F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G....

41
L’insediamento degli ordini mendicanti a Napoli INTRODUZIONE Con la denominazione “ordini mendicanti ” si indicano comunemente gli Ordini religiosi sorti nel secolo XIII in Europa e caratterizzati dalla povertà in comune, dall'unione della vita regolare unita al ministero sacerdotale, apostolico, missionario, pastorale, caritativo-sociale, dall'esenzione ed organizzazione a regime centralizzato. Queste caratteristiche vengono esplicitate, la prima con la rinuncia a possedere anche in comune, la seconda con la predicazione itinerante e urbana, l'apostolato liturgico e pastorale nelle numerose chiese conventuali sparse un po' dovunque nel mondo, con lo studio e l'insegnamento anche universitario, con la partecipazione alle iniziative religiose, caritative e politico-sociali della Chiesa nella cristianità e in terra di missione; la terza con la dipendenza immediata dai propri superiori maggiori, oltre che dal Papa, invece che dai vescovi; infine con il raccogliere i propri conventi o case in province soggette a superiori centrali o provinciali, e tutti con i superiori locali e i religiosi, al superiore generale dell'Ordine. Cosi caratterizzati, gli Ordini mendicanti saranno sufficientemente identificati dal concilio di Lione Il del 1274, che affrontò per primo, per volere di Gregorio XV, i problemi suscitati dalla loro presenza nella Chiesa. Il concilio ritenne che per ordini mendicanti si dovessero intendere quelli la cui professione e la cui regola proibiscono di avere “redditi o possedimenti ” e il cui sostentamento 1

Transcript of F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G....

Page 1: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

L’insediamento degli ordini mendicanti a Napoli

INTRODUZIONECon la denominazione “ordini mendicanti” si indicano comunemente gli Ordini

religiosi sorti nel secolo XIII in Europa e caratterizzati dalla povertà in comune, dall'unione

della vita regolare unita al ministero sacerdotale, apostolico, missionario, pastorale, ca ritativo-

sociale, dall'esenzione ed organizzazione a regime centralizzato. Queste caratteristiche

vengono esplicitate, la prima con la rinuncia a possedere anche in comune, la seconda con la

predicazione itinerante e urbana, l'apostolato liturgico e pastorale nelle numerose chiese

conventuali sparse un po' dovunque nel mondo, con lo studio e l'insegnamento anche

universitario, con la partecipazione alle iniziative religiose, caritative e politico-sociali del la

Chiesa nella cristianità e in terra di missione; la terza con la dipendenza immediata dai propri

superiori maggiori, oltre che dal Papa, invece che dai vescovi; infine con il raccogliere i

propri conventi o case in province soggette a superiori centrali o provinciali, e tutti con i

superiori locali e i religiosi, al superiore generale dell'Ordine. Cosi caratterizzati, gli Ordini

mendicanti saranno sufficientemente identificati dal concilio di Lione Il del 1274, che

affrontò per primo, per volere di Gregorio XV, i problemi suscitati dalla loro presen za nella

Chiesa. Il concilio ritenne che per ordini mendicanti si dovessero intendere quelli la cui pro -

fessione e la cui regola proibiscono di avere “redditi o possedimenti” e il cui sostentamento è

perciò assicurato dalla “incerta mendicità”1.

L’insediamento e lo sviluppo dei mendicanti a Napoli è strettamente collegato ai principali

centri catalizzatori della Campania medioevale e delle zone immediatamente limitrofe allo stesso

capoluogo partenopeo: Salerno, Amalfi, Capua e Gaeta nella fascia costiera e Benevento

nell'entroterra. Tali luoghi pur con storie diverse e con alterne vicende, che portarono a far

emergere in primo piano ora l'uno ora l'altro di tali centri, furono i principali poli di riferimento sia

economico che politico-amministrativo dei territori inclusi dai mendicanti nella Terra di Lavoro.

L'unificazione politica ad opera dei Normanni e la riorganizzazione amministrativa degli Svevi,

assommata allo spostamento dell'asse produttivo e commerciale verso l'Italia centro-settentrionale,

ne aveva senz'altro, mortificato lo slancio e sminuito la portata di questi territori, con conseguente

assunzione di un ruolo marginale di quest’ultimi a livello economico e culturale. Nell'area campana

e in quelle limitrofe si erano andati consolidando altri centri dietro lo stimolo di fattori politici,

come era avvenuto per Aversa, sede della prima contea normanna, o di contingenze economiche

1 F. DAL PINO, Mendicanti, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.

1

Page 2: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

che, se avevano riproporzionato la vitalità commerciale delle città costiere, avevano pure spinto a

dissodare l'entroterra, stimolando la ristrutturazione di “villae” altomedioevali. come Maddaloni, e

la ricostruzione di più antichi centri, come Avellino e Mirabella. Ai centri di riferimento politico-

amministrativo ed economico-sociale precedentemente citati vanno aggiunte i centri di Aversa e di

Sessa Aurunca che furono tra i primi ad ospitare comunità di Ordini mendicanti e gli unici in cui

s'insediarono nel secolo XIII sia i frati Minori che i Predicatori2.

Il carattere essenzialmente urbano degli Ordini mendicanti e la loro tendenza a concentrare

le proprie sedi nei principali poli di riferimento delle singole regioni appare dunque confermata

anche per la Terra di Lavoro. La "strategia'' insediativa è diversa e si rapporta alle connotazioni

originarie e agli obiettivi specifici di ciascun Ordine. Volendo limitare la nostra relazione alla città

di Napoli dove analizzeremo le strategie insediative dei singoli ordini mendicanti, considerando le

grandi strutture degli stessi ordini a Napoli, quali S. Lorenzo maggiore, S. Domenico Maggiore, il

Carmine e S. Agostino alla zecca, possiamo constatare che tutti i nuovi insediamenti mendicanti del

XIII e XIV secolo si collocano in posizione avanzata in direzione dello sviluppo urbanistico verso est,

verso sud e verso ovest, mentre non se ne registrano in direzione nord, dove la città si espanderà, e in

maniera ancora più rapida, ma solo a partire dalla prima età moderna3.

1. I francescaniIn assoluto il primo inserimento dei Mendicanti a Napoli avviene tra la fine degli anni Venti e gli

inizi degli anni Trenta del Duecento ad opera della famiglia francescana. Il primo insediamento fu molto

probabilmente quello di “S. Maria ad Palatium”, uno di quei “loci” che esprimono bene le loro prime

sedi, dato che, come è stato recentemente dimostrato, il Palatium richiamato nel toponimo si riferisce

non ad un impensabile palazzo francescano, ma ai ruderi di una villa romana che dette il nome al sito. Si

trattava di un luogo isolato e spopolato, posto al di fuori delle mura cittadine, ma a poca distanza da esse,

circondato da orti, dove i frati probabilmente esercitavano il lavoro manuale per procurarsi quel poco che

serviva loro per vivere, ma molto prossimo alla città, teatro principale del loro impegno di animazione re-

ligiosa4.

Il secondo insediamento minoritico di S. Lorenzo nacque intorno agli anni Trenta del Duecento

quando i Minori si erano insediati anche nel cuore della Napoli antica, nella basilica paleocristiana di S.

Lorenzo, concessa, dietro richiesta di fr. Nicola da Terracina, ministro provinciale di Terra di Lavoro,

dal vescovo di Aversa, Giovanni Lamberto, con il consenso del capitolo cattedrale. Quindi, prima un inse-

diamento in area periferica e poi nel cuore della città, questo ci offre un percorso pienamente aderente a 2 L. PELLEGRINI, Che sono queste novità?. Le religiones novae in Italia meridionale (secoli XIII-XIV), Liguori, Napoli 1999, pp. 68-89.3 Ibidem.4 G. D’ANDREA, I Frati minori napoletani nel loro sviluppo storico, Laurenziana, Napoli 1967, pp. 17-46.

2

Page 3: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

quello che possiamo definire il “modello” della strategia insediativa francescana che è valido anche per i

Predicatori, sebbene all'apparenza sembri che essi abbiano seguito un percorso opposto: prima al centro

e poi in periferia. Poco dopo, negli anni Quaranta, durante il provincialato di fr. Anselmo Rabuini di Asti,

nella nuova sede fu anche fondato lo studio teologico. Al di là della concessione del vescovo di Aversa è

un dato di fatto oggettivo che i frati abbiano cominciato presto a consolidare la loro presenza nell'area, è

dimostrato dal fatto che già negli anni Quaranta avevano dei beni, siti nell'attiguo “vicus Capuanus”.

Dalle determinazioni confinarie di una proprietà riconfermata in affitto il 15 settembre 1246 dalla

badessa del monastero di S. Gregorio Armeno a Giovanni de Urso si evince che proprio qui esìsteva una

“domus et gripta, quae detinuunt illis fratribus Minoribus”. Nel 1267 erano proprietari di un orto che

dava sulla platea Nustriana, l’attuale via S. Gregorio Armeno5.

Al tempo di Carlo d'Angiò, nel 1279, furono costretti ad abbandonare questo insediamento,

essendo stata scelta l'area in cui essi risiedevano per la costruzione dell'attuale Maschio Angioino e delle

strutture difensive ad esso collegate, trasferendosi all'interno della città, ma pur sempre a ridosso delle

mura occidentali. Nacque così il convento di S. Maria la Nova, che nel nome richiamava il primitivo

insediamento e che era destinato a diventare uno dei centri più importanti della vita religiosa napoletana,

anche perché collocato in posizione strategica su una delle direttrici dello sviluppo urbanistico della

città, quella appunto verso ovest-sud ovest6.

S. Maria Ia Nova e S. Lorenzo maggiore furono munificati dai primi interventi dei sovrani

angioini nella persona del principe Carlo, il futuro Carlo lI. Dal momento che non sono note donazioni o

aiuti di altro genere da parte di Carlo I a favore dei frati e non sono anteriori al 1284, nel complesso i

primi sovrani angioini non mostrarono un particolare attaccamento ai frati Minori né si legarono in

qualche modo ai loro conventi dì S. Maria la Nova e di S. Lorenzo. In quest’ultimo nel 1305 registriamo

la prima sepoltura di un membro della dinastia regia, quella di Raimondo Berengario, figlio di Carlo lI e

Maria d'Ungheria, seguita dopo poco da quella di Ludovico, figlio di re Roberto, e da quella di Caterina

d'Austria, duchessa di Calabria, prima moglie di Carlo l'Illustre, figlio di re Roberto. Ad esse ne

seguirono altre, ma solo verso la seconda metà del XIV secolo, gli esponenti minori del ramo dei

Durazzo optarono per la sepoltura in S. Lorenzo7.

E’ interessante che lo sviluppo dei francescani a Napoli va di pari passo con lo sviluppo dei

rapporti fra S. Lorenzo e l'aristocrazia che si intensificarono nel corso del Trecento, coinvolgendo anche

esponenti del ceto feudale, come, ad esempio, Ilaria de Sus, contessa di S. 'Angelo, moglie di Tommaso

d'Aquino, conte di Belcastro, che nel suo testamento del 6 novembre 1334 lasciò a S. Lorenzo 6 once

5 R. DI MEGLIO, Il convento francescano di S. Lorenzo di Napoli. Regesti dei documenti dei secoli XIII-XIV, Carlone Editore, Salerno 2003, XXXI-XXVI.6 Ibidem.7 C. BRUZELIUS, Le pietre di Napoli. L’architettura religiosa nell’Italia angioina (1266-1343), Viella Editrice, Roma 2005, pp. 60-67.

3

Page 4: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

per la celebrazione di messe cantate e stabili che, delle 80 once che si sarebbero ricavate dalla vendita di

alcuni suoi beni siti a Scafati, 40 fossero destinate alla costruzione di una cappella a S. Lorenzo, dove i

frati avrebbero celebrato messe per lei e il marito, che sarebbe stato sepolto in essa e al quale sarebbero

toccate poi le altre 40 once. Furono sepolti a San Lorenzo agli inizi del Trecento Enrico III, conte di Bar-

le-Duc, Filippo di Fiandra, titolare delle contee di Chieti e di Loreto, Manfredi Maletta, conte di Mineo.

Tra i benefattori non mancano nobili non residenti a Napoli, come ad esempio i coniugi amalfitani

Matteo Magnello e Violante Cognata di Amalfi, che il 28 giugno del 1412 donarono a S. Lorenzo

alcune terre site nel casale di Casapuzzano, nelle pertinenze di Aversa, per un totale di circa 12 moggi,

chiedendo ai frati di celebrare dopo la loro morte quattro messe alla settimana presso l'altare di S.

Francesco sito nella chiesa, dove volevano essere seppelliti, nonché due anniversari l'anno nel giorno della

morte di ciascuno di loro, riservando, tuttavia, ai loro eredi il diritto di trasferire questi beni all'ospedale

dell'Annunziata di Napoli, con lo stesso peso di messe, se i frati fossero stati inadempienti. Ugualmente

di Amalfi era Franchetta de Sturionibus, che nel suo testamento aveva lasciato ai frati per la

celebrazione di una messa alla settimana in perpetuo per la sua anima 8 once, che, giunte in possesso

dei religiosi il 23 aprile 1487, furono utilizzate per la riparazione del dormitorio8.

Con il passare del tempo, radicandosi i frati maggiormente in città, giungeranno donazioni da

membri della nobiltà di seggio, in particolare da quelli appartenenti al seggio di Montagna, nella

circoscrizione del quale era appunto il convento di San Lorenzo. Masella Brancaccio, moglie di

Martinello de Sisto, e madre del fu Santillo Scriniario, il 28 febbraio 1374 dona al convento alcune case

site nel vico di Santa Maria Maggiore, affinché venga fatto un altare presso il quale far collocare le

proprie insegne e fare una sepoltura per lei, il figlio e il marito, dove i frati celebreranno tre messe alla

settimana, nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì, nonché un anniversario l'anno per le loro anime9.

Il sostegno della corte angioina ebbe un forte impulso con Roberto e Giovanna I, al tempo dei

quali S. Lorenzo figurava al primo posto nell'elenco delle istituzioni religiose destinatarie della

beneficenza regia. Ma intanto i frati avevano stretto forti legami con le famiglie della nobiltà del regno e

di quella cittadina. Bisogna ricordare il protonotario del Regno, Bartolomeo di Capua, il quale finanziò la

facciata della chiesa, e il vescovo di Capaccio, Goberto, che. assistito già in vita da alcuni frati Minori

come confessori, nel suo testamento del 1291 destinò 50 once per la costruzione di una cappella e per

la sua sepoltura in San Lorenzo. Nello stesso tempo i frati sono presenti nei documenti come confessori

ed esecutori testamentari. Considerazione per i Minori di San Lorenzo mostrarono di avere anche quegli

esponenti della nobiltà che si sentivano ancora fortemente legati al monachesimo tradizionale di stampo

benedettino e alle congregazioni chiericali ben presenti a Napoli, ma che non trascuravano poi nel dettare

8 R. DI MEGLIO, Ordini mendicanti e città: l’esempio di San Lorenzo Maggiore di Napoli , Electa, Napoli 2001, pp. 17-20.9 Ibidem.

4

Page 5: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

le loro ultime volontà di fare lasciti anche ai nuovi conventi mendicanti della città10.

Si tratta per gli ultimi anni del Duecento di poche tracce che, tuttavia, dimostrano che il convento

di San Lorenzo faceva parte degli enti religiosi verso i quali si orientavano le famiglie ricche di

estrazione nobile o borghese. Ritornando agli esponenti de! seggio di Montagna legati a San Lorenzo

ricordiamo ancora Antonio di Caserta, marito di Costanza Russo, che il 24 aprile 1384 lascia al

convento una casa a più vani sita nel vico di Sant'Arcangelo, per la celebrazione di messe e un an-

niversario ogni anno in perpetuo per la sua anima. Al di là di queste donazioni, cui altre se ne

potrebbero aggiungere, il legame tra gli esponenti del seggio di Montagna e il convento di S. Lorenzo

risulta evidente sia dalla presenza all'interno della chiesa di cappelle di famiglie appartenenti a quei

seggio, quali ad esempio, oltre le già citate, quelle dei Pignone, dei Carmignano, degli Orìmina, dei

Mosconi e dei De Balzo, sia anche dal fatto che sono gli esponenti di queste famiglie, fin dai primi anni

della venuta dei Minori a San Lorenzo, a svolgere la funzione di procuratori del convento, a custodirne il

denaro e a gestirne le entrate, le spese e, in parte, anche l'archivio. Ne sono prova alcuni documenti,

dove appunto ritroviamo come procuratori laici del convento nobili del seggio, quali ad esempio Andrea

Mantella nel già citato documento del 1284, Andrea Rocco, Giovanni Gemello, Bartolomeo Mugnazia e

Francesco francone in un documento di vendita dell’ aprile del 1418, Nicola Russo citato in un

documento del 6 settembre 1419. Questo legame cosi stretto con il seggio di Montagna non limitò,

tuttavia il campii d'azione dei frati di San Lorenzo né precluse loro rapporti a più ampio raggio,

innanzitutto essi accolsero nella loro chiesa le cappelle e le sepolture, oltre che dei membri della casa

reale dianzi menzionati, anche di esponenti di famiglie ascritte ad altri seggi nobili della città, quali gli

Aldomorisco del Nido e i Capuano di Portanuova, nonché le sepolture di alcuni esponenti del ceto

mercantile, quali quelle di Gabriele Tonno d'Afflitto, mercante di Scala, e di Ciccio de Puteo, mercante

di Amalfi. Consentirono inoltre sin dal 1471 ad una corporazione artigiana, quella dei calzolai, di

avervi una loro cappella, dedicata ai loro santi protettori Crispino e Crespinìano. Il collegamento dei frati

con altre categorie sociali e con famiglie di altri quartieri della città corrispondeva del resto al carattere

dello stesso seggio di Montagna, il quale, rispetto a quelli di Nido e di Capuana, tenacemente chiusi nei

loro privilegi e nella rivendicazione di uno status sociale e politico superiore a quello delle famiglie

ascritte agli altri seggi, ebbe nel corso del Quattrocento un atteggiamento di maggiore apertura verso i

nobili immigrati in città e verso coloro che si erano elevati socialmente attraverso i commerci, le

professioni liberali e soprattutto attraverso il servizio militare e civile nella pubblica amministrazione.

Ma, a parte questo, il convento di San Lorenzo si configurò, fin dal duecento, come il punto di

riferimento principale dell'intera comunità cittadina, dato che presso di esso aveva sede il governo della

città, il cosiddetto tribunale di San Lorenzo11.

10 R. MIDDIONE, San Lorenzo Maggiore, in Napoli Sacra, VIII (1994), pp. 469-492.11 C. D’ENGENIO CARACCIOLO, Napoli sacra, Napoli 1623, pp. 103-115.

5

Page 6: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

PROSPETTO DEI CONVENTI FRANCESCANI A NAPOLI

1. S. Maria ad Palatium, la presenza dei frati è indicata intorno al 1216, abbandonato tra il 1276-

1279.

2. S. Lorenzo Maggiore, la presenza dei frati è datata 1234, oggi appartiene ai Frati minori

conventuali (OFMConv)S. Maria La Nova, fondato nel 1279, oggi appartiene ai Frati minori

(OFM)

3. S. Barbara o Cappella Palatina, fondata ai primi del ‘300 e ubicata all’interno di Castel nuovo, o

maschio Angioino, è ubicata sul lato del castello rivolto al mare. Detta "Cappella palatina", o chiesa

di "San Sebastiano" o di "Santa Barbara", è oggi l’ unico elemento superstite del castello angioino

trecentesco, sebbene danneggiata nel terremoto del 1456 e in seguito restaurata.

4. S. Maria di Monteverginella, l'edificio con l'annesso monastero, venne fondato nel 1314 da

Bartolomeo di Capua, protonotario del re Roberto d'Angiò, che in questo luogo aveva una propria

residenza. Già monastero dei benedettini della congregazione di Montevergine, fu acquistato dai

frati minori (OFM) alla fine del XIX secolo e vi rimasero fino al 1906, quando fu venduto alle suore

salesiane.

5. S. Chiara, fondato per le clarisse nel 1317, i frati subentrarono come cappellani delle clarisse.

Andate via con la soppressione, vi subentrarono i Frati minori nella seconda metà degli anni trenta

del ventesimo secolo. Oggi appartiene all’Ordine dei Frati Minori (OFM).

6. S. Angelo a Nilo, fondato a spese del cardinale Rinaldo Brancaccio che fece erigere nel 1385 una

prima cappella dedicata ai Santi Angelo e Marco. Nel 1958 fu donata ai Frati minori Conventuali

dal principe Marc’Antonio Brancaccio e dal marchese Talamo. Oggi la chiesa appartiene alla

provincia napoletana dei Frati Minori Conventuali (OFMConv).

7. SS. Trinità di Palazzo, fu costruita nel 1344 per ospitarvi una comunità di frati che avesse la cura

spirituale delle clarisse dell’attiguo monastero di S. Croce. Dopo la divisione dell’ordine nel 1517

passò ai frati osservanti. Sia la chiesa sia il convento sono stati demoliti nel 1767 per la costruzione

del Palazzo del comando del dipartimento marittimo.

8. S. Severo al Pendino, La chiesa venne fondata nel 1448 con l'attiguo ospedale da Pietro

Caracciolo, abate della vicina chiesa di San Giorgio Maggiore; il nome originario fu quello di Santa

Maria a Selice. Appartenne ai frati domenicani che dopo la soppressione francese lasciarono la

struttura che passò nel 1835 ai frati francescani dell’osservanza che vi rimasero fino al 1863 quando

furono mandati via a seguito delle leggi di soppressione italiana.

9. S. Maria della salute, le origini dell'edificio risalgono al 1486, il complesso fu affidato ai

Francescani Minori Riformati che negli anni successivi, modificarono ed ampliarono la struttura.

6

Page 7: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Abbandonata la struttura dopo gli eventi soppressivi del 1866, oggi è una parrocchia del clero

secolare.

10. San Diego all'Ospedaletto, nota anche come S. Giuseppe Maggiore, venne eretta su

interessamento di Giovanna Castriota nel 1514. Successivamente venne realizzato un ospedale per i

poveri gentiluomini e, morta la beneficiaria dell'opera, la chiesa passò ai frati minori

dell’osservanza. Dopo la soppressione italiana è diventata rettoria, mentre il convenoto è ora

caserma della polizia.

11. S. Eframo Vecchio, fu fondato nel 1530 e fu il primo a sorgere nell’area della Provincia

Cappuccina di Napoli, quando questa non esisteva ancora. La chiesa nel suo nucleo originale è

antichissima, sorge sulle catacombe di Sant’Eufebio ed è dedicata ai santi martiri “Eufebio,

Massimo e Fortunato”. Perduto con la legge di soppressione il 1865, fu ricomprato dai frati il 1898,

oggi è Parrocchia. Appartiene ai Frati Minori Cappuccini (OFMCap).

12. Madonna dell’Arco, la struttura risulta già esistente in documenti del 1542 era un ex convento dei

domenicani situato nel quartiere Miano, passò ai francescani riformati nel 1842. Oggi è parrocchia e

appartiene ai Frati Minori (OFM)

13. S. Anna a Porta Capuana, fondata dal P. Gaspare Crispo frate minore conventuale (OFMConv)

nel 1556, fu soppresso con la legge generale del 1809.

14. Santa Maria della Mercede a Montecalvario venne fondato nel 1560 grazie alla nobile

napoletana Ilaria D'Apuzzo, la quale, in seguito, ne fece dono ai frati osservanti.La casa e la chiesa

furono abbandonati dai religiosi a seguito delle vicende oppressive del 1809. La chiesa è officiata

dal clero secolare, mentre il convento è in uso a privati.

15. S. Lucia al Monte, fondato dai conventuali riformati nel 1557 che vi abitarono fino alla loro

soppressione (1624). La locale comunità si fuse con la riforma dei francescani alcantarini. I religiosi

vi vissero fino alla soppressione italiana del 1866. Oggi la chiesa appartiene alla provincia

napoletana dei Frati Minori (OFM)

16. S. Antonio a Tarsia o Spirito santo, la chiesa fu edificata nel 1559 dai Frati Minori Conventuali

(OFMConv) e fu soppressa con la legge generale del 1809.

17. S. Antonio ai Monti, per molto tempo noto come "Santa Maria ai Monti" o "Santa Maria del

Monte", officiata dai frati minori conventuali. Fondata dalle famiglie Ferrante e Cuomo nel 1563, a

seguito di un violento nubifragio del 1569 che diede un duro colpo alla struttura fu ceduto ai frati

del terzo ordine regolare di S. Francesco (TOR) che l’officiarono fino alla soppressione del 1809.

18. S. Eframo nuovo, costruito nel 1572 e perduto nel 1865 per la soppressione e venne trasformato in

carcere giudiziario. E’ appartenuto ai Frati Minori Cappuccini (OFMCap).

19. S. Severo alla Sanità, fu concesso ai Frati Minori Conventuali (OFMConv) dall’arcivescovo

7

Page 8: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Carafa nel 1573. I religiosi vi costruirono un conveoto nel 1682, fu soppresso nel 1806.

20. S. Francesco a Capodimonte, inizialmente era una cappella donata ai Frati Minori Conventuali nel

1574 (OFMConv), fu soppresso con decreto speciale del 1809.

21. S. Maria degli Angeli alle Croci, costruita nel 1581 la chiesa ha assunto questo nome per la

presenza della via crucis che veniva fatta sulla salita di via Michele Tenore dai Francescani

Osservanti. Soppresso con le leggi eversive francesi (1809), oggi la chiesa è del clero secolare,

mentre il convento è sede della facoltà di veterinaria.

22. S. Maria a Parete, fondato e costruito nel 1581 è appartenuto ai Frati Minori Conventuali

(OFMConv), fino alle leggi di soppressione del 1809.

23. S. Maria delle Grazie, fondato nel 1585 dal nobile napoletano Girolamo De Fazio, fu da sempre

affidato ai Frati Minori Conventuali. Soppresso sia nel 1809 sia nel 1866, i religiosi vi sono

ritornati, oggi è parrocchia. Appartiene ai Frati Minori Conventuali (OFMConv)

24. S. Caterina a Chiaia, la chiesa sorse nel 1600 ed è dedicata a Santa Caterina Vergine e Martire. In

precedenza in questo sito, vi era soltanto una cappella chiamata “Santa Caterenella”. L'attuale

forma maestosa ed armonica della chiesa è databile 1713, numerosi interventi hanno abbellito,

arricchito ed allungato l'edificio. Oggi è l’unica presenza del Terz’Ordine Regolare di S. Francesco

(TOR).

25. S. Maria alla sanità, fu eretta su disegno del domenicano fr. Giuseppe Nuvolo nel 1602-1613, sul

sito delle catacombe di San Gaudioso. I religiosi domenicani vi rimasero fino alla soppressione

francese del 1809. Dopo il concordato di Terracina fu dato ai francescani riformati e dopo l’unione

con gli osservanti è appartenuto all’Ordine dei Frati Minori (OFM). Il convento e la chiesa sono

stati lasciati dai frati minori agli inizi degli anni ’90 del XX secolo.

26. S. Maria dei miracoli, fondato nel 1616 da parte dei Conventuali riformati che vi abitarono fino al

1656. Infatti in quella data il convento fu demolito per costruirvi l’attuale chiesa. I francescani non

vi sono più ritornati.

27. S. Antonio a Posillipo, la fondazione della chiesa risale al 1642. I frati del terz'ordine vi fondarono

una chiesetta ed un piccolo convento che ebbe nei primi anni la funzione di sanatorio. Soppresso

con la soppressione napoleonica nel 1824 il complesso fu affidato ai domenicani. E’ appartenuto al

terz’Ordine regolare di S. Francesco (TOR).

28. S. Pietro ad Aram, è famosa perché, secondo la tradizione, il tempio custodirebbe l'”Ara Petri”,

ovvero l'altare su cui pregò S. Pietro durante la sua venuta a Napoli. Per la sua particolare antichità

papa Clemente VII, le concesse il privilegio di poter celebrare il giubileo un anno dopo quello di

Roma, in modo da evitare un eccessivo affollamento nella città eterna, ma anche per evitare al

popolo napoletano l'allora faticoso viaggio. Fu affidato ai francescani riformati nel 1805, appartiene

8

Page 9: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

ai Frati Minori (OFM).

29. S. Pasquale a Chiaia, sorto come ospizio degli alcantarini riformati, fu soppresso nel 1866. Fu

riscattato nel 1899 dai Frati Minori (OFM) a cui appartiene ancora oggi.

30. S. Gennarello al Vomero, fu data ai Frati minori conventuali in seguito al Concordato di Terracina

(1819). Oggi è casa filiale del convento dell’Immacolata dei Frati Minori Conventuali (OFMConv)

31. S. Maria Immacolata, fondato dal P. Ludovico da Casoria nel 1852 per le opere caritative a favore

dei bambini diversamente abili, oggi appartiene ai Frati Minori (OFM)

32. Immacolata a Piedigrotta dei Frati Minori cappuccini, fu costruito dopo gli eventi soppressivi del

1866. I lavori di costruzione ebbero inizio l’11 novembre 1875e nel 1879 erano già pronti la chiesa

e il primo piano del convento. La chiesa, dedicata all’Immacolata, fu aperta al culto il 2 luglio 1879.

Appartiene ai Frati Minori cappuccini (OFMCap).

33. S. Francesco d'Assisi al Vomero, la chiesa ed il convento di vennero costruiti tra il 1892-94,

grazie ad un progetto di un ingegnere italiano, ma, sotto la direzione di un frate tedesco. Oggi è

parrocchia e appartiene ai Frati Minori (OFM)

34. Madonna di Montevergine, dei Frati cappuccini la casa è situata nel quartiere Soccavo. La

presenza dei frati è datata dall’11 gennaio 1910 quando il sacerdote Giacomo Morra fece dono ai

Cappuccini di una Cappella, un fondo e la casa colonica per abitazione; i frati avevano l’obbligo di

officiare l’annessa Cappella, dedicata alla Madonna di Montevergine. Il fondo e la casa colonica

furono venduti nel 1940 e restarono ai Frati, la Cappella e un piccolo appezzamento di terra. Il 26

maggio 1957 fu posta la prima pietra e l’anno dopo il convento era realtà e fu inaugurato il 28

agosto 1958. Alcuni anni più tardi, per l’incremento edilizio della zona e per l’erezione della

piccola cappella a Parrocchia, si dovette procedere all’abbattimento sia del convento sia della

cappella, per far spazio alla costruzione di un moderno complesso parrocchiale. L’11 febbraio 1973

il Vescovo di Pozzuoli Mons. Salvatore Sorrentino poneva la prima pietra della nuova chiesa e

complesso parrocchiale. Appartiene ai Frati minori cappuccini (OFMCap).

35. Immacolata al Vomero, fondato nel 1956 è oggi convento e parrocchia della Provincia napoletana

dei Frati Minori conventuali (OFMConv).

2. I domenicaniLa presenza domenicana a Napoli è certa entro i primi trenta anni del secolo XIII. Come

abbiamo detto per i francescani, anche per i domenicani la direttrice di sviluppo della città in linea sud-

ovest non era affatto scontata in quel contesto storico e risulterà chiara solo nel corso del Trecento,

quando si svilupperà a Morfisa, l'attuale S. Domenico Maggiore, l’altra presenza dei mendicanti, quella

9

Page 10: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

dei domenicani. La futura struttura di S. Domenico maggiore si trovava si all'interno delle mura, ma al

limite dell'area urbana più intensamente abitata, dato che quella ad essa adiacente, in direzione ovest e

dell'attuale via S. Sebastiano, era in parte occupata da orti, anche se si andava già allora popolando con

ritmo sempre più rapido. Si ritiene che i Predicatori arrivano a Napoli sul finire degli anni Venti del

Duecento, ma solo nel 1231 ebbero una dimora propria grazie all'interessamento di papa Gregorio IX,

che scrisse a tal proposito all'arcivescovo di Napoli, Pietro, e al suo capitolo il 20 ottobre 1231,

nonché, cinque giorni dopo, al popolo napoletano. Le trattative dovevano essere già avviate da tempo, se

il primo novembre dello stesso anno l'arcivescovo, in presenza di importanti personaggi, quali il

cardinale Goffredo del titolo di S. Marco, l'arcivescovo di Bari Marino Filangieri, il cappellano papale

Egidio, il maestro Pietro, canonico della basilica di S. Pietro, ed altri, concesse loro la chiesa e il

monastero benedettino di S. Arcangelo. A questo primo insediamento i Predicatori ne aggiunsero un

secondo alla fine del secolo, con la fondazione di S. Pietro Martire fuori delle mura, questa volta in

direzione sud, vale a dire in un'area, quella prossima alla marina e ai due porti, allora non ancora densa-

mente popolata e priva di istituzioni religiose di rilievo, ma destinata a un grande sviluppo economico e

urbanistico. A questa evoluzione contribuì anche il grande complesso conventuale sia con il prestigio

della sua comunità, che sarà retta nella prima metà del Quattrocento da S. Antonino da Firenze, sia con

l'assistenza religiosa che offrì ad un tessuto sociale assai complesso, formato da emarginati, immigrati,

mercanti stranieri, piccoli artigiani, salariati che vivevano alla giornata e “perennemente inquieti"12.

S'intravvede comunque quella linea di condotta insediativa che indirizza i predicatori: una

diffusione delle sedi piuttosto lenta e a maglie diradate, con preferenza assoluta per i grandi centri

della cultura laica ed ecclesiastica. I Domenicani appaiono fin dall'inizio un efficiente strumento di

quella politica di sostegno per un più diretto ed efficace controllo delle nascenti organizzazioni

universitarie in seno alle rinnovate istituzioni scolastiche, diarginamento e recupero delle tendenze

alla devianza, che il papato aveva instaurato a partire da Innocenzo III. Non sembra dunque una

coincidenza puramente casuale che i Domenicani si insedino a Napoli proprio mentre

Federico li va organizzando lo “studium generale”, con io scopo dichiarato di convogliarvi, volenti

o nolenti, gli studenti del Regno in evidente contraltare a Bologna che era stata la prima sede

italiana dei frati Predicatori. Da Napoli ben presto o al massimo, qualche decennio più tardi, a

Benevento; passata la bufera dello scontro con Federico II vengono realizzati i conventi di Salerno e

di Capua. Con Aversa. Sessa Aurunca e Somma Vesuviana si conclude la diffusione insediativa

domenicana in Terra di Lavoro nel secolo XIII13.

La vicenda insediativa dei frati Predicatori a Napoli segue di pari passo quella in itinere in

12 G. BARBARULO, Il patrimonio di S. Domenico maggiore in Napoli. Dall’acquisizione dei locali ai primi acquisti fondiari (1231-1350), in Campania Sacra, XXXIX (2008), pp. 13-39.13 L. PELLEGRINI, Che sono queste novità…, pp. 103-116.

10

Page 11: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Terra di Lavoro che portarono i Domenicani a puntare, in prima istanza, direttamente sui grandi

centri urbani, dove costituivano il nucleo di riferimento dell'organizzazione dell'azione pastorale: la

“predicatìo”. Tale azione si irradiava su un territorio molto vasto, pari almeno a quello di una

custodia minoritica. Non è un caso che i centri di riferimento delle custodie, costituite dai frati

Minori in Terra di Lavoro, siano anche quelli delle prime “predicationes” domenicane oltre Napoli,

Gaeta. Benevento e Salerno. La successiva suddivisione territoriale per tutto il secolo XIII naturale

conseguenza dell'occupazione progressiva dei centri più tanti: la predìcatio napoletana verrà divisa

in tre successive riarticolazioni con la costituzione delle predicatìones di Capua, Aversa e Sessa

Aurunca con fondazioni di conventi domenicani nella seconda meta del secoli concentrano dunque

nel territorio napoletano. Il fenomeno danza ravvicinata nella predicatio napoletana è strettamente

collegata all'addensarsi dei centri abitati nell'area che richiedevano una costante dei frati per

un'azione capillare sulle popolazioni. Pertanto per un'azione pastorale incisiva era divenuta

assolutamente la predicatio. Si aggiungano l'assistenza spirituale attraverso l'amministrazione del

sacramento della penitenza, che era andato assumendo una frequenza e un'importanza sempre

maggiore nel secolo XIII, e la direzione spirituale e pastorale dei singoli e dei gruppi di fedeli che

costituivano le loro pie associazioni, facendo riferimento all'uno o all'altro componente dei nuovi

Ordini religiosi. Ma vi erano poi i molteplici impegni che le singole entità civiche affidavano ai

frati: dall’esecuzione testamentaria alla composizione di liti, agli interventi tecnici di vario tipo per

garantire una corretta esecuzione dei compiti collegati coll'amministrazione cittadina. Non sarebbe

stato più possibile ai fiati di due o tre conventi rispondere alle richieste in tal senso di una

popolazione distribuita in numerosi e notevoli centri urbani, in un'arca densamente abitata, nella

quale anche l'organizzazione ecclesiastica aveva dovuto moltiplicare i centri di riferimento per

l'amministrazione dei sacramenti. Ciò spiega anche perché nella parte più meridionale,

corrispondente alla custodia minoritica del Cilento, non siano stati costituiti conventi domenicani

fino all'età moderna e perché non si sia sentita la necessità di riarticolazione unica: in assenza di

veri e propri nuclei urbani l'azione pastorale poteva apparire meno urgente, data la presenza sul

territorio di altre entità religiose e comunque le attrattive erano meno allettanti 14.

La nobiltà napoletana, anche se mantenne sempre un saldo legame con gli antichi monasteri

benedettini presenti in città, cercò nondimeno fin dagli inizi dell'età angioina un rapporto

privilegiato con i nuovi Ordini mendicanti, legandosi, sia pur in forme diverse, ora all'uno ora

all'altro. Particolarmente stretto fu il rapporto che i nobili di Nido ebbero con i Predicatori di S.

Domenico Maggiore. Non solo infatti gli esponenti di quel seggio provvedevano alla designazione

dei procuratori del convento e si riunivano abitualmente presso di esso, non di rado addirittura nella

14 Ibidem.11

Page 12: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

sala capitolare, ma esercitavano sul complesso conventuale una sorta di patronato, pretendendo di

concorrere alle decisioni in merito alla concessione di cappelle e sepolture. Certamente però in

precedenza non si era fatto sempre così, o per l'opposizione dei frati o perché questa norma non era

stata ancora introdotta, come risulta da un atto dell'11 settembre 1475, con il quale il provinciale di

Terra di Lavoro, Gaspare di Sessa, e il priore del convento, Giacomo di Marsica, concessero a

Francesco de Belmonte di Taranto l'edificazione, di una nuova cappella dietro al coro, accanto a

quella dei Protogiudice, senza l'intervento dei procuratori nominati dal seggio e senza alcun accenno

ad un loro consenso preventivo15.

La pretesa dei nobili di Nido nasceva anche dalla consapevolezza del valore sociale e politico

che andava acquistando il possesso di una cappella nella chiesa del convento. Infatti, aumentando la

pressione per entrare a far parte del seggio, attraverso il quale si partecipava alla gestione

dell'amministrazione cittadina, si accresceva anche la resistenza delle vecchie famiglie che ne

facevano parte, le quali assunsero come elementi di valutazione delle candidature il possesso dei

quattro quarti di nobiltà e la residenza o, comunque, la proprietà di un'abitazione nel territorio del

seggio, in mancanza della quale poteva giocare un qualche ruolo la presenza significativa in quello

che si configurava come lo “spazio sacro” ufficiale del seggio o il collegamento con esso.

Significativo, a tal riguardo, il caso dei di Sangro, i quali nel 1507 furono ammessi al seggio di Nido

e costruirono sul largo di S. Domenico una sontuosa dimora, fissandovi la loro residenza. Ma essi

già dagli inizi del Quattrocento avevano un legame assai stretto con i frati di S. Domenico, se nel

marzo del 1407 fu nella casa di Tommaso di Sangro, nella piazza di S. Gennaro, che, alla presenza

del giustiziere del Regno e di altri pubblici ufficiali, fu autenticata una copia del testamento di

Alessandro Brancaccio Imbriaco, ricco di lasciti per la chiesa e il convento16.

In verità un'altra chiesa, più antica di quella di San Domenico, avrebbe meritato la qualifica

di spazio sacro del seggio, vale a dire quella della Santa Trinità, governata appunto da un maestro

nominato dalla nobiltà del quartiere. Tuttavia si trattava ormai di una istituzione che costituiva una

sorta di relitto storico, assolutamente non in grado di reggere il confronto con la grandiosa e

prestigiosa chiesa dei Domenicani. La gerarchia tra i due spazi sacri del seggio è espressa

chiaramente da un atto del 12 aprile 1402, con il quale Agnese Calcola, vedova di Carchillo Latro, e

sua figlia Cubella Latro firmano un legato di messe a favore di S. Domenico, precisando che in caso

di inosservanza delle condizioni da loro stabilite le messe dovranno essere celebrate nella chiesa

della staurita del Nido. Il corrispettivo del legame così stretto del seggio con la comunità

domenicana fu rappresentato da una larga partecipazione, per tutto il medioevo e l'età moderna, di

15 G. VITOLO, Ordini mendicanti e nobiltà a Napoli: S. Domenico Maggiore e il seggio del Nido, in Le chiese di San Lorenzo e San Domenico, Electa, Napoli 2001, pp. 10-14.16 Ibidem.

12

Page 13: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

quei nobili alle spese per i frequenti lavori di restauro e di manutenzione della chiesa e del convento.

Ne risultò comunque una configurazione nettamente aristocratica dei convento di S. Domenico

Maggiore, nel quale operarono come Irati e come priori anche non pochi esponenti della nobiltà

napoletana, alcuni dei quali conseguirono tra Due e Trecento alte cariche ecclesiastiche: Marino

Filomarino, arcivescovo di Capua, Gentile Orsini arcivescovo di Matera e Acerenza, il cardinale

Nicola Moschino Caracciolo. Il legame del seggio di Nido con S. Domenico, al pari di quanto

avveniva nei rapporti degli altri seggi con le chiese alle quali erano organicamente collegati, non era

pero incompatibile con la ricerca da parte delle singole famiglie dì spazi propri, in connessione, da

una parte, con scelte di carattere devozionale, dall'altra, con il desiderio di acquisire una propria

visibilità, specialmente quando si trattava di lignaggi assai estesi, all'interno dei quali si venivano

enucleando rami distinti anche dal nome. Così i Guevara e gli Aldomorisco di Nido avevano cappelle

rispettivamente in S. Chiara e in S. Lorenzo, mentre in S. Domenico avevano cappelle i Villano di

Montagna e i Della Marra di Capuana nonché i Capete, che erano uno dei rami dei Caracciolo, divisi

tra Nido e Capuana. I Del Balzo, sempre dì Capuana, avevano sepolture sia in S. Domenico sia in S.

Chiara, mentre i Pignatelli di Nido si facevano seppellire, verso la metà del trecento, nella chiesa dei

Verginiani, tra i quali sceglievano anche i loro direttori spirituali, per poi dotarsi di una cappella nel

Duomo17.

I nobili di Porto erano orientati soprattutto verso il convento domenicano di S. Pietro Martire,

dove avevano cappelle gli Ariamone, i Capano, i D'Alessandro, i De Gennaro, i Macedonio, i

Pagano. La famiglia nobile dei Griffo amavano tarsi seppellire nella chiesa francescana di S. Maria la

Nova, i Caputo a S. Lorenzo, mentre i Durazzo avevano una cappella nel Duomo. In S. Pietro

Martire venivano però inumali anche i Costanzo e i Mormile di Portanova, mentre in S. Agostino

alla Zecca, che era accanto alla chiesa di S. Maria in Cosmedin un punto di riferimento del seggio di

Portanova, le famiglie nobili che vi avevano cappelle erano quasi tutte di quel quartiere, i Coppola, i

Gattaia, i Scannasorice, gli Spina, ad eccezione dei Cecini di Montagna. Comunque, tra le famiglie di

seggio quelle che erano relativamente più compatte nella ricerca di cappelle e monumenti sepolcrali

nella chiesa legata al seggio erano quelle di Capuana, presenti nel Duomo in gran numero, compresi i

Filomarino, ì quali, evidentemente non a caso, vi trasferirono la cappella che un tempo avevano in S.

Giorgio Maggiore. Nel Duomo, tuttavia, avevano cappelle anche i Carata, i Vulcano e, come sì è detto, i

Pignatelìi di Nido. In sostanza anche a Napoli, come altrove, le chiese parrocchiali, ancorché di grande

prestigio e antichità, rischiavano di diventare “le chiese dei poveri”'.

Ritornando ora a San Domenico, le famiglie che vi ebbero una presenza più Ione furono i vari

rami, prima, dei Brancaccio e poi anche dei Carafa, che furono nello stesso tempo quelli che con

17 G. VITALE, La nobiltà di seggio a Napoli nel Basso medioevo: aspetti della dinamica interna , in Archivio Storico delle Province napoletane, CVI (1988), pp. 15-19.

13

Page 14: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

donazioni e lasciti più concorsero alla formazione del patrimonio immobiliare del convento. I Brancaccio

vi costruirono cappelle, collocandovi poi le loro sepolture, subito dopo il completamento, nel 1324, dei

lavori ili ristrutturazione della chiesa, seguiti a quel che sembra dai d'Eboli del seggio di Porto, la cui

cappella esisteva già il 2 ottobre 1335, quando Bartolomeo d'Eboli dettò il suo testamento. Le prime

inumazioni documentate dei Brancaccio sono quelle di Boffolo (1332), di Pietro (1338), di Bartolomeo

arcivescovo di Trani (1341), di Landolfo (1348), di Tommaso (1348). Eppure i Brancaccio cercarono

anche una propria visibilità all'esterno, edificando, secondo le antiche tradizioni nobiliari, una propria

chiesa, quella di Sant'Angelo, detta poi a Nido, proprio di fronte a quella domenicana.

Alla prima metà del Trecento risalgono anche le prime sepolture di vari Capece, Caracciolo,

d'Aquino, Dentice, Protogiudice, Vulcano, nonché le attestazioni delle cappelle di S.c Andrea dei Gattola,

passata all'inizio del Quattrocento al cardinale Rinaldo Brancaccio, che vi aggiunse la dedicazione a S.

Vito, del Crocefisso dei Bevagna, passata ai della Marra di Capuana e quindi, nel 1549, ai Capece, di S.

Antonio Abate dei Vulcano, di S. Pietro Martire poi di S. Caterina da Siena dei Dentice, di S. Maria

della Rosa dei Marramaldo passata poi ai De Acerris, ai Muscettola e quindi, ne! 1503, ai Villano di

Montagna. A creare le condizioni di questa identificazione del seggio di Nido con la chiesa di S.

Domenico contribuì anche la mancata saldatura tra dinastia angioina e Ordine domenicano, che sembrava

stesse per realizzarsi tra fine Duecento e inizi Trecento, in seguito alla ristrutturazione della chiesa voluta

da Carlo li e alla sua decisione di lasciare ad essa il suo cuore, cui segui l'inumazione delle spoglie dei

figli Filippo di Taranto (1331 ) e Giovanni di Durazzo (1335). In precedenza vi era stata già accolta la

sepoltura di Isabella, ultima dei figli di Carlo I, morta nel 1313. In ogni caso alla base del rapporto

privilegiato tra la nobiltà di Nido e S. Domenico ci furono senz'altro il prestigio del convento e la sua

collocazione proprio al centro del territorio sul quale insisteva il seggio; ma un peso non irrilevante

dovette avere anche l'impegno dei frati nel perseguire, coerentemente con la linea dell'intero Ordine,

l'obiettivo di concorrere al consolidamento della monarchia e quindi al perseguimento del bene

comune, proponendo alla nobiltà, soprattutto a quella napoletana ma anche a quella feudale, un modello

aristocratico, che diremmo di impronta domenicana, basato sulla sintesi tra meritocrazia e gloria del

sangue, e mirante a volgere al servizio della Chiesa e del Regno valori e pulsioni di tipo

individualistico, tra cui non solo le attitudini guerriere, ma anche le qualità intellettuali. Artefici

dell'elaborazione di questo progetto di dare alla nobiltà una nuova consapevolezza del proprio ruolo e

quindi delle proprie responsabilità furono Giovanni Regina (attivo negli anni 1309-1348) e Federico

Franami (attivo negli anni 1334-1343), che dispiegarono una instancabile attività, principalmente

attraverso la predicazione, negli anni Trenta e Quaranta del Trecento, vale a dire proprio nel periodo in cui

la monarchia angioina fu al massimo del suo prestigio e la nobiltà napoletana, soprattutto quella dì Nido e

Capuana, produsse un forte impegno per definire il suo status, con le connesse prorogativi e responsabilità

14

Page 15: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

nel governo della città e nel servizio per il Regno. Il modello ad essa proposto e espresso in maniera assai

chiara nel sermone dì Federico Franami per la morte di Giovanni de Haya, un nobile esponente della

nuova élite burocratica al servizio della monarchia, che tu sepolto nella chiesa del convento domenicano

femminile di S. Pietro a Castello. Se questa chiave di lettura dei sermoni dei due frati di S. Domenico

Maggiore, reggerà al vaglio di ulteriori approfondimenti, potrà delinearsi un quadro che vede una netta

diversità di ruoli tra i frati dei due maggiori conventi mendicanti di Napoli: quello di S. Lorenzo, centro

ideale della città e sede dell'amministrazione cittadina e quello di S. Domenico, sede dello Studio

generale e dell'Inquisizione nonché laboratorio di un'ideologia politica al servizio dell'intero Regno18.

La nuova veste del prestigioso convento domenicano, alla cui struttura organizzativa aderiva

perfettamente quella dell'Ordine dopo la creazione nel 1294 della Provvida Regni, con sede appunto nel

convento napoletano, troverà il suo coronamento in età aragonese con l'assunzione della chiesa di S.

Domenico a famedio della nuova dinastia e del largo ad essa antistante a luogo sacro “dove monarchia e

capitale si incontravano nei momenti più significativi del loro rapporto: quelli della morte dei sovrani e

del primo contatto del nuovo re con la popolazione”. Con la chiesa di S. Domenico la monarchia

troverà allora quel centro ideale e quell'ancoraggio spirituale, che invano avevano cercato gli angioini,

oscillando tra una chiesa e l'altra. Anche da questo punto di vista, oltre che da quello etico-politico e

istituzionale, l'età aragonese si configura come quella in cui giungono a piena maturazione processi ini-

ziati molto prima, al momento stesso dell'unificazione operata dai Normanni e dell'avvio della storia di

Napoli come “città del re”. E’ questa una maturazione avvenuta torse troppo tardi per assicurare al

Regno un grado di coesione capace di garantirne la sopravvivenza politica nel contesto delle guerre per

il predominio in Europa19.

La presenza dei domenicani a Napoli è la seguente:

1. S. Domenico maggiore, Fu voluta da Carlo II d'Angiò ed eretta, inizialmente in stile gotico,

tra il 1283 e il 1324, divenne la casa madre dei domenicani nel regno di Napoli e chiesa

della nobiltà aragonese. Nel 1231 i Domenicani, con a capo Tommaso Agni da Lentini,

giunsero a Napoli, e non disponendo di una sede propria, si stabilirono nell'antico monastero

della chiesa di San Michele Arcangelo a Morfisa, gestita dai padri benedettini, prendendone

possesso. La consacrazione della chiesa a San Domenico avvenne nel 1255 per volere di

papa Alessandro IV, come attestato da una lapide posta alla destra dell'ingresso principale.

La costruzione della chiesa fu voluta da Re Carlo per un voto fatto alla Maddalena durante

la prigionia patita nel periodo dei vespri siciliani. I domenicani sono ritornato dopo le due

soppressioni e sono attualmente presenti.

18 Ibidem.19 R. VALLE – B. MINICHINI, Descrizione storico, artistica, letteraria della chiesa, del convento e de’ religiosi illustri di S. Domenico maggiore di Napoli dal 1216 al 1854, Napoli 1854, pp. 309-316.

15

Page 16: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

2. S. Pietro Martire L'edificio venne fondato nel 1294 dagli Angioini e donato, dopo il

completamento, ai Domenicani. Un primo restauro si ebbe nel 1343 e nel 1347 Giovanni

Capano realizzò il portale marmoreo; negli anni 1423 e 1456 la chiesa venne restaurata

nuovamente in stile rinascimentale a causa di un incendio (1423) e di un terremoto (1456).

Dopo circa un secolo fu avviata la la costruzione del chiostro e nel 1607 il frate-architetto

domenicano Giuseppe Nuvolo restaurò un'ennesima volta il complesso con la creazione

della cupola (1609) ad embrici maiolicati. Tra il 1632 e il 1633, sotto la direzione degli

ingegneri Pietro De Marino e Natale Longo, furono realizzati l'attuale portale marmoreo e lo

spazio antistante. A questi si deve il primitivo progetto del campanile, che invece venne

realizzato, nel 1655, da Francesco Antonio Picchiatti, quest'ultimo attivo nel cantiere dopo

l'estromissione dei due ingegneri. Attualmente è rettoria tenuta dai padri domenicani.

3. S. Caterina a Formiello, l'attuale complesso sorge su di una precedente chiesa dedicata a S.

Caterina d'Alessandria, vergine e martire, con annesso convento di frati celestini, ed era

detta a “formiello”, dal latino “ad formis”, "presso i condotti, ovvero presso i canali". Infatti

nei suoi pressi penetrava in città l’antico acquedotto della Bolla - Carmignano che fu poi

sostituito totalmente dall'attuale in uso, quello di Serino, verso la fine del XIX secolo. Con

re Federico d'Aragona iniziava per S. Caterina una nuova e più ricca storia, egli la concesse

nel 1498 ai padri domenicani della Congregazione riformata di Lombardia che edificarono

l'attuale edificio sacro e lo tennero, senza interruzione, fino al 1809, data della soppressione

del monastero, decretata dal Gioacchino Murat. Oggi è parrocchia del clero diocesano.

4. S. Severo a Pendino, vedi francescani

5. S. Maria alla Sanità, vedi francescani

3. CarmelitaniL’inserimento a Napoli dei Carmelitani è quasi contemporaneo rispetto ai francescani e ai

domenicani. Giunti in Sicilia negli anni Trenta del secolo XIII, attorno alla metà dello stesso secolo

sono attestati in due città della Terra di Lavoro: Capua e Napoli. La presenza dei carmelitani a

Napoli avviene nell’area più meridionale rispetto alla chiesa di S. Pietro martire dei domenicani, nella

parte orientale, allora ben distante dalle mura cittadine e che ancora meno faceva presagire un rapido

sviluppo. I Carmelitani si stabilirono intorno al 1238, insediandosi presso una piccola chiesa vicino al

mare dedicata a S. Nicola di Mira con l'annesso ospizio, al di sotto della quale, in una grotta, i frati

custodivano un'immagine della Madonna con il Bambino, che ancora oggi alimenta Ia devozione da parte

16

Page 17: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

dei Napoletani alla Madonna del Carmine. Successivamente, non prima del 1301, iniziarono i lavori per

la costruzione della futura basilica di S. Maria del Carmine. Se si considera la centralità che nella vita

dell'intera area, la quale sarà detta ben presto detta “del Mercato” e sarà inclusa nella nuova cerchia

muraria del 1350, ha avuto ininterrottamente nel corso dei secoli il convento dei Carmelitani, non si ha

difficoltà ad ammettere che anche in questo caso, come per S. Pietro Martire dei Predicatori,

l'insediamento mendicante si è configurato come un polo di aggregazione sul piano non solo religioso,

ma anche urbanistico e sociale. A Napoli tra queste nuove comunità ben presto si affermò quella

dei carmelitani. Non si conosce la data del loro primo insediamento nel territorio partenopeo, ma

sembra da porlo verso la metà del secolo XIII. Ciò avvenne presso la chiesetta di S. Nicola di Bari

nel Campo Moricino, fuori città. La tradizione storiografica napoletana che fa capo al

Celano, al Parrino e al Galante sostengono che la venuta dei frati carmelitani a Napoli sia

databile al 121720.

Gli storici sono sostenuti in questo da una fonte più che autorevole, ci riferiamo alla

Bolla di Sisto IV del 10 Giugno 1475, nella quale ad istanza di Ferrante D'Aragona, si

confermano i privilegi e le indulgenze che per tradizione appartenessero alla Chiesa del

Carmine Maggiore, ma si dice tra le altre cose, che questa chiesa era visitata dal popolo

napoletano da più di trecento anni, pertanto si presume che i Carmelitani erano in Napoli

almeno fin dalla metà del secolo XII.

Concludono dunque che Salvatore di Giacomo in Napoli Nobilissima, par lando del

Santuario, si esprime così:

«Una piccola chiesa. intitolata al Vescovo di Mira, S. Nicola di Bari, era nei principii del

secolo VII presso la marina fuori la città. Quel che il P. Ludovico da Casoria fece

recentemente a Posillipo, in quel tempo era stato fabbricato sulla riva pei vecchi

continuatori del mestiere di S. Andrea, e accanto all'ospizio era sorta per l'occor renza

religiosa degli invalidi pescatori una piccola chiesa. Ora, capitati a Napoli, scappando

dalla persecuzione dei saraceni, alcuni degli eremiti del Monte Carmelo, l'ospizio e la

chiesa, come costoro domandarono, vennero loro ceduti. Un'immagine anti chissima che li

salvò dalla persecuzione, di S. Maria del Carmelo, ebbe posto nella chiesa dei vecchi

marinai e le dettero nuovo nome: la chiesetta fu chiamata d'allora della Vergine della

Bruna del Monte Carmelo, ossia dei frati di S. Maria del Carmine, denominazione la

quale si trova indicata nel secolo XIII»21.

20 E. BOAGA, La “Bruna” e il Carmine di Napoli, Sicignano Tipografia, Pompei 2001, pp. 5-7. 21 T. QUAGLIARELLA, Guida storico-artistica del Carmine Maggiore di Napoli, Taranto 1932, p. 16, o.c.

17

Page 18: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Tuttavia oltre alla bolla del pontefice francescano Sisto IV, un'altra fonte

autorevole è legata alla morte di Corradino di Svevía nel 1268, quando i cronisti del tempo

descrivono il luogo del supplizio dell'infelice giovane. Saba Malaspína infatti, indica il

posto del supplizio con queste parole:”In campo fori iuxta eremitarum locum”. Giovanni

Villani con maggiore precisione:

«In sul mercato di Napoli lungo il ruscello dell'acqua che corre di contro la chiesi del

Carmino»22.

Dunque storicamente si deve concludere che nel 1268 esistevano in Napoli i

Carmelitani, ma quanto tempo prima, non si può con certezza determinare.

Oltre a questi da ti storici, non possiamo tacere su di un altro di assoluta importanza, ci

riferiamo alla tragica fine dell’ultimo rampollo degli Hohenstaufen, Corradino, decapitato insieme

al suo giovane cugino Federico d'Austria il 29 ottobre 1268 "presso il luogo degli eremiti". I loro

corpi furono sepolti provvisoriamente in un fosso scavato sullo stesso luogo del supplizio, ed

inseguito, nel 1269, i carmelitani diedero ad essi pietosa sepoltura nella loro chiesa. Il 27 giugno

1270, su istanza degli stessi frati, Carlo I d'Angiò concedeva loro, in perpetuo e in suffragio dei

suoi genitori Luigi VIII e Bianca reali di Francia, un terreno di 800 canne qua drate (pari a mq.

3893,76) affinché "vi edificassero nuova chiesa, oratorio e case per la loro abitazione e servizio".

Tali edifici vennero costruiti tra il 1283 e l'inizio del Trecento, mentre era prio re un certo fra'

Ruggero23.

La tradizione popolare vuole che la madre dì Corradino, Elisabetta dì Baviera portatasi a

Napoli per riscattare il figlio, avendolo trovato morto, avrebbe devoluto la somma del riscatto a

favore dei carmelitani perché ne suffragassero anima. Se la presenza di Elisabetta di Baviera a

Napoli non è storicamente verificabile, è certa però che già nei secc. XV-XVI i frati celebrassero

ogni giorno all'altare maggiore una messa in suffragio dell' “Imperador Corradino", come attesta un

codice del sec. XVI che riporta un precedente documento del 1474 la lista dei legati di messe,

databili epoche anteriori. Questo suffragio continuò fino al secolo XIX. L’indicazione di questo

legato al primo posto nel ricordato elenco induce a pensare che ai carmelitani comunque arrivasse la

somma già destinata al riscatto di Corradino. Però il maggior contributo per l'edificazione della

nuova chiesa e convento venne da parte angioina e precisamente con un donativo di mille ducati

fatto dalla regina Margherita di Borgogna, seconda moglie di Carlo I. Seguirono altre donazioni

notevoli da parte dì Francesca Scripta e di Ser Mauro Frezza. Alla morte della regina Margherita

22 Ibidem.23 G. MONACO, Piazza Mercato sette secoli di storia, Athena mediterraneo, Napoli 1970, pp. 27-29.

18

Page 19: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

(1308) i frati per gratitudine le assegnarono un suffragio quotidiano, riportato al secondo posto nel

ricordato elenco, e le innalzarono una statua di marmo (aggi al Museo di S. Martino), la quale per

molto tempo si ritenne erroneamente che raffigurasse invece l'infelice madre di Corradino24.

Dopo esserci trattenuti a parlare dell'epoca in cui fu eretto il Convento primitivo, è

utile definire il sito dell'edificio dopo la donazione fatta da Elisabetta di Baviera. E però

per ben fissarlo, è necessario dare uno sguardo alla topografia della Piazza Mercato di

allora, la quale, secondo la descrizione di antichi autori, occupava la maggior parte del

Campo Moricino, chiamato perché secondo la tradizione, fino dai tempi degli Svevi i

ruderi di un muricciolo da Castelnuovo giungevano fino a Piazza Mercato. Altri ancora

sostengono che tale denominazione si riferisca alla presenza in quella zona di persone di

diversa confessione non cristiana, con molta probabilità di religione ebraica con il titolo

generico di “mori”, da cui “moricino”, anche perché in quel periodo storico era risaputo che

verso oriente esisteva il cimitero degli ebrei 25.

L'edificio aveva a settentrione l'Egiziaca, ad occidente un ruscello che, sorgendo dal

fonte Formello, attraversava l'attuale Via del Lavinaio, andando a gettarsi nel mare vicino.

Al di là del ruscello, lontano una cinquantina di metri verso oriente, sorgeva l'antica

chiesetta dei Carmelitani, consistente in una Cappella con la relativa cripta, chiamata perciò

“grotticella”. Nella cripta di questa chiesina gli Eremiti del Carmelo vi era l'Immagine

taumaturga della “Madonna del Carmine”.

La Cappella e il conventino dei frati confinavano ad occidente con le antiche mura della

città, e dal 1270 circa, con quelle fabbricate da Carlo D'Angiò, le quali passavano accanto

all'attuale chiesa di S. Eligio. A mezzogiorno avevano il resto del moricino con il mare, e ad

oriente il cimitero degli ebrei. Da quanto si è detto, e dalla topografia attuale del Santua rio.

appare evidente che l'antica chiesetta è stata sempre compresa nella più recente26.

La prima trasformazione della chiesa e del convento fu eseguita con denaro svevo

sotto il dominio angioino. Infatti su di un terreno avuto da Carlo I il 27 Giugno del 1270 si

incominciò subito a fabbricarla dopo qualche anno, bella e maestosa, in stile gotico

trecentesco semplice e severo. Fu eretta sulla sponda del fiumicello che scorreva per il

campo detto “moricino”, e così vicino alla corrente dell'acqua, che per entrarvi era

necessario oltrepassare un ponticello. Dell'antica chiesina intanto non rimaneva che la

cripta abbastanza vasta, in cui si conservava l'Immagine della Bruna. A lavoro compiuto, i

religiosi cedettero doveroso tramandare al posteri la memoria dell'insigne benefattrice,

24 Ibidem.25 G. FILANGIERI, Chiesa e convento del Carmine maggiore in Napoli, Napoli 1885, pp. 11-17.26 Ibidem.

19

Page 20: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Elisabetta di Baviera, madre di Corradino, facendone scolpire l'immagine in una statua di

marmo bianco, la quale, dopo essere stata cambiata di posto parecchie volte, e cioè dalla

Piazza al refettorio dei frati, da questo alla porta d'ingresso del convento e al mu seo

Nazionale di S. Martino.

Nel 1304 la nuova chiesa, sorta in forme gotiche, non aveva ancora inglobato la precedente

chiesetta di S. Nicola; cosa che avvenne negli anni immediatamente seguenti. Fu dedicata alla

Vergine Assunta la cui immagine su tavola venne messa all'altare maggiore. mentre l’icona de "La

Bruna" rimaneva nella cripta sino al 1500. La dedicazione all'Assunta, da qualcuno attribuita alla

volontà dello stesso re Carlo I, in realtà rientra nel consueto modo d'intitolare le proprie chiese in

quell'epoca da parte dei carmelitani che sceglievano di preferenza o il titolo dell’Annunziata o

quella dell'Assunta. La consacrazione liturgica con il titolo del Carmine, nonostante che così fosse

ben presto chiamata comunemente dal popolo, avvenne solo nel 1828. Tutta la fabbrica in strutture

gotiche della chiesa ha subito, nel corso dei secoli, una serie di complesse stratificazioni, che

l'hanno resa partecipe prima delle forme rinascimentali e successivamente in modo definitivo di

quelle dell'età barocca. Dell'originaria chiesa angioina rimane aggi la testimonianza visibile di una

parte del transetto e la presenza di una volta costolonata ricoperta da stucchi settecenteschi27.

Anche il Carmine Maggiore si è affermato nel campo degli Studi, in esso si

coltivarono tutti i rami dello scibile e fu focolare di altissimi ingegni. Gli studi vi ebbero

cura speciale e ciò è provato dal fatto che fino dal secolo XIV i migliori religiosi erano

mandati a Parigi all’Università della Sorbona, come studenti per addot torarsi, o come

uditori per perfezionarsi. Anzi sin dal 1333 nelle Costituzioni dell'Ordine carmelitano

designano tra gli Studi generali dell’Ordine anche quello del Carmine Maggiore 28.

Nel 1456, come si ricava dalla Cronistoria e dagli atti dei Capitoli Generali

dell'Ordine, si trova menzionato lo Studio di Napoli per il quale, dal Ca pitolo Generale

celebrato a Parigi il 16 Maggio, sono destinati due professori nelle persone dei P.P.

Giovanni di Riva e Nicola de Lucia. Nel secolo XVI s'incominciano a vedere le

promozioni nello Studio napoletano: nel 1510 vi è promosso lo studente fra Nicola

Cavalluzio, siciliano; nel 1513 dal Capitolo Generale celebrato a Roma fu designato

Reggente dello Studio napoletano il P. Stefano de Confortis, che fu poi Procuratore

Generale dell'Ordine. Il 1532 segna per lo Studio del Carmine un importante successo,

infatti nel Capitolo Generale celebrato a Padova viene dichiarato Studio generale per le

scienze sacre, cioè Università. Il percorso continuò fino alla soppressione francese del

27 T. QUAGLIARELLA, pp. 23-28.28 B. XIBERTA, De Scriptoribus scholasticis saec. XIV ex Ord. Carm., Louvain 1931, p. 17.

20

Page 21: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

180929.

La presenza carmelitana a Napoli può essere indicata nelle seguenti comunità:

1. Carmine Maggiore risalente al XIII secolo si erge in piazza Carmine a Napoli, in quella

che un tempo formava un tutt'uno con la piazza del Mercato, teatro dei più importanti

avvenimenti della storia napoletana. Il popolo napoletano ha l'abitudine di usare

l'esclamazione "Mamma d'o Carmene", proprio per indicare lo stretto legame con la

Madonna Bruna. Basilica è oggi parrocchia.

2. S. Teresa a Chiaia la prima costruzione risale al 1625, quando venne edificata la chiesetta

di Santa Teresa a Plaggie, così denominata perché vicino alla spiaggia, con annesso un

piccolo monastero di suore Teresiane Scalze. In seguito, nel 1650, per venire incontro

all’espansione del quartiere di Chiaia, si decise di ampliare il suddetto luogo di culto e il

progetto venne affidato a Cosimo Fanzago che vi lavorò fino al 1662, mentre la nuova

struttura venne consacrata due anni più tardi. Oggi è rettoria e sede di una comunità di

carmelitani scalzi.

3. Santa Teresa degli Scalzi, la chiesa iniziata nel 1604 e consacrata al culto nel 1612, è stata

voluta dai Carmelitani Scalzi principalmente grazie alle offerte raccolte da Pietro della Madre

di Dio, predicatore carmelitano spagnolo e seguace di Santa Teresa d'Avila. A seguito della

soppressione degli ordini religiosi, l'originario altare maggiore realizzato da Dionisio Lazzari

fu trasferito nel 1808, per il suo splendore e la sua preziosità, nella Cappella Reale del

Palazzo Reale di Napoli, dove tuttora si trova. La chiesa è stata lasciata alla diocesi alla fine

degli anni ’90 del XX secolo.

4. Gli agostinianiLa presenza degli Agostiniani è documentata prima del 1259, quando viene loro concesso il mo-

nastero femminile di S. Vincenzo “de vico Falcone”, che diventerà il convento di S. Agostino alla Zecca,

anch'esso destinato a diventare un importantissimo punto di riferimento nella vita religiosa, sociale e

politica della città. In realtà anche la collocazione degli Agostiniani nel tessuto urbanistico di Napoli ha

un carattere strategico, se si considera che il loro convento sorgeva a ridosso delle mura sud-orientali della

città, vale a dire proprio sulla direttrice di espansione urbana che darà un volto nuovo alla città in età an-

gioina e che sarà costituito dall'aggiunta al reticolo urbano di impianto ippodameo, formatosi in età

greco-romana, di un grande quartiere a vocazione commerciale e artigianale, caratterizzato da una rete

intricata di strade e vicoli. Si trattava di un tessuto urbano destinato ad essere sconvolto dal Risanamento

agli inizi del Novecento con l'apertura del corso Umberto I, che sembra segnare uno stacco netto tra le

aree poste a nord e a sud di esso. Attraverso di essi si vede chiaramente come il convento degli 29 QUAGLIARELLA, pp. 160-163.

21

Page 22: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

Agostiniani fosse strategicamente inserito, ai confini dell'opera di animazione religiosa, sia nel cuore

antico della Napoli popolare sia nella direttrice dell'espansione urbanistica dei ceti produttivi. Gli

Agostiniani fonderanno nel corso del Trecento un secondo convento ubicato nella zona delle mura

orientale, il convento di S. Giovanni a Carbonara, destinato anch'esso a trovarsi al centro di complesse

dinamiche politico-dinastiche, urbanistiche e religiose30.

L'inserimento degli Agostiniani in Terra di Lavoro prende avvio nel 1271 da Napoli, la città

che si è ormai configurata come il principi di riferimento della regione. Prosegue poi a passi

piuttosto lenti e con modalità che sembrano in più di un caso anomale rispetto degli altri Ordini

mendicanti: nei secolo XIII vengono fondati due comunità in località minori, una nel Sannio, e una

nel Cilento, Verso la fine del secolo Xlll i primi tre insediamenti campani dopo l'interruzione

imposta dal Lionese II sembrano decisi sulle scelte ormai consolidate presso i Mendicanti: Capua

(1301) e Napoli (1309) si affiancano all'importante centro napoletano, dove gli Angioini pongono la

loro sede, a completamento della presenza stabile di cui i mendicanti nelle più significative e vivaci

città della Campania. A questo punto risulta chiaro che gli Agostiniani, ultimi arrivati, non restava

che sistemarsi in centri alternativi. A Napoli proprio esserci posto per tutti: la città partenopea

appare ormai veramente il centro irradiatore dei movimenti, anche religiosi, che si svilupperanno

nell'intera regione. Quando arrivano i Carmelitani e gli Agostiniani, i francescani hanno già almeno

tre insediamenti cui se ne aggiungeranno in seguito altri quattro e due i Domenicani. Mentre la

ripresa Carmelitani rimane limitata ai due insediamenti di Napoli mentre gli Agostiniani si

diramano da Napoli nel Sannio e nel Cilento. Dalla linea degli anni Venti fino a ben oltre la metà

del secolo XIV si rileva un'altra battuta d'arresto nella diffusione dei mendicanti in Terra di Lavoro,

con l'eccezione della fondazione di una sede a Sorrento da parte degli Agostiniani31.

Il centro propulsore degli agostiniani a Napoli è il complesso di Sant'Agostino alla Zecca, la

cui chiesa è bella e ricca di arte e di storia. La struttura religiosa fu iniziata da Carlo I d'Angiò, ma

venne completata grazie a Roberto d'Angiò nel 1287, per volere dell'ordine degli Eremitani su di un

precedente convento di monache basiliane. Ospitò fin dal 1287 lo Studio generale dell'Ordine

Agostiniano e fu Ferrante di Aragona, nel '400, a inglobarla nelle mura della città. Non è stata

fortunata, subì già un terremoto nel 1456. Venne riedificata in stile rinascimentale dopo il terremoto

del 1456 e rifatta tra il XVII secolo e il XVIII secolo da Bartolomeo Picchiatti, Francesco Antonio

Picchiatti, Giuseppe de Vita e Giuseppe Astarita. L'interno è composto da tre vaste navate, essa è

entrata nelle cronache del presepio perché a metà '400 Simone de Jadena vi realizzò una Natività a

figure staccate, purtroppo perduta. Ciò che è sopravvissuto alla furia della natura e all'avidità o

30 V, RUSSO, Sant'Agostino Maggiore. Storia e conservazione di un'architettura eremitana a Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, napoli 2002, pp. 19-36.31 Ibidem.

22

Page 23: F Autiero... · Web viewDizionario degli Istituti di Perfezione, V, a cura di G. Pelliccia – G. Rocca, Ed. Paoline, Roma 1978, pp. 1163-1167.. L’insediamento e lo sviluppo dei

all'insipienza degli uomini basta comunque a catalogarla tra i capolavori della città. Qualche

esempio. La tomba di Dionigi dei Roberti, teologo e diplomatico caro a Roberto d'Angiò e amico di

Boccaccio, morto nel 1342. E quella di Nicolo Jommelli, tra i grandi della musica napoletana del

'700. I dipinti di Giacinto Diano detto 'O Puzzulaniello perché nato a Pozzuoli; quelli di Evangelista

Schiano e molti altri valorosi artisti. Le statue, soprattutto dì stucco, di Giuseppe Sammartino, tra

cui un gruppo del 1761 in cui è raffigurato Sant'Agostino che calpesta l'Eresia, avendo la Fede e la

Carità ai lati. E poi l'atmosfera dovuta a certi teschi, a certi macabri fregi che dà la sensazione di

essere arrivati fino alle soglie delle tenebre32.

Il primo progettò il campanile, ridecorò il chiostro insieme a Francesco Antonio e l'ampia

navata centrale; del de Vita è la crociera e dell'Astarita è la singolare soluzione della cupola che si

trasforma in calotta absidale. Le istituzioni fanno fatica a salvaguardare l'immenso patrimonio

artistico napoletano e molte chiese come la basilica in questione, sono avvolte nell'assoluto

degrado; da quanto pervenuto, possiamo citare l'alto campanile che fa da cornice alla facciata, gli

affreschi nella sagrestia e il chiostro a pianta quadrata circondato da sedici colonne. Il Chiostro di

Sant'Agostino alla Zecca è un chiostro monumentale di Napoli ubicato in via Sant'Agostino alla

Zecca, presso l'omonima basilica. Durante la prima metà del XVII secolo fu completamente

trasformato su progetto di Bartolomeo Picchiatti e Francesco Antonio Picchiatti, su commissione

degli Agostiniani, secondo i canoni del barocco napoletano. Il progetto prevedeva due chiostri, di

cui uno a pianta quadrata, tutt'oggi esistente, delimitato da sedici colonne tuscaniche in marmo con

pilastri angolari della stessa pietra; tutto era collocato su piedistalli distanziati dalla balaustra in

marmo. Le colonne sorreggono archi e il cornicione in piperno; sul cornicione sono incisi alcuni

oggetti sacri, mentre nei peducci degli archi sono scolpiti i principali santi eremitani. Al centro vi

sono un giardino e un pozzo. Il secondo chiostro, quello meridionale fu demolito durante la

costruzione di corso Umberto I, nel cosiddetto Risanamento successivo al colera del 188633.

La chiesa è stata chiusa a causa dei danni subiti durante il terremoto del 1980 e non è ancora

stata riaperta versando tuttora in un grave stato di abbandono e degrado. A causa della lentezza dei

lavori di ristrutturazione, parecchie delle sue opere sono sconosciute, mentre altre sono state rubate,

trasferite o perdute.

32 C. CAIAZZO, Gli Agostiniani a Napoli: nella tradizione e nella storia, Tip. Picone, Napoli 1936, pp. 41-68.33 Ibidem

23