EPIDEMIOLOGIA e MANAGEMENT in SANITÀ · gli stessi studi,è davvero molto ampia.Oggi,con po-che...

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Lamberto Manzoli Paolo Villari Antonio Boccia EPIDEMIOLOGIA e MANAGEMENT in SANITÀ Elementi di metodologia edi·ermes

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Lamberto Manzoli • Paolo Villari • Antonio Boccia

EPIDEMIOLOGIAe MANAGEMENT in SANITÀ

Elementi di metodologia

edi·ermes

Gli argomenti storici del corso di igiene include-vano l’analisi e il miglioramento degli ambienti, deglialimenti e delle acque, nonché il controllo dell’anda-mento delle malattie infettive.Negli anni, tuttavia,so-no emerse materie quali la metodologia epidemiolo-gica e il management sanitario, che sono l’oggetto delpresente testo. Nei moderni sistemi sanitari e nell’at-tuale scenario della ricerca internazionale, caratteriz-zati da costi e complessità estremi, queste tematichehanno assunto un’importanza crescente e fanno oggiparte, a pieno titolo, della disciplina igienistica, inte-sa nella sua più ampia accezione di sanità pubblica.

Esistono libri eccellenti sugli argomenti classici del-l’igiene, e ottimi testi di epidemiologia o management.A nostro parere, invece, sono poche le fonti nelle qualisia possibile trovare, oltre a una trattazione della meto-dologia epidemiologica, anche un’analisi dei fonda-menti del management sanitario, discussi da un puntodi vista tecnico. Questo testo rappresenta un tentativodi colmare questa lacuna, partendo dal presuppostoche sia più appropriato affrontare tematiche complessee multidisciplinari come la gestione, il finanziamento ela valutazione della sanità, con una solida base epide-miologica. Portando un esempio, nello svolgimento diuna valutazione della qualità dell’assistenza sanitaria,una metodologia non rigorosa di risk-adjustment e diraccolta dei dati può portare a risultati anche molto di-stanti dalla realtà che si cerca di valutare.

Per tali motivi, sebbene non si possa sicuramen-te pretendere da tutti i professionisti operanti nellaSanità di produrre le evidenze scientifiche (siano es-se studi epidemiologici o organizzativi), è tuttaviasicuramente necessario che questi professionistipossiedano la capacità di interpretarle; possiedano,quindi, una buona padronanza degli strumenti epi-demiologici e dell’Evidence Based Medicine.

Struttura del libroe argomenti trattati

Il testo è suddiviso in tre sezioni: le prime duesono strettamente connesse e riguardano la meto-

dologia epidemiologica e le valutazioni di efficaciadegli interventi sanitari. La terza sezione verte sullaorganizzazione, il funzionamento, il finanziamento ela valutazione della sanità, con particolare riferi-mento al contesto italiano. Ciascuna sezione è suddi-visa in capitoli, che a loro volta comprendono diver-si paragrafi. Tale suddivisione è stata effettuata confinalità didattiche e di semplificazione; in realtà lesezioni e i capitoli non sono nettamente distinti daun punto di vista concettuale e, man mano che siprosegue nella lettura, divengono sempre più fre-quenti i richiami alle nozioni discusse nei capitoliprecedenti, la cui conoscenza è necessaria per potercomprendere pienamente gli argomenti trattati. Pertale ragione, per coloro che non hanno ancora un’ex-pertise specifica, è fortemente consigliata la letturadi tutti i capitoli nell’ordine adottato nel testo.

Obiettivi

Nella preparazione del testo, ci siamo chiesti piùvolte se fosse sufficiente una trattazione del signifi-cato e dei limiti delle metodologie utilizzate neglistudi e dei risultati illustrati, o se invece fosse neces-sario aggiungere indicazioni più approfondite perrendere il lettore in grado di replicare autonoma-mente gli studi considerati. Dopo lunga analisi, cisiamo resi conto che la differenza tra la quantità dinozioni necessarie per correttamente interpretare imetodi e i risultati degli studi scientifici, e la mole diconoscenze occorrenti per correttamente produrregli stessi studi, è davvero molto ampia. Oggi, con po-che eccezioni, per svolgere uno studio scientifico ènecessario un insieme di nozioni – metodologia epi-demiologica, statistica, organizzativa/gestionale, co-noscenza della lingua inglese – che appaiono al difuori della portata di un singolo testo. Peraltro, ten-tare di sviluppare un libro di compromesso, nel qua-le oltre ai concetti necessari per interpretare gli stu-di venissero aggiunte nozioni iniziali, ma non suffi-cienti, per la loro conduzione, ci è apparso un rime-dio peggiore del male. Avremmo appesantito il libro

Prefazione

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con una grande quantità di informazioni non fina-lizzate ad alcuno scopo, se non quello di mostrare lanostra conoscenza del tema.

Alla fine, la scelta era obbligata: il primo obiet-tivo di questo testo è fornire le conoscenze sullametodologia epidemiologica oggi ritenute essen-ziali per poter identificare, rinvenire, interpretare evalutare le evidenze scientifiche. Il secondo obietti-vo è rendere il lettore in grado di utilizzare corret-tamente le competenze epidemiologiche durante losvolgimento della propria attività, avendo unachiara visione d’insieme delle principali metodolo-gie adottate nell’organizzazione, nel finanziamentoe nella valutazione della qualità dell’assistenza sa-nitaria.

Lo stile del testo mira a trasmettere al lettore, daun lato, la passione per la scienza, dall’altro lato il bi-

sogno imprescindibile del ragionevole dubbio, l’at-tenzione verso il metodo e la verifica dei limiti, pro-prio perché passaggi essenziali per il progressivo av-vicinamento della medicina e dell’organizzazionesanitaria alle scienze empiriche.

A chi è rivolto

Visti gli obiettivi, il libro è naturalmente rivoltoai professionisti che operano nella sanità pubblica enel management sanitario, siano essi medici o para-medici. Peraltro, abbiamo scelto di utilizzare un lin-guaggio semplice per rendere agevole la compren-sione di argomenti anche complessi; può essere per-tanto di grande utilità anche a scopi didattici, per glistudenti di Medicina o dei corsi di laurea delle pro-fessioni sanitarie.

Lamberto ManzoliLamberto Manzoli nasce il

28 ottobre 1971 a Bologna. Nel1997 si laurea con lode in Medi-cina e Chirurgia presso l’Uni-versità di Bologna, ove si specia-lizza con lode in Igiene e SanitàPubblica nel 2001. Dopo alcune

esperienze lavorative presso l’Agenzia Sanitaria Re-gionale dell’Emilia Romagna, il Dipartimento diPrevenzione, la Sezione di Epidemiologia dell’Uni-versità “La Sapienza” di Roma, la Jefferson Univer-sity (2000), la Sezione di Epidemiologia e SanitàPubblica dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti,ove diviene ricercatore in Igiene nel 2002, consegueil titolo di Master of Public Health presso la HarvardSchool of Public Health (2004).

È ora professore associato in Scienze TecnicheMediche Applicate presso l’Università “G. d’Annun-zio” di Chieti, consulente dell’Agenzia Sanitaria Re-gionale della regione Abruzzo, e collabora scientifi-camente con le Università della “Sapienza” e “Catto-lica” di Roma, e con l’Istituto Italiano di MedicinaSociale.

Nell’ambito dell’organizzazione sanitaria, muove iprimi passi con Mario Zanetti, collaborando in segui-to (e tuttora) con Joseph S. Gonnella e Francesco DiStanislao. Relativamente alla ricerca epidemiologica,è allievo diretto di Antonio Boccia e Paolo Villari.

È autore di oltre 60 articoli scientifici su rivistenazionali e internazionali, di cinque capitoli di libroe numerosi abstract e relazioni a congressi nazionalie internazionali. Oltre al materiale fornito in questotesto, è possibile reperire approfondimenti e altreinformazioni presso il sito web www.gepp.it.

Paolo VillariPaolo Villari nasce a Na-

poli l’8 aprile 1961. Nel 1987si laurea con lode in Medici-na e Chirurgia presso l’Uni-versità “Federico II” di Na-

poli, ove si specializza in Igiene e Medicina Preventi-va nel 1991. Dal novembre 2006 è Professore straor-dinario di Igiene presso la I Facoltà di Medicina eChirurgia della Sapienza, Università di Roma.

Esperienze e conoscenze fondamentali ai finidella ricerca e dell’insegnamento sono scaturite dadue prolungati soggiorni di studio all’estero: il pri-mo, di durata biennale, presso la Harvard School ofPublic Health, dove consegue, tra l’altro, il Diplomadi Master in Sanità Pubblica, e il secondo, annuale,presso il Laboratory of Microbiology della Rockefel-ler University.

Presidente della Sezione di Epidemiologia del-l’European Public Health Association negli anni2005-2006, attualmente ricopre la carica di vice-pre-sidente. Ha svolto e svolge attività didattica in corsidi laurea specialistica in medicina e chirurgia e del-le professioni sanitarie, in diversi corsi di laurea del-le professioni sanitarie, in scuole di specializzazione,in corsi di perfezionamento e Master. Dall’anno 2005è Presidente del Corso di Laurea in Infermieristica(sede di Pomezia) della I Facoltà di Medicina e Chi-rurgia della Sapienza, Università di Roma.

Le principali linee di ricerca riguardano l’epide-miologia molecolare delle malattie infettive, le revi-sioni sistematiche e meta-analisi, l’area del manage-ment in sanità. È autore di oltre 100 articoli scienti-fici su riviste nazionali e internazionali, di diversicapitoli di libro e numerosi abstract e relazioni acongressi nazionali e internazionali.

Antonio BocciaAntonio Boccia nasce a

San Giorgio a Cremano (Na-poli) il 22 novembre 1942. Silaurea in Medicina e Chirur-gia nel 1967, si specializza inIgiene e Medicina Preventiva

nel 1969, e in Igiene e Tecnica Ospedaliera nel 1971.Dal 1980 al 1987 è Professore ordinario di Igiene nel-la Facoltà di Scienze Matematiche, fisiche e naturalidell’Università “Sapienza” di Roma, e dal 1988 è Pro-

Autori

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fessore ordinario di Igiene nella I Facoltà di Medici-na e Chirurgia. Presso l’Azienda “Policlinico Umber-to I” di Roma è responsabile dell’Unità OperativaComplessa di Organizzazione e gestione sanitaria, eDirettore del Dipartimento di Igiene ospedaliera.

Già coordinatore della Commissione Intermini-steriale Università-Sanità di Studio e proposte per ilriordino dei policlinici universitari e degli IRCCS ne-gli anni 1987-1988, Antonio Boccia è stato Sovrin-tendente Sanitario del Policlinico Umberto I dal 1986al 1993. Membro esperto del Consiglio Superiore diSanità dal 2003, è stato ed è responsabile scientificodi progetti di ricerca nazionali finanziati dal Ministe-ro dell’Università e della Ricerca, dal Consiglio Na-zionale delle Ricerche, dal Ministero dell’Ambiente edella Tutela del Territorio, dal Ministero delle Politi-che Agricole e Forestali e di progetti di ricerca inter-nazionali finanziati dalla Comunità Europea.

È Presidente della Sezione Lazio della Società Ita-

liana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubbli-ca negli anni 1999-2000, attualmente coordinatoredei Corsi di Laurea triennale e specialistica delleProfessioni Sanitarie della I Facoltà di Medicina eChirurgia della “Sapienza” Università di Roma. Pres-so la stessa sede, è presidente del Corso di Laureaspecialistica in Scienze delle Professioni Sanitariedella Prevenzione e direttore di Corsi di Alta forma-zione e Master in Economia e management sanita-rio, Qualità e sicurezza alimentare, Metodologie sta-tistico-epidemiologiche in medicina e Managementinfermieristico.

Le principali linee di ricerca riguardano l’igienedell’ambiente e degli alimenti, l’igiene ospedaliera,l’epidemiologia e la profilassi delle malattie infetti-ve, l’area del management in sanità. È autore di oltre200 articoli scientifici su riviste nazionali e interna-zionali, di diversi libri e numerosi abstract e relazio-ni a congressi nazionali e internazionali.

Sezione 1METODOLOGIA EPIDEMIOLOGICA

1 Scopi dell’epidemiologia e principalitipologie di studi epidemiologici . . . . . . 31.1 Studi descrittivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41.2 Studi cross-sectional . . . . . . . . . . . . . . 51.3 Studi caso-controllo . . . . . . . . . . . . . . . 111.4 Studi di coorte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14

2 Misure di frequenza:prevalenza e incidenza . . . . . . . . . . . . . . . 192.1 Prevalenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202.2 Incidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222.3 Rapporto tra prevalenza

e incidenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232.4 Il problema dei campioni

non costanti: tasso di incidenza . . . . . . 24

3 Misure di associazione:rischio relativo e affini . . . . . . . . . . . . . . . 273.1 Rischio relativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273.2 Odds Ratio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 293.3 Hazard Ratio e Incidence Rate Ratio . . 323.4 Rischio attribuibile . . . . . . . . . . . . . . . . 36

4 Principali bias e confondimento . . . . . . . 394.1 Bias di selezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . 394.2 Bias di informazione . . . . . . . . . . . . . . 404.3 Confondimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42

5 Principali tecniche per il controllo dei bias e del confondimento . . . . . . . . . . 455.1 Principali metodi di controllo

del bias . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45.1 Scelta del campione . . . . . . . . . . . . . 45.2 Metodo di raccolta dati . . . . . . . . . . 45

5.2 Principali metodi di controllo del confondimento . . . . . . . . . . . . . . . . 46.1 Randomizzazione . . . . . . . . . . . . . . 46.2 Restrizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46.3 Appaiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47

.4 Analisi statistica stratificata . . . . . . 47

.5 Analisi statistica multivariata . . . . . 47

6 Cenni sul significato della standardizzazione dei tassi . . . . . . . 516.1 Standardizzazione diretta . . . . . . . . . . . 516.2 Standardizzazione indiretta

e Standardized Incidence/MortalityRatio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

Sezione 2VALUTAZIONE DI EFFICACIA

DEGLI INTERVENTI SANITARIED EPIDEMIOLOGIA CLINICA

7 Studi sperimentali: i trials clinici . . . . . . 597.1 Problema etico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 597.2 Importanza degli studi sperimentali . . 597.3 Metodologia degli studi sperimentali . 607.4 Randomizzazione . . . . . . . . . . . . . . . . . 627.5 Metodologia in cieco/doppio-cieco . . . 637.6 Interpretazione dei risultati

degli studi sperimentali . . . . . . . . . . . . 647.7 I problemi degli studi sperimentali . . . 65

.1 Principali vantaggi e svantaggi . . . . 657.8 Effetto placebo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 667.9 Concetto di outcome . . . . . . . . . . . . . . . 67

8 Elementi di inferenza statistica . . . . . . . . 698.1 Concetto di inferenza

e intervallo di confidenza al 95% . . . . . 698.2 Concetto di significatività

statistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 708.3 Concetto di p . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 748.4 L’importanza cruciale

dei limiti di confidenza al 95% . . . . . . 75

9 Review, review sistematiche e meta-analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 779.1 Review . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 779.2 Review sistematica . . . . . . . . . . . . . . . . 78

Indice

XII EPIDEMIOLOGIA E MANAGEMENT IN SANITÀ: ELEMENTI DI METODOLOGIA ISBN 978-88-7051-320-2

9.3 Meta-analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 789.4 Valutazione della qualità degli studi . . 86

10 Cenni sulla Medicina basata sulle evidenze (EBM) . . . . . . . . . . . . . . . . . 8910.1 Definizione di Evidence Based

Medicine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9010.2 Linee guida e protocolli . . . . . . . . . . . . 9110.3 La “forza” delle raccomandazioni –

Il sistema GRADE . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

11 Cenni ai principali strumenti per l’ottenimento delle evidenze scientifiche . . . . . . . . . . . . 97

12 Cenni sui programmi di screening . . . . . 10312.1 Fasi della prevenzione . . . . . . . . . . . . . 10312.2 Caratteristiche di un programma

di screening . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10412.3 Valutazione della performance

dei programmi di screening . . . . . . . . . 10412.4 Problematiche nella valutazione

degli screening . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

Sezione 3SISTEMA SANITÀ:

ORGANIZZAZIONE, FUNZIONAMENTO,FINANZIAMENTO E VALUTAZIONE

13 Principî di economia e organizzazione sanitaria riferiti al contesto italiano . . . . 11313.1 Crescita della spesa sanitaria . . . . . . . . 11313.2 Economia e mercato . . . . . . . . . . . . . . . 11513.3 Mercato della salute:

sistemi sanitari nel mondo . . . . . . . . . 11813.4 Evoluzione del sistema sanitario

in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120.1 Trasformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 122

13.5 Organizzazione e funzionamento della sanità in Italia . . . . . . . . . . . . . . . 123

13.6 Livelli essenziali di assistenza (LEA) . . 12613.7 Valutazione economica

degli interventi sanitari . . . . . . . . . . . . 127.1 Analisi dei costi . . . . . . . . . . . . . . . . 128

14 Metodologie per la valutazione della qualità dell’assistenza sanitaria . . 13314.1 Componenti della qualità . . . . . . . . . . . 13314.2 Errori in sanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133

14.3 Indicatori di qualità e limiti metodologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138.1 Fonti dei dati degli indicatori

di qualità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14114.4 Esempi di programmi di misurazione

della qualità assistenziale . . . . . . . . . . . 14214.5 Valutazione della soddisfazione

del paziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14414.6 Qualità dei sistemi sanitari

nel mondo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148

15 Sistemi di classificazione dei pazienti ospedalieri . . . . . . . . . . . . . . . 15315.1 Sistema DRG . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

.1 Caratteristiche e funzionamento del sistema DRG . . . . . . . . . . . . . . . . 155

.2 Uso del DRG ai fini del sistema di finanziamento ospedaliero . . . . . 158

15.2 Oltre il DRG: sistemi iso-severità . . . . . 162.1 All Patients Refined –

Diagnosis Related Groups(APR-DRG) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164

.2 Disease Staging . . . . . . . . . . . . . . . . 165

Riquadro 15.1 – Classificazione Internazionale delle Malattie – ICD-9-CM . . 154

Riquadro 15.2 – Scheda di Dimissione Ospedaliera . . . . . . . . . . . . . . 156

16 Tecniche di finanziamento dei servizi sanitari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16916.1 Importanza del sistema

di finanziamento in sanità . . . . . . . . . . 16916.2 Finanziamento sanitario . . . . . . . . . . . 171

.1 Livello macro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171

.2 Livello micro . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172

.3 Livello intermedio . . . . . . . . . . . . . . 17416.3 Sistema italiano: sistema misto

con diversi modelli regionali . . . . . . . . 177.1 Modello a centralità aziendale . . . . 177.2 Modello con separazione

acquirente/erogante . . . . . . . . . . . . . 178.3 Modello a centralità regionale . . . . 179

16.4 Strumenti di programmazione e controllo della spesa . . . . . . . . . . . . . 180

16.5 Sistema DRG negli USA . . . . . . . . . . . 181

Approfondimenti bibliografici . . . . . . . . . . . 185

Il termine epidemiologia ha radici greche e deri-va dalla congiunzione dei tre termini logos (studio),epi (sopra) e demos (popolazione). Effettivamente,l’epidemiologia rappresenta quella parte della medi-cina che si occupa della salute della popolazione o digruppi di popolazione, ma non del singolo individuo(del quale, invece, si occupa la medicina clinica).

Non esiste una definizione unica di epidemiolo-gia; tra le varie, la più diffusa è la seguente: “l’epide-miologia è lo studio della distribuzione e dei deter-minanti delle situazioni o degli eventi collegati allasalute in una specifica popolazione, e l’applicazionedi questo studio al controllo dei problemi di salute”.

L’epidemiologia non è sicuramente un concettonuovo. Com’è facile intuire, il fatto che possano esi-stere fattori ambientali in grado di causare le malat-tie è un’ipotesi che risale all’antichità. Già Ippocrate,considerato il padre della medicina, aveva espressola convinzione che le acque o gli alimenti potesseroinfluenzare il verificarsi e il decorso di una malattia.

È solo nel 1800, tuttavia, che l’epidemiologia as-sume il carattere di scienza ufficiale, grazie agli stu-di di John Snow sull’epidemia di colera a Londra.Egli notò, infatti, che venivano colpiti da questa stra-na febbre solamente i residenti nelle case servite daalcune condutture di acqua e non da altre.

Sebbene si debba risalire a tale data per la strut-turazione dell’epidemiologia come disciplina a séstante, i concetti di base, come per esempio l’osser-vazione dell’andamento delle malattie secondo de-terminati fattori, in primo luogo le terapie stesse, so-no da sempre parte integrante della medicina tutta.

Ciò appare ancora più chiaro se si considera l’am-piezza degli scopi dell’epidemiologia. Essi vanno daldescrivere gli stati di salute e di malattia delle popo-lazioni, all’individuare i determinanti di salute e ma-lattia (per esempio il fumo di sigaretta), fino al valu-tare l’efficacia degli interventi sanitari, sia preventivi(come smettere di fumare) sia curativi (farmaci ec-

cetera). Se prendiamo, per esempio, anche un tipicostudio clinico ove si valuti l’efficacia di un farmaconella terapia di un tumore, esso non è altro che unostudio epidemiologico, ove si valuta se una particola-re esposizione (farmaco) influisce o meno sulla salu-te di una specifica popolazione (gli ammalati di queltumore). Da quanto detto, è chiaro che i concetti epi-demiologici sono alla base di tutta la ricerca clinica e,quindi, della creazione del sapere medico.

Vediamo ora come può essere condotto uno stu-dio epidemiologico, ricordando che nella dizione“studio epidemiologico” rientrano anche tutti glistudi clinici. Gli studi epidemiologici si dividono indue grandi categorie: gli studi osservazionali e glistudi sperimentali (tabella 1.1). Esistono poi altre ti-pologie di studi, chiamati review o meta-analisi, chesono però analisi di studi già condotti e, sebbenesiano spesso di grande utilità per i medici e i ricer-catori in genere, non rappresentano degli studi epi-demiologici in senso stretto.

Le due grandi categorie di studi accennate, osser-

Scopi dell’epidemiologia e principalitipologie di studi epidemiologici 1

Tabella 1.1 Classificazione dei principali studi

epidemiologici

Studi Tipologie

Epidemiologici

osservazionali

Sperimentali

Analisi

di studi precedenti

• Studi descrittivi

• Studi trasversali

(cross-sectional)

• Studi caso-controllo

• Studi di coorte

• Non randomizzati

(Controlled clinical

trial - CCT)

• Randomizzati

(Randomized clinical

trial – RCT)

• Review

• Review sistematiche

e meta-analisi

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vazionali e sperimentali, sono completamente diffe-renti per un aspetto fondamentale, che si può capiredal nome: nei primi il ricercatore si limita a osserva-re la popolazione di soggetti in studio, nei secondi in-vece il ricercatore interviene sugli individui e, quindi,sperimenta un nuovo trattamento o strategia pre-ventiva. Di conseguenza, è facile immaginare come,mentre negli studi osservazionali gli aspetti eticipossano considerarsi minori (eccezion fatta per leproblematiche inerenti la privacy), gli studi speri-mentali pongano invece importanti questioni etiche,che devono essere risolte prima di poterli compiere.

Se, infatti, riprendendo l’esempio precedente, vo-gliamo somministrare un nuovo farmaco per la cu-ra di un tumore, dobbiamo avere ragionevoli prove,prima di iniziare lo studio, che questo farmaco nondanneggerà i pazienti (o, se esiste già un farmaco,che il nuovo sia almeno altrettanto efficace). Vice-versa, esporremmo i soggetti in studio a un dannoderivante dallo studio, e ciò non è ovviamente accet-tabile. Gli aspetti etici sono ben codificati in diverseconvenzioni internazionali (la prima delle qualisvolta a Helsinki nel 1965), e sono oggi tenuti ingrande considerazione.

Tornando agli studi epidemiologici, gli osserva-zionali si dividono a loro volta in descrittivi, trasver-sali (oggi detti cross-sectional), caso-controllo e dicoorte. Gli studi sperimentali si dividono invece indue grandi classi: randomizzati e non. In questa pri-ma sezione parleremo degli studi osservazionali,mentre l’epidemiologia sperimentale sarà trattatanella seconda sezione, insieme alle review e alle me-ta-analisi.

1.1 Studi descrittivi

Gli studi descrittivi sono i più elementari, a livel-lo concettuale, tra quelli osservazionali. Come indi-ca il nome, essi hanno il compito di descrivere la di-stribuzione delle malattie in rapporto alla loro fre-quenza, allo spazio, al tempo e alle caratteristiche in-dividuali delle persone colpite. Essi sono importantiper poter formulare ipotesi sull’esistenza di un’asso-ciazione tra un fattore di rischio e una malattia, seb-bene non permettano di verificare se tale associa-zione sia reale o un effetto di un confondimento. Macerchiamo di essere più chiari con un esempio pra-tico, illustrato in figura 1.1.

Tramite l’analisi di alcuni dati (per esempio sche-de di morte, schede di dimissione ospedaliera eccete-ra), troviamo che a Ravenna, nel biennio 2002-2004,si verificano tra i maschi adulti 38 casi di tumore alpolmone per mille abitanti. Nello stesso periodo enello stesso gruppo di popolazione, osserviamo inve-ce che ad Aosta i casi di tumore al polmone sono so-lo 11 per mille abitanti. È evidente che c’è qualcosa didiverso a Ravenna, rispetto ad Aosta, che andrebbeulteriormente esaminato. Da questi dati, quindi,emerge la necessità di uno studio ulteriore, che ciporti a comprendere le cause della differenza osser-vata. Se a Ravenna, per esempio, i fumatori maschiadulti fossero il quadruplo rispetto ad Aosta, questopotrebbe spiegare i dati. Viceversa, se la percentualedi fumatori fosse invece simile, occorrerebbe pensarea una differente spiegazione, magari nel fatto che aRavenna vi siano importanti impianti di raffineriapetrolifera, che diffondono inquinanti nell’aria, men-tre ad Aosta l’aria è notoriamente più pura.

Questo semplice esempio serve a farci compren-dere meglio la natura e lo scopo di uno studio de-scrittivo. Per ciò che concerne la metodologia, essaconsiste essenzialmente in un’analisi di dati solita-mente già raccolti (per esempio schede di morte,notifiche di malattie infettive, registri di patologia,SDO, censimenti eccetera).

Tra i vantaggi di questo tipo di studio vi sono lasemplicità concettuale, il basso costo (perché i datisono già raccolti) e il fatto che, nel caso in cui i datisiano affidabili, essi siano spesso facilmente con-frontabili a livello internazionale. Tra gli svantaggi,occorre ricordare che i dati vengono spesso raccoltianni prima rispetto allo studio (si pensi ai censi-menti, i cui risultati sono resi noti fino a due annidopo), la difficoltà di verificare l’attendibilità dei da-ti, e infine, come già ricordato, il fatto che sia possi-bile solo formulare ipotesi ma non averne conferma.Nell’esempio citato, la causa delle differenze osser-vate potrebbe essere nella percentuale di fumatorie/o nella qualità dell’aria, ma potrebbe anche esseredovuta a tanti altri fattori che non abbiamo potutorilevare, come per esempio l’emissione di radiazioniionizzanti dal suolo o dalle mura di case costruitecon materiali diversi, una maggiore suscettibilità ge-netica, una modalità differente di fumo o diverse si-garette, e tanto altro ancora.

Quando si pensa che un fattore causi una patolo-gia, mentre l’associazione tra questo fattore e la pato-logia è in realtà dovuta ad altre cause, questo errore

1. Scopi dell’epidemiologia e principali tipologie di studi epidemiologici 5

di valutazione viene chiamato bias ecologico, ovveroerrore dovuto all’ambiente. Un esempio tipico di biasecologico è stato, anni addietro, l’ipotesi di un’asso-ciazione tra l’alcol e il tumore del polmone. Si era in-fatti osservata una maggiore incidenza di questi tu-mori nelle persone che assumevano maggiormentealcol. Tuttavia, in seguito, si vide che i consumatori dialcolici erano anche, spesso, fumatori, per cui si com-prese che, in realtà, il fatto che essi avessero un mag-gior numero di tumori al polmone era dovuto al fu-mo e non all’alcol. Escludendo i fumatori, infatti, lapercentuale di malati tra i consumatori di alcolici e inon consumatori era quasi identica.

Il concetto di bias ecologico sarà ripreso in segui-to. È tuttavia importante sottolineare come esso rap-presenti uno dei pericoli più frequenti e più impor-tanti di tutti gli studi epidemiologici, non solo de-scrittivi od osservazionali, e che tutti i ricercatori efruitori delle evidenze scientifiche debbano conside-rarlo al momento di interpretare i risultati di qualun-que studio scientifico. Esso è infatti molto più fre-quente di quanto non venga comunemente ritenuto.

Vediamo ora un esempio di uno studio descritti-vo realmente condotto e pubblicato, nel 1998, sullaprestigiosa rivista scientifica British Medical Journal(figura 1.2). In questo studio, Thiadens e coll. hannoesaminato i record di tutti i soggetti adulti che si so-no presentati dal medico di famiglia con un sintomocomune, una tosse persistente da due o più settima-ne. Tra questi, che erano sani o meglio credevano diesserlo, si è visto durante gli accertamenti che quasila metà (46%) era invece affetto da asma o da bron-copneumopatia cronico-ostruttiva (enfisemi, bron-chiti croniche eccetera). Per tale motivo, gli Autoriconcludono raccomandando ai medici di famiglia diprestare la massima attenzione a questo tipo di per-sone, non sottovalutando il sintomo tosse, e di pren-dere in considerazione l’ipotesi di accertamenti mira-ti per asma e broncopneumopatie croniche-ostrutti-ve per questo tipo di pazienti. Come si può notare, lalogica dello studio è molto semplice e, tuttavia, essofornisce spunti importanti per successive ricerche,mirate per esempio a identificare altri fattori associa-ti a una di queste patologie, che possono permettercidi identificare ancora meglio le persone a rischio.

Prima di chiudere la trattazione di questo tipo distudi, è utile portare un secondo esempio, per com-prendere che gli studi descrittivi non riguardano so-lamente argomenti prettamente clinici, ma sono am-piamente utilizzati anche nella ricerca di base, nella

genetica e, come in questo secondo esempio, anchenello studio delle infezioni ospedaliere. Non solo, glistudi descrittivi non devono necessariamente esserecondotti in un tempo limitato. Nello studio illustratoin figura 1.3, infatti, Villari e coll. hanno registratotutte le infezioni causate da batteri (in particolare daStaphylococcus epidermidis), avvenute nel reparto diTerapia Intensiva Neonatale di un ospedale universi-tario di Napoli per tre anni (dal gennaio 1996 al di-cembre 1998). Come si può notare nella tabella, i ri-sultati proposti dagli Autori evidenziano la diminu-zione, negli anni, del numero di infezioni causate daalcuni batteri (per esempio, da Klebsiella pneumo-niae o Staphylococcus aureus, sottolineate in rosso),mentre le infezioni da Staphylococcus epidermidis(sottolineate in nero) rimangono sostanzialmentecostanti.

1.2 Studi cross-sectional

Gli studi trasversali o cross-sectional sono legger-mente più complessi degli studi descrittivi, ma rap-presentano ancora un tipo di studio relativamentesemplice. Essi erano anche chiamati, in passato, stu-di di prevalenza, poiché tra gli scopi di questo tipo distudi rientra anche la descrizione della prevalenza diuna patologia nella popolazione, ovvero della percen-tuale di malati sul totale. Questo passaggio è moltoimportante, poiché non è possibile alcun tipo di pro-grammazione, per esempio dei posti letto o dei far-maci da ordinare, se non è noto il numero di malatidi una patologia. Oltre a questo obiettivo fondamen-

Figura 1.1 Un esempio di studio descrittivo.

Tumore al polmone 38 casi

per 1.000 abitanti 11 casi

Maschi, di età compresa

tra 18 e 45 anni

Ravenna (38 × 1.000 abitanti)

Aosta (11 × 1.000 abitanti)

Gennaio 2002 – Dicembre 2004

(24 mesi)

QUANTO

CHI

DOVE

QUANDO

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tale, gli studi cross-sectional mirano anche a valutarepossibili associazioni tra la patologia in esame e varifattori (di ogni genere, dal fumo di sigaretta all’iper-tensione, all’attività lavorativa eccetera).

Vediamo ora un esempio tipico di studio cross-sectional. Prendiamo 1.000 persone a caso tra la po-polazione adulta della città di Pescara. A loro chie-diamo (o verifichiamo con test di laboratorio o convisite mediche), sia se sono esposti (se fumano o me-no) sia se sono malati (se si ritengono fortementestressati o meno). Possiamo anche chiedere o valuta-re tanti altri parametri ma, per semplicità, ci fermia-

mo a un’esposizione e a un problema-malattia. L’o-biettivo dello studio è quello di valutare se l’esposi-zione (fumo di sigaretta) è associata a un alto gradodi stress (che viene qui considerato come malattia).

Fatto questo, con i dati raccolti, andiamo a co-struire una tabella 2 × 2, che rappresenta la base fon-damentale di tutti gli studi epidemiologici da ora inavanti, siano essi osservazionali o sperimentali (ta-bella 1.2). Come si può notare, la tabella mostra il nu-mero di soggetti in ognuno dei quattro possibiligruppi: fumatori malati, fumatori non malati, nonfumatori malati, non fumatori non malati. Da questi

Figura 1.2 Studi descrittivi: un esempio reale (da BMJ 1988; 316:1286-90).

1. Scopi dell’epidemiologia e principali tipologie di studi epidemiologici 7

dati, possiamo quindi evincere, in primo luogo, lapercentuale di fumatori e di malati nella nostra po-polazione, ovvero la prevalenza sia del fattore di ri-schio sia della malattia. Già questo primo dato può

essere molto importante per programmare interven-ti o per segnalare problematiche sociali e/o cliniche.

Dagli stessi dati, inoltre, possiamo vedere che laproporzione di persone stressate tra i fumatori (ov-

Figura 1.3 Studi descrittivi: un secondo esempio reale. (da Journal of Clinical Microbiology, vol. 38, No. 5, p. 1740-1746.Copyright © 2000, American Society for Microbiology).

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vero tra gli esposti) è di gran lunga più elevata ri-spetto ai non fumatori: 16,7% (50/300 × 100) contro3% (21/700 × 100). Questo dato è importante perchéci segnala la presenza di un’associazione tra il fumoe lo stress.

La logica di questi studi, come si può vedere, èabbastanza semplice, così come la metodologia. Tut-tavia, devono essere tenuti in considerazione alcuniimportanti problemi.

Riferendosi all’esempio precedente, occorre inprimo luogo che il campione di 1.000 persone cheabbiamo intervistato sia realmente rappresentativodella popolazione generale, altrimenti i risultati delnostro studio hanno poco senso. È chiaro che se siintervistano tutti i clienti di un tabaccaio non si avràun campione rappresentativo dell’intera popolazio-ne, così come se si intervistano solo i giovani diun’università, o solo gli operai eccetera.

Questo tipo di problema è comune a tutti gli stu-di, ma è di particolare importanza negli studi osser-vazionali e prende il nome di selection bias, o erroredi selezione. Esso verrà in seguito descritto in mag-giore dettaglio e, quando si verifica, è uno dei piùgravi perché è molto difficile in seguito correggerlocon tecniche statistiche.

Un altro potenziale problema, anche questo co-mune a tutti gli studi epidemiologici, non solo os-servazionali, è dovuto al già citato bias ecologico, ov-vero alla possibilità che, in realtà, questa associazio-ne non sia reale ma solo dovuta a un altro fattore chenoi non abbiamo rilevato e che confonde l’associa-zione. In questo caso, in via del tutto ipotetica, po-trebbe essere che i fumatori, rispetto ai non fumato-ri, lavorano più frequentemente durante i fine setti-mana, per cui lo stress è in realtà dovuto al maggiorcarico di lavoro e non al fumo.

Ancora, è chiaro che gli intervistati possonomentire o non rispondere, eventualità frequentiquando si pongono domande sulla vita privata così

come sul fumo (si pensi che la percentuale di fuma-tori che, intervistati, nega di esserlo, è stimata dastudi autorevoli tra il 25 e il 35%). Questo problemaè noto come under-reporting o mis-classification, esarà anch’esso ripreso in seguito. È ovvio che ciò puòessere evitato tramite modalità diverse di verifica,per esempio con un esame del sangue sui metaboli-ti della nicotina.

Quanto detto ci permette di intuire meglio i pre-gi e i difetti di questo tipo di studi. Essi sono relati-vamente semplici e brevi, poiché basta un questio-nario per poterli svolgere (sebbene ottenere questio-nari da migliaia di soggetti non è mai semplice).Hanno costi limitati e, se il campionamento è corret-to, permettono di generalizzare i risultati sulla pre-valenza all’intera popolazione.

Tuttavia, oltre ai citati problemi metodologici,comunque in parte risolvibili mediante tecnicheepidemiologiche sofisticate, essi hanno un problemafondamentale: siccome l’esposizione e la malattiavengono misurate nello stesso momento, non è pos-sibile stabilire un nesso causale tra una e l’altra, enemmeno verificare con sicurezza la relazione tem-porale tra una e l’altra. Nell’esempio esposto, infatti,non è possibile comprendere se sia il fumo a causa-re lo stress o viceversa. Se, infatti, la persona ha co-minciato a fumare prima di sentirsi stressata, si po-trebbe pensare che sia il fumo a causare lo stress.Tuttavia, se invece la persona ha iniziato a fumarequando già si sentiva stressata, non avrebbe sensoipotizzare un nesso causale.

Com’è evidente, quindi, gli studi cross-sectionalpossono solo dimostrare la presenza di associazionitra una patologia e un’esposizione, non che esista trale due un nesso di causalità. Per dimostrare ciò, so-no necessari studi caso-controllo o di coorte.

Quale esempio reale di studio cross-sectional, siriporta uno svolto da Manzoli e coll. (figura 1.4). Inquesto studio, il peso, l’altezza e diversi altri fattorisono stati esaminati da medici di medicina dellosport in tutti i bambini delle scuole elementari emedie della provincia di Pescara, negli anni 2001-2003. È stato quindi calcolato il body mass index(peso in Kg / altezza in metri al quadrato), ed è sta-ta rilevata la pressione arteriosa. Utilizzando scaleinternazionali, sono state quindi calcolate sia laprevalenza di obesità sia di ipertensione infantile.Esse sono riportate nella colonna a destra della fi-gura 1.4.

I valori ottenuti differiscono secondo le scale in-

Tabella 1.2 Studi cross-sectional: tabella 2 × 2

Malati Non malatiTotale

(forte stress) (no stress)

Esposti

(fumatori)

Non esposti

(non fumatori)

Totale

1.300

1.700

1.000

250

679

929

50

21

71

1. Scopi dell’epidemiologia e principali tipologie di studi epidemiologici 9

Fig

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1.4

Stu

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1).

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ternazionali impiegate, e sono tuttavia elevatissimi(19,5% di obesi e 11,1% di ipertesi, tra i più altid’Europa), indicando una vera emergenza e il biso-gno di provvedimenti immediati.

Nella colonna a sinistra della figura, sono invecerappresentate diverse tabelle 2 × 2, dove la prove-nienza, il sesso, l’età rappresentano le esposizioni el’obesità la malattia. Si può notare un’associazionetra sesso maschile e obesità infantile (la percentualedi obesi tra i maschi è del 22,5%, decisamente supe-riore a quella tra le femmine, pari al 16,4%), e traipertensione e obesità (la quota di obesi tra gli iper-tesi è del 31,2%, nei normotesi è del 18,2%). Di nuo-vo, si ricorda tuttavia che non è possibile stabilire unrapporto causa-effetto.

Anche in questo caso, come per gli studi descrit-tivi, prima di concludere il paragrafo è utile portareun esempio leggermente differente di studio cross-sectional, relativo allo studio dei fattori di rischio per

l’epatite G in un campione di soggetti provenientidall’Italia centro-meridionale. Nello studio illustratoin figura 1.5, Villari e coll. hanno testato campioniematici di campioni provenienti da categorie di sog-getti diversi (donatori di sangue, emodializzati, tos-sicodipendenti e immigrati – alcuni dei quali consi-derati a maggior rischio di epatite) alla ricerca dianticorpi anti-epatite G (quali prova di avvenuta in-fezione). Come si può notare nella tabella, la quota dipersone che si sono ammalate di epatite G (ovvero, ilcui sangue è risultato positivo agli anticorpi anti-epatite G, in sigla GBV-C) è assai più elevata tra i tos-sicodipendenti (39,0%), piuttosto che tra gli immi-grati (12,0%) o tra i donatori di sangue (12,6%).Chiaramente, questi risultati, oltre a suggerire che intali persone l’epatite G non è sicuramente evento ra-ro, possono indirizzare le strategie di contenimentodell’infezione verso i gruppi di pazienti a più alto ri-schio.

Figura 1.5 Studi cross-sectional, un secondo esempio reale (da Infection 2001; 29: 17-23).