Eugenio Montale

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EUGENIO MONTALE

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EUGENIO MONTALE

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LA VITA

Eugenio Montale, uno dei poeti più amati del ’900, nasce a Genova

nel 1896 da una famiglia di commercianti.

Si iscrive all'Istituto tecnico commerciale "Vittorio Emanuele", dove si

diplomerà in ragioneria. Il giovane Montale coltiva comunque i propri

interessi letterari.

Trascorre la sua giovinezza in Liguria, passa le sue estati nella casa

di famiglia alle Cinque terre, a Monterosso. Questo paesaggio è lo

sfondo della sua prima raccolta poetica, Ossi di seppia,

pubblicata nel 1925.

Partecipa alla prima guerra, sul fronte dolomitico, ma non è un

«poeta soldato» come Ungaretti, saranno altri gli spunti che lo

porteranno a riflettere sulla condizione dell’uomo.

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Al sorgere della dittatura fascista, Montale è

tra i firmatari del Manifesto degli

intellettuali antifascisti.

Nel 1927 si trasferisce a Firenze dove

lavora per una casa editrice e poi come

direttore del Gabinetto Viesseux,

prestigiosa istituzione culturale da cui il

poeta viene allontanato nel 1938 perché

si rifiuta di prendere la tessera del

partito fascista.

Collabora alla rivista di letteratura “Solaria”

e si guadagna da vivere con le traduzioni.

Nel 1939 pubblica la sua seconda

raccolta: Le occasioni. Partecipa alla

Resistenza e allo sforzo di rinnovamento

iscrivendosi al Partito d’azione.

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Nel 1948 si trasferisce a Milano e lavora

come redattore al “Corriere della sera”, su

cui pubblica racconti, corrispondenze di

viaggio, articoli culturali, recensioni, articoli di

critica musicale sul melodramma.

La sua vena poetica sembra essersi esaurita,

ma non è così: nel 1956 pubblica la

raccolta delle poesie scritte durante gli

anni della guerra e in quelli

immediatamente successivi: La bufera e

altro.

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Il dolore per la morte della moglie Drusilla

Tanzi (1963) apre una nuova, fecondissima

stagione poetica. Negli ultimi anni della sua vita la

produzione di versi è molto più copiosa di tutta

quella precedente. Tra le altre, numerose

pubblicazioni, ricordiamo Satura (1971), in cui

Montale ricorda la moglie perduta.

Drusilla, a sua volta scrittrice, era soprannominata

dagli amici «Mosca» per via degli occhiali spessi. Il

loro è stato un legame sui generis ma

profondissimo: lei aveva dieci anni più di lui, sono

stati sposati solo per un anno (lei è morta in

seguito a complicazioni legate a una caduta) e il

loro rapporto è stato alquanto turbolento: Eugenio

Montale amava le donne, specie le artiste e le

intellettuali, e la sua produzione poetica è

costellata di componimenti a loro dedicati.

Maria Luisa Spaziani Irma Brandeis

Drusilla Tanzi con il marito

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Montale riceve i più alti riconoscimenti

ufficiali: nel 1967 viene nominato senatore a

vita; nel 1975 gli viene assegnato il Premio

Nobel per la letteratura. Omaggiato e

venerato come un maestro, Eugenio Montale

non perde il suo tono affabile e modesto,

l’atteggiamento ironico, il comportamento

riservato e poco incline alle esibizioni

pubbliche. Muore a Milano nel 1981.

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NON CHIEDERCI LA PAROLA (Ossi di seppia, 1925)

Non chiederci la parola che squadri da ogni latol'animo nostro informe, e a lettere di fuocolo dichiari e risplenda come un crocoperduto in mezzo a un polveroso prato. 

Ah l'uomo che se ne va sicuro,agli altri ed a se stesso amico,e l'ombra sua non cura che la canicolastampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Vittorio Gassman recita "Non chiederci la parola"

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NON CHIEDERCI LA PAROLA (Ossi di seppia, 1925)

Non chiederci la parola che squadri da ogni latol'animo nostro informe, e a lettere di fuocolo dichiari e risplenda come un crocoperduto in mezzo a un polveroso prato. 

Ah l'uomo che se ne va sicuro,agli altri ed a se stesso amico,e l'ombra sua non cura che la canicolastampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.Codesto solo oggi possiamo dirti,ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

METRO: tre quartine di versi di varia lunghezza, con rima ABBA CDD( ipermetra)C EFEF.

Questa poesia rappresenta una dichiarazione di poetica (una riflessione sulla poesia stessa, sul ruolo del poeta nella società). Secondo Montale, i poeti non possiedono formule sicure per spiegare il mistero dell’esistenza. Essi possono solo testimoniare al negativo (ciò che non siamo , ciò che non vogliamo) lo smarrimento dell’uomo moderno di fronte a quello che il poeta chiama «Male di vivere».

Imperativo negativo + anafora, in parallelo con il v.9, sottolinea l’impossibilità del poeta di fornire risposte rassicuranti

definisca in modo precisoPrivo di forma = di certezze

in modo indelebile

lo renda chiaro e lo faccia risplendere (l’animo)

similitudine (animo = fiore)

Allitterazioni: della P = sensazione di «polvere», della S = sensazione di «secchezza» = negatività

Versi brevi, secchi = polemico (Ah…!)

senza dubbi e incertezze = superficiale

in apparente accordo con il mondo e con se stesso

e non si cura dell’ombra che il sole di mezzogiorno proietta su un muro in rovina = analogia: non teme le ombre della vita, vede solo le certezze

la soluzione (quasi una formula magica) che possa darti nuovi punti di vistabensì (puoi

chiederci) solamente qualche verso contorto, difficile, e dal messaggio negativo(similitudine: versi poetici = rami storti e secchi)

reiterazione del «non» rafforza il tema dell’assenza di risposte rassicuranti. Il corsivo è di Montale

Il plurale serve a chiamare in causa tutti i poeti, quindi la Poesia come arte

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SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO (Ossi di seppia, 1925)

Spesso il male di vivere ho incontratoera il rivo strozzato che gorgogliaera l'incartocciarsi della fogliariarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

La poesia letta da Montale  

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SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO (Ossi di seppia, 1925)

Spesso il male di vivere ho incontratoera il rivo strozzato che gorgogliaera l'incartocciarsi della fogliariarsa, era il cavallo stramazzato. Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

 

METRO: due quartine di endecasillabi (tranne l’ultimo verso), con rima ABBA CDDA

Questo componimento si ricollega idealmente a Leopardi, e alla sua concezione della vita come dolore (Canto notturno: «A me la vita è male», il Dialogo della Natura e di un Islandese: la Natura per l’uomo prova solo indifferenza, non gli causa volontariamente dolore). Il malessere esistenziale e l’indifferenza si manifestano negli aspetti quotidiani dell’esistenza (simboleggiati da vari elementi definiti «correlativi oggettivi»). L’unico bene che l’uomo può aspettarsi è l’indifferenza, personificata come una divinità: non esiste la gioia, l’unico momento di assenza del «male di vivere» è quello in cui riusciamo a provare indifferenza, che qui diviene quindi un’emozione «positiva».

Suoni aspri (str, zz, rg, rt, rs): sottolineano la condizione di sofferenzaTre

«correlativi oggettivi» (= simboli) del dolore: ruscello, foglia, cavallo. Corrispondenza sottolineata dalla reiterazione del verbo «ERA»Tre «correlativi oggettivi» dell’ indifferenza (assenza di dolore): statua, nuvola, falco.Corrispondenza sottolineata dal polisindeto «E»

Esiste una corrispondenza tra le due strofe:

il cui libero corso è impedito da un ostacolo

rinsecchita dal caldo

caduto per la fatica

non conobbi altro bene tranne che il momento miracoloso (prodigio) in cui ho provato (si schiude) indifferenza (detta «divina» perché tipica delle divinità, lontane dalle miserie del mondo). Personificazione (Indifferenza)

Presenza di molte vocali (/o/, ma soprattutto le vocali aperte /e/, /a/): donano maggior senso di quiete rispetto alla prima strofa

Correlativo oggettivo: scarto restituito dal mare, simbolo di qualcosa che non è più

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AVEVAMO STUDIATO PER L’ALDILÀ (Satura – Xenia- , 1971)

Avevamo studiato per l'aldilàun fischio, un segno di riconoscimento.Mi provo a modularlo nella speranzache tutti siamo già morti senza saperlo.

La poesia letta da Vittorio Gassman

 

In greco «doni votivi per gli stranieri», sezione dedicata alla moglie scomparsa

METRO: versi liberi

In latino «mescolanza di cose svariate»: tematiche e metri molto diversi tra loro

Con una semplice e toccante immagine (un uomo solo che fischia) il poeta ci immette nel clima di affettuosa complicità, tuttora esistente, tra lui e la moglie defunta. Scherzosamente, i due avevano concordato un segnale per potersi ritrovare. Ora il poeta lo prova in anticipo, sperando di essere già morto senza saperlo e di poter così ritrovare la sua compagna.

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HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE

(Satura – Xenia, 1971)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

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HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE

(Satura – Xenia, 1971)

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.

Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.

Con te le ho scese perché sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

La vita è rappresentata dalle metafore delle scale e del viaggio, la cui brevità è sottolineata per contrasto dall’iperbole «un milione» e dall’ossimoro breve/lungo

METRO: versi liberi

Anche in questo componimento emerge il senso di vuoto e inutilità che il poeta avverte dopo la morte della moglie.Nella prima strofa questo senso di vuoto viene sottolineato per contrasto dall’elenco (per asindeto) delle incombenze quotidiane degli uomini superficiali (vedi in «Non chiederci la parola» «Ah, l’uomo che se ne va sicuro…»).Nella seconda strofa, il cui primo verso ribadisce in modo simmetrico (e con anafora) il concetto iniziale, emerge il vero significato del rapporto coniugale: in apparenza era Drusilla, la Mosca, ad aver bisogno della guida del marito; in realtà è stata la donna a guidare il poeta, perché era lei la sola a capire veramente la realtà.

mi servono (mi interessano)

asindeto: i casi e le necessità dell’esistenza, gli inganni e le delusioni

di chi si accontenta dell’apparenza delle cose senza mai indagare a fondo = degli uomini superficiali (L’uomo che se ne va sicuro…)

anafora (vedi verso 8)

Altra iperbole

perché riuscivano a vedere la realtà delle cose, ciò che era veramente importante (in contrasto con l’ultimo verso della prima strofa)