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Errori e varianti (modulo 277) Luca Carlo Rossi Università di Venezia Ultima revisione 27 Marzo 2003

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Errori e varianti

(modulo 277)

Luca Carlo Rossi

Università di Venezia

Ultima revisione 27 Marzo 2003

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Presentazione del modulo

Questo modulo si concentra sui due concetti di errore e di variante di un testo, fondamentali per l'allestimento di un'edizione critica, per mostrare come il filologo riconosce le due tipologie e come si comporta davanti ad esse. In particolare vengono tenuti distinti i casi di errori e varianti presenti in opere prive di originale e quelli che compaiono negli originali. Sono infine trattati alcuni casi specifici della filologia d'autore col supporto di immagini che mostrano come si passa dalla pagina di lavoro dell'autore alla sua riproduzione in un'edizione critica.

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Guida al modulo

Scopo del modulo

Questo modulo si propone di far conoscere i due concetti di errore e di variante di un testo per mostrare attraverso quali criteri il filologo arriva a produrre un'edizione critica. In particolare si intende mostrare come ogni caso specifico richiede un metodo particolare, ma sempre ispirato ad alcuni criteri ecdotici fondamentali. Nel caso di opere delle quali esiste l'originale, si illustrano alcuni modi operativi che, pur in forme diverse, dimostrano scrupolo filologico nel rappresentare il testo nel suo continuo dinamismo.

Lista degli obiettivi

UD 1 - Che cos'è un errore, che cos'è una variante

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere che cosa s'intende coi termini "errore" e "variante" nell'ambito della critica del testo.

Sottoobiettivo: saper distinguere fra errore e variante.

Sottoobiettivo: comprendere la connessione e la differenza fra i concetti di errore e variante.

Sottoobiettivo: conoscere il concetto di originale.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini tecnici della filologia.

UD 2 - Errori di copia

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere i modi nei quali si verificano errori durante la copiatura dei testi e le principali tipologie di errori.

Sottoobiettivo: comprendere le cause del verificarsi di errori.

Sottoobiettivo: apprendere le definizioni tecniche di errori.

Sottoobiettivo: conoscere i meccanismi di diffusione degli errori.

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UD 3 - Ancora errori

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere come alcune categorie di errori consentono all'editore critico di ricostruire i rapporti fra le copie di un testo.

Sottoobiettivo: comprendere le cause del verificarsi di errori.

Sottoobiettivo: apprendere le definizioni tecniche di errori.

Sottoobiettivo: capire le valutazioni effettuate dall'editore critico.

UD 4 - Varianti di copia

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere come l'editore critico si comporta nella scelta di varianti equivalenti presenti nelle copie di un testo.

Sottoobiettivo: capire i modi operativi dell'editore critico.

Sottoobiettivo: conoscere i limiti dell'intervento dell'editore critico.

Sottoobiettivo: apprendere termini tecnici della filologia.

UD 5 - Errori e varianti degli autografi

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere come il filologo si comporta davanti agli autografi, come li riproduce, come li descrive, fino a dove li accetta e fino a dove può spingersi nel modificarli.

Sottoobiettivo: capire i modi operativi dell'editore critico.

Sottoobiettivo: conoscere le cautele operative del filologo.

Sottoobiettivo: verificare lo scrupolo operativo dell'editore critico.

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UD 6 - Casi della filologia d'autore

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere casi concreti nei quali l'editore critico ha lavorato su testi autografi e su originali.

Sottoobiettivo: capire la duttilità del metodo ecdotico.

Sottoobiettivo: conoscere i casi specifici e le soluzioni adottate.

Sottoobiettivo: apprendere termini tecnici della filologia.

UD 7 - Immagini di filologia d'autore

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere il lavoro del filologo attraverso le riproduzioni di autografi e relative edizioni critiche.

Sottoobiettivo: verificare la realizzazione di un'edizione critica.

Sottoobiettivo: conoscere i casi specifici e le soluzioni adottate.

Sottoobiettivo: confrontare i testi originali e le relative edizioni critiche.

Contenuti del modulo

Il modulo è costituito dal testo delle lezioni e da un corredo iconografico.

Attività richieste

Lettura e studio dei materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi di autovalutazione.

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Indice delle unità didattiche

UD 1 - Che cos’è un errore, che cos’è una variante

Vengono presentate le definizioni di alcuni concetti basilari, a partire da quello di originale, cui seguono quelli di errore e di variante, fra loro connessi.

1.1 - Premessa

1.2 - Definizione di originale

1.3 - Definizione di errore

1.4 - Definizione di variante

1.5 - Cautele operative

UD 2 - Errori di copia

Si passano in rassegna i principali meccanismi che provocano gli errori nelle copie di un testo e le definizioni tecniche degli errori più comuni.

2.1 - Come nasce un errore

2.2 - Fasi di copiatura

2.3 - Principali tipologie di errori I

2.4 - Principali tipologie di errori II

2.5 - Meccanismi di diffusione dell’errore

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UD 3 - Ancora errori

Gli errori vengono considerati in rapporto alla funzione di guida nella preparazione di un'edizione critica e se ne indicano le principali caratteristiche a tale proposito.

3.1 - Errore monogenetico

3.2 - Errore poligenetico

3.3 - Errore guida o significativo

3.4 - Errori congiuntivi

3.5 - Errori separativi

UD 4 - Varianti di copia

Si presentano le principali tipologie di varianti che compaiono nelle copie di un testo privo di originale e si illustrano i modi per scegliere criticamente quale fra le varianti accogliere nel testo critico.

4.1 - Quali varianti scegliere: un sistema meccanico

4.2 - Quali varianti scegliere: un sistema dialettico

4.3 - Varianti irriducibili

4.4 - Varianti di copia o varianti d’autore?

4.5 - Altri tipi di varianti

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UD 5 - Errori e varianti degli autografi

Vengono presentati i casi nei quali l'originale di un testo contiene errori e varianti, e si illustrano i comportamenti adottati dall'editore critico in simili circostanze.

5.1 - Il filologo davanti agli originali

5.2 - Criteri di massima

5.3 - Limiti delle rettifiche di autografi

5.4 - Varianti d’autore

5.5 - Altre riflessioni

5.6 - Un piccolo lessico per precisare

UD 6 - Casi della filologia d’autore

Sono presentati alcuni casi della letteratura italiana nei quali il filologo ha a disposizione gli autografi e gli originali di un testo: è così possibile verificare modi e tecniche dell'operazione filologica.

6.1 - Che cos’è la filologia d’autore

6.2 - Il codice degli abbozzi di Petrarca

6.3 - I Promessi Sposi di Manzoni nelle due redazioni

6.4 - La chiesa antica di Gadda dall’abbozzo alla stampa

6.5 - Le Poesie di Vittorio Sereni

6.6 - Le edizioni postume

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UD 7 - Immagini di filologia d’autore

Si presentano immagini tratte dalle edizioni critiche relative agli autori trattati nell'UD 6 per verificare il passaggio dall'autografo alla sua rappresentazione nelle edizioni critiche e i modi descrittivi adottati negli apparati filologici.

7.1 - Autografo ed edizione critica di un componimento di Petrarca

7.2 - Le due redazioni dei Promessi Sposi in interlinea

7.3 - Dagli abbozzi autografi di Gadda all'edizione critica

7.4 - Edizione critica di una poesia di Sereni e apparati critici

7.5 - Dattiloscritto con note autografe di Pasolini; edizione a stampa del dattiloscritto

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UD 1 - Che cos’è un errore, che cos’è una variante

Vengono presentate le definizioni di alcuni concetti basilari, a partire da quello di originale, cui seguono quelli di errore e di variante, fra loro connessi.

1.1 - Premessa

1.2 - Definizione di originale

1.3 - Definizione di errore

1.4 - Definizione di variante

1.5 - Cautele operative

1.1 - Premessa

In questo modulo si trattano due aspetti del testo che riguardano sia l’autore sia i trascrittori del testo stesso: l’errore, che altera e sfigura il testo originale, e le modifiche del testo, che, presentandolo in altra forma o ordine, danno comunque un senso. Tanto l’autore quanto i trascrittori possono compiere errori e/o introdurre varianti: vedremo come l’editore critico si comporta davanti alle due situazioni.

I concetti generali di errore e di variante presuppongono un termine di riferimento in base al quale si definiscono (in generale l’errore è un allontanamento dalla verità o da una norma stabilita; la variante è la modifica apportata a qualcosa che già esiste); in filologia il confronto si effettua con l’originale del testo. È opportuno allora distinguere le situazioni in cui l’originale è conservato, e quelle in cui l’originale perduto è da ricostruire.

1.2 - Definizione di originale

Per poter stabilire che cosa è un errore occorre partire dal concetto di "originale di un testo" o semplicemente "originale". In genere si pensa all’originale come a un testo privo di ogni errore, perfetto: ma si è già visto che nella realtà dei fatti la situazione non è mai così schematica, perché l’autore stesso può sbagliare (sia quando compone – per esempio, nella fretta di mettere per iscritto il suo pensiero lascia incompleta una parola o una frase, scrive una parola per un’altra –, sia quando trascrive il proprio testo), ma soprattutto perché il lavoro dei trascrittori (copisti o tipografi) è soggetto a inesattezze per una serie di fattori che saranno esaminati in seguito.

È facile capire che il concetto di originale è sfuggente e sottile: tuttavia per convenzione si afferma che l’originale è il testo controllato dall’autore (può essere autografo, dattiloscritto, stampato da file, a stampa su libro, rivista e simili pubblicazioni; o, in assenza, un esemplare necessariamente esistito) dal quale è discesa tutta la tradizione successiva, ed è l’originale quello che l’editore critico

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deve proporre al lettore. Per ragioni operative, è comunque opportuno e prudente ritenere che, in via generale, l’originale sia privo di errori.

Inoltre l’idea comune di originale è quella di un dato statico, definitivo, ma si tratta di una schematizzazione di comodo: infatti ogni opera letteraria è il risultato di un lavoro continuo, di ritocchi e riscritture, che passa attraverso successive redazioni, tutte rispecchianti la volontà dell’autore, come dimostrano gli autografi di molti scrittori e le stampe da loro controllate e autorizzate. In tale caso abbiamo più originali.

1.3 - Definizione di errore

In filologia si definisce "errore" ogni deviazione dal testo originale voluto dall’autore presentata in un testimone del testo, e questo vale sia quando l’errore è palesemente tale (il testo non dà più senso, contiene uno sbaglio evidente) sia quando l’errore conferisce comunque un senso al testo, ma non corrisponde alla volontà dell’autore. L’ultimo caso è particolarmente subdolo perché l’errore ha l’apparenza di correttezza, ma in realtà si allontana da quanto l’autore ha scritto.

Quando l’originale è perduto, come nel caso delle letterature classiche, di buona parte della letteratura italiana antica e moderna e di alcune situazioni di quella contemporanea, l’edizione critica usa le copie e le interroga per ricostruire l’originale, del quale offre l’immagine più fedele possibile. In tal caso però manca il termine di riferimento per valutare una lezione come errore, ed è proprio l’individuazione dell’errore il compito più difficile per l’editore critico: "Il riconoscimento dell’errore (in quanto anomalia, singolarità, nonsenso, etc.), sia esso dell’archetipo o dell’autore, implica sempre un certo grado di rischio per l’operatore" (Avalle, Principî di critica testuale: 89).

1.4 - Definizione di variante

Con "variante" si indica una lezione in forma diversa rispetto a un’altra e dotata di senso. Si è detto che, nel caso di tradizioni prive di originale, parte delle varianti si rivelano errori in base alla classificazione dei testimoni. Nel caso di originale o di originali conservati, le varianti mostrano le fasi rielaborative dell’autore e hanno tutte carattere di autenticità. Qui esaminiamo la tipologia delle varianti.

"Varianti sostanziali" sono quelle che riguardano la sostanza della lezione: per esempio casi di sinonimie, vicolo scuro e vicolo buio; strada buia e via buia; cambio d’ordine delle parole, né mai m’udrò chiamare figlia vostra e né m’udrò mai chiamare figlia vostra. Sempre sostanziali sono le varianti che mostrano spostamenti di frasi o di sezioni, aggiunte o eliminazioni di testo (se riguardano porzioni ampie del testo si parlerà di "macrovarianti").

"Varianti formali" sono quelle che riguardano la forma linguistica della lezione, la sua superficie, e si possono suddividere in varianti grafiche (umano e humano), fonetiche (buono e bono), morfologiche (questo e chisto), utili a caratterizzare i testimoni che le presentano (per esempio, nei

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testi antichi un copista di una certa regione italiana tende ad adattare le forme del testo che trascrive alle proprie abitudini grafiche e fonetiche).

Non è sempre facile distinguere variante sostanziale da variante formale, perché nel caso di autori assai sensibili anche alla sostanza fonica e linguistica delle parole qualsiasi modifica della forma equivale per loro a una modifica della sostanza.

1.5 - Cautele operative

L’editore critico deve impegnarsi a fondo nel distinguere l'errore dalla variante: da tale distinzione dipende la correttezza del suo lavoro, soprattutto nel caso di testi a tradizione plurima (tramandati da più di un manoscritto) per i quali si usa il metodo interpretativo di impronta lachmanniana, che sugli errori significativi (3.3) fonda la classificazione dei testimoni e la conseguente costituzione (o ricostruzione) del testo originale. Anche nel caso di testimone unico, prima di correggere una lezione che viene giudicata un errore, è necessario aver tentato la sua difesa d’ufficio con tutti i mezzi.

Prima di accogliere nel testo critico una lezione come autentica e degradare una sua variante a errore, l’editore critico deve aver fatto ricorso a tutte le competenze culturali per capire e difendere le ragioni della lezione sospetta. C’è infatti il rischio che siano le carenze informative dell’editore a trasformare in errore quello che è corretto o ammissibile.

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UD 2 - Errori di copia

Si passano in rassegna i principali meccanismi che provocano gli errori nelle copie di un testo e le definizioni tecniche degli errori più comuni.

2.1 - Come nasce un errore

2.2 - Fasi di copiatura

2.3 - Principali tipologie di errori I

2.4 - Principali tipologie di errori II

2.5 - Meccanismi di diffusione dell’errore

2.1 - Come nasce un errore

A tutti è capitato di trascrivere un testo e di verificare che il testo trascritto è stato in vario grado modificato. Le ragioni del fenomeno sono diverse: l’eccessiva lunghezza del testo da copiare che causa fatica, provoca noia e distrazione, con un calo di attenzione generale; la grafia del nostro modello che è difficile da decifrare e alle volte si interpreta male, e così via. Queste e altre cause sono alla base degli errori che compaiono anche nelle copie di opere letterarie.

Lo studio e l’analisi dei più comuni errori commessi dai copisti e dai tipografi hanno permesso di catalogare tali comportamenti, che aiutano l’editore critico a riconoscere e comprendere le cause di un errore e a proporre una motivata correzione. Infatti "gli errori sono tanto più facilmente correggibili quanto più chiaro è il meccanismo attraverso cui si sono prodotti, e si sa, d’altronde, che (tenuto conto del contesto e dello stile dell’autore) il migliore emendamento [sinonimo di correzione] è quello che spiega l’errore" (Brambilla Ageno, Gli errori auditivi nella trasmissione dei testi letterari: 105).

Esistono poi errori legati agli strumenti specifici mediante i quali è stato copiato il testo: per esempio, nel caso della tipografia fra Quattro e Cinquecento, dove i singoli caratteri venivano tenuti in cassette separate e poi riuniti per comporre il testo, era facile che l’operatore prendesse una lettera al posto di un’altra; altro scambio possibile è nell’uso della tastiera, nelle macchine per scrivere prima e nei computer poi, dove l’ordine delle lettere può variare da una tastiera all’altra. Molti di questi errori sono evidenti per aver tolto senso al testo, ma alcuni di essi possono aver lasciato nei testi errori passati inosservati.

Tutti questi errori vengono compiuti ancora oggi in ogni processo di copia materiale da un esemplare all’altro, come è facile constatare anche nella lettura dei quotidiani. Forse la tecnica elettronica di copiatura di testi potrà inserire nuove tipologie di errori non ancora classificate.

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2.2 - Fasi di copiatura

Davanti a un testo da copiare il trascrittore compie quattro passaggi: lettura del testo, memorizzazione, autodettatura, scrittura. In ciascuna fase sono possibili alterazioni del testo legate tanto a fattori esterni (condizioni di luce, stato del testo modello, della penna) quanto a difficoltà del trascrittore che può compiere errori ottici, confondendo segni grafici simili ma di valore diverso (facili soprattutto con lettere come i u m n, che nei manoscritti tendono a confondersi; coi numeri tracciati con altro segno), ignorando la presenza di compendi e di abbreviature (segni tachigrafici e forme contratte, per esempio a

�a = anima). Nel corso della memorizzazione alcune parole possono

cadere e non essere sostituite durante l’autodettatura e la scrittura; oppure certi termini vengono quasi spontaneamente sostituiti, come quelli poco familiari al copista.

Ci sono poi diversi atteggiamenti davanti a un modello che condizionano la qualità della copia: per esempio velocità di lettura col risultato di una visione a volo del testo, senza un’attenta decifrazione delle parole. Tale lettura sintetica provoca spesso la sostituzione di termini con altri simili, l’omissione di parole brevi.

Nel loro complesso tali errori sono definiti "involontari", perché il copista li provoca senza rendersene conto, non sono risultato di una modifica intenzionale del testo ma solo l’effetto di un meccanismo psicologico attivo durante l’attività di copiatura. Tuttavia per alcuni di essi è incerto dove finisca il riflesso condizionato e dove cominci l’intervento consapevole: quando il trascrittore decide volontariamente di modificare il testo del suo modello, avremo degli errori "volontari" (errori in quanto si allontanano dalla volontà dell’autore).

2.3 - Principali tipologie di errori I

Si presenta qui di seguito un primo elenco di errori suddivisi per tipologia.

Aplografia: risultato dell’omissione di una sillaba o di lettere identiche di una parola: sperperare diventa sperare, rimorso diventa riso, liberalità diventa libertà.

Dittografia: ripetizione immediata di una parola (se ne interessa diventa se se ne interessa) o di una sillaba o di lettere identiche di una parola (sperare diventa sperperare, immediato diventa immemediato).

Banalizzazione: sostituzione di una lezione che al trascrittore suona insolita con una a lui più familiare, di solito col risultato di una semplificazione. Per esempio, il passaggio da ciciliano (forma diffusa nell’italiano antico per "siciliano") a siciliano. Benché riguardi termini dotti, è una banalizzazione il passaggio da eufuismo (tendenza della cultura inglese del Seicento a un complesso linguaggio metaforico) a eufemismo (termine sostitutivo di parole o espressioni crude o volgari). Il fenomeno è detto anche "trivializzazione".

Errore d’anticipo: avviene quando il trascrittore anticipa una parola della frase che sta copiando e la trascrive in un punto sbagliato precedente quello in cui va collocata. In Purgatorio 25, 73 nel codice siglato Mad si legge "ciò che tira attivo quivi, tira / in sua sustanzia"; il copista si accorge

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dell’errore e sostituisce tira, parola in rima anticipata, con l’esatto trova del suo modello (Inglese, Come si legge un'edizione critica: 138).

Errore di ripetizione: consiste nella ripetizione di una parola che, oltre a occupare il suo posto, sostituisce una seguente. L’ultimo verso della lauda Donna de paradiso di Iacopone da Todi presenta in tutti i testimoni una ripetizione incongrua dell’ultima parola del penultimo verso: "trovarse abraccecati / matre e figlio abraccecato" (Brambilla Ageno, L'edizione critica dei testi volgari: 55).

2.4 - Principali tipologie di errori II

Questo secondo elenco di errori divisi per tipologia completa la rassegna utile ai fini di questa UD.

Errore per omeoteleuto: omissione di una porzione di testo compresa fra due parole uguali (caso a) o che hanno un’identica parte finale (caso b).

(a) Il brano originale dello Zibaldone di Giacomo Leopardi (1798-1837) si presenta così: "il riflesso di detta luce, e i vari effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce in luoghi dov’ella divenga incerta e impedita"; una trascrizione che si lascia suggestionare dall’omeoteleuto (letteralmente "identica fine") provocherà una lacuna nel testo originale: "il riflesso di detta luce in luoghi dov’ella divenga incerta e impedita". L’occhio del trascrittore è saltato dalla prima luce alla seconda luce, ignorando quello che sta in mezzo, ossia "e i vari effetti materiali che ne derivano; il penetrare di detta luce". Il fenomeno è definito anche, con terminologia francese, saut du même au même (= salto fra due identiche parole), oppure "pesce".

(b) Questo è un passo dalle Lezioni americane di Italo Calvino (1923-1985): "Nel cinema l’immagine che vediamo sullo schermo era passata anch’essa attraverso un testo scritto, poi era stata "vista" mentalmente dal regista, poi ricostruita nella sua fisicità sul set, per essere definitivamente fissata nei fotogrammi del film". Per effetto dell’omeoteleuto può diventare così: "Nel cinema l’immagine che vediamo sullo schermo era passata anch’essa attraverso un testo scritto, poi era stata "vista" definitivamente fissata nei fotogrammi del film".

Errore per omeoarchia: omissione di una porzione di testo compresa fra due parole che hanno un identico inizio, per esempio imprevedibile e improvviso.

Errore per fraintendimento di compendio: la mancata comprensione di abbreviazioni e di scritture sintetiche provoca equivoci di lettura e quindi di trascrizione. Vita nova 5, 14 "voglio che dichi certe parole per rima" diventa in una stampa cinquecentesca "voglio che dichi certe parole prima": il tipografo non deve aver visto o compreso che il per era in forma abbreviata (una p tagliata da un tratto [ ]) e lo ha legato alla parola seguente (Inglese, Come si legge un'edizione critica: 134).

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Errore per travisamento grafico: le modifiche della scrittura, studiate dalla paleografia (vedi il modulo Finalità e metodi della filologia, UD 3.2), provocano equivoci su segni simili che hanno valore diverso in diversi tipi di scrittura: per esempio la s veniva scritta anche nella forma lunga (

�),

che per il nostro sistema grafico si può confondere con la f .

2.5 - Meccanismi di diffusione dell’errore

Un errore infiltratosi nella tradizione di un testo può passare inosservato o può essere corretto dal trascrittore: più facile e quasi immediato è il rimedio a una svista minima di scrittura o di battitura, più complesso è l’intervento su errori subdoli o su alterazioni vistose ma che non si riescono a correggere per congettura, ossia attraverso una supposizione, un'ipotesi costruita senza l'aiuto dei dati della tradizione (per esempio le "lacune", ossia le cadute di porzioni del testo). Talvolta i trascrittori tentano una correzione e intervengono col risultato di complicare la situazione testuale, perché sostituiscono errore a errore o cancellano le tracce dell’errore individuato.

Un caso particolare di diffusione di errori è stato definito da Gianfranco Contini "diffrazione", con termine tipico dell’ottica (propagazione della luce secondo direzioni diverse da quelle previste dall’ottica geometrica per la presenza di piccoli ostacoli o dopo il passaggio in fenditure). Esso consiste nella sostituzione della lezione originaria, di solito particolarmente complessa e difficile, con varianti equivalenti che la banalizzano in modo diverso. Se fra le lezioni presenti nella tradizione la lezione originaria si è conservata, avremo la "diffrazione in presenza"; se invece essa è scomparsa, si parla di "diffrazione in assenza". In entrambi i casi la lezione originaria deve avere delle caratteristiche tali da spiegare le cause delle altre varianti erronee. La tradizione di un verso di un sonetto di Cecco Angiolieri (1260 circa - prima del 1313) presenta un verbo all’infinito nelle varie forme menomare, meno avere, xmemorare, manco avere: i testimoni si allontanano tutti dalla forma originale menovare ("possedere ancora meno"), assente nella tradizione ma presente nel volgare toscano del Duecento, che spiega l’origine delle varianti (Brambilla Ageno, L'edizione critica dei testi volgari: 119).

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UD 3 - Ancora errori

Gli errori vengono considerati in rapporto alla funzione di guida nella preparazione di un'edizione critica e se ne indicano le principali caratteristiche a tale proposito.

3.1 - Errore monogenetico

3.2 - Errore poligenetico

3.3 - Errore guida o significativo

3.4 - Errori congiuntivi

3.5 - Errori separativi

3.1 - Errore monogenetico

Si definisce "monogenetico" l’errore che si è sviluppato da un’unica origine e che accomuna i testimoni che lo riportano; esso è tale da rendere altamente improbabile che due trascrittori lo abbiano compiuto in modo indipendente l’uno dall’altro. La scoperta di un simile errore rende sicura la relazione che unisce i testimoni nei quali viene rintracciato: "così come in un processo i testimoni diventano sospetti di collusione quando si scopre che dicono una menzogna identica e tanto caratteristica da far pensare a un accordo preventivo, non a coincidenza fortuita. Sarebbe invece insufficiente prova di collusione constatare che dicono la verità o che le loro testimonianze coincidono in banali inesattezze" (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 103-104).

Per esempio, un verso di Guittone d’Arezzo (1230 circa - 1294) compare in tutti i manoscritti inferiore alla misura regolare del verso stesso, ossia ipometro: "Capitano d’Arezzo Tarlato". Per confronto con le altre strofe del componimento, si deduce che si tratta di un’invocazione, rimasta priva dell’O vocativo. È improbabile che tutti i copisti abbiano commesso la stessa omissione per proprio conto, pertanto l’errore è di tipo monogenetico (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 128-29).

3.2 - Errore poligenetico

Un identico errore che si è verificato nei singoli testimoni in modo autonomo, ossia in modo indipendente presso trascrittori diversi che operano in diverse condizioni di tempo e di spazio, si definisce poligenetico. Proprio per la sua caratteristica di potersi riproporre più volte a persone diverse, esso non è in grado di spiegare nulla sui rapporti esistenti fra i testimoni che lo presentano.

Rientrano in questa categoria i risultati di banalizzazione (2.3), scioglimento erroneo di compendi (2.4), il saut du même au même (2.4).

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3.3 - Errore guida o significativo Nel caso dell’edizione critica di un testo privo di originale a tradizione plurima, le due categorie di errore monogenetico e di errore poligenetico sono fondamentali per tracciare i rapporti fra i testimoni ed elaborare lo stemma. Gli errori che sono in grado di spiegare in modo inequivocabile le parentele fra i manoscritti sono definiti "errori guida" o "errori significativi". Essi provano i raggruppamenti in diverse famiglie, le loro discendenze e le loro diramazioni. Pertanto gli errori di natura poligenetica non hanno valore di errori guida, mentre quelli monogenetici sono fondamentali per stabilire il collegamento fra due testimoni.

3.4 - Errori congiuntivi

Gli "errori congiuntivi" uniscono più testimoni contro altri perché non possono essere stati compiuti dai copisti indipendentemente, devono quindi risalire a un’origine comune.

Di tale natura sono i casi di Iacopone da Todi e di Guittone d’Arezzo che abbiamo presentato in 2.3 e 3.1.

Di solito gli errori congiuntivi non hanno valore separativo, perché provano la connessione di alcuni testimoni ma non li separano dal resto della tradizione, che infatti può aver corretto per congettura gli errori che invece hanno commesso altri testimoni.

3.5 - Errori separativi

Gli "errori separativi" provano l’indipendenza di uno o più testimoni da un altro o da un altro gruppo, perché non sono correggibili per congettura (questo vale quando la tradizione del testo è incontaminata e la lezione dell'archetipo o dell'originale è ricostruibile in base alla legge della maggioranza - si parla allora di recensione chiusa -: vedi il modulo Finalità e metodi della filologia, UD 4.4 e 4.5). Un errore separativo isola il testimone integro dalla tradizione che presenta la corruttela (sinonimo di errore, di lezione deteriorata). Infatti il testimone che è privo dell’errore congiuntivo non è copia o discendente del testimoni dove tale errore compare, ma è indipendente. Un tipico caso di errore separativo è la lacuna che non si può rimediare per congettura; non sono invece errori separativi le lacune meccaniche verificatesi in un esemplare dopo la trascrizione di alcune copie, e nemmeno quelle causate da omeoteleuto (2.4).

In via di massima, gli errori separativi possono anche avere valore congiuntivo.

In Paradiso 26, 99 Dante spiega che un animale avvolto in una coperta manifesta il proprio sentimento attraverso i movimenti dell’involucro, chiamato invoglia: "per lo seguir che face a lui la ’nvoglia" (dove il termine è diventato per aferesi ’nvoglia). Alcuni codici presentano la lezione "per lo seguir che face a lui la voglia". La voglia è errore separativo che isola le copie in cui compare da quelle che non l’hanno; e la lezione originale ’nvoglia è troppo difficile perché possa essere recuperata per congettura (Inglese, Come si legge un'edizione critica: 61, 82).

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UD 4 - Varianti di copia

Si presentano le principali tipologie di varianti che compaiono nelle copie di un testo privo di originale e si illustrano i modi per scegliere criticamente quale fra le varianti accogliere nel testo critico.

4.1 - Quali varianti scegliere: un sistema meccanico

4.2 - Quali varianti scegliere: un sistema dialettico

4.3 - Varianti irriducibili

4.4 - Varianti di copia o varianti d’autore?

4.5 - Altri tipi di varianti

4.1 - Quali varianti scegliere: un sistema meccanico

Abbiamo visto che, in assenza dell’originale, le copie successive presentano alcune lezioni che, pur non essendo errori significativi, divergono fra di loro senza alterare il senso e la scorrevolezza del testo. L’editore critico deve scegliere fra le varianti presenti nelle copie quella da porre nel testo critico, e per farlo motivatamente dovrà fondarsi sullo stemma, che gli consente di valutare in modo probabilistico l’autenticità della variante prescelta. L’espressione "a norma di stemma" indica la scelta obbligata dalla struttura stessa dell’albero genealogico, quando i rami di discendenza dall’archetipo sono almeno tre: risulta infatti più probabile che la lezione alternativa presente in due testimoni sia stata riprodotta correttamente rispetto a quella innovativa di un terzo testimone. In un caso simile si applica la legge della maggioranza.

Occorre precisare che maggioranza non indica il numero complessivo delle copie che presentano una specifica variante, ma indica la maggioranza dei discendenti immediati all’interno di ciascun raggruppamento. Nel caso di uno stemma come quello riprodotto nell'immagine, la presenza della ipotetica variante 1 strada in A + B e della ipotetica variante 2 via in C + D + E + F indica che le

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due varianti compaiono in a e in b, quindi c’è una situazione di parità e la legge della maggioranza non si può applicare. Se invece avremo la variante 1 strada in E + F contro la variante 2 via in C + D, la scelta va alla variante 2 di C + D, perché E + F rappresentano c, che discende da b, ossia rappresentano un solo ramo e valgono uno; è più probabile attribuire alla maggioranza, ossia C + D, una fedeltà di trascrizione della variante 2 presente in b, mentre il solo c l’ha modificata.

4.2 - Quali varianti scegliere: un sistema dialettico

Se, come spesso si verifica, la tradizione di un testo non è chiusa da un archetipo e risale quindi a più di un originale (o a un originale mobile, con varianti d’autore aggiunte in diversi momenti), non si può applicare la legge della maggioranza, perché i rami possono dipendere ciascuno da un originale distinto. Occorre allora trovare altri criteri di scelta, che giustifichino per altra via la validità della variante prescelta rispetto ad altre equivalenti. I principali sono quelli dell’usus scribendi e della lectio difficilior.

4.3 - Varianti irriducibili

Quando è impossibile dimostrare l’esistenza di un archetipo della tradizione, attraverso la presenza di un errore significativo nell’intera tradizione, e non si riesce nemmeno a provare che le testimonianze risalgono a un unico originale, "ogni linea di tradizione va considerata come portatrice di un testo a sé" (Inglese, Come si legge un'edizione critica: 91).

In casi simili l’editore critico si trova davanti a redazioni diverse del testo che hanno carattere di equivalenza. Se non si trovano dati esterni che aiutano a riconoscere la versione originale del testo, l’editore critico pubblica il testo nelle sue diverse redazioni, giustificando la sua scelta di non scegliere. Si tratta di un paradosso che sembra annullare il senso dell’ecdotica: in realtà è un tratto di onestà scientifica dichiarare, con le opportune dimostrazioni e argomentazioni, che la tradizione non presenta elementi per costruire uno stemma chiuso. Il testo viene costituito in modi diversi o addirittura si offrono più testi tra i quali non si può decidere quale sia l’originale. La dichiarazione di impotenza dell’editore critico è preferibile alla costruzione di un falso dall’apparenza rassicurante. A tale proposito si può rivedere il caso del sonetto di Cavalcanti presentato nel modulo Finalità e metodi della filologia, UD 6.1, 7.6, 7.7.

4.4 - Varianti di copia o varianti d’autore?

Nell’esame delle varianti conservate dalla tradizione può nascere il dubbio che alcune di esse possano risalire all’autore stesso. È documentato il caso di scrittori che introducono modifiche nel testo di una loro opera, dalla quale sono già state tratte alcune copie: la nuova generazione di copie riproduce i nuovi interventi, che si chiamano appunto "varianti d’autore" (5.4).

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Distinguere le varianti di tradizione da quelle d’autore è estremamente difficile in assenza di originali accertati; anche quando si ha notizia che l’autore ha ritoccato il suo testo in diversi momenti, è difficile identificare le sue varianti rispetto a quelle introdotte dai trascrittori.

Dante dichiara nella Vita nova di aver composto due diversi inizi di un identico sonetto e li riporta. La tradizione delle rime dantesche presenta infatti il testo nelle due redazioni; se non avessimo avuto la dichiarazione di Dante, sarebbe risultato arduo dimostrare quale delle due varianti risaliva all’autore.

Quando non ci sono elementi sufficienti a distinguere l’autentico dal non autentico, l’editore critico propone le redazioni alternative, evitando di mescolarle e di creare, così, un testo immaginario.

4.5 - Altri tipi di varianti

Un altro tipo di varianti è quello rappresentato dall’assenza o dalla presenza di porzioni di testo, o da modifiche strutturali dell’intera opera. L’editore critico si serve di tutte le risorse disponibili per capire le ragioni di tali ritocchi profondi e riconoscere quelli autentici, esaminando i dati della tradizione e le informazioni esterne a essa. L’assenza di autografi e di testimonianze di prima mano obbligano l’editore critico a usare estrema cautela prima di dichiarare autentico un rimaneggiamento, soprattutto quando il testo in esame è avvertito dai trascrittori come aperto ai liberi interventi, come avviene per le compilazioni di varia natura, i testi scolastici (grammatiche, opere scientifiche e giuridiche, commenti, ecc.), le cronache.

A tal proposito si distingue fra interpolazioni e rifacimenti: l’"interpolazione" è l’aggiunta di parti non originali all’interno del testo (per esempio una nota di commento che è stata inglobata nel testo senza segni distintivi; un’aggiunta con dati storici successivi a quelli della stesura originale certa), il "rifacimento" è una riscrittura di tipo linguistico, stilistico di un originale. La prima si presenta come intervento abusivo con intento di spiegazione, di interpretazione o anche di falsificazione dell’originale; il secondo invece ha più i caratteri di opera autonoma dall’originale, anche se lo ricalca da vicino.

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UD 5 - Errori e varianti degli autografi

Vengono presentati i casi nei quali l'originale di un testo contiene errori e varianti, e si illustrano i comportamenti adottati dall'editore critico in simili circostanze.

5.1 - Il filologo davanti agli originali

5.2 - Criteri di massima

5.3 - Limiti delle rettifiche di autografi

5.4 - Varianti d’autore

5.5 - Altre riflessioni

5.6 - Un piccolo lessico per precisare

5.1 - Il filologo davanti agli originali Nell’unità didattica 1 abbiamo definito che cosa è un originale (1.2). L’originale di un testo può esistere sotto diverse forme: di autografo (in forma definitiva o nei suoi stadi successivi) eseguito dalla mano dell’autore, di manoscritto o di stampa eseguiti da terzi sotto il controllo diretto dell’autore (si usa il termine "idiografo"), di edizioni a stampa curate dall’autore. Possono poi esistere più originali di un medesimo testo, secondo le combinazioni più varie: per esempio abbozzo autografo, bella copia idiografa, più edizioni autorizzate, edizione autorizzata con correzioni autografe.

In questi casi l’editore critico lavora a contatto diretto con gli autografi o con gli originali, ma non per questo il suo intervento è privo di responsabilità o semplificato. Anche nel caso della riproduzione diplomatica o diplomatico-interpretativa di un testo il filologo interviene sui dati materiali dell’autografo e li valuta; anche quando conserva, il filologo ha operato una scelta che deve motivare. Nel caso poi di autografi particolarmente tormentati da cancellature, riscritture, correzioni di varia natura, l’editore critico cerca di ricostruire le diverse fasi della scrittura e di tracciare una storia dell'evoluzione del testo, il che significa in molti casi procedere a una verifica dei processi di invenzione letteraria (non nel senso di una libera fantasia, ma nel significato retorico di reperimento di contenuti) e realizzare una concreta analisi stilistica della scrittura.

5.2 - Criteri di massima

Nella letteratura italiana gli autografi e gli originali conservati diventano sempre più numerosi quanto più ci si avvicina all’età moderna e contemporanea. La conservazione di tali documenti è resa possibile dalla consapevolezza dell’importanza di simili reperti, estremamente variabile nel corso delle varie epoche sulla base di fattori culturali e sociopolitici.

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Tra gli autografi più antichi ancora esistenti si possono ricordare quello della Cronica in latino del frate francescano Salimbene de Adam (1221-1287 circa), il manoscritto mutilo siglato Vat. lat. 7260 (ossia appartenente alla Biblioteca Apostolica Vaticana della Città del Vaticano e collocato nel fondo denominato "Vaticano latino") e, fra i numerosi dovuti a Francesco Petrarca, il codice degli abbozzi (Vat. lat. 3196) e il codice in bella copia (Vat. lat. 3195, in parte idiografo) relativi al Canzoniere (vedi 6.2).

L’editore critico davanti a un originale conservato adotta sempre un criterio conservativo, di piena aderenza alla forma e alla sostanza del testo, ma tiene conto anche della natura di tale originale.

Se il testo è in evoluzione (presenta ritocchi, correzioni, ecc.), egli ne descrive la fisionomia e tenta di interpretarne le fasi, con il massimo di fedeltà possibile, conservando tutto, anche gli errori, che in tal caso riguardano un momento di scrittura anteriore alla sua stesura definitiva o alla sua pubblicazione (il cosiddetto "avantesto"). Se il testo è in forma definitiva, ossia in copia pronta per la divulgazione, l’editore critico interviene solo sugli errori evidenti (sviste, incongruenze che non si possono giustificare in altro modo), di fatto quegli stessi errori commessi dai trascrittori che sfuggono anche agli autori quando si fanno trascrittori di se stessi. Davanti a punti problematici del testo, dove non è chiaro se si tratta di errore o di volontà espressiva, l’editore critico discute il problema in apparato e, se ritiene, effettua una correzione, oppure lascia irrisolto il testo.

5.3 - Limiti delle rettifiche di autografi Si è visto che prima di intervenire su un testo tramandato da copie il filologo deve usare la massima cautela. Davanti agli autografi, la cautela sarà ancor più alta; tuttavia, occorre evitare il loro rispetto acritico e considerare se una correzione si giustifica nell’economia complessiva del testo e delle abitudini dell’autore.

Nell’autografo del poema eroico in ottave Teseida di Boccaccio (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Acquisti 325), su 9898 versi uno solo presenta un verso endecasillabo di tredici sillabe: l’editore critico potrebbe difficilmente conservarlo sostenendo che rispecchia la volontà d’autore; infatti si può considerare casuale la deviazione isolata rispetto alla regolare versificazione dei restanti endecasillabi. Anche lo scambio di nomi in una sequenza di dialogo fra due personaggi è un errore di facile correzione; più complesso è risolvere lo stesso caso con tre o più personaggi.

Diverso è il comportamento davanti a errori di natura culturale, ossia errori corrispondenti alle informazioni disponibili all’autore: in questi casi l’editore critico deve mantenere la lezione errata e segnalare il fatto in una nota esplicativa. Nel componimento Elegia di Pico Farnese Eugenio Montale (1896-1981) chiama i frutti del kaki diàspori, forma errata dovuta a storpiatura del corretto diòsperi: tale errore, ripetuto in tutte le redazioni ed edizioni a stampa del testo, è stato corretto solo nell’edizione definitiva dell’intera Opera in versi per volontà dell’autore. Senza il suo consenso, l’editore critico sarebbe stato impossibilitato a correggere, perché diàspori, per quanto sbagliato, compare più volte negli originali di Montale e rispecchia – in via presunta, poi confermata – una forma che per lui era esatta. Se questo caso si fosse presentato in una tradizione priva di originali, l’editore avrebbe avuto due possibilità: o assegnare la forma scorretta diàspori all’archetipo, quindi correggerlo in diòsperi nel testo critico (che intende rispecchiare, si è detto, l’originale che si presume corretto); o sostenere che diàsperi era errore d’autore non correggibile, perché egli non poteva conoscere altra forma, e mantenerlo nel testo critico.

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5.4 - Varianti d’autore

Le "varianti d’autore" documentano il processo elaborativo dello scrittore, sia sui manoscritti sia sulle stampe, in relazione a un testo che egli compone, rivede, corregge, modifica secondo fasi successive. Lo studio e la pubblicazione delle varianti d’autore permettono di entrare nel laboratorio dell’autore e di verificare, quando è possibile, il percorso compiuto dal testo per arrivare a un determinato stadio della sua evoluzione. L’edizione critica deve stabilire quale fase del testo intende restituire (di solito è quella finale, l’ultima in ordine di tempo, ma può anche essere un'altra di particolare rilevanza) e a partire da questa deve ricostruire i modi e i tempi di scrittura attraverso i quali si è arrivati a tale stadio.

I diversi tipi di varianti vengono così denominati in relazione alla loro modalità di esecuzione: aggiunta, sostituzione, permutazione, soppressione (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 182); "varianti alternative" sono invece quelle che l’autore ha segnato ma senza poi indicarne la destinazione d’uso. Dei vari movimenti del testo prima e dopo la lezione accolta nel testo critico danno conto gli apparati: si definisce "genetico" quello che descrive le fasi attraverso le quali si è costituita la lezione promossa a testo; "evolutivo" quello che registra i tentativi di correzioni ulteriori. Se le correzioni dell’autore portano al configurarsi di un nuovo testo, profondamente diverso dal primo, si tratta allora di una seconda, terza o plurima redazione, che va trattata separatamente.

5.5 - Altre riflessioni

Compito ulteriore dell’editore critico è quello di stabilire, con la maggior approssimazione possibile, la cronologia relativa delle varianti e valutare quali di esse rientrano in precisi strati omogenei del lavoro correttorio dell’autore. Nel caso di autografi, possono aiutare alcuni elementi materiali (colori diversi di inchiostro o di matite, modifiche della grafia) e la rispondenza di una serie di interventi a precisi criteri stilistici identificabili; nel caso di originali a stampa, oltre a eventuali conferme documentarie esterne (per esempio lettere dell’autore alla casa editrice, ai redattori editoriali), vale soprattutto l’identificazione di interventi omogenei. Quando è incerta l’appartenenza di alcune varianti a uno degli strati individuati, l’editore critico segnala la loro insicura classificazione.

Le liste di varianti danno la sensazione frustrante che l’originale non esiste; va tuttavia ricordato che, se al lettore, abituato a schematizzare, questa mobilità dell’originale crea un inevitabile disagio, agli occhi dello scrittore il processo di scrittura non si configura necessariamente come un tratto lineare che ha un inizio e una fine, ma si pone come un movimento potenzialmente continuo. Ha scritto il poeta simbolista Paul Valery (1871-1945), Au sujet du "Cimitière marin": "Un’opera non viene mai conclusa, ma abbandonata interrompendo in un punto casuale o arbitrario l’infinito processo di trasformazione in cui consiste la vita dello spirito". Di tale movimento deve appunto dare conto l’edizione critica degli autografi e degli originali (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 162).

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5.6 - Un piccolo lessico per precisare

Dei vari termini tecnici è stata offerta una definizione quando sono comparsi per la prima volta; tuttavia alcuni di essi hanno più accezioni che possono generare dubbi. A tale scopo si propongono qui i diversi valori che alcuni di questi vocaboli hanno: sarà il contesto della frase a chiarire in quale senso essi vadano intesi.

"Tiratura" indica a) l’atto di tirare copie a stampa da un’unica matrice; b) l’insieme delle copie stampate da un’unica matrice.

"Ristampa" significa nuova stampa, nuova tiratura di un’opera a stampa, identica alla precedente. Se in tale opera si introducono modifiche sostanziali, allora non si ha più una ristampa, ma una seconda edizione.

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UD 6 - Casi della filologia d’autore

Sono presentati alcuni casi della letteratura italiana nei quali il filologo ha a disposizione gli autografi e gli originali di un testo: è così possibile verificare modi e tecniche dell'operazione filologica.

6.1 - Che cos’è la filologia d’autore

6.2 - Il codice degli abbozzi di Petrarca

6.3 - I Promessi Sposi di Manzoni nelle due redazioni

6.4 - La chiesa antica di Gadda dall’abbozzo alla stampa

6.5 - Le Poesie di Vittorio Sereni

6.6 - Le edizioni postume

6.1 - Che cos’è la filologia d’autore

Come si è cercato di indicare, non esiste una ricetta unica da seguire indiscriminatamente nell’allestimento delle edizioni critiche. Esiste tuttavia una differenza di atteggiamento filologico a seconda se l’originale è perduto, e va ricostruito dalle copie successive attraverso un processo indiziario, o se l’originale o gli originali sono conservati. In rapporto a quest’ultima situazione si è sviluppato un particolare settore dell’ecdotica, definito "filologia d’autore", che si occupa dei problemi e dei metodi "relativi all’edizione di opere conservate da uno o più manoscritti autografi (o idiografi), oppure da stampe sorvegliate dall’autore" (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 155). In questa unità didattica vengono presentati alcuni casi testuali per mostrare i risultati raggiunti entro tale campo d’applicazione della tecnica filologica, che sono poi rappresentati in apparati particolarmente ricchi e talvolta complessi. L’uso dei supporti informatici, al momento limitato a esperimenti per gli addetti ai lavori, potrà offrire anche al lettore un mezzo più immediato per visualizzare in concreto i diversi livelli di intervento (per esempio con evidenziazioni cromatiche ed effetti di movimento), la cui decifrazione richiede però sempre l’interpretazione da parte del filologo.

6.2 - Il codice degli abbozzi di Petrarca

Il manoscritto Vat. lat. 3196 raccoglie 20 fogli autografi di Petrarca, originariamente sciolti, che presentano vari materiali di lavoro, fra i quali una cinquantina di testi poi entrati a far parte dei Rerum vulgarium fragmenta (questa l’intitolazione d’autore, alla quale viene comunemente sostituita quella vulgata, ma non autentica, di Canzoniere). Si tratta di redazioni provvisorie, dalla primissima stesura alla versione pronta per la bella copia, con la presenza di varianti, sostituzioni;

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compaiono poi numerose postille in latino che documentano le circostanze degli interventi, commentano le scelte operate, indicano la necessità di una revisione successiva.

Il manoscritto venne riprodotto a stampa già nel 1642, ed è stato poi ripresentato in diverse edizioni a stampa e in facsimile (riproduzione esatta di un originale mediante immagini fotografiche) che ne mettono in risalto, con opportune tecniche grafiche, gli strati di varianti e le fasi elaborative. Dal momento che di tali testi esiste anche la redazione ultima autografa o idiografa nel Vat. lat. 3195, il codice degli abbozzi è stato presentato e studiato in relazione al prodotto finale, ripercorrendo a ritroso il cammino compiuto dall’autore; nella più recente edizione di Laura Paolino (Petrarca 1996 e Petrarca 2000) sono invece stati valorizzati la dinamica e i processi dell’elaborazione, rovesciando la prospettiva tradizionale e trattando l’abbozzo come documento autonomo. Paolino ha presentato il percorso evolutivo a partire dalla fase più antica, che è messa a testo, in posizione di preminenza, e ha registrato in un apparato evolutivo e diacronico le relative correzioni, varianti e postille, accompagnandolo con indicazioni in forma di discorso, più distese e duttili rispetto a quelle più asciutte dei simboli (vedi le immagini in 7.1).

6.3 - I Promessi Sposi di Manzoni nelle due redazioni

Il romanzo di Alessandro Manzoni (1785-1873) venne pubblicato per la prima volta a Milano fra il 1825 e il 1827 (tale edizione viene definita "ventisettana") sotto il controllo dell’autore, che, insoddisfatto della veste linguistica della propria opera (un insieme artificioso che mescola espressioni letterarie arcaiche, dialettalismi lombardi, francesismi), decise di rivederla adeguandola all’uso vivo della Toscana, senza nulla mutare nella struttura narrativa del libro. Il risultato della revisione fu stampato sempre a Milano in una seconda edizione, uscita a dispense con l’aggiunta di illustrazioni fra il 1840 e il 1842, che rispecchia l’ultima volontà dell’autore (edizione "quarantana"). Tuttavia il confronto tra diversi esemplari della quarantana ha rivelato differenze dovute all’intervento di Manzoni nel corso della stampa: della stessa pagina, per esempio, si trovano copie con varianti introdotte dall’autore dopo che alcune copie di quella pagina erano già state stampate. Gli esemplari della quarantana presentano così accostamenti di vecchio e di nuovo che non rispecchiano la volontà finale manzoniana. Col supporto dei materiali di lavoro oggi conservati presso la Biblioteca Braidense di Milano, i filologi Michele Barbi, Fausto Ghisalberti e Alberto Chiari, hanno ricostruito l’esemplare perfetto, che rispecchia tutte le ultime decisioni di Manzoni, e costituisce l’edizione critica dei Promessi Sposi (Manzoni 1942 e Manzoni 1954).

Trattandosi di uno dei libri fondamentali della letteratura italiana, è stata allestita nel 1971 da Lanfranco Caretti un’edizione che presenta contemporaneamente il testo della ventisettana e della quarantana e ne consente una facile lettura sinottica, che rende possibile verificare il lavoro correttorio grazie a espedienti tipografici (vedi 7.2).

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6.4 - La chiesa antica di Gadda dall’abbozzo alla stampa

Nel caso del racconto La chiesa antica è possibile seguire il viaggio compositivo compiuto da Carlo Emilio Gadda (1893-1973) da un primo abbozzo del testo, siglato A, a una stesura successiva B (vedi 7.3), più vicina, ma non ancora corrispondente, alla stampa in rivista.

Il primo abbozzo si sviluppa progressivamente con una serie di aggiunte testuali che dilatano il nucleo originario, lo modificano fino a trasformarlo in modo irriconoscibile. L’autore è piuttosto metodico nelle fasi del lavoro: usa la penna per il testo e la matita, o varie matite di colori diversi, per le correzioni, cancella passi che riscrive subito sopra la cassatura. Quando la pagina non riesce più a contenere altri ritocchi, Gadda provvede a ricopiare il risultato di questo suo lavoro su una pagina nuova che diventa un’altra copia di lavoro, sulla quale interviene, e che copia di nuovo: così il testo si muove gradualmente, di copia in copia, verso la forma definitiva.

È stato possibile identificare nella stesura B sei diversi strati di revisioni, mentre più difficile è ricavare dati cronologici dalla grafia, che si mantiene sostanzialmente invariata anche nei diversi momenti della copiatura in bella e della correzione di lavoro. L’apparato è genetico e formalizza tutti i movimenti della scrittura, dalle correzioni immediate (eseguite subito, durante la prima stesura, mentre l’autore scrive di seguito) alle correzioni tardive, usando una serie di simboli (che Paola Italia [Italia 1999] chiama abbreviazioni: vedi l’elenco in 7.3) e indicazioni descrittive.

6.5 - Le Poesie di Vittorio Sereni

L’edizione critica delle quattro raccolte poetiche di Vittorio Sereni (1913-1983) è stata pubblicata nel 1995 da Dante Isella (Sereni 1995), pioniere e riconosciuto maestro della filologia d’autore. I testi sono presentati secondo le ultime edizioni approvate dall’autore, mentre gli apparati filologici rispecchiano l’intera complessità dell’elaborazione anteriore, documentata da carte quasi sempre autografe e dalle stampe dei testi in varie sedi, riguardanti la storia interna dei singoli componimenti e delle singole raccolte. Per formalizzare tutta la documentazione disponibile, che si presentava in forme e modi assai complessi, l’editore critico ha costruito un apparato critico diacronico relativo a ogni singolo componimento, disposto in quattro fasce: la prima registra le edizioni d’autore, dalla princeps (editio princeps = prima edizione a stampa) alla raccolta complessiva di Tutte le poesie; la seconda indica tutti i testimoni manoscritti o dattiloscritti d’autore; la terza elenca le apparizioni in giornali e altre sedi; la quarta raccoglie le varianti sostanziali o di forma sia dei manoscritti sia delle stampe e le ordina in sequenza evolutiva. Compare infine, dove necessario, un corredo di citazioni da lettere, dichiarazioni e interviste di Sereni che spiegano elementi testuali e costituiscono di fatto un autocommento.

Gli apparati filologici (vedi le immagini in 7.4) confermano così la posizione conoscitiva di Sereni, che comporta un incessante confronto tra esperienza in atto e dati acquisiti, che vengono continuamente messi in discussione, arricchiti, mutati in un fervido scambio continuo fra passato e presente e tra presente e passato. In questo caso i risultati ottenuti dall’indagine filologica, con la sua mappa descrittiva del modo di lavorare dell’autore, si saldano con le conclusioni cui giunge per altre vie la critica letteraria.

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6.6 - Le edizioni postume

Un caso particolarmente delicato è quello delle edizioni di opere pubblicate dopo la morte dell’autore e che non hanno raggiunto uno stato di rifinitura o sono incomplete: infatti c’è il rischio che il curatore dell’opera, per rendere il testo leggibile, intervenga in modo disinvolto, per esempio aggiungendo parti da lui confezionate, modificando la sequenza dei materiali predisposti dall’autore, tagliando brani ancora bisognosi di ritocchi. L’editore critico di opere postume si comporta invece in modo rispettoso dello stato di elaborazione raggiunto, indicando l’esatto stato del materiale ed evitando manipolazioni per far quadrare i conti a tutti i costi. È un compito particolarmente delicato, soprattutto quando il testo si presenta frammentario, provvisorio, e mancano chiare indicazioni cronologiche e di successione del testo. Un caso limite di tale circostanza è presentato dal materiale di lavoro che Pier Paolo Pasolini (1922-1975) ha lasciato per la stesura del romanzo Petrolio (Pasolini 1992), pubblicato in edizione postuma con criteri di scrupolo filologico che, attraverso segnalazioni grafiche, mostrano al lettore lo stato del testo, le varianti realizzate o indicate, le indicazioni di lavoro per revisioni successive (vedi le immagini in 7.5).

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UD 7 - Immagini di filologia d’autore

Si presentano immagini tratte dalle edizioni critiche relative agli autori trattati nell'UD 6 per verificare il passaggio dall'autografo alla sua rappresentazione nelle edizioni critiche e i modi descrittivi adottati negli apparati filologici.

7.1 - Autografo ed edizione critica di un componimento di Petrarca

7.2 - Le due redazioni dei Promessi Sposi in interlinea

7.3 - Dagli abbozzi autografi di Gadda all'edizione critica

7.4 - Edizione critica di una poesia di Sereni e apparati critici

7.5 - Dattiloscritto con note autografe di Pasolini; edizione a stampa del dattiloscritto

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7.1 - Autografo ed edizione critica di un componimento di Petrarca La prima immagine [fig. 1] riproduce l’autografo di un componimento di Petrarca presente nel codice degli abbozzi, al quale è dedicata l'UD 6.2; la seconda immagine [fig. 2] presenta il risultato dell'edizione critica dello stesso componimento proposto da Paolino (Petrarca 2000). Da notare la diversa disposizione dei versi nell'originale (che li dispone orizzontalmente su due colonne affiancate, com'era normale) e nell'edizione moderna (che li incolonna verticalmente): un adattamento che in ogni caso smarrisce l'originaria percezione visiva del testo e il risalto alla parole-rima.

Fig. 1 Fig. 2

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7.2 - Le due redazioni dei Promessi Sposi in interlinea Le due redazioni dei Promessi Sposi sono così presentate [fig. 1]: in carattere più ampio è il testo della quarantana, mentre nello spazio interlineare è stampato in caratteri più piccoli il testo della ventisettana, nei punti in cui è diverso da quello definitivo. In grassetto compaiono le aggiunte della quarantana. Tale disposizione permette di cogliere immediatamente le varianti linguistiche introdotte da Manzoni nel passaggio dalla redazione ventisettana alla quarantana.

Fig. 1

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7.3 - Dagli abbozzi autografi di Gadda all'edizione critica

Le pagine fotografate riportate in questa cartella riproducono rispettivamente l’abbozzo A e la stesura B de La chiesa antica di Gadda presentati nell'UD 6.4 [fig. 1 e fig. 2]. Segue l'elenco dei simboli adottati per descrivere lo stato di A e B nell’edizione critica [fig. 3]; Paola Italia (Italia 1999) li definisce abbreviazioni. Compaiono infine le pagine relative all’edizione critica di A e B con la fascia dell’apparato critico [fig. 4 e fig. 5]. Da notare i numerosi simboli critici usati per descrivere la varia fenomenologia degli autografi.

Fig. 1 Fig. 2

Fig. 3

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Fig. 4 Fig. 5

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7.4 - Edizione critica di una poesia di Sereni e apparati critici

Questa cartella contiene, nell’ordine, il testo critico de I ricongiunti di Sereni [fig. 1], al quale è dedicata l'UD 6.5, e il relativo apparato critico secondo le fasce critiche descritte nella medesima UD [fig. 2 e fig. 3]. In questo caso l’apparato filologico si allarga a contenere tutti gli elementi necessari a una piena contestualizzazione e comprensione del testo di Sereni.

Fig.1

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Fig. 2

Fig. 3

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7.5 - Dattiloscritto con note autografe di Pasolini; edizione a stampa del dattiloscritto La prima immagine presenta una pagina dattiloscritta con correzioni autografe di Petrolio di Pasolini, un caso di edizione postuma trattato nell'UD 6.6 [fig. 1]. La seconda presenta la relativa edizione a stampa, con una serie di espedienti grafici, spiegati a parte, per visualizzare lo stato dell’originale [fig. 2].

Fig. 1

Fig. 2

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Bibliografia

Fonti

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Franca Brambilla Ageno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova, Antenore, 1975.

Franca Brambilla Ageno, Gli errori auditivi nella trasmissione dei testi letterari, "Italia medioevale e umanistica", 29 (1986), pp. 80-105.

Giorgio Inglese, Come si legge un’edizione critica. Elementi di filologia italiana, Firenze, Carocci, 1999.

Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, il Mulino, 1994.

Bibliografia

Paola Italia (1999), Gli apparati gaddiani, in Due seminari di filologia, a cura di S. Albonico, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 51-70.

Alessandro Manzoni (1942), I Promessi Sposi e Storia della Colonna Infame, a cura di M. Barbi e F. Ghisalberti, Milano, Casa del Manzoni (Firenze, Sansoni), volume I delle Opere di A. Manzoni.

Alessandro Manzoni (1954), I Promessi Sposi, a cura di F. Ghisalberti, Milano, Mondadori, volume II (tomi I e II), in Tutte le opere, a cura di A. Chiari e F. Ghislaberti, Milano, Mondadori.

Alessandro Manzoni (1971), I Promessi sposi, a cura di L. Caretti, Torino, Einaudi.

Pier Paolo Pasolini (1992), Petrolio, Torino, Einaudi.

Francesco Petrarca (1996), Trionfi, Rime estravaganti, Codice degli abbozzi, a cura di V. Pacca e L. Paolino, introduzione di M. Santagata, Milano, Mondadori.

Francesco Petrarca (2000), Il codice Vaticano latino 3196 di Francesco Petrarca, a cura di L. Paolino, Milano-Napoli, Ricciardi.

Vittorio Sereni (1995), Poesie, a cura di D. Isella, Milano, Mondadori.

Letture consigliate Gianfranco Contini (1990), Filologia, in Gianfranco Contini, Breviario di ecdotica, Torino, Einaudi, pp. 3-66.

Storia della letteratura italiana. 10. La tradizione dei testi (2001), Roma, Salerno editrice.