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lavoratori, pagandoli poco più di 20€ al giorno, alla cui somma vengono sottratti ogni giorno il costo del tra-sporto negli appositi campi, delle cure mediche e perfino del cibo. Si è soliti definire queste condizioni con il ter-mine sfruttamento, parola ormai banalizzata, inflazio-nata dall’uso troppo frequen-te e inopportuno; sarebbe più giusto parlare di schiavi-tù, la stessa che esisteva nel passato e che sembra anco-ra esistere ai giorni nostri. Yvan, insieme ai suoi com-pagni, ha avuto il coraggio di ribellarsi ad un sistema che esiste da più di cento anni, resistendo a minacce e vio-lenze, ed iniziando un’attività di protesta per settimane, che ha messo perfino in crisi l’economia agraria, e che ha avuto come conclusione l’arresto di ca-porali ed imprenditori. Yvan ha mostrato coraggio più di quanto avrebbe potuto fare un italiano, combattendo per una patria
Sono i fatidici mondiali di calcio del 1990 che animarono in un giovane ragazzo africano, Yvan Sagnet, speranze e desi-deri realizzabili solo in una terra lontana, la no-stra Italia. L’amore per questa nazione lo ha portato ad intraprendere, dopo la maturità, gli studi universitari presso Tori-no, una città apparente-mente adatta alla realiz-zazione dei suoi sogni. Mantenersi agli studi risulterà però un impresa alquanto impegnativa, che unitasi ad un clima a lui ostile, porterà il giovane ragazzo alla mancanza di fiducia in una possibile relazione del suo sogno. Laurearsi era il suo unico obiettivo, e per raggiungerlo avrebbe superato qualsiasi ostacolo. Durante l’estate, per guadagnare qualcosa, decise di recarsi in Puglia per lavorare nei campi, entrando in contatto con una inaspettata, dura realtà, l’illegalità, piaga che diffusa in tutta Italia. Agli occhi di Yvan appare la vera condi-zione italiana, mascherata da una ricca apparenza, dietro la quale si cela uno stato di miseria senza dignità. Guadagnarsi da vivere riempiendo cassoni di pomodori, per un peso pari a 300/400 Kg, è il lavoro che deve essere svolto, per più di dodici ore al giorno, per volontà di imprenditori senza scrupoli, attraverso i caporali che sembrano quasi compiacersi dello schiavizzare ed alienare i
che non è la sua, mosso dal sentimento di giustizia. Yvan, recentemente, ha raggiunto il suo intento, si è laureato ed adesso ha un nuovo impegno, quello di diffondere e di dare forza ai diritti dell’uomo. Non biso-gna più fingere di non vede-re o pensare che si parli di qualcosa di astratto e lonta-no, la problematica presen-tata nel libro “Ama il tuo sogno” del giovane cameru-nense, appartiene alla no-stra terra; non è solo un fatto di cronaca, ma è testi-monianza diretta di una legalità tradita e negata.
Yvan parla direttamente ai gio-vani, con la speranza che essi possano prendere piena consa-pevolezza della tragica situazio-ne così diffusa in Italia, e ab-biano la forza di cambiare le cose, perché le battaglie devo-no partire dal basso, coinvolge-re quante più persone possibili, per avere successo. Nel libro egli invita alla disobbedienza, vista non come un mancato rispetto delle norme, ma come reazione all’illegalità, per dare un senso al futuro, per essere in grado di avere il coraggio di far nostri i diritti che ci spettano fin dalla nascita. Egli si pone come esempio vivente di come sia difficile realizzare un sogno, opponendosi a quei giovani a cui tutto è garantito, servendosi di un sistema che sfruttano senza alcun ritegno. Oggi Yvan lavora in diretto contatto con il sindacato CGIL, che definisce però troppo burocratico, conti-nuando a combattere contro altri luoghi di lavoro simili a quelli in cui egli è stato schiavizzato, in modo tale che il sindacato contro altri
Sommario:
La legalità non è un sogno, ma una scelta
Essere o apparire? This is the question
I sogni son desideri?
Cose che nessuno sa
Attenti al gatto ne-ro!
Harlem shake, la danza del momento
“Just a little bit of respect”
Einstain:“è così che noi, esseri mortali, diventiamo immortali mediante il nostro contributo”
Università… si viaggiare
Grafica a cura di
Luigi Imbriola
Aprile 2013Aprile 2013Aprile 2013
Yvan Sagnet: “Bisogna sempre sognare, sogno un’Italia migliore, sogno un mondo migliore, sono cittadino del mondo”
luoghi di lavoro simili a quelli in cui egli è stato schiavizzato, in modo tale che il sindacato conti-nui ad essere di continuo suppor-to ai lavoratori e all’affermazione della legalità. Alla domanda “Ritorneresti in Italia conoscen-done il degrado?”, egli non ha saputo dare risposta, ha soltanto affermato che nel suo piccolo vuole rendere giustizia ad un mondo che si piega davanti all’illegalità, e a dar voce a chi continua ad essere schiavo di uno Stato tiranno.
Tania Altomare Alessia Fiorella
Anno III Numero 1 Anno III Numero 1 Anno III Numero 1
Tanti teenager del terzo millennio pensano ormai durante tutto l’arco della giorna-
ta ad essere cool, fare colpo sulle ragazze/i e, come i bulimi-ci, si affidano al cibo per sentir-si meglio con sé stessi, loro si affidano alla moda … ma non una moda semplice costituita da jeans,maglietta e scarpe da ginnastica (magari per entrambi
i sessi), NO!! E’ una moda molto più complessa ed articolata che
però, nonostante ciò, non li contraddistingue minimamente gli uni dagli altri. La moda giovanile si divide in due sole categorie: una maschile e l’altra femminile;entrambe sono caratterizzate da quattro sempli-ci “modi di essere” :
- le magliette, che invece di
definire magliette sembrano più che altro degli stracci perché
tutte stropicciate e con un collo larghissimo, dai colori alquanto assurdi come giallo evidenziatore, tanto da sembrare
torce umane e il rosa, unico co-
lore che fino agli anni novanta contraddistingueva gli uomini dalle donne… Inoltre queste magliette non hanno disegni carini o scritte simpatiche … solo teschi o croci (da dove è
nata questa idea mi chiedo??Mah…);
- i jeans con qualche buco qua
e là e rimboccati o accorciati fin sopra la caviglia per far intravedere quei quattro peli che hanno sulle gambe in modo tale da valorizzare il fatto di essere ormai uomini (solo anagraficamente perché cerebralmente lasciano
desiderare);
- le scarpe, ma non quei sempli-
ci oggetti da far indossare al pie-de e di cui riprendono la forma, ASSOLUTAMENTE NO !! I teenager “in”, indossano solo scarpe omologate a stivaletto come le Nike Blazer o le Philippe Model ;
- i capelli come Justin
Bieber , nonostante lo insultino continuamente per il suo modo di cantare. E allora perché imitarlo??
Ah giusto… la moda . Dopo aver elencato i “modi di essere” della categoria maschile è tempo di passare a quella fem-minile sempre più articolata:
- i vestiti perché per le ragazze
non si parla di maglietta e jeans ma indumenti corti fino a metà coscia (anche il 31 Dicembre) per renderle sexy e provocanti agli occhi dei ragazzi;
- i capelli : ormai le bambine sin
dall’età di 10 anni già si recano dalla parrucchiera di fiducia, tutte pazze per chatouche, ma nonostante questo nuovo model-lo abbellisca la chioma delle donne, molte di loro non sanno che può essere nocivo alla salute perché applicare un decolorante sui capelli cotonati porta a rovi-narli fino a spezzarli;
- le scarpe… anzi i tacchi per ogni
evenienza (serata von gli amici,
famiglia, luna park,feste ecc.) tran-
ne, fortunatamente, per la scuola
per la quale indossano delle
“ordinarie” calzature che possano
slanciarle;
- gli accessori come borse, orec-
chini, anelli con teschi o croci
(tanto per cambiare) e trucchi a non
finire tali che neanche il gruppo
Percassi , proprietario della Kiko
make-up, ne ha così tanti nella sua
azienda;
Siamo quindi davanti ad un bivio :
dobbiamo seguire la massa , che
tende ogni giorno di più ad accetta-
re questo tipo di vestiario in modo
da essere accettati e parte di un
gruppo oppure cercare di essere noi
stessi e talvolta non scoraggiarsi se
gli altri ci considerino inferiori per-
ché poco cool??
Giorgio Armani ha det-
to:”Fondamentalmente ritengo che
l'apparire abbia breve durata,
l’essere invece sia per la vita” e con-
cordo con lui perché stare a contat-
to con gente che dice : “Faulkner??
Machiavelli?? Se non li ho sentiti
alla radio non sono certo migliori di
Justin Bieber” sarebbe davvero de-
plorevole!!
Pierpaolo Ruscino
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Il mondo dei sogni ha da sempre affascinato intere generazioni. A ciascuno
di noi sarà per certo capitato di aver tentato di interpretare ogni aspetto
del proprio sogno, assurdo o affascinante che esso sia. La mente umana, an-
che se apparentemente inattiva, è funzionante anche durante la notte; il
nostro inconscio infatti, tende a riunire pensieri non collegati tra loro, mo-
menti, impressioni e sensazioni personali che, abbiamo vissuto durante la
giornata. Spesso ad avere la meglio sono le nostre emozioni e le nostre pau-
re più nascoste. Ma i sogni in sé hanno un significato proprio o la realtà e i
sogni sono due mondi a parte? Ebbene Sigmund Freud, noto come
l‟inventore della psicoanalisi, ha trovato una risposta a questo quesito. Il
sogno e la realtà sono due mondi apparentemente lontani tra loro;
all‟interno del sogno infatti, è presente un contenuto “manifesto” (ciò che si
ricorda al risveglio) e un contenuto “latente” (il senso del sogno che spesso
rimane incompreso). E‟ proprio quest‟ultimo il vero significato del sogno
stesso, mentre il contenuto manifesto non è altro che una maschera, una
facciata.
L‟atto onirico pertanto, non è altro che l‟espressione di desideri, spesso as-
surdi ed irrealizzabili, che la nostra mente tende a censurare; non a caso, in
una visione più ampia, il termine “sogno” è anche inteso come una meta da
raggiungere, un ambizione imprescindibile, una chimera folgorante.
“I sogni non riguardano mai delle sciocchezze; non permettiamo infatti che il nostro sonno venga turbato da inezie.” (Sigmund Freud) Vi lasciamo con una domanda: Ma i ciechi sognano? Roberta Colucci, Cristina di Pace, Sabina Rizzi
Dopo il successo del romanzo d’esordio di Alessandro
D’Avenia, “Bianca come il latte rossa come il sangue", le
aspettative riguardo questo suo secondo libro erano mol-
to alte. Ebbene anche questa volta D’Avenia è riuscito a
sorprenderci. Con “Cose che nessuno sa”, D’Avenia
torna a raccontarci con tenerezza, coraggio e passione
quel mondo al quale da tempo si è accostato: Il mondo
adolescenziale.
Margherita è una “quattordicenne” che sta per ini-
ziare il suo primo anno di liceo. E come ogni ragaz-
zino che affronta questo nuova esperienza si trova
in bilico su un filo, così come i funamboli, e solo
grazie all’amore delle persone che ha accanto potrà
lanciarsi e proseguire il suo percorso sulla fune. Un
giorno però ascolta un messaggio alla segreteria
telefonica: suo padre l’ha abbandonata.
Per Margherita si spalanca il vuoto sotto i piedi. Da
quel giorno Margherita non sarà più la
stessa. Non sarà la spensierata adolescente, priva
di ogni singola traccia di dolore, allegra, dolce e in-
genua. Ma non è ancora consapevole che sarà pro-
prio quel dolore lancinante che la porterà ad intra-
prendere il viaggio verso la maturità, così come la
perla fiorisce nell’ostrica in seguito ad un attacco di
un predatore. Purtroppo però questa volta l’aiuto
della nonna Teresa, dolce e profumata di fiori come
la sua terra di origine, antica e soleggiata, che porta
sempre con sé nei cibi preparati con cura, non ba-
sterà a Margherita. Non basterà sua madre, fragile
e confusa, a darle il sostegno di cui ha bisogno, né il
suo fratellino che nel disegno sfoga e stempera la
sua sofferenza. Sarà proprio all’interno dell’ambito
scolastico che gli giungeranno voci in grado di aiu-
tarla. Quella del nuovo professore di italiano e lati-
no, un uomo alla ricerca di sé, ma che, nonostante il
suo smarrimento, riesce a comprendere le pulsazio-
ni della vita racchiusa all’interno dei suoi preziosi
libri. Sarà proprio lui, grazie alle sue travolgenti e
palpitanti lezioni sull’Odissea, e in particolare grazie
al racconto del viaggio intrapreso da Telemaco alla
ricerca del padre Ulisse, a suggerire a Margherita
l’idea di partire alla ricerca del padre.
E poi c’è Giulio. Il ragazzo dai capelli neri e gli
occhi quasi bianchi, bello e dannato,
l’unico in grado di comprendere Margherita,
consumata da un dolore che la chiude fuori dal
mondo. Giulio è un ragazzo privo di genitori, soli-
tario. Da un semplice sguardo, Giulio comprende i
sentimenti di Margherita e si ritrova in quegli occhi
profondi e verdi. Ed è proprio con la compagnia di
Giulio che Margherita intraprende questo viaggio
alla ricerca del padre, ma soprattutto alla ricerca
della vita.
“Cose che nessuno sa” è un romanzo davvero
affascinante e piacevole. In ogni singolo personag-
gio si trova un po’ di noi stessi, delle nostre paure
ansie D’Avenia è davvero dotato di talento nel rac-
contare gli adolescenti e il loro mondo, le loro in-
quietudini, la vitalità, il coraggio e sa en-
trare in contatto con i giovani in maniera straordi-
naria. Ha talento nel delineare i suoi personaggi
che appaiono vividi e reali.
Una scrittura fluida e apprezzabile, un libro erudito,
colmo di citazioni e cultura generale.
Un libro che ti fa venir voglia a leggerne altri!
Annarita Ditacchio
Il caffè del Cafiero Pagina 4
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Sinceramente parlando, anche i più razionali sono scossi almeno un po’ dinanzi ad un gatto nero o ad uno specchio che si rompe: tutto ciò che è altro rispetto a quanto conosciuto dall’uomo , ha sempre suscitato interesse e timore al tempo stesso. Questa è la ragione prima della nascita e longevità della supersti-zione, il cui termi-ne infatti deriva sa superstitio , che indica tutto ciò che sta al di là della comprensione dell’uomo e che guida ed influenza ogni sua azione. Ma davvero un gat-to nero o uno spec-chio rotto sono la causa di un evento sfortu-nato? In quasi tutti i casi i “bad luck sings” hanno origine in antiche credenze popolari. Questo è in primis il caso del povero gatto nero, che per molti è presagio di sfortuna, ma che in realtà è vittima di un’antica credenza, secondo cui gli Egizi lo consideravano animale sacro. Se facciamo poi riferimento alla consue-tudine di non passare sotto una scala appog-giata al muro, vi interesserà sapere che ha una duplice origine: la prima crede che la sca-la formi con il muro ed il pavimento, il trian-golo simbolo della Trinità e quindi passandoci
la tradizione ricerca l’origine di questa con-suetudine, anche nel fatto che i soldati, che mantenevano la scala posizionata vicino ad un muro del castello nemico, fossero spesso u-stionati dall’olio bollente versato dalle torri. Essere fedeli a questa credenza non può che farci bene, eviteremo di sicuro di essere
schiacciati di si-curo da una scala! Ma attenti a non esserne troppo coinvolti; potere-ste soffrire di Triscaidecafobia o di Eptacaidecafo-bia, rispettiva-mente la paura dei numeri 13 e
17. Negli USA, come anche in Italia, è noto infatti come questi numeri siano evitati nella numerazione dei posti d’aereo o delle camere d’albergo. Il 13 è infatti collegato a Giuda Iscariota, il tredicesimo discepolo durante l’ultima cena, mentre il 17, scritto in numeri romani (XVII) sia l’anagramma di VIXI che significa vissi e quindi “sono morto”. “La superstizione è sinonimo d'ignoranza, ma non porta male essere superstiziosi." Eduardo De Filippo
Roberta Colucci, Cristina di Pace, Sabina Rizzi
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CON LOS TERRORIStAS!
Non si tratta di un incitamento
alla violenza, né di un nuovo slo-
gan estremista, ma solo
dell‟inizio del tormentone del
momento, l‟Harlem shake.
Si tratta di una danza
sull‟omonima canzone del dj e
produttore americano B. Ba-
auer: gruppi di persone ballano,
lasciandosi trascinare dalla mu-
sica per circa trenta secondi.
Tutto parte da una situazione
quotidiana interrotta
dall‟apparentemente improvvisa
danza di una persona nascosta
da un casco, poi seguita dal re-
sto della gente, ora maschera-
ta, presente sulla scena. Que-
sto ballo di solito viene ripreso
e immesso in rete, in una tacita
sfida al video più originale e di-
vertente, anche grazie alle
location più insolite e agli ogget-
ti di scena più bizzarri.
L‟Harlem Shake rientra nella ca-
tegoria dei flash mob, ossia
brevi eventi organizzati per
mezzo della rete per i quali, un
luogo pubblico, si riuniscono più
persone per compiere un‟attività
insolita e fuori dagli schemi.
Voglia di protesta o voglia di
stare insieme, comunque una
nuova tendenza.
Alessia Dicuonzo, Michela Giannini
Il caffè del Cafiero
“Just a little bit of respect‟‟, „‟Solo un po‟ più di rispetto‟‟, così canta-va Aretha Franklin, una delle più celebri artiste Soul degli anni ‟60. Il concetto espresso da „‟Lady
Soul‟‟ non si è fermato solo a que-
gli anni poiché divenne motivo di
orgoglio per le minoranze di co-
lore americane, facendo sì che il
brano “Respect”, composto da
Otis Redding, divenisse un inno
per la tutela dei diritti civili. Il
soul come il jazz, il blues, il
ragtime o l‟honky tonky non era-
no semplicemente generi musi-
cali, ma vere e proprie invocazio-
ni d‟aiuto di paese pieno di pre-
giudizi, che non riusciva ancora
ad accettare la „‟diversità‟‟.
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Questa storia è collegata ad una situazione umana dram-matica e di estrema infelicità, la loro musica nasceva nelle case di tolleranza (ad esempio in quelle del celebre quar-tiere a luci rosse New Orleans Storyville, che aveva preso il suo nome dalla città di provenienza), il popolo afro-americano creò una vera e propria rivoluzione, soprattut-to con il potere della musica. La popolazione afro-americana faceva parte della classe sociale più bassa, e derivava dagli schiavi importati negli Usa, che erano vissuti in condizione di totale asservimento. In un am-biente totalmente emarginato dalla comunità in cui il buio regnava, l‟unico spiraglio di luce si trovava cantando o suonando: cantavano per liberare la mente e il cuore dalle oppressioni, cantavano il loro amore per la vita, inneggiando a Dio.
Noemi Salvemini
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“Tenete bene a mente che le cose meravigliose che imparate a conoscere nella scuola sono opere di molte generazioni: sono state create in tutti i paesi della terra a prezzo di infiniti sforzi e dopo appassionato lavoro. Questa eredità è lasciata ora nelle vostre mani, perché possiate onorarla, arricchirla e un giorno trasmetterla ai vostri fi-gli. E' così che noi, esseri mortali, diventiamo im-mortali mediante il nostro contributo al lavoro della collettività”. Ecco cosa disse rivolgendosi ai
giovani, Albert Einstein. Ma come diventare im-mortali? Come lanciare un segno nella nostra società che ormai sembra sull’orlo del precipi-zio? Noi giovani, gli uomini del futuro, un futuro
che appare molto vicino ma nello stesso tempo
molto lontano o forse troppo difficile da affron-
tare. Molte aspettative. Tante paure.
Albert Einstein, famoso scienziato, vuole confor-
tare i ragazzi dando loro delle direttive per arri-
vare preparati al futuro che sarà. Tutto ruota
intorno alla scuola, il peggior incubo di noi adole-
scenti. Interrogazioni, compiti in classe, ma so-
prattutto tanto studio. Delle volte si pensa di non
poter riuscire a fare tutto e spesso con la frase
„Ma noi siamo ancora troppo piccoli!‟ – diciamo -
cercando di giustificare le nostre piccole
mancanze. La scuola, spiega il vocabolario di lin-
gua italiana è un‟istituzione che persegue finalità
educative attraverso un programma di studi o di
attività metodicamente ordinate.
E cosa sarebbe questo grande edificio senza i grandi personaggi che hanno contribuito all’istituzione di esso? Tutti quei libri, che il più
delle volte appaiono come nostri nemici,
ci parlano di un pezzo di storia che ha portato
il nostro Paese a divenire la patria del sapere
e della cultura.
Il caffè del Cafiero
Grandi intellettuali del passato come Dante e
Boccaccio per la letteratura, Pitagora ed Eu-
clide con i loro teoremi per la matematica, lo
stesso Albert Einstein per la scienza, sono
riusciti a lasciare una traccia indelebile sulla
quale ancora oggi si formano intere genera-
zioni. Non dimentichiamo il ruolo fondamenta-
le dell‟arte, forse la materia più
“comunicativa” delle altre perché noi, nei vol-
ti di Raffaello e Giotto, possiamo ritrovare
una parte di noi stessi.
“Tenete bene a mente che le cose meravi-gliose che imparate a conoscere nella scuo-la sono opere di molte generazioni: sono state create in tutti i paesi della terra a prezzo di infiniti sforzi e dopo appassiona-to lavoro.” Una frase significativa che Ein-
stein rivolge a tutti coloro che hanno dedica-
to la loro vita alle scoperte. Ulisse, personag-
gio che tutti gli studenti conoscono molto be-
ne, può rappresentare il motto della scuola.
Mentre è in viaggio con i suoi uomini recita:
“Fatti non fummo per rimanere bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. In queste
parole è racchiusa la vera essenza
dell‟istruzione: senza il sapere siamo come un
foglio bianco senza penna per poter scrivere
la nostra vita. Il sapere può essere inizial-
mente amaro al gusto, ma poi diventa dolce
come il miele. Sempre il vocabolario di lingua
italiana ci da un altro significato della parola
scuola: “Complesso di insegnanti e alunni”.
La scuola è anche il saper vivere in armonia
con gli altri e imparare da essi.
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Perciò Einstein non esalta solamente il suo la-
to didattico, ma anche quello umano. Il cono-
scere è una ricchezza invidiata da molti per-
ché è la chiave d‟accesso per le ambizioni più
alte, che sembrano quasi inaccessibili. La vita
è un viaggio e l‟istruzione è la nostra maestra.
Come afferma ancora Einstein: “Questa eredi-tà è lasciata ora nelle vostre mani, perché possiate onorarla, arricchirla e un giorno tra-smetterla ai vostri figli.” Un messaggio molto
forte che lo scienziato lancia al mondo adole-
scenziale con un occhio all‟avvenire.
Quindi come rispondere agli interrogativi ini-
ziali?
Come diventare immortali? Come lanciare un segno nella nostra società?
Non è necessario aspirare a cose molto più
grandi di noi. Anche nel nostro quotidiano
compiamo azioni che lasciano il segno nelle
persone che conosciamo e come futuri genito-
ri il nostro compito sarà quello di trasmettere
il nostro sapere e le nostre esperienze di vita
propria a loro. Non c‟è compito più difficile di
questo. E‟ come lasciare delle impronte sulla
sabbia, l‟importante è che il mare non le faccia
scomparire.
Ilenia Giampalma
triste ricordo di come i nostri cugini eu-ropei se la stiano passando meglio di noi PIGS, attirando sempre più studenti. Il cuore della questione però risiede nella mancanza di processi politici volti ad in-vertire la situazione ed almeno nel breve periodo, con continui tagli ai fondi uni-versitari che riducono l'appeal di certi istituti e il deficit di borse di studio, l'u-niversità continuerà ad allontanarsi dai giovani, rendendo agli interessati le pro-spettive estere o di eccellenza nei confini nostrani l'unica via per lo studio. Ma come dimenticare che il calo qualita-tivo della ricerca e dello studio, fondamentali per lo sviluppo, sarà proporzionale a peggiori prospettive fu-ture? In un paese che mai come oggi do-vrebbe vivere sulla speranza di un futuro migliore per tutti e non per i pochi pronti a fare le valigie, non dovremmo chiedere di più alla nostra classe politica? Aspet-tando, diciamo sì, viaggiare.
Antonio Mineo
Un popolo di poeti, di santi, poeti e di trasmigratori, recita la dicitura scolpita sul Palazzo della Civiltà a Roma, segno di fasti passati e anche dolorosi, ricordo di un Italia totalitaria dalla quale il presente sembra non aver imparato gli errori. Fin da allora era infatti chiara la natura emigrante degli italiani, che sia all'interno dei suoi confini o all'esterno di essi. Oggi e per l'ennesima volta l'emigrazione italiana della fascia 20-30 sta raggiungen-do livelli imprevedibili, con i più pronti a scegliere università e lavoro all'estero o in quelle poche zone italiane meno colpite dalla onnipresente crisi. Per quanto riguarda i liceali in uscita, tra cui rientra il sottoscritto, la scelta riguar-da l'università e per motivi per lo più co-nosciuti (figurano basso livello organizza-tivo e conseguente calo della qualità dell'insegnamento) molti proveranno ad immatricolarsi in università fuori dai con-fini regionali, puntando al centro e al nord Italia, dove, nonostante la comune razionalizzazione della spesa, il livello ri-mane alto. Ma non solo Italia. Molti stu-denti in uscita stanno valutando opportu-nità all'estero, con i paesi Anglo-sassoni in testa alla classifica,
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