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ESERCITAZIONI DI LABORATORIO ORTODONZIA L’Ortodonzia si occupa di correggere le disarmonie cranio facciali, curando le mal occlusioni, le mal posizioni dentarie e il normale funzionamento dell’apparato stomatognatico, la crescita delle basi ossee e la posizione dei denti . Si occupa anche di tutte le molteplici irregolarità dentali e ossee che, oltre a rovinare il nostro sorriso, influenzano negativamente l’equilibrio della faccia e precludono la possibilità di una corretta masticazione. Uno degli aspetti che contraddistinguono l’ortodonzia moderna è quello di riuscire a combinare perfettamente la funzionalità e l’estetica. Mentre in passato si cercava solo di recuperare la capacità masticatoria di un individuo. L’ortodonzia mira anche al raggiungimento di una buona resa estetica. Si ricorda che il periodo migliore per raddrizzare i denti è in fase di crescita, dal momento che i denti possono essere guidati gradualmente verso il corretto allineamento attraverso apparecchi ortodontici . Sia in età giovanile, per prevenire problemi futuri ed intervenire tempestivamente su problematiche già presenti, sia in età matura o avanzata, per scongiurare il peggioramento di situazioni patologiche in atto e per migliorare l’estetica del paziente . I controlli dovrebbero essere effettuati almeno 2 volte l’anno e ad essi deve essere associata una corretta igiene orale volta a prevenire la placca, tartaro, carie e l’insorgere di parodontopatie . Anche l’alimentazione dovrebbe essere tenuta sotto controllo a qualsiasi età, cercando di evitare il consumo di bevande molto zuccherine, alcolici, the, caffè e soprattutto, sigarette e tabacco. Una terapia precoce può bloccare l’instaurarsi di molte malocclusioni. L’ortodonzista è in grado di riconoscere la causa delle disarmonie cranio-facciali, delle mal occlusioni dentali e delle disfunzioni muscolari e quindi è in grado di intervenire per eliminarle . E’ importante per verificare se esiste una buona armonia tra le componenti anatomiche e dentali una visita precoce entro i primi 6 anni di vita. Ortodonzia Fissa - Mobile - Linguale L'ortodonzia è la specialità dell'odontoiatria che riguarda la prevenzione ed il trattamento delle anomalie di posizione e di sviluppo dei denti e delle ossa mascellari (palato e mandibola). I denti sporgenti, affollati, la presenza di spazi, il morso profondo, coperto o crociato ecc., rappresentano alcune delle tante malocclusioni che possono e devono essere curate con l'ortodonzia, in quanto espressioni di una situazione alterata.

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ESERCITAZIONI DI LABORATORIO ORTODONZIA

L’Ortodonzia si occupa di correggere le disarmonie cranio facciali, curando le mal occlusioni, le mal posizioni dentarie e il normale funzionamento dell’apparato stomatognatico, la crescita delle basi ossee e la posizione dei denti .

Si occupa anche di tutte le molteplici irregolarità dentali e ossee che, oltre a rovinare il nostro sorriso, influenzano negativamente l’equilibrio della faccia e precludono la possibilità di una corretta masticazione. Uno degli aspetti che contraddistinguono l’ortodonzia moderna è quello di riuscire a combinare perfettamente la funzionalità e l’estetica. Mentre in passato si cercava solo di recuperare la capacità masticatoria di un individuo.

L’ortodonzia mira anche al raggiungimento di una buona resa estetica. Si ricorda che il periodo migliore per raddrizzare i denti è in fase di crescita, dal momento che i denti possono essere guidati gradualmente verso il corretto allineamento attraverso apparecchi ortodontici .

Sia in età giovanile, per prevenire problemi futuri ed intervenire tempestivamente su problematiche già presenti, sia in età matura o avanzata, per scongiurare il peggioramento di situazioni patologiche in atto e per migliorare l’estetica del paziente . I controlli dovrebbero essere effettuati almeno 2 volte l’anno e ad essi deve essere associata una corretta igiene orale volta a prevenire la placca, tartaro, carie e l’insorgere di parodontopatie . Anche l’alimentazione dovrebbe essere tenuta sotto controllo a qualsiasi età, cercando di evitare il consumo di bevande molto zuccherine, alcolici, the, caffè e soprattutto, sigarette e tabacco. Una terapia precoce può bloccare l’instaurarsi di molte malocclusioni.

L’ortodonzista è in grado di riconoscere la causa delle disarmonie cranio-facciali, delle mal occlusioni dentali e delle disfunzioni muscolari e quindi è in grado di intervenire per eliminarle . E’ importante per verificare se esiste una buona armonia tra le componenti anatomiche e dentali una visita precoce entro i primi 6 anni di vita.

Ortodonzia Fissa - Mobile - Linguale

L'ortodonzia è la specialità dell'odontoiatria che riguarda la prevenzione ed il trattamento delle anomalie di posizione e di sviluppo dei denti e delle ossa mascellari (palato e mandibola). I denti sporgenti, affollati, la presenza di spazi, il morso profondo, coperto o crociato ecc., rappresentano alcune delle tante malocclusioni che possono e devono essere curate con l'ortodonzia, in quanto espressioni di una situazione alterata.

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Una semplice visita di controllo già verso i 5-7 anni consente di intercettare i casi che richiedono un intervento precoce dell’ortodonzista.

La terapia consiste, quando possibile, nella prevenzione dell'insorgere o dell'aggravarsi delle malocclusioni e poi nella loro risoluzione con l'applicazione di apparecchi di tipo mobile, fisso o combinato che richiedono dei controlli periodici.

ORTODONZIA FISSA

E' il sistema tradizionale per l’allineamento dei denti.

Si tratta del metodo maggiormente utilizzato e costituisce una scelta effettiva, di lunga durata e relativamente economica.

L’ortodonzia fissa consiste nella collocazione di brackets di metallo sopra i denti, molle ed elastici per correggere la scorretta posizione dei denti. Questi brackets vengono applicati sui denti e uniti tra di loro tramite un filo ortodontico di metallo. Principalmente gli apparecchi ortodontici fissi vengono utilizzati nei casi di grave disallineamento dei denti perchè riescono a spostare gli elementi dentali con ottimi risultati. Possono venire usati brackets metallici, ma è possibile usare altri materiali per la realizzazione di questi attacchi, ad esempio la ceramica. I brackets di ceramica, denominati anche brackets “estetici” presentano una colorazione similare a quella dei denti e pertanto sono meno visibili.

ORTODONZIA LINGUALE

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Questa tecnica appartiene alla categoria degli apparecchi dentali fissi, però in questo caso i brackets vengono situati dietro ai denti, nella parte interiore della bocca: pertanto sono praticamente invisibili.

L'ortodonzia linguale è una risposta utile nel caso di leggere malocclusioni dentali o scheletriche, irregolarità nelle strutture dentali o problemi estetici. Inoltre, vengono risolti tramite l'ortodonzia linguale i problemi di apertura/chiusura della bocca. Per chi non è soddisfatto del proprio sorriso, a causa di spazi, denti irregolari, ecc... l'ortodonzia linguale può rappresentare la scelta giusta. E' necessario avvertire che nei casi gravi di malocclusione questo tipo di ortodonzia potrebbe non essere adatta.

ORTODONZIA MOBILE

L'ortodonzia mobile è una terapia dentale che permette di spostare i denti mal posizionati tramite un dispositivo che il paziente puo' rimuovere e reinserire nella bocca autonomamente. L’apparecchio mobile è uno strumento che si applica sui denti con finalità ortodontiche cioè per raddrizzare i denti e per formare una buona occlusione; (rapporto di chiusura delle arcate dentarie).

Questa tipologia di ortodonzia inoltre rappresenta un’ottima soluzione per correggere abitudini errate durante l’età evolutiva.

Classificazione dei dispositivi ortodontici

Gli apparecchi ortognatodontici in genere vengono distinti in base alla struttura e alle forze sviluppate.

In base alla struttura si distinguono:

• apparecchi mobili, i mezzi terapeutici che il paziente toglie e mette autonomamente;

• apparecchi fissi, i mezzi terapeutici che l’ortognatodontista cementa e/o incolla sui denti del paziente e che dovrebbero essere rimossi solo dall’ortognatodontista;

• apparecchi misti, i mezzi terapeutici composti da particolari cementati e/o incollati direttamente ai denti e da altre componenti che il paziente mette e toglie autonomamente.

• In base alle forze sviluppate si distinguono:

apparecchi attivi meccanici, come placche, Crozat, attivatori, quad-helix, archi saldati con viti, molle ecc. Sono mezzi terapeutici che sviluppano forze meccaniche pure, quindi realizzate con l’ausilio di componenti attivabili, come viti, molle ecc. Questi apparecchi realizzano il risultato terapeutico richiesto aumentando la spinta (pressione) a carico del dente, dei denti e/o delle suture. Lo spostamento dentale o basale avviene quindi solo per aumento di pressione lungo una data direzione;

apparecchi attivi funzionali, come Frankel, Bionator, Cervera, mono- blocchi, Andresen, ecc. Sono mezzi terapeutici che sviluppano forze a carico dei denti o dei

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mascellari sfruttando le forze muscolari e/o modificando il bilanciamento tra muscolatura interna ed esterna rispetto alle arcate dentali. I denti e i mascellari si muovono quindi per il diverso bilanciamento muscolare realizzato;

• apparecchi ortopedici, come ferula di Delaire, attivatore di Mc. Namara, OPA, REP. ecc. Sono mezzi terapeutici che sviluppano una data forza lungo una data direzione, apportando modifiche alla struttura ossea. I denti servono quindi da ancoraggio per poter sviluppare dei carichi che permettono il realizzarsi delle modifiche basali;

• apparecchi passivi (di contenzione) come placche, Crozat, posizionatori senza set-up, mantenitori estetici, ecc. Sono dispositivi terapeutici che non permettono lo spostamento dentale dalle posizioni raggiunte, cioè vengono utilizzati per dare stabilità e quindi impedire la recidiva;

• apparecchi misti dati dall’unione di due o più tecniche. Sono apparecchi capaci di sviluppare due o più tipi di forze diverse.

Apparecchio mobile (placca di Caroll) Apparecchio fisso (REP)

Apparecchio attivo meccanico Quad-helix

(Crozat inferiore con molle retroincisive

doppie ed elemento in resina su 36).

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Apparecchio attivo funzionale

(Bionator di Balter schermato)

Apparecchio misto (lip bumper)

È costituito da una parte fissa (le bande cementate ai denti)

e da una rimovibile da parte del paziente

(lo schermo labiale rimovibile - lip bumper)

Apparecchio ortopedico (ferula secondo Delaire) La ferula secondo Delaire applicata su una

dentatura naturale

Apparecchio misto (regolatore di Bass:

funzionale, meccanico, ortopedico)

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Un problema comune a tutte le tecniche ortognatodontiche è quello del loro uso indiscriminato, senza una valutazione esatta delle possibilità e delle proprietà terapeutiche offerte dalle singole apparecchiature. Quasi sempre non è errata l’apparecchiatura o la filosofia di una tecnica, ma l’uso improprio che alcuni fanno di questa tecnica, molte volte senza conoscerne pregi e limiti, e addirittura senza essere in grado di controllarne le caratteristiche. Errori di progettazione, costruzione, applicazione, gestione, valutazione diagnostica che porta alla prescrizione di un singolo apparecchio sono quindi molto spesso l’unica causa di insuccesso parziale o totale.

Trazioni ortodontiche

Le trazioni ortodontiche sono uno dei sistemi comunemente utilizzati per sviluppare forze e vengono effettuate con l’ausilio di fibre elastiche (elastici intraorali e/o extraorali) oppure con l’uso di molle costruite in filo metallico.

L’uso delle trazioni deve essere studiato e controllato attentamente, per prevenire le forze indesiderate che potrebbero causare la perdita di ancoraggio, i movimenti non desiderati e lo sviluppo di carichi eccessivi.

Le trazioni possono essere usate in unione con apparecchi ortodontici mobili, fissi o misti.

Nel caso in cui per le trazioni vengano usati elastici intermascellari, questi dovrebbero essere sostituiti tre volte al giorno (il paziente deve togliere gli elastici prima dei pasti principali e applicarne di nuovi dopo essersi lavato i denti).

L’uso delle molle in filo metallico è invece piuttosto raro: in questo caso l’ortognatodontista controllerà, attiverà e cambierà le molle ogni settimana, o quando lo reputerà utile.

Le trazioni possibili in campo ortodontico possono essere di cinque tipi:

• Trazioni di I classe. Sono trazioni interarcata o monomascellari.

• Trazioni di II classe. Sono trazioni intermascellari, con punto di applicazione nella zona anteriore del mascellare superiore e nella zona posteriore della mandibola.

• Trazioni di III classe. Sono trazioni intermascellari con punto di applicazione nella zona posteriore del mascellare superiore e nella zona anteriore della mandibola. Vengono riconosciute come trazioni di III classe anche le trazioni realizzate con Maschera di Delaire.

• Trazioni verticali. Sono trazioni realizzate tra le due arcate, che hanno direzione di trazione verticale. Possono essere diritte, oblique, incrociate, ecc.

• Trazioni miste. Sono l’insieme di due o più tipi di trazioni. Vengono adoperate per casi complessi in cui necessitano spostamenti dentali e/o basali di una certa difficoltà.

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Ogni trazione applicata genera sempre forze che tendono a modificare il piano occlusale

Le placche ortodontiche vanno portate giorno e notte (in fase attiva per minimo 16 ore nell’arco delle 24, in fase di contenzione per minimo 12 ore nell’arco delle 24). Devono essere tolte per mangiare, durante le pratiche di sport o discipline in cui vi sia un contatto fisico, oppure quando si ha bisogno di libertà orale. Gli apparecchi mobili si puliscono tre volte al giorno usando uno spazzolino, del sapone liquido da piatti o gli appositi liquidi detergenti per protesi. Trattandosi di protesi ortodontiche costruite in resina a freddo, non si dovrà, in nessun caso, usare acqua calda. Mediamente, le visite di controllo avvengono ogni 3/4 settimane e le viti vengono attivate a seconda dei tipi e delle indicazioni terapeutiche. In generale possiamo affermare che:

• le viti lineari si attivano circa ogni 15/30 giorni;

• le viti distalizzanti si attivano circa ogni 10/15 giorni;

• le viti telescopiche si attivano circa ogni 7/10 giorni;

• altre viti, a seconda del tipo, circa ogni 20/30 giorni;

• le molle quando necessitano. Una molla finché è attiva non dovrebbe essere riattivata.

Un’attivazione è uguale a un quarto di giro. Solo le telescopiche dovranno essere attivate con l’apposito cacciavite ruotando verso dx di 360°. A seconda del tipo di vite che andremo ad attivare, avremo uno spostamento differente: 4 attivazioni possono dare uno spostamento da 0,35 mm a 0,8 mm.

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PROTESI IN METALLO-CERAMICA

Sin degli anni 60, in coincidenza con l’evoluzione della tecnologia, si sono realizzati dispositivi protesici di grande livello.

Proprietà delle ceramiche dentali:

Le principali caratteristiche delle ceramiche dentali sono classificabili in proprietà chimiche, fisico-meccaniche, termiche ed elastiche.

Classificazione delle ceramiche dentali:

le ceramiche dentali sono generalmente classificate in base all’utilizzo e alla relativa temperatura di lavorazione e di cottura. Esse si dividono in:

Ø Ceramiche ad alta temperatura di cottura (1290/1370 ° C); sono normalmente utilizzate a livello industriale per la costruzione di denti artificiali per protesi mobile.

Ø Ceramiche a media temperatura di cottura (1090/1260 ° C); sono quelle utilizzate per la costruzione di intarsi, faccette e corone integralmente in ceramica; quelli per rivestimento estetico di ponti e corone nella tecnica della metallo-ceramica cuociono a temperature meno elevate (870/1065 ° C)

Ø Ceramiche a bassa temperatura di cottura (450/680 ° C); sono utilizzate per il rivestimento estetico di ponti e corone nella tecnica della metallo-ceramica, vengono anche impiegate per effettuare piccoli interventi correttivi sulle ceramiche tradizionali a media e alta temperatura.

Le ceramiche ad alta temperatura di cottura sono composte principalmente da feldspati (80%circa), silice(15%) e caolino(5%circa).

Nelle ceramiche a media temperatura di cottura, risultano composte approssimativamente per il 60% da feldspati, per il 25% da silice e per il 15% da caolino.

Le ceramiche a bassa temperatura di cottura hanno una composizione simile a quella delle ceramiche a media temperatura di cottura, ma presentano l’aggiunta di leuciti, che ne riducono notevolmente il punto di fusione e quindi la temperatura di cottura.

Legame metallo-ceramica

Nella tecnica della metallo-ceramica, ovvero della ceramica cotta su metallo, la coesione tra i due materiali e garantita dall’insieme di tre legami : meccanico, compressivo e chimico.

Ø Legame meccanico: è dato dalla presenza di microscopiche ritenzione offerte dalla superficie della struttura metallica in conseguenza di rifinitura e sabbiatura.

Ø Legame compressivo: è dato dal diverso comportamento termico di ceramica e metallo e dal disegno della struttura metallica. A seguito di cotture e raffreddamenti , metallo e

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ceramica si comportano in maniera diversa; il metallo si dilata, mentre la ceramica si contrae. Quindi, dopo il raffreddamento, la ceramica risulta sempre in fase di compressione sul metallo.

Ø Legame chimico: e il principale legame tra ceramica e metallo. Si forma tra un primo strato di ceramica, detto opaco, e l’ossido del metallo che compone la lega. L’ossidazione delle superficie del metallo avviene in seguito a un processo di surriscaldamento in forno della struttura metallica. Questa fase precedente all’applicazione di opaco e ceramica, risulta di importanza fondamentale per la buona riuscita del manufatto.

Estetica del dente:

La forma, il colore, la stratificazione e la struttura superficiale del dente sono infatti alla base del successo estetico di ogni lavoro odontotecnico.

Forma e colore:

Sono le due caratteristiche più evidenti nell’esame dell’organo dentale.

Ø Forma: è necessario approfondire le proprie conoscenze in teme di linee di analisi, proporzioni, prospettiva e altro ancora. E importante anche osservare scrupolosamente i modelli in gesso e le dentature naturali, rilevandone le caratteristiche morfologiche

Ø Colore: stabilire con esattezza il colore dei denti non è facile; essenzialmente nella dentatura permanente e presente una tonalità di giallo chiaro, oltre alla quale se ne posso individuare altre, per esempio l’arancione dovute a particolari pigmentazioni e alla diversa posizione e spessore degli strati di smalto e dentina. I fattori che influenzano il colore base dei denti sono l’etnia di appartenenza e le abitudini igieniche e alimentari. Il colore del dente può anche essere modificato da fattori esterni quali il tipo di luce presente durante la rilevazione, l’ambiente circostanze, quale il colore di gengive, labbra, pelle, vestiario ecc… . La scelta del colore del dente nella tecnica della ceramica come in quella delle resine viene effettuata con particolari campionari detti scale-colori. Nei denti possono essere presenti dei particolari, definiti caratterizzazione (macchie, decalcificazioni, zone di dentina esposta, influenze cromatiche dovute a interventi di conservativa ecc….)

Colore: teorie fondamentali

La luce naturale bianca può essere scomposta in 7 colori, lo spettro visibile (indaco, blu, verde, giallo, arancione, rosso e viola), ognuno dei quali corrisponde a una diversa lunghezza d’onda .

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Tinta, ovvero la qualità o il nome del

colore.

Croma, Ovvero l’intensità o qualità di

colore

Valore, ovvero la quantità di grigio presente nel

colore

Ø Saturazione : è la misurazione della quantità di tinta Ø Tinta : è la proprietà che permette di distinguere i colori, cioè il nome del colore: giallo,

rosso, arancione, blu ecc….

Ø Croma : può essere definito come unità di misura della quantità di colore

Ø Valore : è la quantità di grigio presente in colore

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Teoria sottrattiva del colore:

Secondo questo principio, vengono identificate 3 tinte primarie cioè 3 tinte che miscelate tra loro permettono di ottenere i vari colori desiderati

Con il sistema sottrattivi, miscelando tra loro le tinte primarie, si ottengono le tinte secondarie:l’unione di giallo e blu darà origine al verde, quella di giallo e rosso darà arancione, quella di blu e rosso darà il viola.

Verde, arancione e viola sono quindi definiti colori secondari.

Rilevazione del colore:

Il dente umano si presenta di norma con colore giallo chiaro con variazione di croma e valore che vanno dall’arancione al grigio.

Le minime variazioni di colore, se male interpretate, comportano l’immediato contrasto del manufatto con la dentizione naturale residua.

Alcuni fattori esterni influenzano la rilevazione del colore; uno dei principali elementi da considerare e il tipo di luce presente nell’ambiente. Per la rilevazione del colore con luce naturale, la fascia oraria più indicata e quella che va dalle 10,00 alle 14,00 circa.

Per avere una buona resa del colore in un luogo chiuso bisogna optare per un’illuminazione con dei tubi al neon che garantiscano una resa cromatica di circa 5000 kelvin .

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Stratificazione

È l’aspetto tridimensionale interno del dente, ovvero il disegno formato dai vari strati organici che lo compongono (smalto, dentina, ecc…).

E’ compito dell’odontotecnico di interpretare la corretta stratificazione del dente naturale è riprodurre le caratteristiche nel dente artificiale.

Questa particolare abilità si acquisisce gradualmente, esercitandosi, osservando i denti naturali.

Tessitura superficiale

Con il termine tessitura superficiale si intende l’aspetto della superficie esterna del dente, può presentarsi lucida, opaca, liscia, rigata, ecc….

Nelle protesi in ceramica, hanno una particolare importanza la lucidatura termica (glasatura) e la lucidatura manuale (o meccanica).

Funzione ed età del dente

Vi sono alcuni aspetti morfologici - funzionali legati profondamente all’età del dente.

Il trascorrere del tempo, unitamente al lavoro e alla funzione delle arcate dentarie, tende a modificare forma, colore e tessitura superficiale dell’elemento dentario.

Aspetto della dentizione nel bambino Aspetto della dentizione in età adolescenziale Aspetto della dentizione in età media

Aspetto della dentizione in tarda età Particolare abrasione della dentatura. dovuta a età, usura e lavoro degli elementi dentari

Sta alle conoscenze e all’esperienza del tecnico riuscire a percepire i cambiamenti e trasmetterli al dispositivo protesico rendendolo più somigliante e naturale rispetto alla dentizione residua del paziente.

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Preparazione a lama di coltello su

un manufatto anatomicamente

scorretto

Preparazione a lama di coltello corretta

a spalla o bisello

La ricostruzione deve essere adatta alla tipologia del paziente, la forma del dente deve armonizzarsi, oltre che con i denti presenti, con la caratteristica forma del viso e con la personalità del paziente.

Realizzazione di protesi in metallo-ceramica

La struttura metallica (travata), come in quasi tutti i dispositivi protesici in metallo, viene realizzata tramite la modellazione in cera e la successiva fusione con tecnica a cera persa.

Ricevuta l’impronta dallo studio, si deve verificare che la stessa permetta di ottenere un modello che riproduca fedelmente la situazione dentale del paziente.

Dopo aver realizzato e articolato all’antagonista il modello master, si dovrà verificare se la preparazione del pilastro risulta idonea al tipo di dispositivo da realizzare.

La preparazione a lama di coltello può comportare, già in fase di prova o cementazione del corpo protesico, la rottura della ceramica posta a livello del margine di chiusura. Questo è dovuto al fatto che questo tipo di preparazione costringe il tecnico, onde garantire un adeguato spessore del rivestimento estetico, ad alcuni inevitabili compromessi: eccessiva riduzione dello spessore del metallo, determina una tendenza alla deformazione del metallo a livello del colletto vestibolare durante le cotture della ceramica e le conseguenti espansioni e contrazioni; ciò diminuisce la precisione della chiusura.

In oltre, anche in assenza di deformazioni a causa della sottigliezza della struttura metallica questa porzione risulterebbe particolarmente fragile, poiché la travata sarebbe caratterizzata da uno spessore minimo proprio nella zona più sollecitata.

Eseguiti questi elementari controlli, si procede alla modellazione in cera dell’elemento, che deve essere eseguita in modo da riprodurre il più fedelmente possibile la forma del dispositivo ultimato.

Questo permette al tecnico di definire con precisione, anche a livello funzionale, la morfologia completa del dente.

Terminata la modellazione dell’elemento, si procede alla sua riduzione, scavandone le zone che dovranno accogliere il rivestimento estetico.

Per garantire la riuscita della fusione nella scavatura dell’elemento si dovrà prestare attenzione affinché lo spessore minimo del modellato non scenda al di sotto di 0,5 mm.

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La scavatura della cera deve rispettare 2 fondamentali esigenze: da un lato si ha la necessità di disporre di uno spazio sufficiente a garantire l’estetica del manufatto; dall’altro si richiede di non creare spazi eccessivi o non uniformi che potrebbero comprometter la resistenza della ceramica.

E’ errato realizzare un dente protesico sovra contornato per porre rimedio alla mancanza di spazio. Anche spazi eccessivi o non uniformi comportano da parte del metallo una ridotta azione protettiva nei confronti della ceramica.

Infatti differenze notevoli di spessore della massa ceramica determinano, nella fase di raffreddamento successiva alla cottura una contrazione disomogenea delle diverse zone del rivestimento estetico producendo nel materiale tensioni latenti e fratture.

Per evitare questo inconveniente risulterà di grande aiuto una mascherina in silicone della modellazione ultimata; la sua funzione di controllo permette di ottenere e mantenere, durante la scavatura, spazi sufficienti e uniformi per il rivestimento estetico

Le metodiche tradizionali prevedono che nella parte cervicale - linguale della corona sia mantenuta una piccola porzione del modellato, da conservarsi in metallo anche dopo le operazioni di ceramizzazione.

La bandina, oltre ad aumentare la robustezza della struttura metallica, offre sostegno verticale alla massa ceramica e permette all’operatore grazie all’uso di pinzette e strumenti, di maneggiare il modellato più agevolmente durante il lavoro.

La bandina e i punti di contatto non dovranno ovviamente compromettere l’estetica del dispositivo finale.

Talvolta per motivi estetici può essere richiesto all’odontotecnico la creazioni di dispositivi protesici privi di bandina metallica ( spesso corone singole o denti posteriori singoli ) in questo caso, per rendere agevole la manipolazione del dispositivo durante le prove cliniche o le lavorazioni in laboratorio, si può dotare la corona di un venting, ovvero un piccolo filo linguale sporgente, che una volta terminato il dispositivo viene tagliato e lucidato in modo che risulti a filo della superficie della ceramica.

Nella scavatura, si deve prestare la massima attenzione a non creare, sulla superficie della travata, angoli vivi o asperità di nessun genere, poiché tali irregolarità comprometterebbero solidità e omogeneità del rivestimento ceramico. Vanno valutati

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gli eventuali punti di contatto, verificando che siano sufficientemente robusti (soprattutto se si prevedono saldature).

E’ buona norma utilizzando leghe per metallo-ceramiche, rigenerare sempre il metallo, cioè utilizzare una quantità di metallo nuovo non inferiore a quello del materozze provenienti da vecchie fusioni.

Una volta avvenuta la fusione e si è raffreddato il cilindro si procede rimuovendo il rivestimento, si sabbia la fusione e la si pulisce con cura, quindi si tagliano le mandate e si inizia la rifinitura. Con il trapano si esegue una rifinitura preliminare, controllando attentamente che le fusioni calzino con adeguata precisione sui monconi di appartenenza.

Successivamente, con speciali frese non inquinanti si provvede a ridurre eventuali spessori anomali e a migliorare la precisione anatomica di bordi di chiusura e bandina. Infine si invia la struttura al clinico per la prova-metallo e la rilevazione del colore.

Dopo la prova –metallo, la struttura torna al laboratorio, quindi si procede a un’ulteriore rifinitura con frese non contaminate, verificando con uno spessimetro l’eventuale presenza di zone da assottigliare.

Lo spessimetro è un particolare calibro micrometrico che permette di controllare con precisione lo spessore della struttura metallica, la quale non deve mai risultare di spessore inferiore a 0,3 – 0,4 mm. Valori più bassi potrebbero comportare un eccessivo indebolimento della travata.

La rifinitura del metallo con dischi e frese, dopo la rifinitura stessa, dovrebbe presentarsi regolare, priva di asperità e di aspetto satinato.

La struttura va ora sabbiata con biossido di alluminio, quindi perfettamente detersa mediante bollitura o vaporizzazione. In seguito, la si asciuga con un getto d’aria compressa purificata.

Anche nei passaggi successivi, la struttura non deve essere mai toccata con le dita, ma manipolata esclusivamente con pinzette metalliche precedentemente deterse.

Si deve comunque ricordare che tutte le operazioni relative alla costruzione di un dispositivo in ceramica devono sempre garantire che metalli da rivestire e masse ceramiche da cuocere non entrino mai in contatto con materiali che ne potrebbero pregiudicare struttura e adesione.

Rivestimento estetico della travata

La realizzazione del rivestimento estetico della travata segue una procedura ben determinata, che può essere sintetizzata nei seguenti passaggi : rifinitura, sabbiatura, ossidazione, applicazione dell’opaco, stratificazione di colletto, dentina e smalto, applicazione degli intensivi, glasatura.

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Passaggi necessari alla realizzazione di un rivestimento in ceramica su metallo

Ossidazione

Terminata la preparazione della struttura, si provvede a generare sulla superficie metallica lo strato di ossido necessario all’adesione chimica della ceramica.

La formazione degli ossidi avviene ponendo la struttura metallica nel forno da ceramica e sottoponendola a un ciclo termico in atmosfera, cioè senza la creazione del vuoto nella camera di cottura.

Questo trattamento deve necessariamente avvenire in atmosfera, poiché è proprio la presenza dell’aria (e quindi dell’ossigeno) che permette l’ossidazione del metallo.

A) Metallo  rifinito  con  frese  non  contaminanti  B) Sabbiatura  con  biossido  di  alluminio  C) Ossidazione  D) Applicazione  della  massa  opaco  E) Massa  colletto  F) Modellazione  dell’elemento  con  massa  dentina  G) Tagli  per  lo  smalto  H) Applicazione  massa  smalto  I) Applicazione  smalti  modificati  L) Dente  ultimato  

 

 

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Opaco

L’opaco si presenta all’operatore (cosi come le altre masse ceramiche) sotto forma di polvere da miscelare con acqua distillata o appositi liquidi.

Individuato l’opaco del colore selezionato, lo si miscela con il liquido su una piastra in vetro, sino a raggiungere quantità e consistenza desiderata.

Per la miscelazione, si dovranno preferire strumenti in vetro, poiché quelli in metallo potrebbero lasciare residui contaminanti. Queste contaminazione potrebbe sugli strumenti e sulle piastre di impasto avere un effetto abrasivo.

Le poveri metalliche prodotte da questa abrasione potrebbero essere inglobate nell’impasto, alterando le proprietà meccaniche o cromatiche del rivestimento estetico.

Le normali metodiche prevedono la cottura di due o tre strati di opaco; si inizia con un impasto molto fluido che è distribuito uniformemente con un pennello sulle zone da ceramizzare.

Questa prima applicazione, detta wasbbrand, ha la funzione di creare uno strato di materiale coprente.

L’applicazione di uno strato coprente più spesso potrebbe originare, infatti, un opaco alterato e con evidenti screpolature.

In ogni cottura ceramica, prima dell’inserimento in forno, il pezzo da cuocere deve preventivamente condensato e asciugato. Ciò riguarda, ovviamente, anche l’opaco.

Esistono molti sistemi per la condensazione delle masse ceramiche : la più elementare e diffusa consiste nello strofinare il manico zigrinato di uno spatolino sulle pinzette che trattengono la bandina o il venting. Poiché il manico, passando sulle pinzette, produce una vibrazione, queste ultime origineranno al loro volta una vibrazione del manufatto.

Si ricorda che a ogni leggere vibrazione deve corrispondere una successiva asciugatura del manufatto e che vibrazioni eccessive potrebbero modificare forma e stratificazione del modellato. La prima cottura dell’opaco, come le seguente, dovrà avvenire sotto vuoto.

Per la gestione del parametri di cottura del forno, si raccomanda di seguire le indicazioni del produttore del materiale ceramiche.

Stratificazione delle masse

Le masse base sono rappresenta teda colletto, dentina e smalto.

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Esse sono fornite, come l’opaco sotto forma di polveri suddivise a seconda della colorazione del campionario.

Le masse del colore selezionato vanno miscelate sulle piastre di impasto con acqua distillata o liquidi plastificanti.

Le tecniche di ceramizzazione più utilizzate prevedono la stratificazione e cottura delle diverse masse in un’unica soluzione (colletto, dentina e smalto) mentre alla seconda cottura e affidato soprattutto il compito di permettere al tecnico di compensare la normale contrazione del materiale e applicare eventuali smalti modificati sui margini incisali.

E’ sempre utile, durante la stratificazione, modellare il manufatto leggermente sovradimensionato, per compensare l’effetto di contrazione della ceramica. Si applicherà la massa colletto con un pennello sintetico, sfumandola da margine cervicale sino al terzo medio.

In seguito, con la massa dentina, si abbozza la forma definitiva del dente da realizzare.

Si dovrà sempre mantenere il giusto grado di umidificazione delle masse nella stratificazione del modellato.

Per “fermare” e asciugare una massa troppo umida, sarà sufficiente appoggiarvi un fazzoletto di carta; per umidificarla si potrà invece umettarne la superficie con un pennello umido.

Ultimati tutti i passaggi di stratificazione, l’elemento viene asciugato leggermente e sfilato con attenzione dal modello di lavoro, quindi reggendolo sul moncone in gesso (o trattenendone la bandina o il venting ) con le pinzette si provvede a rendere più precisa la modellazione, in particolare nelle zone prossimali.

In questi passaggi si dovrà prestare molta cura a non deformare quanto fatto in precedenza.

La prima cottura della ceramica avviene sottovuoto a una temperatura leggermente inferiore (40-50°C) a quella dell’ultimo strato di opaco.

Dopo aver cotto la ceramica si attenderà che il manufatto abbia raggiunto temperatura ambiente. Il brusco raffreddamento della ceramica potrebbe causare la frattura del manufatto a causa del diverso comportamento termico del metallo e rivestimento estetico.

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Dopo aver sabbiato e deterso perfettamente il manufatto, si potranno aggiungere gli eventuali smalti differenziati e le masse di compensazione, come tralucenti e trasparenti colorati.

La seconda cottura della ceramica è effettuata, sempre sottovuoto, a una temperatura più bassa di circa 20°C rispetto a quella della prima cottura. Dopo aver atteso il raffreddamento, si procede a una rifinitura ulteriore della protesi.

Dopo aver controllato di aver raggiunto colorazione e tessitura previste, si potrà inviare al clinico il manufatto per la prova grezza. Il clinico controllerà che non sia stata alterata la precisione della struttura metallica , che il dispositivo risponda ai requisiti funzionali di occlusione e disclusione e che i punti di contatto con i denti naturali attigui siano fisiologici e realizzati nel rispetto dell’anatomia.

Quest’ultimi dovranno permettere il passaggio del filo interdentale senza creare ricettacoli per il cibo.

A livello estetico andranno invece verificate fedeltà cromatica, corretta stratificazione e forma del dispositivo protesico, che deve risultare armonizzato con la dentizione residua del paziente. Tornato nuovamente in laboratorio, il dispositivo verrà sottoposto, se necessario, a eventuali cotture di correzione.

La glasatura consiste in una cottura in atmosfera del manufatto, eseguita a temperatura leggermente più alta di quella della prima cottura.

Terminato il raffreddamento, verrà effettuata, se necessario, anche la lucidatura meccanica tradizionale (con gommini, pomice e paste lucidanti).

Bandine e altre porzioni esterne del metallo devono comunque essere lucidate, soprattutto per impedire che la placca batterica possa aderirvi.

 

 

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PROTESI SCHELETRATA  

La protesi scheletrata detta anche scheletrato è una protesi parziale mobile con una struttura in lega di metallo: cromo, cobalto, molibdeno che si aggancia ai denti naturali rimasti in bocca che fanno da supporto. La protesi scheletrata è utile quando, per motivazioni cliniche, non è possibile impiantare protesi fisse ed il paziente ha ancora alcuni denti sani in bocca.

Quali sono le parti principali ?

La protesi scheletrata è formata principalmente da tre elementi principali: la struttura portante di metallo (detta anche framework), la flangia finta che ha il doppio compito di ristabilire l’estetica e nascondere il metallo sottostante ed i denti protesici (finti).

Lo scheletrato in metallo

La struttura principale di uno scheletrato è formata da una sottile barra di metallo, in genere, cromo-cobalto e su questa vengono fissati i ganci o attacchi ed denti protesici. Se la protesi scheletrata deve supplire alla mancanza di denti sia nella parte destra che sinistra dell’arcata superiore, lo scheletro avrà la barra palatale (segue l’arco del palato).

Quando, invece, i denti da sostituire si trovano nell’arcata inferiore, la barra in metallo passa sotto alla lingua e per questo è chiamata linguale. La presenza della barra serve ad assicurare maggiore stabilità all’intera infrastruttura protesica una volta collocata nel cavo orale del paziente La struttura portante in metallo di tutti gli scheletrati è connessa ai denti naturali del portatore attraverso ganci anch’essi metallici che abbracciano gli elementi dentali oppure attraverso dei attacchi di precisione invisibili.

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I ganci o attacchi

I ganci sono parte integrante della struttura e sono modellati dall’odontotecnico in modo da avvolgere i denti portanti. C’è ne sono di due tipi: visibili ed invisibili; rispettivamente meno e più costosi

Protesi mobile scheletrata con ganci visibili

I ganci servono a connettere saldamente lo scheletrato ai denti naturali ma il risultato estetico non è proprio dei migliori in quanto, sorridendo, risultano visibili al nostro interlocutore. Inoltre, pur essendo la scelta più economica, rappresentano un ostacolo all’igiene orale domiciliare. La placca che si insinua dietro di essi favorendo la comparsa della carie.

Scheletrato con attacchi interni invisibili

Per migliorare l’estetica della protesi scheletrata è possibile sostituire i ganci con degli attacchi di precisione. In questo caso, i denti naturali devono essere incapsulati altrimenti non sono in grado di sopportare i carichi masticatori. Entriamo quindi nel campo della protesi combinata.

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La gengiva finta

La flangia rosa svolge la funzione di mascherare il supporto di metallo sottostante e migliorare l’estetica. Il colore della gengiva finta è personalizzabile in base al colore dei tessuti molli del cavo orale del paziente.

I denti protesici

Nella maggior parte dei casi costruiti utilizzando composito o resina anche se è possibile scegliere anche corone in metallo ceramica che, però, risultano più pesanti. Per eseguire un lavoro ottimale che garantisca anche un buon risultato estetico, è necessario scegliere il colore dei denti protesici il più possibile simile a quelli naturali residui, denti troppo bianchi farebbero risaltare ancora di più la parte protesizzata.

Lo scheletrato è la scelta preferita da coloro che, a causa dell’età, preferiscono non sottoporsi ad interventi di implantologia. Inoltre, la mancanza prolungata di denti potrebbe aver innescato un veloce riassorbimento del tessuto osseo impedendo così la possibilità di collocare gli impianti. Anche la presenza di alcune malattie sistemiche non tenute sotto controllo come ad es. il diabete scompensato dirottano la scelta sullo scheletrato.

Manutenzione ed igiene

La protesi scheletrata necessita di un’accurata igiene quotidiana da eseguire dopo ogni pasto.

Il portatore rimuove la protesi e procede alla sua pulizia con spazzolino da denti a setole morbide ed un dentifricio non aggressivo e, soprattutto, non un dentifricio sbiancante poiché si rischia di rovinare il colore dei denti. Nei giorni immediatamente successivi alla consegna, il neo portatore di protesi scheletrata dovrebbe sforzarsi di indossarla il più a lungo possibile. Più tempo lo scheletrato passa in bocca più velocemente le mucose ed i muscoli facciali si adattano al corpo estraneo. Al risultato finale si arriva per gradi quindi, portare la protesi per più tempo possibile permette al dentista ed all’odontotecnico di individuare i punti da ritoccare per un maggiore comfort.

Quando lo scheletrato non è in bocca è bene custodirlo in un luogo sicuro, al riparo da cadute accidentali ed in un fazzoletto o panno leggermente umido poiché l’eccessiva disidratazione potrebbe causare delle deformazioni.

Controlli periodici e ribasatura

Giorno dopo giorno, le forze esercitate durante la masticazione scaricate anche sui denti della protesi scheletrata tendono ad usurare lo smalto dei denti adiacenti che fanno da pilastro. Anche i ganci o gli attacchi tendono a rovinarsi quindi è assolutamente necessario che il paziente si rechi periodicamente dal dentista per verificare che tutto sia a posto. Improvvise rotture non sono quasi mai repentine bensì sono il risultato di lunghi periodi di trascuratezza. A lungo andare, le mucose (gengive) ed osseo mascellare tendono al riassorbimento quindi anche i punti di appoggio dello scheletrato cambiano. Se non si apportano le dovute modifiche alla gengiva finta questa, essendo più larga del dovuto, causerà infiammazioni, vesciche o, peggio, decubiti alla mucosa gengivale. Per porre rimedio a tutto ciò è necessario che l’odontotecnico effettui la ribasatura della protesi. Dopo aver preso le impronte che riproducono la nuova struttura osteomucosa, basterà colmare i vuoti creati con uno strato di resina sulla superficie a contatto con la gengiva.

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PROTESI DENTALE

La protesi dentale è un sostituto artificiale dei denti naturali, viene applicata in caso di edentulia parziale o totale o per correggere difetti estetici di forma, posizione e colore dei denti, o, in alcuni casi, per riabilitare l’occlusione disfunzionale.. Si distinguono vari tipi di protesi dentaria:

Protesi fissa - Si indica come protesi dentaria fissa, ponti o corone che vengono cementati ai denti e non sono più rimovibili dal paziente e spesso neanche dal dentista senza che subiscano alterazioni che ne compromettono la riutilizzabilità.

Protesi rimovibile o mobile - Si indica come protesi dentaria rimovibile quella che il paziente può, e deve, rimuovere dalla bocca per la pulizia.

Protesi combinata - Si indica come protesi dentaria combinata quella composta in parte da protesi fissa e in parte da protesi rimovibile, strettamente collegate tra loro.

Si distinguono vari tipi di protesi dentale fissa:

Protesi fissa in metallo ceramica - Si tratta di ponti o corone formati da una lega composta da vari metalli, con una percentuale più o meno alta di oro (lega aurea ad alto o basso tenore d’oro), rivestiti in ceramica.

Protesi fissa in ceramica Metal Free - Si tratta di ponti applicati sui denti residui. Questo tipo di protesi ha le gengive e i denti composti di una particolare resina. Oggi viene usata prevalentemente come provvisorio, in attesa di applicare sostituti artificiali più efficienti.

Protesi totale in resina rimovibile o mobile - Protesi dentaria sostitutiva di tutti gli elementi dentali di un'arcata, ad appoggio mucoso e a tenuta con meccanismo di sussione o tramite impianti.

Protesi scheletrata (scheletrato) rimovibile - Protesi sostitutiva dei denti naturali, che può essere rimossa dal paziente. La protesi scheletrata (scheletrato) è una protesi dentaria ad appoggio misto, dentale e mucoso, la cui tenuta è garantita da ganci applicati ai denti residui. E' composta da:

- struttura metallica, generalmente una lega al cromo-cobalto, costituente, appunto, lo scheletro portante

- selle in resina che riproducono le sembianze della gengiva, che appoggiano sulla mucosa gengivale e sostengono i denti, anch'essi in resina.

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PROTESI FISSA

Manufatto artificiale tipo ponte o corona

Per protesi fissa (denti fissi) in odontoiatria s'intende un manufatto artificiale tipo ponte (coinvolge più denti) o corona (coinvolge un singolo elemento dentario) cementato a pilastri di sostegno naturali o artificiali con lo scopo di ripristinare la funzionalità di un dente, di un gruppo di denti o di un'intera arcata dentaria. La protesi fissa, al contrario di quella rimovibile, una volta applicata dal dentista rimane stabilmente al suo posto e non deve essere quotidianamente rimossa dalla bocca per le indispensabili manovre d'igiene orale.

In base alle funzioni si distinguono tre tipi di protesi fissa:

• protesi fissa di ricostruzione: ha il compito di ricostruire le parti anatomiche del dente asportato e preservarlo quindi dalla completa distruzione (es. corone, intarsi, perno moncone);

• protesi fissa di sostituzione: sostituisce completamente con elementi particolari i denti naturali (es. elementi intermedi di protesi a ponte);

• protesi fissa di fissazione: ha la proprietà di bloccare e distribuire correttamente le forze masticatorie (es. ferule di fissazione).

Tali elementi se si ancorano sul dente o radice residuo vengono definiti corone, se poggiano sui denti adiacenti (opportunamente limati) con il fine di ripristinare denti mancanti sono detti ponti, e se sono applicati su impianti inseriti nell'osso sono definiti protesi su impianti. Sono definite protesi fissa anche le faccette, che consistono in gusci di ceramica da applicare sui denti anteriori per finalità estetiche o funzionali. Negli ultimi anni ha assunto grande importanza la realizzazione computer-assistita di protesi fisse con tecnologia CAD/CAM.

Requisiti della modellazione per protesi fissa

Ogni tipo di modellazione per protesi fissa per rispondere alle caratteristiche di funzionalità, resistenza, innocuità ed estetica deve avere i seguenti fondamentali requisiti.

• Modellazione anatomicamente perfetta: è necessario ricostruire il dente interessato in modo il più possibile simile a quello che il paziente aveva in natura, quindi con tutte le caratteristiche che aveva il dente sano; per questa ricostruzione ci si avvale degli eventuali altri denti presenti nell'arcata.

• Punto di contatto: deve essere ricostruito durante la modellazione per tre motivi: la distribuzione uniforme del carico masticatorio su tutta l'arcata, quindi la protezione dei singoli legamenti alveolo dentali; per evitare la "migrazione" del dente interessato o di quelli vicini; per proteggere la zona delle papille interdentali dal ristagno di cibo e quindi dalla possibilità di carie secondarie.

• Corretta occlusione: è importante ristabilirla per un'adeguata funzionalità della protesi. Se il dente fosse troppo corto il paziente non riuscirebbe a masticare perché i denti non

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taglierebbero e se invece il carico occlusale fosse elevato ci sarebbe il rischio di danni ai legamenti alveolo-dentali (parodontopatia) ed all'articolaziojne temporomandibolare. Inoltre i denti devono essere costruiti in maniera armonica affinché non inciampino nei movimenti di protrusiva o di lateralità. Se questo accadesse ci sarebbe uno spiazzamento della articolazione temporomandibolare con delle gravi conseguenze per il paziente (artosi e/o disfunzione della articolazione).

• Giuste dimensioni degli spazi interdentali e interstiziali: se le dimensioni degli spazi interdentali fossero troppo accentuate, la zona delle papille interdentali non avrebbe una sua precisa collocazione, e avremmo la possibilità di ristagno di cibo; se gli spazi interstiziali fossero troppo accentuati, il cibo potrebbe scivolare pur avendo il punto di contatto e col tempo causare una carie secondaria nella zona interdentale.

• Corretta ricostruzione della curvatura assiale: questa è la bombatura di ogni singolo dente in tutte le superfici verticali e va ristabilita durante la modellazione in dimensioni adeguate. Se la curvatura assiale è poco accentuata il cibo urterà frequentemente la gengiva, provocando arrossamenti e infiammazioni. Se invece la curvatura assiale è molto accentuata avremo ristagni di cibo e di conseguenza carie secondaria.

• Arrotondamento delle cuspidi: questa operazione si esegue per evitare che la corona in lega nobile che verrà applicata in bocca al paziente possa danneggiare il dente antagonista, visto che le leghe utilizzate in odontoiatria hanno un'abrasione praticamente nulla. Bisogna tenere presente anche l'età del paziente per stabilire l'inclinazione delle faccette cuspidiane (sono quei piani inclinati che si vengono ipoteticamente a formare sui versanti delle cuspidi in ogni direzione partendo dalla sommità della cuspide stessa).

• Modellazione del colletto a lama di coltello: nelle parti di protesi in cui il dente è ridotto a moncone la corona che si inserisce per andare sotto gengiva a livello del colletto deve avere uno spessore molto sottile detto a lama di coltello.

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PROTESI TOTALE

La protesi totale è un sostituto artificiale dei denti, rimovibile, che si applica nei casi di mancanza completa dei denti, la cui tenuta è dovuta alla precisa conformazione dei bordi rispetto alla linea mucogengivale. E' chiamata anche dentiera.

La protesi totale rientra tra i dispositivi afisiologici, in quanto i carichi masticatori vengono completamente scaricati sulla mucosa e sull'osso sottostante, perché denti residui o radici vengono a mancare (edentulia). Ha quindi il compito di ristabilire completamente le funzioni masticatorie. Nell'esecuzione di questa protesi bisogna rispettare il profilo del viso (profilo facciale). Essa è meglio definita "mobile totale" in quanto risulta essere un dispositivo che il paziente stesso può rimuovere e reinserire in qualsiasi momento della giornata. È un dispositivo atto a sostituire intere arcate ormai edentule, costituito da una struttura di sostegno in resina acrilica. I denti utilizzati sono denti del commercio sia in ceramica (poco utilizzati) che in resina acrilica o composita. Con i denti prodotti attualmente si ottengono ottimi risultati estetici: fondamentale è l'abilità dell'odontotecnico che, in particolare per i denti frontali, riesce a conferire alla protesi un aspetto naturale che ben si adatti al viso e alle espressioni del paziente. Se la sella edentula fosse poco rilevata o comunque per aumentare la ritenzione della protesi totale è possibile, se la quantità di osso residuo è sufficiente, ricorrere alla chirurgia implantare. In tal caso verrebbero inseriti nella cresta edentula degli impianti con funzione di ancoraggio (in genere per la tecnica overdentures con ritenzione sferica, nell'arcata inferiore vengono inseriti 2 impianti nella zona dei canini).

Radiografia di un impianto in sede

Corone

Le corone sono protesi per denti singoli dei quali almeno la radice è conservata. Si ancorano o al dente opportunamente preparato (moncone) o, tramite perni endocanalari, alla radice (corona

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Richmond). Le corone, come anche gli elementi di ponte, possono essere in metallo (dette corone in lega) , metallo ceramica, solo ceramica (corona jacket crown). Correntemente si stanno presentando altri materiali utili per la protesi fissa.

Ponti

Nei ponti l'elemento dentario estratto viene sostituito da una protesi che comprende anche gli elementi dentari adiacenti che vengono per questo ridotti a monconi e protesizzati anch'essi. L'elemento mancante assieme agli elementi pilastro (i monconi sui quali si appoggia) forma il ponte. Gli elementi pilastro devono avere un numero pari o superiore al numero delle radici pilastro degli elementi mancanti. Per travata si intende la parte di struttura destinata a sostenere l'elemento o gli elementi mancanti.

Protesi su impianti

In questo caso la radice dell'elemento mancante viene sostituita da un impianto dentale solitamente in titanio o leghe biocompatibili e su questo viene cementato o avvitato l'elemento protesico. Con gli impianti è possibile sostituire denti singoli o realizzare ponti o strutture più estese (Ponti di Toronto, o similari) che possono sostituire tutti gli elementi dell'intera arcata dentaria.

Faccette

Le faccette in porcellana sono sottili lamine in ceramica che vengono cementate sulla superficie visibile (detta vestibolare) dei denti anteriori. I denti che accolgono una faccetta sono leggermente limati per far spazio alla ceramica. Tuttavia, la loro preparazione è estremamente conservativa e deve essere mantenuta a livello della porzione più superficiale del dente, lo smalto. Lo smalto consente un’adesione ottimale delle faccette al dente.

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ATTACCHI PER PROTESI DENTALI  

 

L’attacco è un dispositivo di connessione fra parti rimovibili (mobili) e parti fisse di protesi combinate. È l’elemento di collegamento della protesi con gli elementi portanti (denti naturali o impianti). Può essere prefabbricato, ossia realizzato industrialmente, o individuale ossia realizzato direttamente sulla corona con l’isoparallelometro da parte dell’odontotecnico.

Tipologia di attacchi prefabbricati Gli attacchi realizzati industrialmente si dividono in: • ATTACCHI RIGIDI (o più semplicemente «attacchi») ossia quelli la cui funzione è unicamente la connessione fra parti fisse e rimovibili in modo da favorire l’inserimento ed impedire il disinserimento involontario. • ATTACCHI RESILIENTI (impropriamente definiti «ammortizzatori» o «attacchi ammortizzati») ossia quei dispositivi progettati per fornire il gioco meccanico sufficiente (movimento) affinché i pilastri (denti o impianti) possano supportare, senza eccessivi sforzi, le variazioni di appoggio della protesi dovute alle deformazioni della mucosa e degli elementi sottostanti.

Scelta dell’attacco: rigido o resiliente? Fino a qualche decennio fa si pensava che i collegamenti rigidi potessero sollecitare i denti pilastro oltre la capacità di carico e quindi erano considerati dannosi; pertanto la scelta era quasi sempre a favore degli attacchi resilienti. Negli anni ‘70 si dimostrò che l’utilizzo di attacchi resilienti provocava una serie di svantaggi fra cui un elevato livello di riassorbimento delle creste alveolari e di conseguenza anche danni agli alveoli dei denti pilastro. Al contrario, gli attacchi rigidi inducevano poca atrofia delle creste ed avevano bisogno di limitati interventi di ribasatura. In ogni caso la scelta fra un attacco rigido ed uno resiliente è basata fondamentalmente su tre fattori: • la filosofia personale di progettazione del caso da parte dell’odontototecnico e dell’odontoiatra; • le condizioni specifiche del cavo orale; • la direzione del carico occlusale sui denti pilastro.

Qual è la forza ritentiva ottimale per un attacco? Il parametro di riferimento fondamentale di pro-regresso della forza ritentiva stabilisce che questa debba arrivare al suo valore massimo (circa 7N) incondizionatamente ed esclusivamente a protesi completamente inserita. La forza di ritenzione degli attacchi, dotati di pareti parallele scorrevoli, aumenta gradualmente durante l’inserimento e diminuisce, altrettanto gradualmente, durante il disinserimento. La ritenzione è massima (circa 7N) nella posizione finale di inserimento della matrice con la patrice. Questa, come ormai scientificamente validato, è una dinamica di movimento favorevole per il paziente. Durante il percorso di disinserzione non sono invece assolutamente ammessi picchi ritentivi di entità superiore al valore ritentivo stesso, pena l’eccessiva sollecitazione estrattiva del pilastro naturale o implantare. I sistemi dotati di ritenzioni elastiche sottoequatoriali presentano delle sollecitazioni più elevate sulle strutture portanti protesiche (denti naturali o impianti).

Principio di progettazione e funzionamento dell’attacco rigido La condizione essenziale, affinché l’attacco svolga adeguatamente la sua funzione nel tempo, è che esso sia impegnato nella sola funzione ritentiva e che la protesi venga periodicamente ribasata.

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L’attacco, cioè, deve essere scaricato dalle forze verticali, sagittali e orizzontali, in modo che svolga solo l’azione di impedire un indesiderato dislocamento verticale della protesi parziale durante la funzione. PER FARE CIÒ È NECESSARIO ABBINARE ALL’ATTACCO RIGIDO IL FRESAGGIO.

Tutti gli attacchi rigidi da soli non possono resistere! Perché? Perché per essere funzionali ed estetici devono essere necessariamente piccoli! Ecco la dimostrazione matematica. Ognuno di noi sa che: 1. 1 kg 9,81 N e quindi per comodità si può assumere che 1 kg 10 N 2. la forza di masticazione media per i denti posteriori è pari a 400-600 N 3. le forze della masticazione si ripartiscono in modo non uniforme fra dente pilastro e mucosa in quanto la resilienza del primo è molto inferiore a quella della seconda. Per tale motivo, utilizzando attacchi rigidi, si innescano dei movimenti rotatori a carico del dente pilastro che vengono individuati come momento flettente.

Principi di connessione in protesi combinata Il sistema di ancoraggio fra parti fisse e rimovibili di protesi combinate deve quindi essere costituito da: 1. L’ATTACCO, che ha la funzione di RITENZIONE ossia è DEPUTATO A CONTRASTARE LE FORZE VERTICALI DI DISTACCO (per esempio durante la masticazione). L’attacco va posizionato con un PARALLELOMETRO che deve essere supportato da 2. IL FRESAGGIO, realizzato con un ISOPARALLELOMETRO, che ha il compito di fornire la stabilizzazione verticale, trasversale ed orizzontale della PROTESI COMBINATA grazie agli elementi che lo costituiscono: • una spalla cervicale e/o occlusale con funzioni di appoggio, che contrasta le forze verticali; • una coulisse con funzioni di abbraccio e bilanciamento delle forze trasversali; • un braccio fresato che partecipa alla ritenzione e contrasta le forze orizzontali. Eliminata la parte ritentiva dell’attacco, il braccio fresato non deve avere alcun gioco nella corona; l’unico movimento possibile tra corona e braccio fresato, condotti a fine corsa, deve essere quello verticale di inserzione. In questo modo all’attacco è riservata la sola funzione che gli compete ossia quella ritentiva.

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Cos’è un parallelometro?

Il parallelometro è lo strumento di lavoro indispensabile al laboratorio odontotecnico per effettuare l’analisi del modello, la progettazione della protesi e il posizionamento corretto degli attacchi. Il parallelometro è costituito da un braccio verticale che viene portato a contatto con i denti e le creste del modello per individuare le superfici parallele e la zona equatoriale e posizionare quindi in modo corretto gli attacchi.

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Classificazione delle edentulie parziali Il sistema di classificazione delle edentulie parziali più ampiamente accettato fu proposto da Dott. Edward Kennedy nel 1923. Tale sistema è basato sulla distribuzione dei denti naturali rimanenti e sugli spazi edentuli. Questo sistema fu definito ulteriormente ed allargato dal Dott. O.C. Applegate e dal Dott. Jacques Fiset. Il valore del sistema di classificazione Kennedy-Applegate-Fiset risiede nel fatto che è relativamente semplice, facile da ricordare, estremamente esauriente e molto pratico. Esso è costituito da quattro tipi principali, ulteriormente suddivisibili in base a modificazioni, e permette la visualizzazione dell’arcata parzialmente, edentula e delle PPR (Protesi Parziali Removibili) progettate per questi archi. Indica il tipo di appoggio della PPR e suggerisce certi principi fisiologici e meccanici di trattamento e di progettazione della Protesi Parziale Rimovibile. Nel corso degli anni sono state elaborate anche altre classificazioni delle edentulie parziali con l’intento di semplificare la comunicazione fra clinico e tecnico senza tuttavia giungere ad un sistema universalmente accettato. Si può comunque affermare che ad oggi la classificazione di Kennedy, nei suoi quattro tipi principali, sembra soddisfare il maggior numero di casi reali ed è il sistema forse maggiormente noto, accettato ed usato.

Uso degli attacchi nelle riabilitazioni su impianti

L’utilizzo degli attacchi in protesi combinata, normalmente destinata alla soluzione di casi su denti naturali, ha trovato un’ulteriore opportunità applicativa ove è prevista una riabilitazione su impianti. Non è una regola, ma possiamo tranquillamente affermare che buona parte degli attacchi in

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commercio ed in particolare, per semplicità di adattamento, quelli in plastica calcinabile, sono idonei a svolgere un’azione ritentiva nei bloccaggi primari su impianti.

E’ possibile adottare diverse soluzioni tecniche, tra le quali i sistemi a barra.

Funzioni di una ricostruzione con barra: • Stabilizzare e bloccare gli impianti reciprocamente • Contrastare quelle forze che provocherebbero il ribaltamento della protesi • Distribuire le forze trasversali e di taglio • Compensare la resilienza mediante il grado di libertà

Per la realizzazione delle protesi ibride poggianti su impianti è indispensabile seguire le seguenti linee guida:

Ponendo la matrice soltanto sul segmento frontale della barra, si ottiene 1 grado di libertà se si tratta di barra tonda, 3 gradi di libertà se si tratta di una barra ovale e nessun grado di libertà se si tratta di una barra fresata (resiliente scorrevole).

Disposizione della barra Posizionare la barra anteriormente in modo che sia perpendicolare alle bisettrici delle due creste alveolari

La barra – anche in caso di dislivello – deve essere posizionata orizzontalmente.

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Un posizionamento su di un piano inclinato non è consentito in quanto, oltre a non garantire la funzione corretta della costruzione, creerebbe l’insorgenza di forze orizzontali indesiderate.

Pianificazione della struttura a barra Caricamento precoce dell’impianto o restaurazione dopo il periodo di guarigione Se protesi ibride totali vengono ancorate su impianti, in un mascellare inferiore si segue questo principio base: sono necessari 4 impianti se dopo l’inserimento degli stessi per qualsiasi ragione, si deve procedere ad un caricamento anticipato delle componenti secondarie, con una protesi, prima che sia completata l’osteointegrazione. Questo è spesso inevitabile con l’impiego di impianti a una sola componente, poiché in questo caso le condizioni del provvisorio spesso sono molto insoddisfacenti. In questa situazione è indispensabile eseguire un collegamento dei quattro impianti con una costruzione a barra. Il profilo della barra di Dolder, con i tre gradi di libertà, consente un caricamento minimo sui pilastri, indipendentemente dal numero dei pilastri stessi, specie se il posizionamento è solo lineare e frontale. Se però i pilastri sono distribuiti a intervalli regolari nella regione frontale, inserendo la protesi per mezzo di più cavalieri sopra tutti i segmenti della barra, la dinamica della protesi va completamente perduta. In questo caso si otterrà un semplice ancoraggio rigido senza gradi di libertà. Se invece – cosa che dovrebbe peraltro costituire la regola – abbiamo la possibilità di consentire un’osteointegrazione di almeno tre mesi ai nostri pilastri ibridi sotto forma di impianti a due componenti, potremo limitarci a due soli pilastri, per di più in un impianto di forma relativamente corta, sempre a condizione che le forze masticatorie siano assorbite solo dal supporto protesico stesso e non siano trasmesse lungo l’asse degli impianti. Asse d’inserzione Un passaggio importante nella fase di posizionamento degli attacchi a guida verticale è la scelta dell’asse d’inserzione. Abitualmente spetta all’operatore la scelta della direzione d’inserzione attraverso una valutazione complessiva degli elementi interessati mediante l’ausilio di un analizzatore parallelo montato sul parallelometro (vedi Fig.1 e Fig.2). Il risultato ingenera una direzione compromesso tra le pareti mesio-distali e vestibolo-linguali dei monconi ma è spesso viziata da considerazioni soggettive ed analisi visive non sempre coerenti.

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  Fig.1 Fig.2 Asse d’inserzione in implantologia L’occlusione è una variabile importante nel successo o nel fallimento delle ricostruzioni protesiche. I trattamenti su denti naturali hanno generalmente maggiore successo in quanto i denti naturali, grazie alla loro flessibilità consentono la compensazione di alcun irregolarità occlusali. Le riabilitazioni su impianti invece non permettono alcuna compensazione di eventuali malocclusioni per cui sono più critiche da realizzare. Il fattore più significativo sulla stabilità di un trattamento a supporto implantare è il carico occlusale. L’eccessivo carico può indurre ad un allentamento delle viti di connessione e, se non individuato in tempo, alla possibile frattura. Inoltre il sovraccarico può danneggiare anche l’impianto e la sovrastruttura ed indurre ad una mancata osteointegrazione. Proprio per questo la letteratura è generalmente concorde nel consigliare un posizionamento implantare in asse con il carico o con impianti contrapposti. In situazioni anatomiche ottimali e per settori poco estesi questo può essere realizzabile. Tuttavia, se le condizioni non sono ottimali ed il numero e la distribuzione degli impianti sono più complesse sarà necessario un posizionamento degli impianti con inclinazioni lontane dall’orientamento ottimale. Infatti, gli impianti sono generalmente posizionati in relazione al dente da sostituire ed in base all’osso esistente per cui possono presentare angolazioni molto diverse fra di loro. In questi casi diventa fondamentale la determinazione dell’asse d’inserzione. Ad oggi, la metodica generalmente utilizzata nel laboratorio odontotecnico per stabilire l’asse di fresaggio implantare si basa sul sistema empirico della valutazione visiva e/o personale della direzione di fresatura più adeguata alla morfologia futura. La scelta dell’asse d’inserzione è quindi basata su numerosi elementi clinici e tecnici ed è strettamente legata all’esperienza dell’odontotecnico il quale, nella maggior parte dei casi, definisce l’asse di fresatura senza avere fatto una preventiva analisi dell’angolazione di ogni impianto. Per tale motivo alcuni impianti possono presentare preparazioni angolari molto inclinate in modo da compensare altri meno angolati e garantire un comune asse d’inserzione.

La Saldatura

La saldatura è un processo mediante il quale due o più metalli vengono uniti insieme. La saldatura è la tecnica universalmente più nota e diffusa per il fissaggio degli attacchi prefabbricati tradizionali. Sono due le tipologie di saldatura note: • la saldatura autogena, ossia quella che avviene senza metallo d’apporto (p.e. la saldatura laser). In tal caso il metallo dell’unione, detto metallo base, partecipa fondendo alla costituzione del giunto saldato; • la saldatura eterogena o brasatura, ossia quella in cui viene utilizzato un metallo d’apporto cosidddetto “saldame” diverso da quello dei pezzi da unire. In base alla temperatura di fusione del

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saldame possiamo suddividere la brasatura in: - brasatura dolce, se il saldame ha una temperatura di fusione inferiore ai 400 ÷ 450 °C - brasatura forte, se il saldame ha una temperatura di fusione superiore ai 400 ÷ 450 °C Nella brasatura è previsto un riscaldamento del metallo dell’unione ad una temperatura inferiore a quella di fusione con l’apporto di un materiale, detto saldame, che ha il compito di bagnare ed unire le superfici fondendo in una lega intermedia di resistenza spesso superiore a quella della saldatura autogena. La brasatura permette quindi la realizzazione di giunti tra materiali base simili o dissimili a temperature tali da permettere la fusione del saldame e lasciare integri i materiali base. La saldatura che viene utilizzata per il montaggio degli attacchi prefabbricati tradizionali è quella eterogena, ossia quella che utilizza un saldame e tale tecnica è effettuabile in due diversi modi:

- Prevalentemente in primaria mediante saldobrasatura, dove il metallo di apporto viene deposto tra le parti da unire durante la fase di riscaldamento. In questo modo il saldame “bagna” le superfici da unire ossia si spande sulle superfici secondo piccoli angoli di contatto;

- Raramente in secondaria, mediante brasatura capillare, dove il metallo d’apporto viene deposto tra le parti da unire non ancora riscaldate. In questo caso il saldame non solo bagna le superfici ma viene anche attratto capillarmente nei meati capillari presenti nelle superfici da unire creando un legame metallurgico fra di loro a livello molecolare.

Per effettuare una corretta saldatura occorre:

1. utilizzare saldami e flux specifici per attacchi ad alto titolo aureo compatibili con la lega degli attacchi.

2. Dopo il posizionamento dell’attacco, utilizzare un rivestimento specifico per saldatura per bloccare la femmina

3. Non staccare mai la fiamma nella fase di riscaldamento delle componenti; se necessario allontanarla ma non staccarla per evitare l’ossidazione;

4. Stabilizzare con un apposito trattamento termico le strutture estese, prima della saldatura, per limitare eventuali deformazioni post saldatura;

5. Rimuovere il rivestimento mediante sabbiatura a micro sfere evitando di colpire le parti guida dell’attacco;

6. Effettuare un decapaggio con prodotti adeguati alla tipologia di metallo e di saldame. La Sovraffusione La sovraffusione è una tecnica alternativa alla saldatura utilizzata per il fissaggio degli attacchi prefabbricati tradizionali. L’utilizzo di questo metodo, il cui impiego è noto prevalentemente in odontotecnica, permette di inserire una componente all’attacco (generalmente la matrice) nella posizione desiderata direttamente nella cappetta in cera o in resina. Con la fusione del metallo otterremo quindi non solo la costruzione della corona ma anche l’unione della componente dell’attacco grazie ad una “connessione metallica” originata da un fenomeno di “adesione superficiale per diffusione” tra la lega della corona e quella dell’attacco. Per ottenere una corretta sovraffusione occorre che:

1. la lega utilizzata per la costruzione dell’attacco presenti un’assoluta inossidabilità; 2. le leghe degli attacchi siano idonee alla sovraffusione ossia presentino un punto di solidus

almeno 100°C superiore alla temperatura di colata della lega da fondere; 3. i perni di colata siano distanti e non diretti sull’attacco; 4. la temperatura di preriscaldo del cilindro sia più elevata dell’usuale;

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5. i tempi di permanenza del cilindro alla temperatura di preriscaldo siano più lunghi; 6. gli spessori delle pareti degli attacchi siano preferibilmente superiori a 0.5 mm. Spessori al

di sotto degli 0,5 mm possono indurre a deformazioni o penetrazioni difficilmente rimediabili meccanicamente;

7. se non presente, creare nell’attacco una ritenzione meccanica sulla parete di contatto; 8. se possibile, allargare e inglobare l’attacco all’interno della cappetta.

La Fusione Tecnica adottata a partire dagli anni ‘80 per inserire in fusione attacchi, realizzati in plastica calcinabile (cioè eliminabile per volatizzazione), da posizionare direttamente nella cera.Generalmente la parte calcinabile, patrice o matrice, è collocata nella parte primaria, mentre nella secondaria è inserita la restante componente dell’attacco, che può essere in plastica o in metallo.Il metodo elimina buona parte degli inconvenienti causati dai sistemi tradizionali (saldatura e sovraffusione), ma diminuisce il livello di precisione della connessione. È per questo che per ottenere buoni risultati con questa tecnica occorre rispettare le seguenti indicazioni: 1. Usare leghe da fusione con caratteristiche meccaniche analoghe alle leghe da fresaggio (tipo 4); 2.Utilizzare rivestimenti fosfatici evitando cicli di preriscaldo rapidi; 3.Evitare l’uso di riduttori di tensione; 4.Eseguire la finitura delle superfici con sabbiatura leggera(perline di vetro) e lucidatura manuale. L’Incastro Tecnica che consiste nell’inserire in modo forzato la matrice in un alloggiamento, precedentemente ottenuto per duplicazione e/o modellazione, nello scheletrato. In questo modo la matrice è inclusa nella parte removibile della protesi. L’incastro è generalmente combinato con la fusione per ottenere l’accoppiamento tra la componente calcinabile fusa nella primaria e quella incastrata nella secondaria. Per garantire il corretto mantenimento della componente nello scheletrato è fondamentale il preciso dimensionamento del suo alloggiamento. In caso contrario si rischia o la disinserzione accidentale della matrice o, al contrario, una forzatura eccessiva che può modificarne la misura interna impedendo una corretta connessione con la patrice. L’utilizzo di accessori specifici per duplicazione e la presenza di nicchie ritentive possono favorire una corretta esecuzione di questa tecnica. L’Incollaggio Tecnica supercollaudata (utilizzata anche per importanti applicazioni in campo aeronautico) è da parecchi anni proposta anche da diverse aziende per il fissaggio degli attacchi sia nelle parti primarie che secondarie. In teoria i sistemi d’incollaggio offrono all’odontotecnica moderna una tale serie di vantaggi da rendere obsoleta qualsiasi altra tecnica fino ad oggi utilizzata. In pratica però, un po’ i costi elevati dei componenti, ma soprattutto una diffidenza radicata sia nei medici sia negli odontotecnici, riguardo l’efficacia e tenuta nel tempo dei collanti, ne ha limitato notevolmente la diffusione, a vantaggio della tecnica calcinabile. Tuttavia resta indiscutibile: 1. La precisione della connessione dovuta all’impiego di componenti prefabbricati di precisione; 2. La neutralizzazione degli inevitabili micro-errori di posizione commessi durante il montaggio; 3. La resistenza meccanica del materiale utilizzato stampato a freddo da barra trafilata; 4. La possibilità di reintervento e/o sostituzione scollando e rincollando dalla sede i vari

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componenti. La tecnica prevede di ricavare mediante duplicazione e/o modellazione o utilizzo di appositi accessori un alloggiamento dove inserire e di seguito incollare la componente dell’attacco. Per una buona riuscita dell’incollaggio è fondamentale utilizzare prodotti specifici per attacchi e verificare: 1. L’efficacia del collante, l’osservanza delle istruzioni d’uso ed il controllo della sua data di scadenza; 2. La forma e la completezza dell’alloggiamento atto a contenere la componente dell’attacco; 3. La rugosità della superficie dell’alloggiamento che va aumentata mediante sabbiatura Al2/O3(leghe preziose 150 micron / leghe metalliche 300 micron) proteggendo opportunamente le guide di connessione dell’attacco. La ricerca e la continua evoluzione nel settore chimico suggerisce di verificare alla scadenza od al riordino della colla, la presenza sul mercato di nuovi prodotti aventi caratteristiche superiori.    La PROTESI COMBINATA è ottenuta dalla combinazione di due diverse tipologie di protesi: una parte di dispositivo fisso ed uno rimovibile. Il collegamento tra le due parti avviene tramite dispositivi di collegamento che possono essere:

Attacchi prefabbricati

Gli attacchi prefabbricati sono dispositivi realizzati industrialmente e destinati a garantire la ritenzione o la stabilizzazione fra la componente fissa (ancorata ad un dente naturale o ad un impianto) e la componente rimovibile (integrata nella parte rimovibile) della protesi.

Resilienti: attacchi che permettono un movimento fra il dente pilastro e l’attacco

Rigidi: attacchi che non consentono alcun movimento fra il dente pilastro e l’attacco.

Attacchi individuali

Gli attacchi individuali sono dispositivi di connessione realizzati con l’isoparallelometro che garantiscono la funzione degli attacchi prefabbricati (ossia la ritenzione della protesi) e trasmettono tutte le forze di dislocamento (orizzontali e verticali) presenti nella cavità orale.

 

 

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IMPLANTOPROTESI

L’implantologia è una branca dell’odontoiatria che permette di applicare al paziente, con perdita parziale o totale di elementi dentali, protesi fisse di ottimo valore funzionale ed estetico evitando così protesi mobili o semimobili con interventi di bassa invasività. Si tratta sostanzialmente di inserire delle viti (impianti) nell’osso che simulano le radici naturali dei denti.

Non esistono normalmente tipologie di impianto migliori di altre anche se il medico deve conoscere tutte le tecniche esistenti ed utilizzare la forma implantare e la sistematica chirurgica più indicata dopo aver fatto preventivamente attenti esami al paziente.

IL SISTEMA IMPLANTOPROTESICO PHI (PRIMARY HEALING IMPLANT) Gli impianti PHI (Primary Healing Implant) rappresentano una novità nel campo dell’implantologia osteointegrata dovuta a una particolare chirurgia confermata da ripetute e accurate verifiche sperimentali. La metodica PHI consente una riparazione ossea di tipo primario. La guarigione ossea primaria è stata studiata soprattutto in ortopedia dal Prof. R. K. Schenk dell’Università di Berna. Oggi, con gli impianti PHI, si realizza il processo riparativo osseo primario anche nell’implantologia dentale. Mentre gli impianti tradizionali vengono inseriti nella cavità sempre con una manovra di forzatura, per avvitamento oppure per martellatura dei medesimi, con l’impianto PHI I’inserimento avviene per accoppiamento, senza forzatura. Questo significa non solo assenza di pressione, ma anche assenza di tensione. Il processo di integrazione dell’impianto PHI è stato valutato in uno studio multicentrico compiuto in 8 centri diversi su circa 2500 impianti inseriti nei 24 mesi e la percentuale di successo è risultata essere complessivamente pari al 99,28% (mandibola e mascella). Strumentario chirurgico

Il sistema implantologico PHI consiste in uno strumentario chirurgico composto da un calibro osseo collimatore, da un mucotomo (o bisturi circolare opercolatore) con un puntatore centrale deputato all’invito per la fresa sonda e/o fresa a gradini, da un osteotomo e da un maschiatore. La fresa è composta da un gambo cavo, da una porzione liscia e dalla parte lavorante raffreddata. La rettifica cavitaria (osteotomia) è realizzata manualmente da un osteotomo composto da quattro lame incrociate parallele che proseguono apicalmente a generare nel sito chirurgico la forma definitiva. La maschiatura viene effettuata con uno strumento cavo che consente ai liquidi biologici di fuoriuscire evitando così il verificarsi di compressioni idrauliche intraossee. L’impianto PHI è costituito da un collo liscio cilindrico rettificato, da un fusto conico plasmato su cui sono realizzate 2 spirali differenziate. Il tappo-vite di guarigione viene impiegato concordemente alla misura dell’impianto, dell’ampiezza della gengiva e in base al protocollo prescelto. L’impianto PHI deve essere installato con gli strumenti chirurgici dedicati.

INDICAZIONI GENERALI ALL’IMPIANTO A GUARIGIONE PRIMARIA Le indicazioni generali per l’inserimento di impianti sono: • ORTODONTICHE; • PARODONTALI;

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• PROTESICHE. In ortodonzia gli impianti possono essere usati nei soggetti con età superiore ai 16-18 anni, per rimpiazzare la mancanza di elementi naturali da usare come punti di attacco per l’applicazione di forze di tipo ortodontico. Nel trattamento della malattia parodontale gli impianti sono utili nell’esecuzione delle legature di gruppi di denti con eccessiva mobilità clinica. Lo scopo delle legature è di aumentare la stabilità dei denti, trasformandoli da elementi singoli in ponti di più elementi. L’eventuale presenza di pilastri molto solidi (impianti) può conferire alla struttura di collegamento (legatura) grande efficacia. Si tenga presente che la presenza d’infiammazione locale è una controindicazione temporanea assoluta alla operazione di impianto, il trattamento della parodontopatia è quindi un’operazione preliminare all’inserimento di impianti. Le indicazioni protesiche sono le più ampie, salvo nei casi d’inopportunità deontologica e di controindicazioni locali assolute. La collocazione di impianti, su cui ancorare la ricostruzione protesica, è sempre possibile e dev’essere considerata l’indicazione primaria. CONTROINDICAZIONI ALL’USO DI IMPIANTI Le controindicazioni generali assolute all’uso degli impianti a riparazione ossea primaria restano a tutt’oggi da individuare. Più che di reali controindicazioni, si tratta di situazioni in cui operare pazienti con limitate speranze di sopravvivenza a breve termine sembra deontologicamente inopportuno. Dalle osservazioni raccolte risulta utile adottare un livello di prudenza adeguato allo stadio della malattia. Comunque l’applicazione della terapia implantoprotesica a pazienti affetti da malattie non gravi per le quali sia necessario applicare il concetto di prudenza (cioè riduzione delle sollecitazioni) rende necessario informare il paziente del maggior rischio d’insuccesso o di possibile minore durata degli impianti. Essere prudenti significa ridurre la sollecitazione sull’osso con tutti gli accorgimenti possibili e cioè: • AUMENTO DEL TEMPO DI RIPARAZIONE OSSEA; • AUMENTO DEL NUMERO DEI PILASTRI; • CONTATTI OCCLUSALI PUNTIFORMI; • CARICHI VERTICALI; • PERFETTO BILANCIAMENTO OCCLUSALE; • SUPERFICI DI MASTICAZION’E MORBIDE; • DOCCE OCCLUSALI NOTTURNE (BYTES) DI PROTEZIONE.

CONTROINDICAZIONI GENERALI ASSOLUTE 1. Malattie gravi mentali o nervose congenite o acquisite tali da rendere difficoltose o impossibili sia la terapia sia la prognosi. 2. Malattie nervose ricorrenti o croniche in cui il rapporto del soggetto con la realtà attraversi dei periodi di labilità nei quali può essere compromesso il rapporto psichico del paziente con la protesi endossea. 3. Gravi malattie tumorali a prossimo esito infausto. 4. Età inferiore a 16 anni.

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CONTROINDICAZIONI GENERALI Gravi malattie a carico: I) delle ossa: • OSTEOPOROSI GRAVE • OSTEITE DEFORMANTE DI PAGET • OSTEOMALACIA (DISTURBI OSTEOIDI E DELLA MINERALIZZAZIONE) • OSTEODISTROFIA FIBROSA SISTEMICA (RECKLlNGHAUSEN) • OSTEODISTROFIA RENALE • OSTEOPETROSI Il) del connettivo: • SCLERODERMIA • LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO • POLIARTRITE NODOSA III) del cuore: • PREGRESSI INFARTI DEL MIOCARDIO IN FORMA GRAVE • INSUFFICIENZA CARDIACA MAL COMPENSATA • PATOLOGIE VALVOLARI GRAVI • DISTURBI MINACCIOSI DEL RITMO DELLA CONDUZIONE IV) del sangue e del sistema emopoietico: • ANEMIE NON CARENZIALI IN FORMA GRAVE • COAGULOPATIE CONGENITE

• SINDROME DA IMMUNODEFICIENZA ACQUISITA (AIDS)

V) del sistema endocrino: • IPERFUNZIONE O IPOFUNZIONE GRAVE DELLA CORTECCIA SURRENALE • IPERFUNZIONE O IPOFUNZIONE GRAVE DELLE PARATIROIDI • IPERFUNZIONE O IPOFUNZIONE GRAVE DELLA TIROIDE • IPERFUNZIONE O IPOFUNZIONE GRAVE DELL’IPOFISI • DIABETE GIOVANILE O SCOMPENSATO VI) del rene: • INSUFFICIENZA RENALE CRONICA CON UREMIA VII) del fegato: • EPATOPATIE GRAVI VIII) del sistema nervoso: • COREA MINOR • SCLEROSI A PLACCHE (NEVRASSITE) Riassumendo sono fortemente controindicate, all’implantologia a riparazione ossea primaria, tutte le forme patologiche gravi a prossimo esito infausto. Sollecitano una grande attenzione nella valutazione dei singoli casi la collaborazione del Medico Curante e di eventuali Colleghi Specialisti. L’eventuale trattamento clinico deve essere caratterizzato da una estrema prudenza. Le forme patologiche con gravi disturbi del metabolismo del calcio e del tessuto connettivo; tutte le forme in cui il paziente non può essere trattato per turbe comportamentali e infine tutte le forme

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patologiche che necessitano di terapie croniche con cortisonici. Per le terapie cortisoniche si temono la depressione del sistema immunitario e la riduzione dell’osteogenesi conseguenti all’assunzione del farmaco. Grande rilievo assumono i dosaggi e l’associazione di patologie che possono sinergizzare gli effetti negativi della terapia cortisonica a livello immunitario e del metabolismo del tessuto osseo. Le malattie del connettivo, controindicano quindi in maggior misura l’impianto. La somministrazione di cortisonici in forma cronica a basso dosaggio non costituisce una controindicazione assoluta. Si deve avvertire il paziente che nel caso di somministrazione di elevati dosaggi cortisonici bisogna disporre anche una copertura antibiotica. CONTROINDICAZIONI GENERALI RELATIVE Gli stati patologici che costituiscono controindicazioni relative, sono le malattie acute che vengono debellate con opportune terapie oppure stati transitori come la gravidanza o stati di malattia cronica congenita o acquisita in forma lieve o intermedia. Il riscontro di una patologia che potrebbe costituire un inopportuno trattamento sta a indicare collaborazione con il Medico Curante che dà in formazioni al riguardo. Si possono richiedere inoltre esami di laboratorio più mirati. 1. STATO DI GRAVIDANZA E PERIODO POST-PARTUM: • attendere il termine della gravidanza e periodo di allattamento. 2. OSTEOPOROSI IN FORMA NON GRAVE: • approfondire le analisi (valori ematici delle fosfatasi acida e alcalina). Se la forma è lieve si proceda come di norma, se la forma è intermedia si allunghino sino a sei mesi i tempi di guarigione e si agisca attenendosi strettamente al concetto di limitazione delle sollecitazioni. 3. MALATTIE CARDIACHE NON GRAVI: • accertare la gravità della patologia interpellando il Cardiologo; accertare l’eventuale assunzione di anticoagulanti; richiedere eventualmente la sospensione del trattamento per riportare i valori della coagulazione almeno al 70% in occasione di applicazioni multiple di impianti, sempre a giudizio del Cardiologo. Disporre una copertura antibiotica opportuna. In alternativa, procedere all’applicazione di un solo impianto per intervento, in modo da ridurre le perdite ematiche, disporre inoltre a scopo emostatico una sutura intorno al collo dell’impianto. 4. DIABETE IN FORMA NON GRAVE: • sino a valori di circa 140-160 si aumenta il tempo di guarigione a mesi tre oltre si può arrivare sino a sei mesi a seconda della gravità. Dare una copertura antibiotica di almeno 12 giorni a partire da 2 giorni prima delI’intervento. 5. REUMATISMO ARTICOLARE ACUTO (RAA): • si eseguono gli interventi seguendo la profilassi (antibiotica) prescritta dal Medico Curante. 6. DIATESI ALLERGICHE: • si accerti l’eventuale allergia al titanio puro. 7. NEVRALGIA ESSENZIALE DEL TRIGEMINO: • si accerti la gravità della sindrome tenendo presente che l’impianto potrebbe rivelarsi un trigger. Se si decide per l’intervento, si metta il paziente in terapia con carbamazepina dieci giorni prima dell’intervento fino a venti giorni dopo.

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8. ALTERAZIONI DELLA MOTILlTÀ SU BASE ANSIOSA: (SERRAMENTO O DIGRIGNAMENTO): • ci si attenga al concetto di limitazione della sollecitazione. È assolutamente controindicato per ricostruzione protesica l’uso della porcellana. La presenza di malattie croniche di lieve entità non controindica l’inserimento di impianti. Le condizioni patologiche croniche di media gravità consigliano una prudenza, che deve essere sempre posta in relazione alla gravità della patologia e della sua influenza sul metabolismo osseo. Il paziente deve essere informato della presenza di un maggior rischio e dev’essere consenziente. VISITA IMPLANTOPROTESICA

Il paziente inizia con una visita che ha lo scopo di stabilire la fattibilità di una soluzione implantologica, accertando la presenza delle indicazioni e delle eventuali controindicazioni assolute o relative, generali o locali. La visita del paziente si svolgerà nel seguente modo: • RACCOLTA DELL’ANAMNESI (APPOSITA SCHEDA) • ESAME RADIOGRAFICO • EVENTUALI ESAMI DI LABORATORIO • ESAME OBIETTIVO • DIAGNOSI E PIANO DI TRATTAMENTO • MODELLI STUDIO E CERATURE DIAGNOSTICHE • TRATTAMENTO FARMACOLOGICO

PROTOCOLLO DI IMPIEGO DEGLI IMPIANTI PHI Gli impianti PHI possono essere usati come sostituti di radici dentarie sia singolarmente sia in associazione, formando radici multiple, sia come pilastri di ponti tradizionali e sia come sostegni di elementi in estensione. Naturalmente non tutti i tipi di impianto sono adatti a tutte queste funzioni. Per ogni situazione vi sono indicazioni diverse. Lo scopo del protocollo è fornire queste indicazioni nel modo più completo possibile. Gli impianti PHI possono assumere, entro certi limiti, direzioni non parallele all’asse principale del carico dei denti. È consigliabile, tuttavia, non superare i 45° di inclinazione. In sintesi nei casi di disparallelismo, il moncone calcinabile cementabile, può assumere qualsiasi inclinazione meglio del prefabbricato costruito con angolazione predefinita. Lo spazio tra due impianti deve essere almeno 2 mm, ma si consiglia di lasciare almeno 4 mm per avere un setto osseo ben vascolarizzato e la possibilità di una buona igiene (lo spazzolino interdentale deve poter passare) e una migliore estetica.

Il processo d’inserimento dell’impianto dentale

Ci sono varie tecniche per inserire gli impianti dentali:

Classica (chirurgica) – questa tecnica viene realizzata nel caso in cui il dente e già tolto da tanto tempo, tagliando la gengiva.

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L’implantologia transmucosa - detta anche flapless è caratterizzata dall’inserzione di un impianto dentale senza la necessità di tagliare la gengiva.

Implantologia immediata post-estrattiva – Questa procedura consiste nella possibilità di inserire l’impianto nella stessa seduta quando viene estratto il dente.

I tipi d’impianti dentali

- impianto a carico immediato (in 1 fase)

L’impianto dentale in una fase è usato per evitare la seconda fase d’impianto: cioè di non aprire la gengiva per inserire il moncone. In una singola fase s’inseriscono gli impianti e si fissano le corone. Questo tipo d’impianto dentale richiede una buona qualità e quantità dell’osso. L’impianto dentale viene inserito subito nell’alveolo. A questo scopo l’alveolo deve essere privo d’infezioni.

Impianto dentale in 2 fasi

L’intervento con questi tipi d’impianti prevede due fasi. Nella prima fase s’inserisce l’impianto che si deve integrare con l’osso. Per questo, per procedere con la seconda fase del trattamento devono passare 3-4 mesi dall’intervento per la mascella inferiore e 5-6 mesi per la mascella superiore. Nella seconda fase del trattamento, sull’impianto si avvita il moncone su cui si cementa la corona definitiva.

Per ogni sito impiantare esiste un impianto PHI di tipo e di dimensioni minime indicato. Il tipo di impianto verrà scelto in relazione alle caratteristiche locali del sito da impiantare. Alcuni lavori (Kregzde 1993) che analizzano le sollecitazioni sia dell’osso sia dell’impianto, documentano in modo convincente che la frammentazione delle strutture protesiche in unità quanto più ridotte possibili, riduce sensibilmente le sollecitazioni sull’osso e sull’impianto. Tutto ciò risulta in linea con la tendenza alla riduzione dell’estensione delle strutture protesiche come provvedimento di abbassamento del grado di iperstaticità. Un grado di iperstaticità elevato risulta tanto più pericoloso quanto più risultano indeterminate le forze agenti: infatti è sostanzialmente impossibile prevedere come si comporterà una struttura protesica iperstatica se le forze che la sollecitano sono indefinite. Inoltre, eseguendo ricostruzioni limitate, il segmento osseo in cui affondano gli impianti resta libero di muoversi secondo i carichi funzionali e non viene minimamente bloccato dalla protesi. Gli impianti non protocollari di lunghezza 6 e 8 mm in versione non plasmata si usano esclusivamente nella mandibola, mentre per il mascellare l’impianto di lunghezza minima è di 8 mm, ma in versione plasmata. È evidente che nella mascella non si useranno mai impianti non plasmati (*). La ricostruzione protesica con impianti PHI rende possibile eseguire l’estensione di un elemento, ma soltanto dopo due impianti consecutivi. Nel caso di ricostruzioni molto estese si costruiscano travate separate di pochi elementi, senza alcun collegamento a incastro (vedi interlock o simili). Il collegamento con denti naturali è sempre sconsigliabile. (*) L’impianto di lunghezza 8 mm plasmato va considerato per l’osso superiore; infatti l’impianto plasmato è specifico per l’osso spongioso, mentre l’impianto liscio è specifico per l’osso compatto. L’impianto di lunghezza 8 mm non plasmato è per l’osso inferiore perché l’osso inferiore è tipicamente un osso corticale. Per lo stesso motivo anche l’impianto di lunghezza 6 mm non plasmato va messo solo nell’inferiore, proprio perché l’inferiore è un osso corticale.

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A chi sono adatti gli impianti dentali

A chi manca qualche dente

In questo caso, si possono sostituire i denti mancanti . Grazie agli impianti dentali si possono inserire ponti o protesi fissi senza ganci e senza levigare i denti vicini.

A chi mancano tutti i denti

In tal caso si può inserire 6-10 impianti dentali su una mascella su quale si mette una protesi fissa circolare.

A chi manca un dente solo

Se bisogna sostituire un singolo dente, l’impianto dentale lo sostituisce conservando i denti adiacenti.

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Foto 1. Pinza calibro osseo PHI. I due aghi, piegati a 90°, servono a visualizzare il sottosquadro osseo.

Foto 2. Schema di funzionamento della pinza calibro osseo PHI. È possibile segnare con un pennarello il punto di entrata della fresa sonda sulla gengiva, in modo da centrare il sottosquadro osseo.

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Foto 3. Rx di controllo della profondità dell’impianto. Con la fresa sonda si raggiunge la profondità più idonea (già prevista in base ai dati radiografici), effettuando poi la verifica con una Rx endorale.

Foto 4. Aspetto dell’opercolo gengivale, eseguito con un mucotomo (o bisturi circolare opercolatore PHI).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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OVERDENTURE  

L'overdenture è un sistema costituito da una protesi totale rimovibile ancorata a radici naturali opportunamente trattate o a radici artificiali in titanio composte da due parti distinte: la vite (fixture) e la testa (abutment).

La vite è quella parte che deve essere inserita nell'osso mascellare o nella mandibola, ed è una vera vite filettata che deve essere avvitata. Nella parte che sporge dall'osso dopo essere stata inserita, ha una filettatura (maschio o femmina a seconda del sistema adottato) nella quale deve essere avvitata la testa. L'impianto con filettatura femmina è chiamato a esagono interno, quello con filettatura maschio è ovviamente chiamato a esagono esterno. Gli ultimi modelli di viti prevedono l'accoppiamento conometrico tra vite ed testa, piuttosto che l'accoppiamento tramite filettatura. La testa è composta da una sfera con un prolungamento filettato che si inserisce avvitandolo, nella vite.

A procedimento terminato si vedranno sporgere dalla mucosa delle piccole sfere metalliche. Queste costituiscono gli attacchi sui quali sarà ancorata la dentiera.

La dentiera, inoltre, deve poter essere fissata alle sfere. A questo scopo vengono inseriti nella base della dentiera, in corrispondenza delle sfere, delle calotte in teflon che saranno il congiungimento tra la dentiera stessa e l'impianto. Questo sistema rende stabile la dentiera mantenendo la possibilità di toglierla, pulirla e reinserirla con facilità.

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Nell'osso mascellare vengono inseriti dei pilastri in titanio (impianti) e l'osso si rigenera intorno a essi. Una volta guarito l'impianto, la protesi removibile viene modificata per poter essere agganciata all'abutment. La protesi rimane saldamente ancorata, ma si può rimuovere con un semplice scatto per effettuarne la pulizia.

OVERDENTURE SU ANCORAGGI NATURALI

Introduzione

L’edentulismo totale o parziale rappresenta una condizione che, ai nostri giorni, coinvolge la popolazione anziana o facente parte di un contesto economico culturale ben definito. La perdita totale degli elementi dentali comporta un cambiamento irreversibile del cavo orale a seguito di un riassorbimento progressivo dell’osso alveolare con conseguente perdita della funzione masticatoria e fonatoria; essa è anche associata a variazioni della forma del viso per lo scivolamento anteriore della mandibola e per il mancato supporto delle labbra che tendono a collassare. Tutti questi cambiamenti provocano di fatto nel paziente edentulo un grave disagio funzionale e psicologico, che aumenta se la protesizzazione non viene eseguita correttamente, soprattutto quando si verifica una condizione di instabilità nei vari movimenti funzionali con difficoltà nella masticazione, malessere e dolore ingravescenti. Con l’aumento della vita media cresce sempre di più l’esigenza di una protesi di qualità che possa garantire una riabilitazione ottimale del cavo orale.

Le overdenture, in particolare, rappresentano un tipo di soluzione terapeutica ideale per quei pazienti che presentano pochi elementi dentali residui che, per la loro posizione e conformazione, possono fungere da ancoraggio per una protesi totale sovrastante. Già nel 1856 Ledger ricercò e descrisse alcune metodiche che potessero dare stabilità alle protesi totali tramite ancoraggi naturali e nel 1888 Evans delineò il procedimento per utilizzare le radici residue come ritenzione della protesi. Nel 1969 Morrow et al. e Lord e Teel tracciarono le linee guida per la preparazione delle radici a supporto protesico e negli anni ’80 diversi studi dimostrarono l’importanza del mantenimento radicolare per prevenire il riassorbimento della cresta alveolare, per migliorare la distribuzione dei carichi masticatori e per conferire alla protesi una maggiore stabilità. Oggi la specialità implantologica ha avuto larga diffusione in campo protesico, sebbene uno dei più importanti principi da rispettare in protesi sia rappresentato dall’atteggiamento conservativo verso gli elementi naturali che dovrebbero essere preservati e mantenuti, quando attuabile, il più a lungo possibile. Pertanto, quando il paziente giunge alla nostra osservazione con alcuni elementi dentali residui mantenibili, risulta opportuno presentare un piano di trattamento che preveda un’overdenture su ancoraggi naturali; quando invece gli elementi dentali sono eccessivamente compromessi, allora è possibile optare per un piano di trattamento di protesi totale tradizionale o implanto-supportata.

Vantaggi e svantaggi delle overdenture su ancoraggi naturali

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Il mantenimento degli elementi dentali nel disegno protesico delle overdenture su appoggi naturali comporta la permanenza di un sistema di regolazione della masticazione e dei movimenti mandibolari fondamentale rappresentato dal legamento parodontale. (fig.1)

 

Fig.1 paziente in cui si è deciso, in corso di preparazione del cavo orale per una protesi pre-estrattiva superiore, di mantenere le radici dei due canini come appoggio per overdenture

Il legamento parodontale è una struttura complessa costituita da fibre in cui sono collocati recettori di diverso tipo: meccanorecettori, pressocettori. Tali complessi nervosi provvedono al controllo della direzione, della velocità e della forza del carico occlusale tramite un feed-back molto complesso con la corteccia cerebrale. Con la perdita dei denti questi meccanismi propriocettivi vengono perduti irrimediabilmente e sono solo in piccola parte vicariati dai recettori della mucosa orale. Molteplici studi condotti da Linden e Scott nel 1989 hanno però dimostrato che, a seguito di un’estrazione dentale, alcuni meccanocettori parodontali rimangono all’interno delle trabecolature dell’osso alveolare senza andare incontro a riassorbimento. Queste fibre parodontali rispondono a stimolazioni elettriche ma non meccaniche. Schematicamente è possibile distinguere una discriminazione tattile attiva e una passiva. La discriminazione tattile attiva, a seguito dell’interposizione di un oggetto tra i denti, è data dal coinvolgimento di diversi meccanocettori localizzati nel parodonto, nei muscoli masticatori, nell’ATM e nei legamenti dell’ATM. La discriminazione tattile passiva dipende dai meccanocettori parodontali e viene quantificata attraverso l’applicazione di forze sul dente. Sia la discriminazione attiva che quella passiva diminuiscono con l’avanzare dell’età. Tali tipi di discriminazione sono completamente assenti nei portatori di protesi implanto-supportate in quanto nessun sistema simile al legamento parodontale viene generato attorno alla fixture implantare. In una dentatura naturale, grazie alla presenza del parodonto, la soglia per individuare il minimo spessore interposto tra le arcate è molto più bassa rispetto alla condizione di una protesi implanto-supportata, e la differenza appare ancora maggiore con la protesi totale tradizionale. La conservazione delle radici permette, in definitiva, di controllare i movimenti mandibolari, di regolare i carichi occlusali e di non trasmettere attraverso il corpo protesico un’eccessiva pressione alle creste alveolari sottostanti, non provocando quindi un riassorbimento osseo eccessivo e garantendo un supporto quantitativamente e qualitativamente migliore. Uno degli imprevisti più frequenti dei portatori di protesi implanto-supportata è rappresentato dalla frattura del manufatto protesico per un eccessivo carico masticatorio: non essendo in grado di discriminare i vari spessori, il paziente non riesce a modulare la forza di masticazione che spesso è eccessiva. Numerosi studi hanno mostrato come l’estrazione di tutti gli elementi dentali e la protesizzazione con tecniche tradizionali possano comportare una perdita di

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sostanza ossea. In particolare la Tallgreen ha stabilito che il riassorbimento osseo tra mascellare superiore ed inferiore presentava un rapporto di 1:4. In un portatore di protesi tradizionale la Tallgreen osservò che nell’arco di 25 anni si verificava un riassorbimento della porzione anteriore della mandibola pari a 9-10 mm e di 2-3 mm nel mascellare superiore. Carlson e Persson condussero delle ricerche sui cambiamenti morfologici della mandibola a seguito di estrazioni dentarie e di protesizzazione tradizionale. Durante il primo anno si osservava una perdita di sostanza ossea pari a 4 mm che aumentava di circa 2 mm nel secondo anno per giungere poi ad un livello di 6-7 mm complessivi nel corso del quinto anno. Miller sosteneva che le overdenture potessero rappresentare un mezzo per preservare l’osso alveolare residuo: in effetti è stato appurato che il riassorbimento alveolare mandibolare sui pazienti portatori di protesi su overdenture risultava otto volte inferiore rispetto ai portatori di protesi tradizionali. Tale differenza è maggiormente apprezzabile nel mascellare inferiore rispetto al superiore. Crum e Rooney riscontrarono attraverso i loro studi che il mantenimento delle radici ritardava il riassorbimento osseo nella mandibola oltre che aumentare la capacità propiocettiva. Il mantenimento della cresta alveolare è quindi garantito dalla presenza delle radici dentali, senza le quali si avvierebbe il rimaneggiamento osseo guidato dagli osteoblasti e dagli osteoclasti tipico di un’estrazione, e dalla presenza del legamento parodontale che conferisce proprietà discriminative e permette di modulare il carico occlusale. Le overdenture con appoggi naturali sono perciò sempre indicate, tutte le volte che sia possibile e, a maggior ragione, nei casi in cui sia presente una cresta ossea insufficiente perché la stabilità e la ritenzione della protesi vengono drammaticamente migliorati dalla presenza delle radici. Talvolta si desidera fornire una ulteriore ritenzione agli elementi che fungono da pilastri e per tale ragione possono essere impiegati diversi ausili ritentivi classificabili in:

• Attacchi rigidi: sono composti da due sistemi cilindrici con pareti parallele che si incastrano tra di loro (telescopiche e attacchi extracoronali in genere); nessun movimento viene trasmesso fra le varie componentistiche dell’attacco.

• Attacchi rompiforze: si tratta di sistemi con una componente sferica che ruota all’interno di una cappetta cava (barra di Ackermann, sistema Dal-bo B); permettono movimenti di rotazione in una o più direzioni.

• Attacchi resilienti: permettono movimenti verticali; il loro uso non è consigliato in quanto necessitano di molto spazio, e quindi potrebbero interferire col posizionamento dei denti artificiali, sono meccanicamente complessi e aumentano il riassorbimento osseo per il movimento essenzialmente verticale che viene impresso sul pilastro.

È stato dimostrato che lo stress generato dai mezzi di ritenzione si distribuisce tra gli elementi radicolari (o implantari) e la cresta alveolare, in relazione alla capacità ritentiva dei sistemi stessi. Le metodiche più rigide, e che possiedono maggiori proprietà ritentive, scaricano la maggior parte delle forze occlusali sull’abutment, mentre la parte restante si distribuisce distalmente sulla cresta alveolare libera. Diversamente, nelle sistematiche di attacchi rompiforze, i pilastri risultano alleggeriti in quanto i carichi masticatori si distribuiscono maggiormente nelle creste alveolari. Un altro vantaggio delle overdenture su appoggi naturali da non sottovalutare è rappresentato dal beneficio psicologico che il paziente trae nel conservare alcuni elementi dentali. Il mantenimento di pochi denti residui permette al paziente di non sentirsi un edentulo e di accettare con più facilità il trattamento di riabilitazione protesica.

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Fig.2 nonostante le condizioni igieniche non perfette e l’infiammazione della gengiva periradicolare, la cresta ossea che supporta l’appoggio overdenture sembra discretamente conservata

Frequentemente il paziente con overdenture è un soggetto anziano, con scarsa igiene orale e che può essere affetto da xerostomia. Gli ancoraggi naturali, se non attentamente detersi quotidianamente, possono andare incontro ad infiltrazione cariosa e diminuzione del tessuto di sostegno, che comporta la perdita dell’elemento dentale stesso. Pertanto è di fondamentale importanza istruire il paziente sulle manovre igieniche domiciliari per non rischiare il fallimento terapeutico (fig. 2). Ricerche condotte dalla Mercske-Stern hanno mostrato che la compliance dei pazienti portatori di overdenture su impianti è maggiore rispetto ai portatori di protesi su ancoraggi naturali.Tale condizione sembra derivare dal coinvolgimento psicologico subito per l’intervento chirurgico e anche dal maggior dispendio economico per la riabilitazione protesica.

Criteri di scelta degli ancoraggi dentali

Nella progettazione delle overdenture occorre seguire alcune linee guida per la scelta degli appoggi radicolari che meglio potranno sostenere la protesi. I pilastri saranno scelti in relazione alla loro posizione nell’arcata, al rapporto corono-radicolare e alla compromissione parodontale. Tradizionalmente i canini rappresentavano la prima scelta come pilastri delle overdenture per la loro anatomia radicolare favorevole per forma e lunghezza; in realtà questa opzione può implicare risultati estetici e funzionali indesiderati (fig. 3).

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Fig.3 protesi pre-estrattiva allestita per il paziente di fig. 1. Come si può notare, nonostante siano state mantenute le radici dei canini, si è riusciti a mantenere lo spessore della flangia protesica di dimensioni tali da non rischiare la frattura

L’andamento divergente di questi elementi e la presenza delle bozze vestibolari ad essi correlate portano ad un sovracontorno della flangia vestibolare che risulta in un eccessivo supporto del labbro e un disagio nel posizionamento della protesi stessa, in modo particolare se anche le tuberosità mascellari sono divergenti tra di loro. Questo disagio viene superato diminuendo lo spessore dello scudo vestibolare, a discapito della resistenza della flangia che ne risulta chiaramente indebolita, riducendo il sigillo marginale e creando infine punti di possibile ristagno alimentare. Inoltre, le bozze canine impongono l’ubicazione dei denti artificiali in posizione molto vestibolare con scarsi risultati estetici. Il carico occlusale posteriore provoca una rotazione che determina la perdita del sigillo anteriore con conseguente distacco del manufatto protesico e viceversa, sia durante i movimenti funzionali che nei movimenti parafunzionali.

I denti posteriori (molari) non rappresentano la scelta più indicata quali appoggi per overdenture perché distalmente lo spazio per il posizionamento degli elementi ar tificiali è ridotto e la radice residua lo limiterebbe ulteriormente. Queste considerazioni portano alla scelta, ove possibile, degli incisivi laterali come pilastri.

La minore prominenza ossea vestibolare permette un’adeguata collocazione degli elementi artificiali e l’inserimento della protesi è facilitato. Quando attuabile, è preferibile avere un appoggio bilaterale, quindi gli elementi da mantenere dovrebbero essere presenti sui lati destro e sinistro dell’arcata. La selezione degli appoggi naturali deve essere eseguita anche in relazione alla prognosi dell’elemento dentale che dovrà fungere da abutment. In generale, il dente pilastro è maggiormente soggetto alle forze di occlusione trasmesse attraverso la protesi e la sua longevità può determinare il successo o l’insuccesso del manufatto. Per questa ragione Grossmann e Sadan hanno messo a punto un criterio per la valutazione dell’elemento dentale, il CRR (rapporto corono-radicolare).

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Fig.5 radiografia periapicale che mostra come la radice del canino, dopo adeguato trattamento, possa essere utilizzata quale appoggio per overdenture, dato il rapporto favorevole tra parte intra ed extraossea

Esso esprime una prima valutazione d’idoneità del dente come pilastro per la protesi fissa o mobile; in particolare esso rappresenta la relazione tra la parte dentale al di fuori della cresta ossea e quella all’interno dell’alveolo determinate attraverso una radiografia periapicale (fig.5) (l’ortopantomografia non è adatta in quanto i rapporti delle varie formazioni anatomiche sono alterati dalla proiezione radiografica).

Questa metodica valutativa non deve essere però l’unica per la scelta dell’ancoraggio. È essenziale osservare altri parametri fondamentali per la selezione del fissaggio: sono da preferire gli elementi dentali con radici lunghe, di forma ellittica e singole; i denti prescelti dovrebbero avere un’anatomia radicolare semplice, in modo da essere trattati endodonticamente senza eccessive difficoltà, meglio se già trattati endodonticamente con successo; la mobilità dentale è sicuramente da considerare sebbene la preparazione coronale, necessaria per la messa a punto dell’appoggio, determinerà un rapporto corona-radice favorevole con diminuzione della mobilità stessa. I pilastri selezionati non devono essere adiacenti in quanto le manovre igieniche risulterebbero più complicate.

La preparazione delle radici di appoggio

Una volta scelti gli elementi dentali che fungeranno da ancoraggio, si dovrà procedere alla rilevazione delle impronte in alginato, con tutti gli elementi residui ancora presenti, fornendo all’odontotecnico anche due chiavi di occlusione laterali in modo che possa espletare tutte le procedure per l’allestimento di una protesi pre-estrattiva. Al laboratorio verranno anche indicati i denti che si intende conservare affinché venga dato maggior spazio in quella posizione. Se il numero degli elementi dentali dovesse essere tanto scarso da non consentire la rilevazione di una posizione occlusale, sarà necessario, prima di procedere ulteriormente, richiedere al laboratorio due basi di registrazione in resina con cera dura al posto degli elementi mancanti, in modo da stabilire una dimensione verticale e una relazione occlusale. Quando la protesi pre-estrattiva sarà pronta, si potrà procedere con le estrazioni dei denti irrimediabilmente compromessi e alla preparazione di quelli prescelti come appoggio in modo che possano esplicare la loro funzione senza complicazioni.

Il protocollo di preparazione è abbastanza semplice e consta di pochi passaggi: innanzitutto si esegue un abbassamento coronale fino a 1- 1,5 mm al di sopra del margine gengivale. Quest’altezza garantisce una buona stabilità protesica e permette il montaggio dei denti artificiali senza problemi di spazio fino ai settori antero-laterali. È necessario trattare endodonticamente l’elemento, chiudere la camera pulpare e ricoprire la ridotta superficie occlusale con materiale composito. Spesso il

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moncone è costituito interamente dal materiale utilizzato per sigillare la cavità d’accesso endodontica; la possibile insorgenza di carie sui pilastri, che non viene recepita dal paziente perché gli elementi non sono più vitali, richiede l’utilizzo di materiali da restauro che possano garantire un buon sigillo per il tempo più lungo possibile. Per tale ragione Keltjens, attraverso un suo studio, ha analizzato l’amalgama, la resina composita e i materiali vetroionomerici per definire quale fosse il migliore per la ricostruzione del moncone. In realtà non sono state riscontrate grosse differenze in termini di longevità, ma queste sono spesso collegate alle abitudini igieniche del paziente).

Fig.9 preparazione a “ginocchio” dell’elemento di appoggio: dopo aver eseguito il trattamentoendodontico, il moncone è stato chiuso con materiale composito, rifi nito e lucidato. È consigliabile anche eseguire un’applicazione di gel al fluoro

Ricostruito il moncone si prepara “a ginocchio”, rendendo le superfici lisce e arrotondate così da poter facilitare l’inserimento della protesi (fig. 9). Questo tipo di preparazione è di facile esecuzione e non sono necessarie estensioni sottogengivali o impronte di precisione (come nel caso di ricoperture con cappette fuse); il carico è inoltre distribuito in maniera circonferenziale. Infine, la ribasatura della protesi con materiale resiliente permetterà un buon adattamento dei monconi preparati. Avvenuta la guarigione dei tessuti molli, si potrà procedere all’allestimento di una protesi definitiva secondo i criteri di qualità, che non variano per sequenza e tecnica in relazione alla presenza di ancoraggi.

Fig.11 impronta primaria panoramica di arcata superiore con ancoraggi naturali

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Fig.12 stesso caso, impronta secondaria. Si può notare come le caratteristiche dell’impronta sono le stesse della tecnica tradizionale

Il fatto di avere allestito precedentemente una protesi pre-estrattiva, basata sulle informazioni funzionali ed estetiche fornite dagli elementi dentali ancora presenti, costituisce un enorme vantaggio sia per il paziente che per l’operatore (fig. 11-12).

Fig.13 overdenture terminata: superficie d’impronta che mostra l’alloggiamento preciso degli appoggi che sono stati lasciati svincolati tra loro

Fig.14 radici per appoggio overdenture preparate con cappette metalliche che portano ball-attachment

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In relazione alla stabilità e alla ritenzione della protesi e alla filosofia dell’operatore, si potrà decidere se lasciare gli ancoraggi scoperti e indipendenti tra di loro, e di conseguenza la protesi definitiva presenterà nella superficie d’impronta gli alloggiamenti precisi delle radici di supporto (fig. 13), o se ricoprirli con cappette con o senza attacchi (fig. 14), o ancora se unirli tra loro attraverso l’uso di barre di congiunzione.

Mantenimento nel tempo

Tra il 1973 e il 1994 è stato eseguito lo studio più esteso nel tempo e con più casi sulla longevità degli ancoraggi naturali. Il risultato ha mostrato che l’ 80% delle radici prese in esame si trovava ancora in buono stato, rinforzando ancora di più la teoria che le overdenture su ancoraggi naturali rappresentano un trattamento ideale per quei soggetti con pochi elementi dentali residui. È stato dimostrato che la longevità degli appoggi è direttamente proporzionale alla cura dei monconi attraverso una scrupolosa igiene orale domiciliare e attraverso i richiami periodici di controllo. La motivazione del paziente è fondamentale per un buon risultato nel tempo, e quindi egli va istruito sulle manovre igieniche quotidiane e dotato di tutti i mezzi necessari al buon mantenimento della protesi e dei pilastri naturali. Gli appoggi, proprio perché sottostanti la protesi, sono suscettibili di infiltrazione cariosa, oltre che di problemi parodontali e per tale motivazione necessitano un particolare trattamento. Nel 1978 Toolson e Smith asserirono che il semplice spazzolamento dei monconi non era sufficiente per la prevenzione della carie e che era necessaria l’applicazione topica di gel contenenti fluoro. Nel loro studio documentarono le eventuali formazioni cariose a carico dei monconi trattati con applicazioni di gel a base di fluoro in pazienti portatori di overdenture in 5 anni per verificarne l’efficacia protettiva. I risultati hanno mostrato che il gel riduce notevolmente la formazione di carie ed essendo un ausilio terapeutico poco costoso e di facile gestione è assolutamente raccomandato in questi casi. Nel caso in cui una radice andasse persa, si può procedere all’estrazione dell’elemento e alla chiusura del gap nella protesi con resina resiliente che verrà poi rimpiazzata dalla resina per palati a guarigione ultimata.

Conclusioni

La protesi totale rimovibile su ancoraggi rappresenta una soluzione attuale ed ottimale nei casi in cui sia possibile conservare i pochi elementi dentali residui; infatti il mantenimento delle radici procura notevoli vantaggi rispetto alla condizione di protesi totale tradizionale in cui il riassorbimento osseo è maggiore e la propriocezione è quasi del tutto assente. Seguendo correttamente il protocollo si può garantire una struttura protesica di qualità che ripristini la funzione masticatoria e la funzione fonatoria nonché un miglioramento estetico e un comfort psicologico del paziente.

 

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ESERCITAZIONI DI LABORATORIO

Ortodonzia

Classificazione dei Dispositivi Ortodontici

Protesi in Metallo-Ceramica

Protesi Scheletrata

Protesi Dentale

Attacchi per Protesi Dentali

Implantoprotesi

Overdenture

Overdenture su Ancoraggi Naturali