secondo pianoe ancora oggi – nonostante il 10 di-cembre sia una giornata internazio-nale dedicata alla riflessione pubbli-

ca sul senso, la portata e la rilevan-za di quel testo – tutto si svolgemolto in sordina, in una dimensio-ne di “silenzio”. Del resto nemme-no allora, settanta anni fa, nessunoera lì a festeggiare e a mobilitarsiper i diritti. Gli uomini e le donnenell’Europa di allora sono divisi daiconflitti ideologici, immersi dentroil lutto della morte di massa che liha toccati da vicino.La nostra attenzione tuttavia, piùche concentrarsi sul contenuto del-la dichiarazione, deve rivolgersi aipreliminari laddove il testo recita:“Considerato che il disconoscimen-to e il disprezzo dei diritti dell’uo-mo hanno portato ad atti di barba-rie che offendono la coscienza del-l’umanità, e che l’avvento di unmondo in cui gli esseri umani go-dono della libertà di parola e di cre-

do e della libertà dal timore e dal bi-sogno è stato proclamato come lapiù alta aspirazione dell’uomo”. Ildiritto acquista forza, dunque, nonin base a una estensionedei diritti, al riconosci-mento della loro insuffi-cienza, ma in relazione al-la barbarie vissuta, al sen-so di inadeguatezza, sullabase di una “ferita”. Inbreve, sull’idea di “male”,come ha suggerito anni facon acutezza SalvatoreVeca (La priorità delmale e l’offerta filosofi-ca, Feltrinelli). E tuttavia questa dimen-sione del diritto che si propone co-me riparazione a un torto subìtoaccelera una dimensione in cui daallora è diventato sempre più com-

plicato puntare alla dimensioneuniversalistica del diritto, propriadi una società di liberi ed eguali.Avvertire infatti che il diritto si

origina dal torto, se accelera e mettein stretto rapporto la condizione at-tuale con ciò che vorremo, includeanche che si percepisca la necessità

di normare diritti sempre più speci-fici, sempre più definiti e “tagliatisu misura” per individui particola-ri o per gruppi particolari. Ognivolta il dato è indubbiamente l’al-largamento della sfera di cittadi-nanza, ma anche la sensazione che

il diritto si declini come“normalizzazione” di unacondizione di svantaggio diun gruppo, più che affer-mazione di una condizionecondivisa. È corretto “ripa-rare” al torto. Ma forse nonè improprio chiederci quan-to e come questa procedurafondi, produca e consolidiuna dimensione universali-stica del diritto. Lo scrivo elo penso con cautela: quan-to la dimensione “di ognu-

no” è oggi declinabile con quella“di tutti”? O quanto “ognuno” èdisposto a pensare in termine “ditutti”?

Diritti umani, quella dimensione da conquistare

Demografia e futuro dell’Italia ebraica. Facciamo i conti OPINIONI A CONFRONTO

ú–– Sergio Della PergolaUniversitàEbraica di Gerusalemme

ú–– David BidussaStorico sociale delle idee

/ segue a P25

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraicheOPINIONI A CONFRONTO

Pagine Ebraiche – il giornale dell’ebraismo italianoPubblicazione mensile di attualità e cultura dell’Unione delle Comunità ebraiche Italiane

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Demografia, alcuni spunti di riflessione

A rischio di ripetermi, vorrei ritornare sulla questione demograficaassociandola al profilo sociale e culturale dell’ebraismo in Italia par-tendo dai dati proposti da Sergio Della Pergola su www.moked.it.Mi sembra utile ricordare alcuni elementi aggiuntivi. Innanzituttoanche la popolazione generale italiana è in calo (da molto tempocresce poco e solo grazie alla tanto vituperata immigrazione), e inpiú invecchia molto. In secondo luogo, si è sviluppato negli ultimidecenni un movimento della popolazione ebraica in senso bipolare(Israele e Usa), paesi in cui si sono spostati molti ebrei prima residentiin Italia. È noto che con ogni probabilità oggi la più grande comunitàebraica italiana vive in Israele. Terzo punto - e non mi stancheròmai di ripeterlo - il numero e il livello delle attività culturali e socialimesso in campo dall’ ebraismo italiano oggi, il livello di consape-volezza e conoscenza religiosa e linguistica, la capacità di relazionarsiad altre e diverse realtà ebraiche e non nel tempo che viviamo è digran lunga migliore e maggiore della situazione che si viveva neglianni ‘50 del secolo scorso. Non è, insomma, questione di numeri,ma di qualità. Si sa di più l’ebraico, si frequentano di più le sinagoghe,sono molto cresciuti i livelli di offerta culturale, l’alimentazione casherè diventata quasi una moda, e può perfino capitare di bere un vinocasher accettabile... È, invece, certamente preoccupante - ma a livello di ecologia umana,non limitatamente al caso ebraico - il calo delle nascite.

ú–– Gadi Luzzatto Voghera

In giorni in cui si fa un gran par-lare dell’atteggiamento degli StatiUniti nei confronti di Israele, deicambiamenti che verranno con lapresidenza di Trump, delle posi-zioni in materia degli ebrei ameri-cani e, in generale, del loro senti-mento di appartenenza e solidarie-tà nei confronti dello Stato ebrai-co, di grande interesse può risul-tare la lettura del nuovo, impo-nente romanzo di Jonathan SafranFoer, Here I am, pubblicato in Ita-lia col titolo Ecco-mi (l’espressioneche avrebbe usatoAbramo di fontealla richiesta delSignore di offrirein sacrificio suo fi-glio), uno dei cuiprincipali temi èproprio quellodell’identità ebrai-ca, e del differentemodo in cui essapuò essere percepi-ta in Israele e nelladiaspora. Diciamo innanzi-tutto che il testo,sia pur di notevoleimpatto e respiro,non pare tra i piùfelici del grandescrittore, in quantoquesta tematicaidentitaria - che offre spunti digrande profondità e suggestione -non pare legarsi compiutamentecon il tema principale della narra-zione, che è invece imperniato suuna vicenda familiare di amore,incomprensione, crisi e allontana-mento. Si tratta, in pratica, a miogiudizio, di due argomenti al-quanto distinti, che avrebbero po-tuto dare forma, forse con miglioririsultati, a due diversi romanzi.Per quanto riguarda il problemache ci riguarda in questa sede, os-sia il rapporto con Israele comeelemento identitario, un meritodel libro è quello di descriverequesto senso di appartenenza in

modo non retorico e semplicistico,ma complesso e problematico. Idue protagonisti maschili del ro-manzo, i cugini Jakob e Tamir (ilprimo residente negli Stati Uniti,il secondo in Israele), si trovano astare insieme, in America, neigiorni convulsi in cui lo Statoebraico, colpito da un devastanteterremoto e poi da una guerra disterminio, viene minacciato di di-struzione, e tutti gli ebrei delmondo sono invitati a correre insoccorso del Paese in pericolo. Lediverse sensibilità culturali e opi-nioni politiche, in questo momen-to drammatico, spingono a una af-fannosa e dolorosa ricerca interio-re su cosa significhi, per un uomo,avere un fermo punto di riferi-

mento umano e spirituale, una“casa” dell’anima che permetta diriconoscersi, di percepire il signi-ficato della propria esistenza e perla quale possa addirittura valere lapena rischiare la vita. Ma l’amoreper Israele, e il senso della propriaebraicità, non sollecitano nei duecugini risposte uguali, né univo-che: non sentono entrambi, nellostesso modo, le proprie sorti legatea quelle della “casa” Israele, nonritengono entrambi, nello stessomodo, che sia giusto e naturale sa-crificare la propria vita per essa.E, di tutti gli ebrei del mondo, inetà di combattere, che sono invita-ti a correre in difesa della “casa”

in pericolo, soltanto una minoran-za risponde positivamente all’ap-pello. Ed è del tutto verosimileche, nel caso - malauguratamente- una siffatta circostanza dovesseveramente proporsi nella realtà, larisposta della diaspora sarebbe di-versificata, divisa tra sostegno at-tivo, solidarietà a distanza, e an-che, in una qualche misura, fred-dezza o indifferenza. Il romanzonon è consolatorio, non è confor-tante, e non pare offrire l’idea cheavere una “casa”, sia pure lonta-na e ideale, basti a dare un signifi-cato alla propria esistenza. Né chela concezione di tale appartenenzasia un fattore unificante per il po-polo ebraico: quando i nonni deidue cugini, scampati alla Shoah,

decidono di co-struire una nuovavita lontano dallacrudele Europa, ladiversa scelta si-gnifica una irridu-cibile diversità esi-stenziale: quelloche andò in Ameri-ca non capì la deci-sione del fratello,mentre l’altro, chescelse Israele, “locapì benissimo, manon lo perdonòmai”. Ma la ricercadella propria iden-tità, naturalmente,non riguarda soloil popolo ebraico,anche se lo scritto-re, nel suo roman-zo, non affronta ilproblema di cosa

possa significare, per un gentile,l’idea di Israele. Ebrei e gojìm, ac-comunati in questa interrogazioneaffannosa, potranno andare insie-me incontro a delusione, fallimen-ti, solitudine. Un viaggio comequello di Enea raramente permettedi costruire un nuovo mondo, eun viaggio come quello di Ulisseben di rado fa davvero ritrovare,intatte, la casa e la sposa abbando-nate. Ma - ed è questo che ci pareil significato più vero del romanzo- quantunque la ricerca della “ca-sa” possa rivelarsi deludente e do-lorosa, è in tale duro percorso chesi annida il senso profondo dell’es-sere uomini.

ú– LETTERELa recente vittoria a sorpresa di Trump e le sue dichiarazioni sul legame indissolubile tra Stati Uniti e

Israele, insieme all’annuncio del prossimo trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, hanno

riportato all’attenzione di molti media e opinionisti il tema delle relazioni tra Washington e Stato ebraico

dopo l’appanamento dell’era Obama. Come interpretare questi segnali?

Luca Pincinelli, Grosseto

ú–– FrancescoLucrezi Storico

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OPINIONI A CONFRONTO / P25

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

La nostra sfida è garantire la continuità

Dopo un interessantissimo dibattito sullaidentità ebraica all’ultimo Consiglio del-l’Unione delle Comunità Ebraiche Italianeavrei il piacere di raccontare una storia. Lamia storia.Sono nata a Bologna, da mamma egizianaimmigrata nel 1956 a 12 anni e da papàebreo bolognese/modenese di famiglia com-pletamente laica, con la sola regola del matri-monio ebraico. Trasferita a 9 anni a Como,senza comunità, senza ebrei, con la sola fa-miglia di mamma a Milano che ci ospitavaper Rosh-Hashanà, Kippur e Pesach. Unicimomenti di ebraismo. Andavo a scuola il sa-bato e mangiavamo di tutto. Mio padre ogni domenica mattina, uscendodi casa alle 7 con la pioggia o con la neve, miportava a Milano al Corso Bat Mitzva e hafatto la stessa cosa qualche anno più tardiper mia sorella. Avevo forse poco più di 12anni quando due ragazzi con il cappello han-no bussato alla mia porta a Como conse-gnandomi tre copie di un testo: Tanya. Inogni casa ebraica doveva essercene una: oggila mia copia è ancora nella mia biblioteca ecosì rispettivamente quella di mia sorella emio padre. Nonostante la pioggia, il freddo ela neve, ogni mercoledì pomeriggio, suasponte, un rav da Lugano, Rav Frank Z.L.,veniva a farci studiare Torà: mia sorella ed ioci annoiavamo, ma quella era la sua mission.Oggi gli sono grata. A 15 anni i miei genito-ri fermi e decisi mi hanno mandato ai cam-peggi del Bene Akiva. Non conoscendo nes-suno non volevo andare. Ad un campeggioho conosciuto mio marito ed ora ho tre figlie.Sicuramente sono stata fortunata, ma credoche nella mia storia si possano individuaredegli spunti per provare a risolvere il nostroproblema. Figlia della Shoah e pronipote di

un editore che è arrivato a suicidarsi per pro-testare contro le leggi razziste nel 1938, ilmio senso di appartenenza e la consapevolez-za del grande torto subito dal mio popolo mihanno spinto a documentarmi. Ho imparatocosì a mettere il mio ebraismo davanti a tuttoe a difenderlo, sempre e comunque. Ho decisoche la mia casa, sarebbe stata una casa ka-sher. Decisioni maturate per il rispetto delpassato e con il desiderio di preservare il fu-turo. La Torà ci ha permesso di resistere, disopravvivere, la Torà è la chiave per il nostrofuturo. Come ha scritto la Presidente del-l’Unione dobbiamo provare a passare dallateoria alla concretezza, con dialogo, armoniae la consapevolezza di perseguire un obietti-vo comune. L’UCEI (noi) organizza dei mo-menti di incontro per l’ebraismo italiano.Shabbathon, Moked, ma soprattutto settima-na Bianca a Pinzolo e un soggiorno estivo. IlMoked e le vacanze, invernali o estive, rap-presentano un momento di grande coesione,in amicizia, in armonia, le varie presenzedell’ebraismo italiano si fondono, si confron-tano, si divertono insieme. Bocccate di ossi-geno di ebraismo. Quanti di voi hanno parte-cipato a queste “vacanze ebraiche”? Uno odue, oltre alla sottoscritta.Ma ritengo, e se non altro, io sono cresciutacosì, che il nostro futuro da ebrei valga unpiccolo sacrificio, e quindi magari si possa ri-nunciare alla solita vacanza per preservare ilnostro ebraismo. Credo quindi che noi Con-siglieri per primi, con le nostre famiglie, so-prattutto se di piccole Comunità, dovremmoimpegnarci a partecipare a raduni, Moked,settimane bianche e vacanze per famiglie,sollecitando, spingendo ogni famiglia dellanostra Comunità ad unirsi, e cosi dovrebbefare l’estabilishment di ogni Comunità, inparticolare se piccola.Penso fermamente che le grandi Comunitàdebbano sforzarsi di essere più accoglienti emeno chiuse nelle loro enclavi: romani, tri-polini, libanesi, persiani.Molti sono semplicemente ebrei, residentimomentaneamente in Italia. Coinvolgere

queste diverse realtà e integrarle nel contestoMoked o vacanza, con uno spirito accoglien-te, le grandi verso le piccole e viceversa, sa-rebbe un obiettivo importante. Il dialogo,ilconfronto con le diverse realtà fa crescere erinforza lo spirito ebraico riunito nell’obietti-vo comune di non perdersi. In questo, do-vremmo imparare dai movimenti giovanili.Come UCEI sosteniamo i movimenti giova-nili. I movimenti giovanili sono la base delnostro futuro, ma raggiungono il loro obiet-tivo solo se frequentati anche dai (sigh) pochigiovani delle piccole Comunità. Dobbiamosollecitare i movimenti giovanili nel coinvol-gimento di tutti i giovani sparsi sul territo-rio di ogni Comunità, agevolando la loropartecipazione ai campeggi, momento digrande coesione tra i giovani e di formazionedi identità ebraica. Noi, come genitori, non-ni, zii ebrei che tengono alla propria ebraici-tà, dobbiamo impegnarci a far frequentare imovimenti giovanili, anche con la volontàferrea. L’UCEI deve creare degli spunti perstimolare le piccole Comunità, che a loro vol-ta debbono essere motore di loro stesse, per-ché la cultura vissuta solo da spettatore allafine diventa irrilevante.Credo sia necessario svolgere una attività ca-pillare sul territorio di ogni singola Comuni-tà, cercando di sollecitare le famiglie concoinvolgimenti diretti da parte dei Rabba-nim, prendendo come spunto il modello Cha-bad. Hillel diceva se non sono io per me chi èper me? Un ultima riflessione. Il “rispettodelle regole”: un concetto che la nostra socie-tà sta perdendo. Tutto è discutibile, tutto èposto in discussione, manca la regola certada rispettare. Ma la regola certa è la sicurez-za della via. Il popolo ebraico ha una fortuna,ha la sua legge, La Torà, che ci ha dato quelleregole certe che ci hanno permesso di soprav-vivere e quelle regole certe che segnano il no-stro futuro. Non è retorica, ma secondo ilmio parere il rispetto della Torà è quella re-gola certa che possa garantire la nostra so-pravvivenza. Vi ringrazio per l’attenzione eporgo un cordiale Shalom.

invece infinite sfumature identita-rie al limite dell’appartenenza edella non-appartenenza. Le politi-che comunitarie non possono sem-plicemente ignorare questi feno-meni che coinvolgono tante perso-ne.6. Religione e popolo. Di fronte al-l’assimilazione va notata ancheuna risposta identitaria di ritornoe di recupero, di maggiore interes-se anche in cerca di protezione, dirafforzamento della conoscenzaebraica. La richiesta di più ebrai-smo si traduce a volte in conver-sioni di comodo. Ma nel valutareil senso dell’identità collettiva vaben capito che la chiave di volta èil senso dell’appartenenza al Popo-lo ebraico (Jewish peoplehood) an-

che al di là dell’aderenza alle nor-me del culto. Il concetto di ClalIsrael è stato completamente di-menticato nel discorso pubblico,anche rabbinico. Clal Israel – lacomunione dei destini – è un con-cetto profondamente ebraico, uma-no e attuale.7. Adeguamento istituzionale. Illegame storico dell’UCEI e delleComunità ebraiche con un concet-to tradizionale unitario di ebrai-smo, e d’altra parte la nascita e lacrescita di nuovi gruppi che po-pongono modelli ebraici alternati-vi – da un lato Chabad, dall’altrola Riforma, e ancora le pulsionidei discendenti di convertiti del-l’inquisizione – sfidano il ruolo dimonopolista nella rappresentanzadell’ebraismo italiani oggi detenu-

to dall’UCEI. L’attuale struttura èsimile a quella francese del Conci-storo, l’unione delle comunità re-ligiose ortodosse, ma in Franciaesiste anche il CRIF, organo om-brello rappresentativo politico dicui il Concistoro e tutte le altreorganizzazioni ebraiche fannoparte. Sarebbe forse possibile pen-sare a una riforma istituzionale inuna direzione simile, consentendoa tutti di far parte di un dialogocomune per certi aspetti, e tute-lando le autonomie di valore peraltri aspetti.8. Concentrazione e dispersione.Il concetto di comunità ebraica inItalia, come ente giuridico autono-mo, è davvero anacronistico. Unacomunità per essere tale deve ave-re una scala quantitativa che per-

metta di organizzare un’interarete di servizi essenziali, a partireda una scuola a pieno tempo e pertutte le classi. Da un semplicecalcolo risulta che ciò corrispondea una base demografica non infe-riore a 4.000 persone. In Italianon si riesce nemmeno a concepi-re il concetto di comunità regio-nali che permetterebbero la messaa consorzio e la concentrazione diservizi (anche part-time) fra ebreiche vivono in città a poche decinedi chilometri l’una dall’altra. Ilcampanilismo non lo permette.La concorrenza stimola e miglio-ra la qualità, ma in Italia sianoancora alla geografia dell’Italiapreunitaria.9. I costi. Oggi chi vuole essereebreo deve affontare costi proibiti-

vi, nell’educazione ebraica, nel-l’alimentazione cashèr, anche nel-la difesa fisica delle istituzioni co-munitarie. La domanda chiave diqualsiasi dibattito serio finiràsempre per essere: Chi paga?10. Israele come risorsa centrale.Israele ha dato al popolo ebraicouna base demografica e culturale,e deve oggi assumersi maggioriresponsabilità nella tutela e conti-nuità delle comunità attraverso ilmondo. Su una scala modesta masincera, il contatto e lo scambiocon gli Italkím e con la HevratYehudé Italia e il Tempio italianoa Gerusalemme, oltre che con glialtri minyanim che oggi esistonoin altre città in Israele, può costi-tuire una risorsa preziosa per ilfuturo dell’Ebraismo italiano.

ú–– Franca Formiggini AnavConsigliera UCEI

DELLA PERGOLA da P23 /

L’ultimoSono l’ultimo ormai,l’ultimo della mia generazione.Intorno a me visi nuovi, freschi, rosei,visi del benessere:sono nati dopo la guerra.

Non portano nei loro occhile motociclette dei tedeschiche si fermano con una brusca frenata;non portano nei loro occhitradotte con mille persone assetate;non portano nei loro occhifosse scavatee file di passi tremantiche segnano il passoal suono di un valzer davanti a una forca.Non portano nei loro occhinudi bambini al freddo in arresa,e fili spinatie doccee docce col fumo che esce di sopra.

Io parlo a tutti quei visi rosei e freschi,ai visi del benessere,io, l’ultimo ormaied essi, buoni, mi ascoltanoe un po’ sorridonoe un po’ hanno pena di un povero vecchio.

- Auschwitz, ma scusa, non era Custoza?- Era dopo?- E che c’entran le docce?- Impiccavano al suono di un tango?- Fratelli Rosselli o Bandiera ?- Sei milioni o seicentomila?

Sono l’ultimo ormai.E quello che porto negli occhi,quello che porto nel cuore,quello che è sempre presente,per loro è passato,per loro è soltanto più storia,soltanto materia di studio.L’angoscia non li ha conosciutied essi non posson capireed essi dimenticheranno,e i loro figli più non sapranno.

Per questo non voglio moririre.Per questo non devo morire.

Nedelia Tedeschi

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anche qui gli studiosi non sonomancati. Alcuni hanno partecipatoa questo convegno, altri non pote-vano per altri impegni e altri forsenon ne siamo venuti a conoscenza.Abbiamo messo nel titolo la Gran-de guerra e non la Prima guerramondiale, sicuramente più corret-to, ma perché in nessuna guerra ditutti i tempi ci sono stati 16 milio-ni di morti (di cui 9 milioni di mi-litari, 5 milioni tra le forze alleate e4 negli imperi centrali, e 7 milionidi civili) e 20 milioni tra feriti emutilati.Parliamo quindi dell’1,25% dimorti sulla popolazione delle forzealleate (806 milioni) e il 5% negliimperi centrali (su una popolazio-ne totale di 143 milioni). Molti ve-nivano anche dalle colonie francesi,belghe etc.Parliamo di 6000 morti al giorno. La sofferenza e la paura, la tristez-za e il senso di inutilità erano taliche la corrispondenza con le fami-glie è stata numerosissima; parlia-mo di 4 miliardi di lettere inviate acasa dai militari. Fame, malattie e invalidità sonostati tali da portare la facoltà dimedicina sul campo. Li c’era un ti-

rocinio continuo per i giovani stu-denti di medicina e si rendeva utileper la vicinanza e semplicità di ac-cesso.Ovviamente i numeri riportati perquanto riguarda gli ebrei non è unnumero definitivo perché ai tempiun soldato non era qualificato co-me “ebreo” nella sua scheda. Per-tanto molte ricerche sono state fat-te negli archivi delle Comunitàebraiche e sulla base delle persone

allontanate nel periodo delle leggirazziali.Per dire quanto gli ebrei fossero in-tegrati e attivi nella vita pubblicaitaliana, segnalo che non meno di235 ebrei entrarono nell’esercitosardo nel 1848, 260 nel 1859, 11facevano parte della spedizione deiMille sbarcata a Marsala, e almeno236 erano nelle forze che nel 1870entrarono in Roma. La partecipa-zione ebraica al consolidamento

/ P26 OPINIONI A CONFRONTO

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

Ho voluto che si organizzasse aTrieste un convegno denominato“L'apporto degli ebrei all'assisten-za sanitaria sul fronte della Grandeguerra". L’ho fortemente voluto eGiorgio Mortara mi ha supportatae incoraggiata perché molti nonsanno quanto gli ebrei si sentanoitaliani e quanto siano, almeno inquesto caso, integrati nella vitapubblica italiana. Qualcuno hascritto che gli ebrei durante la pri-ma guerra mondiale erano più ita-liani degli italiani. Poi proseguendo con l’organizza-zione del convegno e la ricerca de-gli studiosi, ho scoperto quanti era-no interessati all’argomento equanti libri era già stati editati sul-l’argomento stesso.Come Associazione Medica Ebrai-ca ci siamo limitati a “L’apportodegli ebrei all’assistenza sanitariaal fronte della Grande Guerra”, ma

La Tradizione ebraica è caratteriz-zata dall’imperativo categoricoZachor, ricorda. “Noi ebrei - scri-veva Martin Buber nel 1938 - sia-mo una comunità basata sul ricor-do. Il comune ricordo ci ha tenutiuniti e ci ha permesso di sopravvi-vere...”.“Ricorda i tempi antichi, cercate dicomprendere gli anni dei secoli tra-scorsi, interroga tuo padre e ti rac-conterà, i tuoi anziani e te lo di-ranno....”. (Deuteronomio, 32; 7,)Nella lingua ebraica non c’è il ter-mine storia che viene tradotto con“toledot” che letteralmente signi-fica “generazioni”. Non vi è dun-que Storia se non attraverso ciòche una generazione riesce a tra-mandare alla successiva. In questorisiede l’imperativo morale di ri-cordare.Da qualche anno gli studiosi ana-lizzano seriamente le memorie in-dividuali, cercando di organizzar-le in maniera scientifica ai fini

delle indagini storiche. E la cosid-detta storia orale è diventata unodei filoni più fecondi, e inesplora-ti, della ricerca sul passato.Si tratta di un ambito potenzial-mente infinito – tante testimo-nianze quanti sono gli individui!– senza contare che le nostre me-morie, come spiegavamirabilmente PrimoLevi, si trasformanonel corso della vita.La sfida è dar voce aduna serie di storiepersonali che ritenia-mo utili a spiegaregli ideali che spinge-vano molti ad impe-gnarsi attivamentenel conflitto dandodimostrazione dellapartecipazione attivache gli ebrei italianihanno offerto alle lot-te per l’unità d’Italia.In particolare in qua-si tutti i medici ebreivi è stato, oltre all’impegno nellosviluppo della scienza medica, unforte impegno civile e sociale quasicome un obbligo per la libertà eper la emancipazione ottenuta.Non sentirono la propria fede reli-

giosa come un impedimento allapartecipazione alla vita pubblicaitaliana. Molti sono i casi emblematici chehanno dato lustro sia all’Italia cheall’ebraismo e che sono stati og-getto di un convegno, “Mediciebrei nell’unità d’Italia”, che l’As-

sociazione Medica Ebraica ha or-ganizzato a Milano in collabora-zione con l’Università degli studie il Centro di DocumentazioneEbraica Contemporanea nel 2011,in occasione dei festeggiamenti

per i 150 anni dell’unità d’Italia. Abbiamo voluto organizzare unconvegno a Trieste perché laGrande guerra è stata combattutaanche per liberare questo lembod’Italia e può essere considerata laconclusione del Risorgimento el’ultima delle guerre per l’Unità

nazionale. A Triesterisiedeva una impor-tante comunitàebraica che ha vissu-to in prima personail dramma dell’irre-dentismo da un latoe dall’altro ha porta-to membri della stes-sa famiglia a combat-tere in eserciti oppo-sti. Ringrazio per questola disponibilitàdell’Università, delComune, della Co-munità ebraica e delMuseo ebraico diTrieste che ci hanno

aiutato a realizzare un evento chedeve completarsi con la pubblica-zione degli atti, per evitare chequeste vicende e i personaggi chene sono loro malgrado protagoni-sti siano dimenticati.

Dentro le vicende e i personaggi, per non dimenticare

delle istituzioni è confermata dalnumero di 700 ufficiali in serviziopermanente nell’esercito italianonel 1895. Molti di essi avevanoruoli importanti come GiuseppeOttolenghi, che nel 1902 diventòministro della guerra.Anche nei ruoli politici gli ebreierano numericamente presenti (20senatori nel 1902).Nel 1920, 3259 ebrei lavoravanonelle Amministrazioni dello Stato(846 insegnanti, 532 Poste, 398magistratura, 470 Finanze e Teso-ro, 317 agli interni, 267 nell’eser-cito e 117 nella marina). A frontedi tutto ciò le Comunità israeliti-che si assottigliavano probabilmen-te per la alta assimilazione e inte-grazione e quindi disaffezione.Trentasei generali nella primaguerra mondiale e 6 generali o am-miragli nella marina.Gli storici dicono che a grandi assi-milazioni sono succedute grandipersecuzioni, vedi il caso della Spa-gna del 1492 e la Germania del1938, ciascuna con le relative con-seguenze.Ma di tutto ciò hanno parlato per-sone più competenti di me. Con-cludo dicendo che voglio ringrazia-re tutti coloro che sono intervenutie anche quelli che non hanno potu-to intervenire. Ringrazio la CRIche ci ha aperto i suoi archivi e ciha dato tanti documenti. È statauna organizzazione lunga e fatico-sa, ma io non mi ero mai occupatadi questo argomento ed era tuttonuovo per me. Abbiamo intenzionedi pubblicare gli atti di questa gior-nata di studio online per vari moti-vi che mi sembrano molto più im-portanti del fattore economico checomunque non è irrilevante. Inprimo luogo sono consultabili dachiunque, poi si possono inseriretutte le figure che vogliamo. Poi,ma per me il più importante, altridati potranno essere aggiunti manmano che se ne viene a conoscenza.Questo perché noi abbiamo elenchidi tutti i medagliati, ma non sap-piamo nulla o quasi dei soldatisemplici o di coloro che sono mortiprima di avere una medaglia. Iovorrei che il testo che ne uscirà sia-no sì degli atti del convegno maanche una raccolta di tutti i docu-menti sparpagliati nei vari archi-vi/case/biblioteche. Sarà un grandelavoro ma vi prego di aiutarci. Cosìonoreremo la memoria di tanti ca-duti o feriti che si sono battuti perl’Italia. Gli ebrei dicono e scrivonosulle loro tombe “Sia la sua memo-ria di benedizione”. E cosi sia.(Nelle immagini di questa pagina militariebrei italiani e austriaci nella Grande guerra)

ú–– Giorgio MortaraVicepresidentedell’Unione delle ComunitàEbraiche Italiane

ú–– Rosanna SupinoAssociazione Medica Ebraica

Grande guerra, le storie di coraggio e assistenza riscoperte

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017 ECONOMIA

IL COMMENTO IL DRAMMA DI UNA VITA AI MARGINI

Cronache di un disastro annunciato,si potrebbe dire, recitando la parte deifacili profeti. È quanto emerge da unrecente rapporto dell’Agenzia delleNazioni Unite per lo sviluppo dedi-cato all’Arab Human Development2016, focalizzato su “I giovani e leprospettive per lo sviluppo umano inun mondo che cambia”. Un terzo della popolazione delle so-cietà arabe è composto da giovani dietà compresa tra i quindici e i venti-nove anni. Sono 105 milioni di indi-vidui. Se ad essi si sommano ibambini da zero a quindici anni, lapercentuale raggiunge il 60 per

cento. Si tratta del risultato di unatendenza demografica di lungo corso.Durante l’ultimo mezzo secolo, in-fatti, l’intera regione, che includecirca 370 milioni di individui per 22paesi (tra di loro molto diversi se nonagli antipodi), ha conosciuto un tassodi crescita della popolazione con unvarianza dal 2,2 al 3,3 per cento afronte dell’1,8 mondiale. Le unicheeccezioni sono costituite dal Libano edalla Tunisia. Dalla pressione delleclassi d’età più giovani sono scaturitimolti fenomeni sociali e politici, tra iquali le “primavere arabe”. Il tuttodinanzi ad un azzeramento della mo-bilità sociale che in non poche societàsi è tradotto in un processo di arre-

tramento. Più della metà della popo-lazione è di fatto del tutto esclusadalle politiche adottate dai governi Laquasi totalità di essa vive in ambientidove mancano libertà politiche e diespressione.  La meso-regione arabaconta peraltro il 57,5 per cento deiprofughi di tutto il mondo, a frontedell’ospitare solo il 5 per cento dellapopolazione planetaria. Ancora qual-che dato di corredo: tre persone suquattro vivono in luoghi dove sonoin corso conflitti armati; se nel 2002 ipaesi in guerra erano cinque ora sonopiù che raddoppiati; quasi il 70 percento delle morti causate da guerre ela metà dei deceduti a causa del ter-rorismo appartengono a nazioni

arabe. Il tasso medio di partecipa-zione al mercato del lavoro dei gio-vani, infine, è clamorosamente basso:il 24 per cento tra i maschi, il 18 trale donne. Servirebbero, di qui ai pros-simi anni, almeno sessanta milioni diposti di lavoro. Una chimera, pur-troppo. Il rapporto delle NazioniUnite identifica sei ostacoli princi-pali: lo scarso sviluppo economico insistemi nazionali caratterizzati dalnepotismo e dalla cristallizzazionedei ruoli; la debole o nulla partecipa-zione politica, peraltro disincenti-vata dalle stesse élite di potere;l’accesso diseguale all’istruzione (cheingenera il duplice fenomeno dei“sovra-istruiti”, frustrati nelle loro

aspettative professionali, e dell’anal-fabetismo diffuso); le grandi dispa-rità di genere, in comunità dove ledonne faticano enormemente a ve-dere riconosciute le loro funzioni so-ciali e ancora di più la pari dignità;la persistenza di conflitti armati enon, a fronte della sostanziale vo-lontà politica di non mediarli construmenti pacifici e consensuali; unacorruzione endemica, strutturale,che manda in fumo miliardi di dol-lari ogni anno. Da ciò, e da altro an-cora, deriva una drammatica miscelatra marginalità e frustrazione, che siriflette sulle stesse prospettive futuredi questa generazione di giovani e diquelle a venire.

CLAUDIO VERCELLI

Intervenendo a un convegno

della Confindustria israeliana, la

governatrice della Banca centra-

le d'Israele Karnit Flug ha lan-

ciato un nuovo campanello d'al-

larme sulla inadeguatezza del si-

stema scolastico israeliano. Qua-

li sono le debolezze delle scuole

israeliane e quali le conseguen-

ze? Lo spunto è stato offerto da

una domanda rivolta alla gover-

natrice dall'uditorio, sul perché

la banca centrale e il Ministero

del Tesoro non adottano misure

di stimolo all'economia, in un

contesto in cui il prodotto cre-

sce a ritmi soddisfacenti (3%

l'anno) e la disoccupazione è

contenuta ma il potere d'acqui-

sto delle famiglie è basso e vi è

una percezione diffusa che il be-

nessere è scarso e concentrato

in una piccola fetta di popola-

zione. La governatrice ha espo-

sto la visione che è ormai di con-

senso tra le autorità di politica

economica dei paesi sviluppati,

ossia che politiche di stimolo (ri-

duzione dei tassi d'interesse da

parte della banca centrale o au-

mento della spesa pubblica da

parte del Governo) hanno dei

vincoli oggettivi (il fatto che i

tassi sono vicini allo zero e la ne-

cessità di evitare deficit dei con-

ti dello Stato) e comunque han-

no effetti temporanei sull'occu-

pazione e si traducono in au-

menti dell'inflazione. Secondo la

Flug, la chiave per aumentare in

modo permanente il benessere

della popolazione (in termini

economici si tratta della produt-

tività, ossia del prodotto annuo

di ogni lavoratore) è quella di

agire sul sistema scolastico, che

rimane un tallone d'Achille del-

l'economia israeliana.

È un fatto poco noto che il si-

stema scolastico israeliano

(istruzione primaria e seconda-

ria, ossia elementari, medie in-

feriori e medie superiori) soffre

di una duplice debolezza: da un

lato un livello generale di pre-

parazione degli studenti, specie

nelle materie scientifiche, basso

nel confronto internazionale (lo

confermano i test PISA) dall'al-

tro lato le forti disparità tra stu-

denti di diversa estrazione so-

cio-economica (Tel Aviv rispetto

a Beer Sheva, per intendersi) e

di diverse etnie (arabi e ebrei ul-

traortodossi sono le minoranze

svantaggiate). Dalla qualità del

sistema scolastico dipendono i

percorsi lavorativi e il gradino

sociale che gli studenti di oggi

raggiungeranno domani e

l'istruzione è divenuto uno stru-

mento ancora più importante

nell'epoca della globalizzazione

e dell'accresciuta concorrenza

delle economie emergenti. Sotto

questo profilo ci sono alcune

analogie tra Israele e l'Italia.

Ma come si concilia, qualcuno

obietterà, questa debolezza con

il successo e la fama mondiale

delle università israeliane non-

ché con la vivacità del settore

delle alte tecnologie, fiore al-

l'occhiello del paese e ad elevata

intensità di manodopera quali-

ficata? Come si spiega il para-

dosso? In primo luogo c'è una

cesura tra scuole e università

israeliane dovuta al fatto che le

università da un lato ricevono

ingenti finanziamenti pubblici e

privati, dall'altro beneficiano

della “fuga di cervelli” stranieri,

un po' come le università ame-

ricane. In secondo luogo il set-

tore high tech rappresenta una

nicchia e una piccolissima per-

centuale della popolazione e

della manodopera israeliana, e

purtroppo ha ricadute limitate

sul resto del paese.

Quando il tallone d’Achille è il sistema scolasticoú–– Aviram Levy

economista

u Fonte: dati OCSE

Debito pubblico - Israele

Debito pubblico - Ocse

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/ P28 ECONOMIA

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

Passeggiare per la Fifth Avenue, la leggen-

daria Quinta Strada di New York, è

un’esperienza amata da cittadini e turisti

in egual misura. Tempio privilegiato dello

shopping, l’arteria di Manhattan offre an-

che non pochi punti di riferimento storici

e culturali della Grande Mela, dall’Empire

State Building al Rockefeller Center e la

New York Public Library. All’incrocio con

la Novantaduesima, si trova il Museo

ebraico, che con i suoi 112 anni di storia

è la più antica istituzione del genere nel

mondo ancora attiva. Attiva e con lo

sguardo rivolto verso le sfide della con-

temporaneità e del futuro. Così un museo

che si propone di essere un pilastro della

cultura ebraica in una città pilastro della

vita ebraica come New York sceglie di ono-

rare un fondamento della sua tradizione

nella storia: lo Shabbat.

“Nell’ebraismo, il sabato è Shabbat, un

giorno di riposo, libero dalle preoccupa-

zioni di orari, lavoro quotidiano e commer-

cio. Per questa ragione le parti interattive

delle mostre, le audio-guide, il negozio e

gli spazi dedicati ai bambini non sono di-

sponibili. E questa è anche la ragione per

cui di sabato, si entra gratis!” si legge nel

sito. Già perché mentre durante la setti-

mana i biglietti costano 15 dollari (ridotti

a 12 per anziani e bambini e a 7,5 per gli

studenti), nel Giorno del Riposo il museo

rimane aperto e si entra gratis, per godere

delle sue gallerie che raccolgono una col-

lezione di decine di migliaia di oggetti di

Judaica, opere d’arte, manufatti. E la no-

tizia di oggi è che i visitatori avranno per-

sino la possibilità di godere di un perfetto

brunch in stile newyorkese. Il ristorante

Russ & Daughters, icona della cucina della

città, un paio di anni fa ha fatto la gioia

dei consumatori che rispettano le norme

della casherut (insieme delle leggi ebraiche

in materia alimentare), aprendo un punto

con certificazione casher all’interno del

museo, in aggiunta al suo locale storico

nel Lower East Side. E dalla fine di gennaio,

li delizierà nuovamente, offrendo loro la

possibilità di consumare un pasto durante

lo Shabbat. Piatti freddi e prenotazione

obbligatoria entro le 3 di pomeriggio del

venerdì i concetti chiave per permettere

la novità. Tra i must, gli intramontabili ba-

gel, salmone e pesci vari affumicati, cream

cheese. Oltre a vino da challot per le tra-

dizionali benedizioni che aprono il pasto

dello Shabbat. Il tutto a un prezzo di 50

dollari a testa. Non proprio regalato ma,

assicurano i gestori, le prenotazioni stanno

già conoscendo un autentico boom: “Il sa-

bato era già il giorno più affollato della

settimana, ora la gente ha persino una ra-

gione in più per venire”.

New York e il valore dello Shabbat

“Sisma, la solidarietà non si fermi”“Hanno ancora bisogno di aiuto.Di un aiuto psicologico per con-frontarsi con il trauma che conti-nua a ripresentarsi”. A parlare SilviaReichenbach, tra le volontarie par-tite diversi mesi fa con IsraAid (or-ganizzazione no profit israelianaspecializzata nel prestare soccorsonei luoghi colpiti da guerre e ca-lamità naturali) per Amatrice. Lenotizie che arrivano da quei luoghisono, a distanza di tempo ancoraterribili: la neve e nuove scosse diterremoto hanno riportato nelCentro Italia la paura e il dolorepatiti con il sisma di fine agosto.Nuove vittime purtroppo si vannoad aggiungere a quelle di solo po-chi mesi e chi rimane orgogliosa-mente in quelle terre deve convi-vere con un futuro incerto, con lospaesamento di un contesto socialeche non esiste praticamente più edeve essere ricostruito. A questopensano Silvia e Silvana Wiener,anche lei psicologa intervenuta conIsraAid ad Amatrice, quando par-lano della situazione di quei luoghia distanza di mesi dalla loro mis-sione. Quelle persone, spiegano,hanno ancora bisogno di supportopsicologico. L'equipe di IsraAid hafornito loro l'aiuto in prima battuta,diverse persone sono rimaste incontatto con quei volontari crean-do un ponte da Israele e l'Italia.Ma dai racconti di chi vive ancora

nelle tende, spiegano le psicologhe,la solitudine è ancora un sentimen-to molto diffuso. E pericoloso, inparticolare in casi di disturbi post-traumatici. Il sostegno è importantema deve essere un sostegno neces-sario e mirato.Nelle settimane prima della trage-dia di Rigopiano, IsraAid in colla-borazione con l'Unione delle Co-munità Ebraiche Italiane aveva vo-luto portare una solidarietà con-creta alle popolazioni colpite, an-cora costrette ad affrontare nelletende l'inverno. Termocoperte,giacche per bambini e per adulti,stufe, scarpe. Sono alcuni dei ma-teriali che erano stati portati dalla

delegazione UCEI e della no-profitisraeliana. “Dopo il nostro primointervento a settembre non abbia-mo mai perso i contatti con le isti-tuzioni locali e con le persone concui abbiamo collaborato” raccon-tava a Pagine Ebraiche Ardita Kon-gjonaj, a capo della missione diIsraAID che ha visto coinvolto unteam di esperti soccorritori e psi-cologi come Silvia e Silvana pro-venienti da Israele. “Siamo contentidi essere riusciti ad incontrare ilsindaco di Amatrice Sergio Pirozziche ci ha ringraziato per il mate-riale”, aveva sottolineato Kongjonaj,consapevole d'altra parte di quantoancora la situazione per quelle per-

sone fosse critica. Durante l’incon-tro il sindaco aveva avuto anchemodo di parlare telefonicamentecon la presidente UCEI Noemi DiSegni, che aveva ribadito la solida-rietà dell’ebraismo italiano alla cittàe a tutte le famiglie colpite dal ter-remoto. Dopo la raccolta fondiportata avanti dall’Unione, “l’enteproseguirà nel suo impegno di as-sistenza ai terremotati con inizia-tive specifiche”, ricordava l’asses-sore al personale UCEI FrancaFormiggini Anav, che aveva visi-tato in settembre Scai, frazione diAmatrice.L’organizzazione israeliana, avevaspiegato Kongjonaj, ha fornito sia

personale di soccorso sia psicologiper il trattamento di disturbi posttraumatici. “Il lavoro dei nostri psi-cologi è stato molto apprezzatodai cittadini – sottolineava – Sonoarrivati qui da Israele venti espertie le persone hanno iniziato a rivol-gersi a noi per parlare anche piùdi una volta al giorno. È piaciutoil nostro approccio morbido e sonostate create connessioni importan-ti”. Connessioni che in alcuni casi,come si diceva, si sono mantenutenel tempo, segno dell'importanzadi quel sostegno psicologico cheperò per essere efficace – spieganole stesse psicologhe – deve conti-nuare ad essere portato avanti.

u Nelle scorse settimane

l’Unione delle Comunità Ebraiche

Italiane è andata assieme alla

no-profit IsraAid a dare un so-

stegno alle popolazioni del Cen-

tro Italia colpite dal terremoto

in agosto. La situazione rimane

critica, peggiorata dalle condi-

zioni climatiche. Da IsraAid si fa

capire che c’è la volontà di tor-

nare a dare una mano.

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Il suo insegnamento è enorme,l’eredità che ha lasciato al mondo,e al mondo ebraico in particolare,inestimabile. Ma il capitolo del te-stamento del grande filosofo e so-ciologo Zygmunt Bauman (1925-2017) che forse più corrisponde aigiorni nostri, quello che conside-riamo dovrebbe essere patrimoniodi tutti i giornalisti ebrei, è la suamessa in guardia nei confronti deiveleni dei social network.Scettico nei confronti delle nuovemodalità espressive praticate daquelli che sono stati chiamati gli“attivisti in poltrona”, la gente chedal comodo di casa propria, spessosfuggendo a ogni assunzione di re-sponsabilità, non risparmia maldi-cenze, calunnie e invettive scon-clusionate, inventa notizie infon-date, diffonde il sospetto e la sfi-ducia, il vittimismo e l’ossessione;Bauman anche in questo caso haparlato molto chiaro.Da giornalisti, da ebrei, da cittadini,vale la pena di ascoltarlo ancora.“Il problema dell’identità – ha spie-gato il grande pensatore polacco– è oggi percepito in una manieranuova. Dall’ipotesi di essere qual-cuno che è nato con un compito

da realizzare a quella di creare unatua propria comunità. Ma le co-munità non lasciano creare a ta-volino, o esistono o non esistono.E i social network possono offrircisolo una artificiosa sostituzione”.“La differenza fra una comunità eun network – prosegue - è che tu

puoi appartenere a una comunità,ma un network può appartenerea te. Puoi aggiungere o cancellareamici a piacimento. Ti si lascia cre-dere di poter controllare con chiessere in relazione. E la gente sulmomento si sente un pochino me-glio, perché l’abbandono e la soli-

tudine sono i grandi timori dellanostra civiltà dell’individualismo.Ma è così facile aggiungere ed eli-minare i propri amici in questomondo artificiale che la gente stadisimparando le abilità sociali chesono necessarie per uscire fra lagente, per andare al lavoro, quan-

do davvero è necessario in contat-to e confrontarsi con persone incarne ed ossa”. Infine una grandelezione che dovrebbe guidare tutticoloro che si occupano di comu-nicazione, soprattutto di comuni-cazione identitaria.“Non è un caso se papa Bergoglio,che è un grande uomo di comu-nicazione, ha scelto di concederela sua prima intervista a un gior-nalista che si proclama ateo. È ilsegno che ci lascia capire come ilvero dialogo non può esistere frapersone che si danno ragione a vi-cenda. I social media non possonoinsegnarci il dialogo. E per di piùsono uno strumento utilizzato lamaggior parte delle volte non perunire, non per aprire gli orizzonti,ma al contrario per ritagliarsi unambiente mentale rassicurante incui rinchiudersi, dove l’unico suo-no che ascoltiamo è l’eco della no-stra voce, dove l’unica forma chevediamo è il riflesso del nostrovolto.I social media possono essere mol-to utili per dispensare soddisfazioniimmediate, ma in realtà sono unatrappola”.

g.v.

pagine ebraicheu /P30-31ARTE

u /P32STORIA

u /P33CINEMA

u /P34-35SPORT

“Il progresso è ormai solo un mito, perché la gente non crede più che il futuro sarà migliore del passato” (Zygmunt Bauman)

Zygmunt Bauman e i veleni dei social

UN GIGANTE DEL PENSIERO CONTEMPORANEO

Nato nel 1925 in una famiglia ebraica nellaparte di lingua tedesca della Polonia,scampato alla guerra nell’URSS, nel ‘68Bauman fu costretto dalla repressione delregime polacco a lasciare il Paese. Andòad insegnare prima in Israele alla Tel AvivUniversity e poi all’Università di Leeds, do-ve ha mantenuto la cattedra per diversidecenni. La scomparsa di Bauman, man-cato all’inizio di quest’anno, lascia un vuo-to profondo, difficile da colmare. Una po-sizione condivisa dagli opinionisti del gior-nale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche.“Non abbiamo potuto che iniziare con unsuo ricordo. Perché, tra le molte menti il-lustri che abbiamo perso nei lager, ha ri-schiato di esserci anche lui” afferma GadiLuzzatto Voghera, direttore della Fonda-zione Cdec, che poche ore dopo la scom-parsa di Bauman ha condotto un atteso

dialogo con il direttore del Museo di Au-schwitz Piotr Cywinski al Memoriale dellaShoah di Milano. “Ho iniziato a rifletteresulla Shoah proprio grazie a un suo testo,Modernità e Olocausto. Un testo decisivoper la mia formazione, che mi ha permes-so di comprendere queste vicenda nonpiù soltanto in termini storici, ma anchein una prospettiva sociologica. Ci ha dav-vero aperto gli occhi, Bauman, aiutandocia capire come la macchina dello sterminiosia parte della modernità”.“L’eredità più significativa che ci arriva daBauman è la percezione del mutamentocome dato strutturale delle società pas-sate, presenti e future” riflette ClaudioVercelli. Ma anche, aggiunge lo storico, lasua capacità di mettere in tensione un pa-rere progressista come quello che ha sem-pre testimoniato con regimi “a parole pro-

gressisti, ma in realtà totalitari”. Una figuraquindi rilevante da un punto di vista in-tellettuale, ma anche civile. Una figura che,spiega Vercelli, è importante anche per iltema della complessità del mutamento,delle tante identità “che possono convi-vere in un individuo”.Afferma invece Anna Foa: “Con Baumanscompare un personaggio grandissimo,

che sarebbe limitativo associare esclusi-vamente alle sue teorie sulla società liqui-da. È stato infatti un gigante sotto varipunti di vista, a partire da quello etico. Maanche da un punto di vista storico ha pro-dotto studi molto significativi sulla Shoahe la sfida della Memoria”. Per la professo-ressa, Bauman fa parte di una categoriadi protagonisti del nostro tempo difficil-mente riproducibili, “anche per la loro ca-pacità di cambiare il mondo e incidere sullavita di così tante persone”. “Bisogna essere eclettici e curiosi del mon-do. E inoltre non bisogna fissarsi su unmetodo sociologico, su una disciplina spe-cifica”.Questo per Wlodek Goldkorn, chemolte volte l’ha intervistato, uno degli in-segnamenti più importanti che ci arrivanodalla vita, dalle opere e dalla testimonianzadi Bauman.

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ú–– Elio CarmiConsigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Giorno per giorno, mese per mese,anno per anno. È cosi che si fa. Ogniluna nuova, (Rosh kodesch) è il capomese che apre un nuovo ciclo deltempo ebraico, e segna i cicli dellefeste, della vita, della conoscenza chepassa tra un padre e un figlio. Ema-nuele Lele Luzzati, in vita, giornoper giorno aggiunge un suo perso-nale pezzo di storia, è come osser-vasse il precetto, la mitzvà, di rac-contare. (We higdatà le vinkhà bajom u / Lo racconterai a tuo figlioin quel giorno). Ma i suoi sono rac-conti senza parole, perchè le parolenon bastano per raccontare le suestorie. Le parole dette o scritte di-cono a pochi, sono per chi conoscequel codice linguistico, quella speci-fica scrittura. Una lingua non è universale, ma leimmagini, quelle invece, parlano atanti, quasi a tutti. Certo è difficileparlare a tutti per un uomo di pocheparole come Lele. Ci riesci solo sehai una grande voglia, un grande ta-lento, e molto molto molto allena-mento. Lele si è allenato, per più di85 anni si è allenato. Ha cominciatomolto presto a far disegni, i primierano per gli arazzi di sua mamma,quelli fatti con le pezze di risulta, ap-pesi in casa sua; è la stessa casa chelo ha visto nascere, sfollare, ritornaree costruire tutti i passaggi della suavita. Li c’è anche un grande armadioin compensato con un grande cava-liere che sta dipinto sulle porte, du-ramente colorato e in posa forte,messo li per difenderne ricordi bencustoditi.

È tra gli arazzi e le ante degli armadi,sul tavolo da cucina e sul tavolo dellasala, che ha continuato gli allena-menti. Fumetti, incisioni, stampe, se-rigrafie, acqueforti, illustrazioni, ani-mazioni, pupazzi, ceramiche, scultu-re, tessuti, lampade, oggetti d’uso,scenografie, manifesti, carte da gioco,libri...ha perfino fatto le pareti internedi un transatlantico. Mani allenate estraordinariamente inventive, manivitali. Così ha prodotto le cose checonosciamo, non certo risparmian-dosi, anzi Lele le cose non le fa perse stesso, le fa per gli altri; il fatto èche per “accenderlo” ci vuole una

domanda e lui semplicemente, comese fosse “automatico” ti costruisce larisposta. Gli chiedi una Chanukkia?e lui mette in cottura la ceramica.Vuoi Giobbe che ospita i suoi invitatia tavola? Dai tempo al tempo eGiobbe arriva. Hai in giudaico-pie-montese “la bataja ad i ebrei admouncalv” da illustrare? Ti fa scor-rere i personaggi sotto gli occhi comelo farebbe un cantastorie. È come seagli altri chiedesse: dimmi dove vuoiche ti porti? Indicami la direzioneche tu vedi? Fammi capire dietroquale siepe è la tua porta? Poi passodopo passo il suo/tuo racconto in-

comincia, si delinea, si fa ascoltare(scemà israel / ascolta israele). Sentile forme, i colori, i segni, le architet-ture che si incastrano si intreccianosi aprono. I suoni li vedi e diventanoimmagini, scrivono e descrivono nel-lo spazio di un campo visivo, luoghidi un tempo che non è più; spazi fia-beschi e immaginari; palazzi merlaticon regine e mitologie; giardini pa-radisiaci e tentatori; città così impro-babili da sembrar vere; ambiti pos-sibili di luoghi impossibili. Questa sua capacità narrativa uni-versale ognuno la può leggere comevuole; con gli occhi di un bimbo, con

l’esperienza di un vecchio saggio, conle voglie e le ansie di un irrequietoragazzo. Se ti farai prendere dalle suestorie, le storie ti prenderanno. Daquel momento loro non saranno sue.Loro sono le tue storie. Qui Lele avràraggiunto lo scopo, ti avrà dato unpò di se stesso e in cambio ti chiedesolo di capire che giorno per giornole storie ci sono per essere vissute eraccontate. Ma per viverle ci vuolesempre un Altro, un uomo, una don-na, un bambino, una comunità. Qual-cuno che ascolti per poi fare ascoltarea qualcun altro. Senza l’Altro, senzal’ascolto, non si è nessuno.

ú– ARTEUna Giornata intitolata “Guarda il cielo e conta le stelle...” (Genesi XV,5) in ricordo di Emanuele Luzzati a 10 anni dalla morte si svolgeràRoma, dedicata a Tullia Zevi, domenica 5 febbraio 2017 nella sala del Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nelcorso dei lavori sono previsti gli interventi di Ariela Fajerazen, Valentina Filice, Pupa Garribba, Carla Rezza Gianini, Giacometta Limentani,Bice Migliau, Sergio Noberini. Il dibattito sarà moderato da Georges De Canino. Nel pomeriggio le attività proseguiranno al Museo Ebraicodi Roma con un laboratorio creativo per bambini dai 6 anni sulle tecniche di Luzzati, a cura di Elisa Pezzolla (dell’Officina Didattica MuseoLuzzati), una visita guidata di presentazione delle formelle in maiolica “I 12 mesi Ebraici” (1960) e la proiezione del cortometraggio “Jerusa-lem” di Emanuele Luzzati e Giulio Gianini.

Lele Luzzatti, creare per farsi ascoltare

/ P30 CULTURA / ARTE / SPETTACOLO

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Le domande fondamentali cheElie Wiesel si è posto per tutta lasua vita di testimone della Shoah.Un romanzo che fa riflettere, inun continuo alternarsi di desola-zione e speranza, frustrazione efiducia nella capacità di affermarela nostra umanità.Gregor, il protagonista di Le portedella foresta (Giuntina), deve af-frontare quattro prove, una perstagione, come quattro sono lestagioni della vita. Il suo è un per-corso concentrato in un solo tra-gico anno che assume i caratteridel viaggio iniziatico: l’incontro

con “il maestro”, il nascondimentodel proprio io per guardare ecomprendere l’altro, la lotta attivaper cambiare ilmondo, la me-moria che sitramuta in sag-gezza. Nel suo viaggio,Gregor deve af-frontare e scon-figgere il male ela morte. La Shoah èun’esperienza estrema che non la-scia vie di fuga. Gregor lo com-prende subito e con coraggio e

animo puro lotta per la vita e ladignità umana.“Quando il grande Rabbi IsraelBaal Shem Tov avvertiva l’incom-bere di una qualche sciagura sul

popolo ebrai-co - le primeparole del li-bro - aveval’abitudine diandare a ri-mettere in un

punto della foresta; là accendevaun fuoco, recitava una certa pre-ghiera e il miracolo si compiva:la sciagura si allontanava...”.

Un diario ritrovato. La sofferenza diun’adolescente. La testimonianza diun’altra Anne che viene alla luce. “Havissuto appena tredici anni Éva Hey-man, scrive Andrea Rényi nella po-stfazione di Io voglio vivere (Giuntinaeditore) «la ragazzina con quel me-raviglioso visino da mela, con la suaavida curiosità, l’ambizione, la vanità,gli occhi luminosi che sprizzavanoenergia», come la definiva il suo pa-trigno, lo scrittore ungherese BélaZsolt (1895-1949), nel suo mirabilelibro autobiografico Le nove valigie.Éva Heyman nasce il 13 febbraio1931 a Nagyvárad, l’attuale Oradeain Romania, e termina la sua breveesistenza il 17 ottobre 1944 nel cam-po di concentramento di Auschwitz-Birkenau. Dal suo tredicesimo com-pleanno, il 13 feb-braio 1944, e fi-no al 30 mag-gio, data dell’ul-tima annotazio-ne, tiene un dia-rio in cui descri-ve le condizionidi vita semprepiù difficili degliebrei di Nagyvárad. Dalle lettereriportate in questo libro risulta cheprima di essere spedita al campo diconcentramento Éva Heyman affidail diario a una fedele domestica cat-tolica della famiglia, la quale al ter-mine della guerra lo restituisce allamadre, la giornalista Ágnes Zsolt,unica sopravvissuta di tutta la fami-glia. Ágnes è morta suicida nel 1951.Ecco uno stralcio di un suo testo.“Ho trovato il diario di Eva nel 1945a Nagyvárad. L’aveva in custodia Ma-riska Szabób, la nostra fedele cuoca.Sono la mamma di Eva, lei mi chia-

mava semplicemente Ági. Nel 1944la cattiveria e la crudeltà umana ciavevano separate in quell’inferno sullaterra che era il ghetto di Nagyvárad.Io sono stata deportata a Bergen-Belsen ma in seguito ho avuto for-tuna e sono riuscita a emigrare inSvizzera. Éva ha perso la vita il 17ottobre 1944 ad Auschwitz. Daquando la sua amica, la piccola MártaMünczer, nel 1941 era stata portata

via mentre eradavanti a unaciotola di frago-le con panna emessa su un va-gone, Eva era

molto cambiata. Aveva l’idea che leie tutti quelli ai quali voleva beneavrebbero fatto la stessa fine. Eva erasensibile ed estremamente intelligen-te, ed era molto difficile persuaderlache le sue paure, che sfioravano l’os-sessione, fossero ingiusticate. Comerisulta dal suo diario eravamo riuscitia tranquillizzarla in qualche modocon spiegazioni apparentemente lo-giche. Ma il dolore per il destino diMárta aveva lasciato tracce profondee quando il 19 marzo 1944 i tedeschihanno invaso anche l’Ungheria le ètornata in mente, come fosse una vi-sione, la graziosa figura di ballerina

della sua amica, e fino al 3 giugno,quando è stata deportata anche leiin Polonia, scoppiava a piangere piùvolte al giorno parlando sempre diMárta. Il destino di Éva si è compiutoil 17 ottobre 1944. Era arrivata adAuschwitz il 6 giugno, mentre gli Al-leati stavano sbarcando in Europaper la prima volta. Éva ha avuto lasua parte di orrori al pari di altri mi-lioni. Secondo testimoni sopravvis-suti, nonostante le pene fisiche e psi-chiche il suo istinto di sopravvivenzanon l’ha mai tradita e l’ha conservatafino all’ultimo in condizioni fisichesufficientemente buone rispetto aglialtri. Sempre secondo le testimonian-ze di sopravvissuti, la sua cugina eamica, Marica Kecskeméti – di leiparla anche nel diario – è morta let-teralmente fra le sue braccia, eppureÉva non ha perso la voglia di vivere.Ha fatto tutto quello che è stato pos-sibile ai suoi tredici anni per arrivareviva nel mondo che lei e il suo am-biente sognavano nei tempi oscuridel fascismo. Éva a tredici anni lottava per la suavita contro i boia feroci del TerzoReich, ma la belva tedesca ha avutola meglio. La bestia feroce che è stata la causadiretta della sua morte si chiamavaMengele. Non occorre presentarlo,non credo al mondo ci sia una solapersona che non rabbrividisca sen-tendo il suo nome. Per la vergognadell’umanità intera era laureato inmedicina e in base alle testimonianzela sua voce vibrava come l’organo.Sembrava un dio mitologico. Fra centinaia di migliaia di deportatiMengele sceglieva chi doveva moriresubito nella camera a gas e chi inveceera stato condannato a vivere (...)”.

La generosità e la disponibilità di Lele Luzzati nei confronti degli amici

e delle istituzioni ebraiche era davvero singolare e, nella semplicità

con cui veniva profusa, degna di quel grande artista che

era. A questo proposito i quattro disegni inediti donati al Centro di

Cultura Ebraica che saranno esposti al Centro Bibliografico hanno una

storia particolare. Nel 1980, in occasione dell’Incontro al Portico d’Ot-

tavia, la “festa in piazza” tra le prime manifestazioni ebraiche all’aper-

to, antenata dell’attuale Giornata Europea della Cultura Ebraica, oltre

alla Mostra storica sulle Cinque Scole, avevamo pensato come Centro

di Cultura di realizzare e proiettare un audiovisivo (siamo nell’epoca

predigitale e i mezzi erano diapositive che scorrevano con testo e

musiche sincronizzate) sulla

casa ebraica come luogo di

vita comune secondo le tra-

dizioni, di condivisione di

momenti lieti e di celebrazio-

ne delle feste. Il materiale

raccolto da Massimo Di Gio-

acchino per l’audiovisivo tra

foto e scene riprese dal vivo

in varie case, incisioni e codici miniati era abbondante, ma non era

soddisfatto perché mancava una ispirazione e una espressione artistica

che desse luce e risalto al tutto. Così chiamai l’amico Lele che fu molto

lieto di aiutarci con questi suggestivi disegni sui simboli e sulle feste

e che assicurarono il successo alla nostra impresa. Un altro ricordo

riguarda Lele che disegna insieme ai bambini al Pitigliani. Siamo verso

la fine degli anni ‘90 e Ambra Tedeschi aveva invitato Lele ad ascoltare

bambini e ragazzi che raccontavano storie ispirate alla Torà e a dise-

gnare con loro e per loro i relativi personaggi. Lo rivedo seduto per

terra in mezzo a loro e dietro un cavalletto a riempire con rapidità

fogli su fogli. A un certo punto ha chiesto se qualcuno avesse un per-

sonaggio biblico preferito, e mio figlio Ariele ha risposto che era Mosè

e alla domanda di Lele su che cosa avesse in mano, invece che dire

ovviamente le tavole della legge, ha detto “una bacchetta”. Così si

potrà ammirare esposto un Mosè espresso con pochi tratti, un po’

fiero condottiero e un po’...direttore d’orchestra!

Bice Migliau

ú– LETTERATURA

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P31

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ELIE WIESELLE PORTE DELLA FORESTAGiuntina

Eva HeymanIO VOGLIO VIVEREGiuntina

L’altra Anne, il suo diario ritrovato

Le quattro porte della foresta

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

ú– STORIA

Il 29 settembre scorso il Presidentedella Repubblica Slovacca, AndrejKiska, ha concesso la medaglia com-memorativa in memoriam al caponocchiere Carlo Orlandi. Il marinaionapoletano è stato insignito di que-sta importante onorificenza grazieagli sforzi dell’ambasciata slovaccache lo ha riconosciuto degno di taleonorificenza per l’opera di salvatag-gio che l’Orlandi svolse nell’ottobredel 1940. Principale motore per que-sto riconoscimento è stata la pub-blicazione del volume Il viaggio delPentcho - Le anime salvate (di E.Tromba - S.N. Sincroni - A. Sorren-ti). Il volume, curato dal centro studiebraici Beth Midrash e presentatonella primavera dello scorso annopresso l’Ambasciata slovacca in Ro-ma, racconta la storia di oltre 500ebrei dell’Europa centrale che, persfuggire alle persecuzioni naziste, af-frontarono un viaggio in battello pergiungere in Palestina, nella terra deiPadri. Pentcho era il nome del bat-tello fluviale che questo gruppo diprofughi, prevalentemente slovacchi,ma anche cechi, slavi, rumeni, tede-schi, austriaci e polacchi, aveva re-cuperato per iniziare quel folle viag-gio. Scendendo lungo il Danubio,avrebbero raggiunto il Mar Nero,poi l’Egeo ed infine in Israele. Il viag-gio fu, però, estremamente difficol-toso e tribolato per diversi motivi. Ivari Paesi attraversati raramente die-dero un aiuto: alcuni per paura dellerepressioni naziste, altri per timoredi quelle inglesi; inoltre il caricoumano superava abbondantementeil limite previsto; le condizioni igie-nico sanitarie diventavano semprepiù precarie. Infine, una volta giuntiin mare aperto, la situazione peg-giorò ulteriormente visto che si trat-tava di un battello fluviale. Fu cosìche il Pentcho nell’ottobre del 1940,dopo cinque mesi di navigazione edi stenti, naufragò su un isolottosperduto del mar Egeo. Gli oltre 500ebrei naufraghi furono tratti in salvo

dalla nave della Reale Marina Italia-na, Camogli, guidata dal comandan-te Carlo Orlandi. La Camogli rag-giunse l’isola di Rodi e gli sventuratisi ritrovarono internati in un campodi concentramento. Dopo oltre unanno riuscirono in due momenti di-stinti, con un altro lungo viaggio, agiungere a Bari ed essere internatial Campo di Ferramonti di Tarsia,in provincia di Cosenza. Il libro offre al lettore l’opportunitàdi avere uno spaccato esatto e det-tagliato della vita a Ferramonti. Lapresenza di decine di documenti ri-prodotti, lascia intendere il lavoro diricerca che sta alla base della stesuradel volume. Il viaggio del Pentcho siinserisce in un filone di ricerca an-cora più vasto, iniziato con la pub-blicazione (sempre degli stessi Au-tori) del libro Il Kaddish a Feramonti- Le anime ritrovate. Questa primapubblicazio-ne aveva ri-trovato idocumentid’archivio diquanti ave-vano persola vita a Fer-ramonti, ini-ziando a delineare la vi-ta che si svolgeva nel campo di con-centramento. Con Il viaggio del Pen-tcho continua questo percorso di co-noscenza ed approfondimento depiù grande campo di concentramen-to per ebrei stranieri costruito dal re-gime fascista. Corollario importantedell’opera è la presenza dei tantissimidocumenti che gli Autori hanno rin-venuto principalmente presso l’Ar-chivio centrale di Stato di Roma, maanche presso vari archivi della pro-vincia di Cosenza.La tematica affrontata nel volumeè, inoltre, strettamente attuale perchési colloca in un panorama ed in unquotidiano che è molto simile aquello raccontato nel libro: alloracome oggi gli uomini della MarinaItaliana salvano vite in mare, senzadistinzione di colore, etnia o religio-ne. Allora come oggi, altre navi dialtri stati avrebbero potuto fare qual-cosa, ma solo la marina Italiana in-tervenne e salvò dalla morte oltre500 uomini, donne e bambini. Do-

vremmo essere portavoce presso leIstituzioni statali affinché venga ri-conosciuto un’onorificenza. Osereiandare oltre: penso che sia doverosoriflettere con noi stessi e porci questadomanda: ma se salvare una vita si-gnifica salvare il mondo, cosa signi-fica salvarne oltre 500? È giusto chequesto atto meriti un riconoscimen-to a Yad Vashem.Ma il Pentcho è strettamente legatoanche alla Comunità ebraica di Ro-

ma, anche seapparente -mente nonsembrereb-be, dato chesi parla diebrei mitte-

leuropei...Nella navigazione del Pentcho,quando il battello incontrò il confinetra Romania e Bulgaria si trovò ingrande difficoltà. Leggendo con at-tenzione questo passaggio si scopreche gli ebrei furono aiutati da un ve-scovo e da un rabbino, il nome delrabbino è Naftali Roth. Per una stra-na coincidenza quel rabbino era ilnonno di rav Riccardo Di Segni. L’al-tro importante avvenimento è checoloro che provenivano dal Pentcho,una volta giunti a Ferramonti, apri-rono una nuova sinagoga, la terza,dove per ben due volte il rabbinocapo di Genova, Riccardo Pacifici,si recò in visita per celebrare matri-moni e bar mitzva. Infine, tra coloroche, imbarcati sul Pentcho, trove-ranno la morte, compare Wald Scha-chne. Egli si fermerà per poco a Fer-ramonti, perché si ricongiungerà conil figlio Pesach a Roana. Dopo l’8settembre entrambi si recheranno aRoma e lì verrano arrestati e uccisialle Fosse Ardeatine. Inizialmente

sarebbe stato difficile ricondurre ilPentcho alla realtà romana, ma ri-leggendolo con attenzione è chiarocome questa avventura appartengaalla Comunità ebraica. Una doman-da spontanea: perché ancora silenziosu avvenimenti così importanti? For-tunata questa nuova generazione cheha l’opportunità di conoscere dopo75 anni cose che non erano state an-cora svelate.

BETH MIDRASHIl Beth Midrash- Centro di StudiEbraici del Dipartimento di ScienzeAziendali e Giuridiche dell’Univer-sità della Calabria ha come obiettivolo studio del fenomeno dell'interna-mento in Italia durante la Secondaguerra Mondiale. La ricerca si basaprincipalmente sui documenti ineditidegli archivi italiani per ricostruirei destini degli ebrei stranieri; per ri-cordare e far ricordare quei nomi,quelle persone, quindi, quelle vite diebrei stranieri che hanno subito l’in-ternamento in Italia. • Il primo lavoro di ricerca del Cen-tro è stato Il Kaddish a Ferramonti -Le anime ritrovate (di Tromba E.,Sorrenti A., Sinicropi S.), pubblicatonel settembre del 2014 e presentatodal rabbino capo di Roma, rav Ric-cardo Di Segni, nella Sala della Co-lonne del Parlamento italiano. IlKaddish a Ferramonti è stato lo stu-dio di quanti persero la vita nel cam-po di concentramento di Ferramonti,attraverso una precisa ricostruzionefatta partendo dalle carte d’archivioinedite e che hanno permesso di ri-trovare ben 24 nominativi di ebreimorti nella Shoah e non registratinel database di Yad Vashem. • Questo secondo lavoro di ricercadal titolo Il viaggio del Pentcho - Le

anime salvate, si inserisce sullo stessofilone di ricerca ed è una continua-zione del lavoro sui documenti an-cora inediti custoditi negli archiviitaliani. “Il viaggio del Pentcho - Leanime salvate” (di Tromba E., Sor-renti A., Sinicropi S.) è l’analisi, at-traverso i documenti, di un’esperien-za incredibile e poco conosciuta checirca 500 ebrei vissero durante la Se-conda guerra mondiale. In fuga dailoro paesi, perseguitati dal regimenazista, molti ebrei decisero di cer-care la fuga via mare per giungerein Israele e raggiungere la salvezza.Il Pentcho partì il 18 maggio del1940 da Bratislava con ebrei prove-nienti dai paesi dell’Europa centrale.Partiti dalla Capitale slovacca, disce-sero il Danubio su un battello fluvialee, dopo mille peripezie, giunsero alMar Nero e infine al Mediterraneo.Dopo l’ennesima avaria e cinquemesi di navigazione, il battello, nonadatto alla navigazione in mare aper-to, naufragò presso un isolotto delmar Egeo tra il 9 ed il 10 ottobredel 1940. Una nave della Marina Ita-liana, il Camogli, giunse in loro aiutoe lì condusse a Rodi. Qui gli ebreidel Pentcho furono internati fino al1942, quando vennero trasferiti nelcampo di Ferramonti di Tarsia inItalia. Chi si fermò a Rodi fu man-dato nei campi di sterminio ed iden-tica sorte toccò ad alcuni di coloroche da Ferramonti si trasferirono inaltri campi di concentramento. Quel-li, invece, che si fermarono al campodi Ferramenti - la maggior parte for-tunatamente - si salvarono. Dopol’arrivo degli Alleati, infatti, alcunirimasero in Italia, ma molti poteronoraggiungere, con diverse spedizioni,gli Usa e Israele, dove ancora si tro-vano i più giovani di loro e i lorodiscendenti. Quella del Pentcho èuna storia caratterizzata dal grandecoraggio di quanti intrapresero quelviaggio che sembrava disperato, mache con la grande forza dei prota-gonisti giunse, infine, a portarli allasalvezza tanto agognata. Salvezzache raggiunsero anche grazie al ca-pitano Orlandi, comandante dellanave italiana che li salvò dopo il nau-fragio; e grazie anche ai tanti cala-bresi che li nascosero dai nazisti inritirata.

Il viaggio del Pentcho. Le anime salvate, il libro di Enrico Tromba, Antonio Sorrenti e Stefano Sinicropi protagonista alla Fondazione Museo della Shoah in Roma (Casina dei Vallati,

via del Portico d’Ottavia 29). Ne discutono alla presenza degli autori, il Primo febbraio alle 18, Marcello Pezzetti, consulente scientifico della Fondazione Museo della Shoah; Stanislava

Sikulovà, consulente del Museo della cultura Ebraica di Bratislava; il Capitano di vascello Giosuè Allegrini, direttore dell’Ufficio storico della Marina militare; Elvira Frenkel e Jacob

Klein, testimoni della vicenda. Porteranno i loro saluti Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah; Jàn Soth, ambasciatore della Repubblica Slovacca in Italia, e

Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma. L’evento, che si colloca all’interno delle manifestazioni previste per il Giorno della Memoria, sarà sotto il Patrocinio

della Comunità ebraica di Roma, della Fondazione Museo della Shoah, della Marina militare Italiana, dell’ambasciata della Repubblica Slovacca a Roma e dell’Istituto Slovacco a Roma.

Il viaggio, l’eroismo, le anime salvate del Pentcho

ú–– Giacomo MoscatiConsiglieredell’Unione delleComunità Ebraiche Italiane

E. Tromba, S.N.Sincroni, A. SorrentiIL VIAGGIO DEL PENTCHO Edizioni Prometeo

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ú–– Viviana Kasam

Mi ha profondamente commossail film “Maestro”, un documentariosul lavoro di ricerca delle musichescritte nei campi di concentramen-to, portato avanti per trent’anni daFrancesco Lotoro, che è stato pre-sentato alla fine di gennaio in 100sale in Italia - proiettato all’Unescoa Parigi e in onda su Rai3 il 26 eil 27 gennaio.Conosco Francesco da tre anni.Ho realizzato con lui quattro con-certi – a Roma, Bruxelles, Parigi eMantova – quest’ultimo sarà ripre-so a Milano il 30 e il 31 maggio alTeatro Strehler. L’ho sentito piùvolte raccontare la sua storia, l’hovisto dirigere e suonare, abbiamocondiviso emozioni, difficoltà, suc-cessi, viaggi. Eppure mai come inquesto film ho compreso la pro-fondità, la necessità, il miracolo delsuo lavoro. Nel film, una copro-duzione italofrancese, si vede Fran-cesco in azione: mentre viaggia intutto il mondo per incontrare i so-pravvissuti e i loro figli, mentrespulcia gli archivi dei campi diconcentramento, mentre puntiglio-samente cerca di interpretare par-titure consumate e trasparenti,scritte su fogli d’accatto – anchecarta igienica- mentre trascrive,esegue, “libera” – come ama ripe-tere - quelle note che erano rima-ste prigioniere dei campi, cancel-late dalla memoria, proprio comeauspicavano i tedeschi, destinatea essere seppellite nell’oblio. Farlerivivere è far rivivere le personestraordinarie che le composero in

condizioni raccapriccianti, cantan-do come ultimo gesto di coraggioe di umanità verso le camere a gas,vergando accordi, come fece Jo-seph Kropinski, nel famigerato la-boratorio di patologia di Buchen-wald, la notte, in mezzo a corpiscuoiati e fatti a pezzi, nel tanfodella putrefazione. 400 opere com-poste così, perché in quell’orrorela notte non entrava nessuno,nemmeno i tedeschi. Opere maieseguite, finché Francesco non haincontrato il figlio di Kropinski –e il film ci fa testimoni dell’abbrac-cio e della gratitudine reciproca.Sono tanti i momenti di emozione.La visita alla centenaria – ma ci-vettuola - Wally Karveno, che tirafuori da un polveroso scaffale ilsuo “Concertino” scritto a Gurs emai eseguito e spiega a Francescocome si suona. E l’amore che Lo-

toro mette per farlo rivivere, maWally non farà in tempo a sentirlo:muore un mese prima della prima– e, spiega Francesco, “questo facapire l’urgenza del mio lavoro. Itestimoni stanno scomparendo, econ loro l’ultima speranza di por-tare alla luce le loro musiche”.Vediamo un gruppo di Rom, po-polo perseguitato dai nazisti espesso compagno di prigionia de-gli ebrei, che ricordano una can-zone su Auschwitz e cantano incoro – donne anziane e sfatte, maun tempo, in quel tempo, giovanie desiderabili, oggetto di violenzae scherno da parte dei soldati te-deschi. E Francesco con loro, cheriscrive quelle melodie tramandatesolo verbalmente e fa rivivere lacollaborazione musicale che si in-staurò tra rom ed ebrei, dando vitaa un fuoco d’artificio di note.

Vediamo BelaLustman, che vi-ve ora in Brasile,e ricorda unacanzone scrittacon altre dueragazze dete-nute ad Au-schwitz; e Ru-dolph Karel,che affetto dadissenteria componeva su cartaigienica nella prigione di Pankrace poi nel campo di Terezin, conun carbone che gli era stato datoper curare la sua malattia, e Kry-stof, il figlio di Alexander Kulisie-wicz, polacco e cattolico, internatocome dissidente, che si dette lamissione di memorizzare la musicadi chi non aveva la possibilità discriverla, e imparò 716 pagine, chepoi trascrisse una volta libero: un

eroe involontario e non ricono-sciuto del quale, senza Lotoro, sisarebbe perso il ricordo.Il film non è perfetto: ha qualchelentezza e il difetto, tutto italiano,di essere doppiato: all’estero perfortuna andrà in lingua originale(o meglio nelle lingue originali)con sottotitoli, e gli spettatori po-tranno sentire le voci vere dei so-pravvissuti: è uno scempio cancel-lare questa testimonianza vocale,e un insulto al lavoro di recuperosonoro di Francesco – ma il mer-cato lo impone, spiegano allargan-do le braccia Donatella Altieri eMarco Visalberghi, i produttori

italiani.In questo momen-to così preoccu-pante per la salutedel mondo, in cuirinascono muri, ci sirinchiude nell’egoi-smo del proprio be-nessere, i nazionali-smi sembrano avereil sopravvento e ilrazzismo viene sdo-ganato anche in quellaAmerica che ci appa-riva il faro dell’integra-

zione e del politically correct, laricerca di Lotoro è doppiamenteimportante. Perché ci ricorda l’esi-stenza del coraggio più sublime, ilcoraggio della bellezza, e perchétestimonia che nemmeno i campidi concentramento sono riusciti arendere gli uomini dei numeri eche lo spirito può trionfare sul Ma-le – magari solo per un attimo, maquell’attimo vale tutta una vita.

CULTURA / ARTE / SPETTACOLO / P33

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Enfant prodige, figlio di un sarto di Barletta, fin da bam-bino Francesco leggeva dizionari storici fino a tardanotte. Ma la sua vera passione era il pianoforte. Ce n’erauno nella falegnameria di suo zio, a due passi da casa:ed era lì che passava tutto il suo tempo. Una volta com-pletati i suoi studi di pianoforte al conservatorio, Fran-cesco viene ammesso alla prestigiosa accademia FranzLiszt di Budapest. Qui divora musica e studia le operedei grandi musicisti dell’Europa centrale. Fin quando,un giorno, si accorge che le biografie di molti di lorosi interrompono bruscamente nell’autunno del 1944.È a Praga nel 1990 che Francesco per la prima voltas’imbatte casualmente in uno spartito composto in unLager. Ha 27 anni e per lui è un vero col-

po di fulmine, che lo porterà a dedicare la propria vita al recupero degli spartiti compostinei campi di concentramento della Seconda Guerra Mondiale.

Documentario a trattipiù spettacolare di unthriller e racconto ci-nematografico più pro-fondo di molte lezionidi filosofia, il molto at-teso “Vita Activa, lo spi-rito di Hannah Arendt”,una coproduzione israe-lo-canadese destinata alasciare il segno in distri-buzione nella stagioneculturale che ruota attor-no al Giorno della Memo-ria, restituisce la parolaalla filosofa ebrea tedescaperennemente al centro

del dibattito culturale.Con il suo reportage dalprocesso Eichmann sca-tenò un putiferio neglianni ‘60 coniando il sov-versivo concetto di “ba-nalità del male”. E lasua vita privata non èstata meno controver-sa, a partire dalla rela-zione giovanile con ilfilosofo Martin Hei-degger, simpatizzantedel regime nazista. Ilfilm offre un ritrattointimo e al tempostesso straordinaria-

mente e solidamente documentato del-la vita privata e intellettuale dellaArendt, attraverso i luoghi dove ha vis-suto, lavorato, amato e sofferto, men-tre scriveva delle ferite ancora apertedel suo tempo. E un film che, al di là delchiacchierato Heidegger, ha il coraggiodi mostrare quanto importante sia sta-to la la Arendt l’insegnamento del gran-de filosofo antinazista Karl Jaspers.Si resta per oltre due ore in compagniadel pensiero immenso della Arendt econ il fiato sospeso. La regista AdaUshpiz, che ha alle spalle una lunga eprestigiosa militanza nel giornalismoisraeliano di qualità, alterna con estre-ma chiarezza una lettura del complesso

lavoro della filosofa con l’analisi di ma-teriale visivo e documentario di estre-mo valore e in molti casi ancora scono-sciuto e inedito. Un vortice di riflessionie di emozioni che stringono l’attenzio-ne dello spettatore catturandolo ine-sorabilmente. E una proiezione che nongetta luce solo sull’opera fondamentalee controversa della Arendt, ma anchesulle ferite del Novecento, l’identitàebraica contemporanea fra Diaspora eIsraele, la Memoria e la responsabilità.Il futuro possibile. Una nuova lezionedi professionalità e di cultura della ci-nematografia israeliana. Uno spettaco-lo molto forte, ma anche un film da nonperdere per capire davvero, al di là deiluoghi comuni e delle rimasticature, dadove veniamo e verso dove possiamoandare.

ú– CINEMA

La musica viva del maestro di Memoria

Hannah Arendt, un ritratto israeliano

u Terezin, Repubblica Ceca. Analisi dei manoscritti

musicali conservati al Terezin Museum

FRANCESCO LOTORO, UN FILM RACCONTA IL SUO LAVORO

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/ P34 SPORT

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n. 2 | febbraio 2017 pagine ebraiche

A decretare il successo di Run For Mem, la corsa tra Storia e Memoria nel centro di Roma di cui molto parliamo inquesto giornale, è stata anche la qualità dei suoi testimonial e sostenitori. Tra chi ha deciso di correre lungo l'interopercorso e chi si è comunque presentato alla partenza, con addosso la maglietta dell'evento, un contributo fondamentaleper la buona riuscita dell'iniziativa. Afferma Ofer Sachs, ambasciatore d'Israele a Roma: "Ho avuto il piacere di partecipareall’evento 'Run for Mem', una corsa organizzata dall’UCEI per non dimenticare la tragedia della Shoah. Insieme a centinaiadi persone, abbiamo attraversato i luoghi della memoria della Capitale. Un’iniziativa arricchita ancor di più dallapresenza di Shaul Ladany, sopravvissuto ai campi della morte e all’attentato ai Giochi Olimpici di Monaco del 1972.Dall’alto dei suoi 81 anni, la testimonianza di Shaul sprona tutti noi a scegliere sempre la vita". Sulla stessa lunghezza d'onda l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede Oren David, che ha commentato: "Lungodue percorsi di dieci e tre chilometri, attraverso i luoghi segnati dalla Shoah, migliaia di persone hanno voluto ricordarele vittime dello sterminio nazista e trasmettere un forte messaggio di vita". Particolarmente significativa tra l’altrel'adesione del ministro dello Sport Luca Lotti, che ha inviato un messaggio di apprezzamento agli organizzatori sotto-lineando l’importanza di una Memoria viva e in movimento, “che deve guardare soprattutto alle nuove generazioni”.

ANDREA SCHIAVON

Giornalista

La mia Run for Mem èiniziata sei anni fa. Unacorsa che unisce Geru-salemme e Roma se-guendo i passi di ShaulLadany: dalla prima vol-ta che ho incontrato ilprofessore in Israele finoalla marcia della Memo-ria, insieme a lui ho con-diviso chilometri e ricor-

di. Bergen-Belsen e Monaco '72 sono due tappe, tragiche,nella vita di un uomo che non ha mai rinunciato a guardareavanti. Vivere nel ricordo, senza farsi schiacciare dai ricordi:la testimonianza di Shaul non è un lamento, ma un inno atutto quello che può ancora essere. A 81 anni il professorLadany riempie ancora le sue giornate di allenamenti, ri-cerche all'università e incontri. Lui dice che il suo passo si è fatto più lento, ma in tanti -con la metà dei suoi anni - faticano a tenere il suo ritmo. Equesto accade non solo quando marcia. Tra i meriti di questa prima Run for Mem, c'è quello di avercontribuito a far conoscere la vita del professor Ladanyanche a chi non ha avuto la fortuna di percorrere un pezzodi strada insieme a lui. Una storia che negli ultimi sei anni ha ispirato molti italiani.Un percorso che, grazie a questa giornata romana, ripartecon ancora più slancio. Sulle tracce di Shaul, il camminodella memoria porta lontano.

ENRICO CASTRUCCI

Presidente Maratona

di Roma

Run For Mem si è rive-lata un'esperienza unica,per cui io personalmentee Maratona di Roma rin-graziamo l'Unione delleComunità Ebraiche Ita-liane per un coinvolgi-mento che ci ha davveroonorato. Ci sono tantiflash, tante sensazioni

che porterò nel cuore di questa esperienza. Tra le altre, lasignificativa adesione di molti gruppi di podisti romani checon grande calore hanno preso parte a una prova unica sianella formula sportiva che per il messaggio che ha volutolanciare, varcando i confini nazionali. Molte le società pre-

senti, tra cui tanti atleti delle forze di sicurezza e d'ordine.Una giornata straordinaria, quella del 22 gennaio scorso,che ci ha confermato la necessità di un ricordo vivo dellecose orribili che sono accadute in passato in questa città ein tutta Italia invitandoci allo stesso tempo all'impegno afar sì che non abbiano mai più a ripetersi, contro chiunqueesse siano rivolte. Run For Mem ci conferma che lo sportè un mezzo d'eccellenza per esaltare momenti di solidarietàe pace senza confini, che uniscano tutti. L'insegnamento è che non esistono solo le partite del cuore,ci sono anche le corse del cuore. Questa ne è stata la di-mostrazione più lampante. L'auspicio, ma è una certezza,è che Run For Mem abbia una continuità in futuro e possaispirare anche altre iniziative che esaltino i valori che, inquesta bella giornata di gennaio, ci hanno visto affluire cosìnumerosi al Portico d'Ottavia.

VITTORIO PAVONCELLO,

Presidente

Maccabi Italia

Alla fine il 22 gennaio èarrivato, insieme allaCorsa della Memoria.Un progetto che ho su-bito abbracciato, creden-do nella validità dellaformula.Insieme alla PresidenteUCEI, Noemi Di Segni,abbiamo trovato il par-

tner ideale, con l’organizzazione Maratona di Roma nellapersona del suo presidente Enrico Castrucci, al quale milega un’amicizia decennale. Totale il suo coinvolgimentoumorale, ideologico, professionale. Siamo molto in sintonia,ci unisce la voglia di fare bene, siamo entrambi dei perfe-zionisti incontentabili e il risultato ottenuto ha premiatotanta pignoleria. In migliaia si sono raccolti in Largo 16 ottobre, podisti, cor-ridori, mamme, giovani papà con i figlioletti, semplice cit-tadinanza che ha voluto dimostrare la vicinanza ad un orroremai dimenticato. Veder correre diverse generazioni, mi ha riempito il cuoredi orgoglio, vedere i giovanissimi atleti del Maccabi correreinsieme ai nonni, curarli amorevolmente, coccolarli...una la-crimuccia è scesa. Una enorme soddisfazione. Il successo dell’evento, non dovrà essere però,un punto diarrivo, ma uno di partenza. Tutto è perfettibile e migliorabile,alcune pecche emerse sono state “addolcite” dal grande ri-scontro di iscritti che la gara ha avuto, ma le criticità sonostate individuate. Da adesso dovremo lavorare per la pros-

sima edizione, che dovrà essere più grande e più bella, mameno delle successive che arriveranno.

FRANCA FIACCONI

Testimonial

Run For Mem

Chi fa sport, chi è abi-tuato a conquistarsi deitraguardi col sudore econ la fatica come bensanno i corridori, è abi-tuato a condividere va-lori forti. Quella della Memoria èuna sfida viva e attuale,che mai aveva trovato

narrazione in una veste così particolare come quella dellacorsa Run For Mem. L'invito che mi è stato rivolto ad es-serne testimonial insieme a Shaul Ladany mi ha onorata.Non ci ho pensato un attimo, ritenendo fosse fondamentaleaderire all'evento e dare così il mio contributo. La mia im-pressione è che nel complesso sia andata molto bene. Èstato bellissimo vedere alla partenza tanti amici che in questianni ho incontrato a diverse corse e manifestazioni in giroper l'Italia. È stato stupendo vedere anche tanti ragazzi al via, alcunidei quali giovanissimi, che hanno scelto di trascorre insiemea noi questa domenica un po' diversa dalle altre. L'auspicioè che possa essere soltanto l'inizio di un percorso di sensi-bilizzazione rivolto alle nuove generazioni e non solo, contante iniziative da realizzare anche in futuro su temi analoghi.Mi sento di fare una promessa al riguardo, che voglio con-dividere con tutti gli amici e i lettori di Pagine Ebraiche. Sudi me potrete sempre contare.

SANDRO GOZI

Sottosegretario

agli Affari Europei

Ho preso parte alla Runfor Mem - Corsa per lamemoria. Iniziativa or-ganizzata per la primavolta in Europa dal-l'Unione delle ComunitàEbraiche Italiane, nelquadro delle celebrazioniper il Giorno della Me-moria.

L'ho fatto con molta emozione e convinzione poiché è piùche mai doveroso combattere e vincere le pulsioni antisemite

“La nostra corsa per la Memoria”

Run For Mem - La parola ai protagonisti

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Erano oltre 40 anni che non si incontravano. Erano più

giovani allora, certamente. Ma quel guizzo negli occhi,

quell'intelligenza viva che pulsa, non l'hanno mai persa.

Tra i tanti incontri e le centinaia di strette di mano che

hanno segnato le sue giornate romane, Shaul Ladany si

aspettava di tutto. Ma non certo di incontrare Abdon Pa-

mich, il grande marciatore fiumano vincitore a Tokyo '64

con la maglia azzurra. Ladany e Pamich di nuovo di fronte,

dopo innumerevoli duelli nelle piste e nelle strade di mez-

zo mondo. Abdon è

venuto a trovarlo in

albergo alla vigilia di

Run For Mem. Un bre-

ve incontro propizia-

to da Andrea Schia-

von, biografo di

Shaul, e che si è rive-

lato particolarmente

emozionante per en-

trambi.

"Abdon, che piacere

rivederti" ha com-

mentato Shaul, che di

lì a poco avrebbe re-

gistrato un'intervista

televisiva. "Ti vedo in ottima forma, quasi quasi vengo a

sentirti mentre racconti la tua storia" gli ha risposto Pa-

mich. Abdon ha assistito all'intervista, anche se le vicende

gli erano quasi tutte ben note. Compresa la carneficina

di Monaco '72, l'ultima edizione dei Giochi cui ha parte-

cipato. Alla fine si è alzato e ha voluto abbracciarlo con

genuino affetto. Un saluto rinforzato da un omaggio mol-

to apprezzato da Shaul: una copia della sua recente au-

tobiografia, Memorie di un marciatore.

"Ne abbiamo passate tante. Eravamo giovani, ora lo siamo

decisamente di meno. Ma non abbiamo mai smesso di

marciare, impegnarci, fare le cose in cui crediamo. E que-

sto - ha sottolineato Ladany, con il libro in mano - è la

cosa più importante". Il trionfo di Pamich a Tokyo, hanno

convenuto i due amici ed ex rivali, rappresenta una delle

pagine più incredibili della storia dell'atletica mondiale.

A causa di un tè freddo, Pamich ebbe infatti una crisi ga-

strica e fu costretto a

sostare dietro a una

siepe. Ma ciò non gli

precluse le porte del

meritato trionfo a cin-

que cerchi. Il campione

azzurro, più forte di

quell'imprevisto, ri-

montò e superò tutti

gli avversari. E finì per

vincere.

Tre anni prima, sulla pi-

sta dello Stadio Olimpi-

co di Roma, porta la

sua firma il record

mondiale dei cinquanta

chilometri di marcia con il tempo di 4h14'02"4. Pamich è

stato inoltre il portabandiera azzurro durante la cerimo-

nia d'apertura delle Olimpiadi di Monaco. "In un verso e

nell'altro, quei Giochi resteranno per sempre scolpiti nella

nostra memoria" dice Abdon a Shaul. "Sì, mio caro, è pro-

prio così". Un nuovo abbraccio, con la promessa di rive-

dersi presto.

Adam Smulevich

SPORT / P35

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pagine ebraiche n. 2 | febbraio 2017

Shaul-Abdon, l’incontro 40 anni dopo

che tentano di riaffacciarsi. L'Europa nasce sulle ceneri diAuschwitz proprio per dire "Mai più" a quella tragedia: dob-biamo continuare a vigilare per difendere quei valori di pace,tolleranza e libertà su cui è fondata l'Unione Europea. Il 22gennaio lo abbiamo fatto di corsa, passando per i luoghidella memoria di Roma, e insieme a un testimonial d'ecce-zione come Shaul Ladany, sopravvissuto alla Shoah e a Mo-naco 1972, che ho avuto il piacere di conoscere nei giorniprecedenti. Questo nostro impegno è stato ancora più im-portante in un anno in cui celebriamo 60 anni di UnioneEuropea e in cui siamo chiamati a rilanciare questa sfidanella difesa dei valori fondamentali e nella lotta all'antise-mitismo e a ogni forma di odio.

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