Escrezioni di azoto e fosforo nei bovini da latte

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Escrezioni di azoto e fosforo nei bovini da latte G. Matteo Crovetto Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano Solo parte dell’azoto (N) contenuto nelle sostanze azotate, proteine in primis, che la bovina, bufala, capra o pecora ingerisce con gli alimenti viene trasferita nel latte e nei tessuti o nel feto. La maggior parte viene escreta con feci e urine. Lo stesso dicasi per il fosforo (P). I due elementi, N e P, sono fondamentali per tutti i processi metabolici dell’animale, ma sono preziosi anche per l’ambiente in generale: un suolo povero di N e P è un suolo poco fertile e produttivo e lo stesso vale per le acque. Ma come sempre in natura, se un livello adeguato è fondamentale, un eccesso è dannoso. Concentrazioni troppo alte di N e P nel suolo e nelle acque superficiali e di falda provocano danni ambientali: rischio di avvelenamento da nitrati delle acque potabili di falda; eutrofizzazione delle acque superficiali con sviluppo eccessivo di alghe e piante acquatiche, ipossia e moria di pesci e fauna bentonica; rilascio nell’aria e in atmosfera di ammoniaca con conseguenti piogge acide e polveri sottili, e di protossido di azoto con conseguente effetto serra e riscaldamento globale. Va detto che l’escrezione di N, P o sostanza organica è un fatto assolutamente naturale, rappresentando un passaggio nel ciclo di tali sostanze in natura. Il problema sorge quando si rompe l’equilibrio tra livello di escrezione e capacità del suolo e dell’ecosistema in generale di “assorbire”, riutilizzandole, tali sostanze. Non a caso dunque il problema si è posto soprattutto nelle ultime decadi, a fronte di una sempre maggiore intensificazione di molti allevamenti animali e di una crescente sensibilità dell’opinione pubblica alle tematiche ambientali. Le normative europee e nazionali Il caso dell’azoto è emblematico. Già nel 1991 l’UE emanò la Direttiva Nitrati con la quale si chiedeva ai vari stati membri di applicare normative nazionali e, a cascata, regionali, che regolamentassero lo spargimento dei reflui zootecnici in maniera tale da prevenire fenomeni di inquinamento delle acque superficiali e di falda da nitrati, per il loro effetto tossico sulla salute umana nel caso superino certi livelli (50 mg/L acqua potabile) e per l’eutrofizzazione delle acque che essi comportano, assieme ai fosfati. Tale direttiva europea comportò, seppure solo nel 2006, una suddivisione del suolo del nostro Paese in “zone vulnerabili ai nitrati” (ZVN) e in “zone non vulnerabili ai nitrati” (ZNV), con un limite annuo di azoto al campo (al netto quindi delle perdite di azoto per volatilizzazione, sotto forma di ammoniaca) di 170 e di 340 kg/ha, rispettivamente. Per aree del nostro paese quali la pianura padana, con una zootecnia tipicamente intensiva e forti carichi di bestiame ad ettaro, ciò si traduce nella difficoltà, da parte di molti allevamenti, di ottemperare alla normativa vigente e nella conseguente necessità di mettere a punto tecniche di allevamento, di nutrizione/alimentazione e di trattamento dei reflui in grado di ridurre il carico inquinante delle deiezioni. Più recentemente (25 febbraio 2016), il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) ha emanato il Decreto Inter-ministeriale concernente “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato”, che sostanzialmente sostituisce il Decreto del 7 aprile 2006.

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Escrezioni di azoto e fosforo nei bovini da latte

G. Matteo Crovetto

Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Università degli Studi di Milano

Solo parte dell’azoto (N) contenuto nelle sostanze azotate, proteine in primis, che la bovina, bufala,

capra o pecora ingerisce con gli alimenti viene trasferita nel latte e nei tessuti o nel feto. La maggior

parte viene escreta con feci e urine. Lo stesso dicasi per il fosforo (P). I due elementi, N e P, sono

fondamentali per tutti i processi metabolici dell’animale, ma sono preziosi anche per l’ambiente in

generale: un suolo povero di N e P è un suolo poco fertile e produttivo e lo stesso vale per le acque.

Ma come sempre in natura, se un livello adeguato è fondamentale, un eccesso è dannoso.

Concentrazioni troppo alte di N e P nel suolo e nelle acque superficiali e di falda provocano danni

ambientali:

rischio di avvelenamento da nitrati delle acque potabili di falda;

eutrofizzazione delle acque superficiali con sviluppo eccessivo di alghe e piante acquatiche,

ipossia e moria di pesci e fauna bentonica;

rilascio nell’aria e in atmosfera di ammoniaca con conseguenti piogge acide e polveri sottili,

e di protossido di azoto con conseguente effetto serra e riscaldamento globale.

Va detto che l’escrezione di N, P o sostanza organica è un fatto assolutamente naturale,

rappresentando un passaggio nel ciclo di tali sostanze in natura. Il problema sorge quando si rompe

l’equilibrio tra livello di escrezione e capacità del suolo e dell’ecosistema in generale di “assorbire”,

riutilizzandole, tali sostanze.

Non a caso dunque il problema si è posto soprattutto nelle ultime decadi, a fronte di una sempre

maggiore intensificazione di molti allevamenti animali e di una crescente sensibilità dell’opinione

pubblica alle tematiche ambientali.

Le normative europee e nazionali

Il caso dell’azoto è emblematico. Già nel 1991 l’UE emanò la Direttiva Nitrati con la quale si chiedeva

ai vari stati membri di applicare normative nazionali e, a cascata, regionali, che regolamentassero lo

spargimento dei reflui zootecnici in maniera tale da prevenire fenomeni di inquinamento delle acque

superficiali e di falda da nitrati, per il loro effetto tossico sulla salute umana nel caso superino certi

livelli (50 mg/L acqua potabile) e per l’eutrofizzazione delle acque che essi comportano, assieme ai

fosfati.

Tale direttiva europea comportò, seppure solo nel 2006, una suddivisione del suolo del nostro Paese

in “zone vulnerabili ai nitrati” (ZVN) e in “zone non vulnerabili ai nitrati” (ZNV), con un limite

annuo di azoto al campo (al netto quindi delle perdite di azoto per volatilizzazione, sotto forma di

ammoniaca) di 170 e di 340 kg/ha, rispettivamente.

Per aree del nostro paese quali la pianura padana, con una zootecnia tipicamente intensiva e forti

carichi di bestiame ad ettaro, ciò si traduce nella difficoltà, da parte di molti allevamenti, di

ottemperare alla normativa vigente e nella conseguente necessità di mettere a punto tecniche di

allevamento, di nutrizione/alimentazione e di trattamento dei reflui in grado di ridurre il carico

inquinante delle deiezioni.

Più recentemente (25 febbraio 2016), il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali

(MiPAAF) ha emanato il Decreto Inter-ministeriale concernente “Criteri e norme tecniche generali

per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque

reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato”, che sostanzialmente

sostituisce il Decreto del 7 aprile 2006.

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L’attuazione delle indicazioni scaturite dalla direttiva comunitaria e dalla normativa nazionale ha

portato quindi, a livello locale, alla realizzazione da parte delle Regioni di Programmi di Azione per

la protezione delle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole nelle

ZVN. Il Decreto Inter-ministeriale 2016 riporta delle tabelle di riferimento per le varie categorie di

animali allevati e relative modalità di allevamento. Per es., per le bovine da latte, le manze bovine, le

bufale e la rimonta bufalina, le quantità medie per capo all’anno di N escreto al campo (al netto quindi

delle perdite per volatilizzazione, pari in media al 28%) sono pari a 83, 36, 53 e 31 kg. Tali valori

sono stati calcolati, diversi anni fa, in base a studi condotti su molte stalle da latte del territorio

nazionale. La media globale di latte prodotto è risultata di 27 kg/giorno per la specie bovina. È

evidente che il valore di 83 kg di N al campo all’anno/bovina sottostima la reale escrezione nel caso

di animali più produttivi, come la stessa tabella pubblicata nel decreto riporta: per una bovina che

produca mediamente 31 kg di latte/giorno (la media odierna in Lombardia) l’escrezione azotata

annuale al campo nell’anno è di 95 kg (Tabella 1).

Tab. 1 – Vacche da latte: indici tecnici e bilancio dell’azoto. (Tab. c1 Allegato I DM 5046 del

25/02/2016)

Le aziende da latte, però, se lo ritengono conveniente, possono anche non riferirsi ai dati tabellari e

parametrici contenuti nella Procedura nitrati e presentare, coadiuvate da un tecnico di settore ed

eventualmente da un esperto afferente a un ente di ricerca, una Relazione tecnica assieme alla

Comunicazione nitrati, per dimostrare le escrezioni azotate reali. La Regione si riserva di accogliere

o meno tali modifiche rispetto ai dati standard.

In questo contesto normativo è perciò importante potere applicare dei modelli scientificamente validi

al fine di verificare e dimostrare se sistemi di alimentazione ottimizzati per massimizzare l’efficienza

produttiva e ridurre l’escrezione di azoto siano effettivamente “vantaggiosi” rispetto al computo

derivante dall’applicazione dei dati tabellari e parametrici contenuti nella Procedura nitrati.

Formule per stimare l’escrezione azotata

Per effettuare un bilancio dell’N bisogna partire dall’ingestione di sostanza secca (SS) e del relativo

contenuto in azoto (quest’ultimo dato dal contenuto in proteine diviso per 6,25). Nella bovina da latte

alimentata con tecnica unifeed, l’ingestione di SS, come riportato nel capitolo “Piani alimentari per

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la bovina da latte” si può calcolare con la formula proposta dal NRC (2001) per il calcolo della SS

ingerita da bovine in allevamenti intensivi alimentate con tecnica unifeed:

SSI (kg/giorno) = (0,372 FCM + 0,0968 PV0,75) (1-e(-0,192 (WOL + 3,67)))

dove FCM=latte corretto al 4% di grasso (kg/d) e PV=peso vivo (kg)

FCM=kg latte x (0,4 + 0,15 x % di grasso del latte)

E=numero di Eulero (2,718…)

WOL=week of lactation (settimana di lattazione)

Esistono poi formule per il calcolo diretto dell’N escreto con le deiezioni. Ad es., Nennich e coll.

(2005) propongono la seguente equazione in funzione della proteina grezza ingerita e del peso vivo:

N escreto (g/d) = PG ingerita (kg/giorno) × 84,1 + PV (kg) × 0,196

Un altro aspetto importante è conoscere la ripartizione tra N fecale e azoto urinario escreti. L’azoto

fecale dipende in parte dalla quantità di azoto nella dieta, ma soprattutto dalle caratteristiche

intrinseche degli alimenti impiegati nella razione: alimenti con coefficienti di digeribilità dell’azoto

elevati tenderanno a ridurre l’escrezione fecale di N. L’azoto urinario, invece, è fortemente

influenzato dalla concentrazione di N della razione. Nousiainen e coll. (2004) propongono la seguente

equazione per la stima dell’N urinario escreto in funzione del tenore proteico della dieta (g/kg SS) e

della produzione lattea (kg/giorno) nella bovina:

N urinario (g/d) = 2,64 × PG dieta + 1,66 × Latte – 262 (R2 = 0,86)

Diverse equazioni di stima dell’azoto urinario escreto sono state anche proposte utilizzando come

variabile indipendente il tenore in azoto ureico del latte (mg/dL). Tra queste Kauffman e St- Pierre

(2001) hanno anche proposto una relazione che tenga conto, oltre che dell’azoto ureico del latte

(MUN, mg/dL), anche del peso vivo (kg) delle bovine:

N urinario (g/d) = 0,0259 × PV × MUN (R2 = 0,98)

Analogamente a quanto riportato per la specie bovina, anche per le capre da latte sono state proposte

(Rapetti et al., 2014) equazioni finalizzate alla stima dell’azoto urinario escreto giornalmente in

funzione del tenore proteico della dieta (g/kg SS) o del livello di azoto ureico presente nel latte:

N urinario (g/d) = 0,265 × PG dieta -25,96 (R2 = 0,89)

N urinario (g/d) = 1,099 × MUN - 0,125 (R2 = 0,92)

Azoto escreto e software di razionamento

Un’ulteriore opportunità per verificare l’escrezione azotata fecale e urinaria in modo pratico è

rappresentata dall’uso di software di razionamento con relativa stima di tale escrezione. Un esempio,

è rappresentato dai modelli CPM-Dairy e CNCPS (Cornell Net Carbohydrate and Protein System) v.

6.5, quest’ultimo aggiornato da Higgs et al. (2012) proprio per l’escrezione azotata.

È evidente che, al di là dell’affidabilità del modello, il risultato che scaturisce dall’uso del modello

sarà tanto più veritiero quanto più i dati di input saranno coerenti con la realtà.

Dalla tabella 1 si nota che il software di razionamento CNCPS stima con elevata accuratezza l’azoto

escreto con feci, urine e totale. Un po’ meno accurata la stima con l’equazione proposta da Nennich.

Tabella 1. Stima dell’escrezione azotata fecale, urinaria e totale con il modello CNCPS e con

l’equazione di stima proposta da Nennich e coll. (2005), in confronto con quanto osservato in una

prova di bilancio dell’azoto nella bovina da latte.

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Pirondini et

al., 20153

CNCPS

vs 6.54

Nennich et al.,

20055

Peso vivo (kg) 626 626 626

Ingestione di sostanza secca (kg/d) 22,8 22,8 22,7

Proteina grezza della dieta (% s.s.) 14,7 14,7 14,7

Latte prodotto (kg/d) 27,0 27,0 Proteina grezza del latte (%) 3,77 3,77 MUN1 (mg/dL) 10,1 8,9

Bilancio dell'azoto

N ingerito (g/d) 533 533 N fecale (g/d) 207 210 N urinario (g/d) 168 163 N deiezioni (g/d) 375 373 402

N latte (g/d) 160 160 N ritenuto (g/d) -2 0

Volatilizzazione2 dell'N (%) 28

28 28

N al campo (g/d) 270 269 290 1 MUN: milk urea nitrogen (contenuto in azoto ureico del latte). 2 Volatilizzazione dell’N: valore desunto dalle indicazioni del MiPAAF (2016). 3 Dati sperimentali riportati in Pirondini et al. (2015). 4 Valori calcolati utilizzando il modello CNCPS vs 6.5. 5 Valori calcolati (Nennich et al., 2005): N deiez. (g/d) = SS ing.(kg/d) x PG dieta (g/g SS) × 84,1 + PV (kg) × 0,196.

L’utilizzo dell’azoto negli animali

L’azoto, un costituente delle proteine e degli acidi nucleici, deve necessariamente essere ingerito

dagli animali per la sintesi dei vari organi e apparati, enzimi e sostanze del loro organismo.

L’azoto viene normalmente ingerito dagli animali sotto forma di proteine e assorbito nel digerente

sotto forma di amminoacidi. Come è noto i ruminanti, a differenza dei monogastrici, sono in grado

di digerire le proteine alimentari nei prestomaci (rumine soprattutto) liberando nell’ambiente

ruminale i singoli amminoacidi che possono venire incorporati direttamente dai microrganismi

ruminali (principalmente batteri e protozoi) o, spesso, deaminati con rilascio di gruppi amminici

(NH2) che a loro volta, nell’ambiente riducente del rumine ricco di ioni H+, vengono idrogenati ad

ammoniaca (NH3) e a ione ammonio (NH4+). Tali forme inorganiche dell’azoto vengono poi

trasformate in amminoacidi da numerose specie batteriche e protozoarie, durante il loro sviluppo e

ciclo riproduttivo. Si forma così una nuova proteina “microbica” caratterizzata da un profilo

amminoacidico diverso e quasi sempre assai migliore di quello della proteina alimentare originaria.

La massa microbica poi passa a valle dei prestomaci e, assieme alla frazione di alimento non

degradata (digerita) nel rumine, passa prima nell’abomaso e arriva poi nell’intestino tenue (duodeno,

digiuno e ileo) dove si completa la sua digestione e avviene l’assorbimento dei singoli aminoacidi e

di alcuni oligopeptidi.

Mediamente in un ruminante il 60% circa degli aminoacidi assorbiti a livello intestinale deriva dalla

proteina microbica e il 40% dalla proteina alimentare non degradata a livello ruminale (compreso un

piccolo apporto di proteina endogena, 5% circa, derivante da cellule di sfaldamento dei tessuti del

digerente e da sostanze prodotte dall’organismo).

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Essendo la proteina microbica ruminale così importante per il soddisfacimento dei fabbisogni

amminoacidici nei ruminanti, è fondamentale assicurare alla popolazione microbica ruminale

sufficiente azoto, ma anche sufficiente energia fermentescibile. A tale fine i carboidrati fibrosi

(emicellulose e cellulosa) tipici dei foraggi vanno bene e sono per lo più sufficienti per animali maturi

e non in produzione (es. in asciutta), per animali in moderato accrescimento (es. giovane bestiame da

rimonta) e per animali a bassa produzione di latte. Per ruminanti in lattazione a produzione medio/alta

è necessario fornire con la dieta carboidrati rapidamente fermentescibili (pectine e soprattutto amido)

per massimizzare lo sviluppo della popolazione microbica ruminale e, di conseguenza, la sintesi di

proteina microbica.

Tale premessa nutrizionale è importante per ottimizzare l’utilizzo dell’azoto negli animali da latte e

ridurre così il più possibile la quantità di azoto escreto.

Efficienza di utilizzo dell’azoto alimentare

La quantità di N incorporato nel latte o ritenuto nei tessuti animali varia in funzione di diversi fattori:

genetica, alimentazione, livello alimentare e produttivo, ecc. In generale comunque l’efficienza di

utilizzazione dell’N ingerito diminuisce all’aumentare del tenore proteico della dieta (fig. 2).

Fig. 2. Azoto fissato nel latte e contenuto proteico della razione (Crovetto e Colombini, 2010).

Poiché il complemento a 100 dell’azoto ritenuto nei tessuti o secreto con latte è praticamente tutto

escreto, è evidente che l’alimentazione dovrà apportare le sostanze azotate necessarie all’animale per

i fabbisogni di mantenimento e di produzione, ma nulla di più, pena un maggior impatto ambientale,

oltre che un maggior costo economico, una penalizzazione delle performance produttive (il

catabolismo degli aminoacidi ad ammine e urea costa in termini energetici e sottrae energia utile ai

fini anabolici) e un possibile stato di sofferenza metabolica, seppur subclinica, dell’animale per la

presenza nel suo organismo di ammoniaca e ammine tossiche.

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Nei ruminanti da latte un eccesso di proteine nella razione è normalmente correlato a un elevato

contenuto di urea nel latte (oltre 30 mg/100 cc di latte, nella bovina). Tale fatto è il risultato della

conversione in urea, da parte del fegato, dell’ammoniaca proveniente con il sangue soprattutto dal

rumine, e del conseguente trasporto dell’urea stessa, sempre attraverso il circolo ematico, ai reni per

la sua escrezione con le urine e, in minor misura, alla mammella per la sua escrezione con il latte.

Una parte dell’urea poi, come è noto, raggiunge la bocca e torna quindi al rumine con la saliva.

Uno studio di meta-analisi (Huhtanen e Hristov, 2009) ha confermato che il tenore proteico della

dieta è il fattore più importante per aumentare l’efficienza di utilizzazione dell’azoto.

In passato, soprattutto nei Paesi con una zootecnia intensiva, si tendeva a fornire razioni con un

surplus di proteina con tutte le conseguenze negative sull’ambiente. Ad esempio, il livello di proteina

grezza di razioni per bovine da latte nel Wisconsin nel 1998 era pari al 19,4% s.s. (con una produzione

di latte nell’intera lattazione di 14200 kg) mentre nel 2010 il livello è stato del 16,9% s.s. senza nessun

calo nella produzione di latte che anzi è aumentata (15550 kg) (Broderick, 2016).

Pirondini et al. (2012) riportano tenori proteici dell’11,5 e 15,5% s.s. rispettivamente per razioni per

bovine in asciutta o in lattazione (30 kg latte/giorno in media) impiegate in pianura padana; il valore

di PG della dieta per bovine in lattazione è pressoché identico a quello rilevato in un’indagine

condotta in 20 stalle lombarde negli anni 2005-06 (15,7% s.s. per 30 kg latte/d) (Crovetto e

Colombini, 2010) e tali valori appaiono adeguati per un livello produttivo di circa 30 kg di latte al

giorno.

Escrezione: va valutata in valori assoluti o relativi?

Ha una maggiore escrezione di azoto una bovina che produce 20 kg di latte al giorno o una che ne

produce 30? Ovviamente la seconda, come si evince facilmente dai calcoli seguenti:

Bovina da 20 kg latte/d: 19 kg SS x 14,5% PG s.s./6,25 = 441 g N ingerito/d

Efficienza di utilizzazione dell’N = 24% circa 335 g N escreto/d

Bovina da 30 kg latte/d: 22 kg SS x 15,5% PG s.s./6,25 = 545 g N ingerito/d

Efficienza di utilizzazione dell’N = 28% circa 392 g N escreto/d

Se però consideriamo l’escrezione come “g N/kg latte” è la bovina più produttiva ad avere un impatto

minore:

Bovina da 20 kg latte/d: 335/20 = 16,7 g N escreto/kg latte

Bovina da 30 kg latte/d: 392/30 = 13,1 g N escreto/kg latte

La valutazione dell’impatto ambientale non andrebbe fatta quindi in modo assoluto, ma ponderato sul

latte prodotto. Così facendo gli animali ad alta produzione risultano quasi sempre più sostenibili di

quelli poco produttivi. In questo gioca un peso determinante la quota di “mantenimento” (Fig. 3).

Fig. 3. Incidenza della quota di mantenimento sul livello di ingestione e di produzione.

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È evidente che in animali poco produttivi la maggior parte di quanto ingeriscono serve a mantenerli

per cui l’escrezione di azoto, fosforo e le emissioni di metano e ammoniaca rapportate al latte prodotto

saranno molto elevate. Questo perché – non dimentichiamolo - l’animale “impatta” sull’ambiente

anche se non produce e si mantiene soltanto.

Attenzione anche alla fase della manza

Una minore escrezione di azoto e fosforo nell’arco della carriera della bovina si ottiene anche

migliorando l’alimentazione degli animali da rimonta, ancora troppo spesso trascurata, in quanto

animali al momento “improduttivi”. Alimentare adeguatamente vitelle, manzette e manze, con

foraggi di qualità e un’integrazione adeguata di concentrati e integratori vitaminico/minerali,

consente di ottenere accrescimenti medi di 850 g/giorno e di poter fecondare l’animale sui 380 kg di

peso a 13 mesi, con il primo parto a 22 mesi di età rispetto agli attuali 27 mesi.

Escrezione azotata e dairy efficiency

In figura 4 è riportata l’efficienza di utilizzazione dell’azoto in funzione della dairy efficiency, cioè

dell’efficienza lattea valutata come “kg latte/kg SS ingerita”. Dalla figura si nota che l’efficienza di

utilizzazione dell’N aumenta (passando dal 22 al 34% circa) all’aumentare dell’efficienza di

produzione lattea, a sua volta correlata al livello produttivo, per quanto prima si diceva: animali a

elevata produzione convertono l’alimento in latte in modo più efficiente di animali poco produttivi.

Fig. 4. Relazione tra azoto fissato nel latte e dairy efficiency (Crovetto e Colombini, 2010).

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Detto questo, è evidente che la zootecnia intensiva non è ipso facto migliore di quella estensiva, né è

vero il contrario: le forme e i sistemi di allevamento, così come quelli agricoli in generale, si devono

adattare all’ambiente e al territorio in cui si trovano, cercando di valorizzarne i punti di forza e di far

fronte alle criticità. Resta però il fatto che poiché

la mission prima dell’agricoltura e della zootecnia è produrre cibo per l’umanità

la popolazione mondiale è in continua crescita, soprattutto nelle città

l’acqua e il suolo sono fattori sempre più limitanti

ne consegue che anche in aree dove è praticata una zootecnia di tipo estensivo o semi-intensivo vi è

la necessità di aumentare l’efficienza di produzione attraverso i tanti fattori che concorrono a ciò:

miglioramento genetico, alimentazione, tecniche di allevamento e costruzioni, sanità, ecc.

Efficienza di utilizzazione e livello produttivo

Posto che l’efficienza di utilizzazione dell’azoto è correlata positivamente con l’efficienza di

utilizzazione dell’intera dieta (fig. 4), va sottolineato che gli animali più produttivi hanno un minor

impatto ambientale di quelli meno produttivi, per unità di prodotto conferito (fig. 5).

Ovviamente il contesto ambientale in cui l’allevamento si colloca fa la differenza, per cui, per es., è

chiaro che sistemi estensivi con un basso carico di bestiame ad ettaro non avranno problemi di

inquinamento da nitrati dell’acqua di falda e potranno, anzi, avere una carenza di sostanza organica e

di azoto nel terreno, con minor fertilità del medesimo. Al contrario, l’inquinamento da azoto del suolo

e delle acque superficiali e di falda è tipico degli allevamenti di pianura intensivi, con forte carico di

bestiame per unità di superficie e produzione di reflui per lo più sotto forma di liquame.

Fig. 5. Azoto al campo (al netto delle perdite di ammoniaca per volatilizzazione) in una bovina da 40

e in due da 20 kg di latte al giorno.

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L’utilizzo del fosforo negli animali

Anche il fosforo deve necessariamente essere ingerito dagli animali per la sintesi del tessuto osseo

oltre che dei fosfolipidi e dei ribonucleotidi (AMP, ADP, ATP). E anche il fosforo, come l’azoto, ha

un’efficienza di utilizzazione abbastanza bassa e, di nuovo, correlata positivamente al livello

produttivo.

Anche per quanto riguarda il fosforo, una corretta formulazione delle diete può consentire

un’importante diminuzione dell’escrezione di fosforo senza perdite nella produzione di latte. A

differenza dell’azoto, il fosforo viene escreto principalmente con le feci e solo una piccolissima parte

con l’urina. Per esempio, un ampio dataset di studi sull’escrezione di fosforo di bovine da latte

(Alvarez-Fuentes et al., 2016) riporta un’ingestione media di fosforo di 82 g/giorno (tenore fosforico

medio delle diete 0,38% s.s.) con un’escrezione fosforica di 49 e 1 g/giorno con feci e urine,

rispettivamente.

Il tenore in P totale consigliato per i bovini da latte oscilla tra lo 0,30 e lo 0,40% s.s.. Valori maggiori

sono non solo inutili, ma dannosi per la maggior escrezione fosforica che ne deriva.

Precision feeding

Per animali come i bovini da latte, caratterizzati da un lungo ciclo di allevamento ed esigenze

fisiologiche diverse nei vari stadi, è bene applicare una tecnica di precision feeding, somministrando

quanto l’animale abbisogna e nulla in più. Ovviamente il calcolo di quanto N o P somministrare deve

tenere conto della reale disponibilità dell’elemento: proteina digeribile e metabolizzabile, così come

il fosforo. Rispetto ai monogastrici, grazie agli enzimi dei microrganismi ruminali, la bovina è in

grado di utilizzare abbastanza bene il fosforo fitico presente negli alimenti, soprattutto semi e

tegumenti dei cereali, riducendo la quantità di sali fosforici con cui integrare la razione.

Oggi sono disponibili molti dati sulla digeribilità e disponibilità delle varie fonti proteiche e dei sali

minerali, per cui il compito del formulista/alimentarista è facilitato.

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Bibliografia

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