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Fede, speranza e carità, virtù cristiane di Alessandro Conti Puorger Le virtù e il male Virtù, dal latino virtus, che significa letteralmente "virilità", da vir “uomo”, è secondo una definizione stereotipata, la disposizione volta al bene, la capacità d’eccellere e di compiere atti in modo ottimale, cioè un’attitudine che fa tendere l’uomo verso i propri limiti fino a cercare di superarli. Riguardava evidentemente le doti comportamentali dell’uomo virile, in particolare le doti guerresche quali l’eroismo ed il coraggio. Da ciò s’è passati anche a valori etici per l’uomo e per la donna. Appena però si parla di virtù, come contro altare, inevitabilmente, spunta il concetto di vizio e s’entra nello schematismo di bene e male. Bene è ciò che pare desiderabile. Se si va al top, il bene è il fine ultimo, il target che l’individuo si pone di raggiungere nella propria esistenza e male è ciò che non lo è o che è ritenuto il personale disastro esistenziale. Come si può facilmente comprendere ciascun individuo può avere sul bene per sé una propria personalissima idea, e ciò nell’immaginario umano ha portato a consolidare il pensiero di un certo relativismo sui concetti di bene e di male. Bene e male perciò tendono a risultare la decisione comportamentale o sentita dalla maggioranza delle persone di un gruppo, di un area geografica, di un popolo e così via. E’ perciò una pia illusione pensare che a breve tutta l’umanità possa avere un’idea univoca sul bene e sul male a meno che avvenga un evento eccezionale che spieghi, coi fatti, proprio a tutti, tante cose. Bene e male rasentano il relativismo di posizione dei concetti di amico e di nemico, infatti, il martire di una resistenza, del risorgimento, di una rivoluzione, di una guerra civile o di moti popolari, ucciso dal nemico è un eroe, ma per il nemico è un rivoluzionario, un assassino o un terrorista. Bene e male paiono evolversi nei tempi, con la diversità dei luoghi e delle culture. Si potrebbero fare tanti esempi sulla mutabilità del sentire di quei concetti per quanto riguarda, ad esempio. i comportamenti sessuali, la pena di morte, il come rapportarsi con gli animali, ecc. ecc.. Una discriminante sulla questione si può pensare di trovarla nell’ammettere l’esistenza di un Dio unico creatore e ordinatore del tutto con cui raffrontare i concetti personali di bene o male, ma anche ciò per le religioni abramitiche non pare concretizzarsi, perché su certi temi queste hanno comportamenti non omogenei. Al riguardo propongo solo alcuni aspetti più eclatanti: - lapidare una adultera era bene per l’ebraismo, lo è ancora per certi paesi islamici, ove il lapidato è considerato un demone, ma non è ammesso dal cristianesimo che in altri tempi invece purtroppo attuava il rogo per streghe e fattucchiere, considerate indemoniate; - il divorzio è ammesso nell’ebraismo e nell’islam, ma non lo è nel cristianesimo;

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Fede, speranza e carità, virtù cristiane di Alessandro Conti Puorger

Le virtù e il male Virtù, dal latino virtus, che significa letteralmente "virilità", da vir “uomo”, è secondo una definizione stereotipata, la disposizione volta al bene, la capacità d’eccellere e di compiere atti in modo ottimale, cioè un’attitudine che fa tendere l’uomo verso i propri limiti fino a cercare di superarli. Riguardava evidentemente le doti comportamentali dell’uomo virile, in particolare le doti guerresche quali l’eroismo ed il coraggio. Da ciò s’è passati anche a valori etici per l’uomo e per la donna. Appena però si parla di virtù, come contro altare, inevitabilmente, spunta il concetto di vizio e s’entra nello schematismo di bene e male. Bene è ciò che pare desiderabile. Se si va al top, il bene è il fine ultimo, il target che l’individuo si pone di raggiungere nella propria esistenza e male è ciò che non lo è o che è ritenuto il personale disastro esistenziale. Come si può facilmente comprendere ciascun individuo può avere sul bene per sé una propria personalissima idea, e ciò nell’immaginario umano ha portato a consolidare il pensiero di un certo relativismo sui concetti di bene e di male. Bene e male perciò tendono a risultare la decisione comportamentale o sentita dalla maggioranza delle persone di un gruppo, di un area geografica, di un popolo e così via. E’ perciò una pia illusione pensare che a breve tutta l’umanità possa avere un’idea univoca sul bene e sul male a meno che avvenga un evento eccezionale che spieghi, coi fatti, proprio a tutti, tante cose. Bene e male rasentano il relativismo di posizione dei concetti di amico e di nemico, infatti, il martire di una resistenza, del risorgimento, di una rivoluzione, di una guerra civile o di moti popolari, ucciso dal nemico è un eroe, ma per il nemico è un rivoluzionario, un assassino o un terrorista. Bene e male paiono evolversi nei tempi, con la diversità dei luoghi e delle culture. Si potrebbero fare tanti esempi sulla mutabilità del sentire di quei concetti per quanto riguarda, ad esempio. i comportamenti sessuali, la pena di morte, il come rapportarsi con gli animali, ecc. ecc.. Una discriminante sulla questione si può pensare di trovarla nell’ammettere l’esistenza di un Dio unico creatore e ordinatore del tutto con cui raffrontare i concetti personali di bene o male, ma anche ciò per le religioni abramitiche non pare concretizzarsi, perché su certi temi queste hanno comportamenti non omogenei. Al riguardo propongo solo alcuni aspetti più eclatanti: - lapidare una adultera era bene per l’ebraismo, lo è ancora per certi paesi islamici, ove il lapidato è considerato un demone, ma non è ammesso dal cristianesimo che in altri tempi invece purtroppo attuava il rogo per streghe e fattucchiere, considerate indemoniate; - il divorzio è ammesso nell’ebraismo e nell’islam, ma non lo è nel cristianesimo;

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- la poligamia già ammessa nell’ebraismo, continua ad esserlo nell’islamismo, ma non è ammessa nel cristianesimo. C’è poi la problematica di fondo, come mai il male nel mondo? Sul “misteryum iniquitatis” l’uomo s’interroga dalla notte dei tempi. In estrema sintesi, perché gli uomini non nascono tutti uguali? La mentalità comune s’inceppa davanti alle catastrofi naturali, come conciliarle, infatti, con l’idea di un Dio buono, creatore e ordinatore della materia? Ancora di più se ci si pensa è come conciliarlo col problema della morte? La risposta del fedele è che esiste una vita eterna e che questa vita è un passaggio, inoltre i fenomeni naturali potrebbero essere dominati dal Signore che cammina sulle acque “della morte” ed è capace anche di sedare, se lo volesse, i fenomeni naturali, come ci dicono i Vangeli ad esempio con l’episodio della tempesta sedata. Solo che la natura segue legge intrinseche naturali che sono perfette in sé e che provocano un continuo divenire della materia. La materia poi non va considerata come un male, è solo un decadimento progressivo, per l’entropia crescente dell'energia primigenia. Una specie di scoria, la fine di un processo. Se l'origine è buona la materia e le sue leggi solo il primo gradino visibile e captabile per arrivare a energie più alte e anche trascendenti. Pur messa così resta, però, la problematica della presenza di persone piene d’accidenti, accidenti, peraltro, che paiono non cadere a pioggia, il che all’ateo o all’uomo comune in crisi di fede, pare in contrasto con l’attributo di giusto che viene dato a Dio. Alcune persone, ricche, sane e pieni di talenti, sembrano più dotate e più beneficate di altri che, invece, oggettivamente sono povere, malate e pieni di sventura. La questione apparve presto anche nell’ebraismo e questo propose al fedele l’attenzione sulle vicende del libro di Giobbe, inserito nella Bibbia canonica, libro che è un dramma a modo di ricerca, midrash, con un racconto immaginario su tale problematica. Giobbe, probabilmente personaggio di fantasia, vissuto per la tradizione ebraica ai tempi di Mosè, non è un ebreo, ma pur tuttavia è un giusto. E’ questi pieno di fortuna e di felicità, però interviene satana, l’accusatore che, in un racconto tipo favola, sobilla Dio e vuole dimostrargli che Giobbe è un giusto interessato, perché secondo satana stesso si comporta da giusto in quanto crede che da ciò gli venga fortuna materiale con la salute fisica. Chiede, perciò, il consenso di provare Giobbe e di poterlo toccare prima nei beni e poi vista la risposta di fede di Giobbe ottiene anche di provarlo nella salute, per far vedere che, in effetti, era un falso. Dio acconsente, anche la seconda volta, ma Giobbe continua a comportarsi da giusto e s’interroga. Il racconto su Giobbe si svolge come un dramma teatrale in cui tre amici lo vanno a trovare e con i colloqui si tenta di rispondere alla domanda del perché il male e perché colpisca sia i giusti che gli ingiusti, come il sole e la pioggia che colpiscono tutti. Per molti, infatti, permane un dubbio d’incompatibilità del male nel mondo con un Dio misericordioso. I sapienti d’Israele, però, proposero quel libro tra i testi canonici delle Sacre Scritture, non preoccupati che venisse minata la base dell'idea di Dio

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misericordioso per loro fondamentale, tanto che "eterna è la Sua misericordia" è citato 33 volte nella Bibbia ebraica. Il problema sta proprio che la Sua misericordia, è proprio da ricordarsi che è eterna, cioè si comprende solo con un metro non legato al tempo, ma all’eternità. Quello di satana e Dio è un midrash, cioè una ricerca per spiegarsi qualcosa. Tra l'alto quel libro è in versi, ma all'inizio e alla fine ha racconti in prosa su satana e sulla reintegrazione nella fortuna, come se il libro fosse stato steso in due tempi a da mani diverse. La vera conclusione, di fatto, è nei capitoli precedenti all'ultimo quando Dio direttamente parla con Giobbe che ammutolisce. Giobbe resta soddisfatto, eppure Dio non gli spiega nulla sul male, ma Giobbe entra nella dimensione della fede, cioè d’abbandono fiducioso, ed è così certo che con Dio, che c'è e che tutto può, non c'è problema del male, perché tutto verrà sanato e ripagato da Dio stesso. Dio ovviamente è imperscrutabile, ma è palese che, appunto, perché c’è, tutto finirà bene. Ora c'è vita e prima non c’era, noi e l’universo e siamo organismi in sviluppo. Il male vincerà il bene alla fine del processo evolutivo. L'interrogativo del male ha interrogato filosofi di tutti i tempi. Sant Agostino aveva più o meno così concluso, esistono tre tipi di male: - male ontologico - l'essere ed il bene sono proporzionali; quindi tanto più

perfetto è ontologicamente un ente, tanto “più bene” si troverà in esso: ora, per quanto perfetto sia un ente, in quanto creato non potrà mai coincidere con “il” bene, perché sarà comunque ontologicamente più povero del Creatore e il male sarebbe un “privatio boni”, privazione di bene;

- male morale - il peccato - anche questo non dipende da Dio in quanto è una conseguenza della libertà di scelta;

- male fisico - il dolore e la morte - anche di questo Dio non è responsabile in quanto non è null'altro che la conseguenza del peccato.

Boezio, filosofo cristiano del VI secolo, precursore della Scolastica, in “De consolatione philosophiae” propone “Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum? - Se Dio c’è da dove viene il male? E se non c’è da dove il bene?” Sul bene e sul male praticamente ogni filosofo ha indagato. Inattesa è la conclusione del ritenuto ateo, Friedrich Nietzsche che aveva scritto “Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso!” (La Gaia Scienza, Frammento 125) che conclude “Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene e del male.” (Al di là del bene e del male, 1886) Ammette che ci sia l’amore, eppure l’amore vero è un bene e se Dio non c’è da dove viene? In sintesi, ciò che viene dalle leggi naturali è per necessità in evoluzione, tanto che c'è stato un big bang, un tempo che non c'era vita, ma c’era solo Dio per chi vi crede e non c’era il male almeno in questo universo. In definitiva non c’è lotta tra Dio e il male, perché in Lui è solo il bene, Dio nel creare per amore, tira fuori dalla non esistenza, che è il male, l’esistenze alla vita che è un processo che va oltre il nostro modo normale di pensare e costatare, il male è il negativo dell’esistenza mentre questa si afferma, ma il bene vincerà il male e l’uomo è eterno.

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Albert Einstein, fanciullo, da buon ebreo disse a un professore: “l male non esiste, signore, o almeno non esiste in quanto tale. Il male è semplicemente l’assenza di Dio. E’ proprio come l’oscurità o il freddo, è una parola che l’uomo ha creato per descrivere l’assenza di Dio. Dio non ha creato il male. Il male è il risultato di ciò che succede quando l’uomo non ha l’amore di Dio presente nel proprio cuore. E’ come il freddo che si manifesta quando non c’è calore o l’oscurità che arriva quando non c’è luce" . Infatti, se Dio non c’è esiste solo un insieme di materia ed energia in sviluppo e decadimento ordinato da leggi naturali, ma non etiche. Le virtù teologali Quando nel discorso dell’esistenza s’affaccia l’idea di Dio ecco che al singolo si pone subito un dilemma, se può o non può definire ed attuare un modo comportamentale virtuoso che lo porti verso Dio. Ciò può verificarsi in qualsiasi ambito di percorso religioso, quando il seguace percepisce la bellezza di un cammino spirituale che eleva in lui la parte migliore e ne fa crescere le virtù. Penso, infatti, che ogni cammino che sia veramente d’impronta spirituale debba contemplare il ricercare le virtù, il meglio e il bene. Il Catechismo della Chiesa cattolica al n° 1803 inizia col citare il seguente versetto, “Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri.” (Filippesi 4,8), e poi propone: “La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Essa consente alla persona, non soltanto di compiere atti buoni, ma di dare il meglio di sé. Con tutte le proprie energie sensibili e spirituali la persona virtuosa tende verso il bene; lo ricerca e lo sceglie in azioni concrete.” L’obiettivo cristiano, peraltro, è ambiziosissimo, infatti, secondo Giovanni di Nissa, santo, dottore e difensor fidei del IV secolo: “Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simili a Dio.” (De beatitudinibus, oratio 1) In altre parole vi sono virtù che consentono la santificazione, che è in definitiva l’invito di Dio espresso per tre volte nel libro del Levitico, il centrale della Torah: “siate santi, perché Io sono santo”.(Levitico 11,44; 19,2; 20,7) Per la dottrina scolastica essere e bene e anche vero e verità sono termini equivalenti. Il bene s’identifica con l'essere e Dio è sommo Bene e sommo Essere. Per l’uomo lontano dall’essere inizia il male che aumenta quanto più grande è la distanza da Lui fino al male assoluto, la non esistenza. Adamo era potenzialmente buono come pare voler precisare il libro della Genesi evidenziando che Dio disse "Facciamo l'uomo (‘ADaM) a nostra immagine, a nostra somiglianza.” (Genesi 1,26) anzi, ci vuole passare il concetto che il primo uomo Adamo era Santo. Il suo terzo figlio, Set, di cui siamo discendenti - a meno che non lo siamo di Caino - nato da Eva dopo il peccato e la cacciata dal Paradiso e il fratricidio di Caino nei confronti di Abele, pare proprio avere una “diminuitio” di bene, perché Adamo aveva avuto la “diminuitio” col peccato e tornando al discorso precedente aveva di fatto provocato un allontanamento da Dio. Dico ciò perché pare proprio che il libro della Genesi voglia evidenziare che una carenza di bene fu trasferita alla discendenza col dire, all’inizio del capitolo 5: “Questo è il libro della genealogia di Adamo. Quando Dio creò l'uomo, lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò uomini

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quando furono creati. Adamo aveva centotrenta anni quando generò a sua immagine, a sua somiglianza, un figlio e lo chiamò Set.” (Genesi 5,1-3) Sottolinea così che Adamo era a somiglianza di Dio, mentre Set, nato dopo la cacciata, fu a immagine e somiglianza di Adamo. Come si comprende bene la distanza rispetto a Lui, ovunque ci troviamo è incolmabile con le forze e virtù umane, occorrono virtù trascendenti dal latino "trans-ascendere" , vale a dire trans, per al di là ascendere, salire. Tutte le virtù di cui ci possiamo dotare, ammesso che ci riusciamo, sono comunque umane, mentre per cominciarsi a muovere in un cammino spirituale efficace per arrivare a Lui, quindi trascendentale, occorrono Virtù con la lettera maiuscola, vere ed assolute, cioè trascendenti. Nei giornali e album per bambini si trovano spesso giochi detti dei labirinti, ove da un punto si dipartono più sentieri per arrivare ad una meta, di solito la soluzione è facile se s’inverte il problema e si prova a partire a ritroso dall’arrivo: del pari, se Dio ci prepara una strada col dono di virtù particolari, la soluzione è possibile. Occorre cioè che in qualche modo ci venga incontro con tracce concrete per chi cammina. E’ noto che col Cristianesimo sono messe in evidenza le tre virtù dette teologali, perché legano l’uomo a Dio, Fede, Speranza e Carità; sono un qualcosa del genere per uscire dal labirinto dove stiamo che pare senza uno sbocco d’uscita. Si, prende spunto da parole umane, che nel senso usuale, fuori dall’ambito cristiano vale a dire per il “mondo” o l’umano sentire, comportano in genere le seguenti accezioni: - fede è il credere in concetti, dogmi o assunti con convinzione personale o alla

autorità di chi l’ha enunciati pur senza prove pro o contro dette affermazioni. - speranza come visione probabilistica favorevole dell’attuarsi di un evento che

poco però a che vedere con la certezza; - carità in genere scambiata con l'atto dell'elemosina, "fare la carità" e si

confonde col fare del volontariato. Quelle virtù, però, che interessano Dio superano di gran lunga i concetti umani sottesi da quelle definizioni, e si conseguono senza sforzo, ma ciò lo vedremo più avanti. Vi sono però virtù che implicano, invece, sforzi e fatica da parte dell’uomo. Sono, peraltro, virtù a portata di mano dell’uomo, ma suggeritegli comunque dalla Sapienza divina per prepararlo, se poi le praticcherà, a ricevere doni concreti e trascendenti “Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa (la Sapienza) insegna, infatti, la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita” (Sapienza 8,7) Sono quelle “temperanza, prudenza, giustizia e fortezza” le quattro virtù dette cardinali, perché cardini, appunto, di chi desidera d’essere ben impostato. In effetti "le cardinali" sono virtù d’origine platonico-aristotelico, conservate valide nel pensiero cristiano grazie a San Tommaso d’Aquino che però, ovviamente, le considera inferiori e propedeutiche a quelle teologali. Sant Agostino, peraltro, riteneva che le umane virtù celano pur sempre l’aspetto negativo di punte di orgoglio e di ricerca d'effimera gloria umana. Di fatto sono come un castone, una sede opportuna adeguatamente preparata e divengono essenziali solo se in queste s’innesta poi il diamante delle virtù

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teologali. Prudenza, da non confondere con paura e timidezza, auriga virtutum, guida delle altre virtù, è una ragione pratica che ci fa scegliere i passi più opportuni (Proverbi 14,15) per cercare il nostro vero bene,. Giustizia, volontà di dare giusto peso nella propria vita a Dio e di portare una retta condotta col prossimo, “date …ciò che è giusto ed equo sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.”(Colossesi 4,1) Fortezza, assicura la ricerca del bene anche nelle difficoltà, fa capaci di vincere la paura perfino della morte e d’affrontare le prove e le persecuzioni che si presentano. Temperanza, assicura moderazione e sobrietà per il dominio della volontà sugli istinti e sulle passioni e mantiene i desideri entro i limiti dell'onestà. Queste virtù costituiscono una continua preghiera davanti a Dio da parte dell’uomo che le coltiva e pensiero consolidato è che Dio prima o poi si piegherà e invierà le sue virtù per attrarlo completamente a sé. L’uomo accorto, così, prepara il proprio terreno, purificandolo, arandolo ed erpicandolo, togliendo sassi e vecchie radici onde rendendolo idoneo con le virtù cardinali a ricevere semi di trascendenza, le virtù teologali. Le virtù teologali, infatti, di natura soprannaturale sono le doti che gli consentiranno d’entrare nel cammino che porta Dio, accompagnati continuamente dal suo Santo Spirito. Sono come fili che vengono lanciati dall’alto dei cieli, regali anticipati gratuiti che l’uomo può desiderare, pregare d’avere e accogliere o rifiutare e che s’incastonano sulle virtù coltivate dall’uomo. Certo è che non tutto ciò che desideriamo Dio ce lo dà, in quanto "Dio non realizza tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse." (D. Bonhoeffer). Quelle virtù fanno parte però di ciò di cui ci doterà perché gli consentono di portare a compimento quelle promesse. Come nasce l’idea di queste virtù teologali? Sulle virtù teologali molto è stato scritto da tanti padri della Chiesa ed esegeti e trovano il loro fondamento nei seguenti passi delle lettere di San Paolo. *** 1 Corinzi 13,13 “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” *** 1 Tessalonicesi 1,2s “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.” *** 1 Tessalonicesi 5,8 “Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza.” Con queste mie riflessioni eviterò di ripercorrere ciò che è stato già esaminato, ma cercherò quanto e quale retaggio quelle tre parole, fede, speranza e carità, che spuntano nel Nuovo Testamento hanno, se ci si porta alle radici dell’antica rivelazione. La Fede Fede, fedeltà, fiducia, fedele sono parole chiave per le religioni abramitiche.

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Ritengo importante e fondamentale andare a fondo sul loro significato. Per prima cosa sono così andato a visitare il testo biblico della Torah ove quei termini si trovano così tradotti per la prima volta. Poi, non si può far a meno di superare le traduzioni ed andare direttamente al testo in ebraico, cioè alla fonte da cui sono venute quelle idee. Fede è in: - Numeri 14,11 “Il Signore disse a Mosè: Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? E fino a quando non avranno fede in me, dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro?”, in “non avranno fede” ל א י א מ י נ ו. - Deuteronomio 9,23 “Quando il Signore volle farvi partire da Kades-Barnea dicendo: Entrate e prendete in possesso il paese che vi dò, voi vi ribellaste all'ordine del Signore vostro Dio, non aveste fede in lui e non obbediste alla sua voce.”, in “non aveste fede” ל א ה א מ נ ת ם. Fede, quindi, viene dal radicale ‘AMN א מ ן. Fedeltà è in: - Genesi 24,27 “e disse: Sia benedetto il Signore, Dio del mio padrone Abramo, che non ha cessato di usare benevolenza e fedeltà verso il mio padrone. Quanto a me, il Signore mi ha guidato sulla via fino alla casa dei fratelli del mio padrone". - Genesi 32,11 “io sono indegno di tutta la benevolenza e di tutta la fedeltà che hai usato verso il tuo servo. Con il mio bastone soltanto avevo passato questo Giordano e ora sono divenuto tale da formare due accampamenti.” In entrambi i casi usa il termine א מ ת ‘oemoet o ‘amitt, analogo a א מ נ ת ‘amint, ma sempre dal radicale ‘AMN א מ ן. Fiducia è in: - Numeri 12,7s “Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca parlo con lui…” נ א מ ן Viene usato il termine נ א מ ן come “essere fermo, essere stabile” Fedele è in: Deuteronomio 7,9 “Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele, che mantiene la sua alleanza e benevolenza per mille generazioni, con coloro che l'amano e osservano i suoi comandamenti.” Anche qui è usato il termine נ א מ ן come “essere fermo, essere stabile”. Tutti quei termini, come abbiamo visto, in ebraico discendono dal radicale א מ ן che è ora il caso d’esaminare a fondo. Questo radicale ‘AMN א מ ן è di: - “essere fermo, essere stabile, essere forte” da cui ‘omenah colonna, stipite e

artefice ‘amman; - “credere, essere sicuro” indi fede, verità ‘omoen, ‘amen א מ ן; - verità e vero essendo una certezza ha lo stesso radicale; - “sostentare, educare, allevare” da cui aio, pedagogo e ‘omoenoet e da cui

“essere portato da una balia” nonché cura e tutela. Colpisce un’immagine che ritengo chiave di volta per capire cosa è la fede nel

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pensiero originario. C’è un passo illuminante nel libri dei Numeri, quando Mose discute col Signore per il troppo peso che sentiva nel guidare da solo il popolo nel deserto che tra l’altro era stanco di mangiare sola manna. Quel punto recita così: “Mosè disse al Signore: Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che tu mi hai messo addosso il carico di tutto questo popolo? L'ho forse concepito io tutto questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io perché tu mi dica: Portatelo in grembo, come la balia porta א מ ן; il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? ” (Numeri 11,11.12) Di fatto, l’atto di nascita del popolo d’Israele fu sancito quando uscì dalle acque che s’aprirono e iniziò il cammino nel deserto. A tale riguardo precisa il libro del Deuteronomio “Il Signore lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come un'aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali”. (Deuteronomio 32,10s) Proprio come una madre fa col bambino che allatta, ma ancora più: “Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se … si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani, (Isaia 49,15) Il salmo 131, su cui poi andrò più a fondo, è un canto di Davide per le ascensioni, vale a dire per le salite delle carovane per Gerusalemme che cantavano nelle feste che comportavano là il pellegrinaggio. Questo Salmo esalta lo spirito dell’infanzia e così s’esprime: “Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia.“ (Salmo 131,2) Questa , riassumo, è la fede, sentirsi concepiti da Dio, portati da Lui in grembo come un bambino fino al paese promesso, tranquillo e sereno come un bimbo in braccio a sua madre, preso e sollevato sulle sue ali. Lui l’Amen, il Testimone fedele e verace (Apocalisse3,14) dice appunto: “…se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. (Matteo18,3) Essere portato come un bambino dalla balia o ancor meglio dalla stessa propria madre. La parola א מ ן ‘AMeN fede ed è vero e א מ ת ‘AMeT verità, infatti, contengono entrambe le lettere א מ ‘AM della parola mamma o madre. La fede è così entrare in un cammino in cui Dio stesso ti porta, ti nutre e ti fa crescere, è una esperienza, è vita giornaliera non è credere a dogmi o a sentito dire, ma è vivere una esperienza che consapevoli che è Dio che te la propone, perché si procede senza sforzo e si aprono orizzonti nuovi di libertà, un cammino in discesa anche se per tutti è un salire. Come è mio uso provo con le lettere ebraiche ad aprire quel termine che ci porta a fede א מ ן ‘AMeN (ved. www.edicolaweb.net/lett003s.htm “Parlano le lettere”) e queste dicono: origina א la vita מ angelica ן e origina א manna מ ן, è così evidente come sia strettamente al discorso biblico della prima esperienza appunto di fede d’Israele. La manna era il cibo di quel popolo che veniva nutrito per essere portato alla fede piena nel Dio Unico.

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La Speranza Speranza e sperare sono parole chiave negli sviluppi biblici, ma nella Torah, si trova solo nelle benedizioni di Giacobbe: “Io spero nella tua salvezza, Signore!”, precisamente in Genesi 49,18. “Io spero” ק ו י ת י, qiyuty, lì è unito con salvezza י ש ו ע cioè Gesù e col Tetragramma sacro י ה ו ה Signore; tutto un programma! Lo sperare, confidare ha per radicale QWH ק ו ה. Un sostantivo certamente legato a tale radicale è ק ו qaw o ק ו ה o qawah che vuol dire fune, corda. La corda evoca l’immagine di chi stando in basso, impotente a risalire aspetta, confida nell’aiuto di un amico, socio, collega, liberatore che, appunto, gli cali una corda per raggiungerlo, consentendogli, legandosi, di essere aiutato a salire o a risalire. Implica così due fatti: - che ci sia una persona viva all’altra estremità della corda; - che ci sia un posto dove andare che un altro l’ha raggiunto o vi sta. E’ l’attesa quindi di un evento concreto, di un fatto che deve avvenire, perché si sa che all’altro capo c’è qualcuno con una corda e che la deve calare, perché ci si possa arrampicare, perché senza di quella è impossibile arrivare lassù. Certo che poi il pensiero si può allargare, e pensare così ad un evento che porti ad un rovesciamento della situazione. Ciò è insito nella icona delle lettere ק ו ה usate: “un rovesciamento ק portare ו per uscire ה.” C’è un episodio interessante nel libro di Giosue, sugli esploratori a Gerico nascostisi nella casa di Raab la prostituta prospiciente le mura ”la sua casa era addossata al muro di cinta” (Giosuè 2,15) a cui promisero salvezza assieme alla famiglia dicendo: “…quando noi entreremo nel paese, legherai questa cordicella di filo scarlatto alla finestra, per la quale ci hai fatto scendere e radunerai presso di te in casa tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli e tutta la famiglia di tuo padre. Chiunque allora uscirà dalla porta di casa tua, il suo sangue ricadrà sulla sua testa e noi non ne avremo colpa; chiunque invece sarà con te in casa, il suo sangue ricada sulla nostra testa, se gli si metterà addosso una mano. Ma se tu rivelerai questo nostro affare, noi saremo liberi da ciò che ci hai fatto giurare. Essa allora rispose: Sia così secondo le vostre parole. Poi li congedò e quelli se ne andarono. Essa legò la cordicella scarlatta alla finestra.” (Giosuè 2,18-21)

Quella cordicella è ת ק ו ת tiqvat; si trattava di vita o di morte per lei e per tutti i suoi cari, la dettero a Raab gli inviati di Giosuè, e questa tanto era importante per lei, l’espose subito alla finestra come “speranza” di salvezza sulla loro parola. Le mura di Gerico crollarono, ma quella casa restò salva. La parola “speranza” si trova anche nell’antico libro di Rut quando Noemi dice alle nuore vedove dei suoi figli “Tornate indietro, figlie mie, andate! Io sono troppo vecchia per avere un marito. Se dicessi: Ne ho speranza, e se anche avessi un marito questa notte e anche partorissi figli ..." (Rut 1,12) e per speranza viene usata appunto ת ק ו ה tiqvah. Il verbo sperare è poi ripetuto tante volte nel libro dei Salmi.

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E’ famoso e da ricordare il Salmo di Davide n° 40 che inizia con: “Ho sperato: ho sperato nel Signore ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha tratto dalla fossa della morte, dal fango della palude; i miei piedi ha stabilito sulla roccia, ha reso sicuri i miei passi.” (Salmi 40,1-3) Immagine stupenda! Il fedele nel mondo sa di stare in un abisso in pericolo di vita, perché sarà sommerso dal fango della morte. Invoca il Signore ”Ho sperato: ho sperato nel Signore…” ק ו ה ק ו י ת י י ה ו ה che può essere tradotto “Una fune ק ו ה ho sperato ק ו י ת י dal י ה ו ה Signore…” Ha sperato che gli tiri una fune e lo salvi, confermando così la vera immagine della virtù della speranza, certezza cioè di avere una fune a disposizione, qualsiasi sia ciò che avviene nella propria vita, quindi un rifugio finale sotto le Sue ali. Si trova di ciò un’autorevole conferma nella lettera agli Ebrei, quando parla di un porto sicuro e dice: “…è impossibile che Dio mentisca, noi che abbiamo cercato rifugio in lui avessimo un grande incoraggiamento nell'afferrarci saldamente alla speranza che ci è posta davanti. In essa infatti noi abbiamo come un'ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell'interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchìsedek.” (Ebrei 6,18-20) I Vangeli sinottici, infatti, segnalano al momento della morte di Gesù "Ed ecco il velo del Tempio si squarciò in due da cima a fondo“ (Matteo 21,51//Marco 15,38 e Luca 23,45) Risulta così che la virtù della speranza è un dono di Dio che pone nel cuore del credente la certezza di una fune legata ad un’ancora per arrivare nel porto sicuro ov’è arrivato lo stesso Gesù. La carità La carità è parola recente nella Bibbia, cioè usata essenzialmente nel così detto Nuovo Testamento. Nella traduzione C.E.I., infatti, si trova usata per 58 volte: - 4 volte nell’Antico Testamento, ma una sola nella Tenak o Bibbia canonica

ebraica e precisamente in Proverbi 19,17, tre volte nel libro deuterocanonico del Siracide (11,15; 18,17; 40,24);

- per 54 volte nel Nuovo Testamento, di cui 47 nelle lettere di San Paolo, 6 nelle lettere cattoliche e 1 sola volta nel libro dell’Apocalisse (2,19);

- mai citata è nei Vangeli e nel libro degli Atti degli apostoli. La citazione che si trova in Proverbi è “Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione.” (Proverbi 19,17) Il termine ebraico lì usato è ח ו נ ן chonen dal radicale ח נ ה “piegarsi” tendere i padiglioni, accamparsi” che si degna di farsi fermare da un povero nel caso specifico da quel radicale viene la parola grazia ח ן chen e l’aggettivo ח נ ו ן channun, misericordioso e benigno. La carità, così, viene connotata più sul fare l’elemosina, ma è molto di più. L’Antico Testamento, infatti, in luogo di tale parola che implica anche quel concetto usa una parola più ampia misericordia e benignità.

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Carità è termine che viene dal greco chàris χαρισ, benevolenza, amore, ma San Paolo usa in modo preferenziale αγαπη o agape nel senso di amore fraterno e disinteressato. Se ci si vuole perciò riferire alla fondamenta del dono della carità che viene da Dio occorre andare alla Sua misericordia, ma soprattutto al suo amore. Quindi misericordia, amore, ed elemosina sono tre aspetti della carità. Ciò, non solo, perché ha misericordia per noi, ma perché al fedele che lo chiede darà d’essere partecipe a quella precipua attitudine della Sua essenza per poter proficuamente esplicitare la missione di far presente nel mondo proprio la sua misericordia assieme all’amore per il prossimo e all’elemosina per i bisognosi. Le parole misericordia e misericordioso nei libri della Bibbia tradotta dalla C.E.I. in italiano si presentano 241 volte, di cui 188 nell’A.T. e 53 nel N.T.. Con tali parola sono tradotti più termini ebraici, ma i principali sono: ,chasiyd misericordioso, pio e derivati ח ס י ד choesoed misericordia e ח ס ד -il radicale ח ס ה è di confidare e rifugiarsi, la lettera ד è una mano aperta, quindi, uno a cui ci si può affidare, che ci darà una mano, un aiuto. radicale ר ח ם rachemim misericordia, viscere di misericordia, da ר ח מ י ם -di amare, aver misericordia da cui viene il sostantivo utero, viscere ר ח ם roechem “corpo ר che racchiude ח le acque ם”. Sintesi importante è il versetto Esodo 34,6b “…il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà” denso delle parole che abbiamo esaminato: - misericordioso ר ח ו ם; - pietoso ח נ ו ן; - lento א ר ך all’ira א פ י ם; - ricco י ר ב di grazia o benignità ח ס ד; - fedeltà א מ ת. Ricordo poi il Salmo 103 “Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande nell'amore.” (Salmo 103,8) e il già citato Salmo 118 “perché eterna è la sua misericordia ח ס ד”. Come ho accennato "eterna è la Sua misericordia" ל ע ו ל ם ח ס ד ו è citato 33 volte nella Bibbia ebraica, precisamente: - 1 volta nel Salmo 106; - 1 volta nel Salmo 107: - 5 nel Salmo 118: - 26 volte, quanti sono i versetti, della grande litania di ringraziamento del Salmo 136 e 26 è anche il numero somma del valore numerico delle lettere che formano il Tetragramma sacro IHWH, con il che si vuole significare che la Sua misericordia, il suo ח ס ד, è proprio la sua essenza e quindi chi ha un po’ di misericordia vi partecipa. Leggendo tra le lettere ל ע ו ל ם ח ס ד ו si ricava , però, anche un avviso, mi farò addirittura uomo, mi porterò per eliminare il peccato dal mondo, infatti, “il Potente ל per il peccare (ה)ע ו del serpente ל in un vivente ם si chiuderà ח nei ceppi ס ד, si porterà ו!” Il profeta Abacuc ebbe a dire nel suo libro: “…soccombe colui che non ha l'animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede.” (Abacuc 2,4)

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צ ד י ק ב א מ ו נ ת ו י ח י ה “Giù צ per aiutare ד sarà י in un ventre (ה)ק ב, da primogenito א la madre מ lo porterà ו, l’invieranno נ in croce ת, ma ו sarà י in vita ח י a riuscirne ה.” In definitiva la fede porta alla vita vera, come una madre porta alla vita terrena. Ricordo, infine, che nel libro del profeta Osea è detto: “… voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.” (Osea 6,6) Questo versetto è ben importante, perché per ben due volte è ricordato da Gesù nel Vangelo di Matteo, versetti 9,13 e 12,7. Per amore lì, in Osea, c’è ח ס ד che la C.E.I. traduce amore e in Matteo traduce misericordia e che in definitiva è carità in senso pieno. Fede, speranza e carità nel N.T. Prima di passare a vedere come nel N.T. queste virtù sono trattate, è da fare un’osservazione generale. Queste virtù non vengono ciascuna da sola, ma vengono tutte e tre o non viene nessuna, e non arrivano nemmeno in tempi diversi, ma spuntano e crescono assieme, vale a dire se viene una vengono anche le altre e crescono armoniosamente. Non si può avere speranza senza fede o speranza senza carità, o carità non avendo fede o speranza, e non si può definire che uno ha fede se non ha anche le altre due. Tutto inizia col timore del Signore (www.bibbiaweb.net/lett088s.htm “Sul timore del Signore”) l'atteggiamento secondo cui il fedele vive costantemente considerandosi sotto lo sguardo del Signore. Il rapporto col Signore all’inizio può partire anche in modo superstizioso con un senso generico di paura o con un sentire “religioso” in cui predomina il sentimento di timore,nel senso comune di tale parola, vira nel rispetto, ma poi, quando viene la fede, il fedele, appunto, si preoccupa di piacere più a Lui che agli uomini. Dio è quindi funziona ancora da giudice delle azioni di quel uomo, ma non come un funzionario per coglierlo in errore, ma come un padre che desidera il vero bene del figlio. Il timore di Dio è quindi l'atteggiamento del figlio che vuole corrispondere all'amore del padre, piuttosto che quello del suddito che non vuole essere colto a trasgredire la legge. Direi che poi che “il timore di Dio” passa ad amore completo senza interesse, il cui unico timore è che venga a rompersi una relazione di amore, piuttosto che la punizione per non aver obbedito a certe prescrizioni. Nel N.T. il timore di Dio spesso è proprio messo in relazione con la fede. A tale riguardo basta evidenziale quando Gesù seda la tempesta: “Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t'importa che moriamo?". Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati! Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Marco 4,37-41).

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Questo episodio chiarisce proprio come dalla paura, si passa al timore di Dio, e che questi è una lettura che non si addice al fedele, come sottolinea Gesù con quel non avete ancora fede? Avere, peraltro, un briciolo di fede è già un salto nel trascendente, una irruzione del Regno dei Cieli in terra, il passare in un altro piano. Gesù, infatti, elogia chi ha fede: - del Centurione (Matteo 8,5-13 e Luca.7,1-10); - del paralitico portato a Gesù (Marco 2,1-10 // Matteo 9,1.8 e Luca.5,17-26) - dell’emorroissa (Matteo.9,20-21, Marco 5,25-30, Luca.8,43-50); - della donna Siro-Fenicia (Matteo15,21-28 e Marco7,24-30); Rimprovera però gli apostoli per la loro “poca fede” negli episodi: - della tempesta sedata (Matteo 8,23-27 e paralleli Marco 4,35-41 e Lc.8,22-25) - del ragazzo indemoniato (Marco 9,14-29 // Matteo17,14-20 e Luca9,37-43) Riallacciandomi all’ultima considerazione, cito subito l’episodio ove: “Gli apostoli dissero al Signore: Aumenta la nostra fede! Il Signore rispose: Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.” (Luca 17,5s) Con “Aumenta la nostra fede!” si ingannavano, perché davano per scontato già di averla, ma quella che avevano era era solo curiosità e timore riverenziale, tanto che quando furono scandalizzati dalla croce di Gesù tutti lo tradirono. Gesù non perde allora l’occasione per sottolineare che la fede c’è o non c’è, non è qualcosa che ci si dà da soli è qualcosa che trascende le cose di questo mondo tanto è che la fede ha poteri enormi. Già poca, può spostare le montagne come propone il parallelo in Matteo: “In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.” (Matteo 17,20) Lo dice, peraltro, ai discepoli che non erano riusciti a scacciare i demoni per la loro poca fede: “Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?". Ed egli rispose: Per la vostra poca fede ολιγο πιστισ…”(Matteo,17,19s) In greco usa “poca fede” oligo pistis ολιγο πιστισ, ma il latino molto più pragmatico arriva al sodo, “Propter incredulitatem vestra”, cioè proprio per la vostra incredulità; non avevano ancora la fede, non era ancora sceso lo Spirito Santo ”Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato.” (Giovanni 7,39) Gesù poi avvisa gli apostoli: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce…” (Giovanni 14,16s) Peraltro l’episodio di Pietro e il centurione Cornelio (Atti 10) ci fa comprendere che lo Spirito Santo scende come vuole anche senza essere stati battezzati, cioè è un dono personale nato da una richiesta intima accettata da Dio, perché ha visto la purezza di intenti. Quando Gesù trova in qualcuno la fede è come riconoscesse che ha un salvacondotto, un passaporto per venire beneficato. Si sentono risuonare da Lui le parole: “la tua fede ti ha salvato”. Questa la troviamo ripetuta tre volte: - in Marco 10,52 e in Luca 18,42 per il cieco di Gerico: - in Luca 17,19 per un lebbroso samaritano guarito.

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La guarigione viene per opera della parola del Signore che dice le frasi rituali "Figlia, la tua fede ti ha salvata" (Matteo 5,34) ”Lo voglio, sii sanato" (Matteo 8,3) "Lo voglio, guarisci!" (Marco 1,41) "Lo voglio, sii risanato!" (Luca 5,13) , “la tua fede ti ha guarita" (Matteo 9,22), "Va', la tua fede ti ha salvato" (Marco 10,52), “La tua fede ti ha salvata; va' in pace!" (Luca 7,50), "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!" (Luca 17,19), “La tua fede ti ha salvato" (Luca 18,42), ma assieme alla guarigione c’è l’attestazione che la fede porta la saluteal corpo e all’anima con la salvezza. Il nostro padre nella fede è Abramo, il primo che fece un cammino con Dio e sentendosi portato in una esperienza nuova, avendo provato la sua amicizia, era certo che le promesse che aveva avuto si sarebbero attuate aldilà di ogni contingenza sfavorevole: “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza. Egli non vacillò nella fede, pur vedendo già come morto il proprio corpo - aveva circa cento anni - e morto il seno di Sara. Per la promessa di Dio non esitò con incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia.” (Romani 4, 18-21) Celebre è il capitolo 11 della lettera agli Ebrei, versetti iniziali, in cui si trova la definizione: “La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” vale a dire di quelle che non si vedono ancora. Poi quel capitolo inizia a misurare col metro della fede tutti gli avvenimenti della storia della salvezza: “Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza” e giù via enumera i fatti dalla creazione e della storia d’Israele tutti motivati da fede. Altro fatto notevole è appunto che la fede non è una condizione statica di guardare a delle verità ed accettarle “Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.” (Giacomo 2,20) L’esempio col corpo è calzante. In uno stesso corpo vi può essere lo spirito di Dio, ma anche lo spirito del mentitore. La conoscenza di Dio e i principi della fede il demonio, satana, il maligno, sicuramente ce li ha interi, ma ciò non basta per operare bene. Dice, infatti, la lettera di Giacomo al versetto 19 prima di quella citazione: "Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demoni lo credono e tremano!" Ancora una volta tremare è timore senza fede! La fede è virtù efficace in un corpo di una persona che è apprezzata non solo per come parla - come proclama la fede stessa e come catechizza - ma perché quella fede fa compiere effettivamente in qualche misura alla persona il discorso della montagna in Matteo 5-7, altrimenti la fede è falsa, come dice Gesù stesso: “Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere. Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.” (Matteo 7,20-23) Occorre essere seguaci in tutto del Signore e procedere, un “…corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede. Egli in cambio della gioia che gli

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era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l'ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio. …” (Ebrei 12,1s) Per concludere, quindi la fede e un correre dietro a Gesù che ci apre la strada! Un caratteristica dei personaggi che nei Vangeli vengono elogiati da Gesù per la loro fede è che hanno una caratteristica comune, si muovono o vengono indotti a muoversi verso Gesù, nessuno resta fermo, non aspetta passivamente la grazia. A questo punto appare la speranza che va intesa come un’attesa. Ce lo suggerisce Gesù stesso nel discorso della montagna: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla” (Matteo 6,35) cioè senza aspettarvi nulla in cambio. Quindi si corre dietro Cristo sperando con perseveranza, cioè attendendo un compimento di qualcosa, un evento risolutore che comunque avverrà. Di ciò parla la lettera di San Paolo apostolo ai Romani: “Sappiamo bene, infatti, che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.” (Romani 8,22-25) Chi vede non ha bisogno di speranza e, San Paolo sta dicendo, noi apostoli di Cristo abbiamo visto Cristo Risorto, perciò essendo testimoni oculari “…crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione.” (Romani 4,24s) Sappiamo bene che quella non è speranza nel senso comune, umano della parola, ma la redenzione del nostro corpo di fatto è un’attesa, cioè una virtù provata da una premessa certa che ha avuto un anticipazione, perché “per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo…abbiamo ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio.” (Romani 5,1s) La gloria di Dio è la risurrezione, quando si parla di glorificare si parla di ciò, infatti, Gesù stesso: - “Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato.” (Giovanni 7,39) cioè non era ancora stato risorto. - prima della risurrezione di Lazzaro, risurrezione che sarebbe stata solo un’ombra della resurrezione finale dice a Marta “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio? Tolsero dunque la pietra.” (Giovanni 11,40) - nel capitolo successivo prega dicendo: “Padre, glorifica il tuo nome. Venne allora una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!". (Giovanni 12,28), l’ho glorificato col risorgere Lazzaro e lo glorificherò risorgendo lui stesso. Non v’è dubbio che la speranza, che Paolo chiama beata, è la risurrezione dei morti che s’attuerà al ritorno nella gloria di Gesù Cristo, com’è evidente da questi versetti: - ”…con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti.” (Filippesi 3,11) - ”…nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del

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nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.” (Tito 2,13) Questa però non è soltanto la speranza o attesa dei cristiani, ma è la stessa attesa di tutto Israele. Paolo, infatti, davanti a magistrati e potenti propose sempre la stessa questione, era sotto processo la “speranza d’Israele”, vale a dire la venuta del Messia e della risurrezione. - “Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti. Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise.” (Atti 23,6s) - “Paolo davanti al governatore ”Ammetto invece che adoro il Dio dei miei padri, secondo quella dottrina che essi chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti.” (Atti 24,14,s) - “Paolo davanti ad Agrippa “Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri, e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai Giudei! Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti?” (Atti 26,6-8) - Paolo ai giudei più in vista di Roma: "Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei Romani. Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. Ma continuando i Giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d'Israele che io sono legato da questa catena". (Atti 28,17-20) Le verità di fede dell'ebraismo sono schematizzabili: • In un solo Dio Creatore e Signore dell'universo, che affida all'uomo il mondo, perché sia felice nella comunione con Lui. • Nel perdono di Dio, che toglie il peccato fonte e origine di ogni male; • Nell'Alleanza di Dio con il suo popolo. • In tutto ciò che è scritto nella Legge oTorah; • In un futuro messianico ove regneranno pace, giustizia e ogni bene. Una sintesi della dottrina ebraica è contenuta nella professione di fede elaborata dal filosofo ebreo Maimonide (1135-1204). Per i punti che ci interessano dice • Io credo con fede completa che il Creatore conosce tutte le opere dell'uomo e tutti i suoi pensieri. • Io credo con fede completa che il Creatore ricompenserà coloro che seguono i suoi precetti e punirà coloro che li trasgrediscono. • Io credo con fede completa nella venuta del Messia e per quanto egli ritardi, io l'attenderò ogni giorno. • Io credo con fede completa che vi sarà la resurrezione dei morti quando piacerà al Signore. In estrema sintesi è la speranza della vita eterna come si trova due volte nella

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lettera di San Paolo a Tito 1,1 e 3,7. Questa speranza incide efficacemente nella vita di tutti i giorni “Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro.” (1 Giovanni 3,3) Nel cammino in cui ci si sente trasportati che porta alla fede ed alla speranza. E’ questo in effetti proprio un cammino col maestro, perché s’impara da Lui e si prende sempre più atto della sua misericordia in quanto ci si vede cadere continuamente. Di fatto è una scuola itinerante in cui l’intento di chi porta è far assomigliare sempre più il discepolo al maestro che disse: “Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.” (Luca 6,35) Nella “Lettera a Diogneto” che appartiene agli scritti dei “Padri apostolici”, breve testo in greco, un ignoto cristiano della prima metà del II° secolo si rivolge a un amico per spiegare e difendere la nuova fede cristiana, sulla carità dice quanto in appresso. “Se anche tu desideri questa fede, per prima otterrai la conoscenza del Padre. Dio, infatti, ha amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua immagine, per loro mandò suo figlio unigenito, loro annunziò il Regno nel cielo e lo darà a quelli che l'hanno amato. Una volta conosciutolo, hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non amerai colui che tanto ti ha amato? Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà, e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui. Non si è felici nell'opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l'inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio. Allora stando sulla terra contemplerai perché Dio regna nei cieli, allora incomincerai a parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai quelli che sono puniti per non voler rinnegare Dio. Condannerai l'inganno e l'errore del mondo quando conoscerai veramente la vita nel cielo, quando disprezzerai quella che qui pare morte e temerai la morte vera, riservata ai dannati al fuoco eterno che tormenta sino alla fine coloro che gli saranno consegnati. 8. Se conoscerai quel fuoco ammirerai e chiamerai beati quelli che sopportarono per la giustizia il fuoco.” Procedendo in questo viaggio voluto da Lui, dietro a Lui e per arrivare a Lui “Cresce lungo il cammino il suo vigore, finché compare davanti a Dio in Sion.” (Salmo 84,8) La crescita in contemporanea di queste virtù fa si che però fede e speranza siano il sostegno in questa terra dell’unica virtù che alla fine conterà, com’è espresso in modo mirabile al capitolo 13 della lettera 1° lettera ai Corinzi. “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. La carità è

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paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” Vedremo Dio, perciò non servirà più né speranza né fede, ma per stare al Suo cospetto occorre che ci riconosca come figli cioè che in noi riconosca che gli siamo simili almeno un poco nella misericordia: “Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.” (1 Giovanni 3,2) La prima manifestazione del Messia sulla terra ha di fatto portato ad un combattimento, perché il mondo basato su tutti altri principi è impedito, non può accogliere il messaggio di Cristo che crea divisioni anche nelle stesse famiglie oltre che nella società. E’ una lotta tra due mondi che si scontrano, quello del passato, degli istinti di sopraffazione e violenza con quello del futuro dell’amore, e si genera un presente sempre più conflittuale. Se cè conflitto , e di fatto c’è, vuol dire che esiste una guerra reale. Gesù di Nazaret l’aveva annunciato quando disse: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada.” (Matteo 10,34) San Paolo pare proprio parlare di ciò nella lettera agli Efesini quando propone: “La nostra battaglia, infatti, non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, 15e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza (cioè la speranza) e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.” (Efesini 6,12-17) Salmo 131 Nel corso dell’esposizione ho parlato tra l’altro del Salmo 131. E’ un Salmo molto breve, di 3 soli versetti, ma parla di fede e speranza. Secondo la più recente traduzione C.E.I.,recita come in appresso. 1 Canto delle ascensioni. Di Davide. Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo;

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non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. 2 Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia. 3 Speri Israele nel Signore, ora e sempre. Ho così provveduto alla decriptazione con i miei criteri e la riporto integralmente. (ved. www.edicolaweb.net/lett003s.htm “Parlano le lettere”) Sal 131,1 - Canto delle ascensioni. Di Davide. Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. ש י ר ה מ ע ל ו ת ל ד ו ד י ה ו ה ל א ג ב ה ל ב י ו ל א ר מ ו ע י נ י ו ל א ל כ ת י ב ג ד ל ו ת ו ב נ פ ל א ו ת מ מ נ י Sal 131,1 Doni ש י alla mente ר escono ה dal seno (ה)מ ע del Potente ל che portano ו a segnare ת il nato ל ד (neofita) per recargli ו aiuto ד. Dal Signore ו ה .ל ב dal cuore ה gli uscirà ב Da dentro .ג a scorrere א inizierà ל la potenza י הSarà י a recare ו del Potente ל luce (א ו ר = א ר) ai viventi מ e ו agirà ע con forza י l’energia נ che sarà י a recare ו la potenza ל divina א ל della rettitudine ו condurrà ת Tutti .ו a portare ג ד ל la gloria ב dentro י che sarà ת segno ,כfigli ב נ meravigliosamente פ ל א e ו da puri ת מ vivranno מ degli angeli נ l’esistenza י. Sal 131,2 Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l'anima mia. א ם ל א ש ו י ת י ו ד ו מ מ ת י נ פ ש י כ ג מ ל ע ל י א מ ו כ ג מ ל ע ל י נ פ ש י Sal 131,2 Dell’Unico א la pienezza ם ל א di essere simili (ה)ש ו sarà י in tutti ת a ristare י e ו l’aiuto ד porterà ו per rivivere מ i morti מ ת. Sarà י l’energia נ del Verbo פ a riaccendere ש l’esistenze י. Di rettitudine כ li allatterà ג מ ל l’Altissimo ע ל י. L’Unico א da madre מ li porterà ו. Così כ beneficati ג מ ל in alto ע ל saranno י inviati נ al Volto פ per la risurrezione ש che ci sarà י. Sal 131,3 Speri Israele nel Signore, ora e sempre. י ח ל י ש ר א ל א ל י ה ו ה מ ע ת ה ו ע ד ע ו ל ם Sal 131,3 Sarà י la malattia ח ל י bruciata ש nei corpi ר dalla divinità א ל. Saranno י dal mondo ה portati ו ad uscire ה i viventi מ . Dal tempo ע ת usciranno ה, li porterà ו all’eternità ע ד ע ו ל ם. Letto tutto di seguito il testo della decriptazione esprime in modo sintetico il piano di salvezza di Dio per l’uomo per farlo uscire dalla non esistenza e dal

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tempo e nel contempo parla dei dono che gli opffre già in questa terra. Sal 131,1 Doni alla mente escono dal seno del Potente che portano a segnare il nato (neofita) per recargli aiuto. Dal Signore la potenza inizierà a scorrere. Da dentro gli uscirà dal cuore. Sarà a portare del Potente luce ai viventi e agirà con forza l’energia che sarà a recare la potenza divina della rettitudine, segno che sarà dentro la gloria (della risurrezione) a recare. Tutti condurrà figli meravigliosamente e da puri vivranno degli angeli l’esistenza. Sal 131,2 Dell’Unico la pienezza di esseri simili sarà in tutti a ristare e l’aiuto porterà per rivivere i morti. Sarà l’energia del Verbo a riaccendere l’esistenze. Di rettitudine li allatterà l’Altissimo. L’Unico da madre li porterà. Da bambini svezzati l’Altissimo da madre li porterà. Così beneficati in alto saranno inviati al Volto per la risurrezione che ci sarà. Sal 131,3 Sarà la malattia bruciata nei corpi dalla divinità. Saranno dal mondo portati ad uscire i viventi. Dal tempo usciranno, li porterà all’eternità. Concludendo, le virtù teologali sono: “Doni alla mente che escono dal seno del Potente che portano a segnare il nato (neofita) per recargli aiuto.” Sono perciò doni per i neonati del battesimo. Doni che escono dal seno del Potente e, di fatto, sono sgorgati dal cuore del Servo di Iahweh. Questa immagine porta al seguente scritto di Santa Margherita Maria Alacoque 1647-1690 francese, suora della Visitazione che percorse un cammino di perfezione ed ebbe mistiche rivelazioni, sulla devozione per il Cuore di Gesù. “Mi sembra che il grande desiderio di Nostro Signore che il suo Sacro Cuore venga onorato in modo particolare abbia lo scopo di rinnovare nelle anime gli effetti della sua redenzione. Infatti, il suo Sacro Cuore é una fonte inesauribile che cerca solo di riempire i cuori umili, vuoti, distaccati da ogni cosa e sempre pronti a sacrificarsi per rendergli piacere. Questo Cuore divino é una fonte inesausta, dalla quale scendono ininterrottamente tre canali: - il primo è quello della misericordia verso i peccatori e porta loro lo spirito di contrizione e di penitenza. - Il secondo é quello della carità e scorre per portare aiuto a tutti i miserabili che si trovano in qualche necessità, e particolarmente a coloro che tendono alla perfezione: essi vi troveranno la forza per superare gli ostacoli. - Il terzo é quello dell’amore e della luce per gli amici perfetti, che egli desidera unire a se stesso, per comunicare loro la sua scienza e i suoi desideri, perché, per una via o per l’altra, si consacrino totalmente alla sua gloria. Questo Cuore divino é un abisso di bene, in cui i poveri devono riversare le loro necessità. E’ un abisso di gioia, dove bisogna gettare tutte le nostre tristezze. E’

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un abisso di umiliazione per il nostro orgoglio, un abisso di misericordia per gli infelici, e un abisso d’amore, in cui bisogna seppellire tutte le nostre miserie. Non avete quindi che da unirvi in tutte le vostre azioni al Sacro Cuore di Nostro Signore, all’inizio per disporvi, al termine per ripagare. Per esempio, vi sentite incapaci di pregare? Accontentatevi di offrire la preghiera che il divin Salvatore fa per noi nel sacramento dell’altare. Offrite i suoi slanci per riparare tutte le vostre imperfezioni.” (Dalle «Lettere» di santa Margherita Maria Alacoque) [email protected]