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Che nel Cinquecento le Americhe nonfossero un’utopia, ma un continente dalleenormi risorse materiali, lo compreserotutti in Europa. Ciononostante anche ilnuovo mondo poteva dare un apporto allaspiritualità, e nella fase più cruenta del dissi-dio con i protestanti i cattolici seppero pro-fittare di una pianta sconosciuta, la passiflo-ra, rivelatasi un mezzo proficuo per riavvi-cinare i fedeli al culto della croce.

Il termine tecnico, per sbrigare in pocheparole l’aspetto onomastico, è un neologi-smo assunto dalla botanica nel Settecentoche deriva dal latino flos Passionis, mentregli amerindi adoperarono sempre i lemmimaracuja, maracock o maracot. Dalla metàdel sedicesimo secolo e nell’intero arco delsuccessivo la voce volgare più usata fu il ca-stigliano granadilla (da cui viene l’italianogranadiglia), inventato dagli spagnoli per lasomiglianza del frutto con il pomo granato.

Ai primi missionari mandati dalla Spa-gna nelle terre del Perù, del Messico e del-l’attuale Colombia la granadiglia ricordavala Passione per la somiglianza tra la formadel fiore e alcuni oggetti usati per il martiriodi Cristo. Ben presto i gesuiti, ma anche ireligiosi di altri ordini, favorirono presso lepopolazioni del nuovo continente l’equipa-razione iconica degli stimmi con i chiodi,dei filamenti disposti a raggiera nel corpo

centrale del fiore con la corona di spine,dello stilo con la colonna della flagellazione,dello stame con la spugna imbevuta d’ace-to, delle cinque striature rosse sulla corollacon le cinque piaghe (da cui anche il sinoni-mo Flor de cinco llagas). Il successo ottenu-to in un cinquantennio con le genti delle co-lonie convinse le alte cariche della chiesa aperseguire la nuova forma di devozione,con azioni e argomenti più scaltriti rispettoa quelli messi in atto oltreoceano.

Le descrizioni del fiore nei diari di viag-gio, nelle pagine dei naturalisti e in una nu-trita serie di componimenti, sono le fonti al-le quali attingere per ricostruire una vicen-da assai tormentata che travalica i confinidella religiosità e coinvolge la scienza, l’artee la letteratura. L’obiettivo di questo inter-vento è di ripercorrere le tappe della diffu-sione del vegetale e di rendere espliciti i mo-tivi che hanno scatenato il genio di poeti escrittori dal 1608 sino alla fine del secolo,accorsi in aiuto della chiesa di Roma pergiustificare l’esistenza del fiore e la sua sco-perta come donum Dei. Non mi addentrotuttavia nei meandri della botanica, all’epo-ca affranta dal conflitto sui dettami di Dio-scuride e Teofrasto contrapposti alla neona-ta scienza empirica, né voglio esplorare lostile dei labirinti verbali di marinisti e anti-marinisti chiamati a verseggiare sul fiore.

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Ivano Cavallini

IL CULTO DELLA CROCE E LA POESIA PER IMMAGINIIL CASO DELLA GRANADIGLIA NEL DICIASSETTESIMO SECOLO

Mi limito bensì a esplorare due ordini diproblemi tra loro saldamente connessi, nel-l’ambito di un processo speculativo che sipresta a una rilettura in chiave culturologi-ca. Il primo concerne lo scambio a chiasmotra immagine e parola, nel senso dell’ut pic-tura poësis oraziana genialmente invocatada Giovan Battista Marino nella Diceria pri-ma sopra la santa sindone (1614). La quale, asua volta, vanta un precedente meno illu-stre ma egualmente significativo nella Pas-sione di N. S. Giesù Cristo d’Alberto Durero diNorimberga, sposta in ottava rima dal R. P.Mauritio Moro (1612), opera scaturita dalletrentasette xilografie incise da Albrecht Dü-rer tra il 1509 e il 1510 per il ciclo della Picco-la Passione. Il secondo afferisce ai quesititeologici veicolati dalle poesie, nonché aiparadigmi in esse utilizzati per dare pre-gnanza al sistema simbolico nel quale si in-scrive la ragione del compito che Dio ha as-segnato al fiore, secondo la vulgata del cleroma anche degli intellettuali sensibili alle in-dicazioni della Curia.

Qualche ragguaglio sulla cronologia.La prima menzione del vegetale si trova

nel Codex Badianus, detto anche Barberini.Un erbario manoscritto compilato a Tlati-lulco in Messico dagli aztechi Martin de laCruz e Juan Badianus, mandato in Spagnanel 1552, che raffigura una passiflora deno-minata coa-nenepilli senza riferimenti cri-stologici. La descrizione viene invece daLa chrónica del Perù (1553) di Pedro Ciezade Léon, un cronista al servizio della pub-blica amministrazione con l’incarico di vi-sitare i nuovi possedimenti della corona diSpagna. La Historia medicinal (1574) di Ni-colás Monardes, tradotta in sei lingue lati-no compreso, documenta senza il suppor-to dell’iconografia la presenza di elementisimbolici nel fiore, sui quali insiste la Histo-ria natural y moral de las Indias (1590) di Jo-sé de Acosta. Il libro del gesuita spagnolo,

dimorante a Lima per lungo tempo e poi inItalia quale docente di teologia al CollegioRomano, guadagnò rinomanza come gui-da etnografica e botanica per divenire poiun classico negli studi di demonologia. DeAcosta, infatti, ritiene che il diavolo abbiaintrodotto nelle Indie occidentali ogni spe-cie di atti che sono l’esatto opposto dei ritidella chiesa, così come gli eventi della na-tura, ma senza riferimenti satanici, sonoinvertiti rispetto a quelli dell’Europa (sta-gioni, venti e precipitazioni), mentre l’in-flusso del maligno si avverte negli effluviemanati da alcuni vegetali pregni di sostan-ze tossiche. Superstizioni che ebbero unaeco profonda in Europa, come rivela la li-sta delle piante velenose dell’America lati-na censite dallo studioso di occultismo Jo-hann Zahn nella Specola physico-mathema-tico-historica del 1696. Una delle tavolepreparate dal canonico premonstratense diWürzburg effigia la salvifica Granadilla siveflos Passionis, munita dei tre chiodi e postaaccanto all’albero con la forma del crocifis-so, alla Dauci satiri radix monstrosa manu-formis e alla Rapa monstrosa antropomor-pha, quali tratti distintivi della subdola flo-ra del demonio (fig. 1).

Al riguardo è opportuno ricordare che lalettura allegorica di fiori, piante e animaliamata dai cattolici era avversata dai prote-stanti. In specie dai seguaci di Calvino, iquali, conformemente al pensiero del rifor-matore, giudicavano riprovevole in quantodiabolica l’interpretazione delle sacre scrit-ture secondo i sistemi allegorico, tropologi-co e anagogico. Dispute destinate ad acuir-si con il passare degli anni, ma a dispetto diCalvino, pure in area evangelica non furonorisparmiate le similitudini più argute per iltramite delle piante, allo scopo di contesta-re le argomentazioni dei gesuiti. Tra le rea-zioni più risentite spicca quella di John Par-kinson, dottore al servizio dei reali d’Inghil-

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terra con la carica di « botanicus regius pri-marius ». Nel Paradisi in sole. Paradisus ter-restris del 1629, alla voce Maracos sive Cle-matis virginiana, Parkinson riconosce le in-sidie di Satana nelle menzogne dei gesuitisulla passiflora: « they », scrive il naturalistabritannico, « use to instruct their people;but I dare say, God never willed his prieststo instruct his people with lyes: for they co-me from the Divell, the author of them ».A conforto dell’accusa riproduce una illu-strazione del « Granadillus frutex indicus,Christi Passionis imago », accompagnatada una didascalia in cui attribuisce all’ordi-ne di sant’Ignazio la responsabilità dell’im-magine falsata e usa provocatoriamente ilnome amerindo della pianta: « The Iesuitsfigure of the maracoc » (figg. 2-3). A onordel vero, de Acosta non si comportò da in-tegralista nel dichiarare che i segnali dellapersecuzione di Cristo si possono coglierecon un po’ di immaginazione. Nel succintocapitolo xxvii della Historia egli invoca lapietà di cui si deve dotare il cristiano nel la-voro di ricreazione mentale onde associarela figura alla croce:

La flor de granadilla es tenida por cosa nota-ble; dicen que tiene las insignias de la Pasión,[ . . . ] y no les falta alguna razón, aunque parafigurar todo lo dicho es menester algo de pie-dad, que ayude a parecer aquello; pero mu-cho está muy expreso.

È probabile che l’insegnamento tenutodallo spagnolo presso il Collegio Roma-no, a partire dal 1594, sia stato propizio al-la crescita improvvisa della nuova creden-za. Purtroppo il catalogo dell’aromatariadel collegio, redatto da Liberato Sabbatinel 1753, è troppo tardo per stabilire conprecisione quando la pianta è entrata a farparte del giardino dei padri gesuiti. Nes-sun dubbio sussiste invece sul fatto cheGiovanni Botero abbia attinto da de Aco-

sta i dati essenziali per redigere le pluriedi-te Relationi universali (1596), in cui ripren-de gli argomenti del confratello, quali lacontraffazione di alcuni sacramenti daparte del demonio, la disposizione inversadelle stagioni rispetto all’emisfero boreale,i malefici operati dal diavolo e i « disturbi »provocati dagli eretici. Così non è fruttodel caso che il concetto di pietà della Hi-storia natural si ritrovi con termini egualinella seconda cantica della Primavera(1608), poema dovuto alla penna dellostesso Botero:

Ma non convien lasciar la granadiglia,supremo onor de’ messicani fiori.Quivi, se ben tua vista s’assottiglia,vedrai del tuo Giesù gl’aspri dolori,la colonna, e le piaghe, e la vermiglia corona, e ciò che ne la croce adori,i cospersi di sangue, acuti chiodi,e (se pietà t’aiuta) e funi, e nodi.[corsivo mio]

La coltivazione della pianta in Europa,nella variante della passiflora incarnata, hacome terminus a quo il 1619 per Roma, conil giardino di monsignor Giuseppe Acqua-viva curato da Matteo Caccini, e il 1612 perParigi, anno in cui l’« arboriste du roi » JeanRobin fece venire un esemplare dall’Ame-rica del nord. Per contro, sulla presentazio-ne del fiore a papa Paolo V nel 1608 le testi-monianze sono poco attendibili, mancandoun resoconto dell’episodio con l’avvallodella Curia. Si può facilmente presumereche nella sua veste di pontefice CamilloBorghese si sia limitato a concedere un’ap-provazione non ufficiale, quand’anche af-fettuosa e sincera. A riferire dell’evento èpadre Antonio Canali nel Discorso nel qualesi descrivono il fiore e il frutto della granadi-glia, overo della Passione di N. S. Giesù Chri-sto, il primo dei tre premessi alle liriche del-l’antologia poetica Fiore di granadiglia,pubblicata a Bologna nel 1609 per le cure

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di Simone Parlasca. In conclusione del suoscritto Canali afferma che

uno di questi fiori, vero et reale, fu dall’Indieportato pochi mesi sono a Roma e rappresen-tato alla santità del pontefice odierno Paolo Ve di là, avutosi simile aviso, cominciossi inquesta città di Bologna a parlarsene con per-sone che sono o native o pratiche de’ paesidell’Indie, che diedero minuto ragguaglio del-la figura et di tutte l’altre qualità di questa me-ravigliosa pianta.

L’apologeta non dice se si tratta di unfiore essiccato o vivo, e nel secondo Dis-corso che il fiore della granadiglia della Pas-sione di nostro Sig. sia vero e non finto chia-ma in causa alcuni prelati spagnoli a testi-moniare sulla veridicità del vegetale cruci-forme.

La ricerca ossessiva di firmatari degni difede tra Roma e Bologna accerta che dellapassiflora poco o nulla si sapeva in queglianni e che doveva esservi qualche difficol-tà nell’avviare in Italia la messa a dimora eil culto del fiore, praticato oltreoceano conesiti largamente positivi. L’« aviso », ossiala notizia dell’omaggio recato a Paolo V,manca di ulteriori specificazioni in meritoai passi che questi avrebbe potuto intra-prendere allo scopo di ufficializzare code-sta simbologia. A citare di sfuggita l’attodel dono, e ciò rafforza l’ipotesi di un’ade-sione informale da parte del santo padre, èla Vera narratio (1610) di Eugenio Petrelli.Nel breve saggio del chierico regolarespunta il nome di Juan Romero, il gesuitasuperiore della missione di Tucuman nelnord dell’Argentina, tra il 1593 e il 1598, poiprocuratore del Paraguay e superiore delcollegio di Buenos Aires dopo il rientro daRoma nel 1610. Di questo missionario sidice fosse buon conoscitore delle linguedei guaraní, ma oltre alla commozioneprovata alla vista del fiore Petrelli non ag-

giunge altre informazioni. Anche dalla let-tura de La trionfante e gloriosa croce (1610),trattato di Giacomo Bosio composto sulmodello del De cruce di Justus Lipsius e delTriumphum crucis di Girolamo Panigarola,non affiora nulla più che il nome dell’ago-stiniano Emanuel de Villegas, nativo delMessico, il quale portò a Roma un disegnodel fiore. Come Canali, Bosio ha collezio-nato a sua volta una serie di testimonianzerilasciate da missionari e uomini d’arme trail 1608 e il 1609, ricordando che dalla Spa-gna era pervenuta a lui un’incisione nel1609. L’agente dell’ordine gerosolimitano,dopo avere incassato il beneplacito di alcu-ni personaggi influenti, si decise a include-re il disegno del fiore condotto sull’esem-pio della stampa bolognese, che, a quantoegli stesso asserisce, poteva essere conte-stato da « uomini gravi », ossia da medici enaturalisti. Indicativo, a tal fine, che ancheun personaggio come Bosio, addentro aifatti della vita spirituale e civile di Roma,non si curi di dire qualcosa intorno allapresentazione al papa.

Nel frattempo erano circolate in Italiaalcune stampe del fiore. Oltre ai disegniapparsi nei libri di Parlasca (fig. 4) e Bosio,le più notevoli da citare sono la Copia delfiore et fruto a cura di Donato Rasciotti equella del nominato Petrelli (fig. 5). Ri-guardo all’incisione esibita da Petrelli de-sta perplessità la collocazione avanti ilfrontespizio della Cultura ingeniorum diAntonio Possevino, che del veneziano ac-coglie una rara edizione della citata Veranarratio fruticis, florum et fructum novissimein occidentalibus Indiis nascentium (1610,cit. ). Il fascicolo non ha un proprio fronte-spizio e conclude la settima edizione dellaCultura, che in realtà è la prima stampatain terra tedesca come volume a sé stante.A fugare ogni dubbio sulla liceità dell’ini-ziativa editoriale è il titolo del libro, che as-

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severa la connessione tra le due opere econferma la fama di Possevino, quale si-stematore dei saperi ad uso dei seminarigesuitici, nunzio apostolico, diplomatico ecampione della controriforma nell’appli-care i canoni tridentini nei paesi della me-dia Europa. Se per altri intellettuali sareb-be stato impensabile aprire un capitolosulla granadiglia, per il gesuita che avevapredicato nelle diocesi minori mentre trat-tava affari gravosi con Ivan il Terribile, da-re spazio alla Passione di Cristo per mezzodel fiore non rappresentava affatto unostacolo di tipo disciplinare. E questa è laragione per cui il testo sentenzioso delcorreligionario, ornato dalla granadiglia,integra la variopinta Cultura ingeniorum,aperta alle materie più diverse per l’istru-zione dei discenti che andavano a formarei quadri della dirigenza ecclesiastica.

Il singolare accordo sull’immagine mi-stificata tra i naturalisti gesuiti e i poeti è tut-tavia disatteso da alcuni « giardinieri », iquali, a diverso titolo, evitano il soggettotanto problematico, oppure rigettano la de-formazione del fiore autentico. Il linceo Fa-bio Colonna, per esempio, riporta una figu-ra reale della Granadilla Flos Passionis nelleAnnotationes et additiones al Tesoro messica-no (1651), senza contestare i colleghi religio-si. Giovan Battista Ferrari, poligrafo e gesui-ta al servizio del « cardinal nepote » France-sco Barberini, opta invece per l’esclusionedel fiore dai rami del corposo Flora, overoCultura di fiori (1638). Il romano Pietro Ca-stelli, al servizio del cardinal Farnese, nel-l’incipit della « Descriptio plantae mara-cot » dell’Hortus farnesianus (1625) si attienealle prove materiali senza scendere a com-promesso con le fantasticherie sorte intor-no alla pianta. Il naturalista, nel tracciare ilviaggio del vegetale importato dalle Ameri-che, lo classifica sotto il nome di maracot enon già sotto quello più comune di granadi-

glia. Indi fornisce una minuta descrizionedello stesso commentando la falsità delleaffermazioni correnti, in base alle proprieesperienze condotte con la coltivazione ainiziare dal 1619. Le valutazioni dello stu-dioso sono espresse senza reticenza e conun tono talmente lapidario che non ammet-te repliche:

Ego, ut verum fatear, tantam misticitatem, ni-si per vim, in hac planta non aspicio [ . . . ].Nam in hac tota planta crux non apparet,quod primum et principalissimum PassionisSalvatoris est signum.

Per contro, la prova estrema della dilata-zione del fenomeno in via correttiva è rap-presentata dalla Madonna con bambino diJoos van Cleve, dipinto conservato pressoil Cincinnati Art Museum negli Stati Uniti.Le analisi condotte sulla tela dell’artistafiammingo, vissuto tra il 1485 e il 1541,quando in Europa della pianta americanaancora non si aveva notizia, dimostranoche la passiflora, stilizzata con la corona dispine e tenuta fra le dita della mano destradi Maria, è di molto posteriore rispetto alresto della figura, oscillando la sua datazio-ne tra il 1600 e il 1680. Ciò vuol dire, comearguisce Michael Abrams, che un altro arti-sta è intervenuto sul quadro aggiungendoviil fiore.

In breve giro d’anni la granadiglia acqui-sì le caratteristiche di tante formazioni miti-che, per la forza che essa esercitava sui cat-tolici nell’evocare le sofferenze patite daGesù. Colto nel momento della nascita, ilprocesso di metaforizzazione visuale cheattribuiva al fiore il raro privilegio di esserein natura il calco della Passione deve esserestudiato come fenomeno di devozione po-polare indotta, dipendente da un genere diallegoresi creata ad arte per la difesa dei va-lori della controriforma. E a sbarazzare ilcampo da qualsiasi dubbio in merito a que-

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sta fortunata operazione è il volume di Par-lasca, ove nel discorso di apertura padreCanali ammette apertamente che

gl’indiani hanno inteso da’ nostri che le figurerappresentate in questo fiore sono i misteridella Passione di Cristo [e] l’addimandanouniversalmente (anche i più teneri fanciulli) ilfiore della Passione di nostro Signore.

A questo punto è doveroso ribadire chela trasformazione da pianta rampicante asimbolo della croce non vanta origini de-motiche e la sua importazione testimonial’abilità di inventare un messaggio e di mu-tarlo in credenza comune. Tra i due terminidella questione, il fiore e la croce, si è in-staurato un processo metabolico in cui ilprimo, nonostante la diversità materiale trale due forme, ha acquisito i segni visibilidella Passione. Non il disegno quale copiafedele del fiore, ma una serie di particolariche in veste di indizi hanno portato a con-cludere che in esso vi sia l’essenza divina.Attraverso un accurato sistema di compa-razioni, gli elementi costitutivi della grana-diglia sono diventati i segni tangibili dellacroce inscritti nella natura dal momento incui Cristo è risorto o, per alcuni commenta-tori, questi esistevano sin dalle origini del-l’umanità e si sono palesati solo dopo lamorte del Salvatore. Ovviamente si tratta diuna costruzione ecfrastica a esclusivo van-taggio dei cattolici, considerata l’assenzadella pianta nelle campagne e nei giardinipiù umili del nostro paese per almeno undecennio (dal 1608 al 1619). Per cui la minu-ta illustrazione delle immagini reinventatein loco floris è avvenuta grazie a un lavoro didistrazione dalla vera sede, per mezzo di untrasferimento antinaturalistico che ha in-dotto a vedere in un oggetto inerte quelloche non v’è. Contro la logica aristotelica,dunque, è stata la natura a imitare l’arte, e ilfiore per mimesi a rovescio s’è trasfigurato

in icona di un oggetto, la croce, fabbricatodall’umana malvagità.

Il passaggio dal mondo iconico alla fito-grafia poetica inizia pressappoco con Gio-vanni Botero, Felice Passero e GaspareMurtola. Quest’ultimi accennano al fiorenei poemi l’Essamerone (1608) e Della crea-zione del mondo (1609), composti sul mo-dello degli esameroni patristici. Padre Ca-nali, al cospetto di quei timidi attestati, si ri-volge al Parnaso letterario con parole di vi-va esortazione:

Non sarà però del tutto vano che con la pen-na si descriva, acciocché mancando in alcunacosa il pennello, o l’ago o la scultura, suppli-sca al difetto la penna, e si dia la maggior sod-disfazione che si può a’ desiderosi d’esser in-formati di questa così bella, nobile e misterio-sa pianta.

Precetto dal quale deriva una repentinaquanto sconcertante approvazione da partedegli scrittori inseriti nei circuiti confessio-nali, ma soprattutto da uno stuolo di autoripiazzati sul fronte laico. Sono proprio co-storo a tramutare il fiore in geroglifico lette-rario, ossia in un segno della fede in cui so-no equamente bilanciati il senso di illustra-zione e di involucro del significato. A darela stura in Italia a questa interpretazione èsempre Canali, il quale non esita a far sua laprassi ermetica dei geroglifici egizi, ripresanel Cinquecento da Valeriano, con l’invito aesperire attraverso i naturalia la sapienza di-vina inscritta nel libro del mondo:

Per li misteri poi che racchiudono, e per li se-creti morali e celesti che nascondono, si pos-sono ancho dire caratteri divini, geroglificiterrestri, lettere sacre [ . . . ]. Onde gli egizi, chele scienze loro nascosero sotto lettere sacre,che essi addimandavano geroglifici, si servi-vano in ciò ancho de’ fiori.

I fondamenti teorici di questo discorsosono riposti sia nel neoplatonismo cristia-

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no, mediante l’equazione bello eguale abuono, sia nel concetto agostiniano del do-no divino per far intravedere ai fedeli i se-greti dell’Onnipotente. Sicché il desideriodi riannodare i fili recisi con la tropologiabiblica, dopo la riscoperta delle fonti classi-che di un secolo paganeggiante quale fu ilsedicesimo, suona come una critica tutt’al-tro che inaspettata nel terzo contributo diCanali (Terzo discorso nel quale si spieganoalcuni misteri del fiore e frutto della granadi-glia, overo della Passione di N. S. Giesù Chri-sto). Se i greci vedevano nel giacinto le lette-re del dolore di Apollo, a causa della mortedell’omonimo giovane da lui amato, e ipoeti hanno favoleggiato intorno a questaleggenda, Canali sostiene che i cristiani di-cono

con pura verità che quell’eterno Padre, vero enon finto Apollo, per amor nostro condannòa morte il suo unigenito et innocente figlio [e]dipinse anco la memoria di così amorosamorte nel bel fiore granadiglia.

Concetto rifinito da Emanuele Tesauro,che tra il 1622 e il 1629 coglie l’opportunitàdi apprezzare i segni del creato come lin-guaggi non verbali, per cui la natura sareb-be « prodiga di traslati » seppure « scarsa divocaboli ». E anche nel Cannocchiale aristo-telico immagina che Dio abbia consegnatola propria sapienza in forma di sigle miste-riose incise nel mondo materico. Il quale,puntualizza Tesauro, è impastato di « argu-menti entimemi », avendo l’aspetto di unasemiosfera ricolma di sillogismi in cui è ta-ciuta, in quanto sottintesa, la prima partedel ‘discorso’.

L’indica pianta dei verseggiatori accedecosì all’universo criptato degli ierogram-mata per essere ricomposta secondo i mo-di degli emblematisti. Come nelle parabolee nelle favole antiche, per ipotetica volontàdivina al fiore si annette l’artificium occul-

tandi e la ratio docendi. Meglio dei fiori for-manti l’incipitario delle fabulae classiche,con le loro verità recondite, la granadigliaperuviana è il segno virtuale o geroglificodi un messaggio antico dell’unica fede. Ra-gion per cui sono in molti ad ospitarlo ac-canto ai fiori degli dei pagani, ritenendo intal modo di saldare il debito di coscienzacontratto con la cristianità per avere guar-dato troppo a lungo ai miti classici. L’ecce-zionalità del fenomeno è dovuta al fattoche non si tratta di un banale scrupoloesprimentesi in soluzioni anarchiche o dis-organizzate all’interno del sistema lettera-rio. È invece uno snodo della cultura che ailivelli più alti investe le poetiche, nel cuiambito si registra l’urgenza di conferireuna giustificazione ponderata alle figuresimboliche, come si intuisce dall’accogli-mento del fiore nel libro di Paolo Aresi, ve-scovo di Tortona, Imprese sacre con triplica-ti discorsi illustrate e arricchite a’ predicatori,agli studiosi della scrittura sacra et a tuttiquelli che si dilettano d’impresa, di belle lette-re e di dottrina non volgare (1630).

La debolezza dimostrativa delle immagi-ni che suppliscono alla scarsità di esemplaridella pianta, di là dall’attecchire ovunque senon negli orti botanici, può essere a sua vol-ta surrogata dalla parola. Per cui lo sviluppodi una poesia di pretto stampo iconico noncostituisce l’esito di un atteggiamento spon-taneo delle élites intellettuali, ma è la conse-guenza di una catena di difetti di informa-zione: l’immagine alterata per sostituire unfiore ignoto alla maggioranza degli europei,e la poesia in soccorso dell’iconografia, po-sta cioè a sopperire alle carenze del disegno.In questo senso l’ut pictura poësis è l’effettocompensativo innescato da una credenzanata in forma ingenua, e con le modalitàdella mitopoiesi, presso i poveri missionarispagnoli. La quale viene poi sottoposta a unprocesso di falsificazione iconica, sorve-

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gliata dalla Compagnia di Gesù, sino allatrasmissione nelle diocesi dopo il tacito as-senso della Curia. Anche Giovan BattistaMarino, attento lettore di Botero e amicodei primi laudatori della granadiglia, Ridol-fo Campeggi e Claudio Achillini, avrebbeaggiunto le nove ottave sul fiore dopo la ste-sura iniziale dell’Adone (1623). Lo scopo diquesta interpolazione, a detta di CarmelaColombo, era di non lasciarsi sfuggire l’oc-casione di impinguare il giardino delle me-raviglie con un tema di tanto clamore. Nonè superfluo puntualizzare, circa la strutturadel poema, che il suo carattere enciclopedi-co forma l’impianto di un iter esperienzialeatto a conseguire il disvelamento dei segretidel Theatrum naturae, sia con le facoltà sen-soriali, sia con l’ausilio degli strumenti crea-ti dalla scienza.

La competizione poetica che si accendeintorno ai segnali del fiore non è dunque fi-glia del caso. I suoi corifei, forti del consen-so ecclesiale, anelano al kairoöw, al tempodella rivelazione e all’opportunità di attrar-re i miscredenti con un mezzo straordinarioche rassicuri i dubbiosi. Da un conto ap-prossimativo, al potente richiamo hannoceduto trentotto autori per una sessantinadi componimenti in volgare, assiepati intor-no agli anni 1608-1633, cui si aggregano al-cune stanche riprese del tema verso la metàdel secolo. Nel novero delle pubblicazionidi maggiore impegno, accanto all’Adone diMarino e alle Ode di Fontanella, vi è l’anto-logia Rime [. . .] in lode [. . .] della granadigliaconfezionata dagli accademici Gelati e In-vescati, che dà la stura alle metafore piùastruse e concettose onde misurare la forzacomunicativa dell’icona (in Il fiore della gra-nadiglia, overo della Passione di nostro Signo-re Giesù Christo, 1609 cit. ). Di là del valoreintrinseco dei testi, i quesiti sollevati dai so-dali felsinei e dai loro imitatori si rivelanopreziosi al fine di comprendere lo status

della devozione secentesca in commistionecon il dibattito teologico. Riassuntivamenteessi rispondono a come, dove, quando e per-ché è apparsa la passiflora.

Sui criteri della genesi (come) le solu-zioni più irreali vengono da Giovanni Va-lesio, Marino e Fontanella, i quali ipotiz-zano la nascita dal sangue sgorgato dalcorpo di Gesù. Asserti al limite della bla-sfemìa, dacché una cospicua parte delgiardino mitologico è fiorita per mutazio-ne diretta dal sangue o dal latte degli deipagani, come la rosa sbocciata dalla pun-tura al piede di Venere. Ciò contraddice lequerele sul luogo di origine (dove e perché ),considerato che in nessuna fonte preceden-te la scoperta dell’America si parla dellapianta:

Giovanni Valesio (Il fior de la granadiglia,1609)

Quel dì che sul Calvario il Redentoreper dar salute a noi morte sofferse,dal vivo sangue, ond’Ei la terra asperse,nacque (penso io) questo mirabil fiore,[ . . . ]

Giovan Battista Marino (Adone, 1623)

Ne l’orto di Giudea, credo, nascestida que’ vermigli e tepidi canali,che gli olivi irrigaro, ov’Egli esangueangosciose sudò stille di sangue.[ . . . ]

Girolamo Fontanella (Ode, 1633)

Tu, da caldo ruscelloper sanguigno canaleirrigato sì bello,avesti al mondo il tuo primier natale,e mostri aver, miracoloso stelo,la cima in terra e la radice in cielo.[ . . . ]

Botero, poi, si chiede per quale motivo ilfiore abbia visto la luce nel nuovo mondoinvece che in Israele, ove fungerebbe da

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terribile monito contro gli ebrei uccisori diCristo (La primavera, 1608 cit. ):

Onde avien santo, incomparabil fiore,che in terra naschi e clima sì lontano,co’ rei tormenti ch’ebbe il Redentore,da popol disleal, empio inumano?Quanto staresti meglio entro il mio cuore,per opra dell’Artefice soprano?Non temeresti tu del verno il gelo,e vivrebbe in me perpetuo zelo.

La risposta di Jakob Gretser nell’Hor-tus sanctae Crucis del 1610 non manca diefficacia, nonostante l’ingenuità argomen-tativa di fondo. A detta del teologo tede-sco, la scoperta della granadiglia dovevaavvenire in un luogo lontano dalle eresie,diverso dalla vecchia Europa ove gli evan-gelici iconoclasti l’avrebbero quanto me-no ignorata se non derisa. Perciò il fiore èsbocciato nell’altro emisfero onde premia-re la religione cattolica e allontanare qual-sivoglia sospetto sulla falsità del simboloda parte degli scismatici. Inoltre, esso èuno strumento di redenzione per monda-re i peruviani dal peccato e condurli allasalvezza eterna.

L’ultimo nodo da sciogliere concerne ilquando. Alcuni poeti danno per scontatoche la pianta sia stata rinvenuta lontanodall’Europa, in un momento critico del cri-stianesimo, per affermare la validità deidogmi tridentini. Per cui Dio avrebbe pia-nificato il suo ritrovamento durante il cam-mino dell’umanità, allo scopo di ravvivarela coscienza dei fedeli di fronte alla separa-zione tra cattolici e protestanti (Marino), iquali ultimi, specie i calvinisti, si oppone-vano con determinazione all’adorazionedelle immagini. Altra via tengono i più ra-dicali, i quali auspicano l’avvento di unanuova era grazie alla scoperta della grana-diglia (Basilio da Lecce e Alessandro Paga-nini).

I paradigmi ricorrenti nelle rime si dis-pongono su due livelli complanari della fic-tio retorica. Per quanto concerne il primo,rigorosamente iconologico ma di debole fa-scino, gli autori si soffermano sugli elemen-ti costitutivi del fiore per perorare il parago-ne con la croce. Sull’altro versante della ri-flessione poetica è il fiore nella sua interezzaa esplicare la volontà del Creatore.

Achillini usa l’immagine del fiore-librodi natura:

Mira che spiega su la foglia umiledei tormenti di Dio scolpiti i segni,bel libro di natura ai sacri ingegni,de’ sacri libri emulator gentile;

successivamente ricorre alla metafora delteatro dell’udito, ove gli occhi colgono ipietosi accenti del dolore di Cristo alla pa-ri degli orecchi: tesi opposta e tuttaviaparallela rispetto alla coeva polifonia delconterraneo Orazio Vecchi, in grado dievocare la scena comica con la sola musi-ca vocale:

In compendio odorato alti martiri,ove quasi di Dio sento i sospiri,e con questi occhi le querele ascolto.

Ridolfo Campeggi, principe dei Gelati,senza originalità illustra i componenti tras-lati del fiore salvifico:

In questo vago fiore alma smarritadeh vedi pur con disusati modila colonna, le spine, il sangue, i chiodi,onde con l’altrui morte hai tu la vita.

Bernardino Mariscotti riprende il toposdei fiori che parlano con muta lingua:

De l’Innocente, ancor fu questo espressodi favellar con muta lingua i fiori,

il quale diventa « muta tromba di Dio » on-de confutare il sospetto di mistificazioneper mano dell’uomo:

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Muta tromba di Dio, germe loquacenon ti formò cura mortal, né finse:ma fu Divin Cultor quel che ti pinsecol pennel di natura e fé vivace.

Giovanni Capponi accusa Satana di ave-re occultato la passiflora nell’altro emisferoper nascondere la vergogna della crocifis-sione: sotterfugio improvvido giacché gliindios hanno scoperto la verità:

E per celar le sue vergogne altrui,de l’opposto emisfero infra i tesoriportollo in terra alor divota a lui.Ma che gli valse? Or gli Indi abitatoridi già pur sanno in fé simili a noii tormenti di Dio leggerne fiori.

Marcantonio Arlotti propone la metafo-ra del fiore-teatro di farsa che mescola ilpianto e il riso, sinonimi di pentimento e re-missione dei peccati:

O pur è sacra scena ove l’amoredi Cristo è fatto un odorato oggetto,ove con muta farsa alto soggettotrattasi di salute e di dolore.

Giovanni Battista Maurizio, in base a unragionamento di fisica galileiana, dice che ilfiore è nato in Perù perché i due emisferi siequivalgono, essendo l’uno capovolto ri-spetto all’altro:

Fra i due poli a cui l’asse intorno girasiede il Perù che ha in Oceano radice,e giorni e notti eguali aver si dicesenza sentir del ciel oltraggio, o ira.Questi nutre la pianta ove si miradi fiori e frutti ogni or pompa felice.

In un’altra lirica di intonazione geome-trizzante Maurizio agguanta il paradigmageodetico, per cui la granadiglia possiede lostesso disegno dei segmenti che si interse-cano in natura, alludendo all’incrocio del-l’equatore con l’asse attorno al quale gira laterra; poi, per rincarare la dose, si dilunga

sui cinque punti che congiungono l’orsamaggiore, i quali aiutano a ricordare le cin-que macchie rosse a loro volta reminiscen-za delle piaghe:

Videsi in terra e in cielo a l’or a l’ora,mossa dal suo motor natura ancellanel teatro mondan or dentro or fuori,la croce fabricar facil e bella.Pria il cerchio dove il suo Signor dimora,che regge il tempo ed equator s’appella,e l’asse in cui si volge il globo altero,attraversando fenne un segno vero [ . . . ]. Scelse poi cinque dei più eccelsi e purilumi che ornar dovean il firmamento,e sovra il polo che a noi tiene oscurii segni suoi locolli in un momentocon chiaro ordine, tal che raffiguriil bello e salutifero stromento.

Un autore anonimo si spinge alla com-parazione con l’anemone, fiore dai petali te-nui che si sfrangono al vento (da aönemow), ilquale è nato per processo metamorfico dalsangue di Adone ucciso dal cinghiale. Inquesto frangente il confronto si pone tra ilcaduco amore profano di Apollo nei con-fronti del giovane e l’eterno amore sacropredisposto con il sacrificio di Gesù:

Ma l’uno ai sensi solo, a l’alma ancoral’altro ragiona: il primo è senza frutto,dall’altro il frutto vien d’eterna vita.

In un successivo componimento si am-moniscono gli « elevati ingegni » a non abu-sare del loro sapere, in quanto il fiore è unarappresentazione del mistero della fede, os-sia di un imperscrutabile disegno superio-re (Spunta fin là nel cor de gli Indi regni).Una raccomandazione che assieme all’invi-to a trascurare i fiori della classicità formaun’endiadi consona alla rivoluzione conser-vatrice della controriforma.

Sin qui il campionario incompleto di al-cune delle prodezze versificatorie del flori-legio bolognese. Dopo l’Adone mariniano e

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le Ode di Fontanella, l’accolta degli elogiprosegue con Giuseppe Battista nelle Poesiemeliche del 1659, il quale equipara la grana-diglia all’attore in tragedia per la comune in-cidenza catartica sullo spirito da cui nasce lapurificazione:

La tragedia d’un Dio purgarmi il coreoggi potrà del più smodato affetto,poiché muto istrione è fatto un fiore.

Infine, nelle Quattro stagioni (1669) delnapoletano Lorenzo Casaburi Urries la gra-nadiglia, oramai icastico « sacrario vege-tante », abbatte i falsi mitologemi sul gira-sole, la rosa e il giacinto, ammirati dalla ri-nascenza e dai cultori dei classici greci e la-tini.

In conclusione, il rapporto inversamen-te proporzionale che si instaura tra la poe-sia e la passiflora non ha la parvenza di unevento effimero, dacché alla progressivadiminuzione dei versi in suo onore fa ri-scontro una disseminazione capillare dellapianta. E a insistervi non sono i migliori in-gegni del paese, ma i religiosi più bigotticome Ippolito Falcone, il quale arricchisceLa granadiglia del Calvario del 1694 con tresonetti di Orlando Maria Sortino, un ma-drigale di Michele Jacopo Sortino e un’o-de di Rosario della Valle. Nel volume, uncommento di circostanza alle stazioni delCalvario, vi sono due elementi di spicco:la precedenza del fiore sulla crocifissione,deprivato del ruolo di indizio fecondo inquanto tramite indiscusso della verità (fig.6), e la storiella dello stupore provato dalpontefice alla vista del Granadillae ramus,che il siracusano ammannisce con supinacertezza disobbligandosi dall’entrare indettaglio.

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tim emissa in gratiam nobilium academiarumGermaniae atque Poloniae etc. Accessit ac po-strema editione Vera narratio fruticis, florumet fructum novissime in occidentalibus Indiisnascentium Eugenii Petrelli veneti, ColoniaeAgrippinae, apud Ioannem Gymnicum subMonocerote, 1610.

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Fig. 1. Johann Zahn, Specola physico-mathematico-historica (Norimberga, 1696).

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Figg. 2-3. John Parkinson, Paradisi in sole. Paradisus terrestris (Londra, 1629): la vera passiflora (maracot) e lapassiflora dei gesuiti.

Fig. 4. Il fiore della granadiglia, overo della Passione (a c. di S. Parlasca, Bologna, 1609)

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Fig. 5. Eugenio Petrelli, Frutex, flos et fructus Indiae occidentalis (Colonia, 1610)

Fig. 6. Ippolito Falcone, La granadiglia del Calvario (Palermo, 1694)

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