Estratto Libro L'occhiale da necessità a virtù

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Uno strumento ottico fra design e moda nell’incontro con i protagonisti L’occhiale da necessità a virtù Benedetta Terenzi Fabiano Editore

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Uno strumento ottico fra design e moda nell’incontro con i protagonisti

L’occhiale da necessità a virtù

Benedetta Terenzi

Fabiano Editore

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© Copyright 2013FGE srl - Fabiano Gruppo Editoriale

Reg. San Giovanni, 40 – 14053 Canelli (AT)Tel. 0141 1768908 – Fax 0141 1768900

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Gli Autori e l’Editore declinano ogni responsabilità per eventuali errori contenuti nel testo.Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione totale o parziale.

Prima edizione: Marzo 2013

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Fin da oggi e per il prossimo e lontano futuro siamo tutti chiamati a una sfida definitiva tra la nostalgia che si alimenta di superbia e di paura e la speranza che è fatta di modestia e di coraggio.

Marco Zanuso

a Michele e a Paolo

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L’occhiale da necessità a virtùUno strumento ottico tra moda e design nell’incontro con i protagonistidi Benedetta Terenzi

Coordinamento scientifi coAlessandro Ubertazzi

Coordinamento redazionaleElisabetta Benelli

Testi diMichele Argentino, Sergio Baratelli,Mario Casini,Medardo Chiapponi,Marisa Del Vecchio,Francesco Gili,Cirillo Marcolin,Regina Rossi,Vittorio Tabacchi,Benedetta Terenzi,Francesco Trabucco,Alessandro Ubertazzi.

Segreteria di redazioneBarbara Aliverti

Progetto grafi co e impaginazioneGiulia PeruzziBenedetta Terenzi

Fotolito e stampaFGE srl

Editore Fabiano Gruppo Editoriale

Codice ISBN 978-88-97929-20-8

Tutti i diritti riservati.

Patrocini

Questo volume costituisce la conclusione di un’attività di ricerca scientifi ca svolta presso il Dipartimento di Tecnologie dell’Architettura e Design della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze, essa è stata fi nanziata da 20/20 Europe, Fabiano Gruppo Editoriale, e ne rappresenta la diffusione. Il testo è stato concepito e curato da Benedetta Terenzi sotto la direzione scientifi ca di Alessandro Ubertazzi:il volume contiene altresì contributi di vari autori la cui responsabilità ricade su ciascuno di essi separatamente.

Le immagini degli occhiali che illustrano le interviste dei singoli designers e degli operatori del settore e i reportages sull’uso dell’occhiale nella formazione dell’immagine personale, sono state espressamente realizzate da Ambra Ruffaldi Santori.

Altre immagini sono rispettivamente attinte dall’archivio di:

Anfao,Michele Argentino, Sergio Baratelli,Dante Caretti,Mario Casini,Florence Design,Francesco Gili,Luxottica,LYF,Mazzucchelli 1849,Museo “Ottiche e Occhiali" di Agordo,Museo dell’occhiale di Pieve di Cadore,Studio Ostinet,Laura Rattaro,Benedetta Terenzi,Francesco Trabucco,Alessandro Ubertazzi, 20/20 Europe.

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Sommario

2 E l’occhiale spicca il volo! presentazione di Cirillo Marcolin 4 Il museo degli occhiali: un libro di testo per futuri designers riflessioni di Marisa Del Vecchio 12 Il Cadore, la culla naturale dell’occhiale contributo di Vittorio Tabacchi

Prefazioni 14 L’occhiale come complemento di un corpo…incompiuto di Michele Argentino 18 Occhiali e design. Stabilità tipologica e innovazioni di Medardo Chiapponi 21 Ma perché gli occhiali? Una questione di design di Francesco Trabucco 29 Tranne curiosamente l'occhiale di Alessandro Ubertazzi

34 Dall’occhiale alla città contributo di Francesco Gili 38 Un materiale dall'indole postmoderna contributo di Regina Rossi 58 C'era una volta la pubblicità contributo di Sergio Baratelli 66 Da artigiano dello stile a manager designer contributo di Massimo Zuccarelli

68 Il punto di vista dei progettisti 72 Cultura e design dell'occhiale

Incontri con designers e operatori del settore interviste effettuate da Benedetta Terenzi112 Paolo Albasini124 Erica Chiereghin140 Alessandro Da Forno158 Roberto Ostinet 170 Bruno Palmegiani190 Laura Rattaro204 Paolo Seminara230 Enzo Sopracolle248 Giovanni Vitaloni/Irene Chinaglia264 Dante Caretti

276 Materiali e tecnologie per l’occhiale contributo tecnico di Mario Casini

298 Bibliografia

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E l’occhiale spicca il volo!presentazione di Cirillo Marcolin,presidente di ANFAO

Rivela inconsapevolmente un’allure quasi magica: avvicina quello che non vediamo o, all’occorrenza, lo allontana. Strumento di straordinaria espressività e carattere, oggetto fashion e/o di design, l’occhiale da vista restituisce nitidezza al mondo che ci circonda e, al tempo stesso, è pro-tagonista assoluto del vedere e del farsi vedere. Scrollatasi di dosso la riduttiva definizione di strumento correttivo, è assurto di diritto nell’empireo degli accessori tout-court. La sua evoluzi-one più moderna – da sole – lo accompagna in questo iter formativo, sospesa nel dinamico (quanto instabile) equilibrio tra moda e protezi-one. Unico oggetto da sfoggiare sul viso - regala distinzione, rende esclusivi, racconta qualcosa di sé. Non a caso tanti personaggi – della vita reale così come della finzione – sono entrati nell’immaginario collettivo pro-prio grazie alla sua forza espressiva, risultato di una storia lunga otto secoli e capace di rinnovarsi, riproporsi, reinventarsi grazie a una crea-tività che ha attinto ispirazione dalle fonti più disparate. Questo libro è un omaggio a questo cammino di emancipazione, un riconoscimento al prestigio di uno strumento che, pur nella semplicità del suo essere, è riuscito a imporsi e proporsi in vesti sempre nuove. Complice anche l’entusiasmo, la voglia di creare, la professionalità degli eyewear designers. Attraverso la loro curiosità a tutto tondo, il loro percorso costruttivo, i loro racconti e le loro esperienze scopriamo la passione e l’estro che alimentano il progetto-occhiale. Le loro capac-ità progettuali sono andate a colmare un vuoto, a rispondere a un deside-rio spesso ignorato dall’industria della produzione in serie, ovvero alla richiesta del consumatore di prodotti che fossero altro, che raccontasse-ro una storia diversa rispetto alla serialità e, inevitabile, omologazione dell’occhiale di moda. Essi non solo e non più “oggetto del desiderio”, mutevole e capriccioso estimatore delle mode del momento, l’occhiale oggi è diventato qual-cosa di più, forse un nuovo compagno del nostro vivere quotidiano.Le interviste raccolte in questo libro ci permettono di cogliere la sottile quanto fondamentale differenza tra moda – realtà mordi e fuggi – e design – progetto più a lungo termine, destinato a durare nel tempo – di respirare il know-how che sta dietro la creazione di questi strumenti, di coglierne gli spunti creativi, di oggi e di ieri. Ascoltare tutto, ispirarsi a tutto, questa è la forza vincente, che proietta sull’accessorio la ricet-tività unica che lo contraddistingue, capace di creare e ricreare orizzonti sempre nuovi.

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Punto focale dell’anima, possibilità espressiva, tanti pezzi che creano un oggetto complesso, un accessorio che ti permette di essere quello che vuoi essere, un prodotto che soddisfa il piacere di indossarlo, maschera del carattere e vestito del viso: ecco solo alcune delle definizioni date all’occhiale dai protagonisti del libro. Mi chiedo quanti altri oggetti possano condividere descrizioni così complesse e articolate in cui con-vivono variabili tecniche ed emotive. E allora penso che l’industria italiana dell’occhiale debba far leva proprio su questo bagaglio pratico-emozionale per ribadire la propria eccellenza, non soltanto dal punto di vista produttivo.Il successo di questo piccolo grande oggetto non è tanto nello sfoggio ormai usuale su nasi di personaggi famosi che ne hanno colto la forte capacità evocativa, la grande vittoria di questo piccolo oggetto è nell’uso quotidiano che ne fa la gente comune. E’ la dimostrazione che da “bruco” l’occhiale oggi è diventato “farfalla”. E ora spicca il volo!

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Il museo degli occhiali: un libro di testo per futuri designersriflessioni di Marisa Del Vecchio,responsabile del Museo "Ottiche e Occhiali" di Luxottica

Ho conosciuto Alessandro Ubertazzi nel 1991. In quell’anno festeggiava-mo i trent’anni dalla nascita di Luxottica e, con l’occasione, l’architetto curò la stesura della prima monografia sull’azienda.Quando l’ho rivisto, poco tempo fa, mi ha chiesto se potevo scrivere la prefazione di un libro sul design negli occhiali: mi ha convinto dicendo che avrei potuto sviluppare qualche riflessione storica, dato che mi occu-po del museo Luxottica, una collezione che conta più di mille pezzi che vanno dal 1600 ai giorni nostri.Il museo dell’occhiale di Agordo è nato nel 1990 in seguito all’acquisto di un'importante raccolta, frutto della passione di Fritz Rathschuler, un ottico genovese di origini austriache, che è andata ad aggiungersi ad altre collezioni più piccole già in nostro possesso.Ho curato fin dall’inizio ogni fase dell’allestimento e, analizzando i vari pezzi, ho scoperto quante e quali soluzioni fossero state trovate nel tem-po per rendere gli occhiali sempre più consoni ai bisogni delle persone. Effettivamente, l’osservazione di quei pezzi fornisce l’ulteriore conferma del fatto che una delle spinte più potenti del progresso è stata e sarà sem-pre la necessità. La ricerca, infatti, è dettata dal desiderio di migliorare la condizione di vita, di porre rimedio a qualche disagio.

Nella pagina precedente:Museo "Ottiche e Occhiali" di Luxottica Agordo (BL).

Accanto:modello di occhialida parrucca.

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Inventato da un vetraio veneziano verso il 1280, nel corso dei secoli molti artigiani hanno affinato la fattura di questo strumento e risolto molti pro-blemi di praticità e di calzata: dall’occhiale ad arco che necessitava della mano per essere retto si è passati a quello da parrucca, poi al tempiale e così via. Solamente nel 1700 il sistema che usiamo ancora oggi prende piede: due astine che poggiano sulle orecchie. Per raggiungere una tecnica che ren-desse stabile l’occhiale sul viso, ci sono voluti cinque secoli di tentativi. In quel periodo l’occhiale entrava pian piano a far parte della vita quoti-diana di un numero sempre maggiore di persone e la sua produzione, di conseguenza, aumentava di pari passo. In Germania, e più precisamente a Norimberga, già esistevano piccole aziende che producevano occhiali in serie; fabbricati in profilato di ferro, erano tutti simili tra loro e soprattutto poco costosi. Sicuramente quella produzione ha dato un grande contributo alla loro divulgazione poiché il costo limitato dava l’opportunità di acquistarli anche alle persone comuni, e non solo ai nobili.La maggiore richiesta ha fatto sí che un numero sempre più esteso di arti-giani scegliessero la professione di occhialaio, stimolandoli a ricercare le soluzioni migliori per battere la concorrenza.Alla fine del Settecento l’occhiale era diventato un oggetto di uso comune e iniziava a delinearsi la figura del designer. Mentre alcuni costruttori cercano di accontentare la crescente richiesta dei clienti aumentando la produzione, altri più attenti sperimentano nuove forme e meccanismi, come cerniere e bussole, più funzionali ed estetica-mente più gradevoli che migliorano ulteriormente la stabilità e l’appoggio sul naso.

Accanto:modello di occhiali ad arco in fanone di balena, XVII secolo.

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Sopra:antichi occhiali fabbricati a Norimberga in profilato di ferro.

Accanto:occhiali realizzati in filo di acciaio cosidetti "fili".

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In alcuni modelli si riscontrano soluzioni e raffinatezze che solo chi co-nosceva a fondo le problematiche di questi oggetti poteva concepire.Nel tempo si sperimentano nuovi materiali, nuove leghe di metallo che permettono di realizzare profilati sempre più sottili, fino ad arrivare ai fili di acciaio. Questa tecnologia, applicata a materiali come l’oro, l’argento e la tar-taruga, porta alla produzione di modelli sempre più eleganti che attira-no anche il pubblico più esclusivo che fino ad allora aveva optato per fassamano¹ e cannocchialini.Malgrado tutte le migliorie, l’occhiale era ancora considerato dai più come una protesi: oggettivamente chi poteva farne a meno, era ritenuto molto fortunato.E’ solo dopo la metà del Novecento che l’occhiale incomincia a interes-sare il mondo del cinema e della moda: gli attori li portano con disin-voltura e gli stilisti affermati li disegnano e li fanno indossare alle loro modelle in sfilata. Il primo tra loro è il mitico Christian Dior, che crea un modello da sole in celluloide e smalti: spettacolare, ma troppo pesan-te e praticamente… importabile. La sua, però, è’ una provocazione che stimola un nuovo must: l’occhiale come accessorio! Ho invitato spesso gli studenti di design a visitare il nostro museo per-ché vi sono custoditi occhiali, astucci e altro materiale per il settore ottico concepiti secondo logiche che rivelano una straordinaria attualità, sia sotto il profilo della purezza formale che dell’immagine tecnologica e materica. La ricchezza di spunti è incredibile: molti oggetti di allora potrebbero essere riprodotti ancora oggi tali e quali, come gli occhiali creati per la prima volta, intorno al 1830, a Vienna dagli ottici Voigtlän-der e Waldestein.

Sotto:montatura per occhialeda sole in celluloide e smalti concepita da Christian Dior.

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Alcuni di quei modelli potrebbero tranquillamente essere esposti al MOMA di New York o in qualsiasi altro museo di arte moderna e con-temporanea, come frutto del lavoro di designers odierni. Come, per un futuro architetto, è importante conoscere gli esempi del passato, così anche per chi vuole diventare disegnatore di occhiali, l’os-servazione e lo studio di ciò che è stato già fatto in questo campo può essere davvero stimolante e significativo. In tal senso, si può dire che, se osservato con attenzione, il nostro museo può essere paragonato a un libro di testo per futuri designers.

Accanto:occhiali dal raffinato design; anonimo del XIX secolo.

Sotto:occhiali realizzati dagli ottici Voigtländer e Waldstein attorno al 1830.

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Alcuni di questi esemplari sono così raffinati che sembra difficile spin-gersi oltre e sono sicuramente di esempio perché essi possono trasfonde-re, con altrettanta forza, la bellezza nei loro futuri progetti.Spesso i nuovi modelli di oggi sono la rivisitazione di forme del secolo scorso; d’altronde la moda in generale prende spunti anche dal passato. Ci sono dei modelli definiti “classici” che hanno avuto una grande dif-fusione nel secolo scorso e, riproposti oggi, riscontrano pari successo se non maggiore. Un esempio è il famoso “aviator” della Ray Ban: questo modello, nato nel 1937, con i suoi alti e bassi ha resistito alle mode fino ai giorni nostri ed è ancora molto apprezzato.Inoltre la sua forma si adatta bene a quasi tutte le tipologie di viso. In maniera un po’ audace, mi piace pensare che, forse inconsciamente, chi lo ha progettato abbia seguito i parametri della cosiddetta “sezio-ne aurea”. Infatti, come dimostrato più volte, sia in natura sia create dall’uomo, esistono alcune forme che rispondono ai requisiti della “pro-porzione divina”. Queste forme, più di altre, presentano un equilibrio e un’armonia tali da resistere alle mode e allo scorrere del tempo.Per finire, vorrei porre l’accento sull’equilibrio; si può parlare di equili-brio fisico e di quello visivo. Quest’ultimo è un fattore molto importante nell’accessorio occhiale, sicuramente più importante che in qualsiasi altro accessorio di moda.L’occhiale va posto sul viso, che è la parte del nostro corpo cui teniamo di più; a chi lo indossa, esso deve dare la sensazione di essere pronto ad affrontare positivamente la giornata o una speciale occasione. Oggi non è più sufficiente che l’occhiale abbia una buona calzata e che risponda ai requisiti tecnici delle lenti; una volta indossato, dobbiamo essere certi che ci renda esteticamente migliori e, soprattutto, che corri-sponda all’immagine che vogliamo dare di noi agli altri.

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L’uso dell’occhiale ha una forte componente psicologica della quale il designer deve tenere conto. Come lo stilista nella moda, il designer deve avere la capacità di percepire in anticipo i mutamenti e i desideri della società e dare un indirizzo, un modello da seguire. Quando diversi stilisti, pur lavorando ognuno per sé, propongono soluzioni simili, signi-fica che sono riusciti a leggere il desiderio latente del pubblico; questo spiega anche perché spesso vengano proposti vecchi modelli rivisitati. Come per la storia, anche per la moda, a un periodo di rivoluzioni ed ec-cessi seguono momenti di riflessione e ricerca di equilibrio che occorro-no per correggere e consolidare gli obiettivi raggiunti. Questo fenomeno si riscontra anche nell’andamento di un’azienda o nella stessa politica con l’alternarsi dei governi.Spesso ritornare a qualcosa di già visto dá un senso di sicurezza, fa sen-tire protetti dall’imprevedibile.Fortunatamente l’animo umano presenta molteplici sfaccettature e questo determina una varietà di aspirazioni e desideri tali da creare ter-reno fertile per la creatività dei designers: essi potranno così spaziare dall’estetica alla tecnologia, ai nuovi materiali, perfezionando il lavoro dei loro predecessori.

Note:fassamano: il termine deriva dal francese "face à main" (faccia a mano) e comprende tutti quegli occhiali che non venivano indossati sul naso o sul viso ma che avevano un'impugnatura per poterli reggere davanti agli occhi.

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Nella pagina precedente:modello “Aviator” concepito dalla Ray Ban nel 1937.

Sotto:occhiale Persol, marchio creato da Giuseppe Ratti nel 1917.

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Il Cadore, la culla naturale dell’occhialecontributo di Vittorio Tabacchi,presidente della Fondazione Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore

La storia degli occhiali è anche un racconto esemplare del made in Italy e svela manie, abitudini, vezzi di una società che si è trasformata nel tempo lanciando i segnali di cambiamento anche attraverso l’arte, il design, la moda e gli accessori. Una storia piena di fascino, che vale la pena conoscere fin dal suo principio. Se prende il via nella Venezia del XIII secolo, è però nel Cadore che ha trovato la sua culla naturale. E’ qui, dove l’arte vetraria è cultura e tradizione, che l’occhialeria trova la sua naturale evoluzione; è qui che nel 1878 viene inaugurata la prima vera fabbrica di occhiali; è in questa terra di confine, dagli inverni rigidi e dalle estati miti ma brevi, dove la natura è un equilibrio perfetto tra rigide regole e generose bellezza, che l’occhiale scrive la sua storia. In questo contesto ha preso vita il Museo dell’occhiale che racconta il percorso di questo accessorio - dal XV se-colo ai giorni nostri - attraverso gli oltre quattromila pezzi che vengono esposti a rotazione. Un cammino lungo, fatto di radici e innovazione e assurto nel tempo a simbolo di una filiera di eccellenza tutta italiana, che ha attinto la sua ispirazione sia dal suo bagaglio di tradizione che dai mondi in cui inevitabilmente si è trovata proiettata: quelli della moda e del design. E’ la forza di questo oggetto, una delle invenzioni più geniali della storia, che difficilmente lo farà passare di moda - grazie anche alla sua natura bifronte di strumento a metà strada tra il correttivo, il protetti-vo e il creativo: la capacità di evolversi al passo con i tempi, pur conser-vando una sua autonomia e una sua personalità. Il merito? Sicuramente quello di avere un passato “illustre”, costruito nei secoli, che si è rinver-dito grazie al contributo inventivo delle aziende dell’occhialeria. La storia della passione, della fantasia e del lavoro che emerge dalle pagine di questo libro, la respiriamo anche nel Museo dell’occhiale di Pieve di Cadore, quando il nostro sguardo scorre veloce tra le teche e si sofferma sui pezzi delle collezioni, ripercorre i secoli di storia, ne acca-rezza la forza espressiva. Oggi, portare gli occhiali è un’opportunità, produrli altrettanto. La tecnologia legata al mondo dell’ottica sa toccare picchi di creatività davvero notevoli e sorprendenti. Un grande contributo a tale evoluzione è stato dato dalla crescente cultura dell’immagine che permea la no-stra società: in una realtà in cui l’apparenza sovrasta nettamene gli altri aspetti, l’occhiale che “decora” il volto spicca sugli altri accessori e, liberatosi di un passato scomodo che lo relegava nel ruolo secondario di protesi (se non addirittura di condanna), oggi ricopre a pieno titolo un ruolo da comprimario. Questa antologia dell’occhiale da necessità a vir-tù ha il grande pregio di un approccio moderno all’argomento.

Nella pagina precedente:Museo dell’occhiale di Pieve in Cadore (Bl).

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L'occhiale come complemento di un corpo incompiutodi Michele Argentino, architettoprofessore ordinario di Disegno Industriale a Palermo

Avevo tredici anni quando l’oftalmologo sentenziò che ci vedevo come una talpa. Dovevo mettermi gli occhiali. Mi sono sentito mancare; ero molto carino; mi piacevo ma qualcuno, lassù, aveva deciso che dovessi diventare brutto!Mi chiusi in camera per molto tempo rispondendo sgarbatamente a chiunque tentasse di convincermi che “la cosa” non era poi cosi grave. Dovevo soltanto scegliermi una montatura (sigh!)¹ idonea e sarei stato carino lo stesso.Io, invece, mi sentivo come uno che avesse preso una coltellata in fac-cia; mi vedevo canzonato (quattrocchi, quattrocchi…) dai miei feroci compagni di classe e vedevo i risolini delle mie amatissime compagne-tte, e soprattutto di una….Sognavo di diventare uno spaventoso paio di occhiali senza niente sotto, insomma mi disperavo e piangevo.Esaurite le lacrime e la rabbia, dopo qualche tempo decisi di venire allo scoperto e di affrontare la situazione prendendola addirittura di petto.Ritenni ogni proposta dell’ottico un’aggravante del mio disagio e dopo avere, con grande pregiudizio, passato in rassegna tutte le collezioni, mi diedi a una fuga disonorevole.Cominciai, al buio nel mio covo, a rimuginare sulla mia nuova con-dizione d’invalido, costretto a portare una protesi evidente che mi face-va sentire un Gambadilegno o piuttosto un Capitan Uncino la cui cat-tiveria era stata certamente alimentata da quell’appendice. Pensai bene di comprarmi un enorme occhialone scuro per negare al mondo i miei occhioni, che tanto appassionavano le mie professoresse.Ottenni però un successo insperato; i miei compagni mi trovarono curi-oso al punto di tributarmi una notevole quantità di complimenti mentre le ragazzine si interessarono a questa nuova tenebrosa figura. Anche l’ottico ne trasse vantaggio poichè dovette incrementare la ven-dita di occhiali simili ai miei. Superato l’handicap, coraggiosamente, dopo qualche anno ottenni lo stesso risultato con un paio di occhiali tondi che porto ancora oggi.Verso i vent’anni diventai un divoratore di libri, forse anche per via di quell’occhiale tondo che mi dava un’aria da saputello. Un libro di Sombart² sulla moda mi fece capire che seguire le fogge più comuni poteva essere un modo per passare più inosservato possibile.Ma il libro che mi fece stare finalmente tranquillo suggerendomi che la protesi poteva anche essere il necessario complemento di un “corpo in-compiuto”, fu un di libro di Bernard Rudofsky³.

In alto: Michele Argentino,Michele Argentino con Ettore Sottsass.

Nella pagina successiva,da sx in alto: Woody Allen Andy Warhol,Elton John,Che Guevara,Steve Jobs,Le Corbusier,Aristotele Onassis,John Lennon,Yasser Arafat, Winston Churchill,Paperon de Paperoni,Fidel Castro.

Per estetica, per mistica, per folklore, per la guerra e per le più diverse ragioni, fin dalla antichità l’umanità si è stretta i piedi, allungata i colli,

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dilatata le labbra, tatuati e incisi i corpi con inteventi mutilanti e de-formanti; ancora, si è messa addosso armamentari di ogni tipo alcuni dolorosissimi come corpetti strettissimi, impalcature ossee o lignee, armature pesanti e puntute, ornamenti apotropaici tintinnanti, maschere rituali e parrucconi incipriati, colletti rigidi e inamidati, elmi e cappelli, tacchi a spillo e scarpe a punta.Cosa non si è fatto per adeguare i corpi alle esigenze dei tempi nel ten-tativo di rendersi più attraenti!Degli occhiali da vista e da sole si è fatto un modo per completare l’incertezza del proprio corpo. Da semplice strumento per ripararsi dal sole e migliorare la vista, l’occhiale si è incarnato in una prosecuzione del corpo: una sorta di maschera che aiuta a imporre una nuova imma- gine di sé, con impiego di materiali e tecnologie sempre più sofisticati.L’immagine che ognuno vuole dare di sé sarebbe monca senza questa cornice di complemento.Nel nostro immaginario alcune icone storiche o contemporanee sareb-bero inimmaginabili, e non sarebbe per alcuni neanche possibile essere ricordati con la faccia originale.Le Corbusier, Onassis, Elton John sono tutt’uno con gli occhiali, così non sarebbe possibile inquadrare chiaramente Sadat senza baffi, Castro e Churchill senza sigaro, il Che senza barba e Arafat senza sciarpa.Il loro contributo resta indissolubilmente legato alla compiutezza ritro-vata del loro corpo.

Note:Montatura - Devoto-Oli – Deformazione macchinosa intesa a esagerare l’importanza di qualcosa.W. Sombart, 1913, Luxus und Kapitalismus, München, Duncker & Humblot; trad. it. 1988, Lusso e capitalismo, Milano, Unicopli.Bernard Rudofsky, Il corpo incompiuto, Mondadori, Milano 1971.

L’architetto Michele Argentino è professore ordinario di Disegno Industriale e presidente del Corso di Laurea di Designo Industriale alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo

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Nella pagina successiva, da sx in alto: Mina, Arisa,Regina Elisabetta, Audrey Hepburn, Sofia Loren, Loredana Berté, donna con burqa, Marylin Monroe, Mariastella Gelmini, Madonna, Crudelia Demon, Jacqueline Kennedy.

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Colloquio con Paolo AlbasiniEyewear designer, imprenditore, artigiano

Nome: LP124Griffe: Linea PittiDitta produttrice: Optical Florence DesignAnno di progettazione: 1987Materiali impiegati: Acetato in lastra e metallo Peculiarità: Prime sperimentazioni per impreziosire le aste con parti metalliche doratura e lavorateNome: prototipo Griffe: LuxuryDitta produttrice: Florence Design Anno di progettazione: 2011Materiali impiegati: frontale in lastra di acetato con filtri CR39, aste in metallo con swarovskiPeculiarità: molto leggero, particolare snodo dell'asta con cerchi che ruotano in asse l'uno sull'altro

Alla progettazione di occhiali sono giunto per caso. Da ragazzo ho frequentato la scuola alberghiera, ho preso il diploma e successivamente sono partito per fare il militare; al ritorno sono stato assunto come magazziniere in una azienda di occhiali.Dal momento che conoscevo bene alcune lingue straniere, sono passato a tenere tutti i rapporti commerciali di quell’azienda e, soprattutto, a par-tecipare con loro alle fiere, in Italia e all’estero. La cosa mi è piaciuta molto fin da subito e mi ha dato notevole soddisfazione in quanto, per carattere, ap-prezzo particolarmente i contatti umani.Quella ditta, in seguito, si trasferì e io rimasi senza lavoro. A quel punto, mi sono detto che, probabil-mente, ciò che facevo per loro come dipendente ero in grado di farlo in maniera autonoma. Così presi un foglio di carta e cominciai a disegnare. I primi

disegni che feci, in realtà, erano semplici schizzi; prima di allora non mi ero mai cimentato in quel genere di esperienze e comunque iniziai a fissare le idee che avevo, tutto quello che mi veniva in mente.Pian piano mi sono affinato e ho cominciato a capi-re come disegnare, quali cose potevo effettivamente realizzare e quali erano destinate a rimanere solo un’idea. Con l’esperienza mi sono reso conto che non tut-to quello che si disegna è tecnicamente possibile realizzarlo e infatti dipende, di volta in volta, dalla specificità dei materiali e dalle tecnologie a dispo-sizione.Nel passaggio dallo schizzo all’oggetto si eviden-ziano precisi problemi legati alla lavorazione dell’oggetto finale e dei suoi componenti: alcuni materiali, ad esempio, possono essere lavorati

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“in piatto”, altri “in rotondo”, altri ancora “in smerigliato”; bisogna tenere in considerazione le centrature e tanti altri parametri. Frequentando le fabbriche e cominciando ad ac-quisire una conoscenza specifica delle tecnologie a loro disposizione, i disegni che facevo si avvicina-vano sempre di più a descrivere quello che sarebbe potuto essere il prodotto finale; il pezzo che avevo in mente si adattava automaticamente al materiale che volevo utilizzare e alle tecnologie che avevo a disposizione.Quello che io concepisco, in realtà è un prodotto molto particolare: fin da trentadue anni fa, quando ho iniziato, ho sempre fatto delle cose “importan-ti” perché non mi sentivo di pensare occhiali che seguissero pedissequamente il trend del settore; ho cominciato a lavorare con materiali preziosi e particolari, facevo montature in avorio e oro, utilizzavo la tartaruga vera (sia quella chiara che quella scura), sempre con fili d’oro che si intrec-ciavano. Ovviamente, con le restrizioni successive legate alla produzione e al commercio dei materiali di specie protette, ne ho dovuto abbandonare l’uso.A quel punto, quello che non potevo più fare con l’avorio o la tartaruga ho cominciato a farlo con le materie plastiche, arricchendole di volta in volta con "swarovski" piuttosto che con lacche cinesi, cercando di fare così sempre cose diverse da quelle corrispondenti all’andamento del momento. Ancora oggi sono quello…fuori dalle righe.Quando cominciai la mia attività andavano molto le aziende di occhiali francesi. La prima azienda nella quale ho lavorato si chia-mava Tod Ao; essa distribuiva in Italia Givency, Patou e Lafont per il mercato italiano alle quali ben presto, intorno al 1976, fu affiancata la prima linea prodotta in proprio e in distribuzione mon-diale di uno stilista all’epoca già molto conosciuto, Roberto Capucci, il primo tentativo di contrastare il potere assoluto imposto da Nina Ricci e Chri-stian Dior. Resto ancora oggi dell’idea che se il signor Todi-sco, il titolare dell’azienda, avesse continuato la strada allora intrapresa sarebbe stato lui, oggi, al vertice del mondo dell’occhialeria.

Nel settore degli occhiali ho fatto tante esperienze, sostanzialmente sempre scandite dalle fiere; ritengo infatti che, nel nostro settore, le fiere rappresentino un vero e proprio esame. Ogni anno c’erano due di questi momenti di verifica ed erano rappresen-tati dalle due fiere più importanti allora esistenti, quella di Milano e quella di Parigi. In quella cir-costanza avveniva il vero confronto con il mercato, ci si esponeva al cliente e si aveva modo di vedere

direttamente e immediatamente la risposta del pub-blico alle nostre proposte.Per i motivi che ho esposto, il cliente della mia azienda è sempre stato legato a un prodotto par-ticolare e diverso. Dopo che aveva imparato a conoscermi, era lui stesso che mi cercava perché sapeva già quello che poteva trovare da me: un prodotto diverso dotato di spiccata personalità. Se attraverso i miei occhiali riuscivo a trasmettere ciò che avevo in mente, al tempo stesso, il cliente riu-sciva a percepire il valore del mio lavoro e per me la fiera andava bene; l’idea che avevo in testa, che avevo dapprima fissato sulla carta e che mi era ser-vita per progettare e realizzare l’oggetto pensato, alla fine si era trasformata nel prodotto che espo-nevo. Quando il frutto del lavoro di sei mesi viene apprezzato dal cliente si scopre che tutto il nostro lavoro ha un senso. Senza le fiere non riuscirei a vi-vere; questo importante momento di confronto, che ogni volta mi dà la possibilità di mettermi in gioco, è lo stimolo che mi dà la forza per continuare, per cercare sempre cose nuove, nuovi stimoli, nuove energie.Non sempre tutto va bene; può anche succedere che i messaggi e le sensazioni che hai percepito in modo forte e che hai riportato con entusiasmo e convinzione col tuo lavoro magari non vengano accolti adeguatamente dal cliente; questo fenome-no mi è capitato, ad esempio, tre anni fa, quando avevo elaborato una collezione fatta interamente di vere pietre dure. In quella occasione avevo fatto realizzare, da una ditta specializzata in mosaici fio-rentini, delle pietre minuscole con disegni elaborati e minuziosi (un lavoro di alto artigianato) ma, al momento del confronto nella fiera, quella intuizione non riscosse il consenso del pubblico.Il segreto per ottenere maggiore riscontro alle pro-prie idee è trovare il vero connubio tra quello che tu senti di proporre e quello che il mercato richiede in quel momento, quello che la gente alla fine com-pra. Secondo la mia esperienza, si tratta sempre delle vie di mezzo. Io cerco di non essere mai ba-nale e, per questo, alcune volte sono andato troppo oltre, ho anticipato i tempi. La conseguenza è che riesco a vendere bene le mie collezioni anche due o tre anni dopo averle presentate.Il 1992 ha segnato una importante tappa del mio percorso professionale. In quell’anno ho presentato l’occhiale “a mascherina” che, per allora, era una cosa molto innovativa e i risultati furono molto appaganti, anche dal punto di vista finanziario. Ricordo ancora quanto fosse gratificante sentirsi per la prima volta continuamente ricercato dalla maggior parte dei negozi e dai grossisti esteri.Quel prodotto fu veramente un grande successo e

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fu anche il prodotto che permise alla mia azienda di allargare notevolmente il mercato, di comin-ciare a farsi conoscere e ad accedere al campo della moda. Ebbi così la possibilità di entrare in contatto con molti stilisti e di cominciare a pro-durre occhiali anche per le loro linee. Le maggiori risorse finanziare a disposizione ci permisero di farci conoscere meglio, di fare concorsi, di investi-re maggiormente in pubblicità anche su importanti riviste di moda.Gli anni successivi, purtroppo, registrarono un susseguirsi di eventi negativi a livello mondiale che ci hanno impedito di raggiungere grandi livel-li: circa l’ottanta per cento della mia produzione, infatti, era ed è molto apprezzato dagli americani e dai russi e in seguito alla distruzione delle Torri Gemelle di New York, c’è stato un susseguirsi di sconvolgimenti politico-economici che sono pesati in modo particolare su una azienda come la mia.Da qui la necessità di cambiare il nostro siste-ma produttivo, selezionando ed elaborando un prodotto sempre più di nicchia e soprattutto di realizzare ciò che per le grandi aziende o le grandi multinazionali era davvero antiproduttivo e con dei costi antieconomici. La mia azienda, adesso, produce un numero limitato di pezzi a un prezzo fi-

nale elevato in gran parte dovuto al valore effettivo della materia prima utilizzata e alla qualità e alla quantità di lavoro necessario per realizzare ogni singolo occhiale.

I fattori che hanno influenzato e continuano a in-fluenzare il mio lavoro di creativo sono davvero molteplici; in questo senso posso raccontarti come avviene il mio processo creativo. Ci sono tanti pic-coli flash che di continuo mi passano nella mente e che sono il frutto delle esperienze più disparate, dalla sfilata di moda che ho visto all’oggetto os-servato per strada; le suggestioni provengono dal repertorio quotidiano di immagini, di situazioni, di colori e sono tutte informazioni che la testa assorbe e poi rilascia sotto forma di nuovi impulsi. Non so con precisione come accade; io non seguo i trends del mercato ma le mie ispirazioni, per questo sono fuori dagli schemi. Spesso utilizzo materiali e colo-ri non necessariamente “in voga” in quel momento e non riesco a fare qualcosa che non mi piace, che non sento, che non scaturisce direttamente dalle mie suggestioni.La testa di un creativo non si ferma mai: mi capi-ta magari, mentre sto facendo tutt’altro, di avere all’improvviso un’ispirazione e allora prendo

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Nome: L514 Griffe: LuxuryDitta produttrice: Florence DesignAnno di progettazione: 2001Materiali impiegati: Metallo, acetato, swarovskiPeculiarità: strass di varie forme e grandezze, (filtro esa-gonale), disegno dell'asta che ricorda una medusaNome: 347Griffe: Linea PittiDitta produttrice: Optical Florence DesignAnno di progettazione: 1994Materiali impiegati: acetato e metallo Peculiarità: applicazioni in metallo con inserito il giglio, il marchio dell'azienda.

subito un appunto su un pezzo di carta. Successi-vamente lo riprendo e l’idea si tramuta, prima, in progetto e, poi, si sviluppa tecnicamente fino alla realizzazione dell’occhiale.

Non ho mai fatto consulenze per altri e ho sempre sviluppato personalmente le mie idee: il mio ruolo nei confronti della produzione è diretto. Dal primo schizzo che faccio per fermare le idee (quando si ha la fortuna che queste continuino ad arrivare) sono in grado di disegnare anche un’intera colle-zione di svariati pezzi.Il disegno fissato su un foglio può restare lì a se-dimentare per qualche giorno o per settimane ma, quando lo guardo e mi convince, lo riprendo in mano e, se decido di svilupparlo, in pochi minuti concepisco la serie dei modelli. Il processo pro-duttivo parte realmente da quel momento e perciò passo a definire i files con il Cad per ottenere il disegno tecnico che trasforma la suggestione ini-

ziale nel progetto propriamente detto. La fase finale è rappresentata dall’utilizzo dei macchinari: vado nel Cadore e realizzo fisicamente la collezione degli occhiali.La mia azienda si chiama Florence Design e il no-me stesso vuole comunicare che essa è molto legata al territorio e che ama molto Firenze tanto che, ad-dirittura, il suo marchio è un giglio tricolore. Io ho sempre lavorato per me. Lavorare per una grande azienda può dare molte soddisfazioni, anche economiche ma, per quanto mi riguarda, ritengo che, quando sei pagato a ragione, sei costretto a di-segnare. Per me non è così, se non ho l’ispirazione non disegno, se non sento dentro di me nulla da di-re, posso stare anche un anno senza disegnare una collezione.Il mio cliente è il Mondo intero, nel senso che lavo-ro direttamente per chi deve acquistare il prodotto. Quando presento le mie collezioni è il cliente stesso che mi viene a cercare e che mi sceglie. Quando è capitato che una azienda mi abbia chiesto di di-segnare qualcosa per lei mi ha sempre fatto una richiesta in particolare, allora ho avuto un briefing da seguire. In quel caso io ci ho messo l’idea, ho venduto il mio progetto e ho sviluppato la produzio-ne… ma il mio compito si è fermato qui. Quando mi sono capitati casi simili, devo dire che sono sempre riuscito a capire ciò che mi veniva richiesto, a per-cepire le esigenze del committente; aggiungendo a quelle la mia creatività, si arrivava presto a un pro-dotto finale soddisfacente.Bisogna anche aggiungere che, quando certe aziende ti chiamano, lo fanno perché ti conoscono, conoscono il tuo lavoro, hanno rispetto delle tue idee e fiducia nelle tue capacità e quindi si affidano alla tua esperienza; in generale riesco a dar loro un prodotto che risponde alle loro esigenze e cioè che sia commercializzabile e che contribuisca a fornirle

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l’adeguata immagine. Il nostro è un mondo in cui si conosce tutto di tutti; chi si rivolge a me vuole un prodotto con la mia impronta personale.Tornando agli oggetti che produco per la mia ditta e al rapporto che ho con i compratori, quando, con il tempo, un cliente torna da me più volte, si fidelizza ai miei occhiali, entra in una particola-re sintonia per la quale, se capita che egli avanzi delle particolari richieste, riesco anche a soddi-sfarle. In questo caso parliamo dei distributori che rivenderanno poi senza un marchio specifico; tra chi compra i miei prodotti c’è infatti sia chi vuole adoperare il mio marchio Florence Design (perché comunque Firenze ha sempre un suo appeal in tutto il mondo) sia chi acquista la mia modellistica per caratterizzarla con il proprio marchio.Mi viene in mente un piccolo aneddoto. In occasio-ne dei Mondiali di Calcio del 1982 ho disegnato e prodotto gli occhiali di Paolo Rossi: da quel mo-mento tutti gli australiani richiedevano gli occhiali “di Paolo Rossi”.

Mi piacerebbe molto ma non ho mai avuto modo di progettare qualcosa per il settore dell’interior design o per altri settori produttivi, anche se sono dell’idea che ognuno debba fare bene il proprio mestiere. Può darsi che, in alcuni casi, le due cose siano conciliabili e che possano dare anche buoni risultati; comunque ritengo che, oggi, non ci si può più improvvisare. Per disegnare dei prodotti, bisogna prima di tutto conoscere bene ciò che si vuole fare, bisogna cono-scere i materiali che utilizzi, sapere quali sono i più adatti e le tecnologie che essi richiedono; è neces-saria una conoscenza approfondita per affrontare in modo serio una produzione.Mi attira molto l’ipotesi di cimentarmi, ad esempio, nella progettazione di accessori di moda, di bigiot-teria di vario genere: non mi è ancora capitato e, in verità, non ci ho mai pensato ma, praticamente, molti dei miei occhiali sono dei veri e propri og-getti di bigiotteria, sia nell’idea che sta alla base del progetto (in quanto utilizzo molte lavorazioni particolari come rose, petali, coccodrillo) che nei materiali che normalmente propongo.In quel settore sarei davvero preparato; ora, ad esempio, sto lavorando a una collezione con dei coralli, si tratta di montature con rose di corallo incastonate…il passaggio sarebbe breve.

Personalmente ritengo che lo stilista rappresenti l’essenza del progetto di moda, quello che ha la ve-ra illuminazione, che ha l’idea, mentre il designer è colui che la mette su carta. Spesso lo stilista è anche designer (nel mio caso, mi ritengo stilista e

designer ma, allo stesso tempo, sono anche produt-tore e commerciante).Credo che ormai esistano sempre meno veri sti-listi e, fra quelli, chi ho sempre prediletto è stato Versace: era l’unico che riusciva a fare qualcosa di veramente innovativo, era un genio e, secondo me, ancora oggi è difficile trovare qualcuno al suo stesso livello. Gianni Versace è stato il numero uno: avevo per lui una particolare ammirazione e sareb-be stato un grande onore aver potuto disegnare una collezione di occhiali per la sua maison. Lui è stato quello che considero il vero stilista.Spesso il designer, nel suo lavoro, è più influenzato dalle richieste del mercato, dalle tendenze della mo-da, deve adattarsi maggiormente al tipo di cliente al quale vuole proporsi. Nel lavoro del designer c’è sicuramente maggior calcolo rispetto a quello dello stilista perché il suo compito consiste nel dare risposta a un bisogno con il proprio prodotto, mentre il lavoro dello stilista è più vicino al gesto artistico.Io ho dovuto tradurre le mie intuizioni in oggetti ben precisi ma, poiché nella mia vita amo disporre del mio tempo, per non avere ostacoli e per re-alizzare quello che a me piace, sono diventato il disegnatore dei prodotti che produco.

Le tecnologie che abbiamo a disposizione sono mol-to importanti, soprattutto in relazione alla tipologia dei materiali. Una nuova tecnologia permette, ad esempio, di lavorare un vecchio materiale in modo nuovo o addirittura di sviluppare nuovi materiali. I nuovi materiali, a loro volta, permettono di fare delle cose che fino a poco prima sembravano solo un sogno. Prima, una “guarnizione in tondo” era un miraggio, tutto risultava piatto come se fosse stampato da una fustella; ora si riescono a otte-nere determinate curve, si riesce a fare l’ovale e a smussare gli spigoli in modo più preciso. Gli oggetti diventano più belli, il raggio di azione del lavoro si amplia: le tecnologie e i nuovi materiali sono essen-ziali per lo sviluppo di prodotti innovativi.

Senza dubbio, per progettare un buon prodotto si deve avere anche una buona conoscenza del mer-cato. Frequentando quattro o cinque diverse fiere ogni anno, percepisco facilmente le tendenze del momento e queste informazioni vanno a far par-te del famoso bagaglio di conoscenze più o meno conscio che viene metabolizzato dentro di me e che, poi, mi dà la possibilità di dar vita ai progetti giusti. In realtà, tutto quello che ci sta intorno può nutrire la nostra mente, tutto quello che ci sta in-torno può darci stimoli fecondi. Faccio un banale esempio. Tempo fa, ho prodotto un occhiale di cui

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ho venduto una grande quantità di pezzi. L’idea di quel progetto mi era venuta in modo molto sempli-ce: un giorno percorrevo in macchina una strada con dei tornanti segnalati dai classici cartelli stra-dali con le caratteristiche frecce bianche e nere; al momento non ci ho fatto caso ma, tornando a casa, mi sono accorto di avere ancora in testa l’imma-gine di queste freccettine che scorrevano. Quando mi sono messo a disegnare un modello di occhiali che stavo ideando, ho inserito questo ricordo: da quell’immagine rimasta impressa nei miei occhi ho creato una montatura decorata con delle freccette di strass che dal davanti giravano sull’asta; è stato un modello che ha avuto un grande successo di mercato. E’ fondamentale, per l’artista come per l’artigiano, saper trasferire l’esperienza personale negli oggetti che si producono. E’ naturale per un creativo che esista una vera e propria ibridazione tra il suo lavoro e la vita personale: parte di tutto quello che si stratifica dentro di noi grazie alle esperienze che viviamo, esce al momento giusto e si manifesta nelle forme più disparate.

Ho decine di progetti nel cassetto, da molti anni: spesso quello che mi viene in mente non è sempre adatto a essere prodotto e commercializzato nel momento in cui l’ho pensato. Il mio è un prodotto costoso e, se fosse troppo estroso, rischierei di re-stringere troppo la cerchia dei miei clienti. Quando progetto cerco il giusto compromesso: concepire un occhiale che abbia esplicita personalità senza essere eccessivamente estroso; la parte più difficile del mio lavoro è proprio questa. Le grandi aziende si possono comportare in maniera diversa: possono infatti fare anche dei prodotti per “scioccare” il mercato perché, accanto a quelli, esse “vendono” soprattutto il prodotto più comune. Anzi, utilizzano quella strategia per colpire la immaginazione del cliente, per attirare la sua attenzione su di loro in modo da spostare l’interesse anche sugli altri mo-

delli che fanno parte della loro collezione e che sono invece più comunemente portabili. Nel mio caso invece, io devo riuscire a far sposare la particola-rità, l’estro e l’innovazione in un prodotto che sia proponibile al mio pubblico. In questo senso, spesso, l’idea iniziale si asciuga nei vari passaggi creativi e si affina fino ad arrivare a un prodotto commercia-lizzabile. Si deve saper rinunciare all’oggetto troppo particolare pur ricercando l’originalità, la coerenza tecnica, la piacevolezza formale e materica. Un di-segno molto originale si deve così trasformare in un disegno semplicemente originale. Chi ha un’azienda come me deve comunque rispon-dere alle attese del mercato oltre a tenere conto della propria posizione e dell’aspetto economico del problema; altrimenti sarebbe anacronistico.A me l’occhiale piace nudo e crudo, come accesso-rio a sè stante, anche se oggi la tendenza è quella del total look e cioè la moda richiede che anche l’occhiale sia collegato al trend dell’accessoristica “che va” al momento; in questo senso se, per esem-pio, nel mercato il pitone “sta tirando” sarebbe necessario presentare anche qualcosa che si riferi-sca a quel particolare materiale. Quest’anno la tendenza ha previsto l’utilizzo della razza e infatti anche io ho creato una linea utiliz-zando la razza, quella grezza. Tra l'altro devo dire che l’impiego della giusta tecnologia mi ha per-messo di portarla a uno spessore particolarmente ridotto riuscendo a realizzare degli oggetti davvero belli.

In generale, io non sono molto propenso alla crea-zione di occhiali che assecondino un progetto personale di immagine ma comunque credo che l’occhiale possa essere coordinabile con altri ac-cessori o, quanto meno, manifestare sintonia d’onda con questi. In prima istanza queste cose le guardo poco, magari adeguo successivamente il mio pro-dotto all’accessorio di moda.

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Nome: MaskGriffe: Linea PittiDitta produttrice: Optical Florence DesignAnno di progettazione: 1990Materiali impiegati: aste in acetato e frontale con barra oro e filtro in policarbonato.Peculiarità: primo modello a "maschera" prodotto, grande successo dell'aziendaNome: LP..... Griffe: Linea PittiDitta produttrice: Optical Florence DesignAnno di progettazione: 1987Materiali impiegati: acetato in lastraPeculiarità: la barra dorata del frontale è affogata nell'ace-tato, grande successo in America.

Faccio le mie cose d’impulso, poi mi riservo la possibilità di personalizzare il pezzo con materiali particolari “che vanno” al momento ma non limito mai il progetto principale e la mia idea originaria; semmai, all’interno della gamma di varianti di un tipo di occhiale posso introdurre dei pezzi più lega-ti alle tendenze del momento.Nel rapporto che ho con i clienti (che, nel mio caso, sono i distributori) non capita che mi pongano per-sonalmente richieste specifiche, che avanzino delle richieste o facciano delle considerazioni; piuttosto, essi possono chiedere variazioni per adattare i miei prodotti a mercati esteri precisi. Questo accade soprattutto nella scelta dei colori per rendere gli occhiali più vicino alle aspettative dei loro mercati. Le richieste avanzate dai vari settori del mondo nei quali ho portato le miei collezioni erano relative ai grossi mercati che acquistano il prodotto per-ché “deve” essere proprio fatto in quel modo. In

verità ho cercato più volte di trovare altri sbocchi, di ampliare la mia gamma, ma ogni volta le mie idee sono state tarpate dalla risposta del mercato. Il cliente che viene da me e mi conosce vuole da me quella cosa che sa che faccio da sempre; se gli propongo un oggetto diverso dalla quello che corri-sponde alla mia immagine non me lo compra più.Se carico gli oggetti un po’ meno di quello che è il mio standard, il mio cliente non riconosce più quel prodotto come mio: da me si aspetta comunque una cosa fantasiosa, quasi da collezione. Esistono molti amanti degli occhiali. In realtà, ho dei clienti che sono dei veri e propri collezionisti, ad esempio nel mercato francese, dove aspettano con ansia le mie collezioni e comprano gli occhiali non per portarli ma per averli. I francesi hanno proprio il culto di questo oggetto; addirittura prenotano tempo prima gli occhiali dall’ottico di una determinata azienda per essere sicuri di averli.

Esistono vari tipi di progettisti nel settore dell’oc-chiale e alcuni di loro sono più commercianti di quanto lo sia io; molti seguono maggiormente il mercato e le tendenze. Se io ho un’idea che mi piace e nella quale credo, ho la libertà di metterla in produzione anche se questa non segue appieno quanto apparentemente dettato dal mercato del momento. L’occhiale che progetto deve piacere so-prattutto a me, poi deve anche piacere agli altri e che questo avvenga è senz’altro la cosa migliore: ma perché io decida di produrlo mi deve soddisfa-re. Per esigenze aziendali evidenti ed inevitabili (perché vivono di provvigioni o per altri motivi) soprattutto le grandi aziende, hanno un atteggia-mento diverso dal mio ma, sinceramente io non li ho mai guardati né con invidia, né con rancore: considero le loro semplicemente scelte diverse.

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A me non interessano i soldi in sé, semmai mi in-teressa averli per investirli nei progetti. Quando mancano è tutto più difficile e non ci sono i mezzi necessari per fare investimenti ai quali si crede; in quei casi il progetto migliore deve essere necessa-riamente accantonato ma resta lì, in attesa che le cose cambino, non abbandono l’idea.In trentadue anni di lavoro tutto ciò che ho guada-gnato l’ho sempre reinvestito nell’azienda perché credo nel mio lavoro e perché farlo mi dà una grande soddisfazione; per questo cerco sempre di farlo al mio meglio. Ironicamente spesso dico che la mia sia una sorta di missione in quanto, e colgo questa occasione per sottolinearlo, gli ostacoli che le aziende come la mia devono affrontare continuamente al giorno d’oggi sono molteplici e tutte molto scoraggianti. Ad esempio, le grandi aziende italiane, per la mag-gior parte, ormai producono più molto poco in Italia; si tratta di realtà che, nel tempo, hanno fatto delle scelte diverse dalla mia, che hanno saputo prevedere le mosse del mercato, che hanno intuito le esigenze delle gente, che hanno trovato sulla loro strada e hanno avuto la capacità di capitalizzare la propria attività.

In merito alla soddisfazione che provo nel fare il mio lavoro di cui ho parlato, ricordo che, nei primi

anni in cui avevo la mia azienda e andavo io stesso a vendere i miei occhiali, rimasi molto colpito dal fatto che, nei negozi di ottica, incontravo bambini e ragazzi che piangevano per dover mettere gli occhiali e non volevano assolutamente farlo. Questa esperienza mi è rimasta impressa al punto che mi ha spronato a fare degli oggetti che non dispiacesse più indossare a chi era costretto a farlo ma, piutto-sto, che li rendesse contenti di farlo e li facesse sentire a loro agio. Proprio per la loro funzione correttiva della vi-sta, inizialmente gli occhiali erano visti come una protesi; le mamme stesse che facevano venire dei complessi ai figli: nelle campagne c’era perfino l’usanza che i ragazzi non dovessero indossare sempre gli occhiali perché sennò si sarebbero “abi-tuati” a portarli. Invece, oggi, molte persone che non ne avrebbero assolutamente bisogno, pur di portare gli occhiali e di comunicare un’immagine diversa di sè, magari più interessante, si fanno montare delle lenti finte, non graduate, su montatu-re griffate o di tendenza. Per motivi diversi, invece, l’occhiale da sole è stato sempre considerato come un accessorio di moda che sa donare una mutevole immagine di sé alla persona che lo indossa. Sebbe-ne abbia la funzione di riparare dai raggi del sole, è sempre stato vissuto con una funzione diversa: per questo motivo ritengo che possa costituire l’occa-sione del maggior sfoggio di fantasia ed estro. A me l’occhiale da sole piace vivace e colorato ma non è facile da realizzare perché in Italia, fino a poco tempo fa, il mercato era monopolizzato da prodotti quasi esclusivamente neri e in finta tartaruga.

Oggi la Moda è una realtà così importante che tutto segue a ruota; dagli altri paesi giustamente vengo-no in Italia a cercare la Moda. Per me la Moda è qualcosa che ognuno di noi ha dentro di sé e che, perciò, è diversa per ogni persona.Fare Moda significa creare degli oggetti che per-mettano a chi li indossa di portarli con personalità e che li faccia sentire a proprio agio.

I miei occhiali sono indipendenti dalle logiche formali del loro tempo tanto che, spesso, si affer-mano dieci anni dopo che li ho messi sul mercato. Ultimamente ho proposto un occhiale del 1982 che è piaciuto molto…ma io lo avevo concepito e realiz-zato più di trenta anni fa. I miei occhiali non hanno tempo.Secondo me l’occhiale non deve necessariamente persistere più a lungo dell’abito, soprattutto se si fa un discorso legato alla Moda.Ci sono molte persone che cambiano gli occhiali con il passare delle mode ma, per la maggior parte,

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la gente comune quando compra un paio di occhia-li li tiene per almeno un paio di anni, nel migliore dei casi, anzi, oggi i tempi si stanno sempre di più allungando. L’occhiale è un oggetto costoso e non è facile cambiarlo spesso.Questo discorso è meno evidente per gli occhiali da sole: di solito se ne posseggono più di un paio e si cambiano con più facilità. Il fenomeno si è ulterior-mente evidenziato negli ultimi anni: prima, quando facevo una collezione di occhiali da sole durava tre anni, ora dura tre mesi. C’è una continua richiesta di nuove proposte.

Per quanto concerne la presentazione sul merca-to dei miei prodotti, per venderli vanno forniti di ulteriori dettagli che li completino e li valorizzino. Solitamente mi occupo io sia della confezione che della grafica, anche perché sono un accentratore e non mi fiderei di farlo fare a qualcun altro e se an-che lo facessi, troverei senz’altro qualche difetto.

In merito al futuro di questo oggetto, personalmen-te mi auguro che gli occhiali continuino a essere sempre utilizzati. Quelli da sole ci saranno sempre anzi, tutti gli studi evidenziano progressivamente quanto essi siano indispensabili per proteggere gli occhi dal sole. Non credo peraltro che l’aumento del numero di persone che ricorre alla chirurgia possa provocare una diminuzione sensibile dell’uti-lizzo degli occhiali da vista, sia perché la chirurgia non può intervenire nel miglioramento di tutti i tipi di difetti della vista, sia perché non sempre il risultato degli interventi porta a una guarigione completa e duratura (mentre in casi più sfortunati può addirittura peggiorare la situazione). Come per un accessorio di moda, in modo particolare se considero le donne che, per natura, sono più sensi-bili a questo aspetto, l’occhiale persiste anche nel caso di utilizzo di lenti a contatto perché fa parte di un programma di immagine personale.

Mi piacerebbe tornare brevemente sul discorso dei materiali per fare qualche ulteriore precisa-zione. In questo momento le plastiche vanno per la maggiore: anche a ma piacciono molto perché permettono di realizzare oggetti molto belli e facili da lavorare. Le varie plastiche sono senza dubbio i materiali più utilizzati da tutti con continuità. Personalmente questo materiale mi ha seguito da quando ho iniziato questo lavoro, in particolar mo-do l’acetato.Ovviamente le possibilità che ci vengono offerte, se colte e interpretate, sono molteplici. Ad esem-pio, c’è stato un momento in cui sono stato molto ispirato dalla pelle, dal pitone in particolare. La

scelta dei materiali va molto a periodi e, per me, ora è il momento del legno: sto facendo esperimenti molto interessanti nei quali utilizzo diversi legni variamente combinati tra loro e intarsiati. Come ho accennato precedentemente voglio proporre anche il corallo che, a mio avviso, è un materiale bellissi-mo e che, in questo momento, sento molto.

Per concludere, basandomi sulla mia esperienza, quello che posso suggerire a un giovane laureato che volesse intraprendere questo lavoro è di seguire sempre il proprio istinto, di fare quello che sente dentro al di là di “ciò che va” o di ciò che gli altri dicono; questa sarà probabilmente sempre la stra-da più dura ma, senz’altro, quella più gratificante. Detto questo, prima ancora è necessario anche fare la gavetta: chi vuole correre troppo, prima o poi inciampa. Non si deve studiare solo la teoria ma bisogna imparare anche la pratica; acquisite le no-zioni necessarie, la realizzazione degli occhiali a un certo punto verrà quasi in automatico. Le conoscen-ze teoriche basilari non sono molte e sono sempre le stesse ma per fare un buon prodotto bisogna avere quel qualcosa in più. Quando si ha in testa un’idea che piace, la voglia di realizzarla nel modo migliore nasce da sola; allora accade che in modo istintivo si cerca tra tutto il sapere accumulato la tecnolo-gia giusta e il materiale più adatto per realizzarla. Arrivare al risultato finale perfetto significa fare le necessarie prove, che includono anche sbagli e con-tinue verifiche.

Paolo Albasini è nato a Pian di Scò (AR) nel 1956. Subito si trasferisce a Firenze dove frequenta l'istitu-to alberghiero Sassi.Nel 1980 inizia a lavorare con la Todao, una ditta di Milano, curando i rapporti con l'estero e le fiere.Nel 1983, insieme a Gabriele Baldinotti e Romano Cini fonda la ditta GiPiErre che progetta anche per marchi famosi internazionali e nasce la Linea Pitti.Nel 1986 costituisce da solo la "Optical Florence Design" (poi semplicemente "Florence Design") portando con sè la Linea Pitti (uomo e donna) che continuerà ad esistere fino alla fine. Accanto a questa, sviluppa la linea Galitzine, nata per una ti-pologia di prodotti più sofisticati e preziosi, che poi diventa linea Luxury.Paolo si è spento prematuramente nell'estate del 2011.

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Colloquio con Erica ChiereghinEyewear designer presso Luxottica

Nome: RB4095Griffe: Ray BanDitta produttrice: LuxotticaAnno di progettazione: 2007Materiali impiegati: NylonPeculiarità: Lente base 8, calibro 58, ponte 16Pantoscopico 12° curvatura frontale 24°

La mia preparazione scolastica consiste nell’aver frequentato il liceo classico, sicuramente una scuo-la abbastanza lontana dalle logiche specifiche del disegno; eppure già allora sapevo che avrei voluto disegnare. Entrambi i miei genitori sono professo-ri e, perciò, loro mi hanno giustamente spinto ad avere un’istruzione di base solida, cosa di cui as-solutamente non mi pento. Nonostante continuassi a coltivare la mia passione per il disegno, questa formazione mi ha dato una ottima preparazione per affrontare anche il lavoro successivo in quanto mi ha dotata di buone capacità di interdisciplinarità e della facoltà di collegare utilmente le tante emozio-ni e i diversi stimoli che si possono avere.Portate a termine le scuole superiori, ho intrapreso una strada che mi avvicinasse maggiormente alle mie propensioni naturali e così mi sono iscritta a una scuola di grafica, a Venezia. Il corso era ef-fettivamente molto incentrato sulla grafica, con un particolare orientamento alla pubblicità. Finita an-che questa scuola, ho tentato di trovare un lavoro in questo campo. A questo punto però, sulle mie scelte personali successive, ha influito il fatto che io volessi trasfe-rirmi a Falcade perché lí viveva il mio ragazzo; dovevo quindi cercare una occupazione nella zona. Mi tornò in mente che, durante la frequentazione della scuola di grafica, ero venuta a conoscen-za dell’esistenza di un’importante azienda che si trovava nella zona e della quale si cominciava a parlare. Era all’incirca il 1990 e, durante il corso degli studi, avevo già avuto modo di riflettere sulle pubblicità della Luxottica nella scuola che frequen-tavo. Questo fatto mi portò a pensare che quella potesse essere un'occasione di lavoro valida e che,

allo stesso tempo, mi avrebbe permesso di vivere in montagna, dove io volevo stare.Inizialmente mi ero proposta per quello che era il mio ambito di preparazione, cioé pensando di poter entrare nello studio di grafica; in realtà, quando mi sono presentata in azienda, mi dissero che per quel tipo di lavoro non c’erano possibilità di impiego, mentre c’era la possibilità di lavorare come opera-ia. Ci pensai, poi accettai comunque il lavoro. Ero al reparto verniciatura, utilizzavo delle siringhe particolari per fare decorazioni sulle astine in me-tallo, che poi venivano messe nei forni per fissare il colore. Devo ammettere che anche quella è stata per me un’esperienza utilissima e, comunque, con-siglierei di farla a tutti coloro che volessero iniziare a lavorare nel settore degli occhiali: partire dalla conoscenza delle macchine e dal loro utilizzo è senz’altro un primo valido modo di approcciare il problema della progettazione.Dopo un po’ di tempo ho inoltrato ancora la mia domanda agli uffici superiori per una mansione più vicina alla mia preparazione e il caso ha voluto che, nel frattempo, si fosse liberato un posto da designer.

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