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A.L.I. - SEDE NAZIONALE Via XX Settembre, n. 27 - 06121 Perugia Tel. +39.075.5736035 – Fax +39.075.7827074 - Mobile +39.3402878053 www.associazionelegaliitaliani.it – C.F. 94108090542 Estratto da “Contratti d’impresa” CESI Professionale Edizioni Avv. Damiano Marinelli – Avv. Elisabetta Spigarelli Contratto e negozio giuridico Le nozioni di negozio giuridico e contratto vanno distinte concettualmente sotto svariati profili. Si intende per negozio giuridico l’istituto attraverso cui i privati, mediante una dichiarazione, manifestano gli scopi che perseguono. La definizione che ne viene tradizionalmente data è quella di dichiarazione di volontà con cui si esprimono gli effetti perseguiti ed alla quale l’ordinamento ricollega effetti giuridici conformi al risultato perseguito. Perché ciò possa verificarsi occorre che la finalità e gli interessi che fanno da sfondo al negozio siano meritevoli di tutela e che siano rispettate le prescrizioni eventualmente stabilite dalla legge per le singole figure. L'atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti; in particolare, deve pervenire all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne consegue che il deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza attendere la comunicazione dell'ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza(Cassazione civile , sez. lav., 15 maggio 2006, n. 11116). La categoria dei negozi giuridici può essere classificata avendo riguardo a diversi “punti di vista”. Rispetto alla struttura soggettiva, si hanno negozi unilaterali (la dichiarazione proviene da un’unica parte), che possono essere recettizi o non recettizi, secondo che sia o no necessaria la comunicazione ad uno specifico destinatario perché l’atto produca i propri effetti, e negozi “bi” o plurilaterali, se le parti sono due o più. Si distinguono, poi, i negozi mortis causa dai negozi inter vivos, secondo che la morte di una persona sia presupposto perché l’atto produca i suoi effetti. I diversi interessi sottesi al negozio differenziano, ancora, i negozi familiari da quelli patrimoniali, che possono essere a titolo oneroso o gratuito, se una parte consegue un vantaggio senza sopportare il correlativo sacrificio.

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Estratto da “Contratti d’impresa” CESI Professionale Edizioni

Avv. Damiano Marinelli – Avv. Elisabetta Spigarelli

Contratto e negozio giuridico Le nozioni di negozio giuridico e contratto vanno distinte concettualmente sotto svariati profili. Si intende per negozio giuridico l’istituto attraverso cui i privati, mediante una dichiarazione, manifestano gli scopi che perseguono. La definizione che ne viene tradizionalmente data è quella di dichiarazione di volontà con cui si esprimono gli effetti perseguiti ed alla quale l’ordinamento ricollega effetti giuridici conformi al risultato perseguito. Perché ciò possa verificarsi occorre che la finalità e gli interessi che fanno da sfondo al negozio siano meritevoli di tutela e che siano rispettate le prescrizioni eventualmente stabilite dalla legge per le singole figure. “L'atto di impugnazione del licenziamento ha natura di negozio giuridico unilaterale recettizio, ex art. 1335 c.c., e come tale deve giungere a conoscenza del destinatario per produrre i suoi effetti; in particolare, deve pervenire all'indirizzo del datore di lavoro entro i sessanta giorni previsti dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare; ne consegue che il deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione, non è sufficiente ad impedire la decadenza, ma è necessario a tal fine che la comunicazione della convocazione pervenga al datore di lavoro prima del termine di sessanta giorni previsto dalla legge, ovvero che il lavoratore provveda autonomamente a notificargli tale richiesta, senza attendere la comunicazione dell'ufficio, onde evitare il rischio del maturarsi della decadenza” (Cassazione civile , sez. lav., 15 maggio 2006, n. 11116). La categoria dei negozi giuridici può essere classificata avendo riguardo a diversi “punti di vista”. Rispetto alla struttura soggettiva, si hanno negozi unilaterali (la dichiarazione proviene da un’unica parte), che possono essere recettizi o non recettizi, secondo che sia o no necessaria la comunicazione ad uno specifico destinatario perché l’atto produca i propri effetti, e negozi “bi” o plurilaterali, se le parti sono due o più. Si distinguono, poi, i negozi mortis causa dai negozi inter vivos, secondo che la morte di una persona sia presupposto perché l’atto produca i suoi effetti. I diversi interessi sottesi al negozio differenziano, ancora, i negozi familiari da quelli patrimoniali, che possono essere a titolo oneroso o gratuito, se una parte consegue un vantaggio senza sopportare il correlativo sacrificio.

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Dei negozi giuridici fanno parte i contratti, il testamento, il matrimonio, ed altre figure particolari previste da singole norme, dichiarazioni, appunto, cui si ricollegano effetti giuridici conformi alla volontà delle parti. Quanto appena detto serve a chiarire come il contratto sia una fattispecie particolare di negozio giuridico, non essendo possibile sovrapporre i due concetti. Si intende per contratto, a norma dell’art. 1321 c.c., “l’accordo di più parti per costituire, regolare, o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. La norma mostra come, rispetto alla definizione generale di negozio giuridico fornita, emergano diverse differenze. Il contratto, infatti, si connota per la presenza di un accordo, l’incontro delle volontà, che non rileva in generale per il negozio giuridico, che può nascere anche dalla sola “dichiarazione”. L’art. 1321 c.c. richiede, inoltre, la presenza di “due o più parti”, a fronte dell’esistenza di negozi unilaterali (es. testamento). Ancora, il carattere necessariamente patrimoniale del rapporto che il contratto instaura, regola o estingue, laddove esistono negozi giuridici che non rispondono o coinvolgono interessi patrimoniali (es. matrimonio). Il contratto è, dunque, un tipo di negozio giuridico, caratterizzato dall’accordo delle parti e dalla patrimonialità degli interessi. L'accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, perché, al fine di perfezionare vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l'intesa sugli elementi costitutivi, sia principali che secondari, dell'accordo. Per quanto riguarda la patrimonialità, ad esempio il contratto di sponsorizzazione comprende una serie di ipotesi nelle quali un soggetto detto sponsorizzato si obbliga, dietro corrispettivo, a consentire ad altri l'uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente denominato, mentre la patrimonialità dell'oggetto dell'obbligazione dipende dal fenomeno di commercializzazione del nome e dell'immagine personale affermatasi nel costume sociale (così la Cassazione civile , sez. III, 29 maggio 2006, n. 12801). “Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l'intesa su tutti gli elementi dell'accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l'intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. Pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell'attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici” (Cassazione civile , sez. I, 20 giugno 2006, n. 14267). “È nozione di comune esperienza che, nel corso delle trattative prodromiche alla conclusione del contratto, le parti assumono posizioni diverse e prospettano soluzioni varie, svolgendo le argomentazioni di cui il testo definitivo costituisce espressione della sintesi convenzionalmente raggiunta ed accettata, solamente a quest'ultimo occorrendo fare, peraltro, riferimento al fine di stabilire i rispettivi diritti ed obblighi” (Cassazione civile , sez. III, 12 dicembre 2005, n. 27338). “ Il cd. “contratto” concluso con gli Italiani da Silvio Berlusconi in occasione della competizione politica del 2001 non è qualificabile né come contratto con obbligazioni a carico del solo proponente né in termini di promessa al pubblico posto che gli impegni ivi assunti – di carattere

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propriamente propagandistico - erano privi del crisma della vincolatività giuridica, e dunque, di un impegno volto a costituire un rapporto giuridico patrimoniale” (Tribunale Napoli, sez. IV, 03 maggio 2006). Tracciata la differenza tra i due istituti si rileva come, per la disciplina dei negozi giuridici, la legge stabilisce all’art. 1324 c.c. che “salvo diverse disposizioni di legge, le norme che regolano i contratti si osservano, in quanto compatibili, per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale”. Rimangono esclusi, dunque, tutti gli atti mortis causa ed i negozi familiari. Per esempio, la Corte di Appello di Milano, il 5 Febbraio 2005, così si è espressa rispetto alle lettere di patronage “La natura di negozio giuridico unilaterale riconosciuta dalla Suprema Corte alle lettere di patronage, esclude che rispetto ad essa possa porsi un problema di ricerca della «comune intenzione delle parti», posto che in tal caso l'esistenza di una pluralità di parti è, per definizione, esclusa. Ma ciò non toglie che anche in detta ipotesi debba trovare applicazione il fondamentale principio, valido per tutti i negozi "inter vivos", per cui la dichiarazione non può essere intesa nel senso che le ha attribuito l'autore, se questo senso non è quello - fondato sul criterio di reciproca lealtà cui debbono ispirarsi le relazioni sociali - in cui può essere intesa dal destinatario o dai terzi, quando anche costoro siano interessati alla dichiarazione medesima”. Il contratto è, a norma dell’art. 1173 c.c., una delle possibili fonti di obbligazioni, le quali derivano espressamente “da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro fatto od atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico”. Così, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla legge, la parti possono dar vita a rapporti giuridici tra loro vincolanti, potendo, con un unico contratto, creare anche più obbligazioni, che in esso troveranno la propria fonte.

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L’autonomia negoziale, l’accordo delle parti e la responsabilità precontrattuale Il contratto è espressione del principio di autonomia contrattuale, riconducibile ai più ampi principi di autonomia negoziale e privata. La disposizione cui riferirsi è l’art.1322 c.c. a norma del quale “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. E’ evidente, dunque, come i contraenti godano di una libertà che si connota di due aspetti. Non solo, infatti, all’interno delle figure previste dalla legge, si ha la possibilità di regolare il contenuto del contratto nei suoi elementi essenziali ed accidentali, ma si possono anche scegliere schemi contrattuali diversi rispetto a quelli disciplinati. In questo modo il privato può disporre dei propri interessi secondo le più diverse esigenze e necessità. C’è la possibilità, infatti, di stipulare contratti atipici, potendo le parti autodisciplinarsi nei modi più disparati. Di questo specifico argomento si tratterà con dovizia del prosieguo del volume. A tali ampie facoltà sono posti dei confini dallo stesso art. 1322 c.c. che prevede al I° comma come il regolamento scelto dai contraenti debba rispettare i limiti imposti dalla legge. Ci si riferisce a tutte le norme imperative in tema di contenuto del contratto (es. requisiti della prestazione, dell’oggetto) che, in caso di violazione, ne comportano la nullità. La seconda parte della norma stabilisce che, per poter adottare un tipo di contratto diverso dagli schemi tipici, le parti debbano perseguire “interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, nel senso che non possono trovare protezione ed espressione esigenze che siano in contrasto con i valori del sistema, poiché, ad esempio, illecite o abiette. Il controllo sulla meritevolezza degli interessi si considera comunemente esteso anche alle fattispecie del primo comma, i contratti tipici di cui le parti determinano autonomamente solo il contenuto. Apparirebbe incoerente, infatti, un Sistema che prevedesse un controllo sugli intenti perseguiti solo nel caso in cui i contraenti si discostino dagli schemi legali. Chiarita la funzione dell’autonomia contrattuale, senza cui non si potrebbe attuare il principio di libertà cui è informato il sistema del diritto dei contratti, si coglie il ruolo fondamentale che è rivestito dall’accordo. Ad esso la legge si riferisce nell’art. 1325 c.c. che, in tema di requisiti del contratto, elenca l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e la forma, quando sia prescritta dalla legge a pena di nullità. La mancanza di ciascuno di questi elementi, unitamente alle altre cause previste dalla legge, è motivo di nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c. La ragione è, intuitivamente, che, data la definizione dell’art. 1321 c.c., l’accordo delle parti costituisce il fulcro dell’istituto, non potendo, in mancanza, parlarsi di “contratto”. L’importanza dell’elemento si coglie anche dall’ampia regolamentazione che il codice gli riserva, agli artt. 1326-1342 c.c.. I vari aspetti che caratterizzano l’accordo, quali, ad esempio, i modi, termini e condizioni di proposta, revoca e accettazione, infatti, possono atteggiarsi in maniera differente secondo il tipo di contratto. Quando siano, cioè, coinvolti interessi che richiedono una tutela particolare o il tipo di contrattazione si caratterizzi per aspetti peculiari, la legge appresta un’apposita disciplina. Il codice si preoccupa, inoltre, di chiarire quali siano le sorti dell’accordo in caso di morte o incapacità dell’imprenditore (art. 1330 c.c.) e come esso si perfezioni in caso di atti unilaterali (1334 c.c.).

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Tra le norme che si riferiscono all’accordo particolare rilievo riveste l’art. 1337 c.c. che, rubricato “ trattative e responsabilità contrattuale” statuisce che “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buone fede”. Si deve cercare, cioè, un bilanciamento tra le opposte esigenze immanenti alla stipula dell’atto. Da una parte, infatti, è fisiologico che ciascuno dei soggetti persegua il proprio interesse, cercando di stipulare il contratto nel modo che più gli conviene. Dall’altra è necessario che le trattative e la conclusione dell’accordo avvengano in modo corretto, secondo buona fede. Questa funge, ad un tempo, da limite e mezzo di tutela degli interessi privati. Se, cioè, il maggior soddisfacimento degli intenti di ciascuna parte implichi che le trattative siano gestite in maniera scorretta, allora dette esigenze devono soccombere. Il concetto di buona fede, così, se da un lato “comprime” il perseguimento dei legittimi interessi privatistici, dall’altro protegge proprio detti interessi, poiché garantisce ai contraenti la reciproca correttezza nelle trattative. La buona fede ex. art. 1337 c.c. comporta il divieto per il contraente di interrompere ingiustificatamente le trattative, quando l’altra parte abbia riposto un ragionevole affidamento nella conclusione del contratto. Si considera attratta nella norma anche l’ipotesi in cui, sebbene la stipula vi sia stata, la mala fede abbia determinato un contenuto pregiudizievole per la vittima. “Non costituisce ipotesi di responsabilità precontrattuale la fattispecie in cui l'accordo tra le parti si é formato, ma a condizioni diverse da quelle che si sarebbero avute se la parte venditrice non avesse tenuto nei confronti degli acquirenti un comportamento contrario alla buona fede, in quanto la configurabilità della responsabilità precontrattuale è preclusa dalla intervenuta conclusione del contratto” (Cassazione civile , sez. II, 05 febbraio 2007, n. 2479). Sempre rispetto alla buona fede, in un tema molto attuale il Tribunale Ferrara, il 15 maggio 2006, ha statuito che in caso di investimento suggerito dalla banca in bond argentini con esito negativo a seguito dell’epilogo fallimentare dello stato, è equo che la banca risponda in via precontrattuale della propria mancanza di diligenza da individuarsi in una carenza di caratura adeguata del profilo di rischio della investitrice, carenza informativa sui rating; al quale concorre un concorso di colpa della attrice, la quale secondo un elementare principio di autoresponsabilità avrebbe dovuto informarsi sui titoli che andava ad acquistare. Infatti La violazione degli obblighi informativi in materia di intermediazione mobiliare genera un obbligo risarcitorio fondato sulla responsabilità contrattuale di cui all’art. 1337 c.c., per la perdita subita in conseguenza delle operazioni bancarie compiute senza adeguata informazione e ragguagliato al minor vantaggio o maggior aggravio economico causato dal contegno sleale della parte (così anche il Tribunale di Padova, il 30 marzo 2006). Ancora in tema di correttezza l’art. 1338 c.c., a norma del quale “la parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto”. Come la rottura arbitraria delle trattative, dunque, è sanzionabile la mala fede che abbia causato la stipula di un contratto invalido o inefficace. Risulta così come con le due disposizioni precedentemente analizzate si imponga alle parti un dovere di cooperazione ed informazione. Non è sufficiente, infatti, che i contraenti evitino comportamenti maliziosi o volutamente ingannatori, ma è necessario che interagiscano, ad esempio, comunicandosi notizie che possano influire sul contenuto del contratto. Tanto è importante che vi sia una collaborazione attiva tra le parti, che la legge sanziona la violazione anche solo colposa dell’obbligo di buona fede.

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L’interruzione ingiustificata delle trattative, infatti, è illegittima anche se dovuta a semplice leggerezza, e l’art. 1338 c.c., quando parla di cause di invalidità che la parte “avrebbe dovuto conoscere”, si riferisce ad ipotesi di condotta evidentemente colposa. Quindi già nelle fasi di trattativa esistono in capo alle parti, un dovere di informazione (dovere di informare l’altra parte di elementi che sono a quest’ultima ignoti e che potrebbero essere determinanti per il suo consenso) ed un dovere di protezione (dovere di adottare le necessarie cautele per proteggere le prerogative ed i diritti dell’altra parte). Perché sia riscontrata una responsabilità precontrattuale (che rientra nel genus della responsabilità extracontrattuale), si devono ritrovare questi presupposti:

- comportamento doloso o colposo di una parte; - danno ingiusto alla controparte; - nesso di causalità tra comportamento e danno.

In più, il recesso dalle trattative deve essere senza giusta causa e si deve essere ingenerato un affidamento della controparte sulla positiva conclusione della trattativa (per esempio, quando le parti abbiano già preso in considerazione gli elementi essenziali del contratto, come ad esempio la natura delle prestazioni o l’entità del corrispettivo, risultando invece irrilevante l’eventuale breve durata od il numero minimo degli incontri). Consegue da quanto detto, che la parte lesa dovrà dimostrare il comportamento illegittimo della controparte (consistente nel recesso senza giusta causa), e il proprio legittimo affidamento circa la conclusione del contratto. “La responsabilità precontrattuale è configurabile in tutti i casi in cui un soggetto abbia compiuto azioni o sia incorso in omissioni contrastanti con i principi della correttezza e della buona fede, alla cui osservanza sono tenuti anche la p.a. e gli enti pubblici, nell'ambito del rispetto dei principi garantiti dall'art. 2043 c.c. Pertanto, ai fini dell'affermazione di tale responsabilità, è sufficiente il comportamento non intenzionale o meramente colposo della parte che - senza giusto motivo - abbia interrotto le trattative eludendo così le aspettative della controparte, la quale, confidando nella conclusione del contratto, sia stata indotta a sostenere spese o abbia rinunciato ad occasioni più favorevoli. In caso di violazione della norma di cui all'art. 1337 c.c. il risarcimento del danno è limitato al c.d. "interesse negativo", con la conseguenza che esso è cumulabile con risarcimento del maggior danno previsto dall'art. 1591 c.c.” (Cassazione civile , sez. III, 07 febbraio 2006, n. 2525). “ Integra un'ipotesi tipica di responsabilità precontrattuale, ai sensi dell'art. 1338, c.c., il comportamento dell'amministrazione (concretizzatosi in apposito provvedimento dichiarato illegittimo) che ha illegittimamente arrestato il procedimento di definitivo perfezionamento dei contratti di locazione futura, già stipulati, impedendo ad essi di conseguire il necessario visto e la necessaria registrazione ai fini della loro completa efficacia, violando così l'interesse delle società costruttrici e locatrici all'efficacia e validità dei contratti (già stipulati), attraverso un comportamento caratterizzato dalla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa” (Consiglio Stato , sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7449). “La responsabilità ex art. 1338 c.c., che costituisce una specificazione della responsabilità precontrattuale di cui all'articolo precedente, presuppone non solo la colpa di una parte nell'ignorare la causa di invalidità del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell'altra parte nel confidare nella sua validità” (Cassazione civile , sez. lav., 21 agosto 2004, n. 16508).

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L’effettività del principio di buona fede è garantita con la previsione del risarcimento del danno a carico di chi l’abbia violata. Trattasi, in ognuna delle ipotesi considerate, di responsabilità precontrattuale. In caso di rottura ingiustificata delle trattative o di contratto invalido o inefficace dovrà essere risarcito l’interesse cc.dd. negativo dell’altra parte a non essere coinvolta in contrattazioni inutili, salve le spese affrontate per la conclusione del contratto, la perdita di eventuali diverse occasioni più favorevoli ed i danni ulteriori. Per esempio, se Caio non avesse perso tempo in trattative infruttuose con Tizio, avrebbe potuto concludere altre trattative con altri soggetti e quindi Caio ha diritto all’utile che sarebbe derivato dalle vendite perse (“utile atteso”). Nell’ipotesi, invece, di contratto dal contenuto solo pregiudizievole deve essere risarcito il minor vantaggio o il maggior aggravio economico causato dal comportamento illegittimo, salvi gli eventuali ulteriori danni. Sono causa di esonero da responsabilità il dimostrare che vi sia giusta causa per il recesso dalle trattative o che non era sorto alcun affidamento della controparte, perché la trattativa non aveva ancora avuto ad oggetto elementi essenziali del contratto.