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Euròpa (gr. EôrÒpg, lat. Europa). – Parte occidentale del continente eurasiatico, delimitata a O dall’Oceano Atlantico, a N dal Mar Glaciale Artico, a S dal Mar Mediterraneo; tutt’altro che ben definiti sono invece i suoi limiti orientali, per i quali v. più avanti. ƒTAV. Nome e individuazione. – In origine il nome greco designò un territorio ristretto, forse la regione a N dell’Egeo, ma già i geografi ionici chiamavano E. tutta la terra conosciuta a N del Mediterraneo, cui fu dato in seguito per confine verso E il Tanai (Don), che rimase tale per tutto il Medioevo. Nella riforma amministrativa dell’Impero romano operata da Diocleziano, E. fu il nome di una delle quattro province in cui fu divisa la diocesi di Tracia; vi era compresa tutta la zona costiera (e parte dell’entroterra) a N del Mar di Marmara. Per tutto questo tempo prevalse l’idea che l’E. fosse un continente, separato dall’Asia per la presenza di una zona istmica. Più tardi il nome si estese progressivamente verso levante, a comprendere i territorî abitati dagli Slavi orientali (Ucraina, Bielorussia, buona parte della Russia). Il problema di una più esatta delimitazione dell’E. verso E si pose a partire dal Cinquecento e si fece più pressante con la nascita della geografia moderna. A partire dal secolo 18 si assume quale confine tra E. e Asia la catena degli Urali: una scelta che ha avuto grande fortuna nella manualistica della geografia descrittiva e che viene abitualmente seguita ancor oggi. Invero tale scelta è tutt’altro che soddisfacente per diversi motivi: 1) la catena uralica, assai lunga ma poco elevata, non costituisce in alcun modo una barriera, e non ha alcun significato politico, economico e culturale, essendosi l’organizzazione territoriale russa prima e sovietica poi estesa ben al di là di essa, determinando fra l’altro flussi e relazioni intense in senso O-E; 2) i paesaggi, naturali e umani, si ripetono pressoché identici ai due lati della catena; 3) gli Urali, in ogni caso, sono un limite incompleto, poiché terminano alla latitudine di circa 50 N e più a S nessun elemento fisico può essere ragionevolmente assunto quale limite dell’E., com’è provato dal fatto che come confine con l’Asia centrale alcuni scelgono il fiume Ural e altri il f. Emba, e come confine con l’Asia meridionale alcuni preferiscono la catena caucasica e altri una depressione che corre più a N, lasciando integralmente all’Asia tale catena. In realtà, nessun criterio fondato su elementi esclusivamente fisici è soddisfacente, perché l’E. può essere individuata soltanto come area culturale, per i caratteri e i comportamenti della popolazione. È per questo che l’idea stessa dell’E. è venuta modificandosi nel tempo, ampliandone e restringendone il territorio secondo le contingenze storiche: per esempio, il lungo dominio turco su gran parte della Penisola Balcanica ha sottratto per secoli alla sfera europea questa regione, compresa la Grecia, cioè proprio quel paese da cui due millennî e mezzo or sono nacquero i germi della civiltà da cui l’E. è caratterizzata. Nell’impossibilità di definire con esattezza il limite dell’E. verso E, ma, al tempo stesso, nella necessità di darne una descrizione territoriale, in questa sede si esclude il territorio di influenza slavo- orientale. Con questa scelta non si vuol certo escludere che Ucraina, Bielorussia, Moldavia e ampie aree della Russia abbiano caratteri europei e siano entrate a pieno titolo nella storia d’E.; ma si ritiene più utile rinviare, per una trattazione più efficace, alle relative voci (comunque quei paesi sono riportati per memoria nel prospetto riassuntivo). Accettare tale punto di vista, poi, non è senza significato sotto il profilo geografico- fisico: infatti, amputata dei territorî suddetti, l’E. risulta piuttosto ben distinta nell’ambito dell’Eurasia: essa si protende da quel continente verso NO come una grossa penisola, a sua volta articolata in numerose penisole minori e isole, penetrata da mari dipendenti dall’Atlantico, interessata da climi marittimi o per lo meno influenzati dal mare. ƒEntro questi limiti l’E. copre circa 4.950.000 km 2 , appena il 3,3% delle terre emerse, ospitando, però, quasi 500 milioni di ab., il 10% della popolazione mondiale. Delle isole artiche vengono ascritte all’E. quelle norvegesi (Jan Mayen, Svalbard); di quelle atlantiche, oltre ovviamente alle Isole Britanniche, sono considerate europee l’Islanda e le Azzorre; di quelle mediterranee viene esclusa – e considerata asiatica – Cipro. GEOLOGIA E GEOGRAFIA FISICA Geologia. – La struttura geologica dell’E. è molto complessa ed è il risultato delle interazioni che l’E. ha avuto con altre masse continentali secondo i meccanismi, oggi largamente accettati, della teoria della tettonica a zolle. Le ricostruzioni della paleogeografia europea risultano abbastanza dettagliate per ciò che riguarda gli ultimi 200 milioni di anni, mentre per i periodi precedenti esse sono alquanto incerte e, in qualche caso, addirittura arbitrarie; ciò nonostante, la serie cronologica dei terreni risulta completa, dalle età più antiche a quelle più recenti della storia della Terra. Il nucleo più antico dell’E. (Precambriano), corrispondente allo scudo canadese dell’America Settentrionale, è lo scudo baltico, formato da scisti cristallini e rocce granitoidi che, mentre affiorano nella Svezia e in Finlandia, formano la base della sterminata piattaforma russa, rimasta indenne dai movimenti orogenici. Lo scudo baltico, viceversa, presenta una struttura molto complessa a causa delle diverse fasi orogeniche in cui è stato coinvolto. In E. terreni precambriani affiorano anche a ovest dello scudo baltico, in particolare nella Scozia settentrionale e lungo le coste atlantiche della Norvegia, nonché in residui sparsi in altre parti del continente, mentre sulle Alpi e nel Massiccio Centrale francese il Precambriano non è documentato con sicurezza. Nel Paleozoico, tra il Cambriano e il Siluriano, la paleogeografia terrestre era caratterizzata dalla presenza di almeno sei masse continentali separate da bacini oceanici e/o da mari poco profondi: Gondwana (America Meridionale, Europa meridionale, Africa, Arabia, India, Australia, Madagascar, Nuova Zelanda e Antartide); Laurentia (America Settentrionale e Groenlandia); Baltica (Russia e gran parte dell’Europa settentrionale); Kazakhstania (Asia centrale); Cina (Cina e Malaysia); Siberia. Al passaggio Siluriano-Devoniano la paleogeografia europea subì notevoli cambiamenti: la collisione tra i due

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Euròpa (gr. EôrÒpg, lat. Europa). – Parte occidentale del continente eurasiatico, delimitata a O dall’OceanoAtlantico, a N dal Mar Glaciale Artico, a S dal Mar Mediterraneo; tutt’altro che ben definiti sono invece i suoilimiti orientali, per i quali v. più avanti. ƒ TAV.Nome e individuazione. – In origine il nome greco designò un territorio ristretto, forse la regione a N dell’Egeo,ma già i geografi ionici chiamavano E. tutta la terra conosciuta a N del Mediterraneo, cui fu dato in seguito perconfine verso E il Tanai (Don), che rimase tale per tutto il Medioevo. Nella riforma amministrativadell’Impero romano operata da Diocleziano, E. fu il nome di una delle quattro province in cui fu divisa ladiocesi di Tracia; vi era compresa tutta la zona costiera (e parte dell’entroterra) a N del Mar di Marmara. Pertutto questo tempo prevalse l’idea che l’E. fosse un continente, separato dall’Asia per la presenza di una zonaistmica. Più tardi il nome si estese progressivamente verso levante, a comprendere i territorî abitati dagli Slaviorientali (Ucraina, Bielorussia, buona parte della Russia). Il problema di una più esatta delimitazione dell’E.verso E si pose a partire dal Cinquecento e si fece più pressante con la nascita della geografia moderna. Apartire dal secolo 18 si assume quale confine tra E. e Asia la catena degli Urali: una scelta che ha avuto grandefortuna nella manualistica della geografia descrittiva e che viene abitualmente seguita ancor oggi. Invero talescelta è tutt’altro che soddisfacente per diversi motivi: 1) la catena uralica, assai lunga ma poco elevata, noncostituisce in alcun modo una barriera, e non ha alcun significato politico, economico e culturale, essendosil’organizzazione territoriale russa prima e sovietica poi estesa ben al di là di essa, determinando fra l’altro flussie relazioni intense in senso O-E; 2) i paesaggi, naturali e umani, si ripetono pressoché identici ai due lati dellacatena; 3) gli Urali, in ogni caso, sono un limite incompleto, poiché terminano alla latitudine di circa 50 N epiù a S nessun elemento fisico può essere ragionevolmente assunto quale limite dell’E., com’è provato dal fattoche come confine con l’Asia centrale alcuni scelgono il fiume Ural e altri il f. Emba, e come confine con l’Asiameridionale alcuni preferiscono la catena caucasica e altri una depressione che corre più a N, lasciandointegralmente all’Asia tale catena. In realtà, nessun criterio fondato su elementi esclusivamente fisici èsoddisfacente, perché l’E. può essere individuata soltanto come area culturale, per i caratteri e icomportamenti della popolazione. È per questo che l’idea stessa dell’E. è venuta modificandosi nel tempo,ampliandone e restringendone il territorio secondo le contingenze storiche: per esempio, il lungo dominioturco su gran parte della Penisola Balcanica ha sottratto per secoli alla sfera europea questa regione, compresala Grecia, cioè proprio quel paese da cui due millennî e mezzo or sono nacquero i germi della civiltà da cui l’E.è caratterizzata. Nell’impossibilità di definire con esattezza il limite dell’E. verso E, ma, al tempo stesso, nellanecessità di darne una descrizione territoriale, in questa sede si esclude il territorio di influenza slavo-orientale. Con questa scelta non si vuol certo escludere che Ucraina, Bielorussia, Moldavia e ampie aree dellaRussia abbiano caratteri europei e siano entrate a pieno titolo nella storia d’E.; ma si ritiene più utile rinviare,per una trattazione più efficace, alle relative voci (comunque quei paesi sono riportati per memoria nelprospetto riassuntivo). Accettare tale punto di vista, poi, non è senza significato sotto il profilo geografico-fisico: infatti, amputata dei territorî suddetti, l’E. risulta piuttosto ben distinta nell’ambito dell’Eurasia: essa siprotende da quel continente verso NO come una grossa penisola, a sua volta articolata in numerose penisoleminori e isole, penetrata da mari dipendenti dall’Atlantico, interessata da climi marittimi o per lo menoinfluenzati dal mare. ƒ Entro questi limiti l’E. copre circa 4.950.000 km2, appena il 3,3% delle terre emerse,ospitando, però, quasi 500 milioni di ab., il 10% della popolazione mondiale. Delle isole artiche vengonoascritte all’E. quelle norvegesi (Jan Mayen, Svalbard); di quelle atlantiche, oltre ovviamente alle IsoleBritanniche, sono considerate europee l’Islanda e le Azzorre; di quelle mediterranee viene esclusa – econsiderata asiatica – Cipro.

GEOLOGIA E GEOGRAFIA FISICA

Geologia. – La struttura geologica dell’E. è molto complessa ed è il risultato delle interazioni che l’E. ha avutocon altre masse continentali secondo i meccanismi, oggi largamente accettati, della teoria della tettonica azolle. Le ricostruzioni della paleogeografia europea risultano abbastanza dettagliate per ciò che riguarda gliultimi 200 milioni di anni, mentre per i periodi precedenti esse sono alquanto incerte e, in qualche caso,addirittura arbitrarie; ciò nonostante, la serie cronologica dei terreni risulta completa, dalle età più antiche aquelle più recenti della storia della Terra. Il nucleo più antico dell’E. (Precambriano), corrispondente alloscudo canadese dell’America Settentrionale, è lo scudo baltico, formato da scisti cristallini e rocce granitoidiche, mentre affiorano nella Svezia e in Finlandia, formano la base della sterminata piattaforma russa, rimastaindenne dai movimenti orogenici. Lo scudo baltico, viceversa, presenta una struttura molto complessa a causadelle diverse fasi orogeniche in cui è stato coinvolto. In E. terreni precambriani affiorano anche a ovest delloscudo baltico, in particolare nella Scozia settentrionale e lungo le coste atlantiche della Norvegia, nonché inresidui sparsi in altre parti del continente, mentre sulle Alpi e nel Massiccio Centrale francese il Precambrianonon è documentato con sicurezza. Nel Paleozoico, tra il Cambriano e il Siluriano, la paleogeografia terrestreera caratterizzata dalla presenza di almeno sei masse continentali separate da bacini oceanici e/o da mari pocoprofondi: Gondwana (America Meridionale, Europa meridionale, Africa, Arabia, India, Australia,Madagascar, Nuova Zelanda e Antartide); Laurentia (America Settentrionale e Groenlandia); Baltica (Russia egran parte dell’Europa settentrionale); Kazakhstania (Asia centrale); Cina (Cina e Malaysia); Siberia. Alpassaggio Siluriano-Devoniano la paleogeografia europea subì notevoli cambiamenti: la collisione tra i due

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continenti Laurentia e Baltica dette luogo alla fascia orogenica caledoniana-appalachiana; si andò così acostituire un’unica massa continentale (Laurussia) sulla quale una catena montuosa decorrente da SO a NE eraestesa dall’Irlanda, per l’Inghilterra e la Scozia, fino alla Norvegia. Nel Devoniano medio e nel Carboniferoinferiore (370• 340 milioni di anni fa) la paleogeografia terrestre era caratterizzata da cinque grosse massecontinentali: Gondwana, Laurussia, Kazakhstania, Cina e Siberia. Gondwana era separata dagli altricontinenti attraverso una ampia fascia oceanica denominata Oceano medio Europeo o Oceano Reico. Sul bordoorientale del Laurussia si estendeva invece l’Oceano Uraliano o Pleionico. Nel Carbonifero inferiore, quindi, sugran parte dell’Europa si estendeva un dominio marino; i lineamenti di questa fascia oceanica dovevano peròmodificarsi durante questo periodo, poiché solo nella regione mediterranea europea rimase un ambientefrancamente marino, mentre nell’Europa occidentale erano presenti prevalentemente ambienti continentali eparalici. Un clima caldo-umido, l’abbondanza di vegetazione e soprattutto le ripetute fasi di sommersione persubsidenza cui furono soggetti gli ambienti costiero-lagunari dettero luogo agli estesi depositi di carbone checaratterizzano questo periodo geologico. Alla fine del Carbonifero e agli esordî del Permiano, i movimenti dideriva delle masse continentali, già iniziati precedentemente, portarono alla collisione tra i diversi blocchicrostali, dando luogo all’orogenesi ercinica, che in Europa innalzava, a sud della precedente fascia orogenicacaledoniana, due nuove catene: l’armoricana, estesa da NO a SE, che dall’Irlanda e dall’Inghilterrameridionale si continua nella Bretagna (Armorica) e nel Massiccio Centrale francese fino alle Cevenne, e lavarisca, che dall’altopiano francese – per i Vosgi, la Selva Nera, la Selva di Turingia, lo Harz e la Boemia –giunge fino ai Sudeti. Le stesse fasi collisionali portarono inoltre alla formazione della catena degli Urali.Intrusioni granitiche e vulcanismo accompagnarono nella fase finale l’attività orogenica; nella regione alpina,rocce plutoniche formate durante questo periodo costituiscono i massicci cristallini dell’Argentera, delPelvoux, del M. Bianco e dell’Aar-Gottardo. Alla fine del Paleozoico, circa 250 milioni di anni fa, si era cosìcostituito un unico supercontinente (Pangea), circondato da un unico e vastissimo oceano denominatoPantalassa (Oceano Pacifico primordiale). Un braccio di mare (Tetide) orientato circa E-O e limitato adoccidente dalle masse continentali, separava la parte centro-settentrionale del Pangea denominata Laurasia (dicui faceva parte l’Europa), da quella centro-meridionale, denominata Terra di Gondwana (di cui faceva partel’Africa). La Tetide si sarebbe realizzata attraverso sistemi di fratture orizzontali localizzate nell’attuale areamediterranea, lungo le quali l’Africa e l’Europa si sarebbero mosse tra la fine dell’orogenesi ercinica e ilTriassico superiore, portando a una frammentazione delle catene erciniche e all’individuazione di una serie dipiccole zolle crostali. Nel Mesozoico, a partire dal Triassico (230 milioni di anni fa), sistemi di fratturedistensive associate a magmatismo basaltico portarono a una scissione del Pangea, all’inizio della aperturadell’Oceano Atlantico e alla separazione dei continenti boreali (Laurasia) da quelli australi (Terra diGondwana), con espansione dell’Oceano Tetideo. In tutta l’Europa centrale le aree continentali venneroinvase dal mare e i massicci ercinici furono ricoperti discordantemente da terreni mesozoici. Nel Giurassicosuperiore si ebbe la massima espansione della Tetide, con lo sviluppo di veri e proprî fondi oceanici, mentrenel Cretacico inferiore iniziarono i movimenti di deriva, con convergenza tra Africa ed Europa, che portarono,a partire dal Cretacico superiore, alla chiusura dell’Oceano Tetideo, alla collisione delle due masse continentalie quindi alla orogenesi alpina (Paleogene e Neogene). Tracce di quell’oceano sono oggi rappresentate da roccedi natura ofiolitica, considerate porzioni di vecchia crosta oceanica, inglobate nelle catene montuose corrugate.Nelle Alpi, esse sono incluse nei calcescisti del Piemonte. In questo periodo si formarono o si completarono iBalcani, le Alpi Transilvaniche, i Carpazî, le Alpi, le Dinaridi, il Giura, l’Appennino, i Pirenei e la CordiglieraBetica. L’orogenesi fu accompagnata da un intenso risveglio dell’attività vulcanica e plutonica: nelle Alpi siformarono i plutoni di Traversella, dell’Adamello, della Val Masino e della Val Bregaglia. Risalgono aquest’epoca la formazione dell’Islanda, i basalti della Scozia e dell’Irlanda, gli apparati vulcanici dell’Eifel,dell’Alvernia, della Boemia, della Sardegna, come pure quelli degli Euganei e dei Berici. Nel Quaternariol’Europa venne assumendo la configurazione attuale, in seguito a diversi fenomeni di natura climatica egeologica di cui restano ancora tracce ben visibili: nelle regioni montuose i ghiacciai modellarono i rilievi e levalli grazie alla loro azione erosiva e all’accumulo di vaste quantità di depositi glaciali, fluvioglaciali eperiglaciali. Il clima e le variazioni glacio-eustatiche del livello del mare portarono ad alterne fasi dialluvionamento e di incisione delle valli fluviali, con formazione di terrazzi, mentre nelle regioni costiere lecontinue emersioni e sommersioni cambiarono il contorno dei continenti, determinando così periodi dicollegamenti tra isole e aree continentali.Lineamenti morfologici. – In E. si riconoscono almeno quattro grandi regioni morfologiche. La prima è laFennoscandia (Finlandia e Scandinavia, ad eccezione della Scania). Mentre la piattaforma che circonda ilBaltico non ha subito altri corrugamenti, la parte occid. della Scandinavia fu influenzata dai corrugamenticaledoniani. Le glaciazioni recenti hanno poi impresso i lineamenti essenziali alla Fennoscandia. Netto, inparticolare, è il contrasto tra le aree elevate, residuo delle antiche superfici di spianamento, e le valli glaciali,occupate dai fiordi. Alle glaciazioni si devono anche la grande ricchezza di laghi e l’irregolarità della reteidrografica, che presenta caratteri giovanili. La seconda regione è il grande Bassopiano Franco-germanico-polacco, in massima parte di origine alluvionale. La terza è la regione delle montagne medie centro-occidentali cheabbraccia buona parte delle Is. Britanniche, della Francia (alpina e pirenaica), della Germania. I rilievi checostituiscono queste regioni rappresentano i residui di sistemi montuosi di epoche geologiche diverse, rotti dafratture e da sprofondamenti in lembi isolati, demoliti e spianati in lunghi periodi di emersione. Si possono

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riconoscere i resti dei rilievi caledoniani (Scozia, Galles, Inghilterra settentrionale, parte dell’Irlanda), cheappaiono con forme di media montagna, separati da fratture e da fosse sui margini delle quali si riscontranoeffusioni basaltiche, e dei rilievi ercinici, sia armoricani (Irlanda meridionale, Cornovaglia, Inghilterrameridionale, Ardenne e poi rilievi della Bretagna, della Normandia e del Massiccio Centrale) sia varisci(Massiccio Scistoso Renano, Vosgi, Selva Nera, Harz, Giura Franco-Svevo, Monti Metalliferi, MassiccioBoemo). Interposti tra gli antichi rilievi esistono bacini depressi (come quelli di Parigi e di Londra in seno airilievi armoricani) che sono stati colmati da materiali più recenti ceno- e neozoici. Questi rilievi si presentanoora, dopo essere stati intensamente spianati, come massicci o gruppi isolati, con forme morbide, cupoleggiantio tabulari, di modesta altezza (1500• 1800 m), separati da bacini depressi e affiancati a N da estesi bassopiani.La regione delle catene giovani mediterranee è la parte più recente dell’E., l’unica nella quale s’incontrano deisistemi di catene a pieghe (Cordigliera Betica, Pirenei, Alpi, Appennino, Carpazî, Balcani, ecc.). Essa èseparata dalle montagne medie da una successione di solchi, che costituisce una specie di corridoio naturale digrande importanza anche dal punto di vista delle comunicazioni. Le catene mediterranee sono state originateda corrugamenti avvenuti nel Terziario medio, che con poderose spinte hanno ripiegato, contro i pilastrimontuosi dell’Europa centrale, i sedimenti di un’ampia area marina, dando origine a imponenti archimontuosi. Più tardi una serie di distensioni ha interrotto la continuità delle catene, determinando laformazione di conche e di bacini interni. Iniziato il processo di spianamento, sono sopravvenuti nuovisollevamenti, che hanno ringiovanito sia il rilievo (con forme d’alta montagna), sia l’idrografia. Inglobati inseno ai ripiegamenti terziarî sono restati dei lembi di terre preesistenti più antiche, come il massicciotracomacedone e la Meseta spagnola. Tipici bacini di distensione sono l’Andalusia, il bacino dell’Ebro, ilTirreno, l’Egeo, il bacino pannonico, ai margini dei quali si riscontrano spesso manifestazioni vulcaniche. ƒ Lecoste europee (38.000 km) presentano grande varietà di aspetti. Nel determinarne la morfologia e il carattereattuale ha avuto notevole importanza una sommersione recente, che ha causato l’invasione del mare in lembipiù o meno estesi della piattaforma continentale. Nelle regioni settentrionali e di NO, che subirono l’influenzadella glaciazione, si hanno coste a fiordi e a skiär, i primi formanti insenature in coste alte e ripide (Norvegia eScozia), i secondi dove si affacciano al mare tavolati e pianure (Finlandia e Svezia) con aspetti particolaridovuti alle recenti oscillazioni positive del mare; a queste ultime è legato anche il tipo di coste a rías (Irlanda,Bretagna, Spagna di NO), dovuto alla sommersione dell’estremità di alcune valli fluviali, in zone non soggettea glaciazioni. Nel Mediterraneo sono più frequenti le coste a festoni, caratterizzate da capi o promontorîsporgenti, tra i quali s’interpongono pianure più o meno estese. I valloni della Dalmazia sono invece bassure(valli longitudinali o sinclinali, modificate dal carsismo) invase dal mare. Caratteristiche del Mar Nero sono leacquitrinose coste a liman.Aspetti bioclimatici. – Le latitudini estreme d’E., escludendone le isole artiche, sono a 35 e a 71 N, e perciòessa è pressoché totalmente compresa nella zona astronomica temperata dell’emisfero settentrionale; oltre allesuddette isole, solo un’esigua parte della Fennoscandia rientra nella calotta polare artica. Tuttavia, il fattorelatitudine non manca certo di esercitare influenza climatica, evidente soprattutto nella parte più meridionaled’E. che è interessata, durante la stagione estiva, da una massa d’aria di provenienza sahariana che risente diquel serbatoio di calore che è il Mare Mediterraneo: è appunto l’E. a clima mediterraneo, con caratterisubtropicali più che propriamente temperati, con estati calde e decisamente asciutte e inverni miti emoderatamente piovosi. Peraltro, gli elementi spiccatamente mediterranei non sono presenti nell’intera E.meridionale, ma solo nelle aree più esposte al grande mare interno, quali tutte le isole, la Spagna meridionale eorientale, la Provenza, la parte peninsulare dell’Italia, la Dalmazia, la Grecia. Nel resto dell’E. il fattore piùnotevole di diversificazione climatica è dato dalla maggiore o minore influenza dell’Oceano Atlantico:influenza che arriva quasi dappertutto a causa dell’accentuata articolazione delle terre in numerose isole epenisole e della scarsità di rilievi orientati in senso N-S e quindi in grado di ostacolarne la penetrazione; laquale tuttavia, com’è ovvio, va attenuandosi man mano che si procede verso est. Così, è possibile distinguereun clima oceanico (atlantico) e un clima semicontinentale. Il primo interessa l’angolo nord-occidentale e il bordosettentrionale della Penisola Iberica, gran parte della Francia, il Belgio, i Paesi Bassi, la Germaniasettentrionale tra Reno ed Elba, la Danimarca, le Isole Britanniche, l’Islanda meridionale, un’esigua fasciaoccidentale della Scandinavia. Tutta quest’area risente in qualche modo dell’azione termoregolatricedell’oceano e del riscaldamento dovuto alla Corrente del Golfo, per cui l’escursione termica annua non è mairilevante, variando tra gli 8 • 9 C dell’Islanda e i 16 • 17 C del Bassopiano Germanico, e le temperaturemedie di gennaio si mantengono per lo più sopra 0 C; e risente altresì delle perturbazioni atlantiche, cheapportano precipitazioni piuttosto copiose (in qualche caso abbondantissime, come in certe località scozzesi,dove si superano i 4000 mm annui) e presenti un po’ in tutte le stagioni. Invece, nell’E. più interna, dovel’influenza oceanica diminuisce fin quasi ad annullarsi, l’estate diviene progressivamente più calda e l’invernopiù freddo; mentre le piogge tendono a diminuire e a concentrarsi nella stagione estiva, poiché durantel’inverno l’ingresso delle perturbazioni atlantiche è ostacolato dalla lunga persistenza di masse anticicloniche.Queste condizioni si accentuano progressivamente verso E, fino a far luogo a un clima nettamentecontinentale. Solo l’estremo lembo settentrionale della Finlandia e buona parte dell’Islanda, oltre alle isoleartiche, hanno un vero clima glaciale. ƒ L’antichità del popolamento e della pratica agricola, l’addensamentodemografico, l’urbanizzazione hanno profondamente trasformato il manto vegetale. Anche là dove non vi sonocoltivazioni, la vegetazione ha ormai composizione e aspetto notevolmente diversi da quelli originarî, con la

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sola – e parziale – eccezione della tundra, la prateria della zona a clima glaciale formata essenzialmente damuschi e licheni, anch’essa peraltro impoverita e parzialmente modificata dall’uso che ne fanno da sempre gliallevatori lapponi per il pascolo delle renne. Immediatamente a S della tundra, in Svezia e soprattutto inFinlandia, si conserva in gran parte la foresta di conifere, simile a quella che assume assai più vasteproporzioni in Russia e in Siberia; tuttavia, se la sua composizione è pressappoco quella originaria, la suafisionomia è ormai quella di un bioma trasformato da una razionale ma intensa utilizzazione. Più a S ancora,nell’E. mediana, la foresta di caducifoglie dei climi temperati, una volta dominante, si mantiene soloeccezionalmente, in limitate aree sfuggite all’agricoltura o all’urbanizzazione intensa. Sempre nell’E. mediananon esiste quasi più la steppa, che un tempo occupava alcuni spazî marcatamente continentali, come la PianuraPannonica. Le coste dell’Atlantico, del Mare del Nord e del Baltico, dove la costituzione del suolo e i fortiventi non hanno mai consentito l’insediamento della vegetazione arborea, sono coperte da brughiere. Nell’E.meridionale l’antica macchia mediterranea, bioma subtropicale formato da alberi e da arbusti sempreverdisucceduto a un’ancor più antica e più rigogliosa «foresta» mediterranea, occupa ormai solo un’esigua frazionedi quello che era il suo habitat, limitandosi ad alcune zone, più tipicamente subtropicali e meno soggette adantropizzazione massiccia. Già da molto tempo, del resto, le specie mediterranee sono state insidiate da speciecaducifoglie di ambiente temperato, un po’ per naturale competizione e in gran parte per sostituzione a operadell’uomo. ƒ L’umanizzazione dello spazio, la caccia, la trasformazione della vegetazione originaria hanno datempo drasticamente ridotto la fauna europea, che appartiene alle sottoregioni europea e mediterranea dellaregione zoogeografica paleartica. Parecchi mammiferi si sono estinti negli ultimi secoli, altri sopravvivono soloperché allevati (renna) o protetti all’interno di riserve (bisonte in Polonia, stambecco nelle Alpi). Gliartiodattili sono rappresentati pure dall’alce (regioni settentrionali, ormai raro), dal cervo, dal capriolo, daldaino, dal camoscio (montagne centro-meridionali), dal muflone (Sardegna, Corsica), dal cinghiale, oggetto dicaccia intensa, ma anche di operazioni di ripopolamento. Tra i carnivori fissipedi l’orso bianco è frequentesulle coste artiche, quello bruno sopravvive in alcune montagne centro-meridionali, i felini sono rappresentatidal gatto selvatico e da rari esemplari di lince, i canidi dalla volpe (ubiquitaria), dal lupo e dallo sciacallo (solonei Balcani); invece i mustelidi (martora, ermellino, tasso, ecc.), favoriti dalla piccola taglia, sono ancoranumerosi. Per lo stesso motivo e per la loro prolificità abbondano i roditori, alcuni in zone artiche (lemming) odi montagna (marmotta), altri in aree subtropicali (istrice), altri pressoché ubiquitarî (lepre, scoiattolo, topi),nonché gli insettivori (riccio, talpa). Frequenti sono i pipistrelli. I cetacei vanno diminuendo sia nei marifreddi (balenottere) sia in quelli caldi (capodogli, delfini); e così pure i carnivori pinnipedi (varie specie neimari settentrionali, una sola, quasi estinta, nel Mediterraneo). Una colonia di bertucce, per alcuni autoctone,per altri importate, popola la rocca di Gibilterra. L’avifauna comprende molti migratori che in autunnomuovono dalle regioni settentrionali verso il Mediterraneo e l’Africa; tra le specie stanziali i rapaci (aquile,avvoltoi, falchi) sono ancora frequenti nell’ambiente mediterraneo, i galliformi (pernice, gallo cedrone) inquello alpino. Dei rettili sono presenti, specie a S, testuggini, lucertole e ofidî (anche velenosi).Idrografia. – La modesta estensione dell’E. e la presenza di rilievi relativamente vicini al mare impediscono laformazione di grandi sistemi fluviali, fuorché nei vasti bassopiani della sezione orientale. Lo spartiacqueprincipale, che corre sui rilievi interni della Spagna, sui Pirenei e sulle montagne medio-europee (e solo inpiccola parte sulle Alpi), divide l’E. in due versanti: quello mediterraneo (che comprende anche le acque chedefluiscono nel Mar Nero) e quello atlantico (che include pure i fiumi tributarî del Mare del Nord e delBaltico), il secondo più ampio del primo e più ricco di acque. Appartengono a esso, infatti, i fiumi di buonaparte della Penisola Iberica e tutti quelli del Bassopiano Franco-germanico-polacco, tra i quali alcuni notevoliper lunghezza (Tago, Loira, Elba, Vistola), per ampiezza del bacino (Reno, Elba, Vistola), per portata (Reno,Vistola); tutti importanti per le attività umane, come dimostrano l’intenso traffico che si svolge in alcuni diessi, i numerosi insediamenti urbani nati lungo le loro rive, i grandi porti sorti in prossimità delle loro foci (perlo più a estuario). Emerge il Reno, indubbiamente il più notevole fiume europeo per l’importanza assuntacome via di comunicazione e come principale asse di sviluppo. Invece i fiumi mediterranei terminano con focia delta e sono in genere più poveri, tranne il Rodano e il Po, ai quali l’apporto delle acque di fusione nivale eglaciale delle Alpi assicura portate cospicue. Un caso del tutto particolare è quello del Danubio, il poderosofiume che percorre l’E. mediana in senso prevalentemente O-E e si getta nel Mar Nero, formando il sistemaidrografico europeo di maggiori dimensioni, superato tuttavia dal Reno per importanza antropico-economica.Per la maggior parte i fiumi europei sono alimentati esclusivamente o prevalentemente dalle piogge: ciò spiegala diversità dei loro regimi, che dipendono dai regimi pluviometrici, per cui i fiumi delle regioni a climamediterraneo hanno piene invernali e accentuate magre estive, quelli dell’E. a clima atlantico sonocaratterizzati da regime più costante, quelli dell’E. semicontinentale hanno piene primaverili. Per alcuni fiumi,però, soprattutto quelli che traggono origine dalle Alpi, i regimi diventano complessi in quanto l’alimentazioneè anche nivale e l’acqua di fusione delle nevi tende ad accentuare le piene primaverili. ƒ Quanto ai laghi, le areepiù ricche sono quelle già interessate dal glacialismo pleistocenico: la circumbaltica e l’alpina. La Finlandia hacirca il 10% del territorio occupato da laghi, e poco meno la Svezia (che ospita il maggiore lago europeo, ilVänern).

ANTROPOLOGIA E GEOGRAFIA UMANA

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Paletnologia e antropologia. – La paletnologia dell’E. appare notevolmente complessa, anche alla luce dellaframmentarietà dei ritrovamenti e delle ripetute modificazioni climatiche (stadî glaciali e interglaciali) eambientali. Le prime testimonianze della presenza dell’Uomo (forse Homo erectus), limitate all’E. meridionale,risalgono al Pleistocene inferiore (1,6• 0,7 milioni di anni fa); sebbene siano parecchi i siti in grotta e all’apertoe le industrie ritrovate, sempre primitive e talora impoverite rispetto a quelle dell’Olduvaiano, costituite dachoppers, chopping-tools, poliedri, schegge a ritocchi minuti e da rari e assai grezzi bifacciali (Chilhac,Roussillon, Vallonnet, Soleilhac in Francia; Sandalja in Iugoslavia; Isernia in Italia), nessun resto umano èfinora conosciuto. È solo nell’Acheuleano antico (700.000• 400.000 anni fa) che i ritrovamenti divengono piùfrequenti anche nell’E. settentrionale, in corrispondenza agli stadî interglaciali, e le industrie più varie,testimoniando la presenza di gruppi culturali ben individualizzati, un’organizzazione sociale più evoluta,l’abilità nella caccia e l’acquisizione della nozione di simmetria: accanto alle industrie arcaiche compaiono iprimi strumenti a simmetria bilaterale e bifacciale. Tra i resti più antichi in E., riferiti a Homo erectus, si citanol’«uomo di Heidelberg» (650.000 anni fa) e i ritrovamenti di Tautavel, in Francia, e di Azych, nell’Azerbaigian.Circa 350.000 anni fa il fuoco diviene un elemento integrato nell’universo umano (Terra Amata, pressoNizza). Nell’Acheuleano superiore (300.000• 100.000 anni fa), all’inizio del Riss, si diffonde la tecnica didistacco levalloisiana nella lavorazione della pietra: accanto alle culture acheuleane si sviluppano faciesregionali (Clactoniano, Tayaziano, Premusteriano). Gli abitati si evolvono e compaiono le prime struttureinterne. I resti umani di questo periodo sono caratterizzati da notevole polimorfismo. Tra 100.000 e 35.000anni fa i Neandertaliani, portatori della cultura musteriana (Charentiano, Musteriano tipico, denticolato e ditradizione acheuleana), conquistano le zone temperate e fredde. L’economia resta basata sulla caccia e sullaraccolta, ma i generi di vita documentano una maggior sedentarietà. Durante l’ultimo interstadio wurmiano sipassa dal Paleolitico medio al superiore e compaiono i primi umani morfologicamente e culturalmentemoderni d’E. (H. sapiens sapiens). In quest’epoca, suddivisa in complessi diversi (Castelperroniano,Uluzziano, Aurignaziano, Solutreano, Maddaleniano, ecc.), caratterizzati da enormi innovazioni tecnologiche,sociali, culturali e artistiche, e ancor più nel successivo Neolitico, si nota un marcato rinnovamento razziale,sia per effetto di migrazioni sia per l’inizio dell’evoluzione locale di razze e sottorazze, con formazione diaggregati umani tuttora esistenti. Le razze attuali d’E. appartengono quasi tutte agli Europoidi (secondo R.Biasutti), comprendenti ceppi di Preeuropidi, Europidi e Lappidi; ne segue una certa uniformità morfologica.Le razze degli Europidi sono: la mediterranea (penisola iberica e italica, Grecia e in genere tutte le zonebagnate dal Mediterraneo); la nordica (Isole Britanniche, gran parte della Scandinavia, Paesi Bassi, Belgio,Francia settentr., ecc.); alpina (parte della Francia e della Germania, paesi alpini, parte della Romania); baltica(massima parte dell’E. orient.); adriatica (parte dei paesi balcanici). Ai Lappidi appartiene la razza lappone(estremo nord); ai Preeuropidi quella uralica (E. più orient.).Distribuzione e insediamento della popolazione. – Secondo stime del 1990, l’E. conta circa 500 milioni di ab.; ladensità, poco più di 100 ab. per km2, è pressappoco uguale a quella dell’Asia (Siberia esclusa) e nettamentesuperiore a quella delle altre parti del mondo. Mancano dati attendibili sulla popolazione europea prima delsec. 17 . Le stime dei demografi storici indicano per l’inizio dell’era volgare 30• 35 milioni di unità. Diminuitain età tardo-romana e nell’alto Medioevo, fin quasi a dimezzarsi nel 7 sec., in seguito la popolazione tornò acrescere lentamente, superando di nuovo i 30 milioni di unità intorno al 1000 e i 60 nella prima metà delTrecento, per poi calare ancora a causa di ricorrenti pestilenze. Dal sec. 15 l’aumento riprese, prima lento,poi veloce, vertiginoso da metà Settecento a metà Novecento: i circa 100 milioni di Europei dell’inizio del sec.18 erano divenuti 300 milioni nel 1900. Dunque, alla popolazione d’E., che aveva impiegato 1700 anni pertriplicarsi, sono bastati due secoli per triplicarsi una seconda volta. Il rapido aumento dal sec. 18 in poi è inchiaro rapporto con la rivoluzione industriale e i conseguenti miglioramenti sociali, com’è provato dal fatto chetra il 1750 e il 1850, quando l’industrializzazione era decollata in Inghilterra e interessava poco gli altri paesi,la popolazione inglese è cresciuta molto più delle altre. A tale aumento ha in seguito contribuito il calo dimortalità dovuto al progresso degli studî immunologici e all’uso di antibiotici. Il notevolissimo incrementodell’età contemporanea sarebbe stato ancor maggiore senza l’intensa emigrazione, soprattutto verso leAmeriche, di decine di milioni di Europei. Manifestatasi già subito dopo la scoperta dell’America, essadivenne molto cospicua nel sec. 19 , favorita dal malcontento politico seguito alla Restaurazione, da crisiagricole, dall’apertura delle frontiere degli stati neoindipendenti dell’America Latina. Nei cento anni intercorsitra il Congresso di Vienna e la seconda guerra mondiale l’E. ha perduto poco meno di una cinquantina dimilioni di unità. All’emigrazione hanno contribuito, in misura diversa, tutti gli stati europei, con prevalenzadapprima delle Isole Britanniche, poi dei paesi germanici, poi dell’Italia. In un paese europeo l’intensissimaemigrazione ha portato non solo un freno all’incremento, ma addirittura una sensibile diminuzione assoluta: èl’Irlanda, che a seguito della carestia del 1845 ha visto dimezzarsi la sua popolazione, una popolazione che haripreso ad aumentare solo nel Novecento e che tuttora è appena il 60% di quella di centocinquant’anni fa.Dopo il primo quindicennio del 20 secolo l’emigrazione ha svolto un ruolo meno rilevante: gli espatrî dai varîstati, pressoché nulli durante le due guerre mondiali, sono stati poco numerosi anche nel periodo interbellico,a causa di politiche restrittive adottate sia dai paesi d’immigrazione che da alcuni dei paesi di partenza;successivamente al secondo conflitto gli espatrî sono ripresi numerosi, ma i flussi si sono esauritiessenzialmente all’interno dell’E., senza conseguenze sostanziali sulla popolazione europea totale. Questi flussiintraeuropei sono stati alimentati soprattutto dall’E. meridionale (paesi iberici, Iugoslavia, Grecia, Italia, la

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quale ultima, però, dopo aver avuto una parte di primo piano negli anni Cinquanta e Sessanta, non può più,ormai, definirsi un paese d’emigrazione) e, soprattutto verso la fine degli anni Ottanta, dalla Polonia, e hannoavuto come meta principale la Rep. Fed. di Germania, la Svizzera, la Francia e anche il Regno Unito e ilBelgio. Altri trasferimenti intraeuropei rilevanti sono avvenuti dopo la seconda guerra mondiale, inconseguenza dei mutamenti della carta politica e hanno interessato soprattutto la Germania occid., che hadovuto accogliere poco meno di 10 milioni – tra espulsi e volontarî – di Tedeschi profughi dalle repubblichepopolari dell’E. orientale, cui molti altri, specialmente dalla Rep. Dem. Tedesca, se ne sono aggiunticlandestinamente negli anni successivi. Raggiunta, o quasi, la soglia del mezzo miliardo, la popolazioneeuropea non rivela più tendenza all’incremento. Il tasso di natalità è sceso ormai in quasi tutti gli stati a livellimolto bassi, compresi tra il 10‰ e il 13‰; conservano tassi un po’ più elevati solo alcuni paesi menoindustrializzati dell’E. orientale (Polonia, Romania) e balcanica, le isole di Islanda e Irlanda, nonché l’Albania,che, con un valore molto elevato (26‰), è completamente estranea al comportamento europeo. Il valore piùbasso in assoluto è, a partire dagli ultimi anni Ottanta, quello dell’Italia. I tassi di mortalità europei, fino aglianni Settanta i più bassi del mondo, tendono ora ad aumentare, a causa del processo d’invecchiamento dellapopolazione. Compresi per lo più tra il 9‰ e il 12‰, salgono a valori più elevati in Germania e in Ungheria escendono a cifre molto basse in Spagna, in Islanda e, soprattutto, in Albania (meno del 6‰). Alcuni paesihanno raggiunto la «crescita zero», cioè la parità tra nascite e morti; in Danimarca e in Germania la mortalitàsupera la natalità. La mortalità infantile è scesa a livelli molto bassi nella maggior parte dell’E., in particolarenei paesi nordici (6‰); supera il 20‰ in alcuni paesi balcanici e assume il valore più alto (prossimo al 30‰) inAlbania, confermando la diversità di questo paese. La stasi demografica seguita a secoli di rapido incrementoha trasformato alcuni paesi europei occidentali – anche alcuni di quelli che, come l’Italia, furono a suo tempoaree di emigrazione – in mete di flussi provenienti soprattutto dai bordi orientali e meridionali delMediterraneo (Turchia, Maghreb), ma anche dall’Africa a S del Sahara e dall’Asia di sud-est, e, piùrecentemente, dall’E. orientale; i flussi di provenienza extraeuropea, ormai consistenti in Germania, in Franciae anche in Italia, pongono nuovi problemi di organizzazione alle società europee, avviate a diveniremultietniche. ƒ La distribuzione della popolazione in E. non presenta gli squilibrî che caratterizzano le altreparti del mondo, ma non può dirsi omogenea. La densità media, circa 100 ab. per km2, nasconde situazioniprofondamente diverse, come quelle del Belgio, dei Paesi Bassi, della Renania settentrionale, coperti da unfittissimo velo umano, e quelle delle montagne islandesi e della tundra lappone, pressoché disabitate. I paesinordici, che occupano circa 1/4 dell’E. ospitandone appena il 3,5% della popolazione, hanno densità bassissime(l’Islanda addirittura 2 ab. per km2!); ma restano al di sotto della media pure gli stati baltici, quelli balcanici(tranne l’Albania), Austria, Spagna, Irlanda. Tra gli altri, la Germania e il Regno Unito superano i 200 ab. perkm2, il Belgio e i Paesi Bassi addirittura i 300. Nel complesso, s’individua un’ampia fascia di densitàparticolarmente elevata, che abbraccia l’Inghilterra centrale e meridionale e, al di qua della Manica, la Franciadi nord-est, il Belgio, i Paesi Bassi e gran parte della Germania. Man mano che ci si allontana da questa fascia,che rappresenta il «centro» demografico ed economico dell’E., la densità diminuisce, più rapidamente verso N,in modo più sfumato nelle altre direzioni. Nel corso del tempo la situazione non è stata sempre la stessa.Nell’età classica le zone più fittamente abitate erano quelle mediterranee, dove la Grecia vedeva nascere igermi della civiltà europea e dove Roma aveva creato per la prima volta un solido organismo politico unitario.Allora, probabilmente, l’E. propriamente mediterranea (Penisola Iberica, Francia meridionale, Italia,Dalmazia, Grecia) ospitava oltre il 60% della popolazione europea, fatto non più verificatosi in seguito; ogginon ne accoglie più del 20%. Il declino demografico mediterraneo andò di pari passo con lo spostamento delbaricentro politico, economico e culturale europeo verso N e verso O, già avviato nell’alto Medioevo con CarloMagno, proseguito nel basso Medioevo con la formazione delle grandi monarchie nazionali, accentuatoall’inizio dell’Età moderna con le grandi scoperte geografiche e il ruolo acquisito dall’Atlantico, reso più nettoe definitivo con la rivoluzione industriale. ƒ Uno dei caratteri salienti della popolazione europea è quello diessere in gran parte una popolazione urbana. Il fatto urbano interessò fin dall’antichità le aree mediterranee,come dimostra lo sviluppo della civiltà greca, fondata su città-stato, e anche di quelle etrusca e punica, nonchéla cura posta dai Romani nell’ingrandimento della loro capitale e nella fondazione di tante altre città.Successivamente, con lo spostamento del baricentro europeo verso N e verso l’Atlantico, anche l’E. centrale eoccidentale fu conquistata dalla civiltà urbana. Ma è soprattutto con la rivoluzione industriale che le città siaccrescono sensibilmente per superficie e popolazione, e mostrano la tendenza a espandersi in varie direzioni espesso a saldarsi con centri vicini, formando agglomerazioni urbane e conurbazioni. Sebbene non ci si possaaffidare del tutto alle cifre della popolazione urbana (a causa dei criterî molto difformi usati per calcolarla), èsignificativo che la media europea si aggiri intorno al 75%, di fronte a una media mondiale del 45%. Il valoremedio è largamente superato da una decina di stati dell’E. settentrionale e occidentale, con un massimo di oltreil 90% nel Regno Unito; al contrario, in due paesi dell’E. meridionale, il Portogallo e l’Albania, si scende avalori che si aggirano intorno al 30%. Si contano circa 450 agglomerati urbani con oltre 100.000 ab.; di essi, 60superano il mezzo milione e 29 il milione di abitanti. Le agglomerazioni maggiori sono quelle di Parigi e diLondra, dove vivono, rispettivamente, poco meno di 9 e quasi 7 milioni di persone. Talvolta nella cittàprincipale, che in questi casi coincide sempre con la capitale, si concentra un’altissima percentuale dellapopolazione: l’esempio più vistoso è quello dell’agglomerazione di Atene, dove risiede il 35% dei Greci; maanche Dublino, Reykjavik, Budapest, Vienna accolgono notevolissime frazioni della popolazione dei rispettivi

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stati. L’urbanizzazione intensa e la conseguente deruralizzazione di vaste aree ha portato anche in Europa allaformazione di assetti megalopolitani, del tipo di quello ben noto degli Stati Uniti nord-orientali, sia pure indimensione più ridotta: assetti di tal genere, con caratteri urbani anche negli spazî vuoti tra un’agglomerazionee un’altra, si riscontrano in Inghilterra, nella vasta regione urbana che va dalla Fiandra francese al bacino dellaRuhr e, in misura più modesta, nella Pianura Padana.Aspetti culturali. – La lunga storia di invasioni, conquiste, sovrapposizioni di popoli diversi ha resoestremamente complesso e diversificato il quadro etno-linguistico dell’E., dove si parlano diverse decine dilingue, una trentina delle quali usate ciascuna da oltre un milione di individui, una decina da oltre 10 milioni equattro (tedesco, quella che conta di gran lunga il maggior numero di parlanti, francese, inglese e italiano) dapiù di 50 milioni. Il 93% degli abitanti dell’Europa appartiene al gruppo linguistico indoeuropeo, nell’ambitodel quale predominano le famiglie germanica e neolatina, seguite da quella slava e da famiglie minori (celtica,albanese, greca). Le lingue germaniche si estendono piuttosto compattamente nell’E. centro-settentrionale;quelle neolatine occupano una vasta area continua che comprende la regione francese, la Penisola Iberica el’Italia e un’ampia isola linguistica nell’E. orientale (Romania); quelle slave si ripartiscono tradizionalmente intre gruppi – orientale, occidentale e meridionale – il primo dei quali interessa quasi esclusivamente l’arearussa, mentre gli altri due, separati tra loro, occupano rispettivamente una vasta area dell’E. orientale(Cecoslovacchia, Polonia) e parecchi paesi balcanici (Slovenia, Croazia, Serbia, Bulgaria, ecc.). La famigliaceltica è ormai confinata in spazî residuali all’estremità occidentale d’E. (Irlanda, Scozia, Galles, Bretagna).Tra gli idiomi non indoeuropei i più diffusi sono quelli del gruppo ugrofinnico, cui appartengono l’ungheresee il finlandese. Spazî minori sono occupati dall’euskera (la lingua dei Baschi di Spagna e Francia), dal maltese(che si rifà alle lingue semitiche), dal turco (ancora presente in alcune parti della Bulgaria), dal lappone. ƒL’appartenenza alle confessioni cristiane è, unitamente alla prevalenza dei linguaggi indoeuropei, uno dei piùtipici e significativi caratteri culturali dei popoli dell’E., indipendentemente dall’effettiva pratica religiosa,oggi assai meno diffusa che in passato, sia per le vessazioni subite nei paesi socialisti, sia per la laicizzazioneche ha accompagnato lo sviluppo della civiltà urbano-industriale. Prevale nettamente la Chiesa cattolicaromana, seguita da poco meno del 50% degli Europei; seguono le varie chiese riformate e quelle cristiano-ortodosse. In prima approssimazione si osserva una certa corrispondenza tra idiomi neolatini e cattolicesimo,idiomi germanici e chiese riformate, idiomi slavi e religione cristiano-ortodossa; così come si osserva unamaggiore diffusione del cattolicesimo nell’E. centro-meridionale, delle chiese riformate in quella centro-settentrionale e di quelle ortodosse nell’E. orientale; ma si tratta di corrispondenze piuttosto grossolane.Alcuni stati sono quasi totalmente cattolici (Austria, Belgio, Francia, Italia, Spagna, Portogallo, Polonia,Irlanda); altri prevalentemente cattolici (Ungheria, Cecoslovacchia); altri pressoché interamente riformati(paesi nordici); altri quasi esclusivamente ortodossi (Grecia, Bulgaria). Non seguono confessioni appartenential cristianesimo larghi strati della popolazione della Bosnia e dell’Erzegovina, nonché la maggioranza degliAlbanesi, cioè popolazioni che abitano plaghe della Penisola Balcanica dove si è conservata più a lungol’influenza della dominazione turca e dove è tuttora praticato l’Islamismo. La religione musulmana,comunque, vede aumentare rapidamente il numero dei suoi seguaci in E. a causa dell’ingente immigrazioneproveniente dai paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. Sebbene drasticamente ridotte a seguitodelle persecuzioni naziste e dei massicci trasferimenti in Israele e negli Stati Uniti, vanno ricordate le diversecomunità ebraiche, notevoli soprattutto nei maggiori centri urbani dell’E. occidentale. ƒ I confini politici deglistati europei non coincidono sempre con i confini etnici; e pertanto spesso tagliano gruppi omogenei dal puntodi vista linguistico o religioso e inglobano minoranze a volte consistenti e in più casi in netto contrasto conl’etnia maggioritaria per difendere la propria identità.

GEOGRAFIA ECONOMICA

Condizioni generali. – Grazie alle favorevoli condizioni fisiche (ampie pianure, fiumi navigabili, prevalenza diclimi non ostili all’insediamento umano e all’agricoltura, ricchezza di alcune risorse minerarie) e soprattuttoantropiche (alto livello culturale, propensione all’innovazione tecnologica, capacità di accumulo ed’investimento di capitale), l’E. ha raggiunto dall’inizio dell’Età moderna, e ha consolidato a partire dallarivoluzione industriale, un elevato grado di sviluppo tecnico ed economico che le ha consentito una posizionedi preminenza, e addirittura di egemonia, rispetto alle altre parti del mondo; posizione mantenutasiincontrastata fino a poche decine di anni or sono, allorché la straordinaria crescita degli Stati Uniti e leconseguenze delle due guerre mondiali hanno prodotto un radicale ridimensionamento del ruolo europeo euno sconvolgimento degli antichi equilibrî. Due superpotenze politiche entrambe extraeuropee, gli Stati Unitistessi e l’Unione Sovietica, e un paese, pure extraeuropeo, avviato a divenire una superpotenza economica, ilGiappone, hanno drasticamente ridotto gli spazî occupati dall’Europa. Dei maggiori paesi europei, laGermania e l’Italia uscivano quasi annientate dal secondo conflitto mondiale, mentre Gran Bretagna eFrancia, pur non trovandosi dalla parte degli sconfitti, non erano certo state risparmiate dagli eventi bellici enon poterono evitare che le sorti dell’E. fossero decise al di fuori della loro ingerenza e che tutta l’E. orientaleentrasse a far parte di un mondo sostanzialmente separato, sotto il controllo dell’Unione Sovietica; népoterono evitare, di lì a poco, la perdita dei territorî coloniali, alcuni dei quali avevano a lungo costituitopreziose riserve di materie prime o mercati di sbocco per le produzioni industriali europee. A ciò si

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aggiungano i contemporanei notevoli mutamenti nelle tecniche di produzione e nell’uso delle fontienergetiche, tra le quali il carbone – che tanta parte aveva avuto nell’industrializzazione europea e di cui l’E.possedeva ancora discrete riserve – diveniva sempre meno competitivo rispetto agli idrocarburi. Ciònonostante, l’E. riusciva a risollevarsi e a riconquistare un suo ruolo, risultando però condizionata dalladivisione in due blocchi contrapposti, comunemente indicati – con approssimativo riferimento alla posizionegeografica – come E. occidentale ed E. orientale. La prima, che ha scelto la via dell’economia di mercato, si èpotuta giovare dell’antica tradizione industriale di alcuni dei suoi componenti e, soprattutto, dell’aiutofinanziario degli S.U.A. interessati a rafforzarla in funzione antisovietica (aiuto fornito in particolarenell’immediato dopoguerra attraverso il cosiddetto Piano Marshall). Determinanti sono state poi le tendenzeaggregative tra stati. Esse si sono manifestate dapprima con l’Organizzazione europea per la cooperazioneeconomica (OECE), sorta per la gestione degli aiuti americani e poi trasformatasi in un’istituzione non soloeuropea (l’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico, OCSE), e con il Consiglio d’Europa,organizzazione con funzioni di coordinamento politico, economico e culturale; successivamente, a partire daglianni Cinquanta, con quei processi d’integrazione economica da cui sono derivate le comunità europee: laComunità economica del carbone e dell’acciaio (CECA), la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom)e soprattutto la Comunità economica europea (CEE). La CEE, nata nel 1957 con sei membri (Italia, Francia,Rep. Federale di Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi), si è poi allargata ad altri stati: nel 1973 vi sonoconfluiti Regno Unito, Irlanda e Danimarca; nel 1981 è stata la volta della Grecia; nel 1986 si sono aggiuntiSpagna e Portogallo. Altri paesi ancora, alcuni non propriamente europei, hanno manifestato la volontà dientrare a farne parte. Altri paesi dell’E. occidentale hanno dato vita a un’altra comunità, l’Associazioneeuropea di libero scambio (EFTA), che si è però andata svuotando del suo significato originario man mano chealcuni dei suoi membri sono confluiti nella CEE. Diversa e più lenta è stata l’evoluzione degli stati dell’E.orientale, che peraltro partivano da condizioni più arcaiche, in gran parte preindustriali. Qui è stata imboccata,sotto l’influenza sovietica, una strada diversa, quella dell’economia socialista, rigidamente pianificata ecaratterizzata dalla statalizzazione dei mezzi di produzione; ne sono derivate crescita della produzione agricolae dell’industria pesante, piena occupazione e drastica riduzione delle disparità sociali, mentre è risultato assaimodesto l’aumento del reddito pro capite e non si è verificata espansione dei consumi. Anche l’E. orientale èstata interessata da un processo d’integrazione economica, con la creazione del Consiglio di mutua assistenzaeconomica (COMECON), che ha legato strettamente all’Unione Sovietica sei paesi: la Rep. DemocraticaTedesca, la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, la Romania e la Bulgaria; la Iugoslavia ne era membroassociato, mentre l’Albania restava a farne parte solo nominalmente. Gli eventi dei quali è stata teatro l’E.orientale negli anni 1989 e 1990, i cui prodromi già si avvertivano a partire dal 1985, hanno rivelato la volontàdi cambiamenti radicali e preludono a una transizione verso forme di economia di mercato e al superamentodella rigida divisione in blocchi che ha segnato oltre un quarantennio di storia europea. ƒ Quanto l’E. nel suocomplesso conti nell’economia mondiale risulta evidente dal fatto che essa assorbe poco meno della metà delcommercio internazionale e contribuisce per circa il 30% al prodotto interno lordo di tutti i paesi del mondo;cifre che risultano particolarmente significative se si ricorda che l’E. forma poco più del 3% delle superficiemerse e accoglie solo il 10% della popolazione del globo. Insomma, le dimensioni economiche dell’E. sononettamente superiori alle sue dimensioni areali e demografiche. Lo sono soprattutto per la presenza diun’agricoltura meccanizzata, che fa largo uso di fertilizzanti, antiparassitarî e pratiche irrigue e che ottiene alterese unitarie, e per quella di un’industria con elevato valore aggiunto e di un commercio attivissimo sia sulpiano intraeuropeo, sia su quello del resto del mondo (anche per gli accordi esistenti tra i paesi CEE e moltistati extraeuropei già colonie francesi o britanniche). D’altra parte, in questo quadro complessivamente felicenon mancano le ombre: rappresentate soprattutto dagli squilibrî territoriali, non solo tra E. occidentale eorientale, ma pure nell’ambito dell’E. occidentale, tra le economie mature dei paesi centro-settentrionali equelle ancora deboli di alcune aree mediterranee; e rappresentate altresì dai rilevanti problemi deldeterioramento ambientale, sia in termini di inquinamento industriale e urbano, sia di cattiva gestione delterritorio.Attività primarie. – Le caratteristiche morfologiche e climatiche hanno permesso, nel corso dei secoli, diconquistare all’agricoltura quasi tutta l’E., attraverso dissodamenti, bonifiche idrauliche (particolarmenteimponenti nei Paesi Bassi, notevoli pure in Italia) ed estensione dell’irrigazione; così che non più del 20% dellasuperficie totale europea sfugge a un’utilizzazione agricola o forestale. Da qualche tempo le aree coltivate nonsi ampliano più, ma anzi hanno preso a contrarsi; tuttavia, la produzione non è affatto diminuita (al contrario,si è più che raddoppiata dalla metà del 20 secolo a oggi), perché si è verificato dappertutto il passaggiodall’agricoltura di sussistenza a quella di mercato e sono stati compiuti enormi progressi nell’uso di macchineagricole, di fertilizzanti, di pratiche irrigue, con conseguente forte aumento delle colture intensive especializzate e delle rese unitarie. La contrazione della superficie coltivata è da porsi in relazione con la fortediminuzione della popolazione attiva in agricoltura, manifestatasi in alcuni paesi europei a partire dallarivoluzione industriale ed estesasi all’intera E. negli ultimi decennî: alla fine della seconda guerra mondiale lapopolazione agricola ammontava a circa la metà di quella attiva totale, mentre oggi si aggira sull’11-12%, convalori bassissimi in alcuni stati occidentali (Belgio, Regno Unito, 2%), sensibilmente più elevati in Romania(28%) e nei paesi balcanici, tra i quali, ancora una volta, spicca per la sua diversità l’Albania (51%). Ingente, sesi tien conto dell’esiguità del territorio, è la produzione agraria europea: 1/4 del grano mondiale, circa il 40%

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dell’orzo, della segale e delle patate, oltre il 50% dello zucchero di barbabietola, i 3/4 del vino. Tuttavia, nellamaggior parte dei casi, essa non è sufficiente a coprire il fabbisogno interno di derrate alimentari e di materieprime di provenienza agricola, delle quali l’E. resta grande importatrice: un fabbisogno che è molto elevato inragione della consistenza demografica della popolazione europea, del suo elevato tenore di vita e deiconseguenti consumi, nonché del grande sviluppo delle industrie. ƒ Nell’E. si possono riconoscere tre ampiefasce agricole che si succedono da N a S e che traggono la loro individualità da fatti d’ordine fisico,principalmente climatico. La prima, più settentrionale, comprende la Scozia, l’Islanda e la massima parte dellaFennoscandia. Poche colture vi sono praticabili a causa della rigidità del clima e della povertà del suolo (orzo,segale, patate), mentre notevoli possibilità sono offerte all’utilizzazione forestale (Svezia, Finlandia) e, inalcune parti, allo sfruttamento di pascoli per allevamento ovino (Scozia). La seconda fascia abbraccia tutta l’E.mediana (massima parte delle Isole Britanniche, Bassopiano Franco-germanico-polacco, medie montagnedell’E. centrale, pianure danubiane e padana) ed è certamente quella dell’agricoltura più ricca e moderna,favorita dalla presenza di ampî spazî pianeggianti, dalla disponibilità d’acqua, dall’appartenenza ai paesieuropei tecnologicamente più avanzati. Sono comprese in questa fascia le più estese colture di grano, di patate,di barbabietola da zucchero, spesso opportunamente alternate a prati artificiali, per cui molto notevole è purel’allevamento, soprattutto di bovini, di suini e di animali da cortile; non mancano aree a colture specializzate(ortaggi, fiori, in qualche caso vite). La fascia più meridionale comprende le penisole mediterranee ed è assaimeno favorita perché montuosa e siccitosa; tuttavia il clima mediterraneo rende possibili, o più redditizie,alcune colture che mancano, o scarseggiano, nel resto d’E., come quelle della vite e, soprattutto, dell’olivo edegli agrumi; colture che caratterizzano le aree migliori, mentre le altre sono lasciate alla cerealicolturaestensiva e all’allevamento, in gran parte ovino, che utilizza pascoli naturali. ƒ La pesca, pur essendoun’attività nel complesso marginale, ha un’antica tradizione e conserva importanza in alcuni paesi occidentaliche la esercitano nell’Atlantico e nel Mare del Nord (Norvegia, Danimarca, Islanda, per la quale ultima è difondamentale importanza). Molto modesto è invece il contributo del Mediterraneo.Energia e industrie. – La rivoluzione industriale è stata avviata nell’E. del Settecento per una serie dicircostanze tra le quali la presenza di alcune risorse minerarie, in particolare il carbone, abbondante nellalunga serie di rilievi paleozoici che si estende nell’E. mediana, dalla Scozia alla Slesia, attraverso l’Inghilterra,la Francia settentrionale, il Belgio, la Germania. Sebbene l’importanza del carbone sia stata drasticamenteridotta dalla concorrenza degli idrocarburi e la sua ripresa a seguito del rincaro del petrolio (anni Settanta) siastata nel complesso modesta, tuttavia la produzione europea è ancora considerevole (in particolare da parte diPolonia, Regno Unito e Germania) e ascende a circa il 15% del totale mondiale; ancora più notevole è ilcontributo europeo alla produzione mondiale di lignite (quasi il 70%, proveniente soprattutto dalla Germania edalla Cecoslovacchia). Invece l’E. risulta gravemente deficitaria di petrolio, di cui è grande importatrice: gliunici paesi che ne dispongono sono il Regno Unito e la Norvegia, i quali sfruttano i giacimenti sottomarini delMare del Nord, e, in più limitata misura, la Romania; migliore è la situazione per quanto riguarda il metano,estratto in considerevoli quantità nei Paesi Bassi e in Gran Bretagna. Il contributo fornito dall’energiaidroelettrica difficilmente potrà essere aumentato ed è rilevante solo in pochissimi paesi (Norvegia, Svizzera);quello di altre fonti di energia (geotermica, solare, eolica), limitatissimo. Pertanto, quello energetico è uno deiproblemi più pressanti di molti paesi europei, e alcuni di essi (in particolare la Francia) hanno scelto dirisolverlo attraverso la massiccia costruzione di centrali nucleari. ƒ Oltre che del carbone, l’E. si è potutagiovare, per la sua prima industrializzazione, della presenza di minerali di ferro, in un primo tempo di quelliesistenti in aree prossime ai giacimenti carboniferi (Francia, Lussemburgo), in seguito soprattutto di quellisvedesi, molto più ricchi di contenuto metallico. Tra gli altri minerali metallici vanno ricordati la bauxite (neipaesi balcanici) e i minerali di mercurio (in Spagna); tra quelli non metallici, i sali potassici (in Germania). ƒLa localizzazione delle industrie europee è stata a lungo condizionata dai giacimenti di carbone, una materiaprima pesante, il cui trasporto non è conveniente; e pertanto la prima lunga fase dell’industrializzazione si èsvolta essenzialmente nell’E. paleozoica, prendendo le mosse dall’Inghilterra ed espandendosi gradualmente aldi qua della Manica, in Francia, in Belgio, in Germania. In seguito l’uso dell’energia elettrica ha diffusol’industria altrove, per esempio nell’Italia settentrionale. Più tardi ancora, quando le fabbriche europee hannocominciato a trattare materie prime d’importazione, e soprattutto quando, a metà del 20 secolo, il carbone èstato in gran parte sostituito dal petrolio, l’industria è arrivata un po’ dappertutto, privilegiando spesso le zonecostiere, dove nuove grandi agglomerazioni industriali si sono venute organizzando attorno ai più attivi porti.Oggi la diffusione dell’industria investe pressoché tutti i paesi europei, ma è possibile individuare ancora ilvecchio asse carbonifero, dalla Gran Bretagna alla Polonia, intersecato da un altro grande asse più recenteorientato in senso N-S, che si estende dalla Scandinavia al Mediterraneo e che segue in parte le valli del Renoe del Rodano (i due assi s’incrociano in Germania occidentale, nel bacino della Ruhr, la più tipica e piùconsolidata tra le regioni industriali europee); altri assi, più o meno completi, si protendono in altre direzioni,spesso lungo i litorali. ƒ In E. sono rappresentati tutti i rami dell’industria. La siderurgia è stata a lungoconsiderata il motore propulsore dello sviluppo industriale e svolge tuttora un ruolo di primo piano; però neglistati a economia più matura e di più antica industrializzazione tende a diminuire e a essere sostituita, mentrenegli altri continua a crescere: tre paesi occidentali (Germania, Italia, Francia) occupano tuttora i primi postinella classifica dei produttori europei di acciaio, ma subito dopo vengono due stati dell’E. orientale (Polonia eCecoslovacchia), mentre il Regno Unito ha ormai una produzione decisamente inferiore. Alla siderurgia si

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accompagnano spesso altre industrie metallurgiche, nonché le industrie meccaniche: tra queste è venutaemergendo nettamente quella degli autoveicoli che ha le sue massime concentrazioni in Germania e in Francia,seguite da Italia, Regno Unito e Spagna. Le industrie tessili, favorite dalla lunga esperienza artigianaleprecedente, si avvantaggiarono rapidamente dell’applicazione dei telai meccanici e della macchina a vapore ediedero ben presto origine ai distretti industriali delle Isole Britanniche (Manchester, cotone; Leeds, lana;Belfast, lino) e via via ad altri nell’Europa continentale (Fiandra francese e belga, Lionese, Sassonia, Polonia,Svizzera, Italia settentrionale, Toscana). Tali industrie, che trattano fibre vegetali o animali, hanno conosciutonegli ultimi decennî un periodo di crisi per la concorrenza delle fibre artificiali. Rapido sviluppo, specialmentedopo la seconda guerra mondiale, hanno avuto le industrie chimiche e farmaceutiche e le industrie petroliferee petrolchimiche, organizzate come società multinazionali, sorte specialmente nei porti d’importazione delpetrolio greggio, da cui vengono rapidamente riesportati i loro prodotti. Sono infine da ricordare le industriealimentari, tra le quali spiccano quelle lattiero-casearie danesi, quelle olandesi dei grassi vegetali, quelle dellabirra in molti paesi dell’E. centrale. ƒ Lo sviluppo delle grandi agglomerazioni industriali ha segnato una lungafase della storia europea, dalla fine del Settecento ai giorni nostri. Attualmente, come del resto anche in paesiavanzati di altre parti del mondo, si è entrati in una fase diversa: l’industrializzazione ha ceduto il passo allaterziarizzazione; la popolazione occupata nel settore industriale non cresce più, e in molti paesi tende adiminuire, mentre aumenta quella occupata nelle attività di servizio; le industrie non dilagano più come inpassato, e non tendono più alla concentrazione, ma anzi, talvolta, al decentramento, sia a causa di saturazionedegli spazî, sia sotto la pressione di esigenze ecologiche sempre più urgenti e sempre più rappresentate.Settore terziario. – La forte diminuzione della popolazione agricola e quella (più recente, ma in qualche paesegià sensibile) della popolazione addetta alle industrie ha fatto notevolmente aumentare gli occupati nel settoreterziario, come avviene in tutte le economie industriali mature. La crescita dell’occupazione terziaria, che èandata di pari passo con l’urbanizzazione, è stata notevolmente diversa nelle varie parti d’E., minore nell’E.orientale rispetto a quella occidentale e, nell’ambito dell’E. occidentale, più elevata negli stati centro-settentrionali, specialmente in quelli che si affacciano sul Mare del Nord. Alla fine degli anni Ottanta ilterziario assorbiva in media un po’ più del 50% degli occupati totali, con punte massime del 65% (Paesi Bassi).Se gli addetti al terziario commerciale sono sempre stati numerosi per la tradizionale vivacità delle attivitàmercantili europee, sono invece cresciuti enormemente in tempi recenti gli addetti alle varie attività diservizio, dai trasporti al credito, al turismo, al terziario avanzato, ai servizî sociali, cresciuti in particolare neipaesi a economia capitalista, ma anche – almeno per quanto riguarda i servizî sociali e, in parte, il turismo – inquelli a economia pianificata.Circolazione. – Le caratteristiche morfologiche dell’E. sono nel complesso favorevoli alle comunicazioni; piùnell’E. centro-settentrionale e meno in quella centro-meridionale, dove peraltro le catene montuose – inparticolare la più imponente, quella alpina – non sono mai state barriere insuperabili e tanto meno lo sonooggi, grazie ai numerosi trafori stradali e ferroviarî che le attraversano. La rete ferroviaria si estende per260.000 km (corrispondenti al 20% dello sviluppo totale delle ferrovie nel mondo), con notevole densità mediarispetto alla superficie (5 km ogni 100 km2). La densità risulta particolarmente alta in un’ampia area dell’E.occidentale che comprende la Francia orientale, i paesi del Benelux, la Germania occidentale e che, sia purecon una rarefazione in corrispondenza delle Alpi, si estende fino all’Italia centro-settentrionale. Le magliesono particolarmente fitte in corrispondenza del Belgio. Negli ultimi decennî il ruolo della ferrovia, chepermane comunque rilevante, è stato ridimensionato dall’eccezionale sviluppo del trasporto su gomma, che siavvale di un’ottima rete stradale e in parte (soprattutto Germania occidentale e Italia) autostradale, anch’essaassai più fitta nei paesi più industrializzati dell’E. occidentale, che si sviluppa per 5 milioni di chilometri esulla quale circolano poco meno di 190 milioni di autoveicoli. La rete ferroviaria e quella stradale sonostrettamente collegate tra loro e integrate, dove possibile, con le vie di comunicazione fluviali che,praticamente inesistenti nelle regioni mediterranee e in Scandinavia, rappresentano nel resto d’E. le grandidirettrici del traffico mercantile dai porti marittimi verso l’interno. Tra queste arterie fluviali emergononettamente quelle che fanno capo al Reno e agli altri grandi fiumi del Bassopiano Franco-germanico, nonché ilDanubio. L’intenso scambio di merci tra l’E. e le altre parti del globo ha accresciuto considerevolmentel’importanza dei numerosi porti, tra i quali spiccano, per volume del movimento marittimo e commerciale,quelli situati sulle coste della Manica e del Mare del Nord (Londra e, nell’E. continentale, i grandi scali che sisuccedono da Le Havre ad Amburgo, tra cui Rotterdam, al primo posto nel mondo), favoriti dal trovarsi sugliestuarî di fiumi largamente navigabili e dall’essere sbocco di vasti retroterra industriali. Meno brillante è lasituazione dei porti mediterranei, tra i quali solo Marsiglia può competere con i grandi scali citati. Sempre piùrilevante, per l’aumentata mobilità delle persone e soprattutto per la crescita del movimento turistico, è lafunzione dei trasporti aerei, che con numerosissime linee collegano gli stati europei tra loro e con il resto delmondo; molti aeroporti europei (Londra, Parigi, Francoforte, Roma) sono centri di smistamento di lineeintercontinentali. Molto fitta è la rete di trasporti per conduttura (oleodotti, gasdotti). ƒ L’elevato livello divita della maggior parte degli europei, l’accresciuta disponibilità di tempo libero tipica della società attuale, lafacilità e velocità degli spostamenti sono i presupposti di una domanda turistica incredibilmente sostenuta esempre crescente; domanda che per la massima parte viene soddisfatta nell’ambito dell’E. stessa, la quale contaattrattive di prim’ordine, offerte sia dall’ambiente naturale (soprattutto i litorali mediterranei, tanto ambiti daituristi dell’E. centrale e settentrionale, ma anche le numerose stazioni montane e termali), sia dalla ricchezza

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del patrimonio storico e artistico di molti paesi. Si creano così ingenti correnti turistiche tra i diversi statieuropei, nonché altre, assai minori ma non certo irrilevanti, che portano in E. turisti d’oltreoceano, inparticolare dagli Stati Uniti e dal Giappone. Secondo stime degli ultimi anni Ottanta, le correnti del turismointernazionale in E. si concretano in oltre 3000 milioni di presenze all’anno, cui occorre aggiungere una cifraelevatissima di persone che si spostano nell’ambito del proprio paese, cifra presumibilmente vicina ai 2miliardi. Gli stati che accolgono il maggior numero di turisti sono l’Italia, la Spagna e la Francia, ma ne vannoemergendo altri, tra cui qualche paese dell’E. orientale. Per alcuni di questi stati il turismo è una vocefondamentale del reddito prodotto, più importante delle attività produttrici di beni materiali.

STORIA

Le origini. – Lo spazio che generalmente noi indichiamo come E., ossia lo spazio fra gli Urali e l’Atlantico,cominciò ad essere abitato in epoca remota: più o meno da un milione di anni, secondo quanto gli studîpreistorici hanno potuto stabilire. Ciò rende rispettabile l’antichità della storia dell’evoluzione degli Ominidiin E., ma la lascia ancora lontana da quella ben maggiore stabilita per alcune regioni dell’Africa e dell’Asia.Significa, inoltre, che il primo popolamento europeo possa essere stato dovuto a immigrazioni dall’Africa edall’Asia, piuttosto che ad apparizioni locali di tipi umani primigenî, anche se l’evoluzione locale dei tipiumani che vi si sono insediati e delle loro varietà e differenziazioni appare intensa. Poco si conosce dellastruttura etnica e dei caratteri antropologici di queste popolazioni, per quanto numerose siano le tracce cheesse hanno lasciato della loro esistenza. Possiamo solo dire che tutte le fasi in cui gli studî preistoricitradizionalmente distinguono il lunghissimo periodo della storia umana anteriore all’invenzione della scrittura,sono attestate in Europa. Si può, inoltre, pensare che già in epoca remota sia emerso un carattere distintivoanche in seguito della demografia europea, e cioè la maggiore consistenza della crescita dovuta alle popolazionilocali rispetto a quella dovuta all’afflusso di nuovi venuti dall’esterno. È suggestivo ritenere che si tratti di uncarattere da connettere con l’estrema articolazione della geografia europea, ricca di aree chiuse, chiaramentefavorevoli al radicamento e al consolidamento etnico e culturale degli abitatori più antichi. Lo stesso caratterepuò, inoltre, apparire alla base della vocazione storica dell’E., tanto grande inventrice di civiltà originaliquanto grande elaboratrice degli elementi di civiltà altrui via via ricevuti nel tempo, ma sempre in funzionedecisamente attiva, mai passivamente ripiegata su sé stessa o nella ripetizione di modelli e influenze esterne.Infine, già la preistoria mostra in E. una straordinaria molteplicità di tipi umani e di culture. Protoantropi epaleantropi, brachicefali e dolicocefali, «razze» alpine e «razze» mediterranee e altri più o meno diversi gruppi esottogruppi umani vi appaiono in tante articolazioni, variazioni, coesistenze e incroci da risolvere interamentefin dall’inizio l’unità geografica nella molteplicità delle sue componenti civili. Per questo in E. più che in ognialtra parte del mondo l’antropologia culturale, non l’antropologia fisica, costituisce la trama di fondo dellevicende umane che vi si sono svolte. In altri termini, l’E. sembra annunciarsi fin dalla preistoria come unospazio storico, in cui l’iniziativa umana conta di più del condizionamento ambientale. Questa iniziativa è statacosì diffusa fin dai tempi preistorici da aver lasciato ben pochi luoghi del continente, di cui la presenza el’attività dell’uomo non abbiano alterato la fisionomia naturale. Già se si segue la distribuzione degliinsediamenti umani nelle varie fasi dell’età della Pietra, si può osservare che essi coprono, volta a volta, l’interasuperficie europea, anche se con intensità e continuità maggiori in alcune regioni rispetto ad altre. D’altraparte, la stessa apparizione dell’Homo sapiens in E. coincide con una fase di grande trasformazionedell’ambiente naturale. In effetti, l’evoluzione umana in E. si rivela oltremodo lenta nelle sue fasi iniziali. Se ilvero e proprio Homo sapiens sembra essere apparso in E. non prima di 100.000 anni fa, l’avvio ad uno sviluppopiù rapido avvenne solo intorno ai 75.000 anni fa. Tra 100.000 e 35.000 anni fa il paesaggio umano europeoappare dominato dall’uomo di Neandertal, che fu probabilmente il tipo umano preistorico più originaleformatosi in Europa. Poi, mentre l’uomo di Neandertal va sparendo, appaiono diffondersi in tutto ilcontinente le forme più moderne di Homo sapiens sapiens. L’evoluzione dell’E. appare legata all’areadell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente, dove fu più rapida. È, forse, questa la prima manifestazionecospicua di quella gravitazione mediterranea, che sarebbe rimasta poi a lungo caratteristica anch’essa dellastoria europea. La diffusione del nuovo tipo umano divenne generale in E. a partire da 35 o 40.000 anni a. C. esi può giudicare completa intorno al 10.000 a. C. L’E. di allora aveva in parte una fisionomia ambientale nondiversa da quella della Siberia in età storica, con una fauna ricca, in seguito largamente scomparsa, essenzialeai fini delle risorse alimentari e dell’approvvigionamento di materie prime (pelli, ossa, ecc.) per l’uomo; e lapiù antica civiltà della Pietra (Paleolitico) toccò le sue massime espressioni. Successivamente all’estinzionedell’uomo di Neandertal, si affermarono tecniche più raffinate di lavorazione della pietra, ed aumentò l’uso dialtre materie prime (osso, corno, legno) e di altri utensili per la caccia, per la raccolta e la conservazione delcibo, per la confezione di indumenti, per l’allestimento di rifugi. Non a caso fra 30.000 e 25.000 anni fa sihanno le prime testimonianze di arte figurativa, che toccano nelle grotte di Lascaux e di Altamira i loro vertici.Si possono cominciare a distinguere meglio alcune grandi aree culturali: atlantica e centroccidentale (in cuifiorisce la cultura maddaleniana), mediterranea (culture gravettiane e romanelliane), orientale (culturepavloviane), tedesco-settentrionale (cultura amburghiana). Verso la fine del 9 millennio (8300 - 8000 a. C.), siafferma un profondo mutamento. L’E., superata l’ultima età glaciale, si avvia gradualmente ad assimilare leforme che, sia pure con forti variazioni, la hanno contraddistinta anche in seguito. Clima, vegetazione,

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idrografia e fauna cominciano ad essere quelle dell’E. storica. L’economia di caccia e l’attrezzatura materialedelle popolazioni paleolitiche si dovettero adattare alle necessità imposte dal nuovo ambiente; si svilupparonocosì la pesca e la raccolta di molluschi e di vegetali. Questa fase (Mesolitico) fu a sua volta superata da quellapiù recente (Neolitico) quando, nel corso del 7 millennio a. C., insieme a ulteriori progressi nell’uso e nellalavorazione della pietra, si affermò il passaggio all’agricoltura e al connesso allevamento di bestiame. Leconseguenze economiche, sociali e culturali furono rivoluzionarie. La Grecia orientale ne offre le primetestimonianze, e ciò accredita l’ipotesi di un’importazione dal Vicino Oriente, dove l’agricoltura era giàapparsa uno o due millennî prima: simile è da ritenere l’itinerario di diffusione della metallurgia, prima con ilrame, poi con il bronzo. Affiorava così un dato storico di lunghissima durata. Nelle fasi più mature delPaleolitico, dopo aver verosimilmente importato dal Mediterraneo e dal Vicino Oriente contributifondamentali, l’E. aveva mostrato grande capacità di innovazioni autonome. L’arte delle grotte ne è unagrande prova, così come lo è la produzione di vasellame, utensili e oggetti di notevole fattura. Con l’avventodella rivoluzione neolitica e con il passaggio all’agricoltura, il Vicino Oriente si afferma come uno spazio digrandissima innovazione; l’E. appare al confronto come un’area arretrata e dipendente. Il moto del progressocivile e culturale procederà per alcuni millennî da est a ovest, e anche in dipendenza di ciò la periferiamediterranea del continente sarà la sua zona di più intensi scambî e maggiori sviluppi culturali. Dalla Grecia,attraverso il Mediterraneo e, via terra, dai Balcani lungo il corso del Danubio, tecniche ed economie neolitichesi diffusero sempre più largamente in tutta l’area europea a ovest della linea tra la foce del Danubio e quelladella Vistola. Tre grandi aree ceramiche si configurano tra il 6 e il 5 millennio a. C.: quella balcanica di unaceramica a motivi geometrici e floreali, quella centro-europea della ceramica a decorazione lineare e quellamediterranea a ceramica impressa. Solo nel 4 millennio il Neolitico si estese in misura consistente all’E.occidentale, dove si sviluppò contemporaneamente la civiltà megalitica. Pietre di grandissima dimensione enon rifinite, i megaliti, disposti in maniera assai varia, sembrano prodotti dello sforzo di una organizzazionesociale evoluta, probabilmente a base religiosa. A Stonehenge, in Inghilterra, se ne ha il documento piùimpressionante, databile intorno al 2000 a. C. Alla loro diffusione fin sul Baltico e, nel Mediterraneo, fino allaCorsica e alla Sardegna si accompagnò una nuova geografia storica. Nel 3 millennio a. C. si scorgono duegrandi zone: quella orientale, estesa alla fascia dei bassopiani germanico e sarmatico, distinta dalla cosiddettaceramica cordonata, e quella occidentale, dall’Italia tirrenica all’Inghilterra, distinta dalla cosiddetta culturadel vaso (o bicchiere) campaniforme, che si diffonde largamente a partire dalla penisola iberica e penetraprofondamente nella zona orientale. Alle popolazioni della prima zona sembrano potersi attribuire tratti piùmarcatamente agricoli e guerrieri (compare presso di esse l’ascia da combattimento); a quelle della secondatratti in prevalenza manifatturieri (sembra notevole la loro attività metallurgica) e mercantili: divisioneanch’essa precorritrice di futuri sviluppi europei. La larga, benché non totale, coincidenza fra l’area megaliticae quella della ceramica campaniforme conferma probabilmente un altro dato storico interessante: l’aperturamediterranea della zona europea più dinamica. All’inizio del 2 millennio a. C. i monumenti megalitici sidiradano fino a cessare del tutto. Gli eventi decisivi per il futuro dell’E. che allora maturarono ebbero il loroepicentro nella parte meridionale del bassopiano sarmatico. Qui, a cavaliere del margine meridionale dell’areadella ceramica cordonata, si era già avuta nel 4 e nel 3 millennio a. C. una serie di movimenti e di incroci dipopoli e culture, in cui possiamo ravvisare le prime manifestazioni dei popoli di lingua indoeuropea. Con laloro diffusione probabilmente è connessa la penetrazione delle culture dell’ascia da combattimento fino alReno. Il cavallo, l’uso di carri con ruote, un particolare tipo di sepoltura (tombe a fossa) contraddistinguonoquesti popoli. Dalla seconda metà del 3 millennio a. C. si può parlare di una loro progressiva diffusione edifferenziazione in tutto il continente, che si protrarrà poi a lungo nel tempo. Si trattò di un processo didiffusione etnica o di semplice propagazione linguistica e culturale? La tendenza degli studî è andatapreferendo la seconda soluzione alla prima, ipotizzando una indoeuropeizzazione delle precedenti popolazionicontinentali sulla base di contatti e scambî culturali o di acculturazioni di popoli sottomessi da parte di piccoligruppi di dominatori. Il peso del fattore etnico non appare, tuttavia, eccessivamente riducibile. Un trattocomune della precedente preistoria europea è la grande frequenza territoriale degli insediamenti appartenentialle diverse culture susseguitesi nel tempo. Ciò postula un’estrema piccolezza delle comunità in questione euna limitata consistenza demografica della colonizzazione del territorio. Ben diversa appare la presa sulterritorio delle popolazioni di epoca posteriore e di lingua indoeuropea: effetto in parte, certamente, diprogressi tecnici e culturali, ma tale da postulare anche un nuovo e cospicuo apporto demografico. È stata,inoltre, osservata la forte somiglianza di fisionomie umane che si riscontra spesso tra tipi dell’E. e dell’India,ossia dell’altra grande area di diffusione indoeuropea, per la quale si pongono eguali problemi di ricostruzionee interpretazione storica. Infine, anche gli studî sui gruppi sanguigni fanno pensare al popolamento storicodell’E. per ondate migratorie provenienti da est e da sud-est, a cui hanno resistito avanzi delle popolazioniprecedenti viventi in aree isolate o di più difficile accesso: schema non molto diverso da quello accennato per ilpopolamento preistorico più antico, ma che in epoca meno antica non può non far pensare alla diffusioneindoeuropea.L’età antica. – Fra la metà del 3 e la metà del 1 millennio a. C. la diffusione indoeuropea si concreta in tregrandi episodî: uno continentale (Celti) e due mediterranei (Elleni e Italici). Questi ultimi si svilupparononell’urto con culture già evolute e raffinate. Nell’area dell’Egeo per circa un millennio (2350-1400 a. C.) erafiorita a Creta una civiltà a cui si deve l’importazione di elementi fondamentali dei progressi realizzati nel

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Vicino Oriente (metallurgia del rame, commerci, scrittura), e in particolare della forma cittadinadell’insediamento umano. Verso il 1400 a. C. popoli indoeuropei, dotati di armi di bronzo, diedero il colpofinale alla «civiltà dei palazzi» di Creta, già squassata da numerosi terremoti, ma ne assimilarono gli elementi, apartire dall’urbanizzazione, e diedero luogo a quella civiltà micenea (il nome deriva dalla città di Micene, chene fu uno dei massimi centri) che si può considerare la prima fase della storia greca. Successivamente (intornoal 1000 a. C.) una seconda ondata di popoli indoeuropei, dotati di armi di ferro, invasero il mondo miceneo.Da un lungo periodo di oscuro travaglio (il «medioevo greco») viene fuori già nell’8 sec. a. C. il mondoellenico nella sua fisionomia classica. In Italia gli indoeuropei arrivano, tra la prima metà del 2 millennio a.C.e gli inizî del 1 millennio, in tre grandi ondate (gruppi latino, umbro-sabellico, adriatico), sovrapponendosialle popolazioni preesistenti. Tra queste ultime particolare rilievo hanno nella prima metà del 1 millennio gliEtruschi. I Celti si trovarono, invece, ad espandersi nella vasta area dell’E. Centrale, occupata negli ultimisecoli del 2 millennio a. C. dalla cultura dei «campi di urne». Così designata da una nuova forma di sepoltura,questa cultura è caratterizzata da un forte progresso della metallurgia del bronzo, per cui l’E. sembra acquisireun primato tecnico anche rispetto alle più avanzate civiltà medio-orientali. Non è chiaro in quale misura lanuova cultura assorba quelle precedenti della ceramica cordonata e del vaso campaniforme o nasca da esse. Èchiaro, però, che in questa zona è da vedere il nucleo di diffusione iniziale di alcuni importanti gruppiindoeuropei, fra i quali gli stessi Celti, che tra l’8 e il 5 sec. a. C. appaiono già protagonisti della cosiddettacultura di Hallstatt, espressione della prima età del Ferro. Anche il ferro era stato introdotto in E. dal VicinoOriente, dove sembra che gli Ittiti lo usassero già nel 15 sec. a. C. Mezzo millennio dopo esso era in uso inGrecia, di dove, attraverso i Balcani e la colonizzazione greca in Italia, si diffuse a ovest e a nord. Sonopercorsi che interessano un sistema di traffici a grande distanza ormai adulto, che lega fra loro le varie areeeuropee con rotte via via più consolidate e lungo le quali non penetra in E. solo la civiltà del Ferro, ma sidiffonde anche la scrittura alfabetica: altra invenzione importata dal Vicino Oriente, con l’alfabeto fenicio, acui ben presto si affiancò quello greco e da cui derivarono quello etrusco e quello latino. La vicenda degliElleni, degli Italici e dei Celti occupò l’intero 1 millennio a. C. e confluì nella formazione della civiltà ellenicae dell’impero di Roma. Ne derivò al mondo mediterraneo e alla storia generale dell’umanità un contributofondamentale, che, per quanto riguarda l’E., costituì la base del suo posteriore sviluppo civile. Letteratura earte, filosofia e scienze, diritto e politica, tecniche attinenti a molti settori della vita civile (a cominciare dastrade, ponti ed edilizia), credenze e comportamenti profondamente stratificati e attivi benché latenti hanno,infatti, trasmesso da quel mondo all’E. moderna un patrimonio, che certo non contiene tutta la posteriorestoria europea, ma senza il quale questa storia sarebbe inintelleggibile. In questo senso l’E. moderna è figliadella civiltà ellenico-romana, alla quale risale anche una ricorrente formulazione di idee e intuizioni che inqualche modo prefigurano la coscienza europea della propria specificità. Gli Achei in guerra con Troia per unaquestione di onore, gli Elleni che oppongono la propria libertà al dispotismo asiatico dell’impero persiano,Alessandro Magno che guida le forze riunite della grecità alla conquista dell’impero persiano da cui a sua voltaera stato unificato l’Oriente, Roma che combatte contro la immanitas e la fides punica, Augusto che guida learmi dell’Occidente contro la minaccia orientale della regina d’Egitto sono momenti tipici di questaautopercezione. In generale, l’E. significa libertà civile, dignità dell’uomo, luce della ragione, religiosità amisura dell’uomo; l’Oriente rappresenta il suddito che si prosterna dinanzi al sovrano-dio, misticismo,oscurità delle forze che si agitano nel profondo dell’esperienza umana, perfidia dell’astuzia. Non era unbilancio generoso del rispettivo ruolo storico. Dal deprecato Oriente gli stessi Elleni avevano dedotto elementie premesse decisivi del loro sviluppo civile. Come non è immaginabile la storia europea posteriore senza quelladella civiltà mediterranea della Grecia e di Roma antica, così non è immaginabile la storia di questa civiltàsenza i suoi debiti e i suoi intrecci con le civiltà del Vicino Oriente: da Sumer e Babilonia all’Egitto deiFaraoni, dagli Assiri ai Persiani, dagli Ittiti ai Fenici, per non parlare del ruolo tutto particolare degli Ebrei edell’ebraismo. Il «miracolo» attribuito agli Elleni di aver inventato dal nulla le arti e la civiltà è un mito antico emoderno, la cui sostanza storica è che presso gli Elleni derivazioni orientali e proprie spinte creative sicomposero all’insegna della fondazione geniale di un nuovo mondo di esperienze e di valori. Allo stesso modosarebbe incongruo leggere la civiltà ellenico-romana come un tutto indifferenziato. Anche all’interno di essa siagitarono tensioni e contrapposizioni di esperienze e di valori: da Antigone, che rivendica l’inderogabilità dellalegge umana e morale anche rispetto alle leggi del legittimo ordine civile, ai tirannicidi, che oppongono leragioni del regime di libertà a quelle del regime tirannico; dai sofisti, che sostengono il diritto della critica edell’individualità, a Socrate, che subordina questo diritto al dovere etico-politico, in una serie innumerevole dicontrapposizioni sofferte e creative. E anche questa pluralità di atteggiamenti e di idee avrebbe fatto partedella coscienza europea moderna e la avrebbe caratterizzata in modo determinante.Il nucleo civile dell’esperienza ellenica e romana fu la città che, anch’essa anticipata nella vicenda dell’Orienteantico, ebbe in Grecia e nell’Impero Romano una espressione da potersi definire, in ogni senso, veramente«classica». Proprio Roma nella sua fase imperiale dalla fine del 1 sec. a. C. ne segnò, tuttavia, il superamento,dando luogo a uno stato «universale», destinato egualmente a rimanere nell’eredità civile europea come unideale superiore di ordine etico-politico. Si raffigura spesso la storia dell’impero come una omologazione delmondo politico cittadino ellenico e romano ai valori e alla prassi della civiltà politica dell’Oriente, col passaggiodal principatus del sovrano al suo dominatus, dal principe-magistrato al principe-padrone. In realtà, non è così.Già la conquista dell’impero persiano da parte di Alessandro Magno fra il 333 e il 323 a. C. non aveva

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corrisposto a un tale schema. Ancora meno vi corrispose la vicenda dell’impero romano da Cesare e Augusto aDiocleziano e a Giustiniano. È vero, invece, che le vicende delle città elleniche e di Roma avevano fornito ilmodello di una gamma amplissima di esperienze istituzionali e sociali, tanto da fornire quasi un sinteticomanuale di scienza politica e di scienza storica, e come tali sarebbero state considerate dal pensiero europeomoderno. Ed è vero pure che la storia romano-imperiale fornisce un analogo manuale che completa e sviluppa,per così dire, quello delle vicende cittadine, e anch’esso sarebbe stato considerato allo stesso modo.L’età medievale. – L’Impero Romano crollò sotto il suo stesso peso: non vi è, forse, formula storiografica chepossa riassumere meglio l’intreccio estremamente complesso dei motivi della sua storia fra il 1 e il 6 sec. d.C. Nel frattempo si era affermato in esso il cristianesimo, la maggiore rivoluzione religiosa e morale, culturalee civile dell’esperienza mediterranea ed europea; i popoli germanici ne avevano conquistato la parteoccidentale, stabilendovi una serie di regni, nei quali sono da leggere i primi incunaboli degli stati e dei popolidell’E. moderna; l’impero si era ristretto alla sua parte orientale, trovando in Costantinopoli il suo nuovocentro, la nuova Roma. La cristianizzazione dell’impero e dei popoli germanici diede vita ad uno dei massimiproblemi della storia successiva: quello del rapporto fra Stato e Chiesa, come rapporto fra valori e idee diversi,non solo fra istituzioni e poteri. La soluzione prevalsa a Costantinopoli (la Chiesa inquadrata nello Stato) fudiversa da quella prevalsa nell’E. romano-germanica con la Chiesa cattolica: una Chiesa libera, custodedell’autonomia morale e civile; ma anche una Chiesa fattore di civiltà, organizzatrice di energie e di bisogni,costruttrice di grandi solidarietà e promotrice di grandi rinnovamenti. Fu questa la Chiesa in cui, specialmentedopo la conclusione dell’ultimo sforzo di riunificazione imperiale del mondo mediterraneo con Giustiniano(527-565), l’E. romana e germanica trovò il suo punto di riferimento nel crollo anche materiale della civiltàantica. In quei secoli declino demografico, profonda involuzione economica, eclissi delle città, rovina di tuttele infrastrutture civili (strade, edifici, servizî), estrema attenuazione dei traffici e rarefazione della moneta,dispersione del patrimonio culturale con la distruzione della maggior parte della letteratura e dell’arte antica,abbassamento generale del grado di istruzione e di cultura, diedero il senso di un invecchiamento e di unimbarbarimento del mondo. Specialmente nel 7 sec. questo processo divenne generale e profondo. A renderlopiù impressionante e acuto concorse l’affacciarsi nel mondo mediterraneo di un nuovo elemento storico,l’Islam, che si distese rapidamente dalla Siria alla Spagna, conquistando la Sicilia, minacciando perlunghissimo tempo l’E. cattolica non meno che il superstite impero romano di Costantinopoli, limitandone irapporti reciproci. Costantinopoli reagì, tuttavia, con energia e riuscì a configurare nei Balcani e in Anatoliauno spazio di civiltà che, oltre a svolgere un grande ruolo nella cristiniazzazione e nell’incivilimento dei popolislavi diventati l’elemento etnico caratterizzante dell’E. Orientale e balcanica, contestò a lungo con successol’affermazione dell’Islam nel Mediterraneo, tornò ad essere presente in alcune regioni dell’Italia meridionale,conobbe ripetute stagioni di fioritura culturale. Non era più, in effetti, un impero «romano», anche secontinuava a definirsi così: il nome storiografico di «bizantino» (dal nome precedente di Costantinopoli,Bisanzio) ne dice meglio l’originalità. Islam e Bisanzio formarono, comunque, le punte avanzate del mondomedievale, del mondo cioè che funse da ponte tra l’antica civiltà mediterranea e l’E. moderna. Lo spazioeuropeo rimase a lungo, al confronto, uno spazio arretrato, sottosviluppato, dipendente. Riorganizzarvi la vitacivile fu impresa lunga e difficile. La Chiesa ne fu certamente, come si è detto, un punto essenziale diriferimento: a Roma, dove con papa Gregorio I (590-604) si consolidò il primato pontificio e si determinò lasua vocazione-missione cattolica; ovunque coi suoi vescovi, che coagularono e preservarono quel che restavadel mondo cittadino; coi suoi monaci, ai quali Benedetto da Norcia (480-547) diede una regola nuova di vitareligiosa e di presenza e attività sociale. Si rivelarono, invece, caduchi gli stati romano-germanici sorti fra il 5e il 6 secolo, tranne quello dei Franchi, nel cui ambito si cominciò ad affermare una tendenza allariorganizzazione della vita civile fondata sulla delega di poteri e funzioni pubbliche, nonché immunitàterritoriali e privilegi ai capi periferici di gruppi etnici e sociali in cambio del servizio da prestare al re inguerra e in pace: prima delineazione di quello che sarebbe stato il sistema feudale, con la sua sostituzione divincoli e obblighi personali alla dipendenza istituzionale generale dall’autorità sovrana. I Franchi furono anchei primi Germani a convertirsi, con Clodoveo (466-511), al cattolicesimo, e i rapporti dei loro sovrani con Romacostituirono via via un ulteriore elemento di riferimento e di caratterizzazione della tradizione europea oranascente. I successori di Clodoveo (i re merovingi e «fannulloni») furono via via sostituiti nel potere dai loro«maggiordomi», che con Pipino di Heristal (m. 714), con Carlo Martello (m. 741) e con Pipino il Breve (m.768) alla fine ne usurparono il trono. L’opera della nuova dinastia fu grandiosa. Carlo Martello fermò aPoitiers nel 732 i Musulmani, che avevano passato i Pirenei, la struttura prefeudale del potere fu consolidata, ilregno franco occupò l’intero spazio dell’antica Gallia romana dal Mediterraneo al Reno. E a questi sovrani sirivolsero i papi di Roma per esserne protetti contro i Longobardi, la cui invasione in Italia nel 568 avevaprodotto, con la divisione politica del paese tra Nord e Sud, un costante motivo di frizione con la Chiesa, cheandava contemporaneamente imponendo una sua sovranità temporale sulle terre che avrebbero formato loStato pontificio. Il figlio di Pipino il Breve, Carlo (768-814), sviluppò appieno i motivi del successo franco.Chiamato anch’egli da Roma, sottomise il regno longobardo e ne cinse la corona (774); egualmente fece conl’altro popolo germanico dei Bavari (788); con una serie di campagne protrattesi per un trentennio (dal 772all’804), sottomise i Sassoni, stanziati fra il Reno e l’Elba; allontanò la minaccia del popolo mongolico degliAvari nella valle del Danubio con un’altra serie di campagne dal 791 all’805; varcò i Pirenei e, nonostante ungrave rovescio subito a Roncisvalle (778), assunse il controllo della Catalogna e della Navarra. A quel punto il

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suo dominio si estendeva dall’Ebro all’Elba, dal Mare del Nord all’Adriatico, dal Danubio al Tevere. Non eraingiustificato che si pensasse a un riconoscimento anche istituzionale di una tale potenza che, tranne i regnianglo-sassoni in Inghilterra e i principati longobardi superstiti nell’Italia del Sud, comprendeva ormai l’interaE. romano-germanica. Lo si ebbe nella notte di Natale dell’800, quando il papa Leone III incoronò Carlo inRoma come imperatore romano. Fu iniziativa della corte franca, presso la quale si era formato un notevolegruppo di intellettuali, o della Chiesa di Roma, che intendeva così recidere ogni residuo legame conCostantinopoli e procurarsi un protettore e difensore, che però ne fosse anche il braccio temporale?. Laquestione ha minore importanza dell’effetto, che fu di dar vita a una realtà politica intorno alla quale avrebbegravitato la storia europea e dalla quale si sarebbe venuta svolgendo la successiva espansione di quello che sipuò riconoscere come momento di definitiva individuazione dell’E. quale si è poi storicamente affermata.Particolarmente da sottolineare è la conquista del territorio germanico oltre il Reno, al quale, come alDanubio, Roma si era fermata. Con Germani e Slavi il quadro dell’E. moderna era completato. Mal’europeizzazione (per così dire) degli Slavi, sui quali l’influenza maggiore sarebbe stata quella di Bisanzio edella Chiesa ortodossa, avrebbe avuto tempi e modi assai differenti. Carlo (che per tante imprese fu chiamatoCarlomagno) condusse una sagace politica di governo del suo impero, di cui nell’812 impose il riconoscimentoa Costantinopoli. Il sistema feudale si precisò con la divisione del territorio in contee e marche periodicamenteispezionate da missi dominici, con una legislazione imperiale formulata in numerosi «capitolari», con assembleeannuali dei dignitarî e dei signori oltre che dell’alto clero. Si ebbe anche una certa rifioritura economica e, perqualche tempo, una vivacità culturale che ha fatto parlare di «rinascimento carolino». Naturalmente, avevanogrande rilievo i rapporti con la Chiesa. Nella tradizione europea la prassi carolina fu assunta a modello di unaccordo e di una convergenza che, nella misura in cui vi furono, vanno riconosciuti come effetto più dellecircostanze che di un programma definito. La grande costruzione di Carlomagno non si rivelò, tuttavia,duratura. Gli elementi interni ed esterni di crisi da lui affrontati continuarono ad operare. Se ne aggiunsero,anzi, di nuovi, fra cui, all’interno, l’espansione generalizzata del sistema feudale e un sistema di successione altrono per cui lo stato, considerato patrimonio della famiglia reale, poteva venire diviso fra più eredi delsovrano defunto. Ciò portò nell’843 ad una tripartizione tra un regno dei Franchi occidentali (che sarebbestato la diretta matrice della Francia moderna), un regno dei Franchi orientali (che avrebbe segnato l’ambitoiniziale del mondo germanico moderno) e una Lotaringia (o regno di Lotario, che oltre a comprendere l’Italiadalle Alpi al Tevere, anticipava la tendenza ad una realtà intermedia e autonoma fra Francia e Germania elasciò, comunque, il suo nome alla Lorena). Nell’887, deposto l’ultimo diretto discendente di Carlomagno, ladivisione si accentuò. Francia, Italia e Germania seguiranno ormai percorsi paralleli. Ma Italia e Germaniaverranno di nuovo unite sotto la corona imperiale ad opera di Ottone I dopo la metà del secolo X, formandoquello che nella storia europea sarebbe rimasto ancora per molti secoli il Sacro Romano Impero (benchéquesto termine non appaia prima della metà del 13 sec.). Nello stesso tempo Vichinghi e Normanni, Slavi,Ungari, Saraceni, Bizantini avrebbero premuto ulteriormente sulle terre che Carlomagno aveva riunito sotto ilsuo scettro e su quelle vicine. Si è potuto parlare, quindi, per il 10 sec. di una «E. assediata». Non c’è dubbioche il nome E. avesse preso intanto a circolare con un significato nuovo. Tra il sec. 8 e il 10 si parla non solodi E., bensì anche di europeenses, europei. Ma il sentimento di un’unità morale e civile delle genti europee èancora lontano da una vera maturità. Per ora ciò che più lo sorregge o ne fa le veci è il legame con la Chiesa diRoma. Esso non è espresso del tutto ed esclusivamente né dall’Impero di Carlomagno, né da quello italo-germanico di Ottone I, mentre certamente contribuiscono a definirlo ancor di più le rotture della Chiesaromana con Costantinopoli, prima (nel sec. 7 ) per la questione del culto delle immagini, poi (nel sec. 11 ) conla separazione fra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa. Lo spessore di questi sviluppi è, anzi, tale che essi nonsoffrono molto né dell’eclisse imperiale dopo l’887, né della crisi che porta il papato a ridursi nel sec. 10 aoggetto di violente lotte tra le famiglie più potenti di Roma, né del dilagante particolarismo (essenzialmentefeudale) che contemporaneamente disarticola, dopo l’Impero, anche le formazioni politiche sorte sul suotronco e quelle dei territorî contermini. L’«età di ferro» tra la fine del sec. 9 e gli inizî del sec. 11 ,caratterizzata da questi elementi di lacerazione e di precarietà, si chiude dopo il Mille con una «nascita dell’E.»più duratura e con un’E. via via più consapevole e più sicura di sé. La Chiesa si riprese con una grande azionedi riforma, che la portò non solo a connotarsi come organismo spirituale autonomo da ogni condizionamentoprofano, ma anche a porsi come potere universale nella vita politica e civile dei paesi cattolici. La «lotta delleinvestiture» fu la sanzione di questo duplice processo. Da Gregorio VII a Innocenzo III e a Bonifacio VIIIprende forma una gerarchia ecclesiastica che fa capo a Roma, una monarchia pontificia sulla Chiesa, che èl’emblema di una reductio ad unum perseguita parimente nei rapporti fra potere spirituale e potere temporalesia dentro che fuori dei confini dell’Impero, con il quale soprattutto e innanzitutto il confronto tra i due poteriviene condotto. Non è una iniziativa puramente curiale e teocratica. La Chiesa rivela in questi secolifervidissimi una straordinaria forza e capacità nel riflettere, organizzare, assorbire, modellare, modificare leistanze che con uno slancio inesauribile provengono dal seno stesso della società europea. Essa combatte gliimperatori germanici da Enrico IV a Federico II, che ne contestano il primato e la rivendicazione disuperiorità dello spirituale sul temporale, e, insieme, i movimenti religiosi che si allontanano dal moduloromano o si contrappongono a esso in un’ansia ricorrente di perfezione morale e di ascesa spirituale; sostiene lalotta delle forze autonomistiche e delle popolazioni contro i sovrani con i quali essa è in rotta e l’azione deisovrani che la riconoscono e nei quali essa si riconosce per affermare il proprio potere; è promotrice delle

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crociate con cui l’Occidente rompe l’assedio dell’E. e marcia contro gli infedeli oltre i confini della «piccola E.»di Carlomagno nel Mediterraneo, in Spagna, nel Vicino Oriente, ad est e a nord; come pure si serve dellecrociate per combattere dissidenti, avversarî politici, poteri temporali, popoli da sottomettere e paesi daconquistare nell’ambito stesso della cristianità; è protagonista di una grandiosa stagione artistica e intellettuale;fa rinascere con la Scolastica la grande filosofia, che copre l’E. di una «candida veste di chiese» e diinnumerevoli opere d’arte religiose e civili, nel linguaggio prima del romanico e poi del gotico, di egualedimensione europea; tiene a battesimo la nascita delle letterature europee e la rinascita, col diritto canonico, diun grande pensiero giuridico; è riconosciuta come autorità morale e culturale nelle università, la nuovaistituzione in cui si prepareranno il pensiero e la scienza dell’E. moderna; contrasta, da un lato, conl’inquisizione ciò che viene da essa dichiarato al di fuori della sua norma, dall’altro stimola potentemente lavita economica con l’amministrazione e la valorizzazione delle sue proprietà e con i movimenti finanziarîrichiesti dalla sua nuova struttura e dal suo ruolo; entra con i nuovi ordini religiosi del sec. 13 , soprattutto coni francescani e i domenicani, nelle città nascenti o rinascenti, numerosissime nell’E. che cresce moralmente ematerialmente; impone e depone sovrani e legittima titoli e poteri; riafferma l’inviolabilità delle coscienze edello spirito rispetto a ogni pressione o violenza di forza o di potere, pur pretendendo per sé un magisterosenza dialettica e senza alternativa. L’altra grande istituzione dell’E. cattolica, l’Impero, non sembrapresentare un bilancio corrispondente. A parte la sua riduzione all’ambito italo-germanico, esso apparecontinuamente eroso dall’insorgere di forze autonomistiche, particolaristiche, locali, che si affermano comenuovi centri di vita politica e sociale. Questo fermento contraddistingue, anzi, la vicenda del potere imperialeben più che quella non meno travagliata delle monarchie feudali europee dentro e fuori dei suoi confini, cosìcome assai più forte e radicale è nei suoi confronti la contestazione che Roma muove al potere temporale. Perfronteggiare una dinamica così complessa e dirompente gli imperatori si appoggiano allo stesso clero, oltre chea una parte dei loro vassalli contro quelli che sul momento appaiono i più renitenti. La sacralità della lorofigura nella tradizione carolingia non impedisce che essi finiscano con l’apparire i capi di un partito più che deisovrani. Nel sec. 13 nella contrapposizione tra guelfi e ghibellini ciò venne ad estrinsecarsi in una moltepliceostilità: dei fautori della Chiesa contro quelli dell’Impero, dei sostenitori dei diritti particolari e delleautonomie contro quelli dell’autorità imperiale, dei seguaci delle famiglie più legate volta per volta ad unadelle due cause contro quelli delle famiglie rivali. Ma guelfismo e ghibellinismo, e in Italia assai prima e piùche in Germania, si risolsero largamente in etichette sotto le quali erano fatti passare gli interessi immediati especifici delle forze in campo, senza giovare neppur essi alla costituzione di forti centri politici egemonici, senon unitarî. Meno che mai gli imperatori riuscirono a stabilire un principio dinastico ereditario se non perbreve tempo. Sassonia nel sec. 10 , Franconia nei secc. 11 e 12 , Hohenstaufen nei secoli 12 e 13 fallironoegualmente nell’impresa, in questo contrastati sempre più spesso dal papato. Decisivo fu lo scontro tra Roma eFederico II (1214-50). Alla fine, dopo un interregno (1254-73) e un lungo periodo di nuove oscillazioni e lottedinastiche, la successione si sarebbe consolidata dal 1437 nella casa d’Asburgo. Ma l’Impero era ormai solouna confederazione dai vincoli molto deboli, presieduta da un sovrano per il quale non meno che per tutti glialtri gli interessi dinastici venivano prima di quelli della istituzione. Con tutto ciò, l’esperienza imperiale nonpuò essere considerata unicamente nei suoi aspetti caduchi o alla stregua del fatto che la Chiesa manifestò unaben diversa capacità di durata e di proiezione storica. L’Impero rappresentò una istanza alta del pensiero e delsentimento dell’E. che, enucleatasi rispetto all’Oriente, usciva dall’«assedio» e si disponeva alla sua grandefioritura medievale e moderna. Rispetto alla Chiesa esso prefigurò in qualche modo, e sia pureretrospettivamente assai più che nell’attualità, l’idea dello stato laico e dell’autonomia dei valori civili e politicirispetto a quelli religiosi. Fu, inoltre, in rapporto a esso che si definì la personalità storica un po’ di tutti i paesieuropei, anche al di là dell’ambito italo-germanico. Il principio che i re nei loro regni (e ogni potere sovrano)non potessero riconoscere un’istanza sovrana superiore era, anzi, un complemento e uno sviluppo dellerivendicazioni imperiali e laiche di autonomia rispetto alla Chiesa. Il concetto moderno di sovranità avrebbetrovato qui le sue scaturigini, rafforzate da una ripresa dei principî del diritto romano, a cui proprio l’Imperodiede impulso, specie sotto alcuni sovrani e in determinati momenti. Infine, e più specificamente, Italia eGermania trovarono nell’Impero la matrice della loro specifica, rispettiva fisionomia storica, contrassegnata daun pluralismo statale e politico che avrebbe ricevuto una risoluzione unitaria solo dopo molti secoli.Rispetto sia alla Chiesa che all’Impero gli stati a base etnica o regionale, i principati ecclesiastici e feudali, lemonarchie di più o meno antica ascendenza, le città che riuscirono ad affermare una loro corposa autonomia oaddirittura indipendenza, le formazioni politiche più o meno durature a cui diedero vita combinazionidinastiche o vicende politiche e militari, le leghe o confederazioni di città o di signori, i poteri che siaffermarono tradizionalmente in ambiti più o meno larghi e notevoli furono, in effetti, in E. le realtà delfuturo. La varietà delle forme non deve far perdere di vista la linearità di alcuni tipi fondamentali. In Francia,in Inghilterra, nella Penisola Iberica, nei principati tedeschi all’interno dell’Impero, la monarchia feudalevenne evolvendo verso un progressivo ristabilimento della centralità del potere regio. Lo stesso modellofeudale seguirono sostanzialmente, ma tra molte variazioni, le monarchie nuove che si affermarono in Polonia,in Russia, nello spazio danubiano, nel Mezzogiorno d’Italia, nelle terre di Danimarca, Scozia, Scandinavia. InItalia centro-settentrionale l’affermazione dei comuni nei secc. 11 e 12 diede vita a una serie di città-stato,che rinnovarono per molti aspetti l’esperienza di quelle elleniche e che però, tranne qualche eccezione digrande rilievo (Venezia, Genova), dissolsero ulteriormente il quadro imperiale trasformandosi prima in

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signorie e poi in principati a base tendenzialmente regionale. Fuori d’Italia le autonomie cittadine nongiunsero a un grado pari di sviluppo politico, ma specialmente in Germania, in un quadro imperiale rimastocomunque alquanto più consistente che in Italia, le città libere furono un elemento importante del panorama edella tradizione politica tedesca e la loro lega (la Hansa) andò oltre il piano commerciale sul quale era sorta. Lostesso Stato della Chiesa – che dagli albori, sotto papa Gregorio I, al sec. 14 aveva subito lunghe traversie, masi era alfine meglio consolidato e definito – fornì, con la curia romana e con l’amministrazione centrale dellaChiesa, un suo modello originale di stato, che non fu senza influenze nell’esperienza politica europea. Lo statocantonale e confederale degli Svizzeri, enucleatosi dall’Impero alla fine del sec. 13 , fu, a sua volta, un altroesempio della tendenza alla formazione di molteplici modelli statali. Si trattava di un’E. che, pur subendoancora invasioni barbariche, come quella mongola (che nel sec. 13 si era spinta fino all’E. centrale,sottomettendo le popolazioni russe), aveva conosciuto dal sec. 11 in poi uno sviluppo economico, innanzituttoagrario, e demografico intensissimo. Agli inizî del sec. 14 l’economia europea presentava settori e aspettigiunti a grande maturità intorno a due aree, l’Italia comunale e le Fiandre, che ne costituivano le punteavanzate. Si formarono grandi risorse finanziarie e alla disponibilità dei capitali si congiunse l’iniziodell’impiego di tecniche bancarie e contabili moderne, che resero possibili una gestione del denaro fortementeproduttiva, una ripresa della circolazione monetaria come mezzo dominante di pagamento, la formazione di unmercato europeo, l’ulteriore espansione commerciale ben al di là dei limiti carolingici della «piccola E.».Riconquistata la Sicilia nel sec. 11 e via via gran parte della Spagna musulmana, nonché forti delle posizioniacquisite nei secc. 11 e 12 anche con le crociate nel mondo musulmano (e con la quarta crociata del 1202-04nel mondo bizantino), gli Europei (soprattutto gli Italiani) assunsero la leadership dei traffici mediterranei erovesciarono il rapporto precedente di inferiorità verso l’Oriente. Venezia e Genova si costituirono veri imperimercantili e coloniali, ma anche altre città mediterranee, in particolare Barcellona, ascesero a grande potenzacommerciale e finanziaria.Agli inizî del sec. 14 la geografia politica europea era già nettamente delineata in molti dei tratti che dovevanorimanere caratteristici anche in seguito. La solidità del nuovo edificio continentale fu collaudata dallagravissima crisi economica e demografica sopravvenuta alla metà del secolo, di cui la «peste nera» segnò unmomento drammatico. Da essa l’E. uscì stremata nelle sue forze, ristrutturata nell’economia e nella geografia,meno popolosa, ma non corse alcun rischio di dissoluzione del suo quadro civile. Dopo una ulteriore fase distagnazione, dalla fine del sec. 15 le forze vitali avrebbero ripreso il sopravvento e avrebbero aperto un’altralunghissima fase di espansione economica e demografica che si sarebbe protratta fino alla prima metà del sec.17 , consolidando e sviluppando il quadro tecnico, produttivo, mercantile, finanziario che costituiva la grandeeredità europea uscita indenne dalla crisi del sec. 14 . Non furono, però, soltanto la crisi e la stagnazioneeconomica a caratterizzare i secc. 14 e 15 . Fu allora anche ridisegnata per molti aspetti la carta politicaeuropea. Una lunga serie di conflitti oppose dal 1337 al 1453 (guerra dei Cento anni) le monarchie francese einglese, sciogliendo i due paesi dai confusi vincoli feudali che avevano legato la seconda alla prima. In Italia,falliti gli sforzi egemonici dei suoi varî stati, si affermò tra quelli maggiori (Milano, Firenze, Venezia, Roma,Napoli) una «politica dell’equilibrio», che anticipò i criterî dei rapporti di potenza poi prevalsi nell’E. moderna.In Germania alcune dinastie consolidarono le loro signorie territoriali nell’ambito dell’Impero (Baviera,Austria, Sassonia, Brandeburgo fra le maggiori) e la floridezza e potenza delle città della Hansa giunsero alloro apogeo. Ma l’espansione del germanesimo verso est, che era proseguita ininterrotta dal sec. 11 in poi eaveva germanizzato le popolazioni slave fin oltre l’Oder e insediato forti nuclei tedeschi in tutta l’E. centro-orientale, venne fermata agli inizî del sec. 15 dalla unione della Polonia e della Lituania sotto gli stessisovrani. Non ebbe, invece, successo il tentativo dei duchi di Borgogna di imporsi come grande potenza traFrancia e Germania nel vecchio spazio lotaringico. Analogo fallimento toccò al più volte ripetuto tentativo diformare un grande stato nello spazio danubiano, e le spesso ricorrenti riunioni delle corone di Boemia,Ungheria e Polonia si sciolsero altrettanto spesso. Ma un’esigenza di tal genere fu messa in maggiore evidenzadalla conquista turca dei Balcani, che nel 1453 culminò con la caduta di Costantinopoli nelle mani dei sultaniottomani. Lo slancio turco sarebbe poi proseguito ulteriormente, portando nel 1526 alla conquistadell’Ungheria, una cui piccola parte e la congiunta corona di Boemia passarono allora agli Asburgo. Solo ilfallimento dell’assedio posto a Vienna nel 1532 fermò la marcia ottomana lungo il Danubio. L’eredità diCostantinopoli come centro della Chiesa ortodossa fu, invece, raccolta dal nuovo stato russo che, formatosiintorno a Mosca, tra la fine del sec. 15 e gli inizî del 16 estingueva la sudditanza verso i Mongoli, fermaval’espansione lituano-polacca verso est, iniziava la lunga azione per imporre ai signori feudali (i boiari) e ai loroprincipati la supremazia del sovrano moscovita, che nel 1547 prese il titolo di zar (caesar, imperatore), aulteriore testimonianza del rapporto con la Bisanzio cristiana e imperiale, diventata ora Istanbul. All’altro capod’Europa, nella Penisola Iberica, si concludeva nel 1492 con la presa di Granada la riconquista cristiana delpaese. Tre forti nuclei statali erano emersi nel paese. A ovest il Portogallo, che nel corso del sec. 15 sviluppòuna grande politica marinara e coloniale, spingendosi sulla costa africana fin oltre il Golfo di Guinea eraggiungendo nel 1488 il Capo di Buona Speranza. A est l’Aragona, che si avvaleva delle grandi energie diBarcellona, aveva formato un impero mediterraneo, che dalle Baleari si estese fino alla Sardegna, alla Sicilia eNapoli (quest’ultima poi lasciata a un ramo bastardo della dinastia). Al centro la Castiglia, che formò dal Golfodi Biscaglia allo Stretto di Gibilterra una solida potenza militare ed economica.

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L’età moderna. – Furono i paesi iberici le basi per le grandi scoperte geografiche inaugurate da Colombo nel1492, mentre Vasco de Gama giungeva nel 1498 nella vera India. Le scoperte erano anche una espressione delnuovo spirito europeo. Nei secc. 14 e 15 si era avuta, fra le altre, anche una profonda crisi ecclesiastico-religiosa. Le pretese teocratiche di Roma provocarono coi sovrani urti meno felici nei loro esiti di quelli ormaitradizionali con l’Impero. Bonifacio VIII fu umiliato da Filippo IV il Bello re di Francia nell’episodio famosodello «schiaffo di Anagni». Poi il papato si trasferì da Roma ad Avignone e vi rimase dal 1309 al 1377,proseguendo l’opera di centralizzazione ecclesiastica, ma con grave danno del suo prestigio. Col ritorno aRoma si aprì un’epoca di grandi lacerazioni: si contrapposero due e perfino tre papi e obbedienze cattoliche. IlConcilio di Costanza (1414-18) e quello di Basilea (1431-49) sembrarono mettere a rischio la monarchia papalenella Chiesa. Infine, Roma riprese il controllo della situazione, ma il mondo cattolico non era, tuttavia, più lostesso. La profonda unità che lo spirito religioso aveva conferito alla vita spirituale e morale dei secoliprecedenti era tramontata, insieme con la fede e l’ansia degli «ultimi tempi». Ora era possibile distinguere unareligione popolare da quella delle élites; ma attese messianiche e sete di una vita spirituale pura e intensapermanevano (come si vide con le eresie di Wycliff e di Hus) e contrastavano fortemente con unamondanizzazione progressiva del papato, che si espresse fra l’altro nel nepotismo pontificio con la costituzionedi principati per i familiari dei papi, nell’accentuata venalizzazione delle cariche ecclesiastiche edell’amministrazione dei sacramenti, negli opportunistici cedimenti alle pretese dei sovrani di controllare inqualche modo la Chiesa dei rispettivi paesi, nella politica condotta dallo Stato Pontificio in Italia, e inparticolare nell’apertura del papato alla nuova cultura del tempo. Una vera e propria rivoluzione culturale siera avuta, infatti, col passaggio dalla cultura della Scolastica a quella dell’Umanesimo e del Rinascimento.Questa, senza negare il quadro generale della professione di fede cristiana, vi introduceva forti elementi dilaicità, naturalismo, immanentismo e, sotto il manto di una forte esaltazione dei modelli greci e romani,costruiva in realtà alcune premesse fondamentali dello spirito moderno, a cominciare dalla lotta contro ilprincipio di autorità e dall’affermazione di valori come quello dell’eccellenza e dignità dell’uomo o quello dellabellezza. Contemporaneo fu pure il diffondersi di uno spirito scientifico, di cui nel sec. 15 furono effetto lacritica e la filologia moderne, nonché alcune grandi invenzioni come la polvere da sparo e, soprattutto, lastampa. Così un’Europa rinvigorita nelle sue risorse e nelle sue strutture poté lanciarsi agli inizî del sec. 16sulle vie del mondo e impegnarsi in una serie di lotte interne che ne avrebbero profondamente trasformato lafisionomia politica e religiosa. Le «guerre d’Italia» furono il crogiolo in cui si formò il nuovo sistema politicoeuropeo. Nate dalle pretese dei re d’Aragona e di Francia sul trono di Napoli, esse determinarono un lungosuccedersi di conflitti, da cui uscì minorata la condizione dell’Italia, dove Milano e Napoli si aggiunsero aidominî dei sovrani spagnoli, Genova fu tratta nella loro orbita, Venezia dovette ridimensionare le sueprospettive, lo Stato Pontificio si salvò per il peso morale del papato, la Toscana formò un Granducato che,come gli altri stati minori della penisola, subiva l’egemonia e il controllo spagnolo. Nel corso delle guerreitaliane si dissolse l’equivoco per cui inizialmente era apparso che la Francia fosse la potenza destinataall’egemonia sull’Occidente. Una straordinaria serie di matrimonî e di successioni mise nelle mani di Carlod’Asburgo (1500-58) i Paesi Bassi e i superstiti dominî borgognoni dal 1506, Aragona e Castiglia dal 1516, ipaesi austriaci e il titolo imperiale dal 1519. Non a caso quelli spagnoli furono considerati fra questi dominî ipiù importanti. Nella prima metà del secolo nascevano in America l’impero portoghese in Brasile e quellodella Spagna, ben più ricco ed esteso, dal Messico alla Terra del Fuoco, che assicurava ai sovrani di Castigliaenormi risorse finanziarie. La marcia trionfale verso una nuova «monarchia universale» fu, però, decisivamenteostacolata a Carlo V dalla secessione religiosa iniziata da Lutero, che contrappose i protestanti o riformatori aicattolici e a Roma. La questione religiosa divenne politica. Gran parte dei principi germanici sostenne,insieme con la causa di Lutero, quella della propria autonomia rispetto all’Impero e fu perciò appoggiata dallaFrancia. Alla fine si dovette riconoscere il passaggio al protestantesimo della maggior parte della Germania. Laposizione di Carlo V era insidiata, nello stesso tempo, anche dai Turchi, che dilagavano nel Mediterraneo e nel1532 giungevano ad assediare Vienna, anch’essi in alleanza coi Francesi. Abdicando nel 1556, Carlo Vriconosceva l’impossibilità di un Impero «universale»: al figlio Filippo lasciò i Paesi Bassi, l’Italia e i reamispagnoli coi dominî americani; al fratello Ferdinando, dal quale iniziava così una nuova linea asburgica aVienna, i paesi austriaci e il titolo imperiale. Ma anche così la Spagna di Filippo II, che stabilì a Madrid la suacapitale, rappresentava sicuramente il più potente paese d’E., con un impero (di cui facevano parte varî puntidella costa nordafricana, nonché le Canarie e le Filippine, così denominate in onore del re) senza precedentinella storia per il suo carattere mondiale. Il determinarsi della preponderanza spagnola non poteva, tuttavia,offuscare l’importanza epocale della Riforma protestante che, contemporaneamente, e con Calvino oltre checon Lutero, si era diffusa non solo in Germania, ma in Scandinavia, in Inghilterra, in Francia, nei Paesi Bassi,in Svizzera, in molte parti dell’E. Centrale e Orientale, affacciandosi anche in Spagna e in Italia. La Riformasegnò, in effetti, l’avvento di una nuova intuizione religiosa che confliggeva profondamente con quellacattolica. L’esperienza religiosa soggettiva del fedele affermava il principio della libertà di coscienza e ponevail problema della tolleranza al di là dell’accordo che ad Augusta nel 1555 stabilì la professione religiosa deisovrani come decisiva per il culto da riconoscere nei rispettivi paesi. Il cattolicesimo rispose con laControriforma (o Riforma cattolica), che riorganizzò profondamente la Chiesa, migliorò di molto lapreparazione culturale e religiosa del clero, promosse la repressione attraverso un ufficio romanodell’Inquisizione e l’indice dei libri proibiti, pose fine al nepotismo pontificio limitandolo agli ufficî e alle

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cariche curiali ed ecclesiastiche, sollecitò il potere temporale ad una difesa rigorosa dell’ortodossia cattolica,cercò di eliminare gli aspetti mondani e profani che dal mondo protestante facevano guardare a Roma come aduna nuova Babilonia e alimentavano una forte corrente di antiromanesimo. Nuovi ordini religiosi sostenneroquesta complessa azione e in primo luogo la Compagnia di Gesù, che influì profondamente sulla formazionedelle classi dirigenti nei paesi cattolici, raccolse ed epurò ai suoi fini la tradizione umanistica, penetrò nellecorti e nei governi coi suoi consiglieri e confessori. Non era una nuova religiosità come quella protestante, mauna religiosità rinnovata, che si estrinsecò in un evidente fervore di pietà, di cultura, di arte. L’opposizione tracattolici e protestanti dominò la scena politica europea per oltre un secolo dopo la sistemazione di Augusta. LaSpagna di Filippo II svolse sotto questo profilo una grande azione politica, fermando l’avanzata turca nelMediterraneo a Lepanto nel 1571 (fu decisivo l’apporto veneziano), rivendicando e ottenendo nel 1580 per isuoi titoli dinastici la corona portoghese coi suoi dominî, reprimendo il moto protestante nei Paesi Bassi doveesso si trasformò nella rivolta delle province settentrionali, sostenendo i cattolici francesi nella guerra civile coiprotestanti e tentando di piegare l’Inghilterra con la spedizione della Invencible Armada nel 1588. Il grandedisegno fallì, così come quello del padre Carlo V. In Francia quasi quarant’anni di guerre di religione,punteggiati da episodî feroci, come la strage dei protestanti della «notte di San Bartolomeo» del 1572, finironocon l’assunzione al trono di Enrico IV: protestante, egli si convertì al cattolicesimo («Parigi val bene unamessa») e concluse la pace con Filippo II, ma riconobbe libertà di culto ai suoi ex correligionarî con l’editto diNantes. L’Invencible Armada naufragò sulle coste inglesi: il successore Filippo III concluse la pace conl’Inghilterra nel 1603 e una tregua con i ribelli olandesi nel 1609. Sotto Enrico IV la Francia tornò a unapolitica di grande potenza, che, interrotta da una nuova crisi dopo il suo assassinio nel 1610, riprese a ben piùlunga scadenza sotto il figlio Luigi XIII e il suo ministro Richelieu, mentre Inghilterra e Olanda sitrasformavano in grandi potenze navali, commerciali e coloniali. Una nuova fase fu avviata nel 1618 con laguerra dei Trent’anni, che ebbe a suo teatro soprattutto la Germania, questa volta per iniziativa degli Asburgodi Vienna. La Spagna, sotto il governo dell’Olivares, li appoggiò e con un nuovo e maggiore sforzo egemonicoapparve prossima al successo. Nel 1635 intervenne nel conflitto la Francia. In pochi anni la potenza politica emilitare di Madrid fu messa in ginocchio. Stremati dallo sforzo imperiale, la Catalogna, il Portogallo, Napoli,Palermo si ribellarono. Nel 1648 le paci di Vestfalia sancirono l’impossibilità di riprendere il controllo dellaGermania, dove l’autorità imperiale subì un’ulteriore riduzione nei confronti degli stati territoriali. Nel 1659fu conclusa, con la pace dei Pirenei e alcune importanti cessioni territoriali, la guerra con la Francia. Poi fu lavolta del riconoscimento dell’indipendenza olandese e portoghese.La Spagna rimaneva un grande impero, con un ruolo di primo piano nella politica internazionale. Essa vissenei secc. 16 e 17 il siglo de oro della sua civiltà, dando un contributo altissimo alla storia dell’arte e dellacultura europea. Ma non era più in grado di prendere l’iniziativa di una grande azione politica, avendo, anzi,ora bisogno di appoggi e di alleanze per mantenere la sua posizione. Nell’E. del tempo, esausta per il lungosforzo bellico, la nuova profonda crisi economica e demografica che la colpì a partire dal 1620 in poi e unaserie di agitazioni sociali e politiche hanno fatto parlare gli storici di una crisi generale del Seicento. InInghilterra la dinastia degli Stuart, salita al trono nel 1603, entrò in urto, anche per i suoi sforzi assolutistici,con l’opinione protestante (anglicana e calvinista) dominante nel paese. Ne nacque una lunga guerra civile, chesi concluse nel 1649 con la decapitazione del re Carlo I e la proclamazione della repubblica sotto il governo diOliver Cromwell. Poi nel 1660 furono restaurati gli Stuart, ma, riproducendosi il loro antagonismo col paese,nel 1688 una nuova incruenta rivoluzione li allontanò definitivamente e ristabilì la monarchia su basiprotestanti e non assolutistiche. In Francia, dove nel 1643 Luigi XIV era succeduto, a due anni, al padre e ilMazzarino a Richelieu, oltre a una lunga serie di rivolte contadine, fra le maggiori delle molte verificatesi intutta E. nel secolo, si ebbero fra il 1648 e il 1652 le due rivolte della Fronda (quella parlamentare e quella deiprincipi), che si conclusero con la piena restaurazione del potere monarchico. Francia e Inghilterra fornironoallora i modelli di regime intorno a cui avrebbe poi gravitato la vita politica europea. Non era ancora un pienoliberalismo quello inglese, né era un completo assolutismo quello francese. Aveva, però, un’importanzadecisiva il carattere prevalentemente aperto e dinamico del modello inglese e quello unificatore erazionalizzante del modello francese. La monarchia costituì allora l’istituzione più caratteristica del dirittopubblico in Europa. I regimi repubblicani non mancarono. Essi ebbero nelle città (specialmente italiane)esempî cospicui. Repubbliche rimasero Venezia, l’Olanda, la Svizzera, che furono tra il sec. 16 e il 18 , l’unadopo l’altra, l’oggetto di un mito del vivere libero, del buon governo, della saggezza politica. Ma li siconsiderava, in sostanza, come eccezioni alla norma. La monarchia di diritto divino, affermatasi in contrastocon i poteri medievali «universali» della Chiesa e dell’Impero, appariva come un potere la cui legittimità potevaessere presupposta come originaria, oltre che consolidata dalla tradizione. La legittimità assunse la forma dellatrasmissione ereditaria del trono; e ciò può far capire perché molti conflitti europei assunsero l’aspetto diguerre di successione e perché matrimonî e combinazioni dinastiche avessero un’importanza politicapreminente. Rare furono anche qui le eccezioni: stabilizzatasi di fatto l’ereditarietà dell’Impero negli Asburgo,sarebbe rimasta solo la Polonia a praticare l’elezione del re, con effetti peraltro disastrosi sulla suasopravvivenza di stato indipendente, tanto che alla fine del sec. 18 portarono alla sua spartizione tra Austria,Prussia e Russia.Amministrazione, diplomazia, eserciti e sistemi di imposte permanenti caratterizzarono la struttura stataledello stato moderno, così come una politica economica prevalentemente protezionistica e dirigistica, che

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privilegiava l’accumulazione monetaria e lo sviluppo commerciale (donde la definizione di mercantilismo). Iproblemi finanziarî furono, tuttavia, il vero tallone d’Achille delle monarchie. Il costo dello stato moderno eradi molto superiore a quello del vecchio ordinamento feudale, tanto meno complesso e largamente diffuso sulterritorio; ed era ulteriormente accresciuto dalle guerre e dalla politica dinastica. Le guerre erano, intanto,frequentissime. Luigi XIV, che prese di persona il governo in Francia alla morte di Mazzarino nel 1661, potédi nuovo avviare, nell’eclisse della potenza spagnola, una fase di grande politica di espansione. Guerra didevoluzione (1667-68), guerra d’Olanda (1672-78), guerra della Lega d’Augusta (1688-97), bombardamento diGenova (1684), «riunioni» alla Francia di Strasburgo e di varie zone d’Alsazia e Lorena (1681), espansionecoloniale in America (Canada e Luisiana), in India e in Africa ne segnarono le varie tappe ed aspetti. Lareazione delle potenze europee fu lenta, ma sempre più determinata, con un’applicazione sempre più esplicitae consapevole della politica di equilibrio, per cui a ogni spinta espansionistica rispondeva una coalizione che visi opponeva e a ogni guadagno territoriale di una potenza dovevano corrispondere guadagni altrui chebilanciassero il rapporto di forze generale. Così l’ingrandimento francese (con Strasburgo, la Franca Contea,varie piazzeforti fiamminghe, ecc.) fu compensato da quelli di Inghilterra e Austria, che emergevano ora comepotenze decisive per l’equilibrio (l’una sul mare e fuori d’E., l’altra sul continente), mentre Spagna e Olandaerano costrette a consumare le loro energie per far fronte all’offensiva del Re Sole, come in Francia vennedefinito Luigi XIV per lo splendore a cui portava la potenza della monarchia e l’economia, le lettere e le artidel paese. L’Olanda fu allora superata dall’Inghilterra, che aveva più volte vinto, ma conservò i suoipossedimenti nelle Indie orientali e in alcune parti d’Africa e d’America. Anche la civiltà olandese conobbeallora il suo massimo splendore, quasi facendo da ponte tra il «secolo d’oro» in Spagna e il «secolo di LuigiXIV» in Francia. Il sopravvento inglese nei commerci, nella navigazione mercantile e nella marina militareavrebbe poi avuto il suo collaudo nelle tre consecutive guerre di successione: la spagnola (1701-14), la polacca(1733-38) e l’austriaca (1740-48), dalle quali, mentre furono confermati i tratti caratteristici del sistemadell’equilibrio, la geografia politica europea venne fortemente mutata. La corona spagnola, estintosi il ramoasburgico disceso da Carlo V, toccò a un ramo cadetto dei Borboni di Francia, ma perse i suoi dominî d’Italia edei Paesi Bassi. Questi ultimi, più Milano, toccarono all’Austria. Napoli e la Sicilia andarono a un ramocadetto della nuova dinastia borbonica di Spagna. L’Inghilterra acquistò, con il possesso di Gibilterra, ilcontrollo dell’ingresso nel Mediterraneo. La Francia si assicurò la Lorena e migliorò i suoi confini verso ilReno. I duchi di Savoia divennero re di Sardegna, i marchesi di Brandeburgo re di Prussia, i duchi di Bavierae di Sassonia ottennero anch’essi il titolo regio. Fu l’apogeo della politica dell’equilibrio, con unridimensionamento delle superpotenze, Spagna e Francia, che avevano dominato da Carlo V a Luigi XIV, el’ascesa di nuove grandi potenze. L’Inghilterra aveva ormai conseguito posizioni coloniali di prim’ordine edera indiscutibilmente la prima potenza navale. L’Austria aveva non solo conseguito gli ingrandimenti dovutialla sua partecipazione alla spartizione dell’eredità degli Asburgo di Spagna, bensì anche acquistato unaposizione di primo piano nell’area danubiana. Gli Ottomani avevano manifestato ancora una forte capacitàespansiva, assediando Vienna nel 1683, centocinquant’anni dopo l’assedio del 1532. Fra queste date, anchedopo Lepanto, essi avevano ancora esercitato la loro spinta sia nel Mediterraneo che nei Balcani, sottraendo,fra l’altro, a Venezia l’isola di Creta con una lunga guerra venticinquennale (1644-69). Il fallimentodell’assedio di Vienna segnò invece l’inizio di un progressivo declino della loro potenza. Alla metà del sec. 18l’Austria aveva liberato totalmente l’Ungheria dalla soggezione che subiva dal 1526, giungendo fino inCroazia; e, a sua volta, la Russia aveva portato avanti una marcia sul Mar Nero e sul Caucaso, che riducevaulteriormente e gravemente lo spazio ottomano: una marcia che, proseguita con grande costanza, concorse giàprima della fine del secolo a fare della Turchia l’«uomo malato» dell’equilibrio europeo (quale sarebbe rimastaper tutto il sec. 19 ) e che affacciò l’eventualità di una presenza russa a Costantinopoli con ripercussionigravissime sull’equilibrio mediterraneo e continentale, cui soprattutto Inghilterra e Austria eranoestremamente sensibili. La Russia si affermò infatti nel corso del secolo, insieme alla Prussia, come nuovagrande potenza. Già nella seconda metà del sec. 17 si era assistito al declino di Svezia e Polonia, che dalla finedel sec. 16 dominavano rispettivamente lo spazio baltico e quello europeo-orientale ed erano stati alleatitradizionali della Francia nella sua lotta antiasburgica. La Russia ne trasse i maggiori guadagni, specialmenteda quando sotto Pietro I (1689-1725) prese a sviluppare una grande politica di occidentalizzazione del paese edello stato, di cui il trasferimento della capitale da Mosca a San Pietroburgo, da lui fondata sul Baltico,divenne il simbolo. A sua volta, la Prussia si era sviluppata come grande potenza militare e sotto Federico II(1740-86), oltre a rafforzarsi decisivamente su questo piano, aveva sottratto all’Austria l’importante regionedella Slesia e si era posta, con ciò stesso, quale temibile antagonista degli Asburgo nell’ambito germanico eimperiale. Proprio per fermare la sua marcia si combatté la guerra dei Sette anni (1756-63), che, con unclamoroso rovesciamento delle alleanze, associò l’Austria alla Francia e alla Russia. Appoggiatadall’Inghilterra, costante nella sua politica di equilibrio, la Prussia superò tuttavia indenne la tempesta, mentrela Francia fece tutte le spese di un conflitto che, da più di un punto di vista, può essere considerato la «primaguerra mondiale» combattuta da potenze europee, avendo interessato parimenti i dominî coloniali francesi einglesi dall’America all’India. Fu allora liquidato il primo impero extra-europeo della Francia che, dai tempidi Luigi XIV, si era via via cospicuamente ingrandito. Canada e India divennero allora zona di espansioneinglese; la Francia salvò la Luisiana e qualche emporio indiano. L’Inghilterra, che già si era assicurata

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posizioni di privilegio nel commercio tra la Spagna e l’America Latina, si espanse su tutta la costa americanadalla Florida allo Stretto di Hudson.Il primato dell’E. nel mondo appariva saldamente stabilito ed essa premeva ormai anche sulla Cina e sulGiappone. La coscienza della modernità la permeava tanto che già nel sec. 17 in Francia la querelle des ancienset des modernes rovesciava l’esemplarità attribuita agli antichi dalla cultura umanistico-rinascimentale. Per idecennî a cavallo tra i secc. 17 e 18 si è potuto parlare di una «crisi della coscienza europea». Certo è che sidelineò allora una netta separazione tra valori religiosi, valori morali e valori civili ed etico-politici, con unaforte accentuazione dello spirito laico e moderno della cultura europea, nella quale lo sviluppo delle scienze edelle tecniche, anche nei suoi effetti sull’economia e sulla vita quotidiana, cominciava ad apparire prodigioso esegnava un netto distacco tra l’E. e il resto del mondo. Nel sec. 18 l’Illuminismo convogliò tutto ciò in ungrande movimento di cultura nel segno del razionalismo e della laicità, formulando nuovi ideali etici, politici,sociali in una temperie in cui le convinzioni e la prospettiva intellettuale si sposavano ad una vera tensionemorale e spirituale. L’E. si trasformava anche materialmente, non solo per effetto dello sviluppo scientifico etecnico, bensì anche per una crescita economica e demografica che avrebbe trovato sbocco dalla fine del 18sec. nella rivoluzione industriale, col passaggio cioè dalle manifatture tradizionali alla produzione mediantemacchine azionate da una nuova energia, quella del vapore, di cui scoperte e invenzioni consentirono unsempre maggiore sfruttamento. L’Inghilterra, che fu la prima (e restò a lungo l’unica o massima) protagonistadi questa rivoluzione, ne emerse come maggiore potenza economica e finanziaria, banca e opificio del mondo.Inoltre, si determinava così una nuova e ancor più cospicua ragione di primato europeo, che si sommava alleprecedenti e che non era puramente tecnico-scientifica, poiché comportava un orizzonte di mentalità e divalori non meno rilevante. Della nuova cultura fu espressione il riformismo, che permeò l’azione dei governi eportò a molti provvedimenti innovatori nella legislazione e nell’amministrazione, toccando l’organizzazioneburocratica, i diritti feudali, gli ordinamenti corporativi, il commercio e le manifatture, i regolamenti sanitarîe, in particolare, i beni, i privilegi e le immunità ecclesiastiche. Episodio culminante fu, su questo piano, lasoppressione della Compagnia di Gesù, simbolo della presenza e della pressione ecclesiastica nella società. Ladecise Clemente XIV nel 1773 dopo che negli anni precedenti varî governi avevano già deciso così per irispettivi paesi. Né era meno significativo che alle disavventure dei gesuiti corrispondessero le fortune dellaMassoneria, società segreta di ispirazione prettamente illuministica, che penetrò largamente anche nei circolidi corte e di governo.La rivolta delle colonie americane contro l’Inghilterra fu vissuta anch’essa all’insegna dello spiritoilluministico, come si vide nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e nella costituzione adottate a base delnuovo paese, gli Stati Uniti d’America, che nacque dalla rivolta. Da questa trasse, inoltre, origine una nuovaguerra settennale (1776-83), che portò Francia e Spagna a fianco dei ribelli americani in una sorta di rivincitadella guerra dei Sette anni. Ancora una volta, il successo pieno fu dei ribelli e ben poco toccò alla Francia, ilcui maggiore incremento in questo periodo fu l’acquisto della Corsica nel 1768. Gli anni che seguironocominciavano a registrare un profondo mutamento delle condizioni dello spirito europeo. Iniziava unarevisione dello spirito illuministico, che faceva appello ad altri valori oltre la natura dell’uomo e la ragione etrovava meno soddisfacente il riformismo come metodo del rinnovamento. Ma la fase a cui così sembrava ci siavviasse fu repentinamente interrotta dallo scatenarsi della rivoluzione in Francia.L’età contemporanea. – La Rivoluzione passò via via dall’assolutismo monarchico ad una monarchiacostituzionale e liberale (1789-92), poi a una repubblica democratica – dapprima con Robespierre e i giacobinie una politica di rigore e di Terrore (1792-94), poi con la reazione di Termidoro a questo estremismo (1794-95) e una direzione moderata e oscillante tra spinte restauratrici e spinte estremistiche sotto il governo delDirettorio (1795-99) – e, infine dopo un quinquennio di potere (1799-1804) sotto il nome di consolato,all’impero di Napoleone Bonaparte (1804-14) e alla sua appendice dei «cento giorni» (1815). Losconvolgimento nella vita europea fu profondo. Cadde il regime delle divisioni e dei privilegi di classe, fusoppresso il sistema feudale, fu impiantato il moderno stato di diritto, venne elaborata una legislazionemoderna e la si raccolse in un codice, si affermarono le grandi linee del liberalismo e della democrazia, lanazione si affiancò allo Stato e ne divenne protagonista, governo e amministrazioni furono razionalizzati emodernizzati nelle loro strutture, gli eserciti di mestiere vennero sostituiti da quelli di leva, la borghesiadivenne il centro di gravitazione e di integrazione sociale, fu adottato il principio del merito e dellacompetenza in luogo di quello della nascita, con l’ordinamento politico e i rapporti con la Chiesa vennelaicizzata anche l’istruzione. Su queste linee non vi fu soluzione sostanziale di continuità tra la fasenapoleonica e quella precedente della Rivoluzione, anche se il carattere personale del potere di Napoleone (chelo portò alla serie continua delle guerre nelle quali, pur dopo tante vittorie, finì col soccombere) provocòun’involuzione autoritaria delle spinte rivoluzionarie alla libertà e alla democrazia, in cui si può riconoscereper alcuni aspetti la prima esperienza dittatoriale dell’E. moderna. Certo, non si trattò di svolgimenti lineari edel tutto coerenti. Numerose furono le sopravvivenze dell’«antico regime». La Chiesa dimostrò un controllo eun radicamento sociale che indussero Napoleone a riconoscerne il ruolo pubblico e a stipulare con essa nel1801 un concordato, che è anch’esso un prototipo di numerosi e analoghi concordati posteriori. Le spinteliberali e liberistiche prevalsero alla fine largamente su quelle democratiche e interventistiche. Ma l’edificiorapidamente costruito dalla rivoluzione dimostrò nei suoi tratti essenziali un’incrollabile solidità; e la provamigliore ne fu data dal fatto che anche le potenze nemiche della Francia e di Napoleone si uniformarono via

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via ai principî del nuovo regime e, caduto Napoleone, non pensarono di ristabilire quello antico: fu inveceristabilita, ma solo parzialmente, dal Congresso di Vienna (1815) – sotto la spinta della Santa Alleanza diAustria, Prussia e Russia, rivolta ad assicurare la conservazione dei risultati della lotta antinapoleonica – lavecchia geografia politica. Anche le guerre di Napoleone lasciarono tracce profonde, alimentando una rapidamaturazione del sentimento nazionale o in opposizione al dominio francese che egli imponeva o secondandouna nuova identità negli stati satelliti e amici.Chiuso il periodo rivoluzionario e napoleonico, tre grandi questioni si posero, nella vita europea: la questionedella libertà, la questione nazionale e la questione sociale. Ripetuti sussulti insurrezionali fra il 1815 e il 1848agitarono la Penisola Iberica, l’Italia, la Francia, i Paesi Bassi, la Germania, la stessa Gran Bretagna, i paesiaustriaci. In Francia nel 1830 si passò a un regime liberale più aperto sotto il ramo borbonico cadetto di LuigiFilippo d’Orléans, che sancì il ruolo della borghesia come classe illuminata e dominante. In Gran Bretagna lelotte sociali non toccarono né la struttura liberale del regime, né le posizioni dell’aristocrazia tradizionale edella nuova borghesia, ma produssero riforme elettorali e sociali che assicurarono al regime del paese unamaggiore stabilità e si accompagnarono ad una intesa franco-britannica oggettivamente in opposizione allaSanta Alleanza. Il Belgio potè nel 1830 staccarsi dai Paesi Bassi e costituirsi in regno indipendente a regimeliberale. Non così la Polonia ribellatasi allo zar nel 1831, mentre in Italia due ondate insurrezionali nel 1820-21e nel 1830-31 non modificarono né l’assetto, né il regime politico del paese. In Spagna la costituzioneguadagnata con la rivoluzione del 1820 fu sottoposta alle vicende di un’altalena tra forze liberali e reazionarieche avrebbe dominato la vita nazionale per oltre un secolo. La Grecia, con una lunga rivolta iniziata nel 1821 econ l’appoggio di Francia e Gran Bretagna, acquistò nel 1830 l’indipendenza dall’impero ottomano e lo stesso,in forma più attenuata e con l’appoggio della Russia, avvenne per i Romeni. In effetti furono economia ecultura a produrre ancora una volta i mutamenti più profondi. Dalla Gran Bretagna la rivoluzione industrialesi propagò nell’E. continentale investendo via via Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio. Si configurò cosìnell’E. Occidentale un contrasto sociale nuovo, tra proletariato e capitalismo industriale. Nello stesso tempo lascena culturale europea era occupata dalla diffusione del romanticismo. Il 1848 segnò un punto di svoltadecisivo nel processo di trasformazione politica e sociale che in forma latente o esplicita agitava l’Europa. Poila grande ondata rivoluzionaria si attenuò. In Francia, dove la caduta di Luigi Filippo aveva portato allaribalta tendenze socialisteggianti ormai mature, il superstite bonapartismo, sotto un nipote di Napoleone, econ l’appoggio dell’opinione clericale, restaurò nel 1852 l’Impero. Nei paesi austriaci e in Prussia la fedeltàdegli eserciti ai sovrani salvò l’assolutismo regio. I movimenti nazionali furono repressi dalle armate austriachein Italia e in Ungheria, dove Vienna fu aiutata dal decisivo intervento delle armi russe. Il 1848 non passò,tuttavia, invano. Il problema nazionale assunse, nonostante tutto, un peso ancora maggiore che nel periodoprecedente, mentre i contrasti di potenza indebolivano la capacità di reazione dei paesi più conservatori. Diquesti contrasti fu una manifestazione la guerra russo-turca del 1853, in cui Francia e Gran Bretagnaintervennero a favore di Costantinopoli, bloccando le mire espansionistiche, appoggiate ad un’equivocaslavofilia, dello zar. Fu la radice dell’isolamento dell’Austria, che non ricambiò l’appoggio ricevuto dallaRussia in Ungheria nel 1848. Essa si trovò perciò in difficile posizione contro l’alleanza franco-piemontese,che nel 1859 le strappò la Lombardia e portò alla rapida annessione delle regioni dell’Italia centrale al regnosabaudo: capolavoro di Cavour, alla guida del governo di Torino dal 1852, che attrasse nell’orbita liberale imoderati preoccupati delle spinte democratiche prevalenti nel movimento nazionale promosso edegemonizzato da Mazzini, ma raccolse da quest’ultimo l’istanza unitaria e, a seguito dell’impresa dei Milleguidata da Garibaldi nel 1860, poté nel 1861 inglobare anche il Mezzogiorno nel nuovo Regno d’Italia, pur sene restavano ancora fuori Roma e Venezia. Isolata l’Austria rimase, inoltre, in Germania, dove la Prussia,sotto il governo di Bismarck, prima la coinvolse in una guerra contro la Danimarca per il recupero delloSchleswig e del Holstein (1864) e poi, in alleanza con l’Italia, le mosse guerra, la batté, la costrinse a cedereVenezia e il Veneto all’Italia, la espulse dalla Confederazione germanica e articolò questa in due sole unitàfederali, del Nord e del Sud (1866). In Austria si dovette allora mutare la forma dello stato procedendo a unasorta di federazione con l’Ungheria, che acquistò grande peso nella politica di Vienna. Napoleone III, rimastoinattivo in quest’ultima occasione, sentì allora il pericolo di un’egemonia germanica. Egli aveva guadagnatoalla Francia nel 1859 Nizza e Savoia, ma si era poi alienato le simpatie degli Italiani, mantenendo un suoprotettorato sulla sovranità pontificia in Roma, a cui lo spingeva anche la permanente necessità dell’appoggiodei cattolici al suo regime. Bismarck sfruttò la situazione e nel 1870 lo fece cadere nella provocazione di unaguerra disastrosa, per cui dovette lasciare la Francia. Qui fu ora proclamata la repubblica e, mentre insorgevauna nuova e più grave rivolta sociale con la Comune di Parigi, fu proseguita la resistenza al vincitore, fino allaconclusione nel 1871 della pace, che costò la perdita dell’Alsazia e della Lorena e il pagamento di un’ingenteindennità di guerra. A Versailles, dove fu firmata la pace, gli stati tedeschi restaurarono l’impero sotto lasovranità del re di Prussia e con un regime blandamente costituzionale. Il Regno d’Italia approfittò dellecircostanze per insediarsi già nel 1870 a Roma, ponendo fine così al potere temporale dei papi. Poiché la GranBretagna non era attivamente intervenuta né in Italia, né, ancor meno, in Francia, la Russia ritenne giunto ilmomento per regolare i conti con la Turchia, che tra il 1875 e il 1878 fu praticamente espulsa da quasi tutta laPenisola Balcanica. Questa volta, però, fu proprio la Gran Bretagna a reagire. Bismarck funse da mediatore.Un congresso delle grandi potenze, a cui fu ammessa anche l’Italia, riunito a Berlino nel 1878 sancìl’indipendenza per la Serbia, la Romania e la Bulgaria, ma lasciò insoddisfatta la Russia e consentì all’Austria-

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Ungheria di prendere sotto la sua amministrazione la Bosnia e l’Erzegovina, poi formalmente annesse nel1908.Era nata una nuova Europa. Le trasformazioni economiche e sociali prodotte dalla rivoluzione industriale(estesasi alla fine del secolo nei paesi scandinavi, in Svizzera, in Italia, in Russia, in molte parti dell’Austria-Ungheria e della Penisola Iberica, benché in varia misura e intensità) furono accompagnate da invenzioni escoperte che nel giro di poco più di mezzo secolo mutarono in maniera radicale modi e livelli di vita ementalità e comportamenti. Ferrovie e navigazione a vapore, fotografia e cinema, luce ed energia elettrica,automobile e aeroplano, telefono e radio si affermarono ovunque, tra il 1850 e il 1920, provocando unarivoluzione socio-culturale ancora più forte di quella economica e sociale. L’E. fu allora di gran lunga più diquanto fosse mai stata il centro mondiale egemone. In base ad accordi definiti a Berlino, i varî paesi europeiestesero i loro imperi coloniali o ne fondarono di nuovi. L’intera Africa (tranne l’Etiopia, che si difesevittoriosamente contro l’Italia nel 1896, e la Liberia) fu spartita fra loro; la Cina fu ridotta in uno stato disemidipendenza; i paesi latinoamericani trovarono una ragione di prosperità solo rendendo le loro economiestrettamente complementari a quella europea. Il progresso materiale fu accompagnato da un lungo periodo dipace, alla quale finì col giovare il formarsi di una alleanza franco-russa (1890) in opposizione alla Tripliceitalo-austro-germanica (1882). Enorme fu pure l’incremento demografico. Ancor più sensibile fu, a sua volta,il mutamento culturale, con l’avvento di tendenze materialistiche e positivistiche in appariscente sintonia con itrionfi inauditi della tecnica e della scienza. Fu dovuta anche a questa filosofia la certezza che l’E.rappresentasse la punta avanzata e, insieme, l’antesignana di un passaggio obbligato per tutta l’umanità.L’imperialismo si congiunse alla sottolineatura del «fardello dell’uomo bianco» nel conquistare per sé e quindinel propagare la civiltà: altro concetto che, con quelli di storia e di progresso, di ragione e di umanità,contraddistingueva il pensiero del tempo. L’intervento collettivo delle grandi potenze in Cina per la rivolta deiboxer nel 1900 espresse appieno la radicata e diffusa convinzione della centralità europea nella storia delmondo. Politicamente l’epoca portò, oltre quello di una lunga pace, il segno di un’ampia confluenza diliberalismo e democrazia, di una prima affermazione di partiti socialisti e di un graduale riconoscimento diistanze da essi sostenute. Nello stesso tempo anche le Chiese, e soprattutto quella cattolica, cominciarono aportare una maggiore attenzione alle idee e alle questioni che si ponevano nella vita politica e sociale del tempocon così grande rilievo e urgenza. Nel 1864 era stata fondata a Londra una Associazione internazionale deilavoratori, dove Marx riuscì a far prevalere le sue idee contro altre ispirazioni, quali quelle di Mazzini.Esauritosi rapidamente lo slancio di questa iniziativa, ne fu avviata una seconda nel 1889. I partiti socialisti siaffermarono fortemente nei parlamenti di Gran Bretagna, Germania, Austria-Ungheria, Francia, Italia.Parallela fu la diffusione di grandi movimenti sindacali e di organizzazioni cooperativistiche e assistenziali. Nel1891 l’enciclica di papa Leone XIII Rerum novarum precisò, a sua volta, il campo e i criterî direttividell’impegno sociale, oltre che politico, dei cattolici. Furono, tuttavia, le forze democratiche e liberali adominare il campo, consentendo allora una serie di riforme politiche (culminanti in generale nel suffragiouniversale), amministrative (a livello di garanzie giudiziarie e nell’ambito dei governi municipali), sociali(edilizia popolare, assicurazioni e previdenza, diritto di associazione sindacale e di sciopero), culturali(istruzione obbligatoria, potenziamento delle università). La spinta comune fu a una generaledemocratizzazione della vita politica e sociale e a una prima affermazione della piccola borghesia connessaall’emergere della nuova società industriale come giuntura fondamentale di questa società. Anche in paesicome Germania e Austria-Ungheria il parlamento acquistò maggior peso. In Russia l’autocrazia zarista andòanch’essa verso una riforma politica con concessioni che culminarono nella convocazione della Duma. Sotto laluce splendente dell’egemonia mondiale e del progresso in atto si celavano, tuttavia, e a tratti apparivano,problemi e crepe di non lieve peso. Nella vita economica crisi periodiche e profonde (1873, 1893, 1907)ricordavano che l’ormai maturo capitalismo e la sua logica del mercato erano ben lontani dall’assicurare leprospettive di uno sviluppo tranquillo e fatale. Né l’economia industriale si rivelava in grado di assicurarelavoro e redditi sufficienti alla crescente popolazione e a quella che veniva disoccupata dal progresso tecnico.Nella seconda metà del sec. 19 da tutto il continente (meno qualche paese come la Francia, che avevaraggiunto condizioni di sostanziale stabilità demografica già dai primi anni post-napoleonici) partì verso ilNuovo Mondo un’emigrazione torrenziale. Il mito dell’America come paese della fortuna si affermò in tuttal’Europa. Le strutture politiche e le politiche sociali non riuscivano ad assorbire e risolvere per intero ildissenso e l’emarginazione di grandi masse. La diffusione del socialismo come ideologia della lotta di classecorrispondeva a uno stato di esasperazione presente pressoché ovunque. Ne fu anche espressione una tendenzaanarchica che mise particolarmente piede in alcuni paesi (Russia, Italia, Spagna) e diede luogo a una serie diassassinî di sovrani o capi di governo o di stato (Austria, Russia, Italia, Spagna, Francia), inconcludentipoliticamente, ma molto impressionanti. All’interno dei varî paesi sussistevano sacche di depressioneterritoriale (come il Mezzogiorno in Italia) e settoriale (come, in generale, le campagne) che accrescevano leragioni di conflitto e imponevano alle classi di governo un controllo della disciplina sociale destinato aprovocare crisi dagli sviluppi non sempre prevedibili. In Italia ciò portò nel 1898 a uno scontro fra governo eopposizioni, da cui il regime liberale uscì rafforzato e le forze conservatrici e reazionarie battute, ma con lostrascico di una conflittualità sociale endemica, che avrebbe avuto un altro episodio significativo con la«settimana rossa» del 1914. In Spagna all’instabilità del regime liberale si accompagnò una forte

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sedimentazione di tendenze rivoluzionarie, di cui si sarebbero visti i frutti col tempo. In Russia si ebbeaddirittura (1905) una rivoluzione, repressa nel sangue, ma anch’essa foriera di futuri scuotimenti.Non meno significative le tendenze della vita culturale; ma non tanto da tutto ciò quanto, piuttosto, daicontrasti fra le grandi potenze venne fuori la miscela esplosiva su cui si infransero l’ordine e la pace di quelmondo. Nonostante tutto, e sia pure attraverso difficoltà e contraddizioni, liberalismo e democraziamostravano una complessiva capacità di assicurare alla lunga un quadro di risoluzione dei grandi problemimorali e materiali, sociali ed economici dell’epoca. Le gare di potenza vennero, invece, mostrando di nonpotere e non saper seguire che una logica di tempi assai stretti inconciliabile coi tempi lunghi degli sviluppisociali. E ciò mentre anche su questo piano l’emergere degli Stati Uniti e del Giappone come grandi potenzeeconomiche e militari (i primi batterono la Spagna nel 1898 e il secondo la Russia nel 1905) mostrava chel’egemonia mondiale dell’E. non era più incontrastata. Alla fine le tensioni tra le potenze europee portarononel 1914 alla guerra tra Germania, Austria e Turchia, da un lato, e Francia, Russia e Gran Bretagna, dall’altro.L’Italia, lasciando la Triplice Alleanza, si schierò contro l’Austria nel 1915 e la Germania nel 1916. IlGiappone fu pur esso contro la Germania. Gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1917. La Serbia (perregolare i conti con la quale l’Austria, con l’approvazione di Berlino, aveva iniziato le ostilità), la Bulgaria, laRomania, il Portogallo entrarono anch’essi nel conflitto, che da europeo (per il suo estendersi alle colonie deipaesi belligeranti) era subito diventato mondiale e si concluse soltanto nel novembre 1918. Dal punto di vistamilitare la guerra contraddisse, peraltro, tutte le previsioni. Non ebbe corso l’azione rapidamente risolutivaconcepita dalla Germania nel 1914 contro la Francia, violando la neutralità belga per ripetere con maggioresicurezza la vittoria del 1871; né ebbe maggiore successo il «rullo compressore» della fanteria russa, in cui siconfidava ricordando le guerre napoleoniche. Si venne così a una guerra di logoramento, in cui contarono lerisorse generali dei paesi belligeranti, di gran lunga meno abbondanti per la Germania che per i suoi nemici.La sconfitta tedesca divenne perciò, specialmente dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, un evento fatale,che la grande prova militare del paese poté ritardare, non evitare. Sia nel campo dei vincitori che in quello deivinti la guerra creò, comunque, enormi problemi. Nel corso stesso della guerra questi elementi procurarono ilcrollo del regime zarista in Russia nel marzo 1917 e nel successivo novembre l’avvento al potere della frazionemaggioritaria (bolscevica) ed estremistica dei socialisti russi, di cui era a capo Lenin. Questi portò subito ilpaese fuori dalla guerra, cedendo alle richieste, per quanto esose, dei Tedeschi vincitori, e diede l’avvio a unregime comunista. I trattati di pace non facilitarono una stabilizzazione del continente. Quello imposto allaGermania a Versailles costò ad essa la perdita di oltre un quinto del proprio territorio (Alsazia e Lorena allaFrancia; Slesia e Pomerania in gran parte alla Polonia), la divisione di questo territorio in due parti, un’enormecifra a riparazione dei danni di guerra arrecati ai nemici, lo smantellamento dell’industria bellica, un regime ditutela per la Saar, la smilitarizzazione della Renania e un disarmo praticamente completo. Dalle ceneri deldominio asburgico uscirono tre Stati: Austria, Cecoslovacchia e Ungheria, mentre Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina andarono a ingrandire la Serbia e a formare con essa il Regno serbo-croato-sloveno o Iugoslavia, ilTrentino e la Venezia Giulia passavano all’Italia e la Transilvania alla Romania. Con terre già di sovranitàaustriaca, tedesca e russa si formò una grande Polonia, restituendo l’indipendenza a quel popolo a un secolo emezzo dalla sua prima spartizione. I paesi baltici, anch’essi sottratti alla Russia, formarono le repubbliche diEstonia, Lettonia e Lituania e indipendente divenne pure la Finlandia. La Romania si ingrandì con territorîgià russi, oltre che con la Transilvania e la già bulgara Dobrugia, mentre la Turchia europea era ridotta ad unapiccola regione intorno a Costantinopoli, poiché era diventata indipendente anche l’Albania, e la nuovaIugoslavia si annetteva gran parte della Macedonia, contesa a lungo con Grecia e Bulgaria, e il piccoloprincipato del Montenegro. Queste sistemazioni si sarebbero rivelate relativamente durature, nonostante variee profonde modificazioni posteriori. Netta era la riduzione di importanza della Russia, precipitata, oltre tutto,in una guerra civile fra «bianchi» e «rossi», che si sarebbe placata solo nel 1922, quando nacque l’Unione delleRepubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). Non riuscirono, però, i tentativi di esportare immediatamente larivoluzione al di là dei confini. In Polonia i Russi furono battuti nel 1921, e già era caduto il regime comunistainstaurato in Ungheria. Si pensò allora ad un «cordone sanitario», che isolasse politicamente, il nuovo statosovietico e impedisse la trasmissione del fermento rivoluzionario negli altri paesi europei. In ogni caso, laposizione internazionale del nuovo stato non fu più quella del vecchio impero. L’URSS attinse ora la suamaggiore importanza internazionale al ruolo di centro mondiale del movimento comunista, organizzato nel1919 in una Terza Internazionale in contrapposizione alla seconda, che, dopo essere andata in crisi con laguerra, cercava di riaffermare le posizioni del socialismo democratico. Anche indipendentemente dallesollecitazioni di Mosca e della Terza Internazionale, un’ondata «rossa» attraversò, tuttavia, egualmente l’E. neiprimi anni del dopoguerra. La Germania vinta ne fu un grande epicentro. Ad assicurare il superamento dellafase di maggiore tensione fu un governo socialdemocratico. La repubblica, la cui capitale fu posta a Weimar,ebbe una vita instabile e difficile. Già nel 1923 una nuova forza politica, il partito nazionalsocialista fondato daAdolf Hitler, si faceva interprete delle spinte nazionalistiche e revanscistiche, tentando a Monaco un colpo distato miseramente fallito.Sopravvennero anche in E. i «ruggenti anni Venti», che, come negli Stati Uniti, segnarono una grande fase diespansione dell’economia. Poi, sopravvenuta la crisi economica mondiale nel 1929, in tutto il continente iregimi liberaldemocratici subirono nuove e più gravi scosse. In Germania inflazione e disoccupazione, oltreche nazionalismo e revanscismo, agli inizî del 1933 portarono al potere Hitler, che ancor più rapidamente di

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Mussolini, da lui considerato suo maestro, instaurò nel paese un regime totalitario a partito unico.Contemporaneamente in Unione Sovietica il comunismo dava luogo a una forma parallela, benché opposta, ditotalitarismo, che ebbe nella leadership ben presto conseguita da Stalin dopo la morte di Lenin la sua massimaespressione. Sia in Germania che in Unione Sovietica i nuovi regimi conseguirono grandi risultati economici esociali. Al loro fondo (come, d’altronde, del fascismo italiano) si leggeva un volontarismo che opponeva allarealtà e alle leggi delle strutture materiali la forza di volontà e la creatività di uno slancio etico-politico dinatura del tutto particolare. Le differenze fra i tre modelli totalitarî erano, tuttavia, profonde. Né in Germania,né in Italia risultava sconvolta la generale struttura borghese della società; e, anzi, i regimi vigenti suonavanocome una riaffermazione e una assicurazione degli interessi della borghesia rispetto alla «ondata rossa» seguitaalla guerra. Nell’Unione Sovietica, invece, lo sconvolgimento sociale era stato totale, ma non ne era seguito ilregime di eguaglianza socialista, bensì il dominio di una forza politica, il Partito comunista dell’UnioneSovietica (PCUS), sulla società e sullo stato ed esso si traduceva, di fatto, nel dominio dei ceti e dei gruppi cheo nel partito o come suoi emissarî e fiduciarî guidavano la trasformazione economica e assicuravano la stabilitàe le fortune del regime. In forza di queste differenze si potevano riconoscere nel nazismo e nel fascismo i trattidi un processo sociale assente in URSS, ossia l’affermazione dei ceti piccoloborghesi, che ora imponevano inpieno la loro presenza nella società. Il modello totalitario nelle sue varie espressioni convergeva, invece, in unaserie di altre caratteristiche, che ne facevano un’esperienza fondamentale del mondo contemporaneo. Sitrattava, infatti, di regimi che esprimevano ormai appieno la natura di massa della società contemporanea. Letecniche del consenso congeniali a questa società erano fondate, innanzitutto, su un uso intensivo dei mezzi dicomunicazione di massa assicurati dal progresso industriale (radio, cinema, stampa, ecc.) e su unosfruttamento parimenti intensivo di canali privilegiati della comunicazione sociale (dalla scuola a sediistituzionali e non istituzionali) e di forme collettive di riconoscimento e di persuasione (divise, distintivi,cerimonie, adunate, ecc.). L’identificazione sostanziale tra capo, stato e partito andava ben oltre (facendonetutt’altra cosa) gli stessi sistemi di costruzione delle convinzioni e del consenso, che nei paesi industrializzatiindubbiamente servivano, nello stesso tempo, alla affermazione e commercializzazione dei nuovi prodottidell’industria e di cui la politica in quei paesi aveva cominciato a servirsi. Delle tecniche più avanzate si servivaegualmente l’azione repressiva dei regimi totalitarî, che rendeva la loro dimensione poliziesca (a parte lalegislazione soppressiva dei diritti politici e civili e i sistemi violenti, dalla tortura all’assassinio e alle«spedizioni punitive», adottati in via ordinaria) particolarmente efficace. Le risposte del mondoliberaldemocratico alle sfide di un tale avversario furono largamente incerte. Anche in Francia e in GranBretagna furono molto diffuse le simpatie per Hitler e, soprattutto, per Mussolini, in quanto garanti dellarepressione che aveva fermato le forze «sovversive», i «rossi», e garantito l’ordine sociale vigente reprimendol’indisciplina sociale e l’instabilità politica a cui apparivano troppo esposti i regimi di libertà. A sua volta,l’intellettualità europea (e, tra essa, in particolare quella ebraica) sentì fortemente il fascino della rivoluzione dicui l’URSS era protagonista, vide in Stalin un nuovo e più alto e conseguente Robespierre e si disaffezionòlargamente (anche per la sfiducia determinata dai cedimenti dei regimi e delle opinioni liberali e democratici)ai valori della libertà in quanto fondati su costituzioni e regimi parlamentari. Superati gli anni della prosperità,il decennio 1930-40 vide affermarsi in tutta l’E. dal Baltico all’Egeo (con la sola eccezione dellaCecoslovacchia) e nella Penisola Iberica una serie di regimi dominati dai ceti agrarî e dalla più o menopronunciata fisionomia fascista e tradizionalistica. L’evidenza di un più generale trionfo delle destre spinse, daun lato, i comunisti della Terza Internazionale a mutare atteggiamento, invocando ora l’unità antifascista ecessando di considerare liberaldemocratici e socialisti democratici come partecipi della spinta reazionaria etotalitaria che si denunziava nel fascismo. Dall’altro lato, essa spinse il socialismo europeo, che pure non avevaavuto esitazioni a respingere nella sua grande maggioranza la tentazione rivoluzionaria e le soluzioni, a lorovolta totalitarie, del comunismo, approfondendo la propria vocazione democratica, a considerare l’opportunitàdi una unità delle forze democratiche e di sinistra per fermare l’espansione fascista e per assicurare unmovimento di promozione di consistenti riforme politiche e sociali. Fu l’epoca dei «fronti popolari», comequello che nel 1936 giunse al potere in Francia e quello che contemporaneamente si affermò in Spagna. InSpagna, però, la vittoria frontista portò alla reazione che, guidata dai militari al comando del generaleFrancisco Franco, diede luogo ad una lunga guerra civile (1936-39).Ma in realtà, la scena politica europea era sempre più dominata dalle questioni dei rapporti internazionali,nelle quali risaltò subito l’insufficienza della Società delle Nazioni, fondata nel 1920 per assicurare unasoluzione pacifica di eventuali contrasti. Alla fine degli anni Venti si era, anzi, delineata la possibilità diun’intesa franco-germanica (promotori Briand e Stresemann), intorno alla quale sembrò possibile costruire unnuovo ordine europeo. Ma il panorama, insicuro benché ancora stabile, mutò dopo l’avvento al potere diHitler, un nuovo avvio della politica di Mussolini e l’inizio della guerra civile in Spagna. Hitler, disconoscendouna clausola essenziale del trattato di pace, iniziò il riarmo del paese. Mussolini giudicò maturo il momentoper una grande iniziativa internazionale del suo regime, che negli anni precedenti aveva condotto una politicadi stabilizzazione economica, di grandi opere pubbliche e di provvedimenti sociali, da cui era derivato un piùforte consenso dell’opinione pubblica. Nell’ottobre 1935 egli dichiarò, perciò, la guerra all’Etiopia. Nelmaggio 1936 l’Etiopia era vinta, sottomessa e ridotta a colonia italiana col rango di Impero. La Germania, chenon aveva partecipato alle sanzioni decise contro l’Italia dalla Società delle Nazioni, approfittò della situazioneper rimilitarizzare la Renania. La reazione britannica e francese fu praticamente nulla. Ora anche la politica

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tedesca assunse un ritmo più rapido. Già nel 1934 Hitler aveva esercitato una forte pressione sull’Austria, invista di un suo Anschluss o riunione al grande Reich tedesco. Allora Mussolini aveva reagito, fermandolo. Mapoi fu col sostegno italiano che Hitler poté non solo realizzare l’annessione dell’Austria, ma anche quella delleregioni della Cecoslovacchia abitate da tedeschi (i Sudeti), privando così quest’ultima di elementi essenzialiper la sua sicurezza. In seguito, Berlino fece di parte della Cecoslovacchia un suo protettorato (Boemia eMoravia). Gran Bretagna e Francia si rassegnarono a Monaco (1938) a una mediazione di Mussolini, cui sifece grande merito di avere evitato la guerra, che appariva nella logica dei fatti. Da Londra e da Parigi sisperava che l’espansionismo hitleriano si sarebbe fermato. In realtà, Monaco ne fu un grande incoraggiamentoe il significato negativo di quell’accordo fu ulteriormente sottolineato dalla sottoscrizione di un’alleanzadifensiva e offensiva tra Italia e Germania (Patto di Acciaio, 1939). In Spagna, dove intanto i comunistiavevano acquisito un’influenza determinante, vincevano i nazionalisti di Franco e instauravano un nuovoregime parafascista. Anche per bilanciare l’espansionismo tedesco Mussolini occupò allora l’Albania,attribuendone la corona ai sovrani d’Italia. Era evidente quanto si fosse vicino ad un limite insuperabile dirottura. I tentativi di riavvicinamento italo-britannico e italo-francese fatti dopo la guerra d’Etiopia non sirivelavano duraturi, mentre Hitler avanzava ora altre rivendicazioni per ottenere dalla Polonia Danzica e ilcollegamento territoriale tra le due parti della Germania, separate dal «corridoio polacco» stabilito nel trattatodi Versailles. Mutato atteggiamento, Francia e Gran Bretagna si orientarono allora anch’esse aun’intensificazione del loro armamento e diedero la loro garanzia di sostegno alla Polonia. Si giocò, quindi,una serrata partita diplomatica. Deciso alla guerra, Hitler cercò e trovò, battendo sul tempo Londra e Parigi,che avevano preso la stessa iniziativa, un accordo con Mosca, che con la prospettiva di reciproci vantaggiterritoriali dissolveva per lui il rischio di una guerra su due fronti e per Mosca il timore di essere giocata dallepotenze occidentali come luogo su cui scaricare la pressione espansiva della Germania. Al Führer ciòconsentiva di iniziare il 1 sett. 1939 l’azione che doveva andare ben oltre le precedenti sue rivendicazioni edeliminare la Polonia come stato indipendente. Londra e Parigi onorarono allora la loro garanzia. Mussolini,sorpreso dall’accelerazione da lui non prevista dell’azione di Hitler, proclamò un’equivoca neutralità italiana,definita come «non belligeranza» e solo nel 1940 si schierò con Hitler, che aveva intanto piegato sia la Poloniache la Francia. La Gran Bretagna, rimasta sola, resistette. Hitler si volse allora (giugno 1941) contro l’URSSper eliminare l’ultima potenza militare sul continente. Non vi riuscì. Nel dicembre il Giappone attaccò gliStati Uniti. La guerra divenne ancor più «mondiale» di quella del 1914, e si concluse nel 1945 con la totalesconfitta di Germania, Italia e Giappone. L’Italia perse le sue colonie e la Venezia Giulia. La Germania,amputata di tutte le sue regioni orientali, ridotta alla metà di quel che era nel 1914, fu occupata per due terzida Americani, Britannici e Francesi e per un terzo dai Sovietici, mentre Berlino fu divisa egualmente e costituìuna enclave autonoma nella zona sovietica. La frontiera dell’URSS slittò fortemente verso ovest, e quella dellaPolonia si spostò nello stesso senso. Per il resto rimasero in vigore le frontiere prebelliche.Dopo di allora alcuni processi appaiono dominanti nella storia europea. In primo luogo, se la guerra avevamesso in evidenza l’ormai indiscutibile primato degli Stati Uniti, aveva pure qualificato l’Unione Sovieticacome di gran lunga maggiore potenza del Vecchio Continente. Rapidamente apparve chiaro come non solo laFrancia, ma neppure la Gran Bretagna vincitrice del conflitto fosse in grado di sostenere il peso extraeuropeodel suo impero e della sua posizione prebellica. L’Unione Sovietica risultava l’unica potenza europea coneffettiva proiezione mondiale. E ciò anche perché, in ancora maggior misura di prima della guerra, aveva luogouna fortissima espansione internazionale del movimento comunista; Mosca poté così dare vita nel 1947 a unanuova Internazionale, il Cominform. L’elemento ideologico e quello costituito dal grado di potenza globaleraggiunto dall’Unione Sovietica la fecero allora considerare in Occidente come un’«altra E.», estranea ed ostilealla più autentica tradizione europea. Si diffuse nella maggior parte dell’opinione occidentale la convinzioneche la vera E. s’identificasse con la «piccola E.», che ricalcava, con lieve eccesso, lo spazio dell’E. carolingia. Insecondo luogo, in questa piccola E. ancor più rapidamente venivano risanate le ferite della guerra e si iniziavaun’espansione economica, che ne avrebbe fatto di nuovo un’area il cui sviluppo era superato o pareggiato soloda quello degli Stati Uniti e del Giappone. Vi contribuì in maniera decisiva il cosiddetto «piano Marshall»,offerta di aiuto e di impegno per la ripresa economica e il risanamento finanziario di tutti i paesi europei giàbelligeranti, che gli Stati Uniti avanzarono nel 1948. L’Unione Sovietica respinse l’offerta, e costrinse arespingerla anche paesi come la Cecoslovacchia, ricadenti nella sua sfera di influenza. Ma alla fine degli anniCinquanta era già evidente una netta differenza del ritmo di sviluppo rispettivo dell’Occidente e dell’Orienteeuropeo, che, quindi, consolidava la contrapposizione delle due Europe. Al fattore di potenza e a quelloeconomico se ne aggiungeva, nel determinare lo stesso effetto, un terzo, legato alla rottura delle alleanze diguerra, che erano state cementate ben più dal bisogno di contrastare l’espansione e le ideologie dei paesi vintiche da effettiva solidarietà politica e ideale fra democrazie occidentali e comunismo sovietico. L’E. fu a lungoil teatro più rappresentativo e rischioso della «guerra fredda» così iniziata. Tra il marzo 1948 e il maggio 1949si ebbe lo sviluppo cruciale del blocco della parte occidentale di Berlino da parte dei Sovietici. Solo con ungigantesco ponte aereo gli Stati Uniti e le potenze occidentali occupanti l’ex capitale germanica riuscirono asuperare la grave crisi politica nata da un sostanziale assedio. Nello stesso tempo nei paesi orientali ricadentinell’area di influenza sovietica (Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Romania, Iugoslavia, Bulgaria, Albania)venne imposto, conculcando ogni aspirazione e manifestazione di libertà, un regime comunista. Si formò cosìil campo delle cosiddette «democrazie popolari», eufemismo che non celava la netta divisione europea tra

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regimi totalitarî e regimi liberaldemocratici rispettivamente a Est e a Ovest. In Grecia solo una lunga guerracivile, fino al 1949, evitava uno svolgimento analogo. In opposizione alla forte pressione sovietica e comunista,si ebbe prima una Unione europea occidentale (Gran Bretagna, Francia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) epoi, nell’aprile 1949, il Patto Atlantico (NATO) con l’adesione dei paesi dell’Unione e di Stati Uniti, Canada,Italia, Portogallo, Norvegia, Danimarca e Islanda. Nello stesso tempo in Germania la zona di occupazioneoccidentale e quella orientale si organizzavano in due stati, l’uno federale e democratico con capitale Bonn,l’altro comunista con capitale Berlino Est. La Germania Federale aderì nel 1954 al Patto Atlantico, al qualerispose allora il Patto di Varsavia fra l’URSS e i paesi comunisti dell’E. orientale. Fra questi non era più dal1948 la Iugoslavia, che aveva rotto i suoi rapporti con Mosca, rifiutando la «satellizzazione» imposta di fattodall’Unione Sovietica nella sua sfera d’influenza. Nel 1952 erano entrati nell’alleanza atlantica anche Grecia eTurchia. La divisione della Germania divenne, a tutti gli effetti, il principale fattore di contrasto fra le duealleanze, contrasto consolidato dall’erezione di un muro fra Berlino Est e Berlino Ovest nel 1961. In quartoluogo, la diminuzione di potenza europea induceva le classi dirigenti occidentali a un profondo ripensamentodella posizione internazionale dei rispettivi paesi, che si concretò in una serie di iniziative comunitarie cheprospettavano la «piccola E.» come una sempre più concreta area unitaria, capace anche di costituire un nuovosoggetto storico. Il declino europeo era rapidamente confermato dal processo di decolonizzazione dei grandiimperi delle antiche maggiori potenze. Iniziata con l’indipendenza riconosciuta dalla Gran Bretagna all’India(e, in sostanza, anche ai suoi vecchi dominions), già nel 1947, e poi via via alle altre colonie britanniche, ladecolonizzazione ebbe aspetti più drammatici per la Francia in Indocina e in Algeria, per i Paesi Bassi, o per ilBelgio. Alla fine degli anni Sessanta solo piccoli resti dei vecchi imperi mantenevano lo status di colonieeuropee. Ultime, a seguito di lunghe guerriglie, a ricevere l’indipendenza erano, negli anni Settanta, le colonieportoghesi. D’altra parte, dopo il 1945, la Gran Bretagna si lasciava rapidamente sostituire dagli Stati Unitinei suoi impegni nelle sue antiche aree coloniali. Proprio dalla Gran Bretagna partiva nello stesso tempol’appello a una nuova collaborazione, che si concretò nella istituzione di un Consiglio d’Europa (5 maggio1949), inteso come organismo di collaborazione politica fra i paesi membri. Non fu, però, la collaborazionepolitica, bensì quella economica a far registrare i maggiori successi, con varie iniziative culminate prima in unaComunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA, tra Francia, Italia, Germania Federale, Paesi Bassi,Belgio e Lussemburgo) nel 1951, poi in una Comunità economica europea (CEE) o Mercato comune e in unaComunità europea per l’energia atomica (Euratom, fra gli stessi paesi) nel 1957, a cui si affiancò nel 1959 unaAssociazione europea di libero scambio (EFTA), promossa dalla Gran Bretagna (con Svezia, Norvegia,Danimarca, Svizzera, Austria e Portogallo) anche in concorrenza col Mercato comune. Un grave insuccessotoccò, invece, nel 1954 al tentativo di una Comunità europea di difesa (CED, tra gli stessi paesi della CECA),confermando la difficoltà di un’integrazione politica, alla quale si opponevano in pari misura le correnti delnazionalismo ancora forti specialmente in Francia, i varî partiti comunisti e la riluttanza britannica arinunciare alla propria tradizione di mani libere nei confronti del continente, oltre che al perseguimento di unrapporto speciale con gli Stati Uniti. Tuttavia, negli anni Settanta gran parte dei paesi dell’EFTA entravanonel Mercato comune e la «piccola E.» a sei della CEE diventava in ultimo l’E. dei Dodici (con in più GranBretagna, Danimarca, Irlanda, Grecia, Spagna e Portogallo), con iniziative importanti come un nuovo Sistemamonetario europeo (SME) nel 1978, la messa a punto di una politica energetica comune nel 1979 e la fissazioneal 1 genn. 1993 di una fase di più stretta integrazione nella circolazione dei beni e delle persone. D’altrocanto, superate le varie resistenze, anche l’integrazione politica riprese slancio, con l’elezione di un parlamentoeuropeo, parallelo alla CEE, a suffragio universale a partire dal 1979 e con la frequente assunzione di posizionicomuni sui grandi problemi internazionali. Ma la sfasatura tra economia e politica rimaneva e non permettevaancora di parlare davvero di unione europea.A questi processi ad Occidente, Mosca opponeva nel 1949 la formazione di un Consiglio di mutua assistenzaeconomica (COMECON), che però non riuscì ad assumere un peso analogo a quello delle comunità europeeoccidentali. Nell’area comunista si registravano, anzi, fermenti che andavano politicamente in senso opposto,anche per effetto delle vicende interne dell’URSS. Qui la dittatura di Stalin toccava l’apice dopo la guerra,culminando in quello che fu definito un culto della personalità. Alla sua morte, nel 1953, sembrò aprirsi unafase di disgelo sia nelle relazioni fra Est e Ovest che all’interno. Nel 1956 essa assunse l’aspetto di unadestalinizzazione ad opera di Chruèãëv. Non si toccò, però, in nulla la sostanza totalitaria del regime, che,caduto Chruèãëv, sembrò messa in ulteriore e nuova evidenza sotto Breûnev, segretario del PCUS dal 1964 epoi presidente e maresciallo dell’URSS. Nei paesi satelliti la morte di Stalin, il disgelo e la destalinizzazioneprovocarono una serie di agitazioni e rivolte (a Berlino nel 1953, in Polonia e Ungheria nel 1956, inCecoslovacchia nel 1968, in Polonia nel 1970 e 1976), tutte represse con la forza o con l’intervento armatosovietico. Nella politica internazionale fasi di distensione si alternarono con fasi di aspro contrasto e di vera epropria crisi (in particolare, per l’impianto di missili sovietici a Cuba nel 1962), benché le prime tendessero aprevalere. Con Breûnev la politica di potenza e di espansione ideologica sovietica toccò, comunque, ilmassimo. L’URSS si dotò di armamenti competitivi rispetto a quelli americani e occidentali, appoggiò imovimenti antioccidentali in ogni parte del mondo (specialmente in Indocina e nei paesi arabi) e giunse nel1979 a invadere l’Afghànistàn. Solo alla morte di Breûnev nel 1982 si sarebbe aperto un processo davverodiverso.

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Anche il campo occidentale subì varî travagli. La leadership americana trovò una varia resistenza nelle forzedella sinistra e del nazionalismo europei. Nel 1956 l’intervento armato franco-britannico contro lanazionalizzazione egiziana del Canale di Suez fu osteggiato duramente e fermato dagli Stati Uniti, sancendoclamorosamente il rispettivo ben diverso grado di potenza. In Francia si ebbe una crisi del regimeparlamentare, che portò al potere nel 1958, con una nuova costituzione presidenzialista, de Gaulle, al quale sidovette, oltre il fallimento della CED, una politica di autonomia rispetto al Patto Atlantico e all’URSS.Inoltre, si manifestò, nella seconda metà degli anni Sessanta, un notevole mutamento del clima politico eculturale. Anche nel mondo cattolico si ebbe un rivolgimento profondo col papato di Giovanni XXIII (1958-1963) e col concilio Vaticano II da lui indetto. Nel 1968 esplose la «contestazione», una rivolta ideologica aivalori «occidentali» quali erano stati fino allora intesi, che sembrò mettere a repentaglio la stessa presidenza dide Gaulle in Francia. Sul tronco di essa si innestarono movimenti extraparlamentari di estrema sinistra e neglianni Settanta anche gruppi terroristici, particolarmente forti in Germania e in Italia (dove nel 1978 fuassassinato Aldo Moro). Negli stessi anni Settanta agitò i paesi europei occidentali una grave crisi economica,innescata anche da una nuova politica dei prezzi da parte dei paesi produttori di petrolio, e da grandi agitazionisindacali, lotte sociali, dissensi clamorosi. Le spinte di sinistra, forti dopo il 1945, ma riassorbite nelladialettica democratica durante gli anni Sessanta e Settanta, toccarono allora il massimo, così come il processodi revisione e di critica del ruolo dell’E. nella storia del mondo moderno, esplicitato da forti simpatie esolidarietà per i movimenti antioccidentali e anticolonialisti, per i paesi (come la Cina) che sembravanoprospettare nuovi modelli di civiltà, per cause particolari come quella del Vietnam o dei Palestinesi. In Greciail regime democratico era sovvertito (1967) da una dittatura militare. Nello stesso tempo il solido edificio dellostato nazionale veniva messo in discussione da agitazioni regionali, che davano o ridavano attualità politica aesigenze che apparivano sopite (specialmente nei Paesi Baschi in Spagna e tra Fiamminghi e Valloni inBelgio), mentre si ponevano con forza imprevista anche tensioni internazionali, come quelle per l’Ulster traIrlanda e Gran Bretagna e per Cipro tra Grecia e Turchia. Nella Repubblica Federale di Germania tendenzenaturali e aspirazioni alla riunificazione nazionale si fondevano nella Ostpolitik, la nuova politica verso l’Est,che impegnava la socialdemocrazia tedesca e il suo leader Willy Brandt in un’azione di distensioneinternazionale e di cooperazione e di penetrazione economica tedesca, che sollevava più di una preoccupazionenei paesi occidentali. E ciò anche perché nello sviluppo economico dell’E. postbellica la Germania Occidentalesi configurava da sola come un gigante economico in grado di rivestire ruoli politici non meno protagonistici diquello rivendicato alla Francia da de Gaulle. In Italia la vicenda politica del paese, in cui era presente il piùforte partito comunista dell’Occidente, appariva fossilizzata da una mancanza di alternativa al governo deidemocratici cristiani e dei partiti centristi che dal 1947, integrati nel 1964 dai socialisti, erano al potere.Cadevano, infine, gli ultimi regimi illiberali: in Portogallo nel 1974, ma dando luogo ad un periodo diagitazioni, che dopo alcuni anni lasciò una solida base alla democrazia; in Spagna dopo la morte di Franco nel1975, con passaggi graduali che durarono anch’essi alcuni anni; in Grecia nel 1974, con maggiore tranquillità,ma soffrendo molto della questione di Cipro, che portò ad una crisi nei rapporti con la NATO.Con gli anni Ottanta sopravvenne, poi, una serie di svolte destinate a mutare rapidamente le tendenze chesembravano essersi duraturamente affermate dalla fine degli anni Sessanta. A Ovest si affermava una ripresaliberal-democratica di vasto respiro, che influenzò profondamente (e in parallelo con quanto accadeva negliStati Uniti) l’indirizzo di governo dei maggiori paesi (Gran Bretagna, Francia, Repubblica Federale diGermania, Italia). La crisi economica era completamente superata. Annullate le difficoltà petrolifere, losviluppo economico riprendeva in proporzioni insperate e coinvolgeva paesi come la Spagna che ne eranorimasti fino ad allora al margine. Il terrorismo andò declinando, mentre i grandi mutamenti della vita socialedovuti al progresso tecnico ed economico facevano sorgere esigenze nuove, di cui un tipico esempio furono imovimenti ecologisti, diventati allora forze politiche da cui non si poteva più prescindere. Nel mondocattolico, pur tra molte oscillazioni, si consolidavano le riforme del concilio Vaticano II, concluso da papaPaolo VI (1963-78). L’elezione a papa del polacco Giovanni Paolo II (il primo papa non italiano dopo 455anni) diede nuovo slancio alle rivendicazioni cattoliche nell’E. Orientale e all’azione ecumenica e pastoraledella Chiesa. Fu, però, soprattutto a Est che le cose mutarono a fondo. Con Michail Gorbaãëv si apriva inUnione Sovietica un’effettiva revisione del sistema, che manifestò una crisi profonda sia nelle sue strutturemateriali che nei suoi stessi fondamenti ideologici ed etico-politici. In breve tempo si ebbe una sostanzialerinuncia alla competizione diplomatico-militare e tecnico-economica con gli Stati Uniti; fu liquidata l’impresain Afghànistàn; fu iniziato un disarmo parziale unilaterale. Ben più importante fu che si accettassero le spinteriformatrici nei paesi satelliti, a cominciare dalla Polonia, dove l’elezione di un papa polacco rinvigorì latradizionale congiunzione fra causa nazionale e sentimento religioso e si formò un movimento politico-sindacale (Solidarnoôâ), presto rivelatosi la forza di gran lunga maggiore del paese. Nel giro di pochissimi anniqueste spinte raggiunsero una consistenza tale da provocare fra il 1989 e il 1990 la caduta di tutti i regimicomunisti nelle cosiddette democrazie popolari, l’abbattimento del muro di Berlino e la riunificazione dellaGermania. Solo in Bulgaria, Romania e Albania, mutato nome e programma, il partito comunista purcontestato poté mantenere il potere. Anche il Patto di Varsavia finiva con l’essere sciolto. Rivendicazioninazionali e democratiche si avevano nella stessa URSS, certamente accelerate dalla politica di riformainaugurata da Gorbaãëv con l’enunciazione di un programma di perestrojka (ristrutturazione) e di glasnostÙ(trasparenza) del regime. I tre stati baltici annessi nel 1940, i paesi del Caucaso (Georgia, Azerbaigian,

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Armenia, questi ultimi scossi da forti rivalità etniche), la Moldavia reclamarono in pratica l’indipendenza.Intanto riprendeva più liberamente la sua vita la Chiesa ortodossa. Si profilava un potenziale problema per ilpeso demografico crescente dell’elemento musulmano dominante nei paesi dell’Asia Centrale sovietica. Nellastessa Russia propriamente detta sorgeva un movimento autonomista e nazionalista in esplicitacontrapposizione alla dirigenza sovietica; e fermenti analoghi, benché meno forti, si manifestavano in Ucraina.Alla fine, anche la mediazione di Gorbaãëv nel portare avanti la sua azione innovatrice mostrava i suoi limiti.Nell’estate 1991 un colpo di stato tentato da forze a lui vicine, ma più legate al vecchio regime, fallìmiseramente e lo coinvolse fino a provocarne la caduta. Clamoroso fu allora il cedimento della stessa URSS,rinnegata da tutti i suoi componenti e mal sostituita dalla formale costituzione di una Comunità di StatiIndipendenti. In realtà, la Russia riprendeva la sua antica personalità storica, liberalizzando sempre più lestrutture e i suoi ordinamenti e riallacciandosi alle sue tradizioni nazionali e religiose. Lo stesso, con levariazioni imposte dalla rispettiva storia, accadeva in tutti i paesi già membri dell’URSS e ora ancheformalmente indipendenti, benché sempre più agitati da contrasti etnici; contrasti che contemporaneamenteagitavano un altro paese già comunista, la Iugoslavia, e ne provocavano la dissoluzione in varî statiindipendenti (Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia e Montenegro).All’inizio degli anni Novanta si delineava perciò la prospettiva di una considerevole ricomposizione piùunitaria e omogenea del mondo europeo, analoga a quella prevalsa nel sec. 19 e interrotta dal 1914, sotto ilsegno delle idee liberaldemocratiche, socialdemocratiche e democristiane. Tornavano in auge sia i principîdell’economia di mercato che i valori della società industriale avanzata e «affluente», mentre dal Terzo Mondoe dall’E. Orientale si rovesciava sulla prospera E. Occidentale, in declino demografico, una grandiosa ondataimmigratoria. Nei decennî precedenti erano ricorsi spesso i timori di una vera e propria finis Europae e iparalleli con altri momenti ed esperienze storiche: in particolare, con la fine dell’impero romano e della civiltà«classica». Ma ad una riflessione minimamente più approfondita risultava chiara la profonda novità della nuovae inedita fase della sua storia che l’E. andava vivendo. La leadership tecnica e scientifica e la forza centripeta eformativa della cultura non erano più un suo monopolio. Su questo piano l’E. si trovava a un livello medio trala sua ridotta forza politica e militare e la sua cresciuta e crescente forza economica e culturale. Ma soprattuttoapparivano vitali e attive molte delle idee-forza e dei valori che ne avevano sorretto lo sviluppo millenario.Discussi in E., le idee-forza e i valori della nazione, del progresso, della libertà, della democrazia erano statiaffermati e rivendicati al di fuori di essa e costituivano largamente i principî in nome dei quali ci si era ribellatie ci si ribellava ad essa e alla sua tradizione. Non era, quindi, lo spettro di un «nuovo medioevo» a dominarnel’orizzonte quanto, piuttosto, il profilo di un travaglio faticoso e profondo in vista di una trasformazione cheora più che mai, e sia pure in un quadro mondiale così mutato, riguardava insieme l’E. e il resto del mondo.