Escatologia - Lezione 29^ Capitolo XI Lescatologia.

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Escatologia - Lezione 29^Escatologia - Lezione 29^

Capitolo XI

L’escatologia

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Il compimento:Il compimento:

Cristo raggiunto:Cristo raggiunto:

La vita eternaLa vita eterna

Il ParadisoIl Paradiso

La Visio DeiLa Visio Dei

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Il compimentoIl compimento

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La «logica» è abbastanza evidente:

I morti non restano in una forma di aspettativa indeterminata

non sono arrivati al pieno compimento del loro futuro (che implica la risurrezione finale totale)

sono in via di resurrezione perché il raduno della fine dei tempi non si è ancora verificato

nondimeno essi già hanno accesso a una forma di futuro che come tale non era loro accessibile durante la vita terrena

e che chiamiamo “vita eterna”

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Meta della speranza cristiana è il compimento presso Dio, annunciato dalle Scritture:

Il futuro aldilà della morte La vicinanza protettrice, misericordiosa e vivificante

di Dio (profezia) La liberazione della sofferenza, dal dolore,

dall’ingiustizia, la risurrezione dei morti (apocalittica) Il regno di Dio: il mondo governato dalla volontà di

Dio (perfezione, ordine armonico) La convivenza pacifica degli uomini, risanati e integri

sia interiormente che nelle relazioni La presenza potente e definitiva di Cristo

Pantocratore Lo shalom: rapporti di benessere completo tra tutti

gli esseri viventi

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Dio non è il concorrente di altre “beatitudini umane”: è Dio che rende possibili le altre speranze creaturali

la comunione con Dio non soppianta tutti gli altri contenuti di speranza che sono parte del “compimento sperato”:

la comunione con gli altri uomini: rivedere coloro dai quali la morte aveva separato; una vera comunicazione nella “comunione dei santi”

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L’identità e l’integrità del singolo:

l’essere se stessi (in contrapposizione con l’essere alienati – condizionati – non liberi)

l’essere pienamente vitali (in contrapposizione con l’essere malati e subire forme di impedimenti)

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La gioia per il mondo nel suo insieme, portato a pieno compimento da Dio: il carattere sociale dell’eschaton

- Il simbolo della “città santa” dell’Apoc 21

Rilettura della tradizione:- Gregorio Magno: “il cielo è formato dalla

congregazione dei santi cittadini” (In Ez 2,1.2)- Beda: “la vita eterna è la gioia della società

fraterna” (PL 91,457).- Cipriano: “la beatitudine sta nella visione di Dio

e nel godimento dell’immortalità con i giusti e gli amici di Dio” (Ep 58,10)

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«La vita eterna consiste nella gioconda fraternità di tutti i santi. Sarà una comunione di spiriti

estremamente deliziosa, perché ciascuno avrà tutti i beni di tutti gli altri beati. Ognuno amerà l’altro come se stesso e perciò godrà del bene altrui come proprio. Così il gaudio di uno solo sarà tanto maggiore quanto più grande sarà la

gioia di tutti gli altri beati» (S. Tommaso d’Aquino)

De Lubac: il soggetto primo della gloria celeste è questa “unità transpersonale” (Cattolicismo, 83)

Recupero nella riforma liturgica del Vaticano II: “Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli… Accoglie nel tuo regno i nostri fratelli e tutti i giusti … ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria” (prex euc. III)

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Il NT ricorre a

immagini/esperienze

tratte dalla vita temporale per dire il

compimento

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Il cieloIl cielo (superiorità e infinitezza)

Nell’AT-NT: Firmamento = la “volta solida” che separa

le acque inferiori da quelle superiori (Gn 1,6) e a cui sono appese le stelle come luminari (Gn 1,14)

Cielo: casa di Dio, luogo del trono da cui governa l’universo (Dt 26,15; Is 63,15); non una localizzazione ma un modo di esistenza di Dio

Parafrasi del nome di Dio = Gesù parla del Padre celeste; del Padre nel cielo; del Regno dei cieli (Mt 3,2; 7,21); Il Figlio dell’uomo scende dal cielo (Gv 3,31)

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Speranza escatologica:

Cielo è il legame di Dio con l’uomo:Vado al Padre – a prepararvi un posto (Gv 14,2.28)

- andare in cielo è andare a Dio (Lc 24,51: Gesù ascese al Cielo e gli fu dato ogni potere in cielo e in terra: Mt 28,18)

- Nelle lettere paoline: il cielo è comunione col Signore glorificato (1Tss 4,17; Fil 1,23; 2Cor 5,8)

- Il cielo è retribuzione per le buone opere (Mt 5,12), anche se è pura grazia (Mt 20,1-16)

- La salvezza non è solo antropologica ma anche cosmica: il mondo salvato è lo spazio di vita dell’uomo perfezionato: i cieli nuovi di Ap 21,1

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Un nome nuovoUn nome nuovoAp 2,17: “al vincitore darò una pietruzza bianca

sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve”

Antica prassi di invito: come un “biglietto di ingresso” a una festa, sul quale è scritto il nome

Nome “nuovonuovo”: intimità personale e innalzamento ad un nuovo rapporto con Dio di tipo sponsale (cfr Is 62,4-5)

Compimento significa: Essere ospiti Invitati personalmente Conosciuti e amati nell’intimità da Dio

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Le nozze (dell’Agnello)Le nozze (dell’Agnello) Immagine del regno veniente (Mt 22) Gioia per la dedizione di Dio che

“serve” i suoi amati (Ap 19,7-9) L’amore tra uomo/donna diventa anticipazione

e realizzazione iniziale delle nozze dell’Agnello Il banchettoIl banchettoConvivialità con altri commensali Attraversa tutta la Scrittura: Es 24,11; Is

25,6; Mt 22,1-13; Ap 19,7-9 La dimensione festiva: “tergerà ogni

lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno” (Ap 21,4; Mt 25,1-10)

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La nuova GerusalemmeLa nuova Gerusalemme• Idea del banchetto unita a quella della città

(Ap 21,9-22,5)

• La città santa: simbolo diffuso della speranza, della sicurezza, della unità sociale

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Il paradisoIl paradiso Gesù promette al ladrone il “paradiso” (Lc 23,42)Paradiso: pardes (ebraico), parádeisos (greco) è

preso dal persiano antico pairidaeza: indica la recinzione che delimita il “giardino – parco” del re, che è luogo piacevole.

Paradiso ricorre nell’AT in Ct 4,13; Qo 2,5; Ne 2,8.

Non ha connessione diretta con l’Eden di Gen 2.Eden: dal semitico dn che significa “rendere

lussureggiante” è il nome di un paesaggio ideale dove c’era il giardino di Javhé (Gn 2,8)

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Archetipo biblicoArchetipo biblico = giardino in Eden (Gn 2,8-25)

ProfetiProfeti: futuro di speranzaEz 36,35: “Allora si dirà: questa terra desolata è

diventata come il giardino di Eden”.Visione cosmica “idilliaca” = messianismo di Is

11,7; 65,21 = vivere nell’armonia della pace

NTNTL’idea del giardino del paradiso è ripresa nella

escatologia, ove esso compare come dimora dei giusti (2Cor 12,4; Lc 23,43) con i motivi del mangiare dell’albero della vita (Ap 2,7), la immagine dell’acqua della vita (Ap 22,1), l’annientamento dell’antico serpente (20,2) e la libertà dalla tribolazione e dalla morte (21,4)

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Nb: Romano Guardini, Le cose ultime, 103.

questi passi biblici sono anche allegorici, perché nell’eternità non si cantano inni, non si mangia, non ci si sposa… e d’altra parte non sono allegorici: ciò che i testi vogliono dire è che l’eternità non è un fatto metafisico, che si potrebbe esprimere coi concetti di “verità – essere…”, quanto piuttosto un rapporto tra persone. Questo è l’essenziale.

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La vita eterna (sintesi nel Simbolo apostolico)

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• Se il compimento è partecipare al modo di essere proprio di Dio (visione di Dio - divinizzazione)

• ciò implica di partecipare parallelamente al suo modo di persistere nell’essere.

• La durata di colui che è già in Cristo è la vita eterna partecipata.

• Con l’aggettivo si segnala la differenza tra l’eternità propriamente detta (predicabile solo di Dio) e quella donata all’uomo beato. Altrimenti cadiamo nel panteismo che livella ontologicamente Dio e l’uomo.

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Il senso minimo da attribuire al concetto di “vita eterna” (secondo la fede della chiesa fissata da Benedetto XII):

• è la durata senza interruzione né termine

• come situazione definitiva e irrevocabile.

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Cos’è vivere in eterno?“Eterno è una di quelle parole che l’uso linguistico ha più

profondamente snaturato. Perdere una parola significa perdere una di quelle forme in cui l’uomo esiste” (R. Guardini, L cose ultime, 97).

difficoltàdifficoltà: • «eterno» suscita in noi l’idea

dell’interminabile, di una durata indefinita, e questo ci fa paura

• «vita» ci fa pensare alla vita terrena da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso più fatica che appagamento (non la vogliamo “così” per sempre); la noia di una prosecuzione indefinita della vita che spegne ogni tensione creatrice

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soluzionesoluzione:• uscire col nostro pensiero dalla temporalità :

l’eternità è la prosecuzione illimitata della vita terrena, un tempo che continua sempre: questo è un non-concetto al quale fatichiamo a rinunciare (c’è invece discontinuità tra la storia – l’eternità)

• presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario

• ma il superamento della limitatezza umana che è sempre dipendente dal tempo (ci si stanca, si dimentica, ci si consuma)

• eterno è ciò che è oltre ogni forma di de-limitazione (la quantità, lo spazio…). L’eternità è l’annullamento del tempo. Come immaginare una vita sottratta al tempo

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Vita eterna si riferisce alla qualità della qualità della vitavita:

“Vita” per la Bibbia è più della “nuda esistenza”; non è solo durata ma pienezza qualitativa

“Vita” come “esistenza presso Dio”esistenza presso Dio”: GesùGesù ha in sé la Vita; la Vita è diventata visibile

con Lui; Lui dona la Vita in abbondanza; la sua Persona è la Vita (Gv 1,4; 14,6)

Le sue azioni simbolicheazioni simboliche manifestano cos’è la vita vera (cf Gv 6: i pani; miracoli di guarigione)

Chi credeChi crede in Lui ha già la vita eterna durante questa vita terrena

La vita eterna è anche oltreoltre la morte (Gv 11,25)

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La discontinuità non è totale: la vita eterna sarà la piena manifestazionepiena manifestazione di ciò che è già presentegià presente e nascosto fin da ora

vedere Dio e la vita eterna sono collegati:

“questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato Gesù Cristo” (Gv 17,3)

“quando si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv 3,2)

i servi di Dio “vedranno il suo volto” (Ap 22,4)

il di più rispetto ad oggi è che vedremovedremo Dio faccia a faccia: negli scambi vitali, fatti di conoscenza e amore, il “vedere” l’Amato occupa un posto importante (cf 1Gv 1,1-3)

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È impossibile vivere senza la vita, e non si dà vita se non si partecipa a Diopartecipa a Dio che è la Vita, e questa partecipazione consiste nel vedere Diovedere Dio e nel godere della sua godere della sua

bellezzabellezza. La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio

(S. Ireneo)

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L’attributo “eterno” di questa vital’uomo de-limitato perché dipende dal tempo

Eterno = non delimitato temporalmente, non in balia del tempo (cf Is 41,4)

Una superioritàsuperiorità rispetto al tempotempo (alla finitezza temporale) ma anche ad ogni ad ogni forma di limiteforma di limite

Perciò “vita eterna” difficile dadifficile da rappresentarerappresentare perché è per definizione il non-tempo.

Però tre modelli di pensiero:

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pienezza di Vita: uno stato colmo di appagamentocolmo di appagamento, in cui la

totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità: “Dio tutto in tutti” (1Cor 15,28)

è il contrario delle esperienze di parzialità-frammentazione

“L’eternità è il possesso totale e completo di una vita illimitata” (S. Boezio)

Poter-riposarePoter-riposare in una beatitudine che non può venir meno (non minacciata), senza limiti (nel senso che non c’è da temere che questo dinamismo abbia un termine)

Il concetto biblico di “riposoriposo” (una terra di riposo; il riposo di Dio: settimo - ottavo giorno)

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a partire non dal concetto di tempo, ma di vita:

eternità come un attimo di compimento vita nella massima concentrazione, che solo in

modo germinale abbiamo sperimentato quaggiù (istanti di grazia, di realizzazione, di pienezza, di successo, di profondo amore e felicità)

L’eternità è l’intensità di un istante colmo della felicità possibile ad un uomo, che quaggiù non può durare

quaggiù l’istante è eccezionale, ma l’eternità è un istante “felicissimo” che non passa più.

modello pensato non in base alla “durata di tempo”, ma dalla concentrazione: la felicità è all’apice dell’intensità

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vita che si sviluppa Un dinamismo che cresce e si intensifica

indefinitamenteIncontri tra persone vive che consentono di

scoprire elementi sempre nuovi dell’altro e di sé

Incontro col Dio infinito, i cui misteri inesauribili si disvelano a profondità sempre maggiori e sempre nuove

Occasioni sempre nuove offerte al proprio sviluppo personale (si cresce nella somiglianza con Dio che ci fa essere “noi stessi”)

Qui l’accento è temporale a motivo della dinamicità in contrasto con la staticità

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Dunque la visione di Dio non è uno spettacolo immobile

Due posizioni:La immobilità del beato (es. Pozo Candido)

dipende dalla comprensione della visione sotto la categoria della contemplazione, cui si accosta l’idea della quies (pace stabile, non alterata)

Quelli invece che sostengono la possibilità di un progresso (es. J. Alfaro, O. Betz) fanno valere la categoria di comunione esistenziale.

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Le immagini bibliche rappresentano la vita eterna come qualcosa di dinamico:

la festa, il banchetto (il gusto della mensa, la convivialità e la gioia comunicativa)

le parabole escatologiche: la venuta di Gesù è paragonata a un banchetto di nozze con l’umanità

le immagini liturgiche dell’Apocalisse: la Città celeste, la nuova Gerusalemme gloriosa, la dimora di Dio con gli uomini, la moltitudine di fratelli e sorelle in atto di adorazione.

Categoria centrale: la relazione di tutti

con tutti.

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• Nella nozione stessa di vita eterna è incluso:

a)Un permanente dinamismo: altrimenti non sarebbe vita

b)Che non può estendersi lungo una durata identica al nostro tempo (altrimenti non sarebbe eterna)

Eterna: implica una densità che esclude la alternanza dal transitorio al definitivo, di cui ora possediamo solo la nostalgia.

Il vitale esclude ogni “pietrificazione”, comporta un continuo coefficiente di superamento.

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Come conciliare pienezza di vita già acquisita e superamento?

• Il superamento, all’interno di una misura colma della vita, non va inteso come un passaggio dalla potenza (che equivale a carenza) all’atto (che significa trasferire all’al di là le categorie dell’al di qua).

• La vita eterna è l’abolizione del passaggio potenza-atto.

• Ma tale abolizione non consacra uno stato di immutabilità assoluta, ma è compatibile con un permanente accrescimento della densità vitale.

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Nella vita eterna “ogni pienezza è un nuovo inizio” (L. Boros).

È quanto avviene in ogni relazione di amore: quando è autentica postula l’eternità, che si vive come qualcosa che si arricchisce costantemente di nuove scoperte, con ogni volta maggiore e migliore compenetrazione mutua.

Parimenti, la “relazione del beato con Dio può essere intesa come pura dynamis che mai conoscerà termine” (O. Betz)

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La banale obiezione della noia (cfr. M. Unamuno) si fonda su un grossolano malinteso che confonde la vita interpersonale con la contemplazione indefinita del medesimo spettacolo!

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Contenuto della vita eterna: la

visio Deivisio Dei

Cosa significa vedere Dio?

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Croyable disponibile nella cultura:

• La visione di Dio (in teologia) si aggancia agli studi filosofici sulla alterità (Ricoeur, Levinas): consentono di dare alla mistica cristiana una dimensione aliena da ogni fusione e rispettosa della libertà umana, nonché di accentuare la distinzione tra Dio e colui che lo contempla

• Studi sulla psicanalisi e l’importanza del tema del desiderio (D. Vasse, 1969). Già gli antichi: desiderio naturale di vedere Dio.

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La vita eterna è la visione di DioDesiderare di vedere Dio significa “vivere

della promessa” • AT: Gn 32,24-30; Es 33,11; Es 34,29; Dt

34,10; sal 23,4; Mt 18,10; Ap 22,4

• periodo intertestamentario (la nozione di salvezza è spiritualizzata): la visione di Dio diventa l’elemento essenziale della felicità, è il grido di fede di Giobbe: “Io so che il mio redentore è vivo… nella mia carne vedrò Dio; io lo vedrò, io stesso e non un altro” (Gb 19,25ss - Vulgata)

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• NT: i credenti anelano di vedere Dio:- «saremo simili a lui perché lo vedremo così co-

m’è» (1Gv 3,2); per Gv la conoscenza di Dio (Gv 17,3) ha il suo compimento nella visione di Dio.

- L’aspetto intellettuale della visione-conoscenza è presente nel simbolismo della luce: il giudizio è una messa in luce di ciò che è nascosto

- la tradizione orientale usa l’idea della luce per dire l’al di là della morte (purificazione, illuminazione)

- «faccia a faccia» (1Cor 13,12).

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Sviluppi patristici• Cipriano: “quale sarà la gloria e quanta la gioia

nell’essere ammessi a vedere Dio”.• Ireneo: “Dio è contemplato dagli uomini, perché

vuole, quando e come vuole… La vita eterna consiste nel vedere Dio” (Ad Haer 4,20,5)

• Clemente Alessandrino: la vera gnosi sfocia nella contemplazione di Dio (Stromata 6,12)

• Gregorio di Nissa: vita cristiana come cammino della theognosia: come Mosè sul Sinai il credente accede al sommo grado della visione (Vita di Mosé)

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Cosa/chi si vedrà?

G. Crisostomo – Gregorio Naz – Teodoreto di Ciro: distinguono la visione della gloria di Dio dalla visione della essenza di Dio (sulla scia della distinzione talmudica di shekinah e kabod)

Su quest’onda:Gregorio Palamas (XIV sec.): distingue tra

inaccessibilità della essenza divina e energie presenti nell’irradiarsi della sua gloria: i beati percepiscono questa ma non quella, che a motivo della trascendenza di Dio è inaccessibile all’uomo.

Dottrina diffusa in Oriente, non accettata in Occidente.

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I medievali latini: sull’oggetto della visione; Dio è visto in modo “comprensivo” cioè totale?

C’è una generica presa reale sulla verità o anche una sua penetrazione globale e totale?

Amaury di Bène aveva introdotto la distinzione orien-tale tra essenza e gloria di Dio. Ma gli autori latini non l’accettano.

La visio da una conoscenza della essenza di Dio: Dio è visto tutto intero, ma non totalmente (totus Deus sed non totaliter)

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Si distingue tra visione e comprensione: Dio è visto in tutto quel che è:

• è vera conoscenza di Dio; ma non in modo da esaurire tutta la conoscenza del suo mistero.

• Dio non è visto per quanto è visibile, ma è proprio lui ad essere visto. Dio è conosciuto come essere infinito, ma la sua conoscenza resta umana, segnata dalla finitezza; essa non è infinita.

• È possibile conoscere tutto Dio per quanto è concesso alla natura umana.

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Come si accorda la visio Dei con la radicale invisibilità di Dio che “nessun occhio può vedere” (1Tm 6,16), dato che Dio nessuno lo ha mai visto (1Gv 4,12), perché “risiede in una luce inaccessibile” (1Tm 1,17)?

Per la mediazione del Verbo fatto carne è possibile accedere alla visione di Dio (Clemente di Roma, I Lettera 59,2)

I medievali: l’intelligenza umana può accedere a Dio attraverso la mediazione del ragiona-mento, per analogia (Sap 13,1), però questo suppone la deificazione delle facoltà di conoscenza e amore mediante la partecipazione alla natura divina (2Pt 1,4)

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Tradizione teologica medievale: La felicità che fonda ogni beatitudine è la visio visio

DeiDei Due scuole circa la “visione” scuola domenicana: accento sul conoscere Dio scuola francescana: accento sull’amare Dio

Di fondo una questione antropologica: l’amore viene prima della conoscenza o viceversa? Dopo la ricezione della dottrina greca dell’anima, la beatitudine celeste è posta in riferimento alle due facoltà dell’anima: intelletto e volontà e parlano di visione beata e fruizione beata

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Agostino: i beati del cielo contemplano e amano l’essenza immutabile del Creatore

Nel Medio Evo: la beatitudine va concepita più in senso affettivo-emozionale come amore radicale (scotisti francescani) o più in senso teorico-intellettuale come visione beatifica (tomisti).

Soluzione: la beatitudine viene sperimentata in quella profondità dell’essere umano, in cui la conoscenza e la volontà non sono due facoltà e attività distinte fra loro. La visione di Dio è un atto di amore illuminato dalla conoscenza e un atto di conoscenza reso vivo dall’amore.

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Gli interventi del Magistero

sulla Visione beatifica

Giovanni XXII: le anime degli eletti solo dopo la risurrezione dei morti (giudizio finale) godrebbero della perfetta visione di Dio mentre prima godono solo di una beatitudine imperfetta.

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Reagisce nel 1336 Benedetto XII, con la bolla Benedictus Deus (DS 1000): anche prima della risurrezione finale le anime godono della visio:

la visione di Dio è il costitutivo essenziale della vita eterna (raggiunta al momento della morte, dottrina ripresa dal concilio di Firenze: DS 693)

• Precisazioni:

il fatto della visione: “i beati videro e vedono l’essenza divina”

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il modo della visione:

• si tratta di una visione intuitiva (non è una conoscenza discorsiva: te lo spiego);

• faciale (faccia a faccia di 1Cor 13,12);

• senza mediazione di creatura alcuna nella visione dell’oggetto (si esclude la conoscenza mediata attraverso l’analogia delle creature),

• ma mostrandosi immediata, chiara e aperta l’essenza divina

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Le conseguenze della visione:

• la gioia (con tale visione godono della medesima essenza divina),

• la beatitudine (sono veramente felici),

• e la vita eterna (hanno il riposo e la vita eterna)

La durata della visione: una volta cominciata rimane senza interruzione… fino all’eternità

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• Concilio di Firenze e Trento aggiungono:

- La beatitudine celeste presenta gradi diversi a seconda dei meriti acquisiti in terra (DS 1305; DS 1582)

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• Problema antropologico:

- Carattere intellettuale della visione di Dio: conoscenza intuitiva

- la visione non comporta il concorso del corpo

- Coerentemente con la logica riflessiva: gli as-petti affettivi (amore) sono abbinati alla dimen-sione della corporeità trasfigurata come una risonanza della visione di Dio nella affettività-corporeità, che è relegata alla risurrezione/ giudizio finale

- Questo non sembra rispettare il testo biblico per cui la persona umana non può essere ridotta alla sua sfera intellettuale

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Debolezza cristologica: si dice di sfuggita che i beati sono in cielo…con Cristo

Silenzio della dimensione sociale.

Ampliamento con Lumen Gentium n. 48

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• Posizione ortodossa e protestante:

- Rimproverano alla teologia cattolica di confinare la salvezza (visio beatifica) talmente nello stato intermedio (già post-mortem) da svuotare in ampia misura di significato le affermazioni bibliche circa la pienezza di salvezza che verrà raggiunta solo con la risurrezione finale.

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Questione: Come comprendere il significato della «visione di Dio» da parte dei morti?

è realizzazione di una speranza che non poteva raggiungere il suo oggetto durante il tempo della storia:

• “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto” (1Cor 13,12)

• NB: il concilio di Vienne (1313) condanna la dottrina dei begardi (e beghine) che affermano che fin da quaggiù i giusti possono raggiungere la beatitudine finale e conoscere Dio (DS 474-5)

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la visione segna la diversità tra il tempo dei morti e il tempo dei vivi:

ciò che è impossibile per “quelli che sono in cammino”, diventa possibile per “quelli che sono nella patria” (LG 49-50)

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Visione di Dio per mezzo di CristoLa funzione di Cristo nella vita eterna

Ruiz de la Peña, L’altra dimensione, Borla, p.250ss.

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• NB: tutte le espressioni del NT sul carattere cristologico della beatitudine: saremo con Cristo…

• Le affermazioni magisteriali prima del Vaticano II: carattere teocentrico: “visione della essenza divina” o del “Dio triuno”

• Ciò rende difficile la comprensione cristologica della vita eterna (cfr. tesi della predestinazione)

• Se si esclude la sua mediazione, si esclude anche la sua umanità!

• Perché questo stato di cose? Comprensione intellettualistica della visione:

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La visione di Dio è la contemplazione della sua essenza.

La definizione di Benedetto XII proibisce che si frap-ponga una creatura (quale essa sia) fra il soggetto (l’uomo beato) e l’oggetto (l’essenza divina).

Non c’è spazio per l’umanità di Cristo nell’atto stesso della visione.

Teologia contemporanea: visione non metafisica, ma visione esisitenziale: la vita condivisa nella sfera di una comunione interpersonale

C’è allora un altro modo di giungere alla visione di Dio che non sia la visione di Dio attraverso l’uomo Gesù?

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• Presupposto ovvio: la relazione a tu per tu presuppone necessariamente una certa connaturalità tra i due soggetti.

• Ci può essere una forma perfetta di comuni-cazione e partecipazione nell’essere, senza una minima omogeneità in questo stesso essere?

• Risposta di Gesù a Filippo: “chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,8-9); parafrasi: “l’unico modo per vedere il Padre è vedere me” (cfr. anche Mt 11,27 e Gv 1,18)

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Visione di Dio: “essere-con-Cristo”: è la piena comunicazione del dono della sua vita che rende l’uomo vedente, cioè partecipe della vita divina trinitaria, la cui pienezza si rende accessibile e comunicabile esclusivamente nel Verbo incarnato (Col 2,9; Gv 1,14.16-17)

In Cristo risorto abita corporalmente la pienezza della divinità (somatikos: umanamente)

Passaggio: da visione = conoscenza intellettuale

a visione = comunione interpersonale

L’aspetto conoscitivo viene inglobato nella totalità di una relazione binomiale che attinge, in ciascun polo, il più intimo nucleo.

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Il beato comunica con una soggettività divina ma questa relazione è possibile solo perché questa soggettività si esprime in una struttura autenticamente umana, in cui risiede la “pienezza della divinità”.

Discriminante: la divinoumanità di Cristo

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La realtà umana del Figlio di Dio non è il tertium quid frapposto tra la persona umana e la persona divina (come un intermediario che si frappone).

L’umanità glorificata di Cristo è il luogo (unico) dell’incontro tra Dio e l’uomo: chi vede me… vede il Padre.

La visione di Dio è il dono dell’essere del Figlio incarnato e glorificato, una partecipazione della vita di Cristo risorto.

La gloria non è altro che una consumazione della grazia.

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K. Rahner: “L’eterno significato della umanità di Gesù per la nostra relazione con Dio” (Scritti teologici, III, 47s)

“Gesù uomo non solo fu, per una volta, di decisiva importanza per la nostra salvezza…

ma è ora e per tutta l’eternità… la permanente apertura della nostra finitezza al Dio vivo della

vita eterna e infinita… Nell’eternità si può contemplare il Padre solo attraverso il Figlio; e

lo si contempla immediatamente in questo modo, poiché l’immediatezza della visione di Dio non nega l’eterna mediazione di Cristo-

uomo”

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La visione beatifica non può essere indipen-dente dal riferimento alla resurrezione di Gesù di Nazareth costituito Cristo, perché “i trapassati” esistono in virtù di questo rapporto e di questa partecipazione.

Se si dà una possibilità per i morti di vedere Dio, ciò è possibile in Gesù Cristo, nello e per lo Spirito

Questione: Che cosa significa parlare di una visione del Cristo risorto?

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Si tratta di un modo di indicare la profondità della partecipazione alla resurrezione di Gesù.

Tra i trapassati e il Risorto a) si ha anzitutto un legame dinamico

= il Risorto comunica loro la partecipazione della sua vita immortale

• 2Cor 5,8; Fil 1,23: l’essere-con-Cristo (essere uno con il Figlio) ci dona la filiazione divina, è una autentica divinizzazione

• Filiazione come relazione interpersonale, non riassorbimento fusionale nella divinità: non sarebbe compimento ma una alienazione della propria personalità umana

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• mentre la partecipazione immediata a Dio è personalizzante in sommo grado.

• La comunicazione al Tu divino consente all’io umano il suo pieno autopossesso come persona: “L’amore cancella le distanze tra l’io e il tu, ma non annulla la loro identità” (P. Althaus)

• Qui si fonda anche la ineguaglianza della visione: è conseguenza dell’indole personale della visione, sulla quale si riflettono le singolarità inalienabili di ciascuno dei suoi soggetti.

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La differenza nel modo di vedere Dio è il riflesso della propria intrasferibile personalità nel suo modo concreto di relazionarsi.

È immanente allo stesso beato, non è una determinazione estrinseca, conseguente a una sentenza divina.

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a) ma anche un rapporto conoscitivo:

I morti «vedono» chi è Colui che li fa esistere La visione di Dio in Gesù Cristo è pertanto

umana: è una realtà di uomini e si realizza mediante l’umanità risuscitata di Cristo. Ma essa non si ferma all’umanità risorta di Gesù.

Attraverso questa arriva fino al mistero divino trinitario nelle sue profondità.

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Il che significa:a) i trapassati entrano nella contemplazione

del legame unico che va da Gesù al Padre infatti è questo legame a fondare l’atto pasquale

in cui Gesù viene risuscitato di conseguenza, vedendo Colui che li fa esistere

in forza della sua resurrezione, i trapassati si trovano orientati alla sorgente stessa della resurrezione di Cristo = il Padre

a questo titolo, la loro esistenza si apre sul mistero della Trinità perché li rende partecipi della relazione di filiazione di Gesù al Padre (nella misura ‘possibile’ al soggetto umano).

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Ruiz de la Peña, L’altra dimensione, p. 252:

“La comunione personale con Cristo è comunione personale con il Figlio. E poiché il Figlio è ciò

che è esclusivamente in base alla sua relazione con il Padre e con lo Spirito, la relazione

personale immediata con lui è, simultaneamente e per se stessa, relazione immediata al Padre e allo Spirito, i quali, a

loro volta, sono ciò che sono per la loro relazione al Figlio. In tal modo i beati vedono

Dio uno e trino come è (DS 1305)”.

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b) i trapassati vedono in Gesù Cristo risorto il significato della sua seconda «dimensione»

non più la sua filiazione divina, ma il suo rapporto con il mondo

Il Risorto è il principio del mondo, ossia la sua ragion d’essere e la sua forma permanente: “per mezzo di lui e in vista di lui sono state fatte tutte le cose” (inni paolini)

I trapassati sono anch’essi introdotti in questo mistero, implicato nella contempla-zione del Risorto: lui è il Signore di tutte le cose

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• Resta da aggiungere che la visione di Dio, così intesa, suppone una differenza tra Cristo e i trapassati: non fusione, ma alterità:

I trapassati vedono Colui che essi “non sono” e che si dona a loro.

Vedono di esistere nel Cristo e di restare creati nel Cristo.

Scoprono e godono perché la promessa ora si realizza facendoli entrare in ciò che prima solo speravano (l’oggetto della fede) senza averlo ancora contemplato.

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• La visione cristica di Dio da parte dei morti si presenta abbastanza suggestiva per noi, oggi, almeno se la consideriamo senza eccessive immaginazioni.

• Si tratta di un al-di-là della fede:

i morti non aderiscono a Dio in virtù della loro testimonianza (Chiesa – Scrittura – Sacramenti – esperienza mistica/interiore)

ma più immediatamente, per il fatto stesso di esistere alla sua Presenza (il “Volto”)

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• La “visione” ci riferisce qualcosa anche circa i rapporti che i defunti hanno tra loro e con i vivi:

questa comunicazione si attua anch’essa nella visione divina: ci si incontra “mediante” l’umanità risorta di Cristo (qui il senso della sua corporeità eucaristica come luogo per eccellenza della comunione dei santi)

ma non dà luogo a visioni particolari, nel senso corrente del termine, come se i morti potessero «vedere» i vivi in modo indiscreto.

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La visione di Dio non può essere concepita in termini di oggettività mondana:

non si tratta di uno “spettacolo” di cui Dio sarebbe l’oggetto

ma di una relazione di amore reciproco (scambio – comunicazione – reciprocità – estasi verso l’altro – godimento per la presenza dell’altro)

è ancora un atto di speranza: per il Cristo, che è in procinto di costituire il suo

corpo universale (è ancora “risorgente”) e per i morti, che ne condividono l’attesa.

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Cristo perduto: Cristo perduto: l’infernol’inferno

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A partire dal NT Gesù mette in guardia dalla possibilità di

perdersi eternamente. Secondo la testimonianza dei sinottici (specie

Mt) egli usa alcune immagini dell’apocalittica contemporanea:

‘fuoco’ (cf. Mt. 5,22; 13,42; 18,8; 25,41; Mc. 9,43.48)

‘tenebra’ (cf. Mt. 8,12; 22,13; 25,30)‘pianto e stridore di denti’ (cf. Mt. 8,12;

13,42.50; 22,13; 24,51; 25,30; Lc. 13,28). Ma, paragonato alle descrizioni fantasiose e

terribili dell’apocalittica, il linguaggio del NT appare sobrio e riservato.

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Inoltre, se si prendessero anche queste poche immagini usate dal NT alla lettera, come informazioni esatte, esse si contraddirebbero a vicenda (ad esempio: fuoco - tenebra eterna).

Del resto Gesù può usare immagini del tutto diverse per esprimere il pericolo dal quale intende mettere in guardia (“moniti profetici per dire l’urgenza del Regno e l’appello alla conversione da non rinviare”)

per richiamare l’attenzione sull’abisso, ma non fissare l’attenzione sull’abisso

immagini che non fanno pensare a tormenti inflitti dall’esterno, ma a occasioni perdute: il restar fuori, l’essere esclusi dalla festa (Mt 25,1-13)

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Che cosa significa l’inferno?Il termine “inferi” è di origine biblica (sheol) Nel cristianesimo esso ha assunto il significato

di uno stato di incompatibilità totale e definitiva con Dio, che la vita storica fonda, la morte sigilla e l’aldilà non può far altro che sanzionare.

Nel suo significato antico, l’inferno veniva inteso come un luogo; va invece compreso come uno stato relazionale rispetto a Dio.

Esso dava luogo a evocazioni fantastiche, nelle quali il simbolismo del fuoco era onnipresente. Oggi possiamo contentarci di ritenere il carattere spirituale e doloroso della lucidità di chi dopo la morte vede “l’amore di Dio perduto per sempre”.

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L’inferno pensato come un castigo / pena Bisogna evitare di intendere Dio come un

giustizieregiustiziere (l’alternativa non è tra misericordia e giustizia di Dio)

sembra più pertinente mettere l’accento sulla «logica antropologica» dell’inferno:

Non si tratta tanto di punizioni inflitte dall’esterno, quanto di una situazione di una situazione di infelicità che è infelicità che è espressione e espressione e conseguenzaconseguenza di una di una vita rimasta vita rimasta “esterna”“esterna” alla comunione con Dio, di cui alla comunione con Dio, di cui Dio stesso non può far altro che prendere Dio stesso non può far altro che prendere attoatto.

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Nella tradizione teologica si sostiene che le pene dell’inferno consistono

essenzialmente nella privazione privazione della visione di Diodella visione di Dio

Cioè nell’essere ““esclusiesclusi” dal rapporto ” dal rapporto d’amore con Luid’amore con Lui

con il dolore a motivo di questo con il dolore a motivo di questo “rapporto perduto”“rapporto perduto”

Vedi citazione della patristica siriaca:

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In quanto a me, io dico che quelli che sono tormentati nell’inferno lo sono dall’invasione

dell’amore. Che c’è di più amaro e di più violento delle pene d’amore? Coloro che sentono di aver

peccato contro l’amore portano in sé una dannazione ben più grande dei più temuti

castighi. La sofferenza che il peccato contro l’amore mette nel cuore è più lacerante di ogni

altro tormento. È’ assurdo pensare che i peccatori nell’inferno saranno privati dell’amore di

Dio. L’amore è donato senza divisione. Ma, a causa della sua stessa forza, agisce in due modi.

Esso tormenta i peccatori, come succede quaggiù, che la presenza di un amico tormenta

l’amico infedele. Ed esso fa gioire in sé quelli che sono stati fedeli. Tale è a mio avviso il tormento

dell’inferno: il rammarico di perdere l’amore (Isacco di Ninive)

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L’inferno è esclusione da ogni forma di comunione, ma una autoesclusione volontariaautoesclusione volontaria

una situazione di infelicitàsituazione di infelicità nella quale s’è posta la persona stessa con il suo comportamento

rifiutandosi costantemente e in modo radicale di amare, la persona può pervertirsi talmente da diventare alla fine totalmente totalmente incapace d’amareincapace d’amare: non può più amar Dio, il prossimo e neanche se stessa

poiché l’uomo è determinato in tutto e per determinato in tutto e per tutto dall’amoretutto dall’amore, tale situazione comporta il più grande dolore immaginabile

meglio parlare di ‘incapacità di amare’, piuttosto che di ‘esclusione dall’amore’

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Nel dramma di Jean-Paul Sartre A porte chiuse sono costrette a vivere insieme delle persone che non riescono a accettarsi a vicenda e che, d’altro canto, non riescono neanche a staccarsi l’una dall’altra o almeno a lasciarsi in pace reciprocamente.

Verso la fine Garcin afferma:

«Questo, quindi l’inferno. Mai avrei creduto «Questo, quindi l’inferno. Mai avrei creduto [...]. Vi ricordate: zolfo, fuoco graticola [...]. Vi ricordate: zolfo, fuoco graticola

[...]. Ah, uno scherzo. Non c’è bisogno di [...]. Ah, uno scherzo. Non c’è bisogno di nessuna graticola, nessuna graticola, l’inferno sono gli l’inferno sono gli

altrialtri». ».

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Si deve conservare la rappresentazione dell’inferno, anche se riletta e reinterpretata (fuoco eterno, pianto e stridor di denti)?

essa trova posto nel NT come appello alla serietà e all’urgenza della conversione.

Cfr le concezioni problematiche dell’inferno

Es. Martin von Cochem (1712) i tormenti: freddo, fame, puzzo, soffocamento, l’essere schiacciati, distesi su ruote, inchiodati, flagellati, il soffio di Dio più forte di un uragano per riattizzare il fuoco infernale

Si conviene che non bisogna presentare oggi la verità dell’inferno con questi immagini e linguaggi.

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La questione:si può dire ciò che vuol significare

l’immagine dell’inferno esprimendola in altro modo: ad esempio, nei termini di assenza di Dio, di assurdità e non-senso tragico di un’esistenza umana che rinnega la propria identità.

e forse anche designando quegli “inferni umani” che fin d’ora, nella storia, indicano già, a quanto pare, l’inconciliabilità tra certi comportamenti storici (tortura, sfruttamento, genocidi, abuso delle persone) e il futuro umano proiettato in Dio.

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Ma ci sarà un inferno?Un conto è la speranza che tutti gli uomini si

salvino e siano liberi dal male

- Altro è sostenere la non esistenza dell’inferno o la sua non eternità (per escludere la possibilità di una infelicità eterna)

- La possibilità reale di cui bisogna tener conto è quella di un fallimento eterno a motivo di un rifiuto personale

- La speranza è altra cosa dalla sicurezza!

Alcune provocazioni per pensare…

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L’inferno non va letto in modo isolato ma speculare: ha senso in relazione a un’altra possibilità = quella della felicità e della santità.

Non lo si può dunque capire se non nella misura in cui la libertà umana si trovi posta davanti a una alternativa decisiva, di cui coglie tutta la serietà.

Optare «per l’inferno» con conoscenza di causa, ossia nel rifiuto assoluto della promessa e dell’amore di Dio, costituisce una specie di caso limite = “La lucidità, propriamente diabolica, che dovrebbe caratterizzare un’esistenza storica «orientata all’inferno» non sembra trovare un posto «normale» in seno alla storia” (H. Bourgeois)

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La possibilità dell’inferno può venire espressa, allora, insistendo sul peso della libertà che è la “facoltà del definitivo”, sull’irreversibilità della morte e sull’urgenza della storia. Tutto questo non fomenta paure ambigue. E’ un dato reale.

quello della libertà è l’argomento più forte in favore del fatto che Dio prevede la possibilità dell’inferno (un “paradiso imposto” sarebbe ancora un paradiso?)

l’amore (nel quale consiste la felicità eterna) non è pensabile senza libertà: come se alla fine (anche se non voglio) “io sarò in ogni caso uno che ama” (ma non è il “mio” amore personale a determinare il mio destino)

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Contro una troppo rapida affermazione di una riconciliazione universale (apocatastasi) un argomento, che almeno psicologicamente non va sottovalutato, è la prospettiva degli oppressi, dei torturati, dei diseredati

Esempio di Nocke: Adolf Eichmann in paradiso accanto ad Anna Frank: avrebbe potuto essere una prospettiva di speranza per coloro che soffrivano nei campi di concentramento?

Obiezione: i martiri “assolutori” dei loro “martirizzatori”.

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D’altro canto che cosa significa il fatto che Gesù Cristo è giudice? Gesù morente pregò per i suoi assassini (cf. Lc. 23,34; così fece Stefano, Atti 7,60)

non significherebbe per lui una sconfitta della sua opera salvifica il fatto che delle persone si chiudano definitivamente all’amore, dunque fallite e infelici?

in questo caso Dio sarebbe “beato in sé stesso”, ma la sua beatitudine è compromessa se la sua sovranità sugli uomini non si realizza compiutamente? Tocca la felicità di Dio il fatto che nel “suo” mondo ci siano persone che soffrono eternamente? In questo modo ‘si fa’ veramente la “sua” volontà? (cf Mt. 6,10).

O l’amore sconfinato di Dio consiste anche in questa sua autolimitazione volontaria che non scalfisce ma esalta la perfezione del suo proprio essere?

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E i santi in cielo potrebbero rallegrarsi se ci fossero dei dannati?

Esempio: come può la madre di un assassino, in cielo, essere felice sapendo del figlio eternamente e irrecuperabilmente di sperato?

ci può essere un paradiso finché c’è un inferno?

per la teologia manualistica = alla fine trionferà “la vittoria della giustizia di Dio” sopra il male

ma anche il NT lascia “in sospeso” la questione = il Padre misericordioso fa festa per il figlio “ritornato alla vita” e il fratello maggiore resta fuori dalla festa ………..