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1 TRIANGOLO ROSSO Giornale a cura dell’Associazione nazionale ex deportati politici Nuova serie - anno XXII N. 3 Novembre 2003 Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/c legge 662/96 - Filiale di Milano www.deportati.it IT euro 2,50 L’ultimo prete del campo di Dachau ELLEKAPPA I nostri ragazzi DON ANGELO DALMASSO Don Angelo Dalmasso, di Cuneo, oggi ottantacinquenne, venne arrestato dai tedeschi dopo la celebrazione di una messa di Natale per i partigiani. Torturato durante gli interrogatori venne poi trasferito nel lager di Bolzano e infine nel campo di sterminio di Dachau. Eccolo fotografato nella messa per il 50esimo della sua ordinazione al sacerdozio. Sull’altare è disteso il suo fazzoletto da internato con il triangolo rosso. A pagina 6 • Picchiavano la mamma davanti a noi: “Dov’è nascosto tuo figlio partigiano?” • Dimenticare mai: perché l’orrore di Mauthausen non si ripeta • “Questo era il lager”. Al liceo di Larino i ricordi dei deportati • È stato come toccare con mano l’annientamento dell’uomo • La lezione di un ex deportato agli studenti di un liceo di Leonberg Memoria e conoscenza di Primo Levi nei paesi europei Da pagina 34 A pagina 10

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TRIANGOLOROSSOGiornale a cura

dell’Associazione nazionaleex deportati politiciNuova serie - anno XXIIN. 3 Novembre 2003Sped. in abb. post. Art. 2 com. 20/clegge 662/96 - Filiale di Milano

www.deportati.it

ITeuro 2,50

L’ultimopretedel campodi Dachau

ELLEKAPPAI nostriragazzi

DON ANGELO

DALMASSO

Don Angelo Dalmasso, di Cuneo, oggi ottantacinquenne, venne arrestato dai tedeschi dopo la celebrazione di unamessa di Natale per i partigiani. Torturato durante gli interrogatori venne poi trasferito nel lager di Bolzano einfine nel campo di sterminio di Dachau. Eccolo fotografato nella messa per il 50esimo della sua ordinazione alsacerdozio. Sull’altare è disteso il suo fazzoletto da internato con il triangolo rosso. A pagina 6

• Picchiavano la mamma davanti a noi:“Dov’è nascosto tuo figlio partigiano?”

• Dimenticare mai: perché l’orrore di Mauthausen non si ripeta

• “Questo era il lager”. Al liceo di Larino i ricordi dei deportati

• È stato come toccare con mano l’annientamento dell’uomo

• La lezione di un ex deportatoagli studenti di un liceo di Leonberg

Memoria e conoscenza di Primo Levinei paesi europei

Da pagina 34

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“Per onorare la memoria di Aurelio Ursini,combattente per la libertà, nel 50° della suascomparsa (19 settembre 1953), la moglieNerina, ex deportata a Ravensbrück matrico-la n. 97408, e la figlia Sonia devolvono 400,00euro per l’Aned di Trieste.”

In memoriadi AurelioUrsini

Triangolo Rosso

Giornale a cura dell’AssociazioneNazionale Ex Deportati politici nei campi nazisti

Una copia euro 2,50 Abbonamento euro 10,00Inviare un vaglia a: Anedvia Bagutta 12 - 20121 Milano.Tel. 02 76 00 64 49 - Fax 02 76 02 06 37.E - mail: [email protected]

Direttore Gianfranco Maris

Ufficio di presidenza dell’Aned Gianfranco Maris (presidente)Bruno Vasari, Bianca PaganiniDario Segre, Italo Tibaldi Miuccia Gigante

Triangolo RossoComitato di redazioneGiorgio Banali, Ennio Elena,Bruno Enriotti, Franco Giannantoni,Ibio Paolucci (coordinatore),Pietro RamellaRedazione di Roma Aldo PaviaSegreteria di redazione Elena Gnagnetti

Gli organismi della FondazionePresidente della Fondazione Memoriadella Deportazione

Gianfranco MarisPresidente del Comitato scientifico

Enzo CollottiDirettore Bruno EnriotttiResponsabile dell’Archivio e della biblioteca

Susanna MassariSegreteria Elena GnagnettiIl consiglio d’amministrazione dellaFondazione è composto daGianfranco Maris, Giuseppina Clericived. Ravelli, Bruno Vasari,Maria Concetta Gigante, Italo Tibaldi,Aldo Pavia, Dario Segre,Bianca Paganini Mori

Collaborazione editorialeFranco Malaguti, Marco Micci,disegni di Isabella Cavasino

Numero chiuso in redazione il 5 novembre 2003Registr. Tribunale di Milano n. 39,del 6 febbraio 1974.

Stampato da:

Via Picasso, Corbetta - Milano

IT

Mettere marchio Guado

Questo numeroPag 3 “Mi inchino alle alle vittime”. 59 anni dopo la stragePag 4 “Il mio otto settembre”. 60 anni dopo l’armistizio Pag 6 Don Angelo Dalmasso. “L’ultimo prete di Dachau”Pag 10 Memoria e conoscenza di Primo Levi nei Paesi europeiPag 12 Trecento romani ad Auschwitz con il sindaco.

Tre giorni di colloqui di Veltroni con gli studenti Pag 14 Breve storia di un oltraggio ad un ex deportato:

il fascista abbaiò contro il “nemico” copiando MauthausenPag 16 Donata dalla famiglia la ricca biblioteca di Giorgio Gimelli

Pag 18 AnedSconcertante interrogazione di un deputato dell’Udc

Pag 19 Il Triangolo Rosso in Internet:sono pubblicati quasi tutti i numeri del giornale dal 1994 al 2003

Pag 20 Sessant’anni dopo il rastrellamento del ‘44 si incontrano a Foligno i familiari dei deportati

Pag 21 Costituita in Umbria una nuova sezioneUn calendario per il 2004 dell’Aned di Pavia

Pag 22 Il futuro della memoria nel gemellaggio tra Prato ed EbenseePag 23 “Un pezzetto di vecchia cronaca nera”

Scienziato tra i più noti in Italia racconta di un soggiorno di studio nella Germania nazista del ‘37

Pag 28 Giorno dopo giornoPag 30 Le donne a combattere l’oblio

Come salvaguardare la realtà storica e la vestigia del campo di Ravensbruck

Pag 34 I nostri ragazziLa storia raccontata e commentata in un incontro con i giovani di una terza media di Schio (Vc) Picchiavano la mamma davanti a noi:“Dov’è nascosto tuo figlio partigiano?”

Pag 36 Il viaggio – studio delle scuole medie di Piangipane (Ra)Dimenticare mai: “perché l’orrore Mauthausen non si ripeta”

Pag 38 “Odio e rancore non pareggiano i conti”:una lezione di vita in un liceo di Campobasso“Questo era il lager “. Al liceo di Larino i ricordi dei deportatiÈ stato come toccare con mano l’annientamento dell’uomo

Pag 42 La “lezione” di un ex deportato agli studenti di un liceo di Leonberg

Pag 45 Una scuola di Roma dedicata Settimia SpizzichinoPag 46 Biblioteca

Il partigiano disarmato, la resistenza e il lagerL’opposizione dei cattolici alla Repubblica di Salò

Pag 48 Suggerimenti di letturaPag 50 Lettere a Triangolo RossoPag 52 Costituito il Comitato internazionale

del lager della “Risiera di San Sabba”

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“Mi inchino alle vittime”Signore e signori,cinquantanove anni fa dei soldatitedeschi appartenenti ad unbattaglione SS uccisero quasi 800persone nei casali di Marzabotto.Sparando alla cieca e senza pietàammazzarono uomini, donne e bambinisenza tener conto se si trovavano acasa, al lavoro sui campi o in chiesa…Il nome Marzabotto è entrato nellastoria come il più terribile dei criminitedeschi commessi sul territorioitaliano durante la seconda guerramondiale. Il ricordo e la responsabilitàstorica per questo crimine continuanoa farci male e farci vergognare.Non dobbiamo dimenticare le vittimedi Marzabotto. Che ci servano daammonimento e ci impediscano diricadere negli abissi della guerra. Che ci facciano ricordare i disastri del nazionalismo e del razzismo. E che l’eredità delle vittime diMarzabotto ci obblighi a impegnarciper la pace, la tolleranza e lo spiritodell’Europa comune.Oggi Marzabotto è un modello per lafiducia e la comprensione tra i popoliche va ben oltre i confini dellaGermania e dell’Italia. Sono rimastoparticolarmente impressionatodall’iniziativa “Campi a quattro voci”,che raduna giovani italiani, tedeschi,israeliani e palestinesi in questo luogoper creare legami in un clima dicomprensione reciproca e di dialogo.Ai tanti politici e volontari che si sonoimpegnati per creare questo

Un appello alla tolleranzarivolto all’Europa. Lo hapronunciato domenica 15ottobre, in italiano, a Mar-zabotto il ministro degliEsteri tedesco, JoschkaFischer, dal palco della ce-rimonia di commemora-zione del massacro avve-nuto nel 1944 nel paeseemiliano. Lo stesso palcodal quale è intervenuto an-che l’ex presidente dellaRepubblica Oscar LuigiScalfaro in veste di orato-re ufficiale. Qui di seguitopubblichiamo stralci del-l’intervento del ministroFischer.

monumento commemorativo e laScuola di Pace “Monte Sole” va lanostra gratitudine per aver dato vita ad un luogo di riconciliazione.Pace e riconciliazione attraverso lademocrazia e la cooperazione – questaè la risposta dell’Europa alle catastrofidella prima metà del XX secolo. Per superare nazionalismo e razzismosul nostro continente fu posata a Roma,nel 1957, la prima pietra dell’Unioneeuropea…I luoghi della memoria comeMarzabotto sono importanti per questosviluppo perché ci mostrano che quelloche oggi diamo per scontato, ancoraqualche decennio fa non lo era. Cioèche le conseguenze di un’ideologia chedisprezza l’uomo e della dittatura sonotremende e disastrose. E questomessaggio è tuttora di attualità. Le terribili guerre e gli orribilimassacri nei Balcani, una delle nostre regioni più vicine, ce lo hannoricordato molto recentemente.È per questo che il vostro lavoro qui a Marzabotto è molto importante per il futuro dell’Europa. Qui è possibileconvincere i cittadini dell’idea europeae renderli partecipi della costruzioneeuropea. Per questo importantecontributo per i nostri valori comuni,per la comprensione e la cooperazione,vi sono grato e di tutto cuore.Mi inchino con profonda tristezzadavanti alle vittime di Marzabotto.

Joschka Fischer

Il ministrodegli EsteritedescoJoschkaFischerparla aMarzabotto

59 ANNIDOPO LASTRAGE

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“Il mio otto settembre”Qual è, oggi, veramente, nella nostracomunità, la memoria storica dell’8settembre del 1943?Fu morte della patria, senza piùrinascita, da cui residuerebbe ancoraun perdurante deficit etico, cheappanna il senso di appartenenza e diidentità nazionale dei cittadini italiani?Oppure fu una frattura tra la vecchiaItalia conservatrice dell’esercito e delleistituzioni risorgimentali, dal cuisfascio deriva la nascita dell’Italianuova, quella dell’antifascismo? O fu, infine, un episodio esistenzialelacerante, che scatenò reazionilegittime, ancorché discordi econtrapposte, creando schieramentidivisi fra due parti passionalmenteimpegnate, in conflitto fra di loro ed incontrapposizione anche ad un’altraparte, rinunciataria, indifferente,estraniata alle vicende, nell’attesadell’esito della guerra edell’occupazione?Nessuno dei tanti commentatori diquesti eventi è stato testimone dei fatti.I loro giudizi discendono dallecronache, dagli atti delle commissionidi indagini sulla mancata difesa diRoma, dalle ricerche storiche.Per chi ha ancora negli occhi i fatti,che si svolsero in quei giorni lontani,è persino faticoso riconoscere in tuttequeste posizioni laceranti una complessa verità, che pureindubbiamente vi è, perché a chi futestimone i fatti parlano di un’altraverità, più complessa, più tragica, più

coinvolgente per un intero popolo.Ed io quei fatti li ho ancora negli occhie nel cuore.L’8 settembre 1943 mi trovavo nell’altaCroazia, ufficiale comandante di unreparto di fanteria del nostro esercito.Nella notte il soldato di turno alla radiomi chiamò urlando: aveva colto unmessaggio che non aveva capito, cheparlava di fine della guerra, unmessaggio confuso, senza ordini, senzaindicazioni, che non sapeva neppure daquale radio fosse stato diramato.Inutilmente da quel momento cercai diprendere contatti con il mio comando direggimento. Né nella notte dell’8 né nelsuccessivo giorno 9 né il mattino del 10riuscii più a cogliere un messaggio o aprendere un contatto qualsivoglia connessun comando.La mattina del 10 settembre transitò,sul binario di una linea ferroviaradimenticata, un convoglio con i soldatidel reggimento di artiglieria della miadivisione e da un ufficiale checonoscevo, il fratello di Elio Vittorini,seppi che tutti avevano lasciato le loropostazioni per ripiegare verso l’Italia,perché da Carlovaz l’esercito tedesco inforze procedeva catturando,imprigionando, deportando i nostrisoldati.Decisi di partire e con il repartoinquadrato, militarmente, correttamenteinquadrato percorsi 185 km a piedi,senza più incontrare nessun comando,senza nessun ordine, senza muli, senzacarri, senza cibo, sino a quando non

Il presidentedell’Aned,GianfrancoMarisrievocale vicende e i significatidi quella data

60 ANNIDOPO L’ARMI-STIZIO

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arrivai a Susac, dove fui sommerso da un mare di sbandati che siammassavano in disordine, tentando di penetrare nella città; dove, appenagiunti, il generale Gambara ci dirottònel campo sportivo, per indicarci il dovere di aderire ad una scelta di collaborazione in armi al fianco dei tedeschi.Quasi tutti abbandonammo il camposportivo per ritrovare ciascuno unitinerario di salvezza e di libertà enello sbando anch’io raggiunsi Trieste,insieme a molti altri, per scegliere lastrada della partecipazione allaResistenza armata nel mio Paese.L’8 settembre fu quindi per ogni uomo,al di là di ricostruzioni fatte oggi altavolino, una svolta etica, politica,esistenziale che coinvolse milioni emilioni di cittadini.Due milioni e mezzo di uomini eranosotto le armi, e sulla loro sorteincombeva la deportazione.L’ansia per la loro sorte coinvolse duemilioni e mezzo di padri e madri, duemilioni e mezzo di fratelli, figlie,sorelle.E su tutti incombeva l’incertezza, ildisorientamento, lo sgomento per lapropria sorte e per le attese oscure eminacciose di una occupazionestraniera del Paese.Per tutta la nazione, per tutto il popolo,per tutti, tutti, fu una svolta etica,politica, esistenziale.Fu una tragedia dalla dimensionicorali della tragedia greca, che investìun intero popolo e che tutti costrinse adecisioni estreme.È questo che ha fatto, per ogni uomo eper ogni donna del nostro Paese, dell’8settembre un nodo fondamentale dellastoria d’Italia; il momento in cui siposero le condizioni, le ragioni,l’urgenza di valutare, fra tutte le sceltepossibili, la necessità ed il dovere dischierarsi, di assoggettarsi o diliberarsi dalla soggezione di oltre 70anni a una classe dominante violenta,retriva e irresponsabile.Fu il momento della verità.L’abbandono dello Stato e dell’esercito,delle istituzioni e del popolo da partedel re e dello Stato maggiore al suo

seguito, per l’esclusivo fine di salvarel’istituzione monarchica e la vita deifuggitivi, senza lasciare alcun ordinechiaro per l’esercito e per le istituzionicivili, e per la salvezza del popolo,furono la prova dell’estraneità delfascismo e della monarchia alle sortidel Paese.La colonna dei fuggitivi, che non lasciòordini chiari neppure per la difesa dellacittà di Roma, non fu che il coerentesviluppo della linea politica dei 45giorni del governo Badoglio, nel corsodei quali tutto fu crudelmente fatto perimpedire ai cittadini, al popolo, unaconsapevole partecipazione alle gravivicende che percuotevano il Paese.Il governo Badoglio non liberò neppuredal carcere i condannati del Tribunalespeciale fascista!Castellano promise agli americani,sottoscrivendo l’armistizio breve aCassibile, un’attiva partecipazione degliitaliani alla lotta contro i tedeschi, maBadoglio ed il re non ne vollero sapere.Partirono all’alba del 9 settembre efurono paghi del fatto che, sullaTiburtina, marciando verso Ortona perimbarcarsi sulla corvetta Baionetta, fua loro consentito di superare per ben 3volte il blocco delle truppe tedesche,solo declinando una sorta di parolad’ordine per avere via libera: “Siamoufficiali superiori”.Erano “ufficiali superiori” e quindi fuloro consentito raggiungere un apprododi sicurezza a Brindisi.A tutti gli altri fu aperta soltanto la viadel lutto, del sangue e delle lacrime.Ma la patria non morì, perché vi fu illavoro del governo del sud, dei militaridell’esercito di liberazione che risalìl’Italia al fianco degli alleati e vi fu illavoro dei Comitati di liberazionenazionale al nord, dei partigiani, con laResistenza contro l’occupazione tedescaed i collaborazionisti fascisti, che,saldandosi fra di loro, circoscrisse ilcollasso dello Stato e preparò lanascita della Repubblica e dellaCostituzione, che parla ancora di patriae che indica ancora nella pace e nellaintesa tra i popoli la strada per lalibertà e la promozione sociale.

Gianfranco Maris

Che cosa ci insegnaquesta storicadata che non segnò la morte della patria,ma che,al contrario,ha portato alla nascita di una Italianuova,democratica e antifascista

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Sono nato a Robillante il 28settembre del 1918 - co-mincia a raccontare - e so-no stato ordinato sacerdotenella cattedrale di Cuneo il19 giugno 1943. Mio padreera contadino, aveva una pic-cola proprietà. Eravamo seifratelli. Il primo e l’ultimoerano ferrovieri, il secondoera un perito tecnico. Avevastudiato al Feltrinelli diMilano. Chiamato a milita-re divenne capitano delGenio e dopo l’8 settembreandò coi partigiani e diventòil comandante “Dodo” sulCol di Tenda. Il terzo fratel-lo ero io e il quarto primacarabiniere e poi camioni-sta del Consorzio agrario. Ilquinto, infine, faceva il con-tadino. Mia mamma era unasanta donna, una di quellemamme di una volta, tuttacasa e chiesa. Verso la finedel ‘43 - io ero un giovanesacerdote, che aveva cele-brato la sua prima messa il 19giugno del 1943 - il vescovo

di Cuneo, Giacomo Grosso,mi chiese se volevo andare acelebrare la messa di Nataleper un gruppo di giovani cheerano saliti in montagna perdare vita alle prime forma-zioni partigiane. La richiestaera partita da un gruppo digiovani dell’Azione cattoli-ca, la Giac. Io salii da lorosia per portare notizie dei lo-ro parenti sia per portare leloro notizie ai loro congiunti,sia, soprattutto, per la mes-sa di mezzanotte. Per rag-giungerli feci circa due chi-lometri di mulattiera a piedinella neve fino a Monfranco.Celebrata la messa feci ri-torno a Cuneo, pensando ditrascorrere le feste di fineanno in famiglia. Invece ilgiorno dopo fui arrestato daifascisti. Prima mi rinchiu-sero in una caserma dovec’era un tenente terribile, uncerto Allodi, che faceva in-terrogatori picchiando con-tinuamente. Io venni inter-rogato da lui quattro volte.

La prima volta ebbi paura,poi mi feci coraggio anche secontinuarono a picchiarmi.Volevano sapere tutto suipartigiani ma io non dissinulla e loro giù botte, micaandavano per il sottile, nehanno uccisi tanti e potevacapitare anche a me. Di lìpoi mi portarono nelle car-ceri di Cuneo e dopo qualchesettimana a Torino, primanella sede delle SS in viaRoma e successivamente al-le “Nuove”, nel braccio ge-stito dai tedeschi. Dopo qual-che tempo mi portarono a

Bolzano e, infine, nel cam-po di sterminio di Dachau.La cosa più brutta di queigiorni fu a Cuneo, quandomi misero contro un muro efecero finta di fucilarmi.Confesso che ebbi una gran-de paura. Avevo allora 25anni e contro quel muro cre-detti proprio che fosse fini-ta. Mi rivolsi al buon Diocon le lacrime che mi riga-vano il volto. Ma il nostroSignore dispose diversa-mente. Sono passati da quelgiorno ben sessant’anni edeccomi ancora qui”.

Chiediamo a don Angelodi tornare un po’ indietronel tempo, di raccontarciqualcosa della sua infan-zia e come gli venne la vo-cazione per il sacerdozio.

Quando ero ragazzo si ve-niva educati tutti sulla dot-trina dei balilla, ma per noiin seminario era diverso. Inquegli anni c’era stata unadisposizione del fascismocontro le organizzazioni cat-toliche, per cui nel nostroambiente il fascismo non eraben visto. Io ho ancora unlibro della quinta elementa-re con il volto del duce incopertina segnato da una cro-ce. Ricordo anche che ci fu

una ispezione e i nostri su-periori ebbero delle grane.La vocazione l’ho avuta mol-to presto. Avevo due zie suo-re, sorelle di mio padre, chemi incamminarono su questastrada. Ho iniziato le ele-mentari in seminario aCuneo e da allora non ho piùsmesso. Poi, dato che ero unpo’ indisciplinato, fui man-dato dai salesiani adAvigliana, ma lì ci stavo po-co volentieri perché eranotroppo severi. Dopo la li-cenza liceale sono tornato afare teologia a Cuneo, nel1941. Nel ‘43, subito dopo lamia consacrazione a sacer-dote, fui nominato vice par-roco della chiesa di San-

L’ultimo prete delIbio Paolucci - Bruno Enriotti

Ha 85 anni ma la vitalità è quella di un cinquan-tenne. Don Angelo Dalmasso arriva puntualissimoall’appuntamento nella sua parrocchia di Cuneo al-la guida della propria vecchia utilitaria Fiat. È l’ultimo sacerdote superstite del campo di ster-minio di Dachau.

Don Angelo Dalmasso,di Cuneo, oggiottantacinquenne, vennearrestato dai tedeschi dopo la celebrazione di una messadi Natale per i partigiani

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campo di Dachau

Torturato durante gli interrogatori venne poi trasferito nel lager di Bolzano e infine nel campo di sterminio di Dachau

Ora continua la sua attività di sacerdote nella chiesa di Sant’Antonio, collegataa una casa di cura per non autosufficienti

t’Ambrogio a Cuneo. ACuneo i fascisti mi interro-garono a lungo perché pen-savano che io sapessi tuttosulla nascente organizza-zione dei partigiani. In realtàio avevo soltanto celebratouna messa. A Dachau arri-vai, proveniente dal campodi Bolzano, il 7 ottobre, gior-no della Madonna delRosario, e vi rimasi fino al-la liberazione. A Cuneo tor-nai il 29 aprile del 1945. ADachau prima mi misero inuna baracca di quarantena,poi in quella dei sacerdoti.Nel campo c’erano 3.800preti, in maggior parte po-lacchi, che facevano vita perconto loro. In Germania c’e-ra ancora il nunzio aposto-lico, che si interessò, a nomedel papa, affinché i sacer-doti deportati non venisse-ro messi nelle squadre di la-voro. Ma fu la cosa più brut-ta che potevano fare perchéai deportati che lavoravanodavano un supplemento dipane, il cosiddetto “zeit-brot”. Così ci venne toltoquel pezzetto di pane, ne-cessario per sopravvivere.Noi, però, riuscimmo co-munque a tornare nelle squa-dre di lavoro per avere nuo-vamente il diritto a quel pic-colo supplemento di pane.Io dico pane, ma in realtànon si sa bene che cosa fos-

“Senza la Resistenza l’Italia sarebbe peggiore”. Queste le parole del presidenteCiampi in visita nella città di Boves, in provincia di Cuneo, il 20 settembre scorso. Ciampiha parlato a migliaia di cittadini, a migliaia di giovani. Ad accoglierlo nella città mar-tire i partigiani: al centro della foto, don Angelo Dalmasso.

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L’ultimo prete del campo di Dachau

se, un impasto di segaturaunito a qualche altra por-cheria. Ma era comunquequalcosa da mettere sotto identi. La verità è che chi nonc’è stato non può capire co-me è stata la nostra vita nelcampo. Ci facevano alzarealle quattro e mezzo di not-te, poi c’era l’adunata chespesso durava anche 3-4 oreperché ci contavano più vol-te soprattutto quanto i con-ti non tornavano. Verso le ot-to si tornava nelle baraccheper quello che chiamavano iltè, ma che era in realtà soloun po’ di erba cotta, falcia-ta nel pantano del campo,quindi c’era chi andava a la-vorare, mentre gli altri re-stavano nelle baracche. Amezzogiorno c’era un’oraper il “pranzo”, una broda-glia fatta con dei crauti vio-la, poi si tornava a lavorarefino alle sei quando si face-va ritorno nelle baracche do-ve ci attendeva un’altra bro-daglia. Infine c’era la liberauscita fra le baracche di nu-mero pari perché quelle dinumero dispari erano per la

quarantena o per gli ebrei.Io sono sempre stato fra ipreti, soprattutto fra i pretiitaliani. Noi italiani erava-mo trattati peggio degli altri,a parte i russi che erano trat-tati anche peggio di noi.Come contrassegno aveva-mo una striscia di capelli ra-sata dalla fronte alla nuca ederavamo considerati i pariadel campo. Gli altri riceve-vano qualche cosetta dallaCroce rossa, noi niente. Ioper poter avere un pezzo dipane in più sono andato a la-vorare. Prima mi facevanolavorare di picco e pala, poisono riuscito ad entrare inuna squadra che lavorava glistracci. Si facevano delle stri-sce che venivano arrotolateper farne una specie di cu-scini che venivano usati perammortizzare i colpi dellenavi contro i moli. Poi perme la situazione è ulterior-mente migliorata. Mi han-no messo a fare le asole al-le quali attaccavamo dei bot-toni su dei teloni mimeticiper le tende e questo lavorol’ho fatto fino alla fine”.

Gli chiediamo, a questopunto, che cosa abbia fat-to dopo la liberazione.

Sono tornato a Cuneo, madato che parlavo bene il fran-cese, prima sono stato de-stinato al campo di Alak, apochi chilometri da Dachau,per assistere gli italiani e ifrancesi assieme a un pretepolacco. Poi gli italiani sono tuttiscappati e allora io mi so-no detto ma cosa ci sto a fa-re qui, per i francesi c’è ilprete polacco, e così sonoscappato anch’io. Non loavessi mai fatto perché an-dare a Monaco era perico-loso. C’erano molti sban-dati che gli ex prigionieri liprendevano e li uccideva-no. Ma io sono andato lostesso e arrivato a Monacomi sono messo a cercare unachiesa, che ho trovato qua-si subito, ed era la chiesadella Santissima Trinità. Lìho visto un pretino e ho cer-cato di parlargli in latino,visto che non conoscevo iltedesco. Ma lui deve averpensato che ero uno dei so-liti sbandati e non mi ha da-to retta. Poi, per fortuna, è

arrivato un missionario sca-labriniano che mi ha porta-to in un collegio che lui ave-va requisito per raccoglieregli sbandati. Io, per un po’,l’ho aiutato nel suo lavoro,ma poi, con altri italiani, so-no nuovamente scappato esono arrivato fino al Bren-nero. Ma anche lì abbiamo avu-to qualche difficoltà perchégli italiani non ci hanno fat-to passare il confine, igno-ro per quale motivo. Allorasiamo andati ad Innsbruck,ospiti di una colonia del ve-scovo.Finalmente la Caritas, cheallora si chiamava Pontificiacommissione di assistenza,venuta apposta da Milano,ci ha riportato con dei pull-man in Italia. Io sono sceso a Monza e ri-cordo di avere detto la pri-ma messa nel duomo di quel-la città la sera del Corpus do-mini, che mi pare fosse l’ul-timo giorno di maggio. Conle cinquecento lire che ci det-te il cardinale Schuster, iopresi il treno e arrivai a casa.Pesavo allora 29 chili, men-tre il mio peso normale oscil-lava fra i 65 e i 70”.

delle baracche una specie dicappella dove si poteva direla messa. A celebrarla ordi-nariamente era il vescovo diClermont Ferrand. Il tratta-mento però continuava adessere durissimo. Ricordoche una volta che ci aveva-no fatto tornare nel campoin tutta fretta perché era suo-nato l’allarme, io ho trovatonel posto dove dovevo stareun tedesco. Ci siamo messia discutere, ma immediata-mente è arrivata una SS checon quella specie di anellie-ra di acciaio tra le dita mi hacolpito al volto facendomisaltare due denti. La mia fortuna, comunque,è stata di non ammalarmimai, a parte qualche mode-sto raffreddore”.

Gli chiediamo se sapevaquello che succedeva nelcampo, degli orrendi cri-mini commessi dai nazisti.

Si sapeva sì perché capita-va sotto i nostri occhi.Vedevamo sempre i “tama-gnon”, i vagoni come li chia-mavano là, colmi di cada-veri destinati al crematorio.Poi c’erano le punizioni chevenivano inflitte in pubblico,le adunate di notte, le per-quisizioni all’ordine del gior-no, le botte. Noi sacerdotieravamo trattati come tuttigli altri, forse anche peggio,per loro il buon Dio non c’e-ra. Solo verso la fine le co-se si sono un po’ ammorbi-dite, visto che ci hanno per-messo di organizzare in una

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Ci parli ora della libera-zione del campo.

I giorni della liberazionesono stati l’apocalisse. Noi,negli ultimi giorni, quandogià si sentivano i colpi dicannone, siano stati chiusinelle baracche. I tedeschi ci impedivano diuscire. Noi sacerdoti sapevamo cheHimmler aveva ordinato chenessun prigioniero cades-se vivo nelle mani dei libe-ratori. L’ordine era di bru-ciare vivi tutti con i lancia-fiamme. Io allora avevo 25 anni eposso dirvi che non mi sor-rideva per niente l’idea diessere arrostito. Qualcuno cominciava a da-re di matto. Un gesuita bel-ga si è alzato in piedi e hadetto: stiamo calmi, la sto-ria guarda a noi, diamoesempio, comportandocicome i martiri cristiani. Maquando hai paura di esserebruciato, mica è facile man-tenersi calmi. Ma qualcosa dovevamo fa-re, ed ecco che un altro pre-te belga, pur sapendo di cor-rere un grosso rischio,sfondò un finestrone dellabaracca e non successeniente. Silenzio. Lo vedo ancora dirigersiverso il cancello d’ingres-so e lo sento ancora urlarein latino: Sunt americani,sunt americani. Ed era pro-prio così. Ed è allora che la baraccasi è sfasciata ed è comin-ciata l’apocalisse. Tutti fuo-

ri e tutti a gridare come paz-zi dalla gioia. Il futuro cardinale ceco-slovacco Trotta, che era nel-la baracca con me, mi fa:andiamo a vedere di trova-re qualcosa da mangiare.Con noi c’era anche il car-dinale Bera, arcivescovo diPraga. I kapò non li abbia-mo visti perché erano tuttiscappati. C’erano rimastisoltanto i ragazzini di 14-16 anni, incamerati nelleSS. Quando i prigionieri ne ve-devano uno gli facevano sal-tare la testa. Noi sacerdotine abbiamo salvati parec-chi, nascondendoli nella no-stra baracca. Io conservoancora il triangolo rossoche ho portato a Bolzano ea Dachau e anche la strisciacon la croce gialla destina-ta a noi preti.Attualmente sono presi-dente della sezione Aneddella provincia di Cuneo. Purtroppo siamo rimasti inpochi, il tempo passa pertutti. Vado sempre a parlare nel-le scuole, mi chiamanospesso. Mi accolgono sem-pre bene, anche in istituticome l’Itis di Grugliasco,dove ci sono andato con unpo’di timore perché era pre-sente una certa contesta-zione. Invece anche lì mi hannoaccolto molto bene. Ai ragazzi racconto la miastoria e loro mi ascoltanosempre con molta atten-zione e mi fanno molte do-mande”

E ora, don Dalmasso, ci di-ca come sono i suoi rap-porti con la curia.

Buoni, sono sempre statimolto buoni. Quando sonotornato da Dachau il vesco-vo mi ha detto: ti hanno por-tato via quando eri vice par-roco di Sant’Ambrogio e oratorni in quello stesso posto.Poi si è aperto un posto didirettore in un orfanatrofio eci sono andato. Non lo aves-si mai fatto. Lì c’era il ma-triarcato, comandavano lesuore. Ho resistito sei mesi, maquando mi hanno fatto laproposta di andare a fare ilcappellano militare, ho su-bito accettato. Prima sonoandato ad Albenga dove sicostituiva la divisione Man-tova, poi ci hanno trasferitoa Palmanova. Infine, quando hanno resti-tuito la Somalia all’ammi-nistrazione italiana, sono an-dato lì come cappellano delcorpo di sicurezza. Ci sono

rimasto due anni e mezzo,dal ‘48 al ‘50. Poi, dopo tut-to quel tempo, ho chiesto ditornare a Cuneo. Il vescovomi ha detto: guarda c’è unpaesetto di montagna, non èparrocchia, bisogna costi-tuirla e bisogna ricostruirela chiesa. Se ci vuoi andareil posto è tuo. Io allora nonavevo paura di niente e ci so-no andato. Il paese era San Lorenzo diCaraglio, una frazione dicampagna con circa 800 fe-deli, che poi sono diminuitiperché in campagna bisognao organizzarsi o morire. Ioho rifatto completamente lachiesa e ci siamo costituitiin parrocchia perché allora senon si era parrocchia non siaveva diritto alla congrua delgoverno. Ora, dopo 48 anni di vita dif-ficile, faccio il prete a Cuneonella chiesa di Sant’Antonio,che fa parte di una casa dicura per non autosufficien-ti, che è stata completamenterestaurata”.

Come è nato il suo antifa-scismo, don Dalmasso?

In seminario. I sacerdoti, no-stri insegnanti, ci facevanocapire che la via del fasci-smo era sbagliata, anche sefuori dovevamo dire di sì.Quando sono diventato sa-cerdote, nel giugno del ‘43,il fascismo non aveva piùcampo. Io vivevo in una provincia

dove tanti giovani erano mor-ti in Grecia o in Russia. LaGioventù dell’Azione Cat-tolica, la Giac, era alloraprofondamente antifascista.La quasi totalità della gio-ventù cattolica era andatacoi partigiani. Per questo anch’io andai suin montagna per la messa dimezzanotte. Quei ragazzinon volevano restare senzamessa il giorno di Natale”.

Don Angelo Dalmasso con un gruppo diex deportati

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Memoria e conoscenza di

Un convegno internazionale a Torino. Hanno parlato di Giovanni Tesio, Maurizio

Il convegno internazionale “La conservazione del-la memoria, diffusione e conoscenza di Primo Levinei Paesi europei”, che si è tenuto a Torino lo scor-so ottobre, era animato dall’iniziativa di GiovanniTesio del Centro di studi piemontesi e organizza-to dal Centro di studi piemontesi e dalla RegionePiemonte.L’apertura dei lavori, alla presenza di autorità cit-tadine, personalità accademiche, la figlia di PrimoLevi e di un pubblico numeroso e competente, siè svolta nella sala dell’Archivio di Stato di Torinodove ha fatto gli onori di casa con garbo e genti-lezza la direttrice Isabella Massabò Ricci.

Giovanni TesioHa sottolineato l’importan-za del convegno che offrel’opportunità di un confrontoculturale tra gli studiosi diPrimo Levi, sulla sua diffu-sione internazionale e sullasua valorizzazione non so-lo come testimone dellaShoah ma anche come scrit-tore di poesie e di prose dialto contenuto esistenziale:un’opera come I sommersie i salvati approfondisce ecomplica la valutazione suicampi di sterminio e laproietta in una situazione diattualità che sgomenta.

Maurizio Piperno Beer,Presidente della Comunitàebraica torinese, ha ricor-dato esperienze personali inCanada e la registrazione diun documentario da parte digiapponesi su Primo Levi,che amerebbe definire rap-presentante della Comunitàebraica torinese ma che, perla sua grandezza, deve es-sere riconosciuto “patrimo-nio dell’Umanità”. Nel breve accenno alla for-mazione di Primo Levi,Piperno parla dei suoi con-tatti principalmente legatialla Torino laica del tempo e

ricorda che il suo avvicina-mento alla Comunità risaleal 1938 in occasione delleleggi razziali e ancor più do-po il suo ritorno dal campodi concentramento: il lega-me con la Comunità è sem-pre stato più culturale chereligioso, motivato soprat-tutto dalle amicizie che hasempre mantenuto.

Giuseppe PicchettoPresidente del Centro studipiemontesi, ha ricordato iprecedenti convegni dedi-cati a Primo Levi, tra cuiquello di Glaskow dove è na-

ta l’idea di approfondire everificare la fortuna dellaproduzione letteraria diPrimo Levi fuori dai confi-ni nazionali, di come la suaopera è stata accolta, rece-pita e diffusa anche all’e-stero, col suo forte messag-gio di democrazia e di ci-viltà.

Bruno VasariEx deportato, (anzi depor-tato perché “chi è stato de-portato rimane deportato”),presidente onorario del-l’Aned Torino e vicepresi-dente nazionale dell’Aned,

Gli interventi degli oratori

Susanna Massari

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Piperno Beer, Giuseppe Picchetto, Bruno Vasari ed Ernesto Ferrero

si dichiara presente per in-chinarsi a un grande dellatradizione della memoria alquale l’Aned ha dedicato trevolumi.Vasari sottolinea il ruolo de-terminante di Primo Levinella sua opposizione primaal negazionismo che, ancheper merito suo, oggi sembrasuperato e poi al revisioni-smo che lo vede particolar-mente attivo nel confutarela teoria di Nolte sulla pre-sunta uguaglianza tra lagere gulag. Alla fine della sessione dilavoro, quando mi sono re-cata a salutarlo a nome per-sonale e della Fondazione,

Bruno Vasari mi domandase ho capito il sottile tonopolemico sottinteso alla suarelazione che è un allarmecontro il revisionismo an-cora dilagante e un invito acontinuare a combatterlo at-traverso studi storici di am-pio respiro come sta facen-do l’Università di Torino checon Mantelli e Tranfaglia la-vora su un’opera generalesulla deportazione.

■ Dopo questi interven-ti introduttivi, la pri-

ma giornata si è conclusacon la relazione di ErnestoFerrero, per anni lettore epoi collaboratore della ca-

sa editrice Einaudi che hapubblicato tutta l’opera diPrimo Levi e che, al suo pri-mo lavoro nella casa editri-ce, ha avuto il privilegio dileggere le bozze de La tre-gua nel 1963. Nel suo dotto e documen-tato intervento ha ripercor-so la storia editoriale delleopere di Primo Levi in Italiae ha ricordato le prime rea-zioni di editori, scrittori epubblico, fino alle più re-centi posizioni della criti-ca letteraria.I due giorni seguenti sonostati dedicati alla stessa pro-blematica vista nei singolipaesi europei, in America e

in Israele, con l’intento difare un punto globale sul ri-scontro del valore letterariodel nostro grande scrittore.Patrimonio, come si è det-to da più parti, di tutta l’U-manità, risultano infatti og-gi restrittivi per la com-plessità del messaggio diPrimo Levi, i limiti che peranni lo hanno etichettatocome “testimone”, “scrit-tore dilettante” e “chimicoche scrive”. Alla pubblicazione degli at-ti, che si spera possa avvenirein tempi veloci, si rimandaper una panoramica com-pleta sulla sua personalitàletteraria.

Primo Levi nei Paesi europei

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In un’alba livida ci trovia-mo alla Judenrampe. Un bi-nario oggi sepolto tra l’erbaincolta, in un paesaggiosconsolante che alcuni al-beri da frutto non riesconoa rendere meno tragico. Unbinario che vide l’arrivo dioltre un milione e mezzo diessere umani. Che segnò ilpunto di non ritorno per laloro quasi totalità.

Lì siamo attesi dai testimo-ni, dai sopravvissuti diAuschwitz e di altri KZ:

di Aldo Pavia

Trecento romani ad A

Il 7 ottobre due voli convergono su Cracovia. I passeggeri sono tre-cento romani guidati dal loro sindaco Walter Veltroni.

Il primo appuntamento nella stessa giornata è alla sinagoga Tempel, per l’incontro con gli esponenti dei pochi ebrei che oggi vivono nell’antica capitale polacca. Ma tutti vivono l’attesa per quello che accadrà il giorno successivi .

Per i 198 giovani studenti,per i loro 33 professori, per tutti non sarà leggero l’impatto con Auschwitz-Birkenau.

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Shlomo Venezia, GiuseppeDi Porto, Mario Limentani,Piero Terracina,Vera Miche-lin-Salomon e Sabatino Fin-zi. Con noi anche IdaMarcheria, presente seppurcostretta in albergo da un at-tacco febbrile. La sua vocetuttavia ci parla anche se dalontano. Tutti loro hanno accettato,pur sapendo di rivivere unlancinante ricordo, di esse-re testimoni in questo viag-gio studio, in occasione del60° anniversario della de-portazione del ghetto diRoma. Ci aspetteranno nei

TRE GIORNIDI COLLOQUIDI VELTRONI

CON GLI STUDENTIGli studenti romani hanno conosciuto Auschwitzma hanno anche meglio conosciuto il loro sin-daco. Per tre giorni, ininterrottamente WalterVeltroni è stato con loro e tra di loro. Sull’aereo,nello stesso, seppur modesto, albergo.Pranzando con un panino, rispondendo alleloro domande nel corso delle cene. E soprat-tutto nel doloroso itinerario del lager. Primadella visita a Birkenau, li ha avvisati: “ Finoraavete letto dei libri, avete visto dei film. Maentrare a Birkenau è tutta un’altra cosa. Sipassa da spettatori a testimoni”. Per ricorda-re loro poi che: “Ciò che è accaduto per noi èinimmaginabile, però è successo. E il dram-ma è che la follia dell’uomo può rigenerarsi”.Invitandoli a riflettere che: “È bello che voiragazzi viviate questa esperienza indimenti-cabile, ricordando tuttavia che qui è morto unpezzo di Roma, qui tanti ebrei e antifascisti del-la nostra città hanno patito un grande dolo-re”. Con loro il sindaco si poneva continua-mente una domanda che in sé comprendevaanche la risposta: “Come si può dimentica-re? Chi esce da qui, non sarà mai più lo stes-so!” Al termine della visita, sconvolto, ai gior-nalisti che gli chiedevano le sue impressioni,ha voluto rispondere con una sola lapidariafrase: “ Si sentivano le grida dei bambini”.

a.p.

uschwitz con il sindaco

punti più emblematici delcampo. La loro storia daràvoce a infinite vicende, laloro voce di “salvati” sarà lavoce dei “sommersi”.

Dalla Judenrampe, in unsilenzioso corteo, ci av-

viamo all’entrata di Bir-kenau. Dal quel momento siodono solo le voci di coloroche spiegano la geografiadel lager e in pari tempo, lasua storia. Non c’è viso che non lascitrapelare l’emozione, la com-mozione. Visitiamo il lagerdi quarantena, il lager fem-

minile e con passo semprepiù pesante, come pesante èil nostro cuore, la Bahnho-frampe fino a giungere nel-la “fabbrica della morte”: lecamere a gas e i forni cre-matori. Ma prima di questo durissi-mo impatto, c’è stato un mo-mento di altrettanto profon-do turbamento: trovarci alKindergarten, la baracca deibambini, le vittime predi-lette del dottor Mengele,l’angelo della morte inAuschwitz. I visi si tendo-no, le mani si stringono a pu-gno, la ragione vorrebbe non

credere. Ma ciò che vedia-mo e sentiamo è accaduto. Il nostro silenzio è la testi-monianza più vera delle no-stre emozioni. Anche se vorremmo porremille domande ai supersti-ti, ci sembra quasi irriverentefarle in questo luogo, oveogni parola, ogni nostra mi-sera parola potrebbe turba-re l’ intensità di una trage-dia inenarrabile e incom-prensibile.

Tutti poi ci troviamo da-vanti al Memorial. Non

discorsi celebrativi, niente

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“ Si sentivanole grida dei bambini”

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L’ex deportato Enrico Magenesnell’Accademia dei Lincei

Il professor Enrico Magenes, ordinario diIstituzioni di analisi superiore, presso la facoltàdi Scienze matematiche, fisiche e naturalidell’Università di Pavia, è stato nominato socionazionale della prestigiosa Accademia dei Lincei,di cui era da tempo socio corrispondente.Nato a Milano nel 1923, Enrico Magenes si èlaureato in matematica a Pisa; dal 1938 al 1941è stato dirigente diocesano dell’Azione cattoli-ca e nell’agosto del 1943 collabora alla costitu-zione della Democrazia cristiana pavese, di cuiè il rappresentante in seno al primo Cln. Arrestatol’8 gennaio 1944, viene deferito al Tribunalespeciale di Torino e quindi consegnato alle SS. Dal carcere San Vittore di Milano è deportatodapprima a Bolzano e quindi a Flossenbürg esuccessivamente a Dachau. Costretto ai lavoriforzati a Kottem bei Kempten, viene liberato dal-le truppe alleate il 26 aprile 1945.Al professor Magenes – che attualmente rico-pre la carica di presidente della sezione Aned diPavia – giungano le più sentite felicitazioni da par-te dell’Associazione nazionale ex deportati edella Fondazione Memoria della Deportazione.

Bianca Mori Paganinipremiata dal Comune della Spezia

Alla presidente della sezione Aned di Spezia, Bianca Mori Paganini,– che è tra soci che hanno dato vita alla Fondazione Memoria dellaDeportazione – è stato conferito da parte del Comune di Spezia, ilpremio “Donne Leader Spezzine” in riconoscimento – si legge nel-la motivazione – “dell’infaticabile impegno e della passione a man-tenere viva la memoria storica della deportazione e quale amba-sciatrice della città della Spezia”. Bianca Mori Paganini è stata arrestata dai tedeschi, aiutati dalleBrigate nere, nella sua casa, nel luglio del 1944, assieme alla madre,a una sorella e un fratello, mentre gli altri due fratelli, riescono asfuggire: uno combatterà nei partigiani, l’altro con le forze alleatedi liberazione. Dopo un periodo passato in carcere, le tre donne saranno deportatenel campo di sterminio di Ravensbrück, mentre il fratello finirà aFlossenbürg dove perderà la vita nel dicembre del 1944. A Ravensbrük,la madre morirà tra le le braccia delle figlie le quali riescono a so-pravvivere fino alla liberazione da parte degli alleati.Tornata a Spezia Bianca Paganini si laurea in lettere e si dedica al-l’insegnamento, impegnandosi continuamente – soprattutto fra igiovani – per far conoscere la tragedia della deportazione e trarre daessa gli insegnamenti utili anche a comprendere il modo in cui vi-viamo.A Bianca Mori Paganini giungano le felicitazioni dell’Aned nazio-nale e della Fondazione Memoria della Deportazione.

retorica fuori luogo. Il rab-bino capo della comunità diRoma, Riccardo Disegni –anche lui è per la prima vol-ta in Auschwitz – intona duesalmi e recita il Kaddish.

Poi si alzano solenne-mente le voci nel canto di

Ani Maamin. Il rabbino suo-na lo shofar, il corno che an-nuncerà la resurrezione. Lacommozione non trova piùfreni e gli occhi si gonfianodi lacrime, fino a quel mo-mento trattenute.

Una breve pausa per ri-storare e l’animo e il cor-

po e poi varchiamo il can-cello di Auschwitz 1. Quellosul quale gli assassini nazi-sti vollero l’irridente scritta“Arbeit macht frei”. Di blocco in blocco la sco-

perta di immagini, di oggetti,di documenti che ci fannopercorrere giorno per giornol’efferata storia del lager, lasua sconvolgente quotidia-nità.Scopriamo tutti che qui leparole, i racconti, le testi-monianze diventano realtàconcrete, tangibili. Ognunadelle valigie è una persona incarne e ossa. Gli abitini dei neonati sonole centinaia di migliaia dibambini assassinati. Gliscialli da preghiera sono gliuomini pii che li indossava-no. La montagna di capelli èla fotografia del più biecosterminio delle donne. Guar-diamo il viso del nostro sin-daco. Il suo pallore, la sua tensio-ne ci fanno chiaramente ca-pire ciò che stiamo vivendo

e ciò che rimarrà in noi altermine di questa indimen-ticabile giornata lungo uncammino verso la cono-scenza di ciò che è necessa-rio sapere per essere uomi-ni liberi e per saper e poter di-fendere e la libertà e tuttoquanto di fondamentale perla nostra vita nella libertà èracchiuso. La sera ci ritroviamo tuttiassieme a Cracovia. È tornato il sorriso, ma anchequesto è segno di grande so-lidarietà con le vittime deilager. Noi sappiamo che amavanola vita. E che volevano la no-stra migliore della loro. Checi fosse possibile sorridere.

Per sempre fratelli, mai ne-mici. Per questo, prima

di lasciare la Polonia,Veltroni

ha voluto che ci incontrassi-mo con giovani polacchi chestudiano l’italiano e che que-sto appuntamento fosse latestimonianza di una volontàdi un’Europa che si avviaverso la più completa unità,così come fu sognata e poivoluta dagli antifascisti. Prendendo la parola nel sa-lone del municipio di Cra-covia, Veltroni ha volutochiaramente ricordare a tut-ti noi come alla radice del-l’unità dei popoli del nostrocontinente ci sia proprio lamemoria della deportazio-ne razziale e politica neicampi di annientamento e disterminio nazifascisti. E come proprio questa pa-gina tragica della nostra sto-ria e la sua memoria sianol’antidoto contro chiunque– e dovunque – voglia per-

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E il fascista abbaiòcontro il “nemico”

L’“abbaiatore”, che riveste anche laresponsabilità di vice presidente delConsiglio comunale, è tal Nino Pel-legatta. La persona contro cui sfoga la suaviolenza verbale, è Angioletto Casti-glioni, una “presenza” storica notain tutta la città, per l’impegno civicoe l’incessante attività nell’Aned enell’Anpi. In particolare per il suo impegno an-tifascista, che gli è costato il campodi annientamento nazista, dove è riu-scito a sopravvivere. Ed è pratica-mente dalla fine della guerra che de-dica la propria vita a testimoniarequella tragedia.L’episodio suscita indignazione eproteste. “Il cane di Mauthausen”,è il titolo di un duro commento nel-la cronaca bustese de La Prealpina,che così si conclude: “A Mauthausenle SS legavano un deportato al-l’ingresso del lager, costringendo-lo a latrare al cospetto dei suoi com-pagni di sventura. Ci si accappo-na la pelle rievocando tale igno-minia. Chi ha abbaiato in Consigliocomunale, dovrebbe quantomenoprovare a riflettere. Perché non hacolpito solo Castiglioni. Ha colpi-to milioni di morti, gli stessi ai qua-li Gianfranco Fini, presidente diAn, ha reso omaggio cercando diriparare moralmente a certe ver-gogne.”Contro la provocazione, la condan-na del centrosinistra e dell’Anpi diBusto, in un comunicato firmato dalsuo presidente Gian Luigi Cerotti.L’associazione partigiani “solida-rizza con Castiglioni, deportato diFlossenbürg.

[…] Stigmatizza il grave comporta-mento di Pellegatta che, dopo averrivendicato la propria appartenen-za al fascismo, ne ha dato dimostra-zione pratica.”Il documento si conclude con la piùferma condanna nei suoi confrontiperché “non solo offende i valori e iprincipi della Carta costituzionalema la stessa città di Busto Arsizio,decorata al valor militare nella guer-ra di Liberazione con la medaglia dibronzo”.Analoga posizione di condanna del-la provocazione e di solidarietà conCastiglioni da parte dell’Anpi pro-vinciale. Affetto e stima nella lette-ra di una giovane amica: “Le scrivoda donna che ha deciso di fare qual-cosa per la Memoria, per chi è statostroncato dall’odio e dall’intolle-ranza e ancora oggi patisce.Chi come me fa poco, quasi nulla,ha bisogno di persone come lei, og-gi più che mai. Si ricorda quando ac-cadde quell’atto oltraggioso, An-gioletto, al Tempio civico e alla se-de dell’Associazione; si ricorda co-sa le dissi: lei è forte, più forte di chiparla a sproposito, offende e oltrag-gia i simboli della Memoria. Chi sicomporta così ha poco nella mente eancor meno nel cuore. Glielo dissiallora. Non ho cambiato idea, ho so-lo più voglia di lottare. Anche gra-zie a persone come lei. Coraggio,Angioletto. Un abbraccio, Marilena”.L’episodio cui fa riferimento la let-tera, riguardava l’utilizzo di adesivicontro gli ebrei sull’urna dedicata adAuschwitz.A Castiglioni la calorosa solidarietàanche del nostro giornale.

BUSTO ARSIZIO (Varese)

Un esponente di An, che non esita ad autoproclamarsi orgogliosamente“fascista”, fa ricorso anche allo stalinismo per attaccare la sinistra, duran-te una riunione del Consiglio comunale di Busto Arsizio (VA). Dal pubblicosi leva un commento per invitarlo a non fermarsi lì e a ricordare l’orrore delfascismo, le guerre, le stragi, le persecuzioni, i milioni di morti. Colpito nelvivo, il “fascista” insulta e schernisce. E per rendersi ancora più aggressi-vo gli abbaia contro. La violenza e indecente reazione lo trascina quasi al-lo scontro fisico, evitato dall’intervento di un vigile urbano.

Breve storia di un oltraggio a un ex deportato

La lapideche periniziativadella sezioneromanadell’Aned èstataapposta il 16ottobre 2000,alla stazioneferroviariaTiburtina,da dovepartì iltrasportoperAuschwitzdegli ebreiromanicatturati il16 ottobre1943. Ancheil testo èstato redattodall’Aned diRoma.

correre itinerari di violenza,di intolleranza, di negazionedei diritti umani.Confermando e ribadendola sua volontà a far sì chequesto momento di grandevalore culturale e politicoabbia un importante, dura-turo seguito. Impegnandosiin prima persona. Questa è la breve cronaca diun viaggio studio inAuschwitz, parte qualifi-cante di un progetto volutodall’assessore alle Politicheeducative del Comune diRoma Maria Coscia, grazieal quale gli studenti di 33scuole romane si erano giàrecati a Cefalonia, a Fossolie a Marzabotto.

Un progetto giustamen-te ambizioso per far ri-

flettere i giovani sulla sto-ria del nostro paese, per co-noscere le radici della no-stra democrazia, per con-solidare i valori che un pae-se ed un popolo democra-tico devono considerare as-solutamente irrinunciabilie inalienabili.

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Libri e documentiIl patrimonio della nostra FondazioneI responsabili dell’archivioe della biblioteca dellaFondazione intendono in-cominciare da questo nu-mero una rubrica per stabi-lire un contatto diretto coni nostri lettori.

L’inventarioÈ stato ultimato il riordinodel Fondo Aned confluitonella Fondazione ed è orapossibile consultare l’in-ventario cartaceo presso lanostra sede che sarà tra bre-ve tempo trasferito, almenoin parte, su Internet, nel no-stro sito: www.deportati.it.L’inventario è stato realiz-zato su programma FileMaker, facilmente reperi-bile e soprattutto utilizza-bile anche da persone nonesperte in informatica. Perquesto siamo a disposizio-ne per fornire, a chi lo de-sidera, sezioni o privati,informazioni sull’uso delprogramma che, abbon-dantemente sperimentato,ci sentiamo con tutta tran-quillità di consigliare achiunque intendesse rior-dinare il proprio archivio.

La documentazioneAnnunciamo inoltre cheabbiamo la possibilità diaccogliere nei nostri nuovispazi eventuale documen-tazione in vostro possessoche potrebbe trovare pres-so la Fondazione una sua

naturale collocazione e va-lorizzazione: il materialesarà catalogato in brevetempo e manterrà la deno-minazione del Fondo ori-ginario.Le prime donazioni che cisono giunte, grandi e pic-cole, conservano all’internodella Fondazione la propriaautonomia relativa alla loroorigine: tra essi il fondoTibaldi, di entità cospicuae i minori Fondo Panizza,Salmoni, Roncaglio, AnedRoma, Bettaccini, DiFrancesco.

La bibliotecaPer quanto riguarda il la-voro sulla biblioteca, sia-mo giunti anche qui alla fi-ne, avendo catalogato, sem-pre su programma FileMaker, tutti i libri di pro-venienza Aned e avendolidivisi basandoci secondoil contenuto: non manca orache la loro collocazione edetichettatura definitiva.Facendo questo lavoro, ab-biamo trovato un certo nu-mero di libri doppi, tripli eanche quadrupli: si è pen-sato allora di riportare i li-bri doppi, numerati e cata-logati, alla sede dell’Aned,a disposizione per consul-tazione e prestito.Ricordando che il valore el’importanza della nostraFondazione, che ha qualecompito istituzionale la con-

servazione della memoriastorica della Deportazionee della Resistenza, si basasoprattutto sul patrimoniolibrario e documentario dicui possiamo disporre, ciauguriamo di poterlo in-crementare per il vantaggiodi tutti, attraverso la vostrapartecipazione.Il nostro patrimonio archi-vistico conta al momentocirca 3000 fascicoli di do-cumenti, 3000 fotografie,500 videocassette e film ori-ginali che sono stati ripor-

tati su Cd Rom e 200 cas-sette audio, in parte an-ch’esse trasferite sui sup-porti più moderni, oltre a2000 libri ai quali se ne so-no recentemente aggiuntialtri 800 di particolare in-teresse storico provenientidal fondo Gimelli di Ge-nova.

Susanna Massari responsabile archivio

e biblioteca dellaFondazione Memoria

della Deportazione

Donata dalla famiglia la riccaFondazione

Memoria

della Deportazione Si pregano gli interessati di contattare

Elena Gnagnetti, segretaria della Fondazione al seguente indirizzo:Via Dogana 3, 20123 Milano - tel. 02/87383240 fax 02/87383246,e-mail [email protected].

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Lo scorso 20 giugno moriva nellasua casa di Sori, presso Genova,Giorgio Gimelli, (Gregori) parti-giano, organizzatore politico, storicodella Resistenza. Giorgio ha dedi-cato tutta la sua vita all’antifasci-smo. A soli 17 anni, nel dicembre del1943, organizza uno sciopero di stu-denti, quindi sale in montagna ed ètra i redattori di uno dei pochissi-mi giornali clandestini, Il Partigia-no, che uscì ininterrottamente dal-l’agosto ’44 all’aprile ’45. Dopo laLiberazione, Giorgio Gimelli con-tinuò la sua attività politica comeredattore del periodico della fede-razione genovese del Pci, consi-gliere comunale e quindi segreta-rio dell’Anpi. In questo suo ruolo, Giorgio fu trai protagonisti degli eventi del giu-gno-luglio ’60 che portarono allacaduta del governo Tambroni chesi reggeva con l’appoggio del Msi. È nella sede dell’Anpi che le forzeantifasciste si riunivano per dar vi-ta a quel movimento di forte protestache si estese in tutta Italia; è statoGiorgio Gimelli a impedire che lamanifestazione di piazza De Ferraridegenerasse – come voleva il go-

verno Tambroni pronto a far inter-venire l’esercito – convincendo,con la sua autorevolezza, i giovania mantenere la protesta sul pianodella legalità, ottenendo in tal mo-do uno dei principali successi po-litici di questo dopoguerra.Giorgio Gimelli ha dedicato diver-si anni della sua vita alla ricercastorica. I suoi tre volumi Cronachemilitari della Resistenza in Liguriarestano fondamentali per la cono-scenza della lotta partigiana in unaregione che ha saputo esprimere inogni momento, anche nelle condi-zioni più difficili, il suo impegnodemocratico e antifascista. Dopo la sua morte, la moglieGraziella e il figlio Pietro hannovoluto donare alla FondazioneMemoria della Deportazione, l’in-tero patrimonio librario storico-po-litico di Giorgio. I suoi libri sono oraraccolti nella sede della Fondazionea Milano, in un apposito fondo cheoccupa un intero scaffale di questabiblioteca specializzata in ricercastorica e costituiscono un patri-monio prezioso di conoscenza perchiunque voglia approfondire lastoria dell’antifascismo italiano.

biblioteca di Giorgio Gimelli

Nelle immagini di questa pagina una foto di gruppo del 1943 quando GiorgioGimelli (Gregori) fa parte di una formazione di giovani partigiani. Era tra i redattori di uno dei pochissimi giornali clandestini, Il Partigiano. Dopo la liberazione Gimelli fu segretario dell’Anpi e, in questo ruolo,tra i protagonisti degli eventi del luglio 1960 che portarono alla caduta del governo Tambroni.

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Ferma risposta del presidente dell’Aned di Roma

Sconcertante interrogazione di un deputato dell’Udc:“Un contributo immorale,una rovina per lo Stato”Vivamente preoccupato che i denari dei con-tribuenti italiani possono venire sperperatiin mille finanziamenti, sovvenzioni e “re-galie” l’onorevole Francesco Paolo Luccheseha sentito suo dovere presentare, in data 14ottobre 2003, una interrogazione a rispostascritta indirizzata al ministro dell’Economiae delle finanze.Riferendosi a principi di giustizia e di mo-ralità l’onorevole Lucchese chiede al mini-stro, in buona sintesi, se non sia meglio to-gliere dal bilancio dette spese, ovviamenteingiuste ed immorali, per destinarle, conazione qualificante per il Governo e per lamaggioranza, ad investimenti produttivi.

Più in particolare chiede sesi ritenga giusto e moraleche il Viminale elargisca con-tributi ad associazioni comeAnppia,Aned, vittime civi-li di guerra, eccetera.Va da séche il suo parere è che si trat-ti di elargizione ingiusta edimmorale.Dalla stampa quotidiana ap-prendiamo anche che ilLucchese avrebbe definitoqueste associazioni” stranee poco conosciute di cui nonsi sa bene il ruolo e l’atti-vità”. Spiegando: “Dico chenon si sa cosa fanno questeassociazioni,come spendo-no i soldi. Ho scritto l’in-terrogazione per stimolareil dibattito...”Forse il primo dibattito do-vrebbe farlo con il suo cer-vello!

Dichiararci offesi e sdegnatiè cosa fin troppo ovvia escontata.Forse persino inu-tile di fronte a simili volga-rità. Che il così dotto ono-revole ci ritenga strani e sco-nosciuti non ci meravigliae nemmeno ci provoca sus-sulto alcuno. Anche perchésiamo sicuri che conosce be-ne le nostre associazioni equanto le stesse hanno me-ritoriamente fatto fino adoggi. Ed è tutto ciò che lodisturba, che lo irrita e vor-rebbe non accadesse più. Così come respingiamo almittente, con la forza dellenostre storie, i suoi cosìprofondi giudizi di giusti-zia e di moralità.Non siamo preoccupati cheil Governo possa cassare leseppur più che modeste “re-

L’on. Paolo Francesco Lucchese dell’Udc, già sindaco di Alcamo(Pa), in una interrogazione al ministro Tremonti ha definitoesagerati i fondi pubblici elargiti ad “associazioni strane e pococonosciute da cui non si sa bene il ruolo e l’attività”. Tra questeassociazioni vi sarebbero – secondo Lucchese – l’Anppia e l’Aned.

galie” di cui le nostre asso-ciazioni beneficiano e che,oltretutto non sono tali dagarantirci particolari o rile-vanti attività.Ci preoccupa il perché sivuole arrivare a questa cosìqualificante decisione. Per-ché si vuole che la Memoriademocratica del nostro Paesescompaia.Perché si vuole che i valoridi riferimento della nostraCostituzione svaniscanogiorno per giorno, lascian-do ampi spazi, ove tutto èpossibile, all’ingiustizia, al-la disuguaglianza, all’arro-ganza. Perché nessuno pos-sa più parlare ed agire se-condo i principi di ugua-glianza,di solidarietà. Perchési sia liberi solo di obbedi-re ai nuovi uomini dellaprovvidenza, credere, ob-bedire e combattere per inuovi “unti dal Signore”. Perché non si possa dissen-tire, perché i cittadini – chedevono solo sorbirsi stampae informazione di regime –se ne stiano tranquilli per-ché, tanto, alle cose impor-tanti e fondamentali per laloro vita, per il loro futuro eper quello dei loro figli, c’ègià chi ci pensa: rinuncian-do persino al sonno per ilnostro bene. Perché le nostre figlie sia-no tutte “veline” ed i nostrifigli ubriachi di motorini etelefonini. Perché noi si siail popolo delle barzellettesullo Sterminio. Pronti e di-

sponibili ad “andare in va-canza” a spese dello Statose proprio si volesse non es-sere d’accordo.E già che c’è, l’onorevole(termine che usiamo soloper rispetto al mandato par-lamentare) Lucchese vuoletogliere anche i finanzia-menti ai patronati dei sin-dacati. Sarà un caso?Ma il Lucchese non è solo.È in buona e larga compa-gnia. D’altro canto la schie-ra dei servi è sempre più nu-merosa di quella dei loro pa-droni.La nostra associazione hafatto tutto quanto necessa-rio a fronte di simile igno-minia. Tuttavia, a questopunto, riteniamo sia dove-re, questo davvero qualifi-cante, delle rappresentanzedelle forze democratiche in-tervenire rapidamente echiaramente in tutte le sediche riterranno opportune indifesa dell’ordinamento so-ciale e civile del nostroPaese. In difesa dei nostri concit-tadini, della loro storia, deiloro inalienabili diritti. Per difendere il diritto allaMemoria ed ancor più quel-lo alla conoscenza, quantopiù libera, condizione perchéognuno possa esercitare ildiritto alle sue scelte ed alvivere la propria vicendaumana, politica, culturaleda protagonista.

Aldo Pavia

ANED

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Triangolo Rosso si può leggere anche in Internet:sono pubblicati quasi tutti i numeri del giornale dal 1994 al 2003

Intere annate del nostro giornale sono ora consuntabili anche da casa. Tutte le novità del sito, dai libri ai memoriali. Un “cammino” lungo sei anni che ora si rinnova. Gli strumenti di indagine storica.

Verso la riorganizzazionedel sito www.deportati.itPer consultare la nostra rac-colta virtuale, dalla paginaweb del sito basta fare “clic”su “Aned”, poi su “Trian-golo Rosso”, e quindi su“Arretrati”. A quel punto cisi trova in una pagina-indi-ce e occorre selezionare l’an-nata che interessa. Nella pa-gina successiva, nella qua-le si possono vedere le co-pertine dei diversi numeri,è possibile scorrere gli in-dici degli articoli dei singo-li numeri, e quindi sceglie-re il giornale che si vuoleleggere.Per consentire a tutti gli uten-ti, indipendentemente dalcomputer e dal sistema ope-rativo utilizzato, di leggereil nostro giornale, abbiamoscelto il formato AcrobatPDF: chi non lo avesse può

procurarselo gratuitamentesu Internet e installarlo sulproprio computer.Tutte le pagine del giornalesono riprodotte integral-mente, esattamente come so-no state pubblicate. Questorende i file di ogni numeropiuttosto “pesanti” (da 2,5a 7,3 Mb) e lenti da scarica-re per chi non abbia un col-legamento veloce a Internet.Per il momento ci è sembratogiusto proporre comunquequesta possibilità a tutti: inun secondo momento – maci vorrà diverso tempo! –proporremo sul sito anchela possibilità di scaricare ifile dei singoli articoli, cer-tamente più “leggeri”, e ra-pidi da consultare anche conun modem non troppo effi-ciente.

Con la novità di queste set-timane diventano consulta-bili in pratica quasi tutti inumeri del nostro giornalea partire dal 1994: molti nu-meri infatti erano già statidigitalizzati e sono consul-tabili online da tempo, gra-zie alla fattiva collabora-zione con l’Università diUdine.Le novità del sito non si fer-mano qui: tra i libri, segna-liamo la pubblicazione del-l’edizione integrale di Dora- Quando la vita vince lamorte, Memoriale dal cam-po di concentramento KZdi Dora-Mittelbau Nord-hausen, di Gherardo DelNista. Proprio la nascita del-la Fondazione, del resto, im-pone un generale ripensa-mento del nostro sito, giun-

to fin qui sostanzialmenteinvariato dopo un camminodi circa 6 anni (un lasso ditempo che in un settore incosì rapida evoluzione co-me quello informatico cor-risponde più o meno a un’e-ra geologica). Per questo motivo abbiamointrapreso un complessocammino che ci porterà neiprossimi mesi a riorganiz-zare interamente le nostreinformazioni attraversoInternet, offrendo agli inte-ressati – studenti, insegnan-ti, ricercatori, semplici cu-riosi – strumenti di indaginee materiali sempre più utilie di facile consultazione.Ma di tutto questo parleremoun’altra volta

Dario Venegoni

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Ricordare pubblicamentequella data-simbolo

Sessant’anni dopoil rastrellamento del ’44si incontrano a Folignoi familiari dei deportati

Il rastrellamento antipartigiano del febbraio ’44 molti non fecero più ritorno dai lager.Una sezione dell’Aned dedicata al loro ricordo

ANED

Per la prima volta dopo quasi sessant’annidal rastrellamento sulla montagna foligna-te, il 3 febbraio 1944 si sono incontrati e co-nosciuti i familiari dei prigionieri deporta-ti dai nazifascisti. Diciannove di essi sonomorti a Mauthausen e Flossenbürg. I sopravvissuti furono soltanto sei.L’iniziativa è nata dopo che una ricerca sco-lastica, condotta da una classe del liceoFrezzi di Foligno e dall’insegnante di storiaOlga Lucchi, ha ricostruito la dinamica del-la deportazione e i nomi dei prigionieri at-traverso interviste ai familiari.

TUTTI I PRIGIONIERI Ecco l’elenco dei prigionieri morti a Mauthausen nel1945. La loro età era compresa tra i diciassette e icinquantaquattro anni:Armando Bileggi, 9 aprile; Augusto Bizzarri, 6 aprile;Vincenzo Cavilli, 8 febbraio; Sante Costantini, 22 feb-braio; Francesco Federici, 8 marzo; Serafino Federici,17 marzo; Guerrino Maggi, 1 marzo; Giacomo Melelli,25 maggio; Luigi Olivieri, 3 marzo; Franco Pizzoni, 23aprile; Giuseppe Privinzano, 4 febbraio; Antonio Salcito,aprile; Vincenzo Salcito, tra il 20 e il 30 aprile; GiuseppeSalvati, 16 marzo; Franco Santocchia, 3 maggio; LinoSpuntarelli, 30 marzo. Felice Salvati è morto a Mauthausenil 16 dicembre 1944. A Flossenbürg è deceduto LuigiCostantini, il 3 dicembre 1944 mentre GabrieleCrescimberi è morto a Innsbruck il 21 febbraio 1944.I reduci sono stati: don Pietro Arcangeli da vari cam-pi; Primo Micheli, Franco Tardone, Colombo Olivieri,Rinaldo Salvati da Mauthausen e Vittorio Cavilli, fug-gito dal campo di Fossoli.La ricerca è stata pubblica-

ta con il titolo Curve nellamemoria… angoli del pre-sente inviata all’Aned, chela ospita nel suo sito Internetdiretto da Dario Venegoni.Ed è ai deportati che si vuo-le dedicare la nuova sezio-ne dell’Aned, con il con-senso e l’appoggio del pre-sidente nazionale dell’asso-ciazione, Gianfranco Maris.Alla riunione di Foligno era-no presenti:- Antonia Bileggi e suo ma-rito Mario Lai. Antonia è fi-glia di Armando, deceduto aMauthausen;- Elena Salvati Federici, conil marito Giovanni Salvati.La loro famiglia ha avutocinque morti. La memoriapersonale e inedita di queiterribili e indimenticabili

giorni è depositata pressol’archivio di Pieve SantoStefano;- Santa Arcangeli (con il ma-rito Alberto Gonfalone) so-rella di don Pietro;- Corrado Santocchia, fra-tello di Franco deceduto aGusen;- Ernesta Spuntarelli, sorelladi Lino, un giovane che persfuggire ai bombardamentisi era rifugiato con la fami-glia in montagna. È dece-duto a Gusen;- Giovanni Bizzarri, nipotedi Augusto Bizzarri, il cuinome compare nella sala delMuseo della deportazionepolitica e razziale di Carpi,e Feliciano Salvati giovanenipote di Rinaldo che, re-duce di Mauthausen, ha te-stimoniato fino alla morte, la

tragedia che aveva vissuto;- Sante Cucciarelli, dellaBrigata Garibaldi che assi-stette al rastrellamento dal-l’alto della montagna e futestimone della cattura deigiovani partigiani;- La professoressa RitaMarini, presidente della ProLoco Val Menotre, uno deiluoghi del rastrellamento,da sempre interessata e sen-sibile alle vicende storichedella zona.Altri parenti che quel gior-no non hanno potuto esserepresenti, hanno dato la pro-pria disponibilità a mante-nere viva la memoria dei lo-ro cari. Come la signoraMaria Pizzoni, sorella di

Franco, un giovane parti-giano morto a Gusen.La memoria delle vittime èconservata in una piccolacappella, voluta e fatta rea-lizzare da don Pietro Arcan-geli, a Cancelli di Foligno,che fu il centro dell’azionedi rastrellamento. Nella ri-correnza del 25 aprile il sin-daco e il vescovo di Folignoli ricordano in una cerimo-nia civile e religiosa. I fa-miliari dei deportati hannoespresso la volontà di ri-cordare pubblicamente an-che la data del rastrella-mento, il 3 febbraio. Per con-servare il ricordo e per tra-smetterlo alle giovani ge-nerazioni.

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Costituita in Umbriauna nuova sezioneÈ con vero piacere che pos-so comunicare la costituzio-ne della sezione umbra dell’Aned.La riunione ha avuto luogoil 26 settembre scorso edha visto la partecipazionedi quasi tutti gli iscritti; èstato nominato presidentedella sezione il sig. CorradoSantocchia, fratello di Fran-co Santocchia, deceduto aGusen, segretaria della se-zione è invece la sotto-scritta. Compongono il direttivo lesignore: Assuntina Ar-cangeli, sorella di don PietroArcangeli, il “prete galeot-to”, come si definì nella suaautobiografia, Maria Piz-zoni, sorella di FrancoPizzoni, anche lui decedu-to a Gusen, Anna Micheli,figlia di Primo Micheli, re-duce da Mauthausen, eAssunta Maggi, nipote diGuerrino Maggi, decedutoa Mauthausen.

Così, dopo il riemergere deiricordi, i confronti tra le espe-rienze, la discussione su co-me sono stati vissuti i luttiin questi sessant’anni, si èdeciso di mettere in campouna serie di iniziative cherendano il ricordo memoriacollettiva della città e me-moria futura.

• Da subito il presidente edil direttivo prenderanno con-tatto con il sindaco dellacittà per verificare la pos-sibilità di dedicare una piaz-za o un parco cittadino ainomi dei deportati o si pren-deranno contatti con le scuo-le per organizzare lezionisul tema o si organizzeran-no viaggi nei luoghi dellamemoria, primo fra tutti alcampo di Fossoli, ove tuttii deportati folignati transi-tarono.

• A più lungo termine, macomunque entro il 2004, sivuole procedere alla indivi-duazione dei deportati dallealtre città e paesi dell’Um-bria, di modo che la sezioneassuma una vera valenza re-gionale con l’iscrizione dialtri parenti e familiari.

• Franco Santocchia ha la-sciato un quadernino di poe-sie scritte prima di essere de-portato; vorremmo farne unapubblicazione, magari a cu-ra dell’Aned.

• E poi ci sarebbero gli iti-nerari della memoria, per co-niugare deportazione e Re-sistenza.

Olga Lucchi

UN CALENDARIOPER IL 2004

DELL’ANED DI PAVIALa sezione Aned di Pavia ha pubblicato “Il calendario del-la memoria 2004” (ricerca storica e progetto di SerenaSavini). Quest’opera – che porta il significativo titolo “Ospitidi favolose stelle” – contiene ogni mese dell’anno la foto-grafia di un deportato con a fian-co scritti di coloro che persero lavita nei lager nazisti.Particolarmente significativo ilbrano tratto da una lettera inviatadal carcere di San Vittore da JacopoDentici (morto a Gusen il 1° mar-zo 1945): “Qui tutto va bene – scri-veva ai familiari – non mi mancaniente, tranne la libertà ma quel-la vale poco… anzi c’è abbon-danza di alcuni generi come calcieccetera”.

Per avere il calendario si può farne richiesta presso l’Aneddi Pavia (via Tortona 14, tel.0382/464971) oppure all’AnedNazionale ( Milano, via Bagutta 12 tel. 02/76006449)

MEDAGLIA D’ORO ALLA COMUNITÀ

EBRAICA DI ROMACon il conferimento di una medaglia d’oro al valore ci-vile alla Comunità ebraica di Roma, il presidente Ciampiha commemorato, al Portico di Ottavia, la razzia delGhetto all’alba del 16 ottobre 1943.

“La memoria dello stermino deve essere tenuta viva per-ché la storia che si dimentica si ripete”. Parole molto chiare con le quali il presidente ha confutato leirresponsabili dichiarazioni del presidente del Consiglio, te-se ad assolvere il duce ed il fascismo dalle gravi colpe del re-gime che ben poche responsabilità avrebbe avuto nell’immanetragedia che ha sconvolto il secolo appena passato. A tutti enon solo agli ebrei presenti davanti alla lapide che ricorda gliebrei romani deportati in Birkenau, il presidente ha volutoricordare che “ tutto questo nacque da un regime dittatoria-le che aveva cancellato ogni libertà e perseguitato coloroche si erano opposti alla dittatura ..... insieme alla Shoahvanno ricordate le inumane leggi razziali varate nel no-vembre ‘38, leggi che furono premessa e fondamento delPatto d’acciaio tra la Germania nazista e l’Italia fascistache precipitò l’Italia nel disastro della guerra”. Un messaggio meditato e calibrato, quello del capo delloStato, con un forte richiamo ai valori della Resistenza e del-la Costituzione “ stella polare dell’Italia democratica,scu-do delle nostre libertà”. Grazie, signor presidente e chi ha orecchie per ascoltare,ascolti! A.P.

A sinistra,l’incontro di Foligno dei familiaridei deportati. A destra,la costituzionedella nuovasezione umbradell’Aned.

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Vasta partecipazione all’iniziativa dell’Aned.Le testimonianze dei sopravvissuti e le riflessioni dell’attore Klaus Maria Brandauer

Il futuro della memoria,ispirato ai valori della pace e del dialogonel gemellaggio tra Prato e altri comunicon la città austriaca di Ebensee

Il viaggio di studenti,amministratori, cittadini

Dopo la recente nomina a presidentedell’Associazione per il gemellaggio Prato-Ebensee, ho partecipato per la prima voltaal pellegrinaggio della memoria, organiz-zato dall’Aned di Prato, nella cittadina au-striaca nel cui campo di concentramento na-zista morirono anche tanti pratesi. Una vicenda tragica da cui è poi scaturito,nel 1987, un patto di gemellaggio straordi-nariamente unico nel suo genere, come af-fermò l’anno scorso anche il presidenteCiampi durante l’inaugurazione del Museodella deportazione di Figline, ad oggi giàvisitato da oltre 5000 persone.

Guidati dai lucidi ricordi diRoberto Castellani - uno deipochi sopravvissuti a quel-l’inferno, nonché “anima”del gemellaggio - hanno pre-so parte a questo viaggio,ispirato ai valori della pacee del dialogo fra i popoli, al-cuni familiari dei deportati,amministratori del Comunee della Provincia di Prato,dei Comuni di Montemurlo,Vaiano, Cantagallo, Poggioa Caiano, Carmignano eCampi Bisenzio, rappre-sentanti della Croce d’Oro(a sua volta gemellata conla Croce Rossa di Ebensee),della Cgil e della Con-fesercenti, assieme ad un nu-trito gruppo di studenti ac-compagnati dai loro inse-gnanti.Sono stati giorni di intense

emozioni: le visite a Mau-thausen, a Gusen, alle gal-lerie di Ebensee in cui sisvolgeva il lavoro forzatodei deportati; la celebra-zione per l’anniversario del-la liberazione del campo diEbensee, segnata indele-bilmente - oltre che dalletestimonianze di vari so-pravvissuti, tra cui RobertoCastellani - dalle straordi-narie riflessioni del grandeattore austriaco Klaus MariaBrandauer sul concetto di“straniero”, a fronte del no-stro essere “creature ibri-de”, nutrite storicamentedai più diversi influssi cul-turali. E poi la grande manifesta-zione di Mauthausen, con ladeposizione - presenti an-che il sindaco Mattei e l’as-

sessore provinciale AnnalisaMarchi - delle corone ai mo-numenti che ricordano, na-zione per nazione, le vitti-me dello sterminio nazista.Quindi, durante il corteo frale baracche del campo, l’e-mozione indicibile per gliapplausi al passaggio dellostriscione del gemellaggioPrato-Ebensee, seguito daigonfaloni e dalle tante ban-diere della pace indossatedai pratesi, così come dagliamici di Ebensee, guidatidal presidente dell’associa-zione gemella Josef Piontek.La compostezza dei nostrigiovani e la loro consape-vole partecipazione a que-sti momenti pubblici, cosìcome nell’ascolto delle me-morie di Castellani, restanofra le immagini più belle ericche di speranza di questo

pellegrinaggio.Significativi anche altri mo-menti del viaggio: il work-shop sulle pari opportunitànella Ue, che ha visto con-frontarsi le delegazioni diPrato, di Ebensee e della cittàpolacca di Zawiercie (lega-ta da un patto di amicizia conEbensee); la serata incen-trata sulla storia, sui carat-teri e sul patrimonio culturaledi queste tre diverse realtàeuropee. (Per Prato anchel’apprezzata musica popo-lare del gruppo “TuscaeGentes”.)Negli incontri con il sinda-co Herwart Loidl si è di-scusso di come rilanciare erafforzare il gemellaggio(che vive un’importante di-mensione anche nello stret-to legame fra la parrocchia diEbensee e quella pratese diSanta Lucia) perché la me-moria - oltre che a custodi-re e tramandare valori civi-li e democratici fondamen-tali - possa diventare veico-lo di una sempre più inten-sa conoscenza reciproca,specie fra i giovani, nella va-lorizzazione delle rispettivetradizioni, ricchezze artisti-che, culturali, ambientali.Per dare un futuro alla me-moria, sviluppare le occa-sioni di incontro tra le duecomunità e contribuire co-sì, nel nostro piccolo, allacostruzione di un’Europa dipace.

Andrea Mazzoni

Klaus Maria Brandauer:l’attore austriaco nei panni di “Mefisto”.

ANED

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Conobbi Massimo Aloisi a Padova negli anni cosiddetti di piombo, quando imperversavano nell’Università gli autonomi, amici dei terroristi, fieri teorici del diciottoobbligatorio per tutti, soprattutto per gli ignoranti,squadristi contro i professori democratici,che si opponevano alle loro prepotenze. Parecchi docenti furono vittime della loro furia criminale.

Ricordo per tutti l’amico e compagno Guido Petter,già comandante partigiano, già insegnante nella scuolaRinascita di Milano, voluta dall’Anpi, dove studiaronomolti giovanissimi combattenti antifascisti o figli di cadutipartigiani. Petter insegnava nell’ateneo padovano e unamattina fu vilmente aggredito e bastonato a sangue. Ferito seriamente, poté salvarsi grazie al fatto di avere intesta un pesante colbacco, regalo di un collega moscovita.

Massimo Aloisi insegnava pure lui a Padova. Scienziatofra i più noti in Italia, era stato incarcerato dai fascisti,poi aveva partecipato alla Resistenza, iscritto al Pci. Ne era uscito dopo i fatti di Ungheria e anche per leinsopportabili baggianate genetiche di Trofim Lysenko,elogiate da Stalin.

Qualche anno dopo, al riguardo, aveva scritto:“Non me ne pento, ma nemmeno me ne glorio”. A Padova, già avanzato nell’età, prese posizione con fermezza contro la banda degli autonomi.

Fu allora che lo incontrai e lo intervistai per l’Unità. Mi ricevette nella sua casa e mi offrì anche un bicchierinodi una vodka speciale che gli aveva regalato il grandebiologo Alexander Oparin nel corso di una sua visitanell’Unione Sovietica. Da allora mantenemmo buonirapporti fino alla sua scomparsa.

Seppi dei suoi scritti su Belfagor, la rivista di “variaumanità”, fondata da Luigi Russo, e gli chiesi se erapossibile averli. Me li spedì con una affettuosa dedica e con gli auguri di buon 1996. Uno di questi scritti,pubblicato nel numero di maggio del 1995, si intitola “Un pezzetto di vecchia cronaca nera”. In quell’articolo Aloisi racconta di un suo soggiorno per studio nella Germania nazista nel 1937.

In particolare riferisce di una “oceanica” manifestazioneorganizzata a Berlino per accogliere Benito Mussolini. Si tratta di una testimonianza, che riteniamo importante,per il notevole interesse che riveste, riproporre ai lettori.

Scienziato tra i più noti in Italia Massimo Aloisi racconta di un soggiorno di studio nella Germania nazista del ’37

“ “Un pezzetto

di vecchia

cronaca nera

di Ibio Paolucci

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di Massimo Aloisi

Era il settembre del 1937. Mi trovavo a Berlino-Dahlemperché frequentavo come ospite il famoso laborato-rio scientifico di Otto Warburg. Questo premio Nobel

era uno dei pochissimi ebrei che fino allora era potuto ri-manere in patria, ma quella patria era tempestata per ognidove da cartelli con su scritto: questo giardino, questo ci-nematografo, questo locale è vietato agli ebrei: senza con-tare i manifesti ovunque esposti in cui si raffiguravano lo-schi personaggi, definiti comunque Juden in atto di com-piere i più efferati e scandalosi delitti. Quando il giovaneErwin Haas mi domandava in laboratorio come mi trova-vo a Berlino, rispondevo che in generale andava bene, mache mi soffocava la presenza di quei cartelli e che non po-tevo nemmeno immaginare come mi sarei sentito se fossistato un giovane ebreo. Mi dava ragione, con serietà. E tuttavia, tornato in patria, nella mia patria, dovetti quasisubito dopo assistere all’innesco di una campagna razzia-le filonazista nonostante che illustri cattedratici si fosserogià prima adoperati per una nostra sommessa campagnarazziale mediterranea...Ma lasciamo stare: non è per questo che mi sono ora ac-cinto a ricordare questo pezzetto di cronaca nera, anche seso che in politica tutto si tiene.

Debbo innanzi tutto dire che nella mia vita, sempre sen-za intenzioni eroiche, ma spesso per una tendenzasemplificatrice che poteva anche coincidere con la

pigrizia, spesso anche per non cercare informazioni noio-se, mi sono talora trovato temporaneamente fuori dalle re-gole del viver civile, anche se pronto a rimediarvi appenamanifestatisi i relativi inconvenienti, perché convinto checomunque di regole si vive. Altra cosa è stata per me la per-suasione teorico-pratica per una scelta morale e politica,che era quella di tutta la famiglia, nettamente antifascista.Già, perché, parlando del 1937 parlo appunto del periodonazifascista in Europa.Ma quella noncuranza o leggerezza mi impedì, arrivato inGermania, di notificare alla polizia la mia presenza. Purtropponon vi pensò, come sarebbe stato suo dovere, neppure lamia padrona di casa, Frau Herta M., poiché essa era alloramolto depressa per l’abbandono del marito e per una rela-

tiva causa legale sulla quale addirittura voleva consigli dame, non riflettendo che una laurea in medicina, anche se fre-sca, non dava alcuna materia per consigli giuridici. Ma FrauHerta era una donna semplice.Il suo e il mio semplicismo, uniti insieme, conclusero il lo-ro esser negativi e pericolosi in quel di Germania, solo al-la fine del mio soggiorno, anzi, come si vedrà, durante il mioviaggio di ritorno, quando però tutto era ormai più o meno,e senza danno, avvenuto.Bastavano infatti talora in quel paese, come del resto inItalia, pochi incontri, per trovarsi a dover scegliere in fret-ta un comportamento plausibile: come quando un giovanetecnico del laboratorio venne a salutarmi perché partivaper il servizio di leva; avevo letto sui giornali che proprioin quel tempo avevano aumentato da uno a due anni quel ser-vizio (misura evidentemente intesa a preparare la pace, co-me tra poco si vedrà) e da buon italiano mi sentii in dove-re di dolermi con lui che gli fosse capitata addosso siffattainaspettata quasi sciagura. Ma non l’avrei dovuto dire: si ir-rigidì tutto sugli attenti, divenne rosso e paonazzo e da unabocca appena semovente mi sibilò: «Sono molto contentoe orgoglioso di servire la mia patria e il mio Fiihrer».M’inchinai di fronte al grande dilemma del tempo, quellodi una gioventù che pur credeva a un miraggio, ma nefastonella storia dell’umanità.Un bel giorno, mi pare proprio il 26 di settembre, sento inlaboratorio che due giorni dopo sarebbe stata vacanza to-tale per un avvenimento politico di grande rilievo: la visi-ta di Mussolini a Hitler.Siccome questo poteva anche significare chiusura degli uf-fici pubblici e dato che avevo estremo bisogno di riscuote-re il consueto assegno mensile che mi veniva versato pres-so l’agenzia berlinese dell’American Express, decisi di uti-lizzare la mattina del 27 per andare a riscuotere il magro sus-sidio. L’agenzia si trovava nell’Unter den Linden poco ol-tre l’imbocco della Friedrich Strasse; erano circa le dodi-ci e vi trovai una enorme folla assiepata in ambedue i mar-ciapiedi, tenuta ferma in modo brutale da giovanotti dellaHitlerjugend uniti braccia a braccia a catena e del tutto per-suasi che gli uomini e le donne senza divisa sono un bruli-came che è godevole schiacciare. In mezzo a loro e in mez-zo a noi (ero rimasto sepolto anch’io nella folla all’uscitadall’agenzia dopo una procedura un po’ lunga per ragionidi cambio) si facevano strada anche dei fascisti italiani an-ch’essi in qualche divisa e che fidandosi dell’altrui ignoranzadella loro lingua trovavano giocondo dire puttanate controuno e contro tutti a piacer loro.

Così capii – e mi fu confermato – che si era in attesadel passaggio di Hitler e di Mussolini testé arrivato,appunto alla Friedrich Bahnhof. Ed essi infatti pas-

sarono ben presto, in piedi l’uno e l’altro sulla stessa auto-mobile tra il delirio di quella umanità la cui eccitabilità nonera poi troppo fuor di esempio – tolte le memorie specifi-che e puntuali – da quella già espressa e ancor oggi, muta-tis mutandis possibile e ostensibile, da una parte dell’at-tuale umanità italiana...

Un pezzetto di vecchia cronaca nera“

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L’indomani, la mattina del 28, era una giornata splendida.I pini e gli scoiattoli di Dahlem non accettavano l’autunnoincombente e nel mio cervello l’incontro dell’Unter denLinden era remoto e quasi cancellato. Ma Frau Herta, purnella sua vacuità aveva di diritto un genoma tedesco e quan-do le feci notare la radiosità del mattino mi disse con lastessa seria persuasione con cui mi illustrava le sue ragio-ni contro il marito: «Certo, è sempre bel tempo quando par-la il nostro Führer». Mi seccò tale risposta: non solo perché mi riportò alla na-tura di quella vacanza e alla considerazione che il mondodebba temere delle scelte dei meno intelligenti, ma ancheper la sensazione che non ero più libero di godermi da so-lo quella giornata: non si può essere soli e liberi dentro unciclone che trascina milioni di persone.

Provai a passare dall’Istituto per rivedere le mie carte,ma era chiuso; al ritorno trovai una colonna rada esparsa di persone e che aveva in testa qualcuno che agi-

tava un turibolo allegramente sonoro; camminavano solertilungo i viali di pini come per una consapevole scampa-gnata. Vidi anche un cartello dal quale si deduceva che queicittadini berlinesi appartenevano alla gilda dei tappezzie-ri e compresi allora che era un segmento di quel variamenteattrattivo convogliare gli umani curiosi e consenzienti al-la manifestazione politica che si prevedeva per il pome-riggio.M’incuriosì quel passeggiare senza impegno e quella mu-sica; la bella mattina rimaneva tale, ma ormai non era piùsenza nome né solo per me; ormai la corrente umana era sta-bilita a Berlino Centro come a Dahlem; non sapevo dove fos-se il Campo di Maggio ove si sarebbe svolta la manifesta-zione politica; mi dissi che potevo seguirli quanto mi con-venisse, pronto a venirne fuori a mio piacere per il pranzo.Così, sempre sull’onda del mio indipendente semplici-smo, ma anche della mia curiosità, temporaneamente di-venni anch’io tappezziere e mi infilai nella fila, che in-tanto si andava ingrossando (non saprei in verità dire quan-ti tappezzieri esistessero al tempo a Berlino o in quel set-tore di Berlino). Erano solo le dieci e mezzo e avevo tut-to il tempo di dare prima o poi un colpo di coda e toglier-mi dalla gilda.Lungo il tragitto ogni tanto mi proponevo di abbandonarequei camerati allegri e festaioli, ma poi rimandavo semprefinché prevalse il proposito di vedere almeno in cosa con-sistesse quel famoso Campo di Maggio.Ci arrivammo che non era ancora – se ben ricordo – mez-zogiorno. Il Campo era un ovale sterminato di cui a mala-pena si intravedevano i limiti distanti; la curva più vicina erasormontata da una vasta scalinata con una tribuna centra-le, ancora vuota. V’era erba sotto i piedi e un cielo azzur-ro pallido sopra di noi. Non era caldo né freddo.Poche persone erano giunte fino allora all’appuntamento,noi compresi, dispersi a gruppetti in uno spazio enormeche lentamente ne inghiottiva sempre altri, ma passò mol-to tempo prima che si potesse parlare di una raccolta o diuna folla.

Molto tempo. Tanto che si poneva finalmente il pro-blema di chiudere l’avventura e di uscire a trova-re un luogo ove risolvere la giornata nutritiva e

quella diversiva.Fu allora che mi accorsi come lungo l’asse maggiore del-l’immenso ovale corresse una doppia fila di capre di legno,delimitanti quindi una specie di corridoio fra esse. A uncerto momento, il sole era già alto, lungo quel corridoiocomparvero giovani della Hitlerjugend (o di altra milizia gio-vanile, non ricordo) forniti di gavette militari vuote che di-stribuirono, a chi le volesse, dei presenti. Moltissimi vi an-darono e mi avvicinai anch’io: evidentemente si prepara-va un pasto collettivo e gratuito. Infatti, poco dopo, quellostesso corridoio fu percorso da altri miliziani che traspor-tavano enormi recipienti su rotelle contenenti carne bolli-ta e patate: tale rancio, assolutamente appetibile, venne di-stribuito nelle gavette di ognuno ed era più che sufficientea calmare l’appetito dell’ora. Era comunque un invito a rimanere in attesa della manife-stazione politica che – ormai si sapeva o, meglio, ne erovenuto anch’io a conoscenza – si doveva svolgere nel tar-do pomeriggio.Ormai il Campo di Maggio era fitto di persone. Moltissimeavevano mangiato ed erano sedute sull’erba. Parlavano,parlavano. Trovai due giovani con una strana uniforme trail militare e il ginnastico che si accorsero che non ero tedescoe mi domandarono donde venissi. Erano ragazzi della pre-militare. Seduti sull’erba cominciammo un lungo discorsoanche perché il mio tedesco non consentiva sintesi prezio-se. Mi chiesero chi era Mussolini e dissero che erano sicu-ri che l’incontro con Hitler era voluto per assicurare il mon-do sulla pace. Dissi che ne ero contento, ma che da noi si era sempre piùsospettosi – era la natura del nostro popolo – e dunque c’e-ra chi si domandava se sotto le dichiarazioni di pace non sinascondesse la preparazione alla guerra: che la guerra po-teva essere un’attrazione per risolvere tanti problemi ur-genti della Germania come dell’Italia. Mi seguivano con attenzione e finirono per convenire chetalora le dichiarazioni dei politici possono essere fallaci edirette ad un’ingannevole mobilitazione dei popoli. Più inlà non arrivavano, almeno con me, né più in là avrei volu-to portarli sull’onda del mio azzardato semplicismo. Eranocertamente ragazzi operai e forse filtrava nelle loro testequalche ricordo dei padri; li invitai qualche giorno dopo auna cenetta, ma non fu un’occasione propizia per conti-nuare il discorso.Intanto si erano fatte le cinque del pomeriggio ed erava-mo un po’ stanchi. Stanchi per l’uniformità dell’attesa,per il paesaggio che ormai non destava più meraviglia,stanchi di parlare o di parlottare, stanchi di ascoltare. Il cie-lo, così limpido e invitante la mattina, si era ricoperto e lagiornata volgeva, nonostante le previsioni di Frau Herta,verso il banale o decisamente brutto. Ma la popolazionelì raccolta cresceva ancora e ormai, almeno nel settoreche fronteggiava per largo spazio la scalinata e la tribunaeravamo una folla.

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Un pezzetto di vecchia cronaca nera“

“Tutti però sapevano e ormai lo sapevo anch’io, che la

manifestazione politica era insolitamente preordi-nata per oltre le cinque e mezzo e fino alle sette del-

la sera: la stranezza dell’orario era, come vedremo, legataal tipo di decorazione col quale la Germania hitleriana sta-va per accogliere e impressionare l’ospite italiano che ve-niva da un paese ricco di monumenti sontuosi e forse solodi questi.Intanto il cielo si copriva sempre più di nubi poco tranquillee molti si domandavano se tanta preparazione e buona vo-lontà di comparire non stessero per essere beffate.A un certo momento si capì che stava per iniziare la mani-festazione: sotto un cielo sempre più scuro cominciò a sfi-lare, sul bordo supremo della scalinata, una serie numeri-camente immensa di grandi bandiere alternate, una tedescacon una italiana, portate da uomini che poi rimanevano drit-ti e immobili a sostenerle. La durata di questa sfilata fu lunghissima, data l’esten-sione della circonferenza da occupare, e durante tutto il tem-po il popolo che ormai fitto occupava il terreno del Campoteneva il braccio teso in avanti nel saluto hitleriano; inbreve tempo molti non ce la facevano e sorreggevano il brac-cio destro con la mano sinistra o viceversa, i vecchi tre-mavano nel prolungarsi dello sforzo e quello che comun-que voleva essere un atto di omaggio si traduceva in un ma-sochistico giuoco di sudditanza; era pressoché finito ilparlottare e c’era solo un diffuso brulichio di voci e di so-spiri.

Intanto cominciavano a riempirsi le gradinate di frontea noi, destinate agli invitati. Seppi poi da un collega ita-liano, che pure lavorava in quel tempo a Berlino e che

regolarmente si era fatto vivo presentandosi, come si doveva,alla polizia, che tutti gli italiani di un minimo di rilievo al-lora presenti a Berlino erano stati invitati, come dire, sol-lecitati a recarsi alla manifestazione.Riempita che fu la gradinata cominciarono a venire le au-torità. Si riconobbe Goebbels dalla statura e Goering dal-l’impermeabile trasparente sopra l’ostensione delle tan-te medaglie. Venne subito anche Hitler e subito ancheMussolini. Questi si dava un gran daffare cercando di favorire il pas-saggio e la collocazione dei nuovi arrivati sbracciandosicome un esperto regolatore del traffico. Mi par di ricorda-re che v’erano anche delle musiche solenni.

Ma a un tratto Hitler, che era già salito sul podio eappena vi sporgeva con la parte superiore del bu-sto fece, immobile per tutto il resto del corpo, un

gesto semicircolare col braccio: tutt’uno col gesto cessò lamusica, cessò il brusio, ogni rumore svanì e il cielo, cheera diventato ancor più nero e minaccioso, incombeva orasu un improvviso silenzio di vita. Viveva solo una voce,ora, e per il silenzio sembrava unica nel mondo, ed era quel-la aspra e concitata e sgradevole dell’uomo che era riusci-to a farsi venerare da milioni di tedeschi per l’interesse na-scosto di pochi, tedeschi e anche non tedeschi. Era orgogliosa,quella voce, di mostrare al collega e più antiquato maestroitaliano cosa significasse avere al suo piede, con un fischio,in un giorno, tre milioni di persone (drei Millionen Personensind hier mit uns, come disse, poiché al milione dentro ilCampo si dovevano aggiungere altri due milioni in attesadelle fatidiche parole fuori del campo, tutto all’intorno);disse anche che lui e tutti i tedeschi volevano la pace no-nostante la caparbietà di altre nazioni nemiche della nuo-va Germania.Naturalmente parlò subito dopo anche Mussolini. E la sce-na cambiò; non tanto per il cielo che si addensava semprepiù, quanto per il contrappunto alla tragedia: come in un’o-pera lirica classica ai vaticini terrifici del sommo sacerdo-te subentrano le note speranzose di chi umanamente vuo-le accomodare tutto, il Duce in un tedesco buono ma più sem-plice e con un gestire che era un linguaggio a sé stante lar-gamente indipendente dal contenuto del dire, e tuttavia stu-diato appositamente per entrare nelle simpatie nordiche,fece egregiamente la sua parte di contrappeso; come Hitlerstudiava i suoi silenzi per entrare nel cervello della gente,l’amico del momento fece tutto quello che i milioni di astan-ti volevano che facesse: essere l’italiano tipo che col cuo-re in mano giura fedeltà.

La marea prima immota della gente cominciava ad on-deggiare seguendo il discorso, perché non era piùquello del Führer da ingoiare come un bastone; si

azzardava anche qualche commento o sorriso, si aspettavail Duce al varco. E quando egli disse che l’Europa era purdi fronte al tragico dilemma della guerra o della pace, mache anch’egli aveva sposato la causa della pace «Krieg oderPriede? ebbene noi abbiamo già scelto: Friede!») vennefuori un uragano di applausi e di voci quale il Campo diMaggio forse non aveva prima sentito. Ma l’uragano stavaper venire anche dal cielo. Era ormai sera e cominciava apiovigginare. I tedeschi avevano contato molto su un effetto finale co-reografico che voleva dire unione dell’arte con la tecnica,del Nord col Sud del sacro con l’umano.Avevano posto regolarmente e tutto all’intorno del vastoCampo di Maggio una serie di potenti riflettori(Scheinweifern) che, accesi, inviavano ciascuno un poten-te fascio di luce ottimamente visibile specie nella poca neb-bia serale; ma erano disposti ed inclinati verso l’alto cosìche l’insieme dei fasci si incontrava in un punto alto del-l’atmosfera dal quale poi appositamente divaricava, atte-

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nuandosi. Ci si trovava dunque dentro una specie di gabbiaa spigoli luminosi e quasi appena curvati, con un grandeeffetto visibile certamente ammirevole. Quando venne, co-me venne e abbondante, la pioggia brillava verticale fra-mezzo ai piegati fasci di luce.Ma per essere fino in fondo cortesi i tedeschi vollero for-nire agli italiani anche uno spettacolo più a loro paesano econsueto: i fuochi d’artificio; forse anche per mettere aconfronto la filosofica geometria statica dei riflettori tede-schi con l’esuberante e più meridionale e imprevedibilefiorire dei fuochi italiani. Tanto più imprevedibile, allora,nell’esecuzione, in quanto ostinatamente attuata sotto unapioggia ormai senza scampo.Ma i tedeschi che si avviavano verso le uscite, ogni qual-volta sentivano uno sparo alzavano la testa al cielo, e se unqualche sparpaglio di stelle tuttavia si rendeva visibile lo sa-lutavano come bambini gridando ogni volta ach! e la piog-gia riempiva loro la bocca.Molti particolari della manifestazione che non erano ap-prezzabili dai comuni cittadini entro il recinto del Campodi Maggio furono poi ben visti ed analizzati nei giorni suc-cessivi nei documentari filmati offerti da apposite piccolesale giornalistiche o annessi agli spettacoli cinematografi-ci. I numerosi primi piani del Duce con tutte le sue accat-tivanti mimetiche e calcolate smorfie facevano cordial-mente e sonoramente ridere, ma senza disprezzo. In labo-ratorio, nella sala delle bilance, mentre ognuno pesava i

propri ingredienti di lavoro si scambiavano commenti ila-ri ma convinti: fu lì che udii F. Kubowitz riconoscere alle-gramente che il tedesco di Mussolini non era male, ma si ve-deva che l’uomo, col suo agitarsi, non era abituato ai mi-crofoni (intendeva che secondo lui la tecnologia radiofonicanon era ancora penetrata in Italia).

Come dicevo all’inizio, l’epilogo più personalmentefastidioso, e dovuto al mio ingenuo semplicismo,avvenne al confine, nel viaggio di ritorno. Allora dal

passaporto capirono che ero stato tre mesi in Germania ir-registrato ospite. Fecero sgombrare tutto lo scomparti-mento, mi fecero spogliare fin quasi alla nudità e scanda-gliarono ogni piega di vestito, ogni fondo di calzino, ognifoglio di quaderno, ogni pagina di vocabolario. Guardaronocon qualche sospetto un bel regolo calcolatore che m’erocomprato in Germania, di quelli usati nel laboratorio del gran-de Warburg, e cominciarono ad abbaiare domande in mo-do così concitato da non potervi trovare una risposta ade-guata, quale un vero spione avrebbe semmai potuto prepa-rare; volevano notizie sul mio lavoro, a cosa servisse e per-ché proprio a Dahlem; ma avevano anche fretta, il trenodoveva ripartire, forse alla fine dovettero concludere che erouno scemo qualsiasi, di quelli che, come dicono o diceva-no in quel di Empoli, vicino Firenze, non han cervello percampare un’ora.

Massimo Aloisi

“Avevano posto regolarmente e tutto all’intorno del vasto Campo di Maggio una serie di potenti riflettori…

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✔Vorrebbe inviare i tifosi nel lager di Mauthausen

Cari amici,

sabato 31 maggio 2003, durante una trasmissione spor-tiva sull’emittente genovese Primocanale, il giornali-sta Piero Campodonico ha dichiarato che il suo sognoè vedere ripristinato l’antico treno che portava i rifiu-ti a Scarpino (Scarpino è una località dove sorge unadiscarica genovese), per portare i tifosi sampdoriani viadalla loro gradinata, diretti però a Mauthausen.Avete letto bene: a Mauthausen. Nella discarica si bru-ciano i rifiuti; a Mauthausen, invece, si bruciavano gli

esseri umani. Il concetto è stato successivamente ri-badito dallo stesso Campodonico una settimana piùtardi, il 6 giugno, su un’altra emittente genovese,Telecittà. Abbiamo dunque raccolto più di 300 firmedi persone indignate di tali parole in un appello concui è stato chiesto che Piero Campodonico venisse ra-diato dall’ordine dei giornalisti – per indegnità.Per altro, come giornalista pubblicista, ho presentatoun esposto all’Ordine dei giornalisti di Genova controil Campodonico e so che è stato attivato nei suoi con-fronti un procedimento disciplinare.Da articoli di stampa del 3 ottobre scorso apprendoche Piero Campodonico ha denunciato me e gli altri fir-matari dell’appello…Lo ritengo un paradosso offensivo, non tanto per noi maper quanti sono morti ammazzati nelle camere a gased a Mauthausen in particolare.

Roberto Martinelli - Genova

Ad avviso di Sua Eccellenzail Cavalier Be......., pardon,Silvio Berlusconi, Mussoliniinviò in ridenti località divilleggiatura gli opposito-ri del fascismo. Per il pronipote di VittorioEmanuele III, meglio notoper la pubblicità dei sotta-ceti, le leggi razziste, fir-mate dal nonno, furono po-ca cosa. La più valida, se-ria, documentata confermaè venuta dal regista Pa-squale Squittieri e dall’on.Guzzanti. Sicuramente an-che altri hanno simile, ap-profondita conoscenza ecertezza. Quanto ridentefosse quella realtà lo si puòdesumere da una docu-mentazione che ho trovatonegli archivi dell’Aned diRoma. Nel 1938 AnselmoMoscati era rappresentan-

te di commercio. Per le leg-gi razziste fu privato dellapossibilità di svolgere an-cora il suo lavoro, privan-do così la sua famiglia diogni sostentamento. Oltread essere ebreo era ancheantifascista. Mal gliene in-colse. Nel giugno del 1940, al mo-mento dell’entrata in guer-ra, venne arrestato, comeda lettera della RegiaQuestura di Roma,in data10 giugno 1940-anno XVIII.Internato dapprima nelcampo di concentramentodi Campagna, venne invia-to poi nel campo di con-centramento di Gioia delColle (Bari). La RegiaPrefettura di Bari lo se-gnalava, con lettera riser-vata urgente, come perico-loso e sospetto di spionag-

gio. Nel dicembre ‘41 vie-ne data disposizione di in-ternarlo nel campo di con-centramento di Isola delGran Sasso (Teramo ), ovegiunge il 16 gennaio 1941.Il 21 gennaio il questore diRoma respinge l’istanza direvoca del provvedimentodi internamento ( presen-tata dal figlio dopo la mor-te della madre ) per i pre-cedenti repubblicani delMoscati, per non essere mailo stesso stato iscritto al Pnfe per i suoi sentimenti con-trari al regime, acuitisi do-po le leggi razziali. Il rifiu-to verrà comunicato alMoscati il 16 marzo, dalministero dell’Interno. A luglio viene trasferito aSassocorvaro, poi dopo unnuovo parere negativo al-la revoca dell’internamen-to, viene ulteriormente tra-sferito a Macerata Feltria.Sofferente di fegato e ne-cessitante di una dieta ade-guata, era stato raggiuntodalla moglie, che versavain povere condizioni eco-nomiche e dalla figlia di 5anni che avevano dovuto

presentare una richiesta di“convivenza volontaria”per poterlo assistere. Soloin questo caso e bontà sua,il questore di Roma diedeparere favorevole. Nel cor-so del 1941 verrà negatapiù volte però la revoca del-l’internamento, nonostan-te le pessime condizioni disalute e lo stato di assolu-ta indigenza del nucleo fa-miliare, costretto a viverecon un misero sussidio, to-talmente inadeguato ad unvita seppur misera. La fi-glia Ester di questa vicen-da porterà come conse-guenze gravi difetti alla vi-sta e una osteoporosi cheda molti anni la tormenta.E se ebbe salva la vita, almomento delle deportazio-ni, lo deve alla solidarietàcoraggiosa della signori-na Geltrude, presso la cuicasa, in quel di Cagli, il pa-dre la nascose.Ecco un piccolo ma signi-ficativo esempio delle “va-canze” del Cavalier BenitoMussolini che tanto piac-ciono all’on. presidente delConsiglio. a.p.

✔La “villeggiatura”di un ebreo antifascistaal confino di Mussolini

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Così, secondo Giovanni Belardelli,il rastrellamento nel ghetto di Romadel 16 ottobre del 1943, alle 5,30 delmattino, sarebbe stato “a lungo ri-mosso dalla sinistra”. Questo è infatti il titolo di un suo ar-ticolo in prima pagina del Corrieredella Sera, pubblicato il 16 ottobredel 2003, sessanta anni dopo quel-l’infame delitto. Belardelli scrive a vanvera e il quo-tidiano milanese titola con la stessacolposa disinvoltura. Nessuno chepensi di documentarsi, di controlla-re i fatti, tanto, quando si parla ma-le della sinistra, se ne può allegra-mente prescindere. Non conosciamol’età di Belardelli e non sappiamo senell’ottobre del ’43 era già nato. Il Corriere, invece, esisteva sulla piaz-za ed era tutto proteso, in quei gior-ni, ad esaltare il rinascente regimefascista di Salò. Sulla piazza, ma con

ben altri intenti, c’era anche l’Unità.Diffonderla allora era un serio ri-schio. Si poteva lasciarci la pelle. SeBelardelli, che, fra l’altro, ha l’ag-gravante di essere uno storico, si do-cumenta si accorgerà che questo èsuccesso. Inoltre se sia lui che ilCorriere si documentano scopriran-no che l’Unità, che sicuramente, qua-le organo del Pci, rappresentava lar-ga parte della sinistra, pubblicava il26 ottobre del ‘43, dunque a ridossodei fatti, un articolo intitolato “Inflittoa Roma l’oltraggio del pogrom”, men-tre il 7 dicembre del medesimo annone pubblicava un altro intitolato “Lepersecuzioni anti-ebraiche debbonoessere impedite”. Altro che rimozione. Nel secondo ar-ticolo si poteva leggere che “non sideve tollerare che si ripeta in Romal’orrendo misfatto di intere famiglieinnocenti smembrate e deportate a

morire di freddo e di fame chi sa do-ve. C’è un senso di solidarietà uma-na che non si può offendere impune-mente. Queste vittime infelici dellabestiale rabbia nazifascista debbo-no essere non solo soccorse perchési sottraggano alle ricerche e alla cat-tura, ma anche attivamente e corag-giosamente difese. I romani debbono aver chiaro che,difendendo i loro concittadini ebrei,essi difendono anche se stessi, le pro-prie famiglie, le proprie case”. Percontrastare gli orrendi crimini deinazisti e dei fascisti, loro servi, mol-ti uomini e donne della sinistra sonomorti sotto tortura in via Tasso, comeattesta anche lo splendido film diRossellini. Sappia almeno il Belardelli che seoggi può scrivere liberamente le suebugie lo deve soprattutto a loro.

i.p.

✔ Scrive del ghettoma parla a vanvera

I giardini di una zona sto-rica della città, l’Area del-la Villa Cagna, saranno de-dicati al nome di CalogeroMarrone, l’eroe morto nel1945, all’alba della libertà,nel campo di sterminio diDachau, dove era stato de-portato per aver aiutato,durante l’occupazione te-desca, ebrei e antifascisti.Marrone, capo dell’ufficioanagrafe del Comune diVarese, salvò le loro vite ri-

lasciando centinaia di do-cumenti di identità falsi.Tradito da un delatore, ven-ne arrestato e consegnatoalle SS.Il suo calvario iniziò nelcarcere di Varese, per fini-re, dopo drammatiche “so-ste” in altre galere e nel la-ger di Bolzano, a Dachauda dove non tornò.Triangolo Rosso, raccon-tando questa vicenda dram-matica, aveva proposto, già

dal settembre di tre anni fa,che Varese rendesse aMarrone l’onore che meri-tava, oltre alla targa giàcollocata nel luogo doveaveva operato. Seguironoaltri interventi e richieste,cominciando dai capi-gruppo dei Ds e di Rifon-dazione comunista inConsiglio comunale, percontinuare con una letterapubblica al sindaco Fu-magalli da Ibio Paolucci eFranco Giannantoni, au-tori del libro Un eroe di-menticato.Successivamente il proble-ma venne riproposto da duemozioni dell’opposizioneconsiliare.Finalmente la decisione.

Comunicandola, il vice sin-daco Puricelli non ha sa-puto rinunciare alla con-sueta e grottesca polemi-ca: la Giunta cioè – comeriporta il quotidiano loca-le – non aveva bisogno del-le “sollecitazioni strumen-tali delle opposizioni”. Erano passati “soltanto”anni di silenzio. Ma tant’è…

✔I giardini di un’area storica di Varese dedicati

a Calogero Marrone

Giorno per giorno

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Convenute da 15 paesi,per preservare il loro KZ

La riunione ha visto anco-ra una volta riunite le an-ziane ma combattive don-ne di Ravensbrück arrivateda una quindicina di paesidiversi: erano presenti lerappresentanze austriache,cèche, slovacche, tedesche,slovene, ungheresi, norve-gesi, romene, olandesi, bie-lorusse, russe, ucraine, spa-gnole, francesi e italiane.La rappresentanza dell’Italiaè ufficialmente costituita daBianca Paganini e da me,ma Bianca per motivi fa-miliari non è potuta que-st’anno intervenire. Bisogna precisare cheBelgio, Lussemburgo ePolonia non erano presen-ti a causa di problemi di sa-lute delle rappresentanti: sipuò osservare in propositoche la composizione delComitato, come forse staaccadendo anche in altriComitati, è forzosamentesoggetta ad un rinnovarsi

che vede affievolirsi il rap-porto diretto tra associa-zioni della deportazionerappresentate in esso (unarappresentanza per delega),sostituite da presenze indi-viduali, peraltro legittimee garanti dell’adesione agliscopi statutari nella misurain cui si tratti di ex depor-tate o familiari di esse: ilcambiamento in taluni ca-si non favorisce la conti-nuità del dialogo e la fer-mezza necessaria nei con-fronti soprattutto del di-battito in corso sulla stra-tegia di conservazione deiluoghi.In tale quadro, le prese diposizione del Comitato neiconfronti della trasforma-zione e dei tentativi di can-cellazione del campo tro-vano un’efficace vigilanzanella persona della presi-dente del Comitato inter-nazionale dott. AnnetteChalut, medico, deportataa Ravensbrück e a BergenBelsen e che ha messo lasua professione al serviziodelle ex deportate ai fini deiriconoscimenti di invaliditàe pensionistici, in Franciaperaltro molto più adegua-ti che in Italia.

Come salvaguardarela realtà storica e la vestigia del campo di Ravensbrück

Dal 15 al 20 maggio 2003 ha avuto luogo in Austria la riunione annuale del Comitatointernazionale di Ravensbrück, che “ha comescopo assicurare la salvaguardia e l’integritàstorica delle vestigia e del memoriale dell’anticocampo di concentramento nazista delle donne e degli edifici esterni al campo, sede deicomandanti, di perpetuare il ricordo delle personeche vi sono state detenute e vi sono morte,di vigilare nella difesa dei diritti morali e materialidei sopravvissuti e delle famiglie dei morti,di assicurare i legami di amicizia tra di essi,di informare le nuove generazioni e di contribuireal mantenimento della pace” (art. 2 dello Statuto)

L’autostrada chedi Giovanna Massariello

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Conservazione e pianificazionedell’assetto dei luoghi

La conservazione del cam-po di Ravensbrück presen-ta particolari problemi le-gati a diversi fattori: l’e-stensione del territorio delcampo all’interno del qua-le erano presenti anche leofficine della Siemens, lapresenza (bene attestata darecenti reperti acquisiti concampagne di scavo pro-mosse inizialmente da gio-vani femministe tedescheche hanno anche ritrovatobarattoli del famigeratoZyklon B) della sezione delcampo nota alle detenutecome JugendLager (lagerdella gioventù) ed ora piùcomunemente designatocon il toponimo di Ucker-mark, area destinata piùpropriamente allo stermi-nio delle malate gravi e ina-bili al lavoro.Inoltre la prolungata pre-senza delle truppe sovieti-che (sino al 1994) sul ter-ritorio del lager stesso, ha

posto soltanto in tempi re-lativamente recenti i pro-blemi di nuovo assetto del-l’area dal punto di vista del-la visitabilità e della frui-zione museale: cospicui la-vori di bonifica sono statiaffrontati poiché sono sta-te ritrovate centinaia di ci-sterne interrate che veni-vano impiegate per il de-posito del carburante daparte sovietica (bonifica fi-nanziata dal governo fede-rale). Il dibattito perciò ègià da anni incentrato sulrapporto tra le modalità diconservazione o trasfor-mazione dell’esistente esull’attività culturale e diricerca promossa dalla di-rezione. Per completare ilquadro va precisato che ilMemorial di Ravensbrückrientra sotto la tutela dellaFondazione dei memoria-li del Brandeburgo, insiemeal campo di Sachsenhausen. Risente pertanto della mag-giore disponibilità a con-cedere mezzi finanziari aquest’ultimo campo, ancheper via della composizio-ne della direzione nellaquale nessuna ex deporta-ta di Ravensbrück è rap-presentata.

La relazione della professoressa S. Jacobeit

L’incontro si è aperto con larelazione della direttrice delMuseo prof. S. Jacobeit cheriferisce delle celebrazioniper la festa di liberazione(30 aprile) e traccia il profilodelle iniziative in corso: av-valendosi anche di giovanitedeschi che effettuano ilservizio civile prendono for-ma programmi pedagogici.Tesi di laurea e di dottorato,discusse poi all’Università diBerlino, sono state compiuteo sono in corso relativa-mente alla architettura delcampo, alla produzione tes-sile delle detenute, alla li-berazione delle slovene, alcensimento di sottocampi ocampi esterni in dipenden-za dal campo stesso. Suscita molto dibattito l’i-niziativa che ha coinvoltouna Aufseherin, intervista-ta nel corso di un semina-rio. Appuriamo che le giustifi-cazioni addotte alla sua scel-

ta di arruolarsi, consistette-ro all’epoca della gioventùin un desiderio di sottrarsial giogo familiare e di “ve-dere il mondo” (testuali pa-role). Le deportate osservano co-me possa essere pericolosodar voce a persone che nonmostrano una pur minimaautocritica nei confronti del-la propria biografia e delpassato e come presso i gio-vani possa essere disorien-tante mettere sotto un uni-co segno la memoria dellevittime e degli oppressori. Qualche perplessità è su-scitata anche dalla mostraallestita sulle stesse Auf-seherinnen, ci sono state an-che esposizioni dedicate aidisegni degli studenti diLidice e alle donne cristia-ne nella resistenza.La prof. Jakobeit comunicainoltre che l’avvenuto re-stauro di un edificio prossi-mo al lager è diventato unaforesteria che può offrireospitalità ai giovani che sirechino in visita al lager, perseminari didattici: ci sem-bra una notizia da segnala-re per gli insegnanti che in-tendano organizzare viaggicon i loro studenti.

distrugge la memoria

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I problemi aperti concernono:

■la sistemazione del-le celle dell’anticobunker in cui già a

partire dall’occupazione so-vietica ogni paese ha realiz-zato, nelle forme culturaliproprie, l’allestimento delpiccolo spazio autogestito amemoria delle proprie de-portate. Come è noto, la celladell’Italia, nell’allestimentodello studio dell’architettoBelgioioso, contiene la la-pide, rinnovata nella lista deinomi, delle donne morte aRavensbrück. Fu riinaugu-rata alla presenza di Violanteche in quella sede promiseil finanziamento dei viaggidella memoria destinati agliscolari italiani (1997).

■L’affermarsi di nuo-ve nazionalità hafatto sì che giun-

gessero da diversi paesi(Ucraina, Repubblica Cecaseparata dalla Slovacchia eGermania stessa per sotto-lineare la presenza di unacomponente antinazista rap-presentata dalle detenute te-desche ecc.) nuove richiestedi spazi espositivi che ilComitato non riesce ad ot-tenere per ottemperare ai de-sideri espressi. Più pericolosamente si è av-viato un processo di “revi-sionismo museale” che èproteso a cancellare gli sto-rici allestimenti, reputandolisuperati e legati a un mo-mento politico troppo “so-vietizzato”.

■Vi è stato un tenta-tivo di cancellare leesposizioni perma-

nenti, valorizzando inveceesposizioni tematiche e con-tingenti: il Comitato si è co-stantemente espresso per ilmantenimento della struttu-ra attuale, con la prospettivadi assegnare spazi ancora di-sponibili ai paesi che ne so-no in attesa.

■Sarà sempre possi-bile contestualizza-re i vecchi allesti-

menti, con indicazioni rigo-rosamente storiche che spie-ghino l’articolazione in nuo-ve nazionalità dei paesi inprecedenza rappresentatiunitariamente(Cecoslovacchia, Jugoslavia,Unione Sovietica). Inoltre ilbunker dovrà contenere sol-tanto mostre specializzatededicate alle punizioni chequi ebbero luogo.

■Per la visitabilità delcampo che si offreal visitatore come

una plaga sterminata e vuo-ta (gli unici edifici sono ilbunker, il crematorio e l’e-dificio del comando, adibi-to a Museo), sono da ap-prontare percorsi guidati conmateriali didattici plurilin-gui e soprattutto l’installa-zione, come da tempo ri-

chiesto, di una baracca consignificato di prototipo; ap-pare ottimo l’esempio diMauthausen che ha provve-duto a segnalare con terra-pieni numerati il perimetrodei diversi Block, anche lad-dove non sono state ricollo-cate baracche. Il dibattito sulla baracca(peraltro reperita da un pri-vato cittadino) da ricollo-care nel campo si protraeda troppo tempo e i verba-li della Fondazione Bran-deburghese rivelano l’a-strazione del dibattito su unpiano filologico (la barac-ca non avrà la stessa atmo-sfera di quella originaria!)a fronte della necessità dipoter illustrare ai giovaniche cosa fosse una baraccadi prigionia!

■Altrettanti proble-mi pone l’areaSiemens e soprat-

tutto quella dello Jugend-Lager.Un percorso di visita è sta-to tracciato con pannelli il-lustrativi, ma sono perfinotroppo analitici per il visi-tatore e soprattutto non si ètenuto conto della necessitàdi tradurre in più lingue lespiegazioni fornite.

La relazione della presidente Annette Chalut e il dibattitoLa relazione della presidente e il complesso dibattitointernazionale che ne è seguito ha riportato sui temicentrali dell’incontro: la pianificazione relativa all’as-setto del campo e delle sue strutture, processo di rifles-sione che ha una storia recente e cioè a partire dal 1997

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Notizie dal Comitato internazionale di Ravensbrück

Un’autostradaminaccia l’integrità del campo

Il problema tuttavia più gra-ve che angustia le donne diRavensbrück è la vicendatuttora non risolta della co-struzione di un’autostradail cui tracciato originario aben otto corsie avrebbe mi-nacciato l’integrità del cam-po: sensibili proteste inter-nazionali, con l’interventoanche del nostro presiden-te Maris hanno ottenuto ilrigetto dei piani di costru-zione dell’autostrada.Tuttavia, resta il pericolo diun tracciato che auspicatodagli abitanti del paese diFürstenberg, l’unico paeseprospiciente il campo, pas-si attraverso il complessoRavensbrück - Fürstenberg.Rassicurato dalle autoritàdel Land, il Comitato in-contra ancora l’opposizio-ne di un’associazione co-stituita dagli abitanti diFürstenberg, che adducemotivi di convenienza so-ciale e di sviluppo econo-mico alla sua preferenza per

assunte dal Comitato inter-nazionale, unico organo rap-presentativo.Difficoltà di comunicazio-ne e di ascolto si sono veri-ficate anche con il presi-dente della fondazione deiMemoriali Brandeburghesidott. Morsch.Altrettanto preoccupante lanotizia della vendita delCastello di Lichtenburg de-stinato ad attività turistiche.Soltanto un compromessopotrà far sì che un’ala delcastello venga conservata afutura memoria del luogo, incui furono già trasportatiprigionieri nel 1933 e ovefu operativo un vero KZ! Edi lì partì il primo traspor-to per Ravensbrück nel1938.Alla fine del convegno, do-po la presentazione delle re-lazioni di attività dei sin-goli paesi sul tema della de-portazione sono state sta-bilite le sedi dei prossimiincontri: Lidice per il 2004e Ravensbrück per il 2005.Lidice è il centro boemobarbaramente distrutto perrappresaglia nazista nel1942.

Giovanna Massariello

la variante stradale che en-trerebbe nello spazio del-l’antico campo di stermi-nio. Le organizzazioni eco-logiste sostengono i moti-vi del Comitato.In sede di Comitato è statocomunque denunciato il ten-tativo di appellarsi singo-larmente alle deportate perottenere consenso indipen-dentemente dalle posizioni

La pianta del campo di sterminio di Ravensbrück ai tempi in cui era in funzione. Il progetto diun’autostrada minaccial’integrità del campo.

Le donne

che combattono

l’oblio

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L’incontro con la signora Noemi mi ha molto colpito.Ho provato molta angoscia e soprattutto tristezza.Ho detto alle mie compagne che se io fossi stata alposto di Noemi, non sarei riuscita a sopravvivere, in-tendo mentalmente, e soprattutto non riuscirei ascavare nella memoria per raccontare alla gentequei fatti. Trovo che la signora Noemi sia una don-na molto forte e anche un po’ speciale, e l’ammiroper essere riuscita a tornare ad una vita normale.Spero che l’incontro sia stato piacevole anche perlei, come per me.

Maria De Muri

L’ammiro. Ha saputo tornare alla vita

Ho provato molta pena perché incarcerata e mal-trattata; quando è stata catturata dai nazifascisti ave-va solamente 13-14 anni e veniva imprigionata per-ché parlasse e dicesse dove era il suo fratello parti-giano. Poi mi ha dato una strana sensazione quandoha detto che non avevano più un nome ma un nume-ro che dovevano dire in tedesco.

Manuel Reghellin

È terribile esseresoltanto un numero

A me ha fatto molta impressione sapere cosa face-vano i nazifascisti nei lager, senza nessuna pietà.Erano tutte cose che non pensavo fossero possibili.

Walter Bergamaschi

L’incontro con la signora Noemi mi ha colpito mol-to e la cosa che mi ha dato più dispiacere era la cru-deltà che usavano i soldati contro di lei e contro la suafamiglia. Tutto questo per il potere pensando di esseresuperiori. Penso di essere molto fortunato perché nonho vissuto la sua esperienza.

Francesco Centomo

Non riesco a capire perché alla signora Noemi sonoaccadute delle cose simili. E non capisco perché haperdonato il responsabile della rovina della sua esi-stenza!

Bruno Baston

Dove non c’eranessuna pietà

Nel 1944, il 30 novembre, Noemi Pianegondacompiva 14 anni. Da una decina di giorni eranelle mani dei fascisti, che l’avevano rinchiu-sa provvisoriamente in un istituto perché la di-rezione del carcere si era rifiutata di accoglierlaa causa della sua giovanissima età. Un’età chenon aveva comunque impedito di incarcerarla– proprio il giorno del suo compleanno – insiemealle due sorelle e alla madre. Da quest’ultima,in particolare, volevano informazioni sul fi-glio partigiano. La sconvolgente vicenda è stata rievocata dal-la stessa Noemi Pianegonda, in una scuola me-dia di Schio, la terza C.Ecco le impressioni raccolte tra gli studenti.

LA STORIA RACCONTATA E COMMENTATA IN UN INCONTRO

Picchiavano la mammadavanti a noi:“Dov’è nascostotuo figlio partigiano?”

I nostriragazzi

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I campi di concentramento: la testimonianzaera a dir poco agghiacciante! E poi, essere tol-ti dalla famiglia all’età di 14 anni deve esse-re terribile!Devo dire che quest’incontro è stato interes-sante e produttivo. Secondo me è come un do-cumento autentico di quegli anni. Penso chequelle cose non debbano mai essere dimen-ticate, ma anzi ricordate: quella gente che èmorta era come noi e quindi poteva capitareanche a noi la stessa cosa. Ringrazio la si-gnora che è venuta a parlarci e a renderci te-stimonianza su questo argomento.

Andrea Reghellin

Tutti quei mortierano come noi

Il momento che mi ha colpito di più è stato quello in cuiraccontava il giorno in cui lei e le sue sorelle, con lamadre, vennero interrogate per sapere dov’era il fratel-lo. Ma non sapendo non risposero e così presero la ma-dre, la spogliarono di tutto, la legarono su un tavolo e lesi accanirono contro in cinque. La picchiarono e la fru-starono davanti alle figlie.Un’altra cosa che mi ha colpito è stata la solidarietà

che c’era in particolare fra il professore dell’Universitàdi Padova e la ragazza. Il fatto che lui non volesse chela ragazzina dimenticasse le cose studiate. Penso chequesta sia stata un’esperienza veramente terribile, mache rimarrà per sempre nel cuore della signora Noemie anche di qualsiasi altra persona che l’abbia vissuta.

Erica Cortina

Resta un ricordoscolpito nei cuori

CON I GIOVANI DI UNA TERZA MEDIA DI SCHIO (VICENZA)

È stata una bella esperienza:mi ha insegnato cosa signifi-ca essere strappati dalla fa-miglia, dalla casa, essere mal-trattati, avere fame e sete e an-che avere sete di vendetta, cheperò non potrà mai compier-si contro una grande forza co-me le SS che potevano tutto.Ma dopo tutto questo si deveessere molto bravi per riusci-re a ridere, eppure la signoraNoemi riesce a ridere e a di-menticare perché in fondo èstata fortunatissima a uscireda questo orrore.

Giulio Losco

Il tragico strappoda casa e famiglia Un giorno, nel carcere di

Rovereto, Noemi e le sorelle so-no state messe a confronto percostringerle a dare informazio-ni sul fratello partigiano. E perfarle parlare hanno picchiato lamadre davanti a loro. Il 31 gen-naio 1945, a mezzogiorno, aRovereto c’è stato un bombar-damento che ha colpito le carce-ri. Per fortuna la mamma diNoemi era rimasta viva. Il 12 gen-naio il fratello era stato traditoe consegnato per un compenso indenaro. Noemi è finita a Bolzano,nel campo di concentramento.Erano in quattromila. Non si so-no lavati per mesi e mesi. Si al-zavano alle cinque del mattino eandavano nel piazzale d’appel-lo dove rimanevano in piedi mol-to a lungo.

Francesca VeronicaBoasiako (Ghana)

Coinvolte le due sorelle

La storia della signora Noemi mi haimpressionato quando racconta didue fascisti che sono andati a scuo-la a prenderla per portarla in pri-gione. La sua insegnante gli ha det-to: “Andate da sua mamma e chie-detele se potete portarla via.” Allorasono andati a casa di sua mamma ele hanno “chiesto” di portare via lafiglia puntandole la pistola addos-so. La mamma non poteva dire dino, altrimenti la uccidevano.

Luca Faccio

“Vogliamo tua figlia”e spianarono le armi

Un’immagine del tempo rievocatoai ragazzi dellaterza C: un gruppodi partigiane salutamilitarmente ilcomandante di unabrigata Garibaldi in Friuli

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Caro Osvaldo,quando la professoressa ci ha annunciato questo tema,io ho pensato subito a lei come destinatario a cui par-lare della gita, mi sembrava la persona più adatta. Inoltrevolevo complimentarmi, è in gamba e la ammiro molto,perché ci sono pochi alla sua età (almeno immagino glianni che può avere) così in forma, energici e con tantavoglia di raccontare le brutte esperienze capitate, an-che se riviverle la faranno stare male, posso capirlo. Edè per questo che voglio ringraziarla scrivendole.È inutile però raccontarle quello che ho fatto giorno pergiorno, in tal caso, questa lettera diventerebbe troppo noio-sa, quindi preferisco puntare soprattutto su ciò che mi hapiù colpito: il campo di Mauthausen. È proprio vero chefinché non vedi una cosa non ci credi. Almeno, io hosempre pensato che esistessero i campi, ma c’era moltadifferenza tra pensarlo, sentirne parlare e vederli. Nessunaparte mi ha colpito più di altre, tutto il campo è indi-menticabile. E questo è anche grazie a lei. Infatti con lesue spiegazioni e testimonianze, la visita è stata ancorapiù interessante e impressionante.A mio parere, però, almeno una baracca, potevano la-sciarla com’era, cioè con i letti a castello poco distanti

tra loro così com’erano nella realtà. Se non c’era lei aspiegarci che quegli armadietti e quei bei tavoli di le-gno non erano presenti nelle camerate dei deportati, noipotevamo benissimo pensare che non era poi così maledormire in quelle baracche. Se devo essere sincera mi hacolpito particolarmente il fatto che persone costruisco-no le loro villette su un territorio in cui si svolgeva un cam-po di concentramento, così come è accaduto a Gusen.Questi campi devono assolutamente rimanere, perché ilfuturo, quando persone come lei che possono testimoniarenon ci saranno più, i bambini e i ragazzi della nostraetà dove le trovano queste testimonianze? Non bastanocerto i libri di storia.Infine, volevo ringraziarla, per il suo commovente e bel-lissimo discorso al termine della gita. Noi giovani nondobbiamo farci prendere da odi o rifiuti verso personediverse da noi; nessuno di noi probabilmente, o almenospero, diventerà naziskin, ma ci capiteranno situazioni,nelle quali penseremo alle sue parole e a tutte quellepersone che sono morte a causa di un’ideologia razzi-sta.Grazie ancora e saluti da una sua grande fan

Giada S.

Almeno una baracca doveva restare com’era

IL VIAGGIO-STUDIO DELLE SCUOLE MEDIE DI PIANGIPANE

Dimenticare mai:perché l’orrore di Mauthausen non si ripeta

I nostriragazzi

Osvaldo Corazza, scampato allo sterminionei campi nazisti e attuale presidente dellasezione Aned di Bologna, ci invia le im-pressioni di alcuni ragazzi delle scuole me-die di Piangipane (Istituto comprensivo diMezzano di Ravenna), a conclusione di unviaggio-studio al campo di Mauthausen eal campo di Gusen.

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Caro Osvaldo,le cose che lei ci ha raccontato mi hanno colpito moltoe non credo che dimenticherò facilmente questi giorni.Lei ha parlato di libertà, di razzismo, di ideali. Nonostantesiano passati diversi giorni dalla gita sto ancora riflet-tendo sulle sue parole e, anche se sembra sciocco, qual-che volta mi commuovo.Lei ha detto di essere solo un povero vecchio ed è perquesto che non siamo obbligati ad ascoltarlo, ma se-condo me non è così, spesso gli anziani vengono emar-ginati e guardati con una sorta di compatimento, ma alcontrario bisognerebbe passare più tempo con loro, da-to che certe cose le hanno provate in prima persona. Se fosse data più considerazione ai vecchi che, nel belmezzo della loro vita sono stati deportati durante laseconda guerra mondiale o hanno lottato per i loroideali e sofferto per essi, forse si imparerebbe a odia-re di meno.Tra i giovani è comune il tema del razzismo. Sessan-taquattro anni fa questo ha scatenato un’inutile strage.Inoltre i tedeschi prima di uccidere i prigionieri li face-vano soffrire per mesi, anni.Eppure lei, Osvaldo, quando ci ha raccontato queste co-se non si esprimeva con odio, e questo le fa onore.

Mauthausen esprime molto bene la crudeltà che c’era neiconfronti dei deportati. Tra le cose del campo alcune mi hanno colpito in modoparticolare: la scala della morte, e non riesco neanchea immaginare come dei poveretti ormai stremati, riu-scissero a percorrerla con dei massi sulla schiena; e illuogo dove è avvenuto il tentativo di fuga, sicuramentequelle persone sapevano che sarebbero morte, ma han-no tentato il tutto per la libertà, una cosa che non può es-sere tolta ad un uomo.Lei si è saputo esprimere molto bene, meglio di comeavrebbe potuto fare una qualsiasi guida o le nostre pro-fessoresse.Inoltre ha detto di non dimenticare per non ripetere quel-la situazione e così ha fatto lei, che ha visto centinaia dipersone morire. Ma la gente sembra infischiarsene costruendo villettesopra un posto dove migliaia di persone uguali a loro,e sottolineo l’importanza di questa parola, sono morte.L’Aned è riuscita a salvare una piccola parte del cam-po di Gusen e questa è una cosa molto bella, soprattut-to per noi giovani che non dobbiamo crescere ignoran-do certe cose… Grazie!

Chiara

Parla l’ex deportato. Che lezione di storia!

Caro diario,poco fa ho ascoltato una canzone di Ligabue il cui testoinizia dicendo “Certe notti la strada non conta, quelloche conta è sentire che vai”. Queste parole mi hannofatto tornare in mente ai giorni prima della gita scola-stica. Allora pensavo che i tre giorni in Austria sarebberostati solo un modo per stare di più con i miei amici e di-vertirmi con loro; in realtà sono stati molto di più, per-ché ho visto e sentito cose che non voglio dimenticare mai.(…)Al contrario del Castello di Hellbrunn, i luoghi visitativenerdì mi hanno colpita molto: erano i campi diMauthausen e Gusen. La mattina, appena svegli, ci sia-mo subito recati nel primo campo, l’atmosfera era cupa,il cielo scuro e la vista dell’interno ancora più triste,tutto sembrava volesse ricordare la sofferenza provatain quel luogo a causa di persone come noi che hanno di-strutto milioni di vite solo per razzismo.Dopo mangiato siamo andati anche a Gusen. Al con-trario di quello che mi aspettavo, il campo era pratica-mente scomparso e al suo posto sorgevano belle e ricchevillette. Ma come si può vivere sul terreno bagnato dalsangue di migliaia di innocenti? È come se si volessedimenticare tutto, lasciarsi tutto alle spalle, questo perònon lo trovo affatto giusto, perché il ricordo è l’unicacosa che le vittime del tentato genocidio ci possono la-

sciare, quindi dobbiamo mantenerlo vivo, perché nonaccada mai più una cosa simile.Unico resto del campo è il forno crematorio attorno alquale l’Aned di Milano e Bologna hanno fatto costrui-re un monumento. Qui il signor Osvaldo Corazza, nostraguida ed ex detenuto a Mauthausen e Gusen, ha parla-to della sua esperienza e ci ha detto che tutte le volte cheloro dell’Associazione ex deportati si recano in quel po-sto dedicano un minuto di silenzio alle persone mortelì. Noi abbiamo fatto lo stesso. Questi pochi momentisono stati quelli che più mi hanno emozionata e anchese esteriormente ero semplicemente ferma e zitta, den-tro stavo piangendo pensando a quello che era succes-so.Il giorno seguente siamo andati a Salisburgo e poi si èpartiti per il ritorno. Tornare mi è dispiaciuto moltissi-mo perché in quei pochi giorni sono stata bene anchecon i compagni diversi dal solito e con le professoresse.Ho parlato e scherzato con tutti, in pullman abbiamocantato. Pensare che questa è stata l’ultima gita conquei “pazzi scatenati” dei miei compagni mi dà unastretta al cuore.Di ricordi questi giorni me ne hanno lasciati tanti, oraè compito mio e tuo, caro diario, non farli sparire dallamente. Ora ti saluto, alla prossima.

Francesca C.

Quelle villette nate dove “abitava” lo sterminio

(RAVENNA) AI CAMPI DI MAUTHAUSEN E GUSEN

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La solidarietà al centro della testimonianza di Giovanni Tucci. In quella diMichele Montagano, la divisione tra il padre e figlio a causa della guerra

L’iniziativa è stata curata daun gruppo di docenti (M. G.Armento, M. Di Bernardo,V. Di Zinno, A. Ferritti, F.Lemme, F. Lombardi, L.Notarangelo, F. Rinaldi, L.Vitiello), già impegnati daanni sul tema della Memoria,stimolando e incoraggiandoricerca e dibattito, a voltenon senza difficoltà.Ma l’incontro tra studenti edex deportati (tutti di Cam-pobasso), nonostante chel’aula magna non fosse gre-mita di studenti e che nontutti gli insegnanti fosseropresenti, ha suscitato attesa,che si è trasformata in viva

attenzione mentre il raccontosi sviluppava.“I giovani” – ha scritto laprofessoressa Vitiello – “sisono resi conto di aver in-terrogato e interpretato le‘fonti’ e ne hanno parlato aicompagni che non erano in-tervenuti, alle famiglie, traloro. Anche la scheda di ri-flessione sull’esperienza haconfermato le prime im-

pressioni raccolte a caldodai docenti; e lo stesso sug-geriscono le interessanti va-lutazioni espresse nel brevesaggio proposto come veri-fica al termine del ‘percorso’della Memoria”.L’incontro si è aperto con latestimonianza di Tucci, clas-se 1923, partito come sol-dato semplice per la Grecia,attaccata durante la guerra

mondiale scatenata dal na-zifascismo. Dopo l’8 set-tembre 1943, all’indomanidell’armistizio, venne cat-turato e deportato dai tede-schi non lontano da Aus-chwitz a lavorare in minie-ra.“Della sua vicenda” – hascritto ancora Lucia Vitello– “sono stati focalizzatiaspetti e momenti significa-tivi come ad esempio, la pro-va di solidarietà di un com-militone, che scambia il suopastrano con un tozzo di pa-

“Dovevano esserci telecamere e registratori, perfar sì che queste testimonianze potessero restarefonte di ulteriori approfondimenti col passare de-gli anni.” Il parere di Marco, della classe V ginnasiodel liceo F. D’Ovidio di Larino (CB) è la sintesidell’interesse suscitato tra gli studenti dalle testi-monianze di due ex detenuti nei campi di con-centramento, Giovanni Tucci e Michele Montagano.

“ODIO E RANCORE NON PAREGGIANO I CONTI”: UNA LEZIONE

“Questo era il lager”.Al liceo di Larinoi ricordi dei deportati

I nostriragazzi

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DI VITA IN UN LICEO IN PROVINCIA DI CAMPOBASSO

ne con cui rifocillare l’ami-co Tucci dopo l’amputazio-ne di un dito per un incidentein miniera. Oppure il ritornoa casa: l’arrivo a Termoli, larichiesta di aiuto ad uno sco-nosciuto per raggiungereCampobasso, la preoccupa-zione di attenuare per i fa-miliari l’impatto del ricon-giungimento inatteso. Tuttonarrato senza enfasi, in to-no quasi dimesso, con latranquillità di chi è riuscitoad esorcizzare le paure delpassato, ma anche con la de-terminazione di offrire il suopersonale contributo perchéi giovani riflettano.”“Autentico dramma fami-liare quello che invece haconnotato la vicenda Mon-tagano, classe 1921, volon-tario universitario, detenu-

to come Imi (internato mi-litare italiano), da Thorn aCzestochova, a Sieldce, dadove raggiunge Biala Podistaper incontrare il padre lì in-ternato. Tragico destino quel-lo di un padre e di un figliodivisi dalla guerra, poi riunitie ancora divisi nel momen-to in cui il padre decide, perragioni familiari, di aderirealla Repubblica sociale ita-liana e torna in Italia, men-tre il figlio, trasferito aSandbostel e poi a Witzen-

dorf, mette in atto una resi-stenza di fatto, rifiutandosi,insieme ad altri ufficiali, dilavorare per i tedeschi.Rischia di essere passato perle armi, viene condannatoall’ergastolo e avviato al-l’inferno di Unterluss, da do-ve ripartirà nel momento incui il comando tedesco or-dina di cancellare ogni trac-cia del campo, come ‘libe-ro lavoratore’”.“La narrazione, asciutta, di-staccata, a tratti ironica, haconquistato l’uditorio, an-che perché suffragata da ri-ferimenti topografici preci-si e dal continuo intersecar-

si della storia personale conquella dei grandi eventi. Glistudenti hanno riflettuto ecompreso pienamente il si-gnificato della particolareforma di resistenza oppostada Montavano al nemico”.“Merito indubbio dei testi-moni” – conclude LuciaVitiello – “è stato l’aver tro-vato il canale giusto per illoro messaggio. Si sono aste-nuti da forzature enfaticheed anatemi: hanno lasciatoche i fatti parlassero nellaloro tragica evidenza. Mahanno anche proclamato achiare lettere che l’odio e ilrancore non pagano né pa-reggiano i conti: un’auten-tica lezione di vita.”

Ecco, a conclusione dell’incontro, alcune riflessioni de-gli studenti.

Subito dopo aver sentito il racconto della Resistenza hochiuso gli occhi e ho immaginato la cruda realtà di unamorte annunciata. (Francesca, I B)

Ricordare la storia serve a difenderci. (Francesco, I B)

I testimoni, nel narrare la loro esperienza, sdrammatiz-zavano con molta ironia, soprattutto nei punti più scon-volgenti. (Michele, V ginnasio)

I due reduci sono della nostra stessa regione, quindi co-noscono la situazione di questa parte d’Italia.

(M. Antonietta, V ginnasio)

I due ospiti hanno vissuto queste esperienze da giova-nissimi, quindi sanno come potremmo sentirci noi.

(Anna, II A)

I due testimoni hanno mostrato grande forza d’animo ehanno arricchito il loro racconto con documenti, alcu-ni dei quali molto toccanti. (Luca, V A)

C’è stata grande partecipazione da parte di studenti e pro-fessori, perché hanno trasmesso emozioni.

(Giovanna, IV ginnasio)

Hanno parlato in modo semplice e diretto, con piccoli fla-sh efficaci. (Nicola, II B)

Studiare questo capitolo della storia senza sentire i su-perstiti è come imparare una regoletta a memoria sen-za capirne il senso. È bene affrontare anche nel bienniocerte problematiche, perché una cosa imparata da gio-vani non si dimentica.

(Matteo, V ginnasio)

“Non è possibile capiresenza ascoltare i superstiti”

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Ancora una volta la sezione dell’Aned di Schio (Vicenza) ha orga-nizzato un viaggio di conoscenza nei campi di sterminio. “Abbiamovisitato – informa la presidente Gianna Zanon – Flossenbürg,Mauthausen e Gusen. Con noi c’erano gli studenti di vari istituti, ac-compagnati da due insegnanti e il preside, che è anche il vice sinda-co”. E, come in altre occasioni, Gianna ha chiesto ai ragazzi di scri-vere le loro impressioni.

SCHIO – CRONACHE DEL VIAGGIO ORGANIZZATO DALL’ANED

È stato come toccare con mano l’annientamento dell’uomo

Con i piedi tocco una terrache ha assorbito sangue e lacrime.Respiro aria che ha sfiorato orrori.La mia anima grida per tutti i silenzi racchiusi.

No.No.No.

Vorrei rubare lo sdegno di chi ha vistotogliere il dolore di chi ha soffertomettere il giusto nell’ingiustizia.Eppure tocco ancora questa terra enon vedo umanità, ma uomini impauriti.Sento piangere anche i colpevoli.Gli eventi che non ho visto sono ancora lìe i muri raccontano ancora il loro orrore.

Per questo sento.Per questo sentiamo.Per questo non dimentichiamo.

Ringrazio tutti con tutto il cuorePer quello che mi hanno permesso di vederedi sentire, di imparare.

Federica Cogo

La mia anima grida

Il viaggio affrontato con lo scopo di visitare i luo-ghi dello sterminio nazista è stato molto intenso,poiché la parola “interessante” mi sembrava fuoriluogo. I sentimenti, che ho provato visitando queiluoghi, mi sono rimasti impressi nella memoria enell’anima come una fotografia indelebile.Le emozioni che traspaiono da quelli enormi portalidi pietra nera e grigia, sormontati dal filo spinato,non sono nemmeno lontanamente descrivibili; su-scitano un misto di incredibilità, orrore e desola-zione mentre alla fine rimane soltanto un senso di fru-strazione, e di impotenza di fronte ai genocidi com-piuti nel nome dell’intolleranza razziale e della clau-strofobica e scellerata razza “ariana”.Mauthausen, Flossenbürg e Gusen sono solo i ver-tici di una tragedia che ha coinvolto l’intera Europae che è costata milioni di vite umane per motivi po-litici, sociali, razziali e religiosi. Tra essi ricordo inostri concittadini e fratelli che sono stati inghiot-titi dal vortice di morte che è stato l’antisemitismo.La mia speranza sta nel fatto che le nuove genera-zioni sviluppino un nuovo senso di giustizia e di le-galità. Questa sarà la chiave per rendere unital’Europa e l’Ue da essa rappresentata. Solo così si potrà creare un vero sentimento di pa-ce e di giustizia che condurrà man mano alla co-scienza di cittadini europei, con un sentimento difratellanza e di unione tra i popoli.

Luca Anzolin

La scelta sciaguratadella “razza ariana”

I nostriragazzi

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IN TRE LAGER: FLOSSENBÜRG, MAUTHAUSEN E GUSEN.

È stato molto importante per me aver partecipato aquesto viaggio. Davvero, un conto è sentir parlaredel campi di concentramento, vedere documentari,ma quando mi sono trovata lì, nelle baracche, nel-le camere a gas, nelle stanze adibite alla vivisezio-ne... solo allora ho potuto comprendere in profon-dità quale sciagura, ahimè, hanno subito decine dimigliaia di persone nel campo di Mauthausen.Durante la visita sono stata sopraffatta da un in-sieme di emozioni: sgomento, orrore, angoscia, maallo stesso tempo pietà, commozione e solidarietà perle vittime.

Determinante è stato il fatto di aver avuto ottimeguide, le migliori in assoluto: compagne di viaggioche hanno vissuto in prima persona o tramite i lorocari quella terribile sciagura della fabbrica dellamorte. Con i loro sguardi velati, con le loro guancesolcate da amare lacrime, con i loro volti scolpitida rughe di decenni di tristezza, e forse ancora di pau-ra, con le loro parole mi hanno raccontato storie divite lacerate da odi inconsulti. Ogni particolare fa-ceva tornare alla memoria precisi momenti di queiterribili mesi.

Non so... mi viene molto difficile esprimere con pa-role ciò che ho provato in quegli istanti. Ho il timo-re che le mie parole svalorizzino l’esperienza. Queimomenti “brutti”, devastanti - ma anche belli, per-ché hanno messo in sintonia quella generazione conla mia - hanno lasciato un solco nella mia mente, omeglio nel mio cuore.All’uscita dal campo mi si proponevano incessan-temente alcune domande: Perché è successo tuttociò? Perché tanto orrore? Perché tanto odio? Perchéentro quelle mura migliaia di persone furono pri-vate della vita... solamente “per capriccio”? Perchétutta quella carneficina?” Le risposte? Non le hoancora trovate.

Ancora oggi, a distanza di alcune settimane, nellamia mente riaffiorano immagini di scene strazianti etragiche. Aver conosciuto e compreso tanto orroremi ha turbato. Però mi ha fatto crescere: la vita diogni persona deve essere rispettata sempre e ovunque.

Un particolare ringraziamento all’Amministrazionecomunale che mi ha dato la possibilità di vivere que-sta esperienza. Un affettuoso abbraccio alle signo-re Gianna, Noemi e Wallì, compagne di viaggio chesi sono prodigate nel dare risposta ai miei interro-gativi e tormenti: sono state testimoni preziose euniche.

Chiara Vigolo

“Sono molto turbatama anche più matura”

Voi che vivete sicuriNelle vostre tiepide case,Voi che trovate tornando a seraIl cibo caldo e visi amici:Considerate se questo è un uomoChe lavora nel fangoChe non conosce paceChe lotta per mezzo paneChe muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna,Senza capelli e senza nomeSenza più forza di ricordareVuoti gli occhi e freddo il ventreCome una rana d’inverno.Meditate, che questo è stato.

I vostri nati toccano il viso da voi

Primo Levi – Da “Se questo è un uomo”

Da sempre ho immaginato i luoghi dove sono natiquesti versi, scaturiti dall’animo di un uomo che hain prima persona sperimentato il male che gli uomi-ni sono capaci di fare. Chi è sopravvissuto aMauthausen o a Flossenbürg non può di certo di-menticare.

È difficile per noi giovani che abbiamo tutto a no-stra disposizione, casa, amici, fermarci a pensare co-sa sia stato il dramma dell’olocausto: fortunata-mente viviamo in tempi di pace. Tuttavia bisogna non dimenticare questa catastro-fe: i versi di Levi ci aiutano ma la visione direttadei campi è un’esperienza che mi ha permesso dicapire veramente cosa volesse dire passare una gior-nata là, nei campi, percorrere la scalinata dellamorte, vivere in quelle baracche, entrare nelle ca-mere a gas.

È come toccare con mano l’annientamento dell’es-sere umano, uomo o donna che sia, annullamentoche affiora e si concretizza nelle baracche, nelle cel-le, in quanto è rimasto delle costruzione di morte.Ascolto attentamente le parole delle compagne diviaggio che conservano nitidamente il ricordo dei tra-gici momenti legati a quei luoghi.

Davanti a tutto questo sorge in me spontanea la par-tecipazione emotiva e provo solidarietà verso chi è pas-sato attraverso tali esperienze. Ma non solo. Sentodi impegnarmi a testimoniare contro ogni tentativo direvisionismo storico che la Shoah c’è stata e avver-to la speranza che ciò non possa più accadere.

Giulia Maltese

Eccomi dove è nata la poesia di Levi

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La professoressa BirgitCalzolari-Mothes nell’ac-coglierci ci racconta delpercorso che ha seguito coni suoi studenti per suscita-re un interesse profondo neisuoi allievi, che incontran-do per la prima volta un exdeportato, uno dei tanti chefurono internati proprio nel-la loro città nel lontano1944-45. Gli studenti del suo corso,in maggioranza ragazze checapiscono perfettamente lanostra lingua, sanno del la-ger e delle iniziative che sisvolgeranno in questi gior-ni organizzate dal Comitatoper la Memoria del KZ diLeonberg: “Non sono unastorica – ci dice – insegnolingua e letteratura italiana

e ho ripreso a insegnare inquesto liceo dopo aver tra-scorso molti anni in Italia,a Firenze. Mi ha sempre in-teressato conoscere la no-stra storia per quello che hasignificato la nostra presenzain Italia negli anni 1943-1945”, anzi aggiunge acca-lorandosi, “quegli anni so-no diventati per me una ve-ra ossessione”. “Con i miei studenti ho let-to Il sentiero dei nidi di ra-gno di Italo Calvino, La ra-gazza di Bubé di Cassola, epoi il cinema, a cominciareda La notte di San Lorenzodei fratelli Taviani. Poi i viag-gi di studio in Italia, il ge-mellaggio con un liceo del-la vostra bella Cremona, eora l’occasione che aspetta-

vo e per la quale mi sonomolto impegnata. Per la miascuola è un evento impor-tante e certamente avvieneperché in questi anni abbia-mo seminato bene. In qua-lunque circostanza si trovi-no vorrei che fossero in gra-do di incanalare le informa-zioni in un contesto storico;devono essere in grado diparlare del lager di Leonberg.Così come se sono in Italiae vedono una lapide con ilnome di un caduto, devonosapere quello che è succes-so”.Le chiediamo se questa te-stimonianza in presa diret-ta provochi imbarazzo neisuoi allievi.Risponde: “L’imbarazzo èsolo davanti alla sofferenza;non hanno sensi di colpa per-

ché sono passati oltre cin-quant’anni da quegli avve-nimenti”. E aggiunge: “Nonconosco la situazione fami-liare e politica delle loro fa-miglie, ma in 25 anni non homai riscontrato tendenze fa-sciste o neo naziste”.Riccardo Goruppi - depor-tato con il padre nel lager diLeonberg - effettivamentedi emozioni ne ha suscitatecon il suo racconto.Leonberg è una cittadina nonlontana da Stoccarda inWestfalia. In questa località,tra il gennaio e il marzo del1945, allora diciassettenne,vi giunse insieme al padre,nel campo di concentra-mento che le SS avevano isti-tuito per fornire manodope-ra alla azienda di armamen-ti Messershmidt.

“Il mio è un dialogo di cordialità non di odio per-ché l’odio è quello che ha portato a tutto questo. Nella mia esposizione, nel raccontarvi la mia vi-cenda, userò impropriamente il termine “tede-sco”, mi capita ancora, in verità erano nazisti quel-li che ci perseguitavano, ma io ragazzo di 16 an-ni l’ho appreso dopo”.Inizia così la lezione che Riccardo Goruppi ha te-nuto agli studenti del penultimo anno del corso diitaliano del liceo scientifico Keplero di Leonberg,nel giugno di quest’anno.

IL PERCORSO DI RICCARDO GORUPPI NEL LAGER IN WESTFAL

La lezione di un ex deportatoagli studentidi un liceodi Leonberg

Tra i ragazzi tedeschidel corso di italiano

I prigionieri al lavorosui bombardieri del ReichA Leonberg la Messer-schmidt, aveva ubicato in unvecchio tunnel, una gallerialunga un migliaio di metrifamosa perché faceva partedella prima autostrada rea-lizzata dal III Reich, il cen-tro di produzione delle aliper l’aereo a reazione ME262, l’arma strategica cheHitler considerava capace dimodificare le sorti della guer-ra ormai perduta.In questo campo di concen-

tramento lavoravano circa2700 prigionieri; erano i so-pravissuti di Dachau, diNatzweiler, di Buchenwald,quasi tutti deboli, denutritie malvestiti, costretti a la-vorare in condizioni terribi-li, al freddo, sottoposti adabusi, maltrattamenti e vio-lenze continue. Il ciclo la-vorativo era di 12 ore, gior-no e notte, senza riposo.Centinaia di prigionieri inmaggioranza ebrei, russi, po-

di Angelo Ferranti

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lacchi, francesi, sloveni, ita-liani, morirono per denutri-zione, per il freddo e per iltifo.Tra questi il padre diRiccardo Goruppi, Edoardo,che morì tra le braccia delfiglio.Il trasferimento a Leonbergsignificò ripercorrere quelprocesso, di riduzione del-l’uomo a cosa, che aveva co-nosciuto a Dachau – doveappena arrivato, si era vistoprivare del tutto della pro-pria identità: “Ricorderò persempre il momento in cui mivenne detto questa è l’ultimavolta che sentirai pronun-ciare il tuo nome e cogno-me, d’ora in poi non sei cheun numero!”.Un trattamento che cono-sceva bene, che aveva già su-bito. Il fascismo, si sa, pro-prio a Trieste, dove viveva,

procedette – sin dal suo av-vento ad una eliminazionedell’intero patrimonio cul-turale, economico e orga-nizzativo italiano della mi-noranza slovena.Il regime fascista aveva im-posto l’italiano come unicalingua d’insegnamento,quando procedette alla “ita-lica” riscrittura di tutta la to-ponomastica di quelle terre,all’interdizione della linguaslovena e addirittura alla ita-lianizzazione di tutti i nomie cognomi.Era successo anche a lui. Ilsuo cognome, Gorup, di-ventò Goruppi. Sedicenne,operaio ai Cantieri diMonfalcone, viene fermatoe percosso dalla milizia fa-scista per essersi espresso insloveno con un amico. Nell’aula del liceo di Leon-berg, di fronte a queste gio-

vani studentesse, attente ecommosse, in un grande si-lenzio rotto soltanto dal ru-more del gesso sulla lava-gna con il quale la profes-soressa Calzolari-Mothes ri-corda i passaggi più impor-tanti della lezione, man ma-no che il racconto si svilup-pa - intrecciando la vicendapersonale di Riccardo Go-ruppi e quella del contestostorico in cui si svolsero que-gli avvenimenti - si avvertetutto il valore del rapportoche si è instaurato tra il mi-litante antifascista italianoe questi giovani ragazze eragazzi di Leonberg. Un rapporto vero; tra gene-razioni e realtà così lontanee diverse. Si percepisce be-ne che apparteniamo tutti al-lo stesso genere umano e checi riconosciamo gli uni ne-gli altri. E così il nostro “pro-

fessore” continua la sua le-zione. La guerra, l’intolle-ranza e la discriminazioneverso gli sloveni si acutizza.Il suo impegno nella Re-sistenza dove combatte nel-le formazioni partigiane ju-goslave. Incarcerato a Triestecol padre e di qui, con unodei 73 trasporti che in queimesi partirono dalla città giu-liana, trasferito a Dachau. Goruppi ricorda come so-pravvisse al tifo alle sue con-seguenze. E nei suoi occhisi legge una sofferenza: nonsapere chi lo aiutò, chi losalvò: “Qualcuno ha visto esapeva delle mie condizio-ni, dello stato in cui ero e miha confermato, assistendomi,forse anche a rischio dellapropria vita, che il senti-mento, la solidarietà incon-dizionata esiste, anche nel-le condizioni peggiori”.

IA DOVE VIDE MORIRE SUO PADRE

L’ex deportato RiccardoGoruppi mentre tiene la sualezione al liceo di Leonberg.

Nella pagina accantoGoruppi con la professoressaBirgit Calzolari – Mothes.

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Questa è la vicenda del de-portato Riccardo Goruppin°135423.Il suo viaggio peròè continuato per terminarenel campo di Kaufering. È ritornato più volte in queiluoghi a cominciare dal 1964.Spesso con i suoi familiari. Soprattutto a Leonberg, al-l’inizio, era guardato con dif-fidenza dalle autorità localia cui si rivolgeva per saperedove era stato sepolto il pa-dre, finito in una fossa co-mune. Senza alzare la voce,guardando fisso negli occhii suoi interlocutori, ha pre-teso che gli venissero forni-te tutte le informazioni. Non era facile per loro. Inquesti incontri, gli interlo-cutori vivevano tutto l’am-biguo rapporto tra senso dicolpa e voglia di dimentica-re: avevano di fronte un te-stimone, un sopravissuto di

quella enorme tragedia che siera svolta nella loro città.Combattuti tra il desideriodi rimuovere tutto, propriodi chi è stato sconfitto, e l’ob-bligo di dover dare – a que-sto signore che veniva da lon-tano, dopo molti anni – unarisposta a quella domandanon resa esplicita: “Perchéè successo, perché non vi sie-te opposti, perché avete ac-cettato di portare ovunquedistruzione, desolazione, do-lore, l’orrore della guerra”.Poi, a poco a poco, tutto ècambiato. Le istituzioni han-no dovuto dare delle rispo-ste. Gli abitanti di Leonberg– soprattutto i giovani – han-no cominciato a chiedersi ea chiedere ai più anziani,com’era la loro città sotto ilnazismo. E soprattutto se c’e-ra realmente un campo diconcentramento a Leonberg,

le cui tracce erano scompar-se. Ne è seguito uno scavonella memoria dei testimo-ni, nella riscoperta dei luo-ghi, e nell’incontro con quan-ti passarono per quella dram-matica esperienza. Il risul-tato è stato il costituirsi di un“Comitato di iniziativa perla Memoria del KZ diLeonberg” con i rappresen-tanti delle Chiese, delle for-ze politiche e delle istitu-zioni. Un lavoro – quello delComitato – che ha visto lacreazione di un Laboratoriodi ricerca storica, vero e pro-prio centro culturale perma-nente, con l’obiettivo di ri-costruire la storia di quelcampo di concentramentoanche con ricerche di archi-vio per risalire a quanti pas-sarono per questo campo.Il risultato di questa ricercastorica si è trasformato in unapubblicazione, un volumeche è stato presentato in unincontro pubblico alla pre-senza di ex deportati tra i qua-li Riccardo Goruppi, con gliinterventi del rabbino capo,del sindaco e del presidentedel Comitato. Conny Renkl, uno dei re-sponsabili più attivi delComitato, ci ha detto: “Ilmondo intero ha elevato, asuo tempo, la sua accusa con-tro la Germania e contro i te-deschi; so che ci sono per-sone che riconoscono la col-pa a cominciare da se stessi.Io, pur appartenendo a unagenerazione successiva, so-no uno di quelli. Molti inve-

ce si ritengono senza colpa oritengono che la colpa sia dialtri. E non mi riferisco allegenerazioni di oggi. Ho in-terrogato più volte mio pa-dre, perché volevo sapere:“Che cosa è accaduto al no-stro popolo, perché alla fineci è voluto un interventoesterno per porre fine a que-sta devastazione della Ger-mania?”E aggiunge: “Riccardo Go-ruppi, per la sua storia, percome ha saputo confrontarsicon la nostra comunità ci aiu-ta nel nostro percorso per ve-dere chiaro il nostro passa-to, per capire quanto è suc-cesso. Noi abbiamo bisognodi lui e degli altri deportatiche incontriamo perché an-cora oggi e a distanza di tan-ti anni e dopo quanto è suc-cesso avvertiamo i pericoliche quel tremendo periodopossa ripresentarsi. Nella so-cietà tedesca di oggi i sinto-mi dell’antisemitismo, del-l’odio verso il diverso, tor-nano a riaffacciarsi.Ricordare, vigilare e tra-smettere la memoria è unodei nostri compiti”. Un lun-go cammino quello dei cit-tadini di Leonberg. La partepiù consapevole di loro con-tinua a lavorare e a impegnarsiper mantenere e trasmetterela memoria del campo di con-centramento. Quanto è suc-cesso, non deve accadere più.Ognuno di noi faccia la pro-pria parte. Come continua afare l’ex deportato RiccardoGoruppi.

Un comitato per Leonberge un laboratorio di ricerca

Riccardo Goruppi a colloquio con alcuniabitanti di Leonberg.

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Sono passati 60 anni dal maledetto giorno in cui piùdi mille ebrei romani furono fatti scendere, tra urla ebastonate, da 18 carri bestiame sulla Judenrampe diBirkenau.Tra loro Settimia Spizzichino che sarà l’u-nica tra le oltre seicento donne, a fare ritorno a Roma.Concludendo il suo libro di testimonianza Gli anni ru-bati, Settimia scrive: “Seguiterò a raccontare finchèavrò vita. Per questo, credo, sono tornata: per raccon-tare”. Dal giorno del suo ritorno e fino a quello dellasua scomparsa ha assolto questo compito, con tenacia,senza cedimenti. Era suo dovere e suo diritto. Lo ave-va giurato alle sue compagne,assassinate nel lager.Sapeva essere importante soprattutto per i giovani.Perché sapessero, conoscessero per non dover viverequanto da lei tragicamente vissuto.L’Aned, e non solo quella di Roma, si è domandata co-me ricordare nel modo più emblematico Settimia.Riandando alle lunghe conversazioni con l’unica su-perstite della razzia del ghetto, ci si è ricordati appun-to del suo impegno con e per i giovani.Ha quindi deciso di proporre che una scuola romanaportasse il suo nome. Non è stata impresa facile. Ma conl’aiuto prezioso della nipote Carla Di Veroli, con quel-lo dell’assessore alle Politiche educative del Comunedi Roma, Maria Coscia, con l’apporto del presidente delmunicipio Massimiliano Smeriglio e dei dirigenti sco-lastici competenti, con il sostegno di Walter Veltroni,sindaco di Roma quello che poteva sembrare - visti i tem-pi non certo propizi - un sogno è diventato realtà. Il 16 ottobre, alla presenza di un folto pubblico di sco-lari e di genitori, i tanti, veramente tanti amici di Settimiasi sono trovati in una scuola media nel quartiere ove èvissuta per scoprire una targa con il suo nome. Unascuola per Settimia. Le parole commosse di Veltroni,il ricordo di Rutelli, quello degli esponenti dellaComunità di S.Egidio, di coloro che concretamente sierano impegnati, quelle del presidente dell’Aned romanasono state tutte tese non solo ad onorare Settimia ma so-prattutto a sottolineare il suo impegno morale e cultu-rale. Un lascito così prezioso, così unico, così ecce-zionale. In questo modo siamo certi di aver onorato lamemoria di Settimia come lei avrebbe voluto.Proseguendo concretamente nella strada da lei trac-ciata. E dando un futuro alla Memoria. a.p.

UNA SCUOLA

DI ROMA

DEDICATA

A SETTIMIA

SPIZZICHINO

Ci si è ricordati del suo impegno con e per i giovani

Alcuni momenti della cerimonia con la quale è statadedicata la scuola a Settimina Spizzichino.Presente il sindaco della capitale.

Nella foto sotto il discorso del sindaco Veltroni. Era presente l’onorevole Francesco Rutelli. Al centro della foto Carla Di Veroli, nipote di Settimia Spizzichino.

Tra i gonfaloni dell’Aned e dell’Anpi il sindaco con un foltogruppo di genitori e autorità.Le immagini sono dei fotografi del Comune di Roma.

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Il partigiano disarmato,la Resistenza e il lager

Il partigiano disarmato co-sì Giuseppe Calore, il dott.Calore, amava dire di se stes-so. A Giuseppe Calore, me-dico, abbiamo dedicato un li-bro, Il Revier di Mau-thausen. Ci è sembrato oranecessario completare la suastoria occupandoci dell’at-tività di partigiano che pre-cede la condizione di de-portato.All’inizio il partigiano Bepi,questo era il suo nome du-rante la guerra partigiana, acapo di una piccola banda,munita di esplosivi sottrat-ti ad un distaccamento te-desco nella zona, fece sal-tare un treno che percorre-va in galleria il tratto ferro-viario Tarvisio-Udine, elu-dendo la sorveglianza deitedeschi. È un gesto epicoe fa venire in mente le pa-role di Giani Stuparich:«Tremenda è la guerra e lasi subisce solamente comeuna durissima prova per l’e-levazione dello spirito».Per Calore è naturale il pas-saggio dall’antifascismo,sdegnato sin da ragazzo dal-le violenze squadristiche,alla Resistenza, come sim-patizzante prima e poi ade-rente al Partito d’Azione.La Resistenza è precedutadal servizio militare, e co-me tenente medico GiuseppeCalore traccia indirettamenteil quadro di disorganizza-zione che porterà allo sfa-celo dell’esercito italiano.Inseguito da Udine a Ve-nezia, con il nuovo nomeGianni Marangoni a capo

delle formazioni Giustiziae Libertà - Partito d’Azionedelle Tre Venezie in sosti-tuzione di Fermo Solari in-dividuato dalla polizia. Lacarica comporta anche fun-zioni di intermediazione,conciliazione, definizionedi compiti con le altre for-mazioni resistenziali ope-ranti sul territorio. Un sin-golare episodio durante isuoi movimenti. A Milanoassiste ad una riunione, pre-sieduta dal generale Ca-dorna, comandante di tuttele formazioni partigiane, cheha per oggetto le medaglieda conferire ai più merite-voli. Calore sorpreso fa no-tare come i partigiani ab-biano bisogno di ben altro:vitto, vestiario, armi.Durante i suoi spostamen-ti, Calore viene individua-to dalla polizia, ma riesce afuggire una prima volta. Poia Padova viene catturato,sottoposto a stringente in-terrogatorio, terribilmentetorturato, ma non cede e innessun modo è disposto aparlare anche a costo di mo-rire. Da Padova a Bolzano,campo di transito, e da qui aMauthausen, lager di 3ª ca-tegoria in fatto di rigore, conla più alta percentuale di ca-duti subito dopo Auschwitz.A Mauthausen nei limiti del-le sue scarse possibilità, maforzate al massimo, soccor-re e conforta i prigionieri(vedi tra gli altri i casi diBonel1i e di Pagano-Po-gatsching) e compie due ge-sti straordinari, strappando

due prigionieri da colonnedirette, per l’esecuzione, al-la camera a gas.Per inciso notiamo che ametà aprile 1945 inizia unaparticolare campagna di eli-minazione dei deportati conil gas, di cui chi scrive è sta-to testimone. Questo al fi-ne, si può supporre, di svuo-tare il lager prima dell’arri-vo degli eserciti nemici.Pensiamo alle date: il 30aprile si suicida Hitler e il 5maggio il campo viene li-berato. La descrizione, chein questo nuovo libro Caloreci dà di Mauthausen, coin-cide con quella fatta nelRevier, specificando meglioalcuni episodi e alcuni in-contri. Nella compilazionedi questo secondo libro, IlPartigiano disarmato, cheriflette la Resistenza, nonc’è un interlocutore che co-nosca i luoghi per esperienzacome nel caso del Revier,ma non ci sarebbe stato al-cun bisogno: Calore è luci-dissimo ed il nostro Paolinscrupolosissimo nelle ri-cerche e confronti.Dopo la liberazione Calorenon si è dato alla politica,non sappiamo perché, ma cisembra che sia venuta menouna forza che avrebbe po-tuto dare un notevole con-tributo alla ricostruzione delpaese distrutto. Siamo con-sapevoli che innumerevoliuomini e donne con slancio,convinzione e sacrificio so-no insorti al pari di Calorecontro i fascisti e i tedeschidopo 1’8 settembre, data fa-

UN LIBRO DI GIUSEPPE CALORE

tidica della rinascita dellapatria. Ci auguriamo che al-tri come noi scrivano pre-gnanti biografie di resistentiper ampliare la conoscenzadi quei tempi e trasmetterealle famiglie un positivo do-cumento. La nostra scelta ètuttavia caduta su GiuseppeCalore, per la sua grave età,perché non ha lasciato altriscritti di memoria e per l’i-ninterrotta amicizia, natanel lager (44/45) durata finoalla sua recentissima scom-parsa, avendo sempre am-mirato il coraggio, la fer-mezza e l’altruismo. Ci duo-le molto di non essere riu-sciti in tempo a donargli unsecondo libro.Abbiamo cercato di fare lanostra parte per preservarela memoria, oggi domanidopodomani grati al pre-sidente Ciampi, che nellasua lettera al sindaco diSant’Anna di Stazzema haammonito tutti: “La memo-ria storica è un dovere.Trasmettere il monito diquelle terribili vicende è ilmodo migliore per raffor-zare, soprattutto nei giova-ni, la consapevolezza dei va-lori della libertà e della giu-stizia”, e sdegnati per i rei-terati tentativi di introdurrela censura dei libri di storiaper le scuole.

Bruno Vasari

Giuseppe Calore,“Il partigiano

disarmato”pp. 106, euro 12,

Edizioni dell’Orso

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L’opposizione dei cattolicialla Repubblica di Salò

Carla Bianchi Iacono af-fronta il problema dellapartecipazione dei cattoli-ci alla Resistenza in un li-bro che aggiunge elemen-ti nuovi e personali ad unavicenda storica troppospesso rimasta in ombra difronte alla preponderanteattenzione riservata al ruo-lo delle forze di sinistranella lotta di Liberazione.Il filo conduttore di que-sto saggio è la storia delpadre dell’autrice, l’ing.Carlo Bianchi, dirigentedella Fuci milanese (l’or-ganizzazione degli uni-versitari cattolici), fucila-to dai nazisti a Fossoli nelluglio del 1944.Attraverso una attenta con-sultazione di tutte le fontiarchivistiche, l’autrice ri-percorre la storia di que-sta organizzazione, in cuii fermenti di ostilità al fa-scismo erano presenti benprima del 25 luglio 1943. L’ingegnere Carlo Bianchine era una delle espressio-ni più coerenti. Nato nel1912, dopo la laurea lavo-ra per la Società SiemensElettra, ma ne esce ben pre-so anche per non aderire alpartito fascista e da allorasi dedica all’azienda pa-terna. Il suo impegno nel-la Fuci inizia sin dai primianni universitari e prose-gue fino a quando, all’ini-zio della guerra, viene elet-to (sia pure in modo infor-male) presidente dell’or-ganizzazione milanese. LaFuci in quegli anni si de-

dica soprattutto all’azionecaritatevole (centri di as-sistenza medica, di prati-che giuridiche per danni diguerra, di attività scolasti-ca e di consulenza econo-mica destinata agli indi-genti) ma non poteva cer-to mancare l’impegno an-tifascista. Impegno che siintensifica quando CarloBianchi entra in contattocon Teresio Olivelli che lopresentò al Comitato li-berazione nazionale AltaItalia di cui Olivelli face-va parte già dopo l’ 8 set-tembre. Assieme diederovita a Il Ribelle, giornaleclandestino di ispirazionecattolica vicino allaFiamme Verdi, il cui pri-mo numero uscì nel mar-zo del ‘44 e che interruppele pubblicazioni poco pri-ma dell’arresto dei suoiideatori.Bianchi e Olivelli cadde-ro insieme nelle mani deifascisti a Milano il 27 apri-le 1944, probabilmente inseguito ad una delazione, evennero incarcerati a SanVittore. Del loro arresto sioccupò la curia milanese,e in particolare don Bic-chierai, il quale pare nonvolle informare il cardina-le Schuster. Bianchi e Olivelli furonocosì deportati nel campodi Fossoli dove la loro sor-te fu al tempo stesso di-versa e purtroppo tragica-mente simile: Bianchi fufucilato a Fossoli assiemead altri 67 suoi compagni

l’11 luglio, mentre Olivelliriuscì fortunosamente asottrarsi a quell’eccidio,ma venne deportato aFlossenbürg, dove morì al-l’inizio del 1945 e dopo laLiberazione venne deco-rato di medaglia d’oro.Proprio la diversa sorte deidue giovani antifascisti eil loro rapporto con la cu-ria milanese induce CarlaBianchi Iacono a conside-razioni che meriterebberoun maggiore approfondi-mento. Innanzitutto per-ché il cardinale Schuster,che pure in altre occasionisi prodigò per la libera-zione di altre persone fat-te prigioniere dai fascistie dai tedeschi, non inter-venne a favore di CarloBianchi, che pure il cardi-nale ben conosceva? DonBicchierai – che si inte-ressò del caso – noninformò il cardinale di cuiera il segretario?Questa è la tesi che l’au-trice sembra far propriaquando scrive “l’afferma-zione che il cardinale ven-ne a conoscenza della suafucilazione un mese dopopuò essere spiegata solocon il fatto che non gli ven-ne riferito dell’arresto delBianchi se non dopo il tra-sferimento a Fossoli o ad-dirittura dopo la morte”.Ancor più delicato è il pro-blema dei rapporti traBianchi e Olivelli. L’autrice non condividel’interpretazione di chi so-stiene che fra loro vi era

UN SAGGIO DI CARLA BIANCHI IACONO

un rapporto di amicizia elo afferma esplicitamentequando scrive che esiste-va “sodalizio e collabora-zione fra i due giovani; col-laborazione e intesa intel-lettuale anziché di amiciziacome molti hanno scritto”e quindi rende ancor piùnetta questo suo convinci-mento quando afferma (siapure in una nota): “PerBianchi l’amicizia era si-curamente un valore fon-damentale tanto da rinun-ciare alla libertà per con-dividere la stessa sorte coni suoi amici… Per Olivellil’amicizia non era un va-lore primario; nelle sue po-che lettere pubblicate nonsi legge alcun accenno dirammarico per la sorte oc-corsa al Bianchi dopo il 12luglio, né può trovar giu-stificazione il suo sottrar-si, nascondendosi, alla sor-te che attendeva lui e il re-sto del gruppo”. Una interpretazione mol-to severa che forse può tro-vare la giustificazione nelcomprensibile coinvolgi-mento emotivo dell’autri-ce in questa tragica vicen-da.

b.e.

Carla Bianchi Iacono,“Aspetti dell’opposizio-

ne dei cattolici di Milano alla Repubblica sociale italiana”

Morcellana

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Suggerimenti di lettura a cura di Franco Giannantoni

Renzi commissario eroe (Dalla corte dei Savoia ai lager nazisti)Arturo Bascetta Edizioni, Istituto Storico dellaResistenza della Valle d’Aosta, pp.126, euro 6.

Paolo Momigliano Levi

Quanti furono i dipendenti dell’Amministrazione stataleche, opponendosi alle disposizioni delle autorità fasciste,dopo l’8 settembre 1943 misero a repentaglio la propriavita per motivi umanitari o scelte politiche e di campo?Più di quanto certo se ne sappia. Ora accanto alla nota vicenda di Giovanni Palatucci,responsabile dell’Ufficio stranieri della questura diFiume, morto a Dachau, per aver aiutato antifascisti edebrei, spicca la palpitante storia, ricostruita minuziosa-mente da Paolo Momigliano Levi, di Camillo Renzi, irpi-no di origine, commissario di Ps presso il principe eredi-tario di Savoia e poi, dopo l’armistizio, in servizio allaquestura di Aosta. Sino all’agosto 1944 con la moglie Franca, Renzi operò astretto contatto con la Resistenza e con il movimento

autonomista. Arrestato su delazione assieme alla sua com-pagna da militari tedeschi e agenti dell’Upi-Gnr, Renzi,esemplare figura di alto funzionario, fu deportato primanel campo di Bolzano-Gries e ad ottobre internato nellager di Dachau viaggiando sullo stesso treno che tra-sportò Calogero Marrone, il capo dell’anagrafe delComune di Varese) mentre la moglie finì a Ravensbrück.Il commissario morì all’alba della libertà. Franca tornò segnata per sempre dal dramma della guerrama impavida nel mantenere viva la memoria dell’eroicoconsorte. Vale la pena non dimenticarlo mai: CamilloRenzi fu “l’unico commissario di Pubblica sicurezza ita-liano internato in Germania per aver cooperato con ilmovimento partigiano e per non aver giurato alla Repub-blica sociale”.

La Repubblica spagnola e la guerra civile 1931-1939Il Saggiatore-Net, pp. 627, euro 10

Gabriel Jackson

Uscito nel 1965 per i tipi della Princeton University Presse, due anni dopo, per il Saggiatore, torna ora in edizioneeconomica una delle ricostruzioni più complete del dolen-te travaglio della giovane democrazia spagnola e dellaguerra civile che ne decretò la fine. L’opera di Jackson ha una particolarità tutta sua che laimpone all’interesse del lettore: la storia della Repubblicae del conflitto è vista dall’interno della Spagna partendodalle memorie scritte e dai giornali dell’epoca completatada una serie di interviste. Si tratta di un’indagine meditata e approfondita attraver-so le vicende politiche, economiche, sociali della Spagnacon sullo sfondo le storie di uomini e di donne in lottacontro un’ideologia che avrebbe, di lì a poco, travolto ilmondo intero con il secondo conflitto mondiale. Comecon lucidità politica aveva saputo intuire DoloresIbarruri.

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Migranti (Verso una terra chiamata Italia)Rizzoli, pp. 346, euro 16

Claudio Camarca

È il dramma di quella parte di umanità dolente che ognigiorno lascia la propria terra in cerca di un mondo miglio-re. Quasi sempre il viaggio si trasforma in tragedia, ali-mentato dai sogni dell’illusione. Alcuni dei migrantilasciano la propria vita in mare, altri finiscono nei lagerper i profughi, altri iniziano un’esistenza clandestinarisucchiati negli sporchi affari, sfruttati, emarginati.Qualcuno, ma con fatica, sa reagire, ha la fortuna di trovarlavoro, riscattando se stesso e la storia del proprio Paese.Alle spalle della migrazione ci sono pulizie etniche, mise-ria, guerre fratricide, epidemie, fame. Claudio Camarcaha dato voce a questi “disperati” condividendo le loroodissee sulle carrette del mare, nei rifugi di fortuna, sullastrada. È un libro utile, commovente, necessario ora che ildibattito sul diritto di voto ai “regolari” si è aperto. Dallepagine intense di questo libro emergono a tutto tondoanche l’arroganza e il disprezzo di chi si erge a voler deci-dere la vita di altri esseri umani, per poi piegarli ai propriinteressi. Spesso illeciti.

Corbari, Iris Casadei e gli altri(Un racconto della Resistenza)Graphot Editrice, pp. 237, euro 14

Massimo Novelli

Ancora oggi vive nella memoria popolare la figura diSilvio Corbari, il partigiano romagnolo trucidato a pocopiù di vent’anni nell’agosto 1944 dai nazifascisti. Fuun’imprendibile “Primula Rossa”. Corbari rivive nell’ap-passionato racconto di Novelli, in modo degno. Di umorilibertari, amato dai poveri e dai contadini, generoso edimpetuoso, Corbari così come i compagni caduti con lui,Iris Versari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli, mise asegno imprese che riunivano coraggio nella lotta e spiritobeffardo verso gli oppressori. Nella storia di Silvio e deisuoi compagni s’intrecciano la passione per la libertà el’amore, la lealtà, la gioventù, la guerra. Oltre a riproporrela figura dell’eroe fnito nel mito, il libro riapre il dibattitomai sopito sulle circostanze ancora oscure della sua finein un giorno d’estate di oltre mezzo secolo fa.

La staffetta azzurra(Una ragazza nella Resistenza,Ossola 1944-1945)Mursia, pp. 266, euro 14,30

Ester Maimeri Paoletti

Ragazza di buona famiglia, Ester si trova nell’autunno del1944 con la famiglia nell’Ossola e per una serie di parti-colari circostanze è coinvolta nella lotta partigiana checulminerà fra il settembre e l’ottobre con la conquista diDomodossola e delle valli vicine e la costituzione dellaLibera Repubblica. Un sogno che durerà quaranta giorni. Poi verrà il crollo, irastrellameni nazifascisti, l’esodo in Svizzera, l’interna-mento nei campi civili e militari, le privazioni, l’attesa delritorno. Ester vive in prima persona la battaglia, strappata alla suavita di scuola e di vacanze e fa di lei una preziosa staffettapartigiana, una pedina fondamentale per le formazionisulla montagna. Il libro è il racconto semplice e documen-tato di quella stagione piena di speranze.

Preti controFandango Libri, pp. 265, euro 16

Corrado Zunino

Un libro forte, che prende al cuore e che fa meditare. È laconfessione di quattro preti italiani e di un padre delConcilio Vaticano II, dom Giovanni Franzoni, scomunica-to perché parlava di libertà. Sono i preti ai margini, quelli che la Chiesa sopportaappena. Preti schierati coi disoccupati come donVitaliano, il prete no global, come don Gallo di Genovache aiuta le prostitute ad abortire, come don Barbero chesposa gli omosessuali, come padre Renato che vive daoltre 20 anni nelle favelas brasiliane tentando di strapparei bimbi dalla strada e dalla violenza. Preti sociali, operai,marxisti. Preti nella pienezza della loro missione. Preticonvinti che la distanza fra Sud e Nord del mondo signifi-chi totale sopraffazione. Preti che sperano ad ogni ora che si apra per loro e per idiseredati una breccia nel Vaticano per favorire un dialogoirrinunciabile. Preti che credono nella Chiesa ma che lavorrebbero più vicina ai bisogni dell’uomo e menodell’Opus Dei e dei potentati finanziari.

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LETTERE ATRIANGOLO

ROSSO

Deportazione e suicidiprima dell’8 settembre ’43Un recente scambio di corrispondenza con Italo Tibaldimi ha permesso di approfondire due aspetti sul drammadella deportazione:- gli italiani deportati in Germania prima dell’8 settem-bre 1943, giorno da cui di regola viene fatto decorrerel’inizio della deportazione con il trasferimento in Germaniadei militari sbandatisi dopo l’armistizio,- i suicidi nei campi.

Italo Tibaldi mi ha fornito una lista di venti nomi d’italianimorti a Mauthausen e sottocampi tra il 5 gennaio 1941 ed il 12 dicembre 1942, e cioè:

- Corradini Guglielmo, Donati Enzo, Graziani Rino, LongoAngelo, Vedova Luigi, citati nel mio articolo Dalla guer-ra civile ai lager nazisti, pubblicato sul Triangolo Rosson. 3 dicembre 2000,

- Bolla Giacomo, Boz Antonio, Canale Aurelio, CricognaAdolfo, Di Pompeo Vincenzo, Martinet Giovanni, MottaAdamantore o Adamastore, citati – come quelli soprari-portati – in La Spagna nel cuore volume edito dal-l’Associazione italiana combattenti volontari antifascistidi Spagna, su cui sono riportati brevi cenni biografici dicirca 4.000 combattenti. Questi ultimi non sono stati citati nell’articolo in quantonel libro la loro biografia si chiude con l’internamentonei campi francesi, quindi senza far riferimento alla lorodeportazione in Germania,

- Bona Antonio, Borghini Antonio, Czyzecicz Taddeo,Gorian Mariano, Matta Flavio, Mauro Giovanni, MontresorGaetano, Ragni Italo, sono internati di cui non si cono-sce la storia o almeno non devono aver partecipato allaguerra di Spagna. Dovrebbe trattarsi di comunisti arre-stati dal governo francese dopo la firma del patto di nonaggressione russo-tedesco del 29 agosto 1939 o di resi-stenti arrestati dalla Gestapo o dal governo di Vichy.

Questi italiani – residenti in Francia da tempo – venneroclassificati dai tedeschi al momento dell’arrivo al campoo come spagnoli (a Mauthausen al 31.12.1944 c’eranoufficialmente, tra gli spagnoli repubblicani – i TriangoliBlu – 4 francesi, 6 italiani, 1 argentino, 1 russo, 3 jugo-slavi, 1 ungherese, 4 rumeni) o come RepublikanischeSpanier, cioè volontari delle Brigate Internazionali.

Il suicidio fu un dramma nel dramma della deportazio-ne. Era la soluzione ultima per liberarsi da una vita ditormenti. Ad essa si ricorse non solo per disperazione maanche per orgoglio di non voler ulteriormente subire le an-gherie delle SS e dei Kapò. Nella morte l’uomo ritrovavala sua dignità, una corsa verso il filo spinato elettrifica-to non sempre era un gesto di sconforto, era l’ultimo at-to di libera volontà di chi non voleva continuare a pie-garsi. Molti furono i suicidi obbligati, probabilmente deporta-ti che si erano rifiutati di ubbidire ad un ordine partico-larmente abbietto e che vennero sadicamente spinti a ba-stonate verso la recinzione elettrificata non lasciando lo-ro altra alternativa che la morte per folgorazione. Da unatestimonianza del Tibaldi a questa soluzione estrema ri-corsero gli spagnoli, sprezzanti della morte tante volteaffrontata nella difesa di Madrid, nelle battaglie delJarama, nell’Aragona e sull’Ebro. Da un elenco incompleto – come tutti i documenti prove-nienti dai campi – si può determinare che a Gusen, sot-tocampo di Mauthausen dal 1° aprile 1941 al 31 gennaio1942 furono circa sessanta gli spagnoli, che morironogettandosi sulla recinzione elettrificata, di cui un quartoi costretti.

Situazioni che confesso di non aver sufficientemente ap-profondito nelle mie ricerche per la Retirada (TriangoloRosso n. 2 luglio 2003) o per gli articoli sui repubblica-ni spagnoli e sui combattenti volontari antifascisti inSpagna pubblicati sempre su detta rivista. Tento di colmarein parte la lacuna con queste brevi note, sicuramente in-complete, ripromettendomi appena possibile di ritornar-vi con metodo, grato a chi potrà segnalarmi notizie o me-morie in proposito.

Pietro Ramella

La Sezione Aned di Roma cerca notizie circa Zenobi Concetto, deportatoda Roma il 5 gennaio 1944, a Mauthausen (matricola 42052) e successi-vamente a Ebensee ove è deceduto il 19 aprile 1945. Chi avesse notizie èpregato di contattare la Sezione di Roma o di inviarle a Triangolo Rosso.

Cerchiamo notizie su Zenobi Concetto

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Domenica 11 maggio, in occasione dell’anniversariodella liberazione del campo di sterminio di Mauthausen,si è svolta una importante commemorazione cui han-no partecipato le delegazioni delle diciassette nazio-ni che hanno avuto vittime nel campo. Abbiamo avu-to la fortuna di partecipare a questo viaggio grazieall’Aned (Associazione nazionale ex deportati politi-ci) e, accompagnati da alcuni deportati superstiti, ab-biamo beneficiato della testimonianza diretta degliorrori perpetrati dal nazifascismo nei campi di ster-minio. Questa esperienza, moralmente e politicamente straor-dinaria, è stata affiancata dal confronto e dal dialogocon i cittadini delle altre nazioni presenti; da ciò so-no emerse profonde differenze rispetto a quanto, nelpresente e nel passato, i media occidentali ci hannodescritto. In particolare l’incontro con i compagni del-le ex repubbliche socialiste: dopo aver deposto le co-rone italiane ai piedi del monumento sovietico, ungruppo musicale formato di giovani russi, i quali or-gogliosamente reggevano una bandiera russa e unabandiera sovietica, ci hanno cantato, in un perfettoitaliano, Bella Ciao. Immediatamente dopo, un altroevento degno di nota: le rappresentanze ufficiali mili-tari e diplomatiche della Russia, della Bielorussia,della Moldavia e dell’Ucraina hanno sfilato insieme conle loro bandiere davanti al monumento sovietico. Sono emozioni forti, soprattutto per noi giovani, che la-sciano talvolta sconcertati, ma che non possono non es-sere organicamente collegate con una profonda ri-flessione storico-politica, in un mondo profondamen-te mutato. Probabilmente, anche grazie a questa espe-rienza ci è più chiaro che cosa è stata, nella storia deipopoli, l’Unione Sovietica; che cosa ha rappresenta-to per milioni e milioni di uomini, dentro e fuori i suoiconfini geografici pur tra tanti limiti, contraddizioni edanche degenerazioni, nonché il ruolo primario che haavuto nella sconfitta del fascismo e del nazismo. Volendocondurre un’analisi seria del Novecento, contestua-lizzando gli eventi, non si può prescindere dallaRivoluzione d’Ottobre, dalle prime esperienze di so-cialismo così come si sono storicamente determinatee dalla mancanza, oggi, di un punto di riferimento an-ticapitalista per tutti gli sfruttati del mondo. Noi, che siamo nati nell’ultimo quarto del secolo ap-pena trascorso, e quindi per ragioni anagrafiche nonabbiamo vissuto la guerra fredda o la drammatica scel-ta di sciogliere il Pci, ci interroghiamo sempre più sulpresunto concetto di “democrazia” esportata con lebombe. Forse, queste nostre modeste argomentazionici aiuteranno a capire e ad agire nell’inciviltà del pen-siero unico dominante.

Andrea AlbertazziDemostenes Floros - Movimento per l’Unità dei

comunisti, Bologna. www.unitacomunista-bo.org

I NOSTRI LUTTI

CELESTEDEL BEN

Deceduto il 23 giugno scor-so, ex deportato di Flos-senbürg e Dachau, fu presi-dente della sezione Aned diPordenone.

GIORDANO DUDINE

di età 95, fu arrestato aTrieste nel giugno 1944 edeportato nel campo di con-centramento di Buchenwaldcon matricola n. 76406.

LUCIANO PAOLI

di Sesto Fiorentino (FI), fudeportato nel campo di ster-minio di Dachau.

ENRICA POLACCO

di Venezia e iscritta alla se-zione di Schio, deportataebrea di Auschwitz.

ALBINO SORDO

di Casteltesino (TN), fu de-portato nel campo di con-centramento di Bolzano.Matricola n. 8048.

GIUSEPPE TREVISIOL

di Feltre (BL), fu deportatoa Bolzano. Matricola n. 84.

VASCO VANNUCCI

ex deportato di Buchenwalde Ravensbrück, matricola n. 22333.

ERNESTO GALLESE

deportato nel campo di con-centramento di Flossenbürg(matricola n. 43620) e Dachau(matricola n. 159767).

ALBINO MORETdeportato nel campo di con-centramento di Dora Mit-telbau. Matricola n. 0155.

ENZO TRABUCCHIdeportato nel campo di con-centramento di Dachau.Matricola n. 69796.

NATALEBIDDAU

iscritto alla sezione di Ge-nova, deportato a Dachaucon matricola n. 61947.

SERGIO COLLINI

deportato a Buchenwald eDachau.

SEVERINO HOBAN

di Gorizia, deportato aDachau.

GIUSEPPE LUZNIK

iscritto alla sezione di Go-rizia, fu deportato a Dachaucon matricola n. 142230.

GIUSEPPE GALLO

superstite del lager diMauthausen, fu una figuradi primo piano del giornali-smo ligure e ricoprì la cari-ca di Vice Presidente nellasezione di Genova.

PIETRO MARTINI

di Milano, fu deportato aDachau e Sachsenhausen

GUERRIERO VASCELLARI

iscritto alla sezione diMilano, fu deportato a Mau-thausen e Gusen con matri-cola n. 115758.

EGIDIO FISSI arrestato il 2/11/1944 aBollate dalle Brigate Nere.Deportato a Bolzano - ma-tricola 7631/B

ELIA MONDELLI

partigiano arrestato il2/4/1944 - carcere di SanVittore - Fossoli.Deportato a Mauthausen -matricola 82433

CESARE TRIVINI BELLINI

deportato a Mauthausen eGusen II dal 5/12/1944 al5/5/1945 - matricola 126467

Riflessioni dopo Mauthausen

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Costituito il Comitato internazionale del lager della

Risiera di San Sabba

Ne fanno parte l’Aned, la Fondazione Memoria della Deportazione, la Comunità ebraica di Trieste,e le Associazioni antifasciste dei veterani della lotta di liberazione di Slovenia, Capodistria e Croazia

Si è costituito uffi-cialmente a Triesteil Comitato interna-

zionale del lager dellaRisiera di San Sabba cherappresenta attraverso lediverse associazioni na-zionali, tutti gli ex pri-gionieri caduti nella de-portazione o superstiti edi loro familiari del lagercostituito dai nazisti dopol’8 settembre 1943 nelfabbricato della Risieradi San Sabba. Ne fanno parte l’Aned, laFondazione Memoria del-la Deportazione, la co-munità ebraica di Trieste,e le Associazioni antifa-sciste dei veterani dellalotta di liberazione diSlovenia, Capodistria eCroazia.

Questo comitatosimboleggia cosìl’unità di tutti gli

ex prigionieri della Risieradi tutte le nazionalità, diogni lingua, religione, cul-tura e trae la sua autoritàinternazionale e comuni-taria dal rifiuto morale chela conoscenza degli inau-diti crimini nazisti e fa-scisti ha suscitato nellacoscienza di tutti i popo-li del mondo.

I luoghi della memoria edel dolore sono ritenuti,dalla coscienza etica ditutti gli uomini, come ap-partenenti a tutti coloroche in quei campi hannosofferto e in quella soffe-renza si riconoscono. Il Comitato internazio-nale si impegna ad ono-rare, in tutte le occasioni,la memoria delle vittimedel nazismo e del fasci-smo.

Alla luce di questiprincipi il Comi-tato internaziona-

le ritiene che il campodebba essere aperto e di-sponibile a tutti coloro chesi riconoscono in questiprincipi e debba essere-fruibile a tutti anche permanifestazioni, visite, se-minari, mostre e attivitàdidattiche. Per tali fini il Comitatointernazionale della Ri-siera di San Sabba potràoperare autonomamenteo in collaborazione con ilComune di Trieste e conaltre istituzioni locali, re-gionali, nazionali ed in-ternazionali a cui è affi-data la tutela, la gestionee la manutenzione delcampo.