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Lavori verdiAPPROFONDIMENTI

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Europa Lavoro EconomiaSupplemento mensile di AREL Attività Parlamentare e Legislativa

Numero di Maggio 2010

Periodico mensileedito da Arel Servizi srlRegistrazione al Tribunale Civile di Roma n. 402 del 22/06/1990

Direttore:Enrico Letta

Vicedirettore responsabile:Mariantonietta Colimberti

Coordinamento scientifico:Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu

Coordinamento redazionale:Carla Bassu, Raffaella Cascioli,Marianna Madìa

Redazione:Carmine Russo (responsabile scientifico)Lucio CafarelliEugenio CarlucciMaite Carpio Angela CipolloneFrancesca Di BenedettoDavide IntegliaFederico Smidile

Con la collaborazione di:Salvatore Pirrone

I N D I C E EDITORIALE

di Tiziano Treu.................................................................................................................... 3

OSSERVATORIO

Italia

Istat, sono sempre più i lavoratori in nero e meno gli occupati regolari ......................... 7Ecco come si supera l’asimmetria dei rapporti di lavoro salariato.................................... 9Ichino: la giusta retribuzione migliora la vita dei lavoratori ............................................ 11Ipsos, ecco perché i giovani non puntano sulle fabbriche ................................................ 13

Unione europea

Eurofound, l’8% dei lavoratori vive sotto la soglia di povertà ......................................... 16Le strategie europee dei sindacati per reclutare i nuovi iscritti........................................ 17Ces, una generazione europea sacrificata sull’altare della precarietà ............................. 17Il patto dei sindaci motore dell’Europa ecologica ............................................................. 18

Internazionale

Ocse, disoccupazione e mercato del lavoro ai tempi della crisi ........................................ 19La vulnerabilità economica è donna in molti Paesi ........................................................... 20Le raccomandazioni del G20 sull’economia internazionale.............................................. 21

Saggi

Iza indica le riforme tedesche su welfare, scuola e immigrazione ................................... 22Ue, le agende sociali non risolvono i dossier aperti .......................................................... 23Povertà, Italia più «sicura» grazie alla propensione al risparmio delle famiglie ............. 24Diseguaglianze retributive e progresso tecnologico in Usa e Germania ......................... 25

APPROFONDIMENTI

Oro nero vs lavoro verde, di Alessandro Carettoni.............................................................. 27Green jobs e green economy, una realtà oltre il mito, di Stefano da Empoli ................... 28Il «pacchetto clima» Ue e le scelte del policy maker italiano per le rinnovabili,

di Tommaso Franci e Mario Cirillo................................................................................... 30La crisi mondiale blocca il green deal, di Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro ................. 35La via italiana alla green economy, di Fabio Renzi.............................................................. 36

STATISTICHE (a cura di Angela Cipollone)

Il peso dell’occupazione non regolare prima e dopo la crisi economica ............................ 38

IN LIBRERIA (a cura di Carla Bassu) ................................................................................... 43

DAL PARLAMENTO (a cura di Carla Bassu) ...................................................................... 45

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numero di maggio 2010 3

EDITORIALE

di Tiziano Treu

L e scelte in tema di fonti energetichee di economia verde hanno implica-zioni su tutti gli aspetti della vitaumana: dalla sostenibilità del clima,

al tipo di sviluppo economico, alla qualità equantità dell’occupazione.

La valutazione di queste ultime è parti-colarmente complessa per i motivi indicatinel contributo di Carettoni. Inoltre lo stessoconcetto di green jobs è generico, e com-prende diverse combinazioni di caratteriverdi con caratteri tradizionali (vedi OcseGreen jobs and skill Martinez – Fernandez,Hinojosa, G. Miranda, 08/02/2010 CFE/LEED).La valutazione è ulteriormente complessase si considera non un singolo paese, il no-stro, ma l’economia mondiale che è influen-zata sempre più dagli interscambi di im-pianti e prodotti.

Tali questioni non sono state fra quellepiù approfondite; spesso sono oggetto divalutazioni così approssimative da esserefuorvianti. Non mancano stime opposte, Ilcontributo di da Empoli dà esempi signifi-cativi di stime poco credibili, come quelledell’Ases, fatte peraltro prima dell’attualecrisi, che prevedevano 40 milioni di postinel 2030 creati dalla green economy. Il con-tributo di Lavecchia e Stagnaro riporta indi-cazioni internazionali fortemente negative,secondo cui il saldo netto fra occupazionecreata nelle energie rinnovabili e occupa-zione spiazzata nell’economia in generale ènullo. Le stime internazionali ufficiali, del-

l’Ocse, dell’Ilo non sono così pessimiste.Convergono nel ritenere positivo l’impattooccupazionale dell’economia verde, anchese ammettono la difficoltà di stime quanti-tative certe (v. oltre). In realtà ogni previsio-ne è esposta ad errori e alterazioni per l’in-certezza del contesto e per la complessitàdelle variabili intervenienti (nazionali e in-ternazionali). Il rigore delle valutazioni èdunque più che mai necessario.

Il contributo di da Empoli fornisce alcunicriteri di metodo da seguire per impostareil più correttamente possibile l’analisi del-l’impatto occupazionale della green eco-nomy: in particolare la necessità di identifi-care i lavori indotti dalla nuova economia,quelli effettivamente addizionali, e nonsemplicemente sostitutivi o risultanti da uncambio di classificazione di vecchi mestieri,e di distinguere i posti permanenti da quellitemporanei (ad esempio risultanti dalla in-stallazione di nuovi impianti).

È importante per l’economia del Paese,non solo il nostro, non limitarsi alla instal-lazione di impianti, comprati all’estero, maattivare l’intera filiera produttiva (l’impat-to occupazionale può variare in modo de-cisivo). Si può dire in generale che l’impat-to occupazionale della fase di produzione-costruzione è maggiore di quello delle at-tività di funzionamento (Carettoni), e chevaria a seconda delle fonti attivate: la pro-duzione di energia solare ha un impattomaggiore dell’eolico (6 posti ogni 1 MW

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medio di energia solare contro 1,5 nel casodelle biomasse) e ancora più delle biomas-se (0,2-0,4).

A questo proposito l’Italia ha un fortegap da recuperare perché la nostra produ-zione di impianti, la produzione nazionaledi energie alternative è solo il 30% di quel-la richiesta (e quella esportata è minima).Carettoni ritiene essenziale porsi l’obiettivodi aumentare tali quote ai livelli medi dellanostra industria manifatturiera: produzioneal 70% del fabbisogno nazionale ed exportal 3-4% della domanda individuale.

In ogni caso le ricadute occupazionali di-rette stimate dal piano governativo del2007 a seguito dell’allineamento agli obiet-tivi europei del pacchetto clima sono mode-ste, da 20 a 40.000 posti aggiuntivi. Tali sti-me peraltro dovranno essere riviste, se sivorrà considerare la recente proposta di al-zare gli obiettivi europei dal 20% al 30% dienergie rinnovabili (innalzamento che pe-raltro trova ancora una volta contrario ilgoverno italiano).

Se queste sono le conseguenze direttedella produzione di energie alternative,sono più rilevanti, anche se di difficile ap-prezzamento, le ricadute indirette conse-guenti al cambiamento di paradigma eco-nomico e tecnologico implicato nella greeneconomy. Un simile cambiamento ha carat-tere strutturale e diffusivo, tale da attivareimportanti effetti di produttività e di cresci-ta nell’intero sistema.

Di queste ricadute generali si occupanodiffusamente le analisi internazionali, inprimis quelle citate dell’Ocse e quelle del-l’Ilo, ancorché con risultati variabili e par-ziali. L’Ocse segnala che l’impatto occupa-zionale positivo è legato alla espansione disettori nuovi legati alla regolazione deicambiamenti climatici e al fatto che la pro-duzione in questi settori è più labour inten-sive che non nelle industrie tradizionali. In-dica nell’aumento dell’1,5 dell’occupazionediretta negli stessi settori e tematiche ilraggiungimento degli obiettivi Ue nel casopossa sviluppare 2 milioni di nuovi posti.

L’Ilo non trascura di sottolineare che glieffetti occupazionali della transizione sonoil risultato di grandi modifiche del mercato

del lavoro, con perdite di certi lavoro e cre-scita di altri. Ma richiama l’importanza divalorizzare le ricadute occupazionali perchéesse sono vitali per rendere socialmente epoliticamente accettabili le misure indivi-duali restrittive richieste dal contrasto alglobal warning (Ilo, employement and la-bour market implications of climate chan-ge, nov. 2008).

Il saldo occupazionale stimato per alcunedella maggiori economie mondiali risulta inogni caso significativo. Ad esempio l’impat-to per tutti i settori delle rinnovabili valuta-to nel 2006 per l’economia cinese è di943.000 posti (di cui 600.000 nel solare). Lastima dell’occupazione nel settore dellebiomasse sempre al 2006 per Brasile, Usa,Cina e Germania e di 1.174.000 posti.

Per gli Stati Uniti la crescita diretta di occupazione dei settori rinnovabili al 2006è di 193.000 posti, quella indiretta è di446.320. Oltre al settore specifico delleenergie rinnovabili l’Ilo sottolinea come ungran numero di green jobs, presenti e futu-ri, quello più consistente, sia concentrato insettori legati all’uso dell’energia e al recu-pero delle materie prime: costruzioni (rin-novo del patrimonio abitativo); mobilità etrasporto di massa, recycling sostenibiledelle risorse naturali (agricoltura, foreste,pesca), servizi dell’ambiente.

In tutti questi settori i cambiamenti in-dotti dal nuovo paradigma economico sa-ranno rilevanti non solo nella quantità manella qualità dell’occupazione. La crescitadell’economia verde postula una modificaprofonda nella richiesta delle professiona-lità necessarie anche dei settori tradizionali,con la conseguente importanza di una for-mazione mirati sui nuovi skills. D’altra partesi tratta di contrastare tendenze al degradogià presenti: molti lavori verdi sono precarie di cattiva qualità (nelle costruzioni, nelbiofuel e nel recycling).

Per quanto riguarda il nostro Paese icontributi della rivista indicano alcune op-zioni di politica energetica e industriale ne-cessarie per rispondere alle priorità euro-pee del pacchetto clima. Tali opzioni devo-no essere organizzate in un Piano naziona-le che ogni Stato è tenuto a elaborare (en-

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tro giugno 2010), in adeguamento alle di-rettive europee. Il contributo di Franco eCirillo analizza le varie scelte possibili: ilcontributo del risparmio energetico e dellaproduzione di nuove Fer, il tipo di fontitecnologiche da attivare (eolico, solare,biomasse); il rapporto fra produzione na-zionale e import, fra rinnovabili elettrichee termiche.

Il contributo di Renzi segnala esempi si-gnificativi di sviluppo di fonti innovative dienergia, riferiti all’esperienza sia italiana(materiali, bioplastici, legno arredamento,ceramica, tessuto biologico) sia internazio-nale (l’Australia per le coltivazioni biologi-che, i biogas in California).

Questi casi di successo mostrano le po-tenzialità dell’innovazione energetica neidiversi settori. Ma lo sfruttamento di tali po-tenzialità richiede uno stimolo pubblico dasostenere con risorse consistenti. Si tratta di

un costo sociale (Lavecchia, Stagnaro) da va-lutare attentamente bilanciando i pro e icontro degli investimenti nell’economia ver-de rispetto a quelli nell’economie e nelleenergie tradizionali. Nessuno può pensareche queste ultime siano semplicemente so-stituite.

Il nostro Paese ha un urgente bisogno diorientare meglio, più che di potenziare, gliinvestimenti pubblici di sostegno ai varisettori dell’economia verde. Qui come inaltri settori industriali è necessario riordi-nare gli incentivi a tal fine predisposti, chenon sono irrilevanti, ma inadeguati. Le ta-riffe incentivanti per il fotovoltaico sono iltipo di incentivi più consistente (nel termi-co sono praticamente inesistenti). Ma han-no avuto una regolazione così variabile econtraddittoria da ridurne e frustrarnel’utilizzabilità da parte dei produttori(Franco e Cirillo).

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I SEMINARI

1/2007. Programmazione, costi e finanziamenti delle infrastrutture in Italia

2/2007. Norme in materia ambientale - Decreto legislativo n. 152/2006

3/2007. Offerte pubbliche d’acquisto e recepimento della direttiva europea

4/2007. Class action

5/2007. È possibile contrastare l’antipolitica?1/2008. Costituzione e regolazione2/2008. Mercato del credito e indebitamento delle famiglie in Italia3/2008. Fondi sovrani1/2009. La nuova cassa depositi e prestiti

2/2009. La strada per Kabul

3/2009. Dalla «Caritas in Veritate» la chiave di lettura della crisi

1/2010. Le riforme che mancano. Trentaquattro proposte per il welfare del futuro

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OSSERVATORIO

In questo numero

L’ analisi del mercato del lavoro presenta un’indagine Istat sui cosiddetti «fenomenidiscorsivi» (caporalato, sfruttamento stranieri, lavoro nero), il dossier della Ces sulladisoccupazione giovanile e sul rischio di «scomparsa» di un’intera generazione a causa

della crisi, un’indagine Ocse sulla nuova configurazione dei mercati del lavoro per effetto della crisi,un’indagine europea sul maggiore rischio di povertà per le donne, le conclusioni adottate dai ministridel Lavoro del G20, un saggio Iza sulle ragioni delle buone performance del modello tedesco, unostudio sui risultati positivi e negativi delle «agende sociali» adottate dai paesi europei, un’analisi checompara la situazione statunitense e quella tedesca nel rapporto tra andamento delle retribuzioni,professionalità ed innovazione tecnologica, uno studio sulla condizione dei lavoratori che versano insituazione di povertà.

Come argomenti correlati a quelli del mercato del lavoro, segnaliamo la ricerca Ipsos sul modo dipercepire il lavoro nel settore industriale da parte dei giovani, un saggio che esamina sul pianometodologico gli strumenti di indagine sulla povertà.

Sui temi delle relazioni sindacali segnaliamo il dossier Adapt sulle esperienze in Europa dipartecipazione dei lavoratori al governo delle imprese, la relazione di Pietro Ichino all’Accademia deiLincei sul concetto di «giusta retribuzione» nell’ordinamento costituzionale italiano e nell’esperienzaconcreta dell’evoluzione della contrattazione collettiva, un’indagine Eurofound sulle strategie adottate dai sindacati nei Paesi europei per rispondere al calo di sindacalizzazione.

Le politiche dell’ambiente sono segnalate seguendo i lavori dell’incontro dei sindaci delle città europee e i loro impegni per l’attuazione di politiche di salvaguardia e sviluppo.

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7numero di maggio 2010

ITALIA

Istat, sono sempre piùi lavoratori in nero e meno gli occupati regolari

Nel mese di aprile il presidente dell’IstitutoNazionale di Statistica, Enrico Giovannini, èstato ascoltato dalla commissione Lavorodella Camera sui fenomeni distorsivi delmercato del lavoro (lavoro nero, caporalatoe sfruttamento della manodopera stranie-ra). L’audizione (25 p.) si è tenuta a Roma,15 aprile 2010 e si è incentrata in particola-re sulla misura dell’occupazione non rego-lare nelle stime di contabilità nazionale; lasituazione del mercato del lavoro sulla basedei dati recenti delle forze di lavoro.

Il fenomeno del lavoro non regolare, intutte le sue forme, è diffuso in tutta Euro-pa, ma in Italia assume forme e connotazio-ni tali da costringere chi intenda effettuareun’effettiva azione di contrasto a muoversiin più direzioni. È noto che il ricorso al lavo-ro non regolare, con conseguente risparmioin contributi ed imposte, è conveniente siaper le imprese che per le famiglie che im-piegano colf o badanti. Si osserva un co-stante cambiamento nella forma del lavoronon regolare, con la ricomparsa, estrema-mente preoccupante, del lavoro minorile.

Quando si parla di lavoro non regolare,si ha a che fare con tre tipologie lavorative:1) continuative ed occasionali degli irrego-lari residenti; 2) plurime; 3) degli stranierinon residenti e non regolari. Le analisi del-l’Istat identificano sia gli occupati regolariche quelli non regolari, oltre alle posizionilavorative regolari di secondo lavoro. Si sti-mano, inoltre, il numero di stranieri non re-sidenti e non regolari e le posizioni di se-condo lavoro in nero. Questi cinque fattoricontribuiscono alla produzione del reddito;nel 2009 sono stimate non regolari 2 milio-

ni 3.966 unità di lavoro (Ula). Sempre nel2009 il tasso di irregolarità è pari al 12.2%sul totale delle Ula, con una diminuzione ri-spetto al 2001, quando le Ula irregolari era-no il 13.8%.

Come detto, il numero di Ula irregolaritocca nel 2009 la cifra di 2 milioni e 966,impiegate in maggioranza come dipenden-ti (circa 2 milioni e 326 mila); 640 mila sonole Ula impiegate in lavoro indipendente.Nel 2001 la cifra totale era di 3 milioni e280 mila. Si registra, quindi, un calo del la-voro irregolare, ed un contestuale aumen-to di quello regolare. Questi dati sono spie-gabili sia con fattori legati all’andamentodel sistema economica ma anche, e forse dipiù, con le misure riconducibili agli inter-venti normativi, sia per quel che riguarda ilmercato del lavoro sia per la presenza distranieri non residenti sul territorio. Nuovetipologie di contratto (lavoro interinale, la-voro a termine), hanno consentito certa-mente l’incremento del livello di occupa-zione regolare. Per quel che riguarda glistranieri, la legge Bossi-Fini del 2002 haconsentito la regolarizzazione di 600 milastranieri. I successivi decreti-flussi hannoconsentito a molti lavoratori stranieri di di-venire regolari.

Se si esamina nel dettaglio il lavoro irre-golare si osserva che esistono tre diverse tipologie occupazionali; 1) irregolari resi-denti. Si tratta di persone occupate, sia ita-liane che straniere; 2) stranieri non regolarie non residenti; 3) attività plurime non re-golari.

La prima tipologia indicata rappresentala componente più importante dal punto divista numerico di Ula non regolari, che nel2009 sono circa 1 milione e 652 mila. Le po-sizioni plurime, invece, toccano quota 937mila. Gli stranieri clandestini sono circa 377mila. Il numero degli stranieri irregolari,però, è cresciuto nel periodo 2001-2008,mostrando un’inversione di tendenza solonel 2009. In generale, invece, il periodo2001-2008 ha visto un calo del lavoro nonregolare, ma la crisi economica attuale hacambiato i dati. L’occupazione, infatti, è ca-lata di circa 660 mila unità, dovuta alla ca-duta del lavoro regolare, che perde 668

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mila unità. Il lavoro, irregolare, invece, ne-gli ultimi due anni è salito di 8000 unità.

Se si esaminano i settori produttivi, siosserva che la maggiore incidenza di irre-golarità si presenta nell’agricoltura, laddo-ve dal 20.9% del 2001 si è passati al 24.5%del 2009. Incide molto in questo dato il ca-rattere stagionale dell’attività agricola ed ilforte ricorso al lavoro a giornata. Il settoreindustriale, al contrario, è quello che pre-senta il minor tasso di irregolarità. L’indu-stria, infatti, presenta un tasso costante dal2001 al 2009 del 4%. Il settore delle costru-zioni, che pure fa parte dell’industria, mo-stra invece un tasso di irregolarità del10.5%, nettamente più alto, anche se incalo rispetto al 15.7% del 2001. Il settoredei servizi, infine, è interessato in manieradiversa a secondo dei comparti presi in esa-me. Se si guarda al commercio, infatti, nel2009 si è registrato un tasso del 18.7%,mentre in quello dell’intermediazione mo-netaria e finanziaria si tocca solo il 9.9%.Negli altri servizi si è passati dal 14.5% del2001 al 10.6% del 2009. Nel terziario (conl’esclusione della pubblica amministrazioneche ha tutto lavoro regolare), il tasso è parial 17.4%.

Il fenomeno si differenzia molto a livelloterritoriale. Come facilmente prevedibileesso è più marcato nel Mezzogiorno diquanto non sia nel Centro-Nord. La quotadi lavoro irregolare nel Sud è più che dop-pia rispetto a quella delle altre due riparti-zioni del Paese. In generale la percentualedi irregolarità si presenta ovunque in calodal 2001 al 2007, passando dal 13,8%all’11,8%. Limitandoci al 2007, possiamonotare che nel Nord-Ovest si è registrato un9.2% di irregolarità, nel Nord-Est l’8,5% (lapercentuale più bassa), nel Centro il 10,2%e nel Mezzogiorno il 18,3%. Questa diversapercentuale può essere spiegata con la di-versa composizione settoriale e dimensiona-le delle varie economie. Nell’agricoltura iltasso di irregolarità nel Sud è pari al 25.3%,oltre un punto superiore alla media nazio-nale. Più basso il tasso nell’industria: 5.5% alivello nazionale, con il Mezzogiorno che faregistrare un 14.9% nell’industria in sensostretto e un 12.1% nelle costruzioni. Per

dare un’idea, il Nord-Est tocca rispettiva-mente l’1.7 e l’1.5%): Nei servizi, la media èpari 13.4% (18,5% nel Sud).

Per calcolare la manodopera immigrata ein generale quella irregolare, si fa riferimen-to anche ad un altro parametro, quello dellaforza di lavoro. Nel 2009 il mercato del lavo-ro italiano ha fatto registrare una costantecontrazione dovuta alla crisi economica,contrazione che ha colpito sia gli italiani chegli stranieri. Per quel che riguarda il genereil tasso di occupazione femminile (che in ge-nerale in Italia è il più basso d’Europa con lasola eccezione di Malta) è particolarmentescarsa al Sud (30.9%) e varia a seconda deifigli. Il 51.8% delle donne meridionali senzafigli lavora, contro il 43,4% di quelle chehanno due figli ed il 31,8% di quelle chehanno almeno tre figli. Per quel che riguar-da le donne straniere, questo fenomeno èancor più accentuato, vista l’impossibilità diconciliare i tempi: il 50.3% delle donne stra-niere senza figli lavora, mente solo il 44.8%di quelle con figli riesce a farlo.

Nel 2009 l’occupazione italiana è precipi-tata, perdendo 527 mila unità, pari al 2.4%della media del 2008. Cresce, invece, quellastraniera, che però ha cominciato ad eviden-ziare un calo nella seconda metà dell’anno.In generale alla caduta del tasso di occupa-zione si accompagna la crescita della popola-zione in cerca di lavoro. Nell’ultimo trime-stre del 2009, la disoccupazione italiana èpari all’8.2% (la più alta dal 2005), ed anchequella straniera è sempre più forte. Sale an-che il numero degli inattivi, ossia di coloroche non cercano nemmeno un lavoro. Reggesolo il lavoro non qualificato, che coinvolgesoprattutto stranieri che si impiegano in po-sti di basso livello o nel servizio alle famiglie.

Istat, Indagine conoscitiva su taluni feno-meni distorsivi del mercato del lavoro (lavo-ro nero, caporalato e sfruttamento dellamanodopera straniera), Roma, 15 aprile2010, 25 p.

Il testo dell’audizione è disponibile on-line su:

http://www.istat.it/istat/audizioni/150410/Audizione.pdf

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9numero di maggio 2010

Ecco come si superal’asimmetria dei rapportidi lavoro salariato

Un recente dossier Adapt, curato dall’Asso-ciazione per gli Studi Internazionali e Com-parati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazio-ni Internazionali, in collaborazione con ilCentro Studi Internazionali e ComparatiMarco Biagi, si occupa della partecipazionedei lavoratori all’interno dei sistemi di rela-zioni industriali, analizzando la storia dellapartecipazione dei lavoratori, il ruolo delleistituzioni nazionali ed europee, casi speci-fici realizzati in Italia ed altrove.

Tra i numerosi saggi appaiono, in parti-colare, interessanti quello di Francesco Lau-ria dal titolo Quadro definitorio ed evolu-zione storica, sorta di introduzione al temae quello conclusivo dello stesso Lauria e diPatrizio Caligiuri dal titolo L’avviso comunedel 9 dicembre: un parziale punto di equili-brio e un possibile punto di partenza.

Nel primo saggio Lauria osserva che tra-dizionalmente la partecipazione dei lavora-tori al governo dell’impresa è stata concepi-ta con la finalità di correggere l’intrinsecaasimmetria dei rapporti di lavoro salariato.Secondo lo studioso Guido Baglioni, esisto-no tre tipo di partecipazione: antagonisti-ca, che tende a modificare nei fatti le asim-metrie del sistema; collaborativa, che con-templa la possibilità di migliorare la posi-zione socio-economica di lavoratori ma sen-za modificare gli assetti istituzionali del ca-pitalismo; integrativa, che si propone di in-teressare i dipendenti (non obbligatoria-mente tramite le organizzazioni sindacali)nell’andamento dell’impresa, coinvolgen-doli nel destino dell’impresa stessa –.

Il tema del controllo e della partecipa-zione dei lavoratori all’impresa si è forte-mente sviluppato in occasione delle dueguerre mondiali, che hanno modificato glistessi aspetti politici. In sostanza si vennerosviluppando sempre più due opposte ten-denze: quella rivoluzionaria dell’autoge-

stione da parte dei lavoratori delle imprese,e quella di compromesso corporativo me-diato dallo Stato, tra gli interessi degli im-prenditori e quelli dei sindacati riformisti.In Inghilterra questa seconda tendenza eragià forte già al momento dello scoppio del-la prima guerra mondiale, mentre nellaGermania di Weimar significativo fu il ruolodei consigli d’impresa nell’attuazione deldiritto di partecipazione della classe ope-raia nell’organizzazione dell’economia. InItalia non si ebbero esperienze analoghe,stante la fortissima tensione sociale del pri-mo dopoguerra, e il successivo avvento delfascismo. Al termine della seconda guerramondiale, fu la Francia ad inaugurare unanuova politica di partecipazione dei lavora-tori alle imprese, seguita dall’Italia che co-stituzionalizzò il diritto alla collaborazionedel lavoratore alla gestione dell’aziendagrazie all’articolo 46 della Carta costituzio-nale. Negli anni successivi la Francia vide uncostante rafforzamento degli istituti parte-cipativi e limitando il potere del capo del-l’impresa. Lauria osserva che questo soste-gno legislativo agli organi consultivi mitigadi fatto la debolezza strutturale della con-trattazione decentrata. La Germania fede-rale adottò nel 1952 norme per la codeter-minazione per la generalità delle impresetedesche, la cui gestione è affidata a dueorgani: un Consiglio di gestione che si occu-pa degli affari correnti ed un Consiglio disorveglianza che ha funzione deliberanteper quel che riguarda le linee strategiche,ratificando, inoltre, i conti aziendali. I lavo-ratori eleggono la metà dei rappresentantidei consigli di sorveglianza, mentre l’assem-blea elegge l’altra metà ed il presidente delConsiglio, che ha voto doppio qualora si re-gistri parità in una votazione.

Lauria conclude ricordando un caso distudio: quello della Olivetti, che vide tra il1945 ed il 1971 nascere e svilupparsi unConsiglio di gestione (Cdg), nato dalla volontà di Adriano Olivetti di costruireun’azienda modello sia per il trattamentoriservato ai dipendenti sia per il rapportotra impresa e territorio. Il Cdg voleva esserestrumento per una partecipazione effettivae consapevole dei lavoratori ai problemi

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dell’azienda; si trattava di una struttura cheaveva poteri consultivi e deliberativi ed eraaffiancato da un organismo più ampio,elettivo come il Cdg, composta da soli ope-rai. Il Cdg si occupava di welfare aziendale,ma anche di riorganizzazione della produ-zione e della raccolta di informazioni sulleprospettive aziendali. La struttura non resseall’autunno caldo ed alla nascita dello Sta-tuto dei lavoratori, ma resta un’esperienzasignificativa da riscoprire, quanto menocome modello, in tempi come quelli attuali,dove auspicabile è il rilancio della funzionesociale dell’impresa e dei meccanismi dipartecipazione e di democrazia economicaed industriale.

Importante realtà di partenza per unaeffettiva partecipazione dei lavoratori alleimprese è, invece, l’avviso comune del 9 di-cembre 2009, esaminato da Patrizio Caligiu-ri e Francesco Lauria. Il percorso negozialeche ha portato alla firma è stato precedutoda una serie di riunioni tra le parti coinvol-te, convocate per la prima volta dal mini-stro Sacconi nel settembre 2009. Il governoha sottolineato l’importanza della parteci-pazione dei lavoratori alla vita delle impre-se, in modo da migliorare la qualità e lacompetitività generale del sistema econo-mico italiano e da rafforzare gli strumentidi gestione condivisa dei processi di cam-biamento. Punto focale della discussione èapparso sin da subito il rapporto tra rela-zioni industriali e contrattuali e legislazionedi sostegno. Se, infatti, non è possibile im-porre per legge le varie forme di partecipa-zione possibili, è evidente che vi sia la ne-cessità di leggi di inquadramento che in-centivino le parti in causa. Molto importan-te è stata la discussione sulle diverse dimen-sioni e modalità della partecipazione, fosseeconomica dei lavoratori alle imprese, fossedi rappresentanti dei lavoratori agli organi-smi di gestione della società.

Il 9 dicembre 2009 è stato, dunque, fir-mato, con eccezione della sola Cgil, l’avvisocomune. Si tratta, a parere di Caligiuri eLauria, di un testo interlocutorio che po-tenzialmente, però, può essere l’inizio diun cammino importante verso la promozio-ne della partecipazione dei lavoratori alle

imprese. Molto importante sarà il monito-raggio delle pratiche partecipative in atto,previsto per 12 mesi dalla firma dell’accor-do. Viene, inoltre, chiesta uno stop di unanno per le proposte di leggi sul tema pen-denti alla Camera ed al Senato, viene crea-ta una cabina di regia ed assistenza tecnicacondivisa tra ministero del Lavoro e partisociali in modo da definire un «Codice del-la Partecipazione». Come detto, la Cgil nonha firmato, mentre Cisl e Uil consideranol’avviso comune un realistico primo passodi un cammino che dovrà portare alla reda-zione di una bozza di provvedimento legi-slativo e di un quadro coerente di strumen-ti di incentivo economico e normativo. An-che le associazioni di imprenditori hannoavuto posizioni diverse. Confindustria eConfcommercio hanno cercato costante-mente di limitare l’ambito del confrontomentre le organizzazioni dell’artigianato edelle piccole imprese sono state più apertee pronte a recepire la novità, forse anche acausa della forte presenza nei loro ambitidi organismi bilaterali.

Si osserva che se è vero che viene da tuttiavvertita l’esigenza di superare la concezio-ne puramente conflittuale del rapporto la-voratori-imprese, è anche vero che le partisociali mostrano una tale diversità di posi-zioni da rendere estremamente complesso iltrovare una soluzione condivisa a situazionimolto complesse. Prima di tutto, non è dav-vero chiaro come si intenda coniugare par-tecipazione al rischio d’impresa con parteci-pazione alla gestione. Se, infatti, è vero chei due aspetti sono giuridicamente diversi traloro, è altrettanto vero che le due parteci-pazioni non possono non essere affrontatecongiuntamente, proprio nell’ottica del su-peramento del modello conflittuale. Inoltre,la divisione del fronte sociale, la crisi econo-mica e la struttura del capitalismo italianocontribuiscono a rendere più complessa lasituazione generale. Nonostante questonon si può negare che vi siano dei progressi.Si è, infatti, compresa l’importanza di avvia-re un percorso di analisi su forme e modellidi gestione partecipata all’impresa, in mododa rendere davvero competitivo il nostro si-stema produttivo, incidendo anche dal pun-

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to di vista culturale nel sistema, tradizional-mente conflittuale, dei rapporti industriali.Si è avviato, quindi, un confronto concretosui temi della partecipazione, con strumentidefiniti di soft law che potrebbe concludersicon la riforma complessiva del modello diimpresa italiano.

Yasaman Parpinchee, Fabrizio Sammarco (acura di), Partecipazione dei lavoratori: dallateoria alla pratica, Dossier Adapt, n. 6 , 21aprile 2010, 34

Il dossier è disponibile on/line su:

http://www.adapt.it/acm-on-line/

Ichino: la giusta retribuzionemigliora la vita dei lavoratori

Il 22 e 23 aprile 2010 si è svolto all’Accade-mia dei Lincei di Roma un Convegno sullagiusta retribuzione nel quale Pietro Ichino,giuslavorista e senatore del Partito demo-cratico, ha presentato la relazione dal tito-lo La nozione di «giusta retribuzione» nel-l’articolo 36 della Costituzione, nella qualesi illustra la storia della nozione di giustaretribuzione e le sue pratiche applicazioniin Italia.

Per Ichino il momento attuale è moltodifficile per il mercato del lavoro. Negli ul-timi venti anni l’economia italiana ha co-stantemente segnato un ristagno evidente,mentre si è sempre più accresciuta la disu-guaglianza di reddito tra i più e i meno for-tunati. Si è, inoltre, sempre più evidenziatoil dualismo di fatto dell’ordinamento dellavoro, con quello che Ichino definisce regi-me di apartheid tra lavoratori protetti e la-voratori poco o nulla protetti. L’attuale re-cessione deprime ancor di più gli standardretributivi minimi e riduce i margini dispo-nibili per attuare efficace politiche di soste-gno alla parte più debole dei lavoratori.Questa situazione provoca ribellione nel

giuslavorista che la sente come anticostitu-zionale. Ed è, probabilmente, vero ma nonsi deve pensare che la Costituzione, chepure promuove l’aumento del benesseredella parte più debole dei lavoratori, infunzione di riduzione delle disuguaglianze(articolo 36), essa abbia imposto una voltaper tutte un solo tipo di politica del lavoroe dei redditi, impedendo ai legislatori ed aigoverni di scegliere modi e maniere per at-tuare questo obiettivo. Secondo Ichino,non è possibile pensare ad un vincolo sif-fatto perché questo sarebbe incompatibilecon la libera dialettica politica che la Costi-tuzione garantisce quale diritto primarioed indiscutibile.

Ichino osserva poi che la Costituzioneprescrive la nozione di «giusta retribuzio-ne»; si tratta di una nozione più forte diquella salario minimo, perché questa se-conda si limita a proibire un peggioramen-to in pejus del reddito del lavoratore men-tre la giusta retribuzione è vista come me-todo di miglioramento generale della vitadel lavoratore stesso. Vi sono, inoltre, nellaCostituzione italiana principi rilevanti chedevono innervare tutto l’ordinamento maquesti principi possono legittimamente es-sere declinati in modi tra loro diversi, sullabase di visioni politiche che possono esserelegittimamente diverse tra loro, senza chenessuna possa pensare di incarnare lo spiri-to della Costituzione in maniera esclusiva.D’altronde, gli stessi principi di cui si parlaassumono significati pratici ben diversi aseconda del contesto economico in cui ven-gono applicati.

Secondo il senatore Ichino, i costituentihanno immaginato la nozione di «giustaretribuzione» partendo dalla situazione diun mercato del lavoro, quello dell’imme-diato secondo dopoguerra, caratterizzatodalla distorsione monopsonistica, ossiaquella che vede il lavoratore privato del di-ritto di scelta perché l’impresa manifattu-riera gli offre un contratto che è l’unica al-ternativa ad una situazione di sotto-occu-pazione agricola o di disoccupazione toutcourt. Questa distorsione si manifesta an-che in quel che Ichino chiama «mercato dellavoro maturo», laddove il lavoratore non

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ha vera scelta perché non ha vera informa-zione sulle possibili alternative esistenti e/osufficiente mobilità personale e familiareper poter beneficiare di una libera scelta.La distorsione monopsonistica è data anchedalla mancanza di servizi di formazioneprofessionale idonei ad adattare il lavora-tore al mutato contesto del mercato del la-voro (monopsonio dinamico). In generale,per correggere la distorsione monopsonisti-ca è necessario un intervento del legislato-re che stabilisca uno standard retributivoinderogabile in pejus, superiore al livelloprodotto in modo spontaneo. Questa cor-rezione deve essere positiva sia per i lavo-ratori insiders, ossia occupati, che per quellioutsiders, ossia per coloro che il lavoro locercano. In realtà, ricostruisce Ichino, neldibattito alla Costituente si è andati oltre ilsemplice concetto di minimo non derogabi-le in peggio. La convergenza tra socialisti,comunisti e sinistra Dc, infatti, ha portatoall’approvazione di un testo (quello dell’at-tuale articolo 36 della Costituzione) che su-pera il tradizionale neutralismo dello Statonel mercato del lavoro ed afferma (conDossetti) che «la remunerazione del lavorointellettuale e manuale deve soddisfarel’esigenza di una esistenza libera e dignito-sa del lavoratore e della sua famiglia». Ciòsta a significare, prosegue Dossetti, che lastruttura sociale ed economica del Paesedeve orientare «l’economia verso retribu-zioni del lavoro che non siano soltanto ri-spondenti alle esigenze di vita, quali possa-no essere quelle del vitto, della casa, delvestiario, ma anche alle esigenze dell’esi-stenza libera e perciò degna dell’uomo».Quindi, non basta un salario minimo chesalvi il lavoratore dalla povertà; la giustaretribuzione deve promuovere il migliora-mento della qualità generale della vita dellavoratore. Il principio è chiaro ma, insisteIchino, il costituente lascia libero il legisla-tore ordinario su come render effettivaquesta norma.

L’intervento del legislatore costituente,inoltre, può essere stato dettato anche dal-la volontà di sostengo per un’equa distribu-zione della rendita monopolistica dell’im-presa detentrice di monopolio di beni e ser-

vizi, in modo da risarcire di fatto il lavora-tore che, in qualità di consumatore o uten-te, è costretto a pagare un sovrapprezzoper il servizio dell’impresa monopolisticastessa. Questa visione è stata, però, supera-ta dalla nostra Costituzione materiale chevieta di fatto i trust, cancellando quindi an-che il sostegno al lavoratore di un’impresamonopolistica che non deve esistere più nelnostro ordinamento. In sostanza è chiaroche i costituenti immaginavano uno Statointerventista sul modello della Svezia, e delsuo welfare. Intervento che, però, non ènella pratica stabilito, nel senso che è deltutto opinabile ed oggetto di discussionepolitica libera il modo di realizzare il dirittoalla giusta retribuzione.

Ma, a parere di Ichino, l’applicazione ri-gida di un modello come quello svedesecomporta delle conseguenze logiche che si-nora in Italia non si sono volute affrontare.Se, infatti, si stabiliscono criteri retributiviminimi inderogabili diviene inevitabile loscontro tra lavoratori insiders ed outsiders,laddove si generi nell’immediato disoccupa-zione. In sostanza non si è mai voluto com-prendere che il modello svedese prevedeazioni da parte dello Stato per favorire leparti più deboli dei lavoratori, ma non so-stenendo imprese in perdita o redditi ugua-li per tutti, quanto piuttosto differenziandoi redditi stessi, più alti nelle zone più svilup-pate del Paese, e sostenendo i lavoratori diimprese decotte ad emigrare laddove vi sialavoro. Se si intende davvero sviluppare ilMezzogiorno, è questa la tesi centrale diIchino, l’applicazione di un principio diastratta eguaglianza dei redditi non serve anulla, anzi fa solo danno; non si deve teme-re di differenziare i redditi dei lavoratori, inmodo da invogliare le imprese delle zonepiù ricche e sviluppate ad investire nel SudItalia, laddove vi fosse un costo del lavoropiù basso. Non si tratterebbe, ovviamente,di una differenza perenne (tra l’altro relati-va, stante il costo della vita più basso) ma diun momento utile per rilanciare il Mezzo-giorno e portarlo sui livelli del resto delPaese. Non si violerebbe nessuna norma co-stituzionale, perché, ribadisce Ichino, non èscritto da nessuna parte quale sia il modello

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giusto di applicazione dell’Articolo 36 dellaCostituzione, legato comunque al 49, quel-lo del diritto al lavoro. Questo tipo di inter-vento, inoltre, migliorerebbe la condizionedi quei lavori non protetti di cui tanto siparla. Ichino osserva che la rigidità delle or-ganizzazioni sindacali nel rifiutare qualun-que differenziazione regionale degli stan-dard retributivi, ha il paradossale effetto dicondannare le stesse Organizzazioni Sinda-cali ad una negoziazione di standard nazio-nali molto bassi rispetto alle possibilità chevi sarebbero nelle regioni del Nord, e trop-po alti rispetto a quelle del Sud. Secondogli standard degli attuali Contratti CollettiviNazionali del settore industriale, ad esem-pio, il costo annuo minimo per le aziendedi un lavoratore del livello professionalepiù basso si aggira sui 23-24.000. In un’ipo-tetica macroregione che andasse dalla To-scana e Marche fino alle Alpi, si potrebbetranquillamente sopportare un aumentodel costo minimo pari al 20-25%; viceversa,prosegue, Ichino, una politica che volessedavvero attrarre investimenti in regioniquali Calabria o Sicilia richiederebbe un co-sto del 20-25% inferiore a quello standard.Sicuramente questa scelta sarebbe benaccolta dalla maggioranza dei disoccupati edei lavoratori irregolari del Sud. Se non sivuole accogliere questa ipotesi, che poi èquella messa in pratica con successo neiLander della ex Germania Est, sarebbe allo-ra necessaria una politica del «pugno di fer-ro» contro il dilagare del lavoro irregolare(cosa che proprio non si vede in Italia) e sifavorisse, sul modello svedese, il flusso mi-gratorio dei lavoratori dalle aree più disa-giate a quelle più ricche. Comunque, con-clude Ichino, l’inerzia che da tempo imme-morabile connota la politica del lavoro digoverni e sindacati non ha alcuna giustifi-cazione in presunti vincoli costituzionalidettati dall’Articolo 36. Né il principio dellagiusta retribuzione, né quello di uguaglian-za vietano, infatti, l’istituzione di standardminimi nominali differenziati da regione aregione in relazione a indici obiettivi chemisurino differenze di potere di acquistodella moneta o differenti condizioni delmercato del lavoro.

In conclusione, per Ichino l’unico inter-vento pubblico obbligatorio per il legislato-re ordinario e per il governo è quello voltoa correggere la distorsione monopsonistica.Questa correzione è, dunque, obbligatoriama non viene affatto stabilito erga omnesquali possano essere gli strumenti d’inter-vento più corretti ed efficaci. Per quel cheriguarda la differenziazione dei salari traNord e Sud è assolutamente sbagliato par-lare di «ritorno alle gabbie salariali». Sitratta, invece, di «sgabbiare» (come scrivelo stesso Ichino) la contrattazione collettivain modo da attrarre imprenditori importan-ti nel Mezzogiorno. Ma questi imprenditoridevono fare un investimento rischioso, ed ègiusto e conveniente per il Mezzogiornostesso che anche i lavoratori del Sud parte-cipino al rischio, accettando all’inizio stan-dard minimi più bassi dei loro omologhi delNord. Questo gap iniziale potrà essere an-nullato al raggiungimento di obiettivi pre-determinati di produttività e di redditivitàdelle nuove imprese.

Pietro Ichino, La nozione di «giusta retribu-zione» nell’articolo 36 della Costituzione,Relazione al Convegno promosso dall’Acca-demia dei Lincei, Roma, 22 aprile 2010, 26 p.

Il testo della relazione è disponibile on-line su:

http://archivio.pietroichino.it/saggi/view.asp?IDArticle=835

Ipsos, ecco perché i giovaninon puntano sulle fabbriche

Con la ricerca La scomparsa della fabbrica,pubblicata dall’Ipsos, si prendono in esamei vari aspetti dell’attività manifatturiera percogliere la percezione dell’opinione pubbli-ca sulla struttura economica del Paese, percapire come si pongono i giovani di fronteal lavoro, per sondare le ragioni della per-dita di attrattività dell’industria ma soprat-

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tutto della fabbrica come luogo di produ-zione di lavoro e ricchezza.

I risultati dell’indagine dell’Ipsos sonosicuramente sorprendenti. Lo sviluppo delsistema Italia, infatti, è certamente ancoralegato alla crescita dell’industria manifattu-riera, ma questo fatto pare del tutto igno-rato dagli italiani, soprattutto dai più gio-vani. In pratica è rimosso tutto ciò che ricor-da la fabbrica: lavoro meccanico, operai,ecc., sono degli sconosciuti per gli italianiintervistati dall’Ipsos; i giovani, sia laureatiche non laureati, percepiscono meglio laparola «industria» perché la legano non al-l’ambiente «insalubre» delle fabbriche maa quello «creativo» dei laboratori, degli stu-di di progettazione e, soprattutto, del sem-pre mitizzato made in Italy. Il lavoro in fab-brica è, per i giovani, il peggiore possibile,inferiore anche a quello nei call-center; insostanza, appare evidente dall’indagine ilfatto che l’Italia, che pure ha conosciutonon tantissimo tempo fa uno sviluppo indu-striale fortissimo ed un significativo prota-gonismo operaio e sindacale, sembra averperso memoria di tutto ciò.

Al tal proposito, la maggioranza degliintervistati non sa dare risposta convincentealla domanda «su cosa si basa l’economiaitaliana?». Il 53% dei giovani laureati ed il58% dei non laureati ritiene che il motoreitaliano sia il turismo, soprattutto al Sud.Molto «gettonata» l’industria del lusso, peril suo ruolo di promozione dell’immaginedell’Italia e per le sue esportazioni. Per i gio-vani laureati i settori più importanti dopo ilturismo sono la piccola industria (44%), ilsettore energetico (36%) ed il commercio(31%), mentre la grande industria si collocaal quinto posto ed è indicata solo dal 28%degli intervistati (che avevano la possibilitàdi dare un massimo di tre risposte). Per quelche riguarda i giovani non laureati, dopo ilturismo vengono collocati i settori del com-mercio (41%), della piccola industria mani-fatturiera (38%) e dell’energia (36%). An-che qui la grande industria occupa solo ilquinto posto con una percentuale del 33%degli intervistati. Appare chiara, quindi, laridotta percezione del ruolo dell’industria

nello sviluppo del Paese. L’indagine Ipsos os-serva al riguardo che anche una ricerca diConfindustria Verona sottolinea gli stessiaspetti, pure se concentrata in un territoriodove l’industria, in particolare manifatturie-ra, ha antica origine e forze presenza. Maanche qui nell’immaginario della popolazio-ne, l’industria è ormai quasi scomparsa, nonsolo tra la popolazione ma addirittura tragli stessi uomini dell’industria.

La maggioranza degli intervistati dal -l’Ipsos ritiene che il settore manifatturieroabbia nel tempo perso molto della sua rile-vanza, a causa in particolare della delocaliz-zazione e della spietata concorrenza cinese.Per i giovani in particolare la presenza del-l’industria sembra del tutto, o quasi, inin-fluente per i destini dell’Italia. Si salvano leindustrie percepite come «non tradizionali»,quali l’informatica, l’industria dello spettaco-lo, quella del tempo libero. Sono considerati,inoltre, fondamentali, i settori del servizio edel credito. Quando gli intervistati appren-dono che l’Italia è il secondo paese manifat-turiero d’Europa, preceduta solo dalla Ger-mania, mostrano una grande meraviglia. Il67% dei giovani laureati ignorava questodato (percentuale che sale al 71% tra i nonlaureati). La percezione dell’ininfluenza delsettore industriale in Italia è tale che alcunirifiutano il dato fornito dagli intervistatori.Altri, invece, ritengono che sia vero ma chenel nostro Paese si parla poco o nulla di tuttequelle imprese che non raggiungono diretta-mente il consumatore finale con beni di con-sumo pubblicizzati. Il 43% dei giovani lau-reati (e della popolazione italiana) ed il 36%dei giovani non laureati, ritiene, infine, chele fabbriche tedesche, francesi e britannichesiano, comunque, «migliori» di quelle italia-ne. Non è poi percepito chiaramente se la ri-levante presenza del settore industriale –manifatturiero sia un indicatore positivo omeno per quel che riguarda il dinamismodell’economia italiana. È vero, infatti, chemolti intervistati si dicono soddisfatti perchéanche l’Italia è in grado di produrre qualco-sa, ma dall’altro si ritiene che il nostro setto-re manifatturiero sia molto fragile e destina-to alla fine a sparire per causa delle crisi edella concorrenza internazionale. Si ritiene,

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poi, che l’Italia, come i Paesi più evoluti, siadestinata a spostare la produzione dei benimateriali in Paesi più convenienti, conservan-done, però, il controllo e la progettazione.

Emerge tra i giovani (sia laureati chenon laureati) un sostanziale pessimismo peril loro futuro nel nostro Paese. Il 75% deilaureati e l’85% dei non laureati ritiene chel’Italia offra poche (o nessuna) opportunitàdi occupazione (il pessimismo, in realtà, èdiffuso non solo nei giovani, dato chel’84% della popolazione intervistata rispon-de allo stesso modo). Questo pessimismo èdato, soprattutto, dalla convinzione che leaziende privilegino sempre di più contrattia termine e precari, e che non assumano chinon abbia già esperienza. Per questo, l’86%dei giovani laureati ritiene che ci siano piùpossibilità di lavoro all’estero (Stati Uniti,Gran Bretagna, Germania le mete preferi-te). Da notare che la percentuale sale al90% per i giovani laureati meridionali e chenon è trascurabile nemmeno il fatto che il67% dei giovani non laureati ritenga co-munque più facile trovare impiego all’este-ro piuttosto che in Italia. In generale i gio-vani intervistati non prendono in considera-zione l’alternativa tra azienda manifattu-riera e servizi perché, comunque, ritengonoche andranno a lavorare «negli uffici» (pro-gettisti, uffici marketing, uffici commercia-li), e non nella produzione vera e propria,anche per meri motivi di immagine.

A questo punto si è domandato qualisiano i lavori ideali verso cui tendere. Pertutti gli intervistati il lavoro dovrebbe esse-re creativo, dare realizzazione e svolgersi inun ambiente dove vi siano capi comprensivie colleghi simpatici. Soprattutto non do-vrebbe essere troppo stressante, e quindinon troppo noiosi, con ritmi non molto in-tensi, responsabilità non troppo gravose, econ orari ben definiti, che consentano unavita oltre il lavoro stesso. Inoltre, i laureatiaspirano ad un lavoro ben remunerato(50%) che dia possibilità di carriera (44%).Solo il 31% ritiene che sia importante la si-curezza del lavoro. I giovani non laureati,invece, ritengono sempre che la cosa piùimportante sia trovare un lavoro ben remu-nerato (41%), mentre al secondo posto col-

locano la sicurezza (34%). Segue la risposta«lasciarmi molta autonomia/responsabilità»con il 33%. Questa risposta, invece, nonpiace ai giovani laureati che la collocanosolo al sesto posto con il 20%. In generale siritiene che il lavoro debba essere creativo(e quindi non ripetitivo), piuttosto che in-novativo. Non vi è, però, nessuna preclusio-ne per la meritocrazia, un concetto chesembra prendere piede tra i giovani, cheperò non credono sia applicato dalle impre-se. Il lavoro operaio è considerato il peggio-re in assoluto, anche più dell’operatore delcall-center che almeno (si dice) può averequalche breve pausa e sa che è un lavorotemporaneo prima di uno certamente mi-gliore. Il lavoro in fabbrica, invece, è consi-derato una sorta di condanna a vita, subitain un ambiente fisico insalubre e con ritmifrustranti e stressanti. Pochi sono quelliche, sia pure come ultima scelta, accettanol’idea di divenire operaio. E questo perchél’operaio, a detta degli intervistati, svolgeun lavoro facile, che non richiede adde-stramento e che offre uno stipendio sicuro.L’operaio è, per gli intervistati, una personapriva di scelte, che non ha titolo di studio.Solo un extracomunitario può considerarela fabbrica luogo di riscatto. La figura del-l’operaio non è scomparsa, ma ha perso dicentralità e non ha più i caratteri positiviche gli venivano attribuiti in passato. Farel’operaio è considerato una sorta di «ultimaspiaggia» per chi non dovesse avere altrealternative. Ovviamente anche la fabbricain quanto tale viene percepita negativa-mente dalla larga maggioranza degli inter-vistati, che esprimono un giudizio menopeggiore solo per l’industria manifatturie-ra. Se si parla di «fabbrica», infatti, gli in-tervistati pensano ad un grigio luogo fisicodove si svolge un triste lavoro; se, invece, sipassa a parare di «industria manifatturiera»si ritiene che siano importanti i prodotti,l’attività. L’analisi Ipsos osserva che si hannopercezioni diversissime per una realtà che,invece, è unica, se si guarda dall’ottica dellaproduzione o da quella della gestione. Èquindi chiara la discrasia tra il ruolo ed ilpeso effettivo dell’industria in Italia e lapercezione che di essa hanno i giovani, che

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ne ignorano di fatto l’importanza essenzia-le che essa ha conservato nel sistema Paese.

Ipsos, La scomparsa della fabbrica, Cnel,Roma, 23 gennaio 2009, 105 p.

Il rapporto è disponibile on-line su:

http://www.newslettercnel.org/documenti/scomparsa_fabbrica.pdf

UNIONE EUROPEA

Eurofound, l’8% dei lavoratorivive sotto la soglia di povertà

Il lavoro è senza dubbio la migliore garan-zia contro la non abbienza. Tuttavia, l’8%degli occupati europei vive sotto la sogliadi povertà. In Italia, il dato raggiunge il10%. Working Poor in Europe, un rapportodi Eurofound, approfondisce un fenomenospesso trascurato dai governi e acuito dal-l’attuale crisi economica.

La lotta alla povertà e all’esclusione so-ciale, obiettivo cardine della strategia di Li-sbona, non può prescidere dal fenomenodei working poor, ovvero di chi, pur aven-do un impiego, percepisce un reddito al disotto della soglia di povertà (stabilita al60% del reddito medio nazionale). Un fe-nomeno diffuso, pur con forti variazioni,nei 27 Paesi dell’Unione europea. Lo studiosi avvale dei dati degli esperti dell’Osserva-torio per le Condizioni di Lavoro Europeeper tracciare un quadro comparato dellapovertà da lavoro in Europa, analizzandonele caratteristiche, valutando l’efficacia dellerisposte messe in campo dai governi percontrastarla, e misurando l’impatto dell’at-tuale crisi economica. Complessivamente,l’8% della forza lavoro europea vive al disotto della soglia di povertà.

Si registrano però forti variazioni tra iPaesi Ue: se nella Repubblica Ceca il fenome-no è limitato al 3%, in Grecia raggiunge vet-te del 14%, mentre in Italia si assesta poco aldi sopra della media (10%). Emergono inol-tre importanti differenze per quanto riguar-da il contributo della povertà da lavoro altasso di non abbienza complessivo. In alcunipaesi, come la Svezia, la Polonia e il Lussem-burgo, l’incidenza della povertà da lavoro èlargamente allineata al dato generale. Inaltri (ad. es. in Belgio, nel Regno Unito, inIrlanda) si registrano tuttavia forti divari trale due statistiche, soprattutto perché coloroche percepiscono redditi inferiori alla sogliatendono a provenire da nuclei familiari a piùredditi. La povertà da lavoro tende infine aincidere maggiormente sulle seguenti cate-gorie: uomini, giovani, lavoratori atipici e abasso tasso d’istruzione. Nella maggior partedei Paesi Ue non vi sono mai state, se non intempi molto recenti, politiche mirate per ilcontrasto del fenomeno della povertà da la-voro. Iniziative di questo genere, infatti,sono percepite come secondarie, e spesso incontrapposizione alla lotta alla disoccupa-zione. E le misure più comuni, come l’istitu-zione di un salario minimo (attualmente invigore in 20 dei 27 Paesi Ue), non sempre ri-sultano efficaci. Se in Austria, ad esempio,l’istituzione di un salario minimo di 1.000euro al mese nel gennaio 2009 ha ridotto si-gnificativamente il numero di redditi al disotto della soglia di povertà, in Irlanda unaomologa iniziativa ha comportato aumentisalariali per un mero 5% della forza lavoro.La crisi economica è ancora in atto. Risultaquindi difficile valutarne l’impatto sul feno-meno della povertà da lavoro. Tuttavia, con-siderando che l’aumento della disoccupazio-ne interessa principalmente le fasce di reddi-to più basse e i lavoratori atipici, e costringele famiglie monoreddito a non essere piùtali, si può ragionevolmente affermare chela crisi abbia comportato un aumento deiworking poor. Occorre infine rilevare chel’urgente contenimento dei debiti sovranieuropei mediante ingenti tagli alla spesapubblica probabilmente contribuirà, nel me-dio termine, ad un ulteriore deterioramentodella loro condizione sociale.

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Working poor in Europe, European Foun-dation for the Improvement of Living andWorking Conditions, Dublin, 48 p., (2010)

Il rapporto è disponibile on-line su:

http://www.eurofound.europa.eu/docs/ewco/tn0910026s/tn0910026s.pdf

Le strategie europeedei sindacatiper reclutare i nuovi iscritti

È appena stato pubblicato uno studio com-parato Eurofound sulla sindacalizzazione inEuropa e sulle strategie sindacali per ri-spondere al calo di iscritti.

Lo studio fornisce una comparazionesullo sviluppo sia della sindacalizzazionesia sulla rappresentatività nei 27 Paesi del-l’Unione e in Norvegia e si sofferma sulleiniziative assunte dai sindacati per reclutarenuovi associati soprattutto nelle aree chetradizionalmente non fanno parte del baci-no di associazionismo sindacale: l’industriamanifatturiera e il pubblico impiego.

In questa campagna le organizzazionisindacali stanno investendo risorse ed ener-gie ricorrendo agli strumenti tipici del -l’azione sindacale quali l’assistenza quoti-diana e l’impegno sulle condizioni di lavoroe retributive.

Come nella tradizione dei rapporti Eu-rofound, lo studio è stato compilato sullabase di rapporti nazionali redatti sulla basedi un modello unitario di questionario.

In particolare molti sindacati stanno cer-cando di penetrare nei settori dei serviziprivati e nei segmenti marginali del merca-to del lavoro, in particolare per organizzarelavoratori in somministrazione, giovani edimmigrati che fanno registrare il tasso disindacalizzazione più basso.

Non sembra invece esserci un problemadi sindacalizzazione delle donne che ormairaggiungono lo stesso livello degli uomini

anche in conseguenza del fatto che sonomaggiormente occupate proprio nei settoristorici della sindacalizzazione; ma ciò nono-stante si registra ancora un livello basso dipresenza femminile negli organismi diri-genti dei sindacati.

Un settore di attività in sviluppo è quellodei servizi agli iscritti costruiti in ragionedell’eterogenea articolazione degli associatiper genere, livello professionale e di istru-zione, settore economico in modo da com-pensare con i servizi i costi dell’affiliazione.

In generale lo studio testimonia di unagrande flessibilità e adattabilità dei sinda-cati europei al mutamento delle condizionidel mercato del lavoro e del tessuto indu-striale e economico dei Paesi.

Il rapporto è consultabile alla pagina:

http://www.eurofound.europa.eu/docs/eiro/tn0901028s/tn0901028s.pdf

Ces, una generazioneeuropea sacrificatasull’altare della precarietà

In occasione della giornata internazionaledel lavoro, la Confederazione europea deisindacati ha affermato che il futuro dell’Eu-ropa non può essere la precarietà. Secondola Ces le istituzioni europee e i governi na-zionali devono concentrarsi sulla qualitàdel lavoro, favorire l’inserimento sociale eridurre le ineguaglianze crescenti. In undossier intitolato Il lavoro dei giovani: unagenerazione sacrificata? la Ces evidenziacome nel corso del 2009 la disoccupazionegiovanile sia cresciuta del 15%, con un au-mento in termini assoluti di 700.000 giovaniin più alla ricerca di un’occupazione.

Il concetto di generazione sacrificata èricavata da un documento dell’Ocse dalquale si evince che una persona su cinquedi quelle in cerca di occupazione è un gio-vane. Per essi gli effetti negativi della crisi sisommano alle caratteristiche precarie dei

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rapporti di lavoro che gli sono offerti, siasotto il profilo della durata che delle condi-zioni di lavoro. Questa condizione si rifletteanche sulle famiglie e sulla crescente dipen-denza dalle risorse statali.

Proprio per questo, per la Ces è neces-saria una politica a favore dell’occupazionegiovanile che sia anche sostegno allo svi-luppo sociale ed economico: alla condizio-ne di precarietà, la Ces contrappone i prin-cipi di stabilità, qualità e sicurezza del lavo-ro; un compito che può essere svolto nonin modo unilaterale (come nell’esperienzafrancese del contratto di primo impiego),ma solo attraverso un costante dialogo so-ciale che valorizzi anche il ruolo della for-mazione e delle forme di transizione trascuola e lavoro.

Nello stesso dossier, la Ces annunzia peril mese di agosto una conferenza sul tema«Più lavori e migliori lavori per i giovani inEuropa» che vedrà la partecipazione ed ilconfronto anche con rappresentanti delleistituzioni ed il mondo accademico.

Il dossier è consultabile alla pagina:

http://www.etuc.org/IMG/pdf_Newsletter_46-2010_FR.pdf

Il patto dei sindaci motoredell’Europa ecologica

I rappresentanti di più di 1600 città da 36nazioni si sono riuniti al Parlamento euro-peo il 4 maggio per condividere le proprieesperienze sulle strategie per combattere ilcambiamento climatico. Come firmatari delpatto dei sindaci si sono impegnati nell’in-crementare l’efficienza energetica e ridurrele emissioni di CO2.

Per il presidente del Parlamento euro-peo Buzek il Patto dei sindaci «può e deveessere il motore per un governo ecologico,fornendo la propria esperienza a città, mu-nicipalità e governi nazionali».

Il presidente della Commissione euro-pea, José Manuel Barroso, ha sottolineatoche «oggi sono coinvolte più di 1600 città,che solo nell’Unione europea ospitano 120milioni di cittadini. Se i loro piani sarannoattuati, come sono sicuro che accadrà, con-tribuiranno per un quinto dell’intero sforzodi riduzione di CO2 necessario per l’interaEuropa».

Siccome alcuni Paesi e città non possie-dono le risorse necessarie per progettaree attuare i loro piani d’azione, possono ri-cevere assistenza dalle strutture di suppor-to, ovvero amministrazioni pubbliche na-zionali e regionali come province, regioni ecittà «mentori».

L’incontro si è concluso con la firma delprimo accordo «Elena» (assistenza energeti-ca locale europea), mirata a supportare fi-nanziariamente progetti di energia rinno-vabile ed efficienza energetica.

Tra gli impegni che i sindaci delle cittàcoinvolte assumono vi sono quelli di:

– andare oltre gli obiettivi fissati per l’Ueal 2020, riducendo le emissioni di CO2 nellerispettive città di oltre il 20% attraverso l’at-tuazione di un piano di azione per l’energiasostenibile. Questo impegno e il relativo pia-no di azione saranno ratificati attraverso leproprie procedure amministrative (per l’Ita-lia: delibera del Consiglio comunale);

– preparare un inventario base delleemissioni (baseline) come punto di parten-za per il piano di azione per l’energia soste-nibile;

– presentare il piano di azione per l’energia sostenibile entro un anno dallaformale ratifica al patto dei sindaci;

– adattare le strutture della città, inclu-sa l’allocazione di adeguate risorse umane,al fine di perseguire le azioni necessarie;

– mobilitare la società civile nelle areegeografi che al fine di sviluppare, insieme aloro, il piano di azione che indichi le politi-che e misure da attuare per raggiungere gliobiettivi del piano stesso;

– presentare, su base biennale, un rap-porto sull’attuazione ai fini di una valuta-zione, includendo le attività di monitorag-gio e verifica;

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– condividere l’esperienza e conoscenzacon le altre unità territoriali;

– organizzare, in cooperazione con laCommissione europea ed altri attori interes-sati, eventi specifici (giornate dell’energia;giornate dedicate alle città che hanno aderitoal patto) che permettano ai cittadini di entra-re in contatto diretto con le opportunità e ivantaggi offerti da un uso più intelligentedell’energia e di informare regolarmente imedia locali sugli sviluppi del piano di azione;

– partecipare attivamente alla confe-renza annuale Ue dei sindaci per un’ener-gia sostenibile in Europa;

– diffondere il messaggio del patto nellesedi appropriate e, in particolare, ad inco-raggiare gli altri sindaci ad aderire al patto;

– accettare la nostra esclusione dal pattodei sindaci, notificata per iscritto dal segreta-riato del patto dei sindaci, in caso di: i) man-cata presentazione del piano di azione sul-l’energia sostenibile nei tempi previsti; (ii)mancato raggiungimento degli obiettivi diriduzione delle emissioni come indicato nelpiano di azione a causa della mancata e/o in-sufficiente attuazione del piano di azionestesso; (iii) mancata presentazione, per dueperiodi consecutivi, del rapporto biennale.

Il sito del patto dei sindaci è all’indirizzo:

http://www.eumayors.eu/

INTERNAZIONALE

Ocse, disoccupazionee mercato del lavoroai tempi della crisi

La forte recessione nelle economie dei PaesiOcse ha portato ad un consistente deteriora-mento delle condizioni del mercato del lavo-ro, con un forte calo del numero totale di orelavorate e della produttività del lavoro, so-

prattutto nei Paesi europei e in Giappone.Un importante pacchetto di sostegno all’oc-cupazione dovrebbe includere da un lato unri-bilanciamento delle politiche di protezionedell’occupazione a favore dei lavoratori concontratti atipici, e dall’altro un set di misuredi attivazione nel mercato del lavoro qualiformazione per i disoccupati di lungo perio-do e supporto alle attività di ricerca di lavoro.

La forte recessione nelle economie deiPaesi Ocse ha portato ad un consistente de-terioramento delle condizioni del mercatodel lavoro. Il numero dei disoccupati è au-mentato di oltre 16 milioni di persone trafebbraio 2008 e febbraio 2010; l’occupazio-ne è diminuita di 2,25% e molti occupatisono riusciti a mantenere il proprio posto dilavoro a condizione di lavorare in media unnumero ridotto di ore.

Questo studio Ocse esamina gli sviluppidel mercato del lavoro in un gruppo di 11Paesi Ocse, composto dai Paesi appartenen-ti al G7 e in più Olanda, Belgio, Svezia eSvizzera. Nonostante l’occupazione in que-ste economie rappresenti solamente dueterzi dell’occupazione totale dei paesi Ocse,il calo dell’occupazione registrata in talipaesi ha rappresentato più del 90% dellaperdita netta di posti di lavoro dell’areaOcse. Questi paesi sono pertanto al centrodella crisi del mercato del lavoro che i governi e le organizzazioni internazionalistanno cercando di arginare.

Lo studio analizza anzitutto le principalicaratteristiche della presente recessione. Se-condo gli autori si è assistito in primo luogoad forte calo del numero totale di ore lavo-rate e della produttività del lavoro, soprat-tutto nei Paesi Europei e in Giappone; men-tre in Canada e negli Stati Uniti, accanto alcalo nel numero di ore lavorate, si è assistitoad un aumento della produttività del lavorooraria. In secondo luogo, il calo del numerototale di ore lavorate è stato soprattutto ge-nerato da una caduta del tasso occupazionenegli Stati Uniti e da un calo nelle ore medielavorate per lavoratore nella maggior partedegli altri Paesi. Infine, la disoccupazione èaumentata in tutti i paesi ad eccezione dellaGermania. L’aumento è stato più considere-

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vole nelle economie in cui la produttività dellavoro oraria si è mantenuta su buoni livelli(ad esempio, negli Stati Uniti), e minore neiPaesi in cui le ore medie lavorate per lavora-tore piuttosto hanno subito il calo maggiore(ad esempio, appunto, in Germania). Infatti,si è assistito ad una considerevole eteroge-neità nella partecipazione alla forza lavoronel corso della recessione: come in passato,la partecipazione è rimasta sostanzialmentestabile negli Stati Uniti, ed è invece cresciutain Giappone e in alcun economie europee.

Data l’esperienza passata, la crescita deiposti di lavoro durante il periodo di ripresaeconomica potrebbe essere particolarmen-te debole soprattutto nei paesi che hannoconosciuto una produttività del lavoro pro-ciclica e un calo nel numero medio di orelavorate (cioè, in Europa più che negli StatiUniti). Tuttavia, grazie a recenti riforme delmercato del lavoro, la crescita della disoccu-pazione strutturale potrebbe essere più de-bole che in passato. Secondo le previsioniOcse, la crisi economica attuale potrebbe ri-durre la partecipazione al mercato del lavo-ro di almeno un punto percentuale nelcomplesso dei Paesi Ocse nel medio terminee aumentare il tasso di disoccupazione dilungo periodo di circa metà punto percen-tuale nei prossimi cinque anni.

Lo studio espone infine un ventaglio dipossibili strategie di politica economica chepotrebbero essere adottate per stimolareuna ripresa in termini occupazionali duran-te il periodo di recupero dell’attività econo-mica. In particolare, un importante pac-chetto di sostegno all’occupazione dovreb-be includere da un lato un ri-bilanciamentodelle politiche di protezione dell’occupazio-ne a favore dei lavoratori con contratti ati-pici, e dall’altro un set di misure di attiva-zione nel mercato del lavoro quali forma-zione per i disoccupati di lungo periodo esupporto alle attività di ricerca di lavoro.

OECD, Labour markets and the crisis, 16-Apr-2010

Il rapporto è disponibile on-line su:

http://www.olis.oecd.org/olis/2010doc.nsf/linkto/eco-wkp(2010)12

La vulnerabilità economicaè donna in molti Paesi

Essere donna rappresenta un importantefattore di vulnerabilità economica: nellamaggior parte dei Paesi, l’incidenza dellapovertà tra le donne è maggiore che tra gliuomini. Le condizioni istituzionali rivestonouna notevole importanza nel delineare ledeterminanti delle condizioni di deprivazio-ne: nei paesi caratterizzati da sistemi diwelfare più generosi e maggiore offerta diservizi di assistenza all’infanzia, l’incidenzadella povertà sembra meno legata al gene-re. Un recente studio esamina la povertàfemminile in 26 paesi appartenenti all’inda-gine Lis (Luxembourg Income Study) – cioè,cinque paesi anglosassoni, sei paesi dell’Eu-ropa continentale, quattro paesi nordici,due paesi dell’est Europa, tre paesi del sudEuropa e sei paesi dell’America Latina.

L’analisi cerca di valutare se e in che mi-sura essere donna rappresenta un fattore divulnerabilità nei Paesi considerati ed even-tualmente quanto le differenze tra Paesipossano essere attribuite a differenze nellecaratteristiche istituzionali.

I risultati si muovono in più direzioni. Inprimo luogo, il reddito delle donne è sensi-bilmente inferiore a quello degli uomini.Prima dei trasferimenti, in 24 dei 26 Paesiconsiderati, le donne hanno una maggioreprobabilità di essere povere rispetto agliuomini. Questa differenza è assai più mar-cata nel Sud Europa e in America Latinadove, tra coloro che si trovano sotto o mol-to vicino alla linea di povertà, il reddito del-le donne è appena 17% e 27% rispettiva-mente di quello degli uomini. Anche tra inon poveri, il reddito delle donne è partico-larmente basso rispetto a quello degli uo-mini soprattutto nei paesi del Sud Europa ein America Latina, il reddito delle donne èappena la metà di quello degli uomini.

I trasferimenti pubblici contano moltonel ridurre le disparità di genere in terminimonetari: al netto dei trasferimenti, infatti,la situazione diventa più favorevole per le

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donne in tutti i 26 paesi considerati. NeiPaesi anglosassoni, in quelli dell’Europacontinentale e del sud Europa, lo svantag-gio delle donne si riduce nonostante per ledonne la probabilità di cadere in povertà rimanga più alta di quella maschile di circa1-3 punti percentuali. Sempre al netto deitrasferimenti, la situazione si ribalta invecein tutti i Paesi del Nord ed Est Europa, dovela probabilità delle donne di diventare po-vere è leggermente più bassa di quella de-gli uomini. Questi risultati dimostrano che itrasferimenti giocano un ruolo decisivo nelridurre la prevalenza femminile nelle condi-zioni di deprivazione.

Nella maggior parte dei paesi in analisi,le madri single sono una categoria moltovulnerabile. L’incidenza della povertà tra lemadri single è infatti più alta dell’incidenzadella povertà tra i padri single, specialmen-te in Canada e Stati Uniti (dove la differen-za di genere è di circa 20 punti percentualia svantaggio delle donne).

In conclusione, le condizioni istituzionalirivestono una notevole importanza nel de-lineare le determinanti della condizione dideprivazione. Nei paesi caratterizzati da si-stemi di welfare più generosi e maggioreofferta di servizi di assistenza all’infanzia,l’incidenza della povertà sembra meno le-gata al genere.

J. C. Gornick and M. Jäntti, Women, povertyand social policy regimes: A cross-nationalanalysis, Luxembourg Income Study, Luxem-bourg, Lis working paper, n° 534, April, 40p., (2010)

Il paper è disponibile on-line su:

http://www.lisproject.org/publications/liswps/534.pdf

Le raccomandazioni del G20sull’economia internazionale

La risposta pronta e vigorosa alla crisi eco-nomica dei governi del G20 ha evitato al -l’economia internazionale il baratro del col-

lasso. Con il contributo dell’Ocse e dell’Ilo igoverni facenti parte del G20 e i ministridello sviluppo elencano dopo un loro in-contro una serie di raccomandazioni.

L’Organizzazione Internazionale del La-voro (Ilo) ha stimato in 21 milioni di posti dilavoro quelli creati e salvati dagli interventidei governi del G20. Tuttavia nonostante sistia tornando a parlare di crescita la disoc-cupazione è aumentata e in alcuni paesicontinua a crescere. Quindi i leader mon-diali hanno chiesto all’Ilo e all’Ocse la valu-tazione circa la necessità di ulteriori inter-venti per tornare a far crescere anche l’oc-cupazione nel mondo. I due istituti concor-dano sulla necessità di ulteriori sforzi persostenere la crescita economica e una ade-guata e conseguente crescita occupaziona-le. Serve continuare a fornire sostegno airedditi perché la disoccupazione probabil-mente durerà ancora. Inoltre molti dei pae-si che stanno vivendo la crisi hanno moltilavoratori esclusi dai regimi di assicurazionecontro la disoccupazione. In questo casourge mantenere nonché ampliare i sostegnial reddito, compatibilmente con le esigenzedi bilancio. Occorre aumentare anche l’of-ferta di servizi di protezione sociale che co-stituiscono anche un volano per l’occupa-zione stessa. Serve continuare a investire informazione per migliorare o modificare lecompetenze professionali. La formazione èuno strumento fondamentale per aiutare ilavoratori disoccupati a uscire dalla crisi ead adeguarsi al mutato contesto economi-co. Quindi servirebbero misure per amplia-re l’offerta formativa e l’estensione dei be-nefici per i lavoratori e imprese per l’atti-vità di formazione. La crisi inoltre, rilevanol’Ilo e l’Ocse, potrebbe essere l’occasioneanche per migliorare i livelli di istruzione(soprattutto nei paesi in cui l’accesso al-l’istruzione non è ancora universale o dovec’è un elevato tasso di abbandono scolasti-co), l’alfabetizzazione nonché le opportu-nità di apprendimento lungo il corso dellavita, con maggiore attenzione ai gruppivulnerabili a rischio di esclusione sociale.Altrettanto utile è l’investimento nei serviziper l’impiego soprattutto per l’assistenza ai

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disoccupati. Si consiglia di concentrare, neipaesi con alto tasso di povertà, risorse percreare occupazione soprattutto nelle fascepovere o comunque deboli, sostegno alreddito alle famiglie povere attraverso tra-sferimento di denaro, accesso a servizi sani-tari di base, assistenza abitativa, sostegno abambini e anziani. Ancora si raccomandamaggiore attenzione alle politiche del mer-cato del lavoro in genere, soprattutto permigliorarne la qualità e garantire il rispettodei diritti fondamentali la dignità dei lavo-ratori. Altro strumento utile potrebbe esse-re la riduzione del carico fiscale sui datoridi lavoro facendo si che questo possa acce-lerare la creazione di nuova occupazione.Serve far si che non troppi lavoratori si di-stacchino dal mercato del lavoro, perchécreare occupazione e sostenere i redditi ge-nera aumento della domanda globale equindi nuova occupazione. Infine si racco-mandano investimenti nel settore dellagreen economy che garantirà nel futuroampie possibilità di nuova occupazione.

G20 Labor and Employment Ministers’ Re-commendations to G20 Leaders

Testo online disponibile su:

http://www.dol.gov/ilab/media/events/G20_ministersmeeting/results.htm

SAGGI

Iza indica le riformetedesche su welfare,scuola e immigrazione

Le riforme adottate hanno consentito allaGermania di resistere meglio di altri Paesialla crisi economica e finanziaria. Per torna-re nel prossimo decennio alla piena occupa-

zione gli autori ritengono che sia necessa-rio intervenire sul sistema educativo, sul si-stema di welfare, sul sistema di collocamen-to e sulle politiche per l’immigrazione. Perciascuna linea di riforma forniscono indica-zioni di intervento.

L’Iza, uno dei principali istituti di ricercainternazionali e di reti scientifiche nel cam-po della ricerca sul mercato del lavoro e del-l’occupazione, presenta questo documentodi strategie per una futura politica del mer-cato del lavoro in Germania. Esso mostra inche modo la Germania possa raggiungere lapiena occupazione nel prossimo decennio, eintende stimolare un dibattito sul futurodello Stato sociale e mercato del lavoro. Ildiscorso del cancelliere tedesco GerhardSchröder il 14 marzo 2003 dal titolo «corag-gio di cambiare» noto come «Agenda2010», ha avviato importanti riforme chehanno portato a un nuovo modo di pensaree di comportarsi; ha contribuito, tra l’altro,ad una stabilizzazione del mercato del lavo-ro, anche in tempi di crisi, e alla creazionedi nuovi posti di lavoro. Nonostante i suoidifetti e un ritmo esitante di riforma, que-sto processo di nuovo orientamento dellapolitica del mercato del lavoro ha dimostra-to di avere successo, anche in un periodo ditempo relativamente breve. Ma ora servonole riforme non più rinviabili soprattutto invista del cambiamento dei parametri delmercato del lavoro derivanti dal drasticocambio della demografia nel nuovo millen-nio, nonché dalla nascita di nuove aree dioccupazione quali la green economy. Invirtù di queste premesse l’Iza individuaquattro aree di intervento in Germania. Laprima riguarda la riforma dell’istruzione, ilsistema educativo della prima infanzia deveessere migliorato così da evitare discrimina-zioni future in conseguenza del ceto socialedi provenienza. Servirebbero riforme chedeterminassero una maggiore indipenden-za e concorrenza tra scuole e università, mi-gliorando così la qualità dell’insegnamento.Per una riforma dello Stato sociale serveuna coerente attuazione del principio di re-ciprocità così da creare ulteriori incentivi al-l’occupazione e rendere concreta la possibi-

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lità di occupazione stabile anche per i lavo-ratori poco qualificati. Il workfare è social-mente giusto ma deve essere indirizzato afavorire l’indipendenza piuttosto che pro-durre dipendenza e quindi assistenza. Inquesta direzione, l’Iza suggerisce di intro-durre il sistema dei buoni per i contributialle famiglie.

Per la riforma del collocamento si propo-ne il rinnovamento dello sportello unico peri disoccupati in modo da renderlo adeguatoalla sfida del ricollocamento ma soprattuttoadeguato alle necessità e peculiarità indivi-duali di chi perde il lavoro. L’Iza inoltre pro-pone la creazione di centri di lavoro che agi-scano indipendentemente dalle autorità lo-cali e federali, al fine di evitare il labirintoorganizzativo e burocratico e così facendo sirendano chiare le singole responsabilità.

Per la riforma della politica di immigra-zione, la Germania ha bisogno di immigratialtamente qualificati per far fronte ai cam-biamenti demografici in atto e alla carenzadi manodopera qualificata. Serve quindi unsistema di selezione permanente per gli im-migrati e una soluzione di mercato per gliimmigrati temporanei. Questo aumente-rebbe considerevolmente i benefici econo-mici derivanti dall’immigrazione e creereb-be ulteriore slancio per la realizzazione del-la piena occupazione.

Hilmar Schneider, Klaus F. Zimmermann,Agenda 2020: Strategies to Achieve FullEmployment in Germany, Iza Policypaper Bonn, n. 15, March 2010, 19 p.

Il paper è disponibile on-line su:

http://ftp.iza.org/pp15.pdf

Ue, le agende sociali nonrisolvono i dossier aperti

Con la strategia di Lisbona gli Stati nazionalihanno ricevuto un forte impulso per predi-sporre agende sociali e adottare provvedi-

menti per la tutela dei lavoratori. L’Iza con-stata però che, nonostante l’attivismo del-l’ultimo decennio, molti provvedimenti sonopendenti da tempo e l’attività dei governinella produzione di provvedimenti previstidalle agende sociali si è notevolmente ridot-ta rispetto ai primi anni del 2000.

L’Iza – Istituto di studi sul lavoro, hapubblicato nello scorso aprile un researchreport dal titolo «Analisys of the SocialAgendas», riferito al contesto dell’Unioneeuropea. Il rapporto riflette sullo stato del-l’arte della politica sociale europea: vienefatta una disamina dei primi anni del 2000alla partenza dell’agenda di Lisbona, del-l’agenda del quinquennio 2000-2005, comepure di quella successiva del quinquennio2005-2010. Inoltre, viene analizzata l’in-fluenza del parlamento europeo sulleagende sociali, ossia il rapporto tra le previ-sioni a livello centrale attraverso la strate-gia di Lisbona e le singole agende socialidegli Stati nazionali. Si finisce con uno stu-dio di scenario per il dopo 2010. Con leagende sociali approvate dagli Stati membridell’Ue nel contesto dell’agenda di Lisbona,molti progressi sono stati compiuti dagliinizi del 2000. La constatazione di fondo èche seppure nell’ultima tornata legislativasono stati approvati diversi dossier, l’attivitàdei governi nella produzione di provvedi-menti previsti dalle agende sociali si è note-volmente ridotta rispetto ai primi anni del2000. Infatti, ancora molti dossier rimango-no pendenti, come per esempio la direttivasul tempo di lavoro, quella sulla trasferibi-lità delle pensioni di occupazione; e ancoratutto il settore che riguarda le misure sullaprotezione della salute e la sicurezza dellelavoratrici in gravidanza, o dei lavoratori insituazioni di salute precarie. La ragione diqueste inottemperanze trae origine da di-versi fattori: i principali riguardano l’esten-sione dell’eterogeneità dei consigli dei ministri degli stati nazionali, come pure l’estensione di importanti aree di competenzadell’Unione europea non più governate dadisposizioni legislative, ma da soft lawcome il processo dell’Open method coordi-nation (metodo di coordinamento aperto).

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Werner Eichhorst et al., Analysis of the Social Agendas, Iza Research Report, Bonn,n. 24, April 2010

Il paper è disponibile on-line su:

http://www.iza.org/en/webcontent/publications/reports/report_pdfs/iza_report_24.pdf

Povertà, Italia più «sicura»grazie alla propensioneal risparmio delle famiglie

Un recente lavoro pubblicato dalla Bancad’Italia confronta le implicazioni per la va-lutazione dell’incidenza della povertà didue misure che, contrariamente all’approc-cio abituale, tengono conto anche della ric-chezza individuale. Se quest’ultima è inclu-sa nelle risorse come valore della renditacostante che genera lungo la vita attesa sicolma in parte la differenza tra gli StatiUniti e i Paesi europei. Per contro, se si con-sidera esclusivamente la possibilità di finan-ziare un livello di sussistenza dei consumiper un dato periodo con la sola ricchezza,l’incidenza della povertà risulta largamentesuperiore rispetto agli indicatori basati solosul reddito.

In questo studio si indaga come la ric-chezza possa essere utilizzata come stru-mento per conoscere e integrare l’analisidella povertà. Generalmente la povertà vie-ne valutata come una condizione di redditotale da impedire l’accesso ad un minimo diconsumi considerati socialmente necessari.Ciò comporta che la ricchezza reale e finan-ziaria non viene considerata se non nel li-mite del reddito annuo che genera. Tutta-via essa invece è fondamentale per capiregli standard di vita di una famiglia soprat-tutto in un periodo di vita caratterizzato daoscillazioni temporanee delle entrate e daeventi negativi. Questa mancanza di analisicongiunta, redditi – ricchezza, secondo lo

studio è alla base del ritardo nella creazio-ne di strumenti analitici adeguati per misu-rare la povertà.

Per questo gli autori introducono duenuovi criteri, variabili, che sostanzialmentedovrebbero contribuire all’analisi: i redditida lavoro, pensione e trasferimenti e le at-tività finanziarie e reali. Con queste variabi-li si può discutere unitariamente degli ap-procci di valutazione della povertà: l’indicereddito – ricchezza, income – net worthmeasures, e gli indicatori di povertà di ric-chezza, asser-poverty. Il primo parte dalladefinizione standard di reddito disponibilesostituendolo con il flusso di reddito gene-rato annualmente da una rendita annualepercepita fino al momento, denominato T,in cui essa termina. Il periodo T viene fattocoincidere con la speranza di vita in funzio-ne dell’età della persona in esame. Questoconsente di analizzare insieme reddito ericchezza, ma comporta una composizionedella povertà a seconda delle classi di età. Ilsecondo criterio, indicatori di povertà di ric-chezza, è più intuitivo. Infatti esso indivi-dua le famiglie o le persone che senza altrerisorse economiche non hanno ricchezzasufficiente a garantire per «n» tempo untenore di vita corrispondente a quello dellasoglia di povertà. Inoltre lo studio applican-do i due nuovi criteri ai dati raccolti dal da-tabase LWS, Luxembourg wealth study, evi-denzia come l’analisi della ricchezza insie-me al reddito possa determinare diverse va-lutazioni dell’entità della povertà. Infatticon la duplice valutazione, reddito-ricchez-za, invece del solo criterio del reddito si ri-duce il differenziale tra gli Usa e i paesi eu-ropei, nonché la differenza dell’incidenzadella povertà tra l’Italia e gli altri stati euro-pei. Questo effetto deriva sostanzialmentedal livello elevato di ricchezza possedutodalle nostre famiglie, cioè il fatto che lacasa di proprietà è componente principaledel patrimonio delle maggior parte dellefamiglie poco abbienti. Infine questo met-tere in correlazione reddito e ricchezza nel-la valutazione dell’indice di povertà per-mette altresì di monitorare anche le cosid-dette famiglie vulnerabili, cioè quelle fami-glie che pur avendo redditi superiori alla

numero di maggio 201024

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soglia di povertà diventano vulnerabili equindi a rischio povertà al verificarsi dieventi negativi e inaspettati. Anche in que-sto l’Italia risulta essere più «sicura» grazieall’elevata propensione al risparmio dellefamiglie italiane.

Andrea Brandolini, Silvia Magri, Timothy M.Smeeding, Asset-based measurement ofpoverty, Banca d’Italia, Temi di discussionen. 755, marzo 2010, 39 p

Il paper è disponibile on-line su:

http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/temidi/td10/td755_10/td_755_10;internal&action=_setlanguage.action?LANGUAGE=it

Diseguaglianze retributivee progresso tecnologicoin Usa e Germania

La letteratura economica ha mostrato unacrescente diseguaglianza retributiva neiPaesi industrializzati a partire dalla fine de-gli anni ‘70. Come possibile spiegazione diqueste tendenze la maggior parte degli au-tori si è focalizzata sul cambiamento tecno-logico skill-biased (che favorisce alcune pro-fessionalità, penalizzandone altre), su cam-biamenti degli assetti istituzionali (il decli-no del tasso di sindacalizzazione, nonchémodifiche delle retribuzioni minime) oppu-re sui cambiamenti delle norme sociali.

La spiegazione più diffusa, fondata sulcambiamento tecnologico skill-biased, pog-gia sulla considerazione secondo cui l’au-mento di domanda per i lavoratori più qua-lificati è più rapido dell’incremento dell’of-ferta, portando così ad un incremento delleretribuzioni di tali soggetti, con crescitadelle diseguaglianze. In relazione agli StatiUniti, molti recenti studi hanno evidenziatoche alla continua crescita della disegua-glianza retributiva alla sommità della distri-

buzione si accompagna una riduzione dellediseguaglianze per i redditi bassi; si è quin-di ipotizzata una polarizzazione del merca-to del lavoro. Il progresso tecnologico, cioè,può favorire i gruppi più professionalizzatia discapito dei lavoratori routinari (manualie non), ma senza spiazzare i lavoratori ma-nuali non routinari.

Il recente studio di Antonczyk, DeLeire eFitzenberger analizza i trend nella distribu-zione delle retribuzioni in Germania e negliStati Uniti nel periodo tra il 1979 ed il 2004.Un simile confronto può infatti fornire indi-cazioni sulla possibile spiegazione del feno-meno; il progresso tecnologico, avvenutonei due paesi con tempi ed intensità analo-ghe, dovrebbe aver portato, infatti, a trendsimili. Al contrario percorsi dissimili sareb-bero indice di una influenza, nella crescen-te diseguaglianza delle retribuzioni, di altrecausali, legate al sistema istituzionale.

Lo studio econometrico, basato su uncampione di dati piuttosto ampio, eviden-zia risultati interessanti. Nel corso del tem-po le retribuzioni sono cresciute maggior-mente per i lavoratori più qualificati, in en-trambi i paesi. Per i lavoratori a media ebassa qualificazione, negli Stati uniti vi èstato un lungo periodo di riduzione delleretribuzioni fino alla metà degli anni ‘90 epoi una successiva ripresa; opposto il trendin Germania. Il risultato di queste tendenzeè l’aumento, negli ultimi anni, delle dise-guaglianze retributive in Germania e la di-minuzione delle stesse negli Stati Uniti. Ne-gli Stati Uniti la crescita più rapida delle re-tribuzioni si è avuta nel 20% meglio remu-nerato ed in quello meno remunerato, dan-do luogo ad una polarizzazione del merca-to del lavoro. Non è invece possibile riscon-trare tendenze analoghe in Germania.

L’analisi mostra inoltre una crescente di-seguaglianza sul ciclo di vita, per i lavora-tori di ogni livello professionale negli StatiUniti e per i soli lavoratori con alte qualifi-che in Germania. La struttura per età dellaforza lavoro ha una rilevante influenza intali tendenze: in entrambi i paesi l’avanza-mento dell’età tra i lavoratori più qualifica-ti tende ad incrementare sia il livello retri-butivo che le diseguaglianze. Al contrario

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la riduzione dell’età tra i meno qualificatiha effetti diversi: negli Stati Uniti tende a far diminuire le retribuzioni e le dise -guaglianze, mentre in Germania diminui-scono le retribuzioni, ma crescono le dise-guaglianze.

In conclusione lo studio riscontra evi-denze per certi versi simili tra i due Paesi inrelazione alla distribuzione delle retribuzio-ni e all’occupazione, coerentemente con lapresunzione che tali risultati siano per lopiù dovuti al progresso tecnologico. Tutta-via i percorsi sono estremamente diversi, eciò fa pensare che a tale causale si aggiun-

gano altri fattori, diversi tra i due Paesi,quali i cambiamenti negli assetti istituzio-nali, tra cui la riduzione del tasso di sinda-calizzazione e i cambiamenti nelle retribu-zioni minime.

Dirk Antonczyk, Thomas DeLeire, Bernd Fit-zenberger, Polarization and Rising WageInequality: Comparing the U.S. and Ger-many, Iza Discussion Paper, Bonn, n. 4842,March 2010, 52 p.

Il paper è disponibile on-line su:

http://ftp.iza.org/dp4842.pdf

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Pubblicazioni edite da il Mulino (2008-2010)

Salvatore Pirrone (a cura di), Flessibilità e sicurezze. Il nuovo welfare dopo il Proto-collo del 23 luglio (2008)

Gilberto Capano e Giuseppe Tognon (a cura di), La crisi del potere accademico inItalia. Proposte per il governo delle università (2008)

Fabio Pammolli e Nicola C. Salerno, La sanità in Italia. Federalismo, regolazione deimercati, sostenibilità delle finanze pubbliche (2008)

Paolo Gualtieri (a cura di), Le aggregazioni tra banche in Europa (2008)

Alessandro Minuto Rizzo, La strada per Kabul. La comunità internazionale e le crisiin Asia Centrale (2009)

Romeo Orlandi (a cura di), L’elefante sul trampolino. L’India fra i grandi della terra(2009)

Enrico Borghi (a cura di), La sfida dei territori nella Green Economy (2009)

Antonio Taverna, Il mercato avido. Finanza degli eccessi e regole tradite (2009)

Carlo Dell’Aringa e Tiziano Treu (a cura di), Le riforme che mancano. Trentaquattroproposte per il welfare del futuro (2009)

Alberto Biancardi (a cura di), L’eccezione e la regola. Tariffe, contratti e infrastruttu-re (2009)

Giulio Napolitano e Andrea Zoppini, Le autorità al tempo della crisi. Per una rifor-ma della regolazione e della vigilanza sui mercati (2009)

Gianfranco Teotino e Michele Uva, La ripartenza. Analisi e proposte per restituirecompetitività all’industria del calcio in Italia (2010)

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Oro nero vslavoro verde

di Alessandro Carettoni*

Nel dibattito politico-economico al tem-po della crisi, le fonti energetiche rinnova-bili (Fer) vengono generalmente presentatecome una one way bet, una scommessa chenon prevede possibilità di sconfitta né sottoil profilo ambientale (riduzione delle emis-sioni di gas serra), né sotto il profilo dellasicurezza energetica (diminuzione del gra-do di dipendenza dall’estero), né sottoquello occupazionale (immediata creazionedi nuovi posti di lavoro qualificati). Se i pri-mi due aspetti sono evidenti, la valutazionedelle ricadute sul mercato del lavoro è piùcomplessa e articolata. Affrontiamo la que-stione fornendo qualche quantificazione1.

Innanzitutto dimensione e segno del-l’impatto di un piano di rilancio delle rinno-vabili dipendono dai fenomeni economici eproduttivi effettivamente innescati nellafase di costruzione materiale degli impianti

verdi e in quella di gestione/manutenzionedegli stessi.

In sostanza, va capito se i beni vengonoo meno costruiti sul territorio nazionale. Nelcaso in cui ciò non avvenga è ovvio che so-stituire importazioni di petrolio con impor-tazioni di macchinari già «pronti», da unpunto di vista squisitamente occupazionale,di per sé cambia poco. Nel caso invece chealmeno una parte degli impianti sia homemade il saldo occupazionale netto sarebbecertamente positivo. L’input di lavoro risultainfatti particolarmente vantaggioso per leenergie rinnovabili nella fase di costruzione:1 Mw medio di energia solare attiva 6 postidi lavoro, la medesima quantità di energiaeolica ne attiva 1,5 mentre le biomasse han-no una capacità di attivazione decisamentepiù contenuta, simile a quella di un impian-to di energia fossile (tra 0,2 e 0,4 posti).

Nella fase di funzionamento, invece, ledifferenze risultano più contenute, anche seè sempre il solare a presentare il maggiorimpatto sul mercato del lavoro (seguito dal-le biomasse); l’eolico ha esiti occupazionalidecisamente più modesti, anzi leggermenteinferiori a quelli delle fonti tradizionali.

L’ipotesi relativa allo sviluppo di una of-ferta italiana di tecnologia verde diventadunque cruciale, sia per stabilire quanta par-te dell’input di lavoro legato alla produzionedi impianti per le energie alternative da istal-lare sul nostro territorio vada effettivamentea vantaggio del nostro Paese, sia per infor-

APPROFONDIMENTI

* Cer.1 Questo articolo riprende parte delle elaborazio-

ni presentate nel Rapporto Cer La Conferenza di Co-penhagen: scenari e impatto sul sistema economicoitaliano.

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marci di quanto potremo beneficiare delladinamica della domanda internazionale. Ri-guardo il primo parametro, in base ai dati di-sponibili, risulta che attualmente la produ-zione nazionale copre solo il 30% della do-manda interna di impianti per la produzionedi energia alternativa, mentre per quanto ri-guarda le esportazioni si può valutare cheoggi la produzione nazionale rappresenti tralo 0,4% (per il solare) e l’1,5% (per l’eolico)della domanda mondiale. In prospettiva, hasenso ipotizzare (e sperare) che un impegnoverso le rinnovabili determini una risposta daparte del nostro settore produttivo tale daportare la quota di domanda nazionale diimpianti soddisfatta da produzione internaad un valore prossimo a quello medio dellamanifattura italiana (pari a circa il 70%) eche per le esportazioni si possa raggiungereun livello in linea con quello medio di pene-trazione delle merci italiane (pari al 3-4%della domanda mondiale).

Partendo da questi riferimenti può esse-re valutato l’impatto di un piano di investi-menti che consenta di dispiegare l’interopotenziale italiano di Fer così come stimatodal governo italiano nel 20072 e di avvici-narsi agli obbiettivi fissati in sede europeasia in termini di riduzione delle emissioni digas serra che di quota delle rinnovabili suiconsumi energetici finali (quest’ultima do-vrebbe salire entro il 2020 al 17% del tota-le). Da un punto di vista strettamente eco-nomico, è corretto considerare l’effetto oc-cupazionale «netto», cioè i posti di lavoroin più (o in meno) che tale programma con-sente di creare rispetto ad uno alternativoche non modifica in maniera significatival’assetto energetico nazionale.

Con l’ausilio di un modello econometri-co, necessario per cogliere le interazioni conil resto del sistema economico, si può calco-lare che il flusso di occupazione aggiuntivo,appunto riconducibile specificatamente allanatura «verde» degli investimenti, sarebbenell’ordine delle 20-40 mila unità corrispon-dente a un incremento dello 0,07-0,15%

dell’occupazione nel settore privato; il piccodell’effetto, logicamente, sarebbe raggiun-to nel momento di massimo sforzo a ridossodel 2020 in vista del raggiungimento deitarget europei. Si tratta di un saldo relativa-mente contenuto, che potrebbe però essereaccompagnato da importanti ricadute intermini di produttività: le innovazioni lega-te alle rinnovabili sono potenzialmente ingrado di indurre una transizione dell’interosistema economico verso un nuovo paradig-ma tecnologico capace di generare ulterioriimportanti opportunità di crescita.

Green jobs e green economy,una realtà oltre il mitodi Stefano da Empoli*

Con i pacchetti di stimolo varati dai go-verni per fronteggiare la crisi economica,molta attenzione è stata dedicata alla crea-zione di posti di lavoro legati alle tecnologiepulite, i cosiddetti green jobs. Non che pri-ma non se ne parlasse. Ad esempio, l’Ases,la società americana per l’energia solare, sti-mava già nel 2007 l’iperbolica cifra di 40 mi-lioni di posti di lavoro indotti dalla diffusio-ne dell’economia verde negli Usa entro il2030. Tuttavia solo dall’inizio del 2009 l’oc-cupazione verde è entrata di prepotenzanell’agenda dei governi, all’affannosa ricer-ca di nuove strategie di fronte alla più gravecrisi economica dalla Grande Depressione.Ad esempio i consiglieri economici di Oba-ma hanno stimato che le misure eco-sosteni-bili contenute nel pacchetto fiscale statuni-tense, pari a 90 miliardi di dollari, consenti-ranno la creazione di 720.000 posti di lavoroall’anno entro il 2012. La Francia ha inveceipotizzato nuovi posti di lavoro verdi in unintervallo compreso tra 80.000 e 110.000 nelbiennio 2009-2010, grazie alle misure di

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2 Position Paper Energia: temi e sfide per l’Euro-pa e l’Italia, Governo italiano, settembre 2007.

* Presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com).

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contenimento della crisi. Forse ancora piùdeterminante per le prospettive a medio-lungo termine dell’economia francese si po-trebbe rivelare l’intenzione espressa dal Go-verno di formare 360.000 lavoratori verdiogni anno, di cui 60.000 giovani.

Più ancora della new economy dell’eraclintoniana, la green economy obamianama anche europea si potrebbe forse rivela-re per i decisori pubblici l’uovo di Colombodel XXI secolo. Cosa si vorrebbe di più daun settore capace di sfornare posti di lavo-ro in grande quantità e a getto continuo,anzi crescente nel tempo, contribuendo arisolvere per giunta la minaccia più signifi-cativa, insieme al terrorismo, che l’umanitàstia oggi affrontando, cioè il riscaldamentoglobale? Un tempo la strada d’asfalto dellanuova occupazione era lastricata spesso evolentieri di brutture, da quelle architetto-niche e ambientali degli stabilimenti del-l’industria pesante alle condizioni sul luogodi lavoro al limite e a volte oltre il limitedella civiltà. Oggi improvvisamente ci tro-viamo catapultati verso un sentiero erbosoche non ci costringe più ai compromessi delpassato, che elimina ogni trade-off, al nettodei necessari aggiustamenti (come la ricon-versione dei lavoratori tradizionali).

Una prospettiva così edulcorata dellarealtà da superare i confini di uno scenarioammissibile, secondo alcuni. Occorre dun-que cercare di fare chiarezza, se non sulpiano dell’esattezza degli scenari (che, inquanto basati su una gamma di ipotesi chedifficilmente si verificano tutte insieme,sono sempre esposti a sbagli più o menogravi), su quello metodologico, seconda epiù evitabile fonte di errore.

Intanto bisogna chiedersi cosa si intendanel dettaglio per green jobs. Spesso e vo-lentieri gli scettici dell’economia verde con-centrano i propri strali sull’inclusione che aloro avviso appare pretestuosa e a tratti ri-dicola di mansioni non produttive (la cen-tralinista di una società rinnovabile oppureil trasportatore di pannelli fotovoltaici, chein più inquina pure muovendosi da unaparte all’altra). In realtà questo è un falsoproblema, specialmente in un’economia diservizi e moderna come la nostra, dove non

dovrebbe esserci distinzione tra lavori pro-duttivi e non ma semmai tra lavori qualifi-cati e non (ma su questo ci torneremo). Nel-la misura in cui i posti di lavoro creati sianoaggiuntivi e non sostitutivi, dovrebbero in-fatti essere considerati nella loro totalità,dal lavoratore che nella catena di montag-gio contribuisce a costruire i pannelli foto-voltaici all’avvocato specializzato in energierinnovabili (stranamente gli scettici si ricor-dano sempre della centralinista o dell’auti-sta, più raramente dei professionisti).

Peraltro, occorre considerare tutte le in-terdipendenze settoriali perché l’economia èun sistema complesso, dove i benefici si distri-buiscono tra soggetti che non hanno minima-mente idea di essere tributari gli uni degli al-tri, grazie alla mano invisibile del mercato.

Piuttosto bisognerebbe costruire una me-todologia più rigorosa di quella attuale nelcalcolo dell’occupazione verde e dei suoi be-nefici. Innanzitutto, occorrerebbe misurarel’effettiva addizionalità del contributo occu-pazionale delle tecnologie sostenibili. Qui sipresentano infatti due rischi: da un lato,come è stato già riferito, non considerareadeguatamente l’effetto di sostituzione (afronte di nuovi posti creati, altri potrebberoessere stati distrutti a causa della creazionedei primi), dall’altra si tratta di evitare ma-quillage statistici, in base ai quali cambiarela classificazione di alcuni lavoratori (chesemplicemente perché occupati in settoritradizionali che producono o fornisconobeni più eco-compatibili di prima potrebbe-ro apparire come green jobs quando eviden-temente non lo sono). Talvolta la linea di de-marcazione è particolarmente sottile, occor-re però non approfittarne troppo, da unaparte o dall’altra. Inoltre, appare rilevantedistinguere tra posti lavoro a termine (es. co-struzione di impianti a fonte rinnovabile) eposti di lavoro permanenti (es. produzionedi pannelli fotovoltaici o pale eoliche ovveromanutenzione degli impianti). In questo sen-so, potrebbero decisamente variare i calcolilegati ai costi della green economy. Un con-to sono incentivi pubblici che servono a mo-bilizzare settori che hanno ricadute occupa-zionali permanenti, altro se l’impatto occu-pazionale è in gran parte temporaneo.

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E qui veniamo a un altro punto davverorilevante, legato sia alla quantità sia allaqualità dei posti di lavoro. Sulla prima, inci-de in maniera straordinaria la possibilità disviluppare una filiera nazionale che vada ol-tre la semplice installazione e conseguentemanutenzione di dispositivi comprati al-l’estero (nello studio di I-Com sugli scenarifotovoltaici al 2020, si passa a seconda delleipotesi effettuate da 45.000 occupati all’an-no, di cui metà circa nella fase di cantiere emetà nella fase a regime, a circa 200.000, ingran parte permanenti). Ma non è solo laquantità a doverci guidare, perché altrimen-ti rischieremmo di finire fuori strada. Permotivi ovvi (un posto qualitativamente su-periore è migliore di uno inferiore) ma so-prattutto perché si rischierebbe di creare unbias a favore di soluzioni di policy ad alta in-tensità di lavoro. Pericoloso per due motivi:da un lato potrebbe abbassare la produtti-vità del sistema economico, rendendolo piùinefficiente, dall’altro contraddirebbe lastessa filosofia della green economy, che sibasa sull’innovazione ed è capital-intensivepiù che labor-intensive. Gonfiare i greenjobs oggi potrebbe limitare le potenzialitàdella green economy di domani, il cui avve-nire è più radioso che mai. Purché si sappialeggere la realtà con lenti corrette.

Il «pacchetto clima» Uee le scelte del policy makeritaliano per le rinnovabili

di Tommaso Franci*e Mario Cirillo*

A metà del 2009 è stato varato il «pac-chetto clima» della Ue, che fissa un obietti-vo di riduzione delle emissioni di gas climal-teranti per il 2020 pari al 20% rispetto al

19901. A sostegno del target principale,sono previsti il prolungamento del sistemaeuropeo di emission trading, che riguardacirca il 40% delle emissioni Ue, e la fissazio-ne di obiettivi di efficienza energetica (-20% per il consumo finale di energia ri-spetto allo scenario tendenziale) e di consu-mo di energia rinnovabile (20% sul consu-mo finale di energia)2. Viene inoltre intro-dotto il quadro normativo sulla base delquale si articoleranno le politiche nazionaliper la promozione di una delle più promet-tenti leve per l’abbattimento delle emissio-ni, ossia il sequestro e lo stoccaggio di CO2.La specificazione di obiettivi ulteriori rispet-to a quello principale è evidentemente col-legata a motivazioni di tipo geopolitico (si-curezza dell’approvvigionamento energeti-co) ed economico (leadership nell’industrialow carbon).

I target del pacchetto clima costituisco-no una delle cinque priorità della nuovastrategia Ue per il 20203, e saranno al cen-tro della strategia energetica che verrà pro-babilmente approvata entro la primaveradel 2011.

Il piano d’azione per le rinnovabili

La prima scadenza per l’attuazione delpacchetto clima da parte degli Stati membricoincide con la presentazione del piano diazione nazionale (Pan) per la promozionedelle fonti rinnovabili (Fer), previsto dalladirettiva 2009/28/Ce.

Il Pan dovrà essere presentato entro il30 giugno di quest’anno e dovrà illustraregli obiettivi di consumo di Fer per i tre set-tori di uso dell’energia, ossia elettrico, ri-scaldamento/raffreddamento e trasporto.

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* Osservatorio Energia Ref.

1 Fanno parte del Pacchetto le Direttive2009/28/CE, 2009/29/CE e 2009/31/CE, e la Decisione406/2009/CE.

2 L’obiettivo fissato per l’Italia dalla Direttiva2009/28/CE, a seguito dell’allocazione tra gli Statimembri di quote dell’obiettivo complessivo del 20%,è pari al 17%.

3 COM(2010) 2020.

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La predisposizione del Pan impegneràimplicitamente gli Stati membri nell’indivi-duazione dei propri obiettivi di efficienzaenergetica, visto che il target rinnovabilisarà misurato sul consumo finale di energia.

Rinnovabili o efficienza?

La prima decisione che il policy makeritaliano si troverà a prendere è perciò quel-la relativa a quanto puntare sull’efficienzaenergetica ai fini del raggiungimento delproprio obiettivo di consumo di energiarinnovabile. Quanto più sarà ambiziosa (edefficace) la manovra sull’efficienza, tantominore sarà lo sforzo per lo sviluppo dinuova produzione rinnovabile. La Figura 1illustra gli scenari di consumo energetico al2020 che costituiscono l’oggetto delle at-tuali analisi di Ref4. Oltre ad uno scenariodi tipo «business as usual» (Bau) sono consi-derati due scenari di «efficienza energetica

supplementare», che rappresentano l’uno(scenario A) una piena attuazione e proie-zione al 2020 degli attuali obiettivi di effi-cienza per il 20165, e l’altro (scenario B) unoscenario di efficienza energetica disegnatoda Enea6. Il confronto tra gli scenari Bau eA indica potenziali risparmi per circa 7Mtep, che corrisponderebbero ad un obiet-tivo Fer inferiore rispetto al caso Bau nellamisura di 1.2 Mtep. Nel caso di raggiungi-mento di obiettivi di risparmio più ambizio-si (scenario B), invece, la riduzione del-l’obiettivo Fer rispetto al caso base sarebbedi quasi 3 Mtep. Se si considera il valore as-soluto dell’obiettivo, nello scenario inter-medio (scenario A) il livello di consumo al2020 è superiore di quasi due punti percen-tuali rispetto a quello stimato per il 2009,

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4 Franci T., Rinnovabili ed efficienza energetica:obiettivi nazionali 2020 e burden sharing regionale,quaderno di ricerca Ref n. 58, aprile 2010.

5 Tali obiettivi sono contenuti nel Piano d’azioneitaliano per l’efficienza energetica 2007, presentatoalla Commissione Europea dal Mse in attuazione del-la Direttiva 2006/32/CE.

6 Dossier Enea, Tecnologie per l’energia: qualiinnovazioni e strategie industriali in Europa? Il SET-PLAN e le sue proposte, marzo 2008.

Figura 1 – Dati e scenari di consumo energetico finale lordo (ktep)

Fonti: Elaborazioni su dati Eurostat e previsioni REF.

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Dati storici

Scenario business as usual

Scenario di efficienza energetica supplementare A

Scenario di efficienza energetica supplementare B

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che risente chiaramente degli effetti dellarecessione economica.

Produzione nazionale o import?

Una seconda importante decisione ri-guarderà il ricorso all’importazione di ener-gia rinnovabile: il legislatore comunitarioha infatti previsto una serie di «meccanismiflessibili» che consentono scambi transfron-talieri, fisici o statistici, di energia rinnova-bile, tra Stati membri e tra questi e i Paesiterzi interconnessi alla Ue. Gli Stati membrisono già stati chiamati a fornire le proprieprevisioni preliminari circa potenziale diesportazione o, alternativamente, fabbiso-gno di energia rinnovabile ulteriore rispet-to alla produzione nazionale. Il nostro Pae-se è, almeno per il momento, tra i pochiche prevedono il ricorso ad energia prodot-ta all’estero (Tabella 1). Negli scenari diconsumo energetico illustrati, la previsioneitaliana di import (1.17 Mtep) rappresentauna quota compresa tra il 7 e il 9% dell’in-cremento di energia da Fer necessario per ilraggiungimento dell’obiettivo.

Rinnovabili elettriche o termiche?

L’assegnazione dell’obiettivo complessi-vo ai tre settori di uso dell’energia rappre-senterà il successivo passaggio del processodecisionale che informerà il Pan. La sceltasarà presumibilmente effettuata sia in con-siderazione dei potenziali di sviluppo delleFer in ciascun settore, sia tenendo conto del

rapporto tra i costi di produzione dell’ener-gia rinnovabile destinata ai diversi settori,con particolare attenzione ad elettrico etermico, soprattutto per quanto concernele fonti che possono essere impiegate nel-l’uno e nell’altro settore7.

Le indicazioni fornite recentemente dalMse per quanto riguarda l’obiettivo elettri-co, e l’analisi degli elementi disponibili circai potenziali di utilizzo delle diverse fonti rin-novabili e i costi di produzione, fanno pro-pendere per un’ipotesi di suddivisione setto-riale dell’obiettivo Fer che veda un impegnopiù significativo nel settore del riscaldamen-to/raffreddamento rispetto a quello richie-sto al settore elettrico. L’ipotesi elaboratada Ref è quella di un obiettivo del 28.8%per il settore elettrico (25% di produzionenazionale e 3.8% di import)8, del 16.3% perriscaldamento/raffreddamento, e 10% per iltrasporto (Figura 2)9. Il conseguimento deltarget ipotizzato per le rinnovabili termicherichiederà un incremento nel consumo asso-lutamente considerevole. È vero, d’altra par-te, che i valori storici di consumo sono sti-mati in assenza di un sistema statistico ade-guato, il che fa sì che uno quota significati-va di consumo attualmente «sfugga» allacontabilità energetica.

Quali fonti/tecnologie?

L’Enea ha recentemente presentato al-cune stime stime preliminari sul mix ottima-le di fonti e tecnologie per il conseguimen-to dell’obiettivo di consumo di Fer per il202010, sulla base di uno scenario di consu-

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7 Per il settore trasporto il margine di manovra èpiù limitato: la Direttiva 2009/28/CE fissa un obiettivominimo vincolante del 10% per tutti gli Stati membri.

8 Si tratta di percentuali espresse sul consumo in-terno lordo di elettricità, corrispondenti a 88,5 TWhda produzione interna e 13,6 TWh da import.

9 Lo scenario di consumo adottato come riferi-mento è lo scenario di efficienza energetica supple-mentare A.

10 Ufficio Studi Enea, Valutazioni preliminari de-gli obiettivi nazionali delle FER al 2020 con il modelloTIMES Italia, marzo 2010.

Tabella 1 – Previsioni dei principali Statimembri su import/export di energia da Fer(ktep)

Stato membro 2015 2020

Francia 0 0Germania 4657 1387Italia -86 -1170Polonia 647 333Spagna 1917 2664Regno Unito 254 1

Fonte: Commissione Europea, DG TREN.

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mo e obiettivi settoriali piuttosto vicini aquelli elaborati da Ref. Il non agevole con-fronto con i dati storici11, mette in evidenzacome nel settore elettrico si continuerà a

puntare sullo sfruttamento delle fonti eoli-ca, solare e biomassa, mentre nel settoredel riscaldamento gran parte del potenzialerisiede nell’impiego di biomassa e nel ricor-so alle pompe di calore (Figura 3). Perquanto concerne il trasporto, è facilmenteprevedibile che gran parte della biomassanecessaria per la trasformazione in biocar-buranti proverrà dall’estero.

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11 La disponibilità di dati aggiornati e completiper il settore riscaldamento è piuttosto limitata.

Figura 2 – Obiettivi settoriali di sviluppo delle Fer per il 2020 (ktep)

Fonte: Elaborazioni e previsioni Ref.

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ktep

Dati storici e obiettivo elettricità da FER

Dati storici e obiettivo riscaldamento-raffreddamento da FER

Dati storici e obiettivo FER nel settore trasporti

Figura 3 – Contributo previsto per ciascuna fonte/tecnologia (ktep)

Fonte: Elaborazioni Ref su dati Terna e Eurostat, e Enea.

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FER Elettriche

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FER elettriche

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FER termiche 2008 FER termiche 2020 FER trasporto

2008

FER trasporto

2020

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Idroelettrico Eolico Solare Fotovoltaico

Geotermoelettrico Biomassa Solare Termico

Geotermia e pompe di calore Biocarburanti

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Il sostegno economico

Il Pan dovrà fornire indicazioni circapolitiche e strumenti di incentivazione chelo Stato membro intende impiegare persostenere il raggiungimento degli obietti-vi: ad oggi, infatti, la produzione di ener-gia rinnovabile risulta scarsamente compe-titiva rispetto allo sfruttamento delle fontifossili (tipicamente gas e carbone). Perquanto concerne il settore elettrico, adesempio, i costi pieni di produzione (Figu-ra 4) e le caratteristiche delle diverse alter-native di investimento, suggeriscono l’op-portunità di individuare strumenti di so-stegno adeguati e garantire livelli di in-centivazione sufficienti per la redditivitàdegli investimenti. Allo stesso tempo, lamisura degli sforzi da compiere per il per-seguimento dei target rende necessarioche il decisore presti altrettanta attenzio-ne al contenimento dei costi sostenuti dalconsumatore di energia.

I prossimi nodi da sciogliere

Vi sono almeno due aspetti cruciali suiquali il policy maker italiano sarà chiamatoad intervenire nel prossimo futuro.

Innanzitutto dovranno essere introdottio rivisti i sistemi di incentivazione alla diffu-sione dell’energia rinnovabile a livello na-zionale. Per il settore elettrico è già stataapprontata una serie di strumenti, alcunidei quali di indubbia efficacia, quali il siste-ma di tariffe incentivanti in vigore per il fo-tovoltaico. Il principale schema di incentiva-zione, ossia il sistema dei «certificati verdi»,sconta, tuttavia, una disciplina confusa e in-completa, caratterizzata da una sequenzadi interventi legislativi inorganici e contrad-dittori, passi avanti e dietrofront, che ri-schiano di compromettere il buon funzio-namento del meccanismo nel lungo termi-ne. Per le fonti termiche, poi, la posizionedell’Italia è ben più arretrata: oltre ad un si-stema contabile adeguato, manca un qua-dro normativo organico per il sostegno. Inentrambi i casi, lo si ribadisce, sarà crucialepiù che in passato puntare al contenimentodei costi per il sistema.

In secondo luogo, dovrà essere compiu-to uno sforzo di maggiore coordinamentotra Stato e Regioni, i quali operano in ma-teria energetica in regime di responsabilitàconcorrente: la stesura del Pan e le misuread esso collegate, prima fra tutte il burdensharing degli obiettivi per efficienza ener-getica e rinnovabili tra le Regioni, previsto

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Figura 4 – Costi pieni della generazione elettrica per fonte (€/MWh)

Fonte: Elaborazioni Ref.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

Solare

fotovoltaico

Eolico

on-shore

Piccolo

idro

Biomassa

solida

Olio vegetale

(origine estera)

Ciclo combinato

gas

Carbone

eff. 45%

¤/MWh

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da due disposizioni normative12, costitui-ranno un banco di prova importante perl’esperienza italiana di «federalismo ener-getico», avviata ormai alla fine degli anni’90. L’intervento coordinato dovrebbe esten -dersi dai regimi autorizzativi, agli schemi di incentivazione, fino a meccanismi di condivisione dell’onere derivante dalle pos-sibili sanzioni UE in caso di mancato rispet-to del target.

La crisi mondialeblocca il green dealdi Luciano Lavecchia* e Carlo Stagnaro**

In Spagna, il taglio dei sussidi alle fontirinnovabili – deciso dal presidente sociali-sta, José Luis Zapatero, per alleviare il pesodella crisi sulle imprese iberiche – ha provo-cato un tracollo degli investimenti e ha la-sciato migliaia di persone in mezzo allastrada. In Germania, la cancelliera conserva-trice, Angela Merkel, ha promosso una ri-duzione della feed in tariff a sostegno deipannelli fotovoltaici, scatenando un durodibattito in Parlamento. Sono solo dueesempi dell’improvviso, ma non imprevedi-bile, cambiamento nell’atteggiamento dimolti paesi europei nei confronti delleenergie rinnovabili. Un cambiamento cheha trovato conferma nell’insurrezione diquasi tutti gli Stati membri dell’Ue quando,a maggio, la commissaria per il cambiamen-to climatico, Connie Hedegaard, ha tentatodi alzare l’impegno di riduzione delle emis-

sioni, entro il 2020, dal 20 al 30 per cento.Un cambiamento che non riguarda solol’Europa: negli Usa, il climate bill, promessoda Barack Obama in campagna elettorale,sta naufragando nel Senato (dove le resi-due speranze potrebbero evaporare deltutto se le elezioni di mid term dovesserosegnare il passaggio dalla maggioranza de-mocratica a quella repubblicana). Comespiegare questo mutamento?

La risposta è molto semplice e, al tempostesso, sconsolante per chi aveva credutoche il green deal avrebbe segnato un muta-mento genetico nella nostra economia. Larecessione, col suo pesante tributo in termi-ni di mancata crescita del Pil e di distruzio-ne di posti di lavoro, ha reso insostenibilipolitiche che, durante la fase espansiva delciclo, parevano facilmente ammortizzabili.Riconoscere questo significa, però, ammet-tere ciò che a lungo è stato negato: con letecnologie esistenti, gli investimenti nellefonti rinnovabili rappresentano un costosociale. Forse un costo necessario, qualorafosse provato – e non lo è – che si tratta diuno strumento indispensabile a combattereil riscaldamento globale. Ma, comunque,un sacrificio: sostenere le fonti «pulite»equivale a pretendere che famiglie e impre-se paghino per l’energia più di quello chepotrebbero fare altrimenti. L’effetto socialeè quello di un impoverimento.

Né tale impoverimento può essere ra-zionalizzato con la creazione di nuove pro-spettive occupazionali. Se, infatti, l’econo-mia verde fosse ad alta intensità di lavoro,si potrebbe quanto meno sostenere cheessa, sia pure sottraendo risorse finanziariea utilizzi più produttivi, è un utile strumen-to anti-ciclico in tempi di disoccupazionecrescente. È ovvio che indirizzare miliardi dieuro su un settore aumenterà il numero dioccupati in quel settore (sebbene possanoesistere degli attriti non banali nel momen-to in cui si guarda al tipo di qualifiche pro-fessionali richieste, come ha evidenziatouna ricerca della Fondazione Adapt). Tutta-via, quegli stessi miliardi vengono distoltida altri settori. Quali?

Istintivamente verrebbe da dire: le fontienergetiche tradizionali. Una pala eolica in

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12 Si tratta del Decreto Legislativo 115/2008 e del-la Legge 27 febbraio 2009, n.13.

* Fellow dell’Istituto Bruno Leoni.** Direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno

Leoni.

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più, una centrale atomica in meno. Purtrop-po, in questo caso l’istinto è traditore. Lefonti energetiche rinnovabili – in particolarequelle eolica e solare – non sono modulabili,in quanto le quantità di energia prodotte eil momento in cui vengono generate non di-pendono dalla domanda, cioè dal loro valo-re relativo, ma dalle bizze atmosferiche. Poi-ché, però, un’economia industrializzata di-pende in misura critica dalla possibilità dimodulare l’offerta, specialmente nel casodell’energia elettrica per mantenere la retecostantemente in equilibrio, è necessarioche, accanto a turbine eoliche e pannelli fo-tovoltaici, restino, pronte a entrare in fun-zione, centrali convenzionali. Anche igno-rando il conseguente costo aggiuntivo (sot-to forma di utilizzo subottimale del capitaleinvestito), in prima approssimazione si puòsostenere che la capacità rinnovabile nonsostituisce, ma si affianca alla capacità con-venzionale (termoelettrica e nucleare, so-prattutto). Poiché l’occupazione non dipen-de dal tasso di utilizzo delle centrali, madalla loro esistenza, è improbabile che l’av-vento delle rinnovabili spiazzi una grandequantità di potenza convenzionale (sebbe-ne su una scala più ridotta ciò possa accade-re). In sostanza, gli extra costi (cioè i sussidi)ricadono sulle spalle dei consumatori dienergia, specie i grandi consumatori (cioè igrandi impianti industriali).

Vari studi hanno trovato evidenza delfatto che il saldo netto tra occupazionecreata nelle rinnovabili, e occupazionespiazzata nelle industrie energivore e nel-l’economia in generale, è nullo o negativo.Studi indipendenti sono arrivati a risultatisimili in Spagna, Germania, Danimarca, Sta-ti Uniti (dove questa tesi ha trovato autore-vole conferma in un rapporto del Congres-sional Budget Office). In Italia, abbiamo sti-mato un costo opportunità, per ogni postodi lavoro «verde», pari mediamente a 4,8posti di lavoro nell’intera economia, o 6,9posti di lavoro nell’industria.

Di per sé questo non è un argomentocontro le fonti rinnovabili. È solo un invitoalla cautela: nel senso che la green economynon è il paradiso terrestre, ma un costo so-ciale. Si può discutere se questo costo sia

controbilanciato da un beneficio ambienta-le. E si può (si dovrebbe) discutere anche sesia il modo più efficiente per raggiungerequel beneficio. Ma è sempre più chiaro cheal presunto beneficio ambientale non corri-sponde un beneficio economico, cioè piùcrescita o più occupazione. Le rinnovabiliequivalgono, da questo punto di vista, auna tassa sullo sviluppo. Le tasse possonoessere chiamate utili; pochi si spingono finoa dichiararle bellissime. Lo stesso pragmati-smo dovremmo applicarlo alle fonti verdi,senza farne né totem, né feticcio.

La via italianaalla green economydi Fabio Renzi*

È capitato spesso, nella storia dell’Italia,di uscire da una fase di recessione economi-ca investendo in comparti che rappresenta-vano il futuro e che avrebbero promessocrescita nel lungo periodo. Negli anni Tren-ta è stata la volta dell’industria automobili-stica, oggi, invece, è il momento dellagreen economy. La via «verde» italiana se-gue due direttrici principali: lo sviluppo disettori innovativi – energie alternative emateriali bioplastici, in cui stiamo recupe-rando importanti quote di mercato – e la ri-conversione in chiave green del manifattu-riero che sembra essere la più promettente,proprio per le caratteristiche del nostro si-stema produttivo. Nell’automotive l’atten-zione alla sostenibilità non è legata al mo-mento, ma rientra in un percorso avviatoda tempo con rigore. Aumenta il numero diaziende del settore che puntano sulla cleantech: si va da progetti riguardanti compo-nenti che garantiscono maggior efficienzaalla realizzazione di nuovi propulsori e pro-

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* Segretario generale Symbola.

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pellenti «puliti»1. Nella nautica oltre alla ri-cerca di motorizzazioni più ecologiche e dinuovi materiali per alleggerire il peso dellecarene, si sta affrontando il problema delfine vita dei prodotti in Frp (Fiber Reinfor-ced Plastic). Grazie al contributo dell’Ucina,è in sperimentazione una tecnologia in gra-do di produrre inerti di Frp da riutilizzarecome riempitivi in nuovi conglomerati cheverranno riammessi nel ciclo produttivo.Novità si registrano anche nel settore dellegno-arredamento, in cui le certificazioniforestali, e quelle che riguardano l’originedei prodotti in legno, stanno conoscendouna crescita costante2. La superficie foresta-le italiana certificata Pefc è di 668.764 etta-ri, 55.908 ettari in più rispetto al 2007,mentre le aziende certificate nel 2008 sonostate 54, portando il totale a 1363. Anche ilForest Stewardship Council (Fsc)4 ha regi-strato una crescita nell’attenzione da partedel mondo imprenditoriale italiano, comedimostra il sensibile incremento del numerodei certificati rilasciati, in tutto 111 nel2008, per un totale di 3555. Il settore dellaceramica, fortemente colpito dalla recessio-ne, è stato fra i primi a sperimentare la via«verde» nel tentativo di superare la crisi,come dimostrano la realizzazione del primoprototipo di piastrella fotovoltaica in gradodi trasformare la luce in energia elettrica elo sviluppo di tecnologie che fanno sì che leceramiche possano acquisire proprietà de-puranti. Si è inoltre puntato sull’impiegodegli scarti di produzione: si stima che qua-si il 15% delle materie prime impiegate siacostituito da rifiuti riutilizzati6. Per quanto

riguarda il tessile, la novità è rappresenta-ta dallo sviluppo del mercato del tessutobiologico, settore con ampi margini di cre-scita dal momento che nel mondo sonopoco più di 200 imprese e circa 800 retai-lers. Nel settore dei rubinetti, gli italiani,assieme ai tedeschi, sono gli unici al mon-do ad avere le tecnologie adeguate per laproduzione di rubinetti e valvole senzapiombo. Questa innovazione made in Italyè stata adottata in California, dove il go-verno ha approvato una nuova direttiva, ilCalifornian Lead Regulation, che limitaallo 0,25 la percentuale di piombo chedeve essere contenuta da prodotti destina-ti al contatto con acqua per il consumoumano. Infine, nell’agricoltura, la produ-zione di biogas rappresenta senza dubbiouna delle tecnologie in grado di rispon-dere, nell’immediato, ai fabbisogni delleimprese agricole, in particolare quelle zoo-tecniche. Nel nostro Paese si potrebberoprodurre all’anno più di 1,5 miliardi di mqdi biogas grazie alla valorizzazione deglieffluenti zootecnici e oltre 3,8Twh grazieanche allo sfruttamento di colture dedi -cate7. Nel primo semestre del 2008 risulta-vano in esercizio 82 impianti, di cui 57 ali-mentati prevalentemente con effluentizootecnici e 25 da colture dedicate e scartidell’agroindustria8. Nel periodo 1999-2007si è registrata anche l’evoluzione dei pro-dotti di origine biologica che segnano unanotevole crescita, passando da 68,9 a 335,5tonnellate. Quello italiano è un mercatostimato attorno ai 3 miliardi di euro. Laclassifica delle coltivazioni biologiche èguidata dall'Australia con 12 milioni di et-tari mentre l'Italia, con una superficie biopari a circa un milione di ettari, occupa ilsesto posto a livello mondiale ma il secon-do in Europa9. Questi risultati dimostranoche la green economy è un’occasione permodernizzare l’economia italiana e inno-vare e riposizionare il made in Italy.

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1 Dati dell’Osservatorio della Componentisticaauto veicolare italiana 2009, curata dalla Camera diCommercio di Torino e da Anfia.

2 Dati Assolegno-Confindustria.3 Dati del Rapporto Federlegno 2008.4 Il marchio Fsc indica i prodotti contenenti legno

proveniente da foreste gestite in maniera corretta eresponsabile secondo rigorosi standard ambientali,sociali ed economici.

5 Dati del Rapporto Federlegno 2008.6 Fonte: 2° Rapporto Integrato per il settore delle

piastrelle di ceramica, Confindustria Ceramica, Sas-suolo 2008.

7 Stime dell’Associazione Fattorie del Sole-Coldi-retti.

8 Ibidem.9 Dati Ismea-Nielsen.

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Il peso dell’occupazionenon regolare prima edopo la crisi economica

Per effetto della crisi economica, lacrescita del tasso di irregolarità sem-bra essersi intensificata sia tra i lavo-ratori dipendenti che tra i lavoratori

autonomi. I settori dell’industria e dell’agri-coltura sembrano aver maggiormente ri-sentito della crisi economica, fronteggian-do la propagazione degli shock macroeco-nomici al mercato del lavoro attraverso unaumento nel numero di unità di lavoro nonregolari come forma sostitutiva di contrattidi lavoro regolari.

L’Istat ha recentemente pubblicato la se-rie storica riguardante la dinamica dell’oc-cupazione regolare e non regolare tra l’ini-zio degli anni Ottanta e il 2009.

L’istituto nazionale di statistica definisce«prestazioni lavorative regolari» quelle re-gistrate e osservabili sia alle istituzioni fi-scali-contributive sia a quelle statistiche eamministrative. Sono invece definite «pre-stazioni lavorative non regolari» quellesvolte senza il rispetto della normativa vi-gente in materia fiscale-contributiva, quin-

di non osservabili direttamente presso leimprese, le istituzioni e le fonti amministra-tive. Rientrano nell’ambito delle attività la-vorative non dichiarate le seguenti tipolo-gie di prestazioni lavorative: 1) continuati-ve; 2) occasionali svolte da persone che sidichiarano non attive in quanto studenti,casalinghe o pensionati; 3) degli stranierinon residenti e non regolari; 4) plurimenon dichiarate alle istituzioni fiscali.

Ai fini della misura dell’input di lavorocome fattore della produzione, il SistemaEuropeo dei Conti (ESA95) suggerisce di sti-mare il numero complessivo delle ore lavo-rate o, come misura alternativa, il numerodelle «unità di lavoro». Quest’ultime sonopari al numero di posizioni lavorative equi-valenti a tempo pieno. L’insieme delle unitàdi lavoro è ottenuto dalla somma delle po-sizioni lavorative a tempo pieno e delle po-sizioni lavorative a tempo parziale (princi-pali e secondarie) trasformate in unità atempo pieno. Le posizioni lavorative a tem-po parziale (principali e secondarie) sonotrasformate in unità di lavoro tramite coef-ficienti ottenuti dal rapporto tra le ore ef-fettivamente lavorate in una posizione la-vorativa non a tempo pieno e le ore lavora-te nella stessa branca in una posizione atempo pieno.

Il ricorso al lavoro non regolare da partedelle famiglie e delle imprese è un fenome-

STATISTICHE

a cura di Angela Cipollone

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no che caratterizza il mercato del lavoroitaliano da molti anni. Nel 2009 sono circa2 milioni e 966 mila le unità di lavoro nonregolari occupate in prevalenza come di-pendenti (circa 2 milioni e 326 mila rispettoalle 640 mila unità di lavoro indipendenti),mentre nel 2001 tale componente dell’oc-cupazione raggiungeva 3 milioni e 280 milaunità.

Rispetto a dieci anni fa, non solo il nu-mero assoluto delle unità di lavoro non re-golari è diminuito, ma contemporaneamen-te si è assistito anche ad un calo del tasso diirregolarità, definito come il peso delleunità di lavoro non regolari sul totale delleunità di lavoro regolari e non regolari.

Il grafico 1 presenta la dinamica del tas-so di irregolarità tra il 1991 e il 2009 nei tremacro-settori di attività economica (agricol-tura, silvicoltura e pesca, industria e servizi)e nel complesso dell’economia (totale). Senel confronto netto tra il 1991 e il 2009 iltasso di irregolarità sembra diminuito intutti i settori di attività economica, la dina-

mica intraperiodale mostra sensibili etero-geneità tra i settori.

In particolare, il tasso di irregolarità inagricoltura aver conosciuto un decisivo calotra il 1991 e il 2004, per poi tornare a cre-scere sensibilmente tra il 2004 e il 2009 por-tandosi al 24,5%. Nel settore dei servizi si èinvece registrato un andamento opposto,con una leggera crescita del tasso di irrego-larità tra il 1991 e il 2002, seguita da un di-screto calo negli anni successivi che lo haportato a quota 13,7% nel 2009. L’industriasembra il settore caratterizzato dal tasso diirregolarità più basso. Dopo una sostanzialestabilità tra il 1991 e il 2002, il tasso di irre-golarità nell’industria ha conosciuto un leg-gero calo tra il 2002 e il 2004, seguito da unaumento in corrispondenza della propaga-zione degli effetti della crisi economica sulmercato del lavoro tra il 2008 e il 2009.

Sebbene il tasso di irregolarità costitui-sca un utile indicatore dell’andamento delrapporto tra unità di lavoro regolari e nonregolari, esso non fornisce un’esatta indica-

Figura 1 – Unità di lavoro totali – Peso delle unità di lavoro non regolari sul totale delleunità di lavoro regolari e non regolari – Tasso di irregolarità (in %)

0

5

10

15

20

25

30

1991

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

Agricoltura, silvicoltura e pesca Industria Servizi TOTALE

Fonte: Elaborazioni su dati Istat, 2010.

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zione della dinamica delle sue componenti.In altre parole, guardando al solo tasso diirregolarità non siamo in grado di capire seun’eventuale riduzione (aumento) del pesodelle unità di lavoro non regolari sul totaledelle unità di lavoro regolari e non regolarisia da attribuirsi ad un calo (aumento) delnumero delle unità di lavoro irregolari op-pure ad un aumento (diminuzione) del nu-mero delle unità di lavoro non regolari.

A tal fine, invece, l’analisi dell’anda-mento del tasso di crescita annuale del nu-mero di unità di lavoro totali regolari enon regolari può senz’altro fornire un utilestrumento.

Dal grafico 2, emerge che la correlazio-ne tra tasso di crescita annuale del numerodi unità di lavoro regolari e tasso di crescitaannuale del numero di unità di lavoro nonregolari è negativa: in altre parole, ad unaumento del numero di unità di lavoro re-golari corrisponde una riduzione del nume-ro di unità di lavoro irregolari. Dunque, lacrescita dell’occupazione effettiva potrebbein molti casi essere generata non tanto da

un aumento del numero di posti di lavorooccupati (e quindi dalla transizione dadisoccupazione ad occupazione), quantopiuttosto ad un processo di emersione dellavoro irregolare. Questa relazione sembraessere stata particolarmente forte tra il2001 e il 2004, quando al brusco calo nellacrescita delle unità di lavoro irregolariha corrisposto un sensibile aumento delleunità di lavoro regolari. In corrispondenzadel propagarsi della crisi finanziaria al mer-cato del lavoro, la crescita delle unità di la-voro irregolari ha decisamente contro-bi-lanciato la riduzione delle unità di lavororegolari. Indice questo che farebbe pensarealla transizione dal lavoro regolare al lavo-ro sommerso per un discreto numero di la-voratori.

La tabella 1 mostra l’andamento delleunità di lavoro regolari e non regolari siatra i lavoratori dipendenti che tra gli auto-nomi tra il 2000 e il 2009. In particolare, èfacile verificare come il tasso di irregolaritàsia generalmente più elevato tra i lavora-tori dipendenti piuttosto che tra i lavora-

Figura 2 – Unità di lavoro totali – Tasso di crescita annuale del numero di unità di lavorototali regolari e non regolari (in %)

-10%

-8%

-6%

-4%

-2%

0%

2%

4%

6%

8%

1993 1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009

Unità di lavoro totali regolariUnità di lavoro totali non regolari

Fonte: Elaborazioni su dati Istat, 2010.

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tori autonomi. Inoltre, il peso delle unitàdi lavoro non regolari sulle unità di lavororegolari e non regolari per i lavoratori au-tonomi sembra essere aumentato di quasiun punto percentuale nel periodo conside-rato, passando dall’8,5% nel 2000 e al9,4% nel 2009. Al contrario, tale peso sem-bra essere diminuito tra i lavoratori dipen-denti, passando dal 15,4% nel 2000 al13,3% nel 2009.

Questa dinamica può essere dovuta dauna parte al cambiamento negli strumentinormativi che regolano il lavoro atipico,dall’altra agli interventi legislativi volti asanare l’irregolarità lavorativa degli stra-nieri extracomunitari. Per quanto riguardail lavoro autonomo, infatti, a partire dal2004, l’introduzione delle collaborazioni aprogetto (legge 30 del 2003 e il decreto at-tuativo 276/2003) hanno determinato unacontrazione del lavoro autonomo regolaree quindi un aumento del tasso di irregola-rità tra i lavoratori indipendenti poiché, in-troducendo requisiti più restrittivi per il ri-corso alla forma contrattuale delle collabo-razioni a progetto, ne hanno limitato l’uti-lizzo come forma sostitutiva di contratti dilavoro dipendente. Con riferimento al la-voro dipendente, invece, la legge Bossi-Finidel 2002 ha consentito, in particolare, laregolarizzazione di circa 600 mila stranieri.I successivi decreti governativi, con la defi-nizione delle quote di ingresso annualifino al 2007, hanno costituito per i lavora-tori stranieri ulteriori occasioni di passag-gio da una condizione di non regolarità aduna condizione di regolarità sia da un pun-to di vista della presenza sul territorio sialavorativa.

A conclusione della presente analisi èpossibile focalizzare alcuni aspetti salientidella recente dinamica dell’occupazione re-golare e non regolare.

Il calo nel tasso di irregolarità dei lavo-ratori dipendenti può essere attribuito airecenti cambiamenti nella normativa sul la-voro. A partire dagli inizi del Duemila, leimprese hanno infatti conosciuto la possibi-lità di ricorrere a forme di lavoro flessibilesia in termini di durata del contratto che diorario di lavoro. Le nuove tipologie con-

trattuali, come ad esempio il lavoro interi-nale e il lavoro a termine, hanno consentitodi incrementare il livello dell’occupazionedipendente regolare, mentre quella non re-golare ha registrato un decremento. Per ef-fetto della crisi economica, tuttavia, il tassodi irregolarità sembra aver ripreso a cresce-re anche tra i lavoratori dipendenti, portan-dosi dal 12,9% del 2008 al 13,3% del 2009.Tra i lavoratori indipendenti, esso intensifi-ca invece la propria crescita portandosi dal9,1% del 2007 al 9,4% del 2009.

Infine, i settori dell’industria e dell’agri-coltura sembrano aver maggiormente ri-sentito della crisi economica, fronteggian-do la propagazione degli shock macroeco-nomici al mercato del lavoro attraverso unaumento nel numero di unità di lavoro nonregolari come forma sostitutiva di contrattidi lavoro regolari.

Tabella 1 – Tasso di crescita delle unità dilavoro regolari e non regolari per posizio-ne nella professione e tasso di irregolarità(in %) – Anni 2000-2009

Regolari Non Tasso di Tasso di regolari regolarità irregolarità

Dipendenti

2000 1,81 2,27 84,6 15,42001 1,50 6,70 84,0 16,02002 3,94 -9,20 85,7 14,32003 1,97 -10,37 87,2 12,82004 -0,01 2,37 86,9 13,12005 1,39 2,61 86,8 13,22006 1,93 1,63 86,8 13,22007 1,75 -0,18 87,0 13,02008 0,12 -0,23 87,1 12,92009 -3,15 0,56 86,7 13,3

Indipendenti

2000 1,39 4,74 91,5 8,52001 0,61 0,26 91,5 8,52002 -0,34 3,56 91,2 8,82003 1,67 1,21 91,3 8,72004 0,60 -0,03 91,3 8,72005 -3,54 1,82 90,9 9,12006 0,69 0,91 90,9 9,12007 -0,34 -0,58 90,9 9,12008 -1,63 -0,74 90,8 9,22009 -2,78 -0,82 90,6 9,4

Fonte: Istat, 2010.

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Istat, Indagine conoscitiva su taluni fenomenidistorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero,caporalato e sfruttamento della manodoperastraniera), Roma, 15 aprile 2010, 25 p.

Il testo è disponibile on-line su:

http://www.istat.it/istat/audizioni/150410/Audizione.pdf

Istat, La misura dell'occupazione non rego-lare nelle stime di contabilità nazionale, Pe-riodo di riferimento: Anni 1980-2009, Diffu-so il: 14 aprile 2010

I dati sono disponibili on-line su:

http://www.istat.it/dati/dataset/20100414_00/

numero di maggio 201042

OSSERVATORIO COMUNICAZIONI

1/2007. Verso una nuova disciplina della radiotelevisione e della convergenza multimediale2/2007. Il quadro regolatorio comunitario tra attuazione nazionale e proposte di revisione europea3/2007. Verso un regolatore europeo delle comunicazioni elettroniche?4/2007. Direttive per le comunicazioni elettroniche. Prime riflessioni1/2008. Quale evoluzione per il servizio universale?2/2008. Il principio di neutralità tecnologica3/2008. La banda larga. Le scelte di policy nel Regno Unito e in Italia1/2009. Le infrastrutture di telecomunicazioni: quale semplificazione amministrativa?2/2009. Le opzioni di politica industriale e regolatoria per lo sviluppo della banda larga3/2009. Gli aiuti di Stato alla banda larga. Comunicazione della Commissione Ue del 17/09/2009

OSSERVATORIO ENERGIA E AMBIENTE

1/2007. I termovalorizzatori: smaltimento dei rifiuti e fonti alternative2/2007. Risparmio energetico ed energie alternative: bilanci e prospettive3/2007. Liberalizzazioni del mercato domestico: bilanci e prospettive1/2008. Post Kyoto. A che punto siamo?2/2008. Nucleare3/2008. «Obiettivo 20-20-20»: come ripartire i costi con equità4/2008. I costi del «20-20-20»: obiettivi comunitari e sostenibilità economica5/2008. La riforma dei servizi pubblici locali. Il caso dell’acqua1/2009. La distribuzione di gas: riassetto, tariffe e sostenibilità degli investimenti2/2009. Lo stoccaggio di gas naturale fra obblighi di sicurezza e organizzazione di mercato3/2009. Kyoto, fare di necessità virtù

OSSERVATORIO INFRASTRUTTURE

1/2007. Concorrenza, complementarità o trasferimento modale? Una discussione alla luce del DPEF

2/2007. Partenariato pubblico-privato: condizioni giuridico-economi che ed esperienze comparate. Finanziamento delle grandi opere

1/2008. Politiche abitative: condizioni strutturali e creazione di ricchezza2/2008. Tariffe aeroportuali1/2009. L’eccezione e la regola: tariffe, contratti e infrastrutture1/2010. Logistica e intermodalità

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numero di maggio 2010 43

T. Boeri, A. Merlo, A. Prat (a cura di),Classe dirigente. L’intreccio tra busi-ness e politica, Università Bocconi Edi-tore, Milano 2010

Questo lavoro indaga in ordine alle ca-ratteristiche peculiari della classe dirigentedel nostro Paese. Lo studio dell’evoluzionee dei processi di selezione delle elite è statointrapreso in modo approfondito soprattut-to da esperti di scienze sociali ma, si è ri-scontrata nel tempo una sensibile difficoltàda parte degli economisti ad affrontare lamateria. Questo soprattutto in ragione diuna sostanziale carenza di dati: le classi di-rigenti costituiscono infatti gruppi socialipoco numerosi e le indagini disponibili nonoffrono una rappresentazione adeguata dipopolazioni relativamente piccole. Tuttavia,gli strumenti dell’economia del lavoro sonomolto utili per mettere a fuoco i meccani-smi di selezione delle élite, per analizzare ilmercato del lavoro dei politici o gli incenti-vi, i redditi, l’uso del tempo e la strutturadelle carriere dei manager. In questa pro-spettiva, l’analisi condotta evidenzia quan-to le connessioni tra componente politica emanageriale siano forti e come nel temposimilitudini e sovrapposizioni siano aumen-tate. In ogni caso, parere degli autori, è

bene che il ruolo di manager e quello dipolitico restino separati.

M. Franzini, Ricchi e poveri. Disegua-glianze, crescita e crisi, Università Boc-coni Editore, Milano 2010

Le diseguaglianze rappresentano uncriterio essenziale per valutare il livello diprogresso civile e sociale di un Paese. Fran-zini afferma che «le diseguaglianze sonolo specchio del carattere di una società»poiché ne riflettono la configurazione eco-nomica, le relazioni sociali, i valori cultura-li, le scelte politiche e l’articolazione delpotere.

L’autore focalizza l’attenzione sul casoitaliano, ripercorrendo i cambiamenti inter-venuti nelle dinamiche di distribuzione deiredditi nel corso degli anni e interrogando-si in merito alla natura dei meccanismi piùprofondi del fenomeno.

Tra questi, ci si sofferma in particolaresulla trasmissione intergenerazionale delladiseguaglianza, fornendo dati inediti sullapercezione delle disparità e sulle strategiedi risposta che dovrebbero essere adottateper evitare che il fenomeno degeneri e in-cancrenisca irrimediabilmente.

IN LIBRERIA

a cura di Carla Bassu

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numero di maggio 201044

N. Sartor, Invecchiamento, immigrazio-ne, economia. Quali politiche pubbli-che, Il Mulino, Bologna 2010

Recentemente, le relazioni tra demogra-fia ed economia hanno conquistato l’atten-zione del dibattito pubblico, destando nonpoche preoccupazioni. In Italia, i primi se-gni di attenzione al rapporto esistente traevoluzione demografica e struttura econo-mica risalgono agli anni Settanta, con riferi-mento particolare agli effetti che le riformedelle pensioni avrebbero prodotto sui contipubblici. Da allora, tuttavia, l’analisi delletendenze è rimasta confinata nell’ambito didibattiti accademici o di un numero ristret-to di istituzioni.

Sartor approfondisce l’andamento evo-lutivo della realtà demografica, le determi-nanti dei flussi migratori, gli effetti del mu-tato scenario demografico sull’economia esulla finanza pubblica, le politiche pubbli-che più efficaci. Particolare importanza as-sume l’individuazione delle cause della «de-pressione demografica» e dei fenomeni mi-gratori nonché la conseguente identifica-zione degli spazi per interventi correttivi.L’autore lamenta il fatto che il dibattito inmateria sia stato per molto tempo osteg-giato dalla contrapposizione di ideologieche ha impedito di distinguere con lucidità

le reali necessità presentate dagli individuie dalle famiglie.

A. Santoro, L’evasione fiscale, Quanto,come e perché, Bologna 2010

L’evasione fiscale è un tema di scottanteattualità nel dibattito pubblico italiano eargomento privilegiato per i mass medianazionali, che ciclicamente danno ampiospazio soprattutto a singoli casi eclatanti dielusioni v.i.p.

Secondo l’autore una parte dell’opinio-ne pubblica sembra convinta del fatto che ilPaese si divida «nel popolo dei vessati»,corrispondente ai lavoratori dipendenti epensionati, e nel «popolo dei furbi», rap-presentanti della categoria dei commer-cianti e dei professionisti senza scrupoli.

Certamente i dati sono sensazionali:l’evasione fiscale esprime un’economiasommersa che secondo le stime Istat assor-be fin a circa 250 miliardi di euro, vale il17% della ricchezza nazionale, un fenome-no di massa legato anche all’amministrazio-ne pubblica e alle sue carenze. Il volumeaspira a spiegare e quantificare il fenomenoricostruendo dalle basi un discorso pubblicodell’evasione, al fine di comprenderne la na-tura, le dimensioni reali e i possibili rimedi.

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numero di maggio 2010 45

Provvedimenti approvati

Camera dei Deputati – Assemblea

• Norme in favore dei lavoratori cheassistono familiari gravemente di -sabili(A.C. 82 ed abbinate-A)

Nella seduta del 19 maggio 2010 l’As-semblea della Camera dei Deputati ha ap-provato, in un testo unificato, il provvedi-mento in titolo.

Il testo approvato risponde all’esigenzadi fornire un sostegno concreto alle fami-glie impegnate nell’assistenza e nella curaquotidiane di un familiare disabile grave.La legge n. 104 del 1992 sancisce il pieno ri-spetto della dignità umana e promuove idiritti di libertà e di autonomia delle perso-ne disabili nonché la loro integrazione intutti gli ambiti sociali. Ciononostante, le fa-miglie incontrano quotidianamente note-voli difficoltà nel provvedere all’assistenzadi queste persone, dal momento che nonsempre i servizi offerti dal servizio pubblicosono sufficienti e adeguati ad aiutare i fa-

miliari nella gestione quotidiana del paren-te disabile grave. Per «disabili gravi» si in-tendono coloro i quali si trovano nell’im-possibilità di compiere «gli atti quotidianidella vita», dipendendo dunque completa-mente dal familiare responsabile, che assu-me l’onere, oltre della cura degli aspetti dicui sopra già estremamente usuranti, anchedi quanto legato a incombenze burocrati-che, pratiche e sanitarie.

La famiglia costituisce di fatto il fulcrodell’assistenza e la cura della persona diver-samente abile e non si può trascurare il fat-to che spesso la presa in carico del disabileda parte della famiglia è dettata non soloda ragioni puramente affettive, ma ancheeconomiche.

Per queste ragioni lo Stato, nell’ottica digaranzia del principio costituzionale del -l’eguaglianza sostanziale, ha il dovere diprevedere misure utili ad alleviare il caricogravante sui familiari dei portatori di han-dicap gravi.

Il testo del provvedimento passa ora al-l’esame del Senato.

Il testo del provvedimento approvato èreperibile al sito:

http://www.camera.it/126?pdl=82

DAL PARLAMENTO

Selezione delle attività delle Commissioni

di Camera e Senato attinenti al mondo del lavoro

a cura di Carla Bassu

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numero di maggio 201046

Il resoconto della seduta di approvazio-ne del provvedimento è reperibile al sito:

http://www.camera.it/412?idSeduta=324&resoconto=sommario&indice=alfabetico&tit=00010&fase=#sed0324.sommario.tit00010

In itinere

Camera dei Deputati – Assemblea

• Proposta di legge: Incentivi fiscaliper il rientro dei lavoratori in ItaliaA.C. 2079 A

Nella seduta del 24 maggio 2010, l’As-semblea della Camera dei Deputati avvia ladiscussione sulle linee generali del docu-mento in titolo.

La proposta di legge in discussione pre-vede l’introduzione di incentivi fiscali orien-tati a favorire il rientro nel nostro Paese dilavoratori attualmente impiegati all’estero,di età inferiore a quaranta anni, allo scopodi contrastare il preoccupante fenomeno diimpoverimento economico derivante dallaperdita di capitale umano professionalmen-te qualificato.

È importante sottolineare che tale prov-vedimento si inserisce nell’ambito di un pro-getto più ampio, finalizzato a promuoverela mobilità dei lavoratori, elemento questoultimo che rappresenta un fattore fonda-mentale ai fini del miglioramento della com-petitività del sistema produttivo italiano.

Il particolare fenomeno migratorio dicui sopra riguarda in particolare il Meridio-ne ed è attribuibile a notevoli ritardi infra-strutturali. Da ultimo, si ritiene significativosegnalare il carattere bipartisan dell’inizia-tiva, condivisa in modo trasversale da tuttele forze politiche presenti in Parlamento.

L’esame del testo proseguirà in un’altraseduta.

Il testo del provvedimento è reperibileal sito:

http://www.camera.it/126?pdl=2079-A

Il resoconto della seduta di esame delprovvedimento è reperibile al sito:

http://www.camera.it/412?idSeduta=326&resoconto=sommario&indice=alfabetico&tit=00060&fase=#sed0326.sommario.tit00060

SEDE REFERENTE

Camera dei Deputati – XI CommissioneLavoro

• Disposizioni in materia di oneri previdenziali degli amministratorilocali.C. 2875

Prosegue in seno alla Commissione La-voro della Camera l’esame del provvedi-mento in titolo, rinviato da ultimo nella se-duta del 4 marzo 2010.

Con la proposta di legge in esame siaspira a modificare la disciplina relativaallo status degli amministratori locali, conparticolare riferimento a ciò che concernegli oneri previdenziali, assistenziali e assi-curativi.

Si segnala che l’articolo 86 del testo uni-co delle leggi sull’ordinamento degli entilocali, di cui al decreto legislativo 18 agosto2000, n. 267, stabilisce che l’onere a caricodell’amministrazione locale del versamentodei contributi assistenziali, previdenziali eassicurativi ai rispettivi istituti, per le cari-che previste dal comma 1 del medesimo ar-ticolo, sussiste soltanto nella fattispecie dilavoratore dipendente, collocato in aspet-tativa non retribuita, nonché in caso di la-voro autonomo.

Ciò significa che – con l’attuale discipli-na, dunque – se al momento dell’assunzio-ne della carica il lavoratore dipendente sitrova in stato di disoccupazione o il lavora-tore autonomo non svolge alcuna attività,per l’ente locale non sussiste l’obbligo delversamento dei contributi e lo stesso dicasiper le quote forfetarie (decreto dei Ministridell’interno, dal lavoro e della previdenzasociale, del tesoro, del bilancio e della pro-grammazione economica 25 maggio 2001,

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numero di maggio 2010 47

pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136del 14 giugno 2001). L’obbligo per l’ente lo-cale viene parimenti a cessare nel caso incui il lavoratore dipendente venga licenzia-to o se il lavoratore autonomo cessa l’atti-vità nel corso del mandato. Nel caso in cuil’amministratore locale non risulti titolaredi pensione e non sia iscritto ad alcuna for-ma previdenziale obbligatoria ovvero cessila sua condizione di lavoratore dipendenteo l’attività di carattere autonomo, non po-trà più godere di alcuna forma né assisten-ziale, previdenziale, né assicurativa,poichél’amministrazione non sarà più tenuta a ef-fettuare i pagamenti in questione. A causadi tale situazione paradossale molti ammi-nistratori, giunti al termine della propriacarriera, corrono il rischio di non poter go-dere della pensione o di subirne una ridu-zione significativa nella misura, in quantol’amministrazione presso la quale hannosvolto il mandato non era tenuta al paga-mento di alcun onere previdenziale.

Il provvedimento in oggetto intende in-tervenire per scongiurare tale ipotesi e tu-telare i destinatari della proposta di legge.

L’esame del provvedimento proseguiràin una seduta successiva.

Il testo del provvedimento è reperibileal sito:

http://www.camera.it/view/doc_viewer_full?url=http%3A//www.camera.it/_dati/leg16/lavori/stampati/pdf/16PDL0031710.pdf&back_to=http%3A//www.camera.it/126%3FPDL%3D2875%26leg%3D16%26tab%3D2%26stralcio%3D%26navette%3D

Il resoconto della seduta di esame delprovvedimento è reperibile al sito:

http://www.camera.it/453?shadow_organo_parlamentare=1504&bollet=_dati/leg16/lavori/bollet/201005/0511/html/11#133n3

Senato della Repubblica – I Commissio-ne Affari Costituzionali – XI Commis-sione Lavoro

• Deleghe al Governo in materia dilavori usuranti, di riorganizzazione

di enti, di congedi, aspettative epermessi, di ammortizzatori sociali,di servizi per l’impiego, di incentiviall’occupazione, di apprendistato, dioccupazione femminile, nonché mi -sure contro il lavoro sommerso edisposizioni in tema di lavoro pub-blico e di controversie di lavoro 1167 – B/bis

Avviato, in seno alle Commissioni riuniteAffari Costituzionali e Lavoro del Senato,l’esame del provvedimento in titolo.

Si ricorda che il ddl collegato è statodapprima approvato dalla Camera dei de-putati, in seguito modificato dal Senato,ancora emendato dalla Camera dei deputa-ti e approvato dal Senato. Il provvedimentoè stato dunque oggetto di rinvio alle Came-re dal Presidente della Repubblica (v. ELE –Europa, Lavoro, Economia aprile) e nuova-mente approvato, con modificazioni, dallaCamera dei deputati per poi passare a unnuovo esame del Senato.

La trattazione del ddl proseguirà nelleprossime sedute delle Commissioni riunite.

Il testo del provvedimento in titolo è re-peribile al sito:

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=478451

Senato della Repubblica – XI Commis-sione Lavoro

• Norme in materia di bilancio deisindacati e delle loro associazioninonché in materia di trattenute sin-dacali1009

• Norme per la redazione e la pubbli-cazione del rendiconto annuale diesercizio dei sindacati e delle loroassociazioni1060

• Norme per la redazione e la pubbli-cazione del rendiconto annuale di

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esercizio dei sindacati e delle loroassociazioni 1180

• Disposizioni per l’attuazione del-l’articolo 39 della Costituzione inmateria di democrazia interna deisindacati e norme in materia difinanziamenti pubblici e privati de -stinati ai medesimi soggetti. Dele-ga al Governo per l’emanazione diun testo unico delle leggi concer-nenti l’organizzazione e il finanzia-mento dei sindacati 1685

Prosegue di fronte alla Commissione La-voro del Senato l’esame congiunto deiprovvedimento in titolo che attengono,

sotto diversi profili, all’esigenza di assicura-re piena trasparenza e informazione ai cit-tadini relativamente alle attività di interes-se comune e alla gestione delle risorse eco-nomiche da parte dei sindacati.

Si segnala, in particolare, l’esigenza diintervenire in merito a un argomento deli-cato quale quello della redazione e pubbli-cità dei rendiconti annuali di esercizio deisindacati e delle loro associazioni, tema cheè stato per lungo tempo al centro di discus-sione, anche in sede parlamentare.

L’esame congiunto dei provvedimenti intitolo proseguirà in un’altra seduta

Il resoconto della seduta di esame delprovvedimento è reperibile al sito:

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=16&id=481794

La rivista dell’(2005-2010)

1/2005. Supplemento - La riforma dell’Onu2/2005. Tornare a crescere. Idee per la competitività dell’Italia, a cura di Paolo

Guerrieri. Conclusioni di Enrico Letta e Pierluigi Bersani3/2005. Vent’anni di idee, dibattiti e proposte, a cura di Mariantonietta Colimberti1/2006. Compendio della XIV legislatura, a cura di Mariantonietta Colimberti, Raf-

faella Cascioli e Gianmarco Trevisi2/2006. Dibattito sulla Costituzione, con Leopoldo Elia, Marco Follini, Dario France-

schini e Giorgio Napolitano3/2006. Libano1/2007. Immigrazione2/2007. Nino Andreatta, a cura di Mariantonietta Colimberti3/2007. Spagna-Italia. VIII Foro di dialogo, «Il momento di agire insieme»1/2008. Città2/2008. Confini3/2008. Italia-Spagna. IX Foro di dialogo, «Alleate per il rilancio dell’Europa»1/2009. Crisi2/2009. Muri3/2009. Italia-Spagna. X Foro di dialogo, «Un motore mediterraneo per il rilancio

dell’Europa»1/2010. Popolo

48 numero di maggio 2010