ETICA DELLA PROFESSIONE MEDICA NELL’ANTICA GRECIA E OGGI
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ETICA DELLA PROFESSIONE MEDICA NELL’ANTICA GRECIA E OGGI
Secondo l’opinione di molti studiosi il lavoro, inteso come attività manuale e
successivamente anche intellettuale, è nato quasi contemporaneamente alla nascita dell’uomo, per
pura necessità di sussistenza.
Con le trasformazioni e lo sviluppo della società, lo si è visto entrare in contrasto con la
nascita di un nuovo campo della sapienza: la filosofia (dal greco φιλοσοφία, composto di φιλεῖν
(filèin), "amare", e σοφία (sofìa), "sapienza", ossia "amore per la sapienza"), ovvero l’arte del
pensiero, che indaga sul senso del mondo e dell’esistenza umana e, più specificatamente, tenta di
definire le possibilità e i limiti della conoscenza; questa nuova arte era quella dei sapienti e in poco
tempo si affermò come l’unica fonte di conoscenza e, di conseguenza, di salvezza per l’uomo. Essa
prediligeva spesso il cosiddetto otium, necessario per dedicarsi totalmente alla scrittura e al
pensiero, opponendosi così necessariamente alla vita attiva, e quindi al lavoro, ritenuto un’attività
strettamente pratica, senza alcun fine e prodotto di tipo intellettuale.
La filosofia aveva permesso di fare un po’ di chiarezza sul mondo che circondava l’uomo e
dentro l’uomo stesso, sui i meccanismi di funzionamento della natura e dell’universo, e rese gli
uomini più sicuri del loro sapere.
Ma solo nell’epoca di Galileo Galilei si poté assistere a una giusta e definitiva separazione
tra scienza e filosofia, e nel contempo tra scienza e fede; questa scissione fu causata innanzitutto
dalle precise condizioni sociali e culturali che caratterizzarono i secoli XV e XVI, che videro lo
sviluppo degli Stati nazionali, il consolidarsi di una società urbano-borghese e quindi nuove
esigenze tecniche di una civiltà in via di sviluppo. Finalmente la scienza era spogliata di ogni altro
attributo da parte dell’uomo e diventava un sapere sperimentale e matematico, intersoggettivamente
valido e avente come scopo la conoscenza del mondo circostante e il dominio di esso da parte
dell’uomo.
Tra le scienze pongo la mia attenzione su una in particolare, quella che riguarda l’uomo
nella sua fisicità e nella sua psiche, la medicina. Anch’essa, come tutte le altre scienze, ha avuto un
percorso lungo e difficoltoso che l’ha portata ad acquisire un suo metodo di lavoro e un’etica, che
sono il prodotto della collaborazione tra lavoro manuale, scienza e anche idee filosofiche.
I primi libri sulla medicina, quelli babilonesi, sono datati verso il II millennio a.C. Presso i
Greci, in età arcaica, essa era praticata da un ceto particolare di sacerdoti, legati al culto di Apollo e
di Asclepio; ma il primo medico greco conosciuto fu Alcmeone di Crotone, vissuto fra il VI e V
secolo a.C.; egli è stato l’autore del primo lavoro di anatomia; tuttavia il riconoscimento più grande
va a Ippocrate di Cos (circa 460-375 a.C.) e a Galeno di Pergamo (129-216 d.C.).
Ippocrate soprattutto è il padre fondatore dell’ars medica antiqua, non tanto per le sue
scoperte in campo medico quanto per il suo pensiero e il suo metodo.
Nell’antichità non esisteva una formazione professionale come l’abbiamo oggi, né un
programma di istruzione e un esame finale; infatti Aristotele, nella Politica1, ci dice che è
impossibile riuscire a dettare norme scritte per tutto ciò che riguarda una qualsiasi forma di
artigianato.
L’arte medica non era limitata solamente a coloro che ne avevano i requisiti né a coloro che
appartenevano a una certa classe sociale, e questo rispecchia la grande apertura mentale della civiltà
greca. La via migliore per apprendere un’arte era quella di impararla da chi già l’avesse, quindi
comunemente di padre in figlio, in una continua tradizione familiare che è l’inizio anche di una
tradizione scientifica, ma lo svantaggio di questo tipo di educazione, che ricevette anche Ippocrate,
è proprio quello di rimanere chiusa nell’ambito domestico che spesso portava ad insegnamenti
affrettati e scorretti; chi voleva, ovviamente, poteva proseguire negli studi cercando altri maestri; il
merito di Ippocrate fu proprio quello di rompere la tradizione di una società aperta, ma allo stesso
tempo severa, portando l’insegnamento al di fuori della famiglia.
Non solo, ma il distacco e lo sviluppo più importante rispetto alla medicina precedente, fu
quello di averla laicizzata; come sappiamo, la Grecia antica era una società ben diversa da quella di
oggi, e i suoi valori erano dettati dal culto degli dei, ai quali essi credevano fermamente e che
consideravano gli autori stessi del destino di ogni uomo; invece, secondo Ippocrate, le malattie non
erano punizioni degli dei, quanto piuttosto il risultato naturale di determinate circostanze del tutto
umane, determinate dalla sua cosiddetta “teoria degli umori”, secondo la quale il corpo umano
sarebbe governato da un insieme di quattro umori diversi (sangue, bile gialla e nera, flegma) che,
combinandosi tra di loro in diverse proporzioni, potevano portare l'individuo allo stato di salute o,
viceversa, di malattia.
Ma il suo traguardo più grande è stato quello non strettamente scientifico ma sociale e
morale, che riconoscono tutti coloro che vogliono intraprendere la professione medica: sto parlando
del giuramento a lui attribuito, che mostra un senso di profonda consapevolezza e di convinta
responsabilità per il compito del medico, la necessità di vincolare il medico con un patto reciproco
al suo paziente, l’impegno ad operare sempre nell’interesse della vita con una espressa volontà a
non danneggiare e commettere ingiustizie, a non somministrare farmaci letali o abortivi, a rispettare
la riservatezza; insomma, un vero e proprio codice deontologico del medico, il primo.
1 Aristotele, Politica, 1286 A.
Questo giuramento vi è tuttora, in una versione modificata, ma i cui contenuti di base sono
assai simili a quelli di migliaia di anni fa: i valori, le virtù che i medici dovrebbero seguire sono gli
stessi anche nella società attuale.
Il percorso di un aspirante medico è oggi molto diverso e complesso, tuttavia molti giovani,
me compresa, vedono in questo mestiere di abilità, moralità e scienza una via per il futuro.
Una cosa che a mio parere bisognerebbe insegnare di più è proprio la condotta e i principi
morali, non solo in medicina ma in ogni campo, così da trasmettere non solo il sapere oggettivo,
ovvero quello scritto sui libri e di cui tutti possono fare uso, ma anche quello soggettivo, più
difficile da comprendere e che infatti oggi va scomparendo; anche se la nostra società è quella del
progresso, ne vediamo solo uno tecnologico, materialista, mentre quello interiore, quello che ci
arricchisce veramente, viene trascurato.
L’etica della professione medica può migliorare non solo la qualità del lavoro ma anche le
persone stesse; ogni sistema, compreso quello della medicina, si basa su ciò che noi esseri umani
scegliamo di fare e di essere, basta solo scegliere la cosa giusta per gli altri prima che per noi stessi,
mantenendo responsabilità, impegno, solidarietà, dignità e rispetto come afferma il giuramento
moderno stesso; questo gli antichi Greci lo avevano capito molto prima e meglio di noi.
Sono queste cose semplici, ma spesso rare, che rendono onore a un dottore e alla sua
professione, e anche nell’antichità i medici più famosi erano proprio quelli che riscuotevano più
successi nelle cure e nella professionalità, mentre gli insuccessi nuocevano ai dottori in quanto la
voce di un fallimento arrivava nei vari luoghi prima ancora che il medico vi fosse giunto, e la sua
carriera veniva irrimediabilmente compromessa.
Sebbene in tutto il mondo la professione medica sia integrata nelle diverse culture e
tradizioni nazionali, i suoi membri condividono ovunque il ruolo di guaritori; in quasi tutte le civiltà
e società la pratica medica dell’era moderna si trova ad affrontare forze politiche, legali e di
mercato. Queste sfide riguardano le crescenti disparità tra i legittimi bisogni dei pazienti, le risorse
disponibili alla loro soddisfazione, la maggiore dipendenza dei sistemi sanitari dalle forze di
mercato e la pericolosa tentazione dei medici di rinunciare al loro tradizionale impegno verso il
benessere e l’interesse dei pazienti.
Per tener fede al contratto sociale della medicina in questi tempi turbolenti credo che i
medici debbano riaffermare i principi e i valori fondamentali ed universali della professionalità,
ideali che ogni medico deve perseguire. Ciò richiede non solo impegno personale per il benessere
dei pazienti, ma anche sforzi collettivi volti a migliorare il sistema sanitario per il benessere della
società.
In summa, il vero medico è colui che opera con scienza e coscienza.